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Document 62009CJ0191

    Massime della sentenza

    Cause riunite C-191/09 P e C-200/09 P

    Consiglio dell’Unione europea e Commissione delle Comunità europee

    contro

    Interpipe Nikopolsky Seamless Tubes Plant Niko Tube ZAT (Interpipe Niko Tube ZAT) e Interpipe Nizhnedneprovsky Tube Rolling Plant VAT (Interpipe NTRP VAT)

    «Impugnazioni — Dazi antidumping — Regolamento (CE) n. 954/2006 — Importazioni di alcuni tubi senza saldatura, di ferro o di acciaio, originari della Croazia, della Romania, della Russia e dell’Ucraina — Regolamento (CE) n. 384/96 — Articoli 2, paragrafo 10, lettera i), 3, paragrafi 2, 3 e 5-7, 18, paragrafo 3, e 19, paragrafo 3 — Determinazione del valore normale e del danno — Nozione di “entità economica unica” — Diritti della difesa — Difetto di motivazione»

    Massime della sentenza

    1. Politica commerciale comune – Difesa contro le pratiche di dumping – Margine di dumping – Confronto tra il valore normale e il prezzo all’esportazione – Adeguamenti – Onere della prova

      (Regolamento del Consiglio n. 384/96, art. 2, § 10)

    2. Politica commerciale comune – Difesa contro le pratiche di dumping – Margine di dumping – Calcolo del prezzo all’esportazione – Elemento rilevante – Prezzo praticato in operazioni commerciali normali

      [Regolamento del Consiglio n. 384/96, art. 2, § 10, punto i)]

    3. Politica commerciale comune – Difesa contro le pratiche di dumping – Potere discrezionale delle istituzioni – Sindacato giurisdizionale – Limiti

      (Art. 225 CE; Statuto della Corte di giustizia, art. 58)

    4. Diritto comunitario – Principi – Diritti della difesa – Rispetto nell’ambito dei procedimenti amministrativi – Antidumping – Obbligo delle istituzioni di garantire l’informazione delle imprese interessate – Portata

      (Regolamento del Consiglio n. 384/96, artt. 2, § 10, e 20, § 2)

    5. Impugnazione – Motivi d’impugnazione – Insufficienza di motivazione – Ricorso del Tribunale ad una motivazione implicita – Ammissibilità – Presupposti

      (Art. 225 CE; Statuto della Corte di giustizia, art. 51)

    6. Politica commerciale comune – Difesa contro le pratiche di dumping – Danno – Verifica da parte della Commissione – Onere della prova – Poteri di indagine

      (Regolamento del Consiglio n. 384/96, artt. 3, §§ 2, 3, 5, 6 e 7, e 18, § 3)

    7. Politica commerciale comune – Difesa contro le pratiche di dumping – Danno – Utilizzo del margine di dumping per determinare il tasso del dazio antidumping – Presupposto

      (Regolamento del Consiglio n. 384/96, art. 9, § 4)

    8. Impugnazione – Motivi d’impugnazione – Erronea valutazione dei fatti – Irricevibilità – Sindacato della Corte sulla valutazione dei fatti e degli elementi probatori – Esclusione, salvo il caso di snaturamento

      (Art. 225 CE; Statuto della Corte di giustizia, art. 58, primo comma)

    9. Politica commerciale comune – Difesa contro le pratiche di dumping – Procedimento antidumping – Uso di dati riservati – Lesione dei diritti della difesa – Presupposti

      (Regolamento del Consiglio n. 384/96, art. 19)

    1.  La determinazione del valore normale e quella del prezzo all’esportazione seguono regole distinte e, pertanto, i costi di vendita, generali ed amministrativi, non devono necessariamente essere trattati nello stesso modo nell’uno e nell’altro caso. Tuttavia, eventuali differenze tra i due valori potrebbero essere prese in considerazione nell’ambito degli adeguamenti previsti all’articolo 2, paragrafo 10, del regolamento n. 384/96, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri della Comunità europea.

      Sia dalla formulazione sia dall’impianto sistematico dell’articolo 2, paragrafo 10, di tale regolamento risulta che un adeguamento del prezzo all’esportazione o del valore normale può essere operato unicamente per tener conto di differenze relative a fattori che incidono su entrambi i prezzi, quali le commissioni, ossia di differenze nelle commissioni versate per le vendite considerate, e che intaccano pertanto la loro comparabilità, onde garantire che il confronto sia effettuato allo stesso stadio commerciale. Pertanto, la questione di un adeguamento del prezzo all’esportazione, nel contesto dell’applicazione dell’articolo 2, paragrafo 10, del regolamento n. 384/96, richiede, anzitutto, un esame dello stadio commerciale in cui è stato determinato il prezzo d’esportazione.

      Quanto all’onere di dimostrare l’esistenza del fattore in base al quale è stato richiesto o operato l’adeguamento in questione, se una parte richiede, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 10, di detto regolamento, adeguamenti destinati a rendere comparabili il valore normale ed il prezzo all’esportazione ai fini della determinazione del margine di dumping, tale parte deve dimostrare che la domanda è giustificata. Infatti, l’onere di dimostrare che devono essere operati gli adeguamenti specifici elencati all’articolo 2, paragrafo 10, lettere a)-k), del regolamento n. 384/96 incombe a colui che intende avvalersene, chiunque esso sia.

      Così, se un produttore rivendica l’applicazione di un adeguamento, in linea di principio verso il basso, del valore normale o, logicamente verso l’alto, dei prezzi all’esportazione, spetta a tale operatore indicare e dimostrare che sussistono i presupposti per la concessione di siffatto adeguamento. Per converso, se il Consiglio e la Commissione ritengono che si debba applicare un adeguamento verso il basso del prezzo all’esportazione, in quanto una società di vendita collegata ad un produttore esercita funzioni assimilabili a quelle di un agente che lavora sulla base di commissioni, incombe loro fornire quanto meno indizi convergenti atti a dimostrare che sussiste tale presupposto.

      (v. punti 51, 53, 57-58, 60-61)

    2.  Dalla formulazione dell’articolo 2, paragrafo 10, del regolamento n. 384/96, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri della Comunità europea, e in particolare da quanto esso precisa alla lettera i), non emerge alcun elemento che osti all’applicazione della nozione di «entità economica unica» alla determinazione finale del prezzo di esportazione ai fini di un equo confronto ai sensi di tale articolo. Quindi, se un produttore distribuisce i suoi prodotti all’esportazione verso l’Unione avvalendosi di una società, giuridicamente distinta, ma che esso controlla sul piano economico, non sussiste alcun motivo imperativo, di natura giuridica o economica, che impedisca di riconoscere l’esistenza di un’«entità economica unica» tra questi due operatori.

      Sebbene detta nozione sia stata forgiata ai fini della determinazione del valore normale, da questa considerazione non è possibile desumere che tale nozione trovi applicazione unicamente nell’ambito del mercato interno dei produttori esportatori. Se, infatti, un produttore distribuisce i propri prodotti avendo come destinazione l’Unione per il tramite di una società giuridicamente distinta ma collocata sotto il suo controllo economico, la necessità di una constatazione che rifletta la realtà economica dei rapporti tra detto produttore e tale società di vendita milita piuttosto a favore dell’applicazione della nozione di «entità economica unica» per il calcolo del prezzo all’esportazione.

      (v. punti 54-55)

    3.  In materia di misure di difesa commerciale, le istituzioni dell’Unione godono di un ampio potere discrezionale in considerazione della complessità delle situazioni economiche, politiche e giuridiche che devono esaminare. Quanto al controllo giurisdizionale di una siffatta valutazione, esso deve essere quindi limitato alla verifica del rispetto delle norme procedurali, dell’esattezza materiale dei fatti considerati nell’operare la scelta contestata, dell’assenza di errore manifesto nella valutazione di tali fatti o dell’assenza di sviamento di potere.

      Il Tribunale non eccede i limiti del suo sindacato di legittimità quando considera che gli elementi di prova prodotti da un’istituzione per giustificare l’adeguamento operato non sono sufficientemente convincenti e non possono pertanto essere considerati indizi che consentano di accertare l’esistenza del fattore in considerazione del quale si è proceduto all’adeguamento e di determinarne l’incidenza sulla comparabilità dei prezzi. Infatti, così agendo, il Tribunale non impone alle istituzioni alcun onere della prova particolare, oltre a quello di dimostrare che le condizioni per la concessione di siffatto adeguamento erano soddisfatte. Inoltre, la valutazione relativa all’insufficienza, come elementi probatori, di taluni documenti, effettuata dal Tribunale, non rappresenta una nuova valutazione dei fatti che sostituisce quella delle istituzioni. In tali condizioni, non si può ritenere che il sindacato giurisdizionale abbia sconfinato nell’ampio potere discrezionale delle istituzioni.

      (v. punti 62-63, 67-68)

    4.  Il rispetto dei diritti della difesa riveste un’importanza capitale in procedimenti di indagini antidumping. A questo riguardo, le imprese interessate devono essere state messe in condizione, nel corso del procedimento amministrativo, di far conoscere efficacemente il loro punto di vista sulla sussistenza e sulla pertinenza dei fatti e delle circostanze allegati, nonché sugli elementi di prova posti dalla Commissione a fondamento delle proprie affermazioni e relativi all’esistenza di una pratica di dumping e del pregiudizio ad essa conseguente.

      Inoltre, non si può obbligare una società interessata a produrre la prova che la decisione della Commissione sarebbe stata differente, bensì solo che tale ipotesi non va totalmente esclusa in quanto essa avrebbe potuto difendersi più efficacemente in assenza dell’irregolarità procedurale.

      Tuttavia, l’esistenza di un’irregolarità relativa ai diritti della difesa può portare all’annullamento del regolamento n. 954/2006, che istituisce un dazio antidumping definitivo sulle importazioni di alcuni tubi senza saldature, di ferro o di acciaio, [originari] della Croazia, della Romania, della Russia e dell’Ucraina, solo in quanto esista la possibilità che, in ragione di tale irregolarità, il procedimento amministrativo avrebbe potuto portare ad un risultato differente.

      (v. punti 76-79, 83)

    5.  L’obbligo di motivazione non impone al Tribunale di fornire una spiegazione che ripercorra esaustivamente e singolarmente tutti i ragionamenti svolti dalle parti della controversia, potendo quindi la motivazione essere implicita, a condizione che consenta agli interessati di conoscere le ragioni per le quali sono state adottate le misure di cui trattasi.

      (v. punto 105)

    6.  Nel contesto di un’indagine antidumping, risulta dall’articolo 18, paragrafo 3, del regolamento n. 384/96, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri della Comunità europea, che informazioni presentate sotto altra forma o nell’ambito di un documento diverso dalla risposta al questionario della Commissione non debbono essere ignorate qualora le condizioni enumerate da tale articolo siano soddisfatte.

      Quando una parte ha omesso di presentare una risposta al questionario, ma ha fornito elementi di informazione nell’ambito di un altro documento, non può esserle rimproverata alcuna omissione di collaborazione se, in primo luogo, le eventuali insufficienze non rendono eccessivamente difficile pervenire a conclusioni ragionevolmente corrette, in secondo luogo, le informazioni vengono fornite tempestivamente, in terzo luogo, esse sono controllabili e, in quarto luogo, la parte ha agito con la migliore diligenza.

      Peraltro, un produttore dell’Unione non deve essere considerato non collaborante se le lacune nella produzione dei dati, dovute al mancato deposito della risposta al questionario della Commissione da parte di una società collegata a tale produttore, non hanno prodotto un impatto significativo sullo svolgimento dell’indagine. Pertanto, i dati relativi ad un produttore di questo tipo non devono essere automaticamente esclusi da quelli presi in considerazione per calcolare il pregiudizio subìto dall’industria dell’Unione.

      (v. punti 150-152)

    7.  In forza dell’articolo 9, paragrafo 4, del regolamento n. 384/96, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri della Comunità europea, che pone la regola del dazio minimo, il margine di pregiudizio è utilizzato per stabilire il tasso del dazio antidumping solo qualora il margine di dumping sia più elevato di tale primo margine.

      (v. punto 153)

    8.  Non spetta alla Corte, quando si pronuncia sull’impugnazione, sostituire la propria valutazione degli elementi probatori a quella che ne ha fatto il Tribunale. Quindi, quando il Tribunale decide di avvalersi di taluni elementi probatori soggetti alla sua valutazione e di respingerne altri, la Corte non può sindacare tale scelta, salvo constatare che esso ha snaturato detti elementi probatori non riconoscendo l’affidamento che il loro contenuto merita.

      (v. punto 160)

    9.  L’articolo 19, paragrafo 3, del regolamento n. 384/96, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri della Comunità europea, disciplina i rapporti tra la parte interessata che fornisce informazioni riservate senza essere disposta ad autorizzarne la divulgazione, nemmeno in termini sintetici, e l’istituzione incaricata dell’inchiesta antidumping, la quale può decidere che le informazioni possono essere disattese, a meno che la loro esattezza non sia adeguatamente dimostrata da fonti attendibili. Orbene, quando l’istituzione incaricata dell’inchiesta decide che le informazioni in questione potevano essere utilizzate, cosa che le è consentita dal regolamento n. 384/96, rimane la questione, per quanto riguarda le altre parti interessate che partecipano all’inchiesta, se tale uso possa ledere i loro diritti della difesa.

      Pertanto, l’uso da parte di questa di informazioni di cui non era stato fornito alcun riassunto non riservato può essere invocato dalle parti di un procedimento antidumping come motivo di annullamento di una misura antidumping solo se esse possono dimostrare che l’uso di tali informazioni ha costituito una violazione dei loro diritti della difesa.

      I diritti della difesa non sono violati quando è dimostrato che la divulgazione ad un’altra impresa di versioni non riservate della risposta al questionario di un’impresa non avrebbe fatto approdare il procedimento amministrativo a un diverso risultato, dato che tali informazioni non producevano alcun effetto sulla determinazione del pregiudizio.

      (v. punti 165-166, 171)

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    Cause riunite C-191/09 P e C-200/09 P

    Consiglio dell’Unione europea e Commissione delle Comunità europee

    contro

    Interpipe Nikopolsky Seamless Tubes Plant Niko Tube ZAT (Interpipe Niko Tube ZAT) e Interpipe Nizhnedneprovsky Tube Rolling Plant VAT (Interpipe NTRP VAT)

    «Impugnazioni — Dazi antidumping — Regolamento (CE) n. 954/2006 — Importazioni di alcuni tubi senza saldatura, di ferro o di acciaio, originari della Croazia, della Romania, della Russia e dell’Ucraina — Regolamento (CE) n. 384/96 — Articoli 2, paragrafo 10, lettera i), 3, paragrafi 2, 3 e 5-7, 18, paragrafo 3, e 19, paragrafo 3 — Determinazione del valore normale e del danno — Nozione di “entità economica unica” — Diritti della difesa — Difetto di motivazione»

    Massime della sentenza

    1. Politica commerciale comune — Difesa contro le pratiche di dumping — Margine di dumping — Confronto tra il valore normale e il prezzo all’esportazione — Adeguamenti — Onere della prova

      (Regolamento del Consiglio n. 384/96, art. 2, § 10)

    2. Politica commerciale comune — Difesa contro le pratiche di dumping — Margine di dumping — Calcolo del prezzo all’esportazione — Elemento rilevante — Prezzo praticato in operazioni commerciali normali

      [Regolamento del Consiglio n. 384/96, art. 2, § 10, punto i)]

    3. Politica commerciale comune — Difesa contro le pratiche di dumping — Potere discrezionale delle istituzioni — Sindacato giurisdizionale — Limiti

      (Art. 225 CE; Statuto della Corte di giustizia, art. 58)

    4. Diritto comunitario — Principi — Diritti della difesa — Rispetto nell’ambito dei procedimenti amministrativi — Antidumping — Obbligo delle istituzioni di garantire l’informazione delle imprese interessate — Portata

      (Regolamento del Consiglio n. 384/96, artt. 2, § 10, e 20, § 2)

    5. Impugnazione — Motivi d’impugnazione — Insufficienza di motivazione — Ricorso del Tribunale ad una motivazione implicita — Ammissibilità — Presupposti

      (Art. 225 CE; Statuto della Corte di giustizia, art. 51)

    6. Politica commerciale comune — Difesa contro le pratiche di dumping — Danno — Verifica da parte della Commissione — Onere della prova — Poteri di indagine

      (Regolamento del Consiglio n. 384/96, artt. 3, §§ 2, 3, 5, 6 e 7, e 18, § 3)

    7. Politica commerciale comune — Difesa contro le pratiche di dumping — Danno — Utilizzo del margine di dumping per determinare il tasso del dazio antidumping — Presupposto

      (Regolamento del Consiglio n. 384/96, art. 9, § 4)

    8. Impugnazione — Motivi d’impugnazione — Erronea valutazione dei fatti — Irricevibilità — Sindacato della Corte sulla valutazione dei fatti e degli elementi probatori — Esclusione, salvo il caso di snaturamento

      (Art. 225 CE; Statuto della Corte di giustizia, art. 58, primo comma)

    9. Politica commerciale comune — Difesa contro le pratiche di dumping — Procedimento antidumping — Uso di dati riservati — Lesione dei diritti della difesa — Presupposti

      (Regolamento del Consiglio n. 384/96, art. 19)

    1.  La determinazione del valore normale e quella del prezzo all’esportazione seguono regole distinte e, pertanto, i costi di vendita, generali ed amministrativi, non devono necessariamente essere trattati nello stesso modo nell’uno e nell’altro caso. Tuttavia, eventuali differenze tra i due valori potrebbero essere prese in considerazione nell’ambito degli adeguamenti previsti all’articolo 2, paragrafo 10, del regolamento n. 384/96, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri della Comunità europea.

      Sia dalla formulazione sia dall’impianto sistematico dell’articolo 2, paragrafo 10, di tale regolamento risulta che un adeguamento del prezzo all’esportazione o del valore normale può essere operato unicamente per tener conto di differenze relative a fattori che incidono su entrambi i prezzi, quali le commissioni, ossia di differenze nelle commissioni versate per le vendite considerate, e che intaccano pertanto la loro comparabilità, onde garantire che il confronto sia effettuato allo stesso stadio commerciale. Pertanto, la questione di un adeguamento del prezzo all’esportazione, nel contesto dell’applicazione dell’articolo 2, paragrafo 10, del regolamento n. 384/96, richiede, anzitutto, un esame dello stadio commerciale in cui è stato determinato il prezzo d’esportazione.

      Quanto all’onere di dimostrare l’esistenza del fattore in base al quale è stato richiesto o operato l’adeguamento in questione, se una parte richiede, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 10, di detto regolamento, adeguamenti destinati a rendere comparabili il valore normale ed il prezzo all’esportazione ai fini della determinazione del margine di dumping, tale parte deve dimostrare che la domanda è giustificata. Infatti, l’onere di dimostrare che devono essere operati gli adeguamenti specifici elencati all’articolo 2, paragrafo 10, lettere a)-k), del regolamento n. 384/96 incombe a colui che intende avvalersene, chiunque esso sia.

      Così, se un produttore rivendica l’applicazione di un adeguamento, in linea di principio verso il basso, del valore normale o, logicamente verso l’alto, dei prezzi all’esportazione, spetta a tale operatore indicare e dimostrare che sussistono i presupposti per la concessione di siffatto adeguamento. Per converso, se il Consiglio e la Commissione ritengono che si debba applicare un adeguamento verso il basso del prezzo all’esportazione, in quanto una società di vendita collegata ad un produttore esercita funzioni assimilabili a quelle di un agente che lavora sulla base di commissioni, incombe loro fornire quanto meno indizi convergenti atti a dimostrare che sussiste tale presupposto.

      (v. punti 51, 53, 57-58, 60-61)

    2.  Dalla formulazione dell’articolo 2, paragrafo 10, del regolamento n. 384/96, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri della Comunità europea, e in particolare da quanto esso precisa alla lettera i), non emerge alcun elemento che osti all’applicazione della nozione di «entità economica unica» alla determinazione finale del prezzo di esportazione ai fini di un equo confronto ai sensi di tale articolo. Quindi, se un produttore distribuisce i suoi prodotti all’esportazione verso l’Unione avvalendosi di una società, giuridicamente distinta, ma che esso controlla sul piano economico, non sussiste alcun motivo imperativo, di natura giuridica o economica, che impedisca di riconoscere l’esistenza di un’«entità economica unica» tra questi due operatori.

      Sebbene detta nozione sia stata forgiata ai fini della determinazione del valore normale, da questa considerazione non è possibile desumere che tale nozione trovi applicazione unicamente nell’ambito del mercato interno dei produttori esportatori. Se, infatti, un produttore distribuisce i propri prodotti avendo come destinazione l’Unione per il tramite di una società giuridicamente distinta ma collocata sotto il suo controllo economico, la necessità di una constatazione che rifletta la realtà economica dei rapporti tra detto produttore e tale società di vendita milita piuttosto a favore dell’applicazione della nozione di «entità economica unica» per il calcolo del prezzo all’esportazione.

      (v. punti 54-55)

    3.  In materia di misure di difesa commerciale, le istituzioni dell’Unione godono di un ampio potere discrezionale in considerazione della complessità delle situazioni economiche, politiche e giuridiche che devono esaminare. Quanto al controllo giurisdizionale di una siffatta valutazione, esso deve essere quindi limitato alla verifica del rispetto delle norme procedurali, dell’esattezza materiale dei fatti considerati nell’operare la scelta contestata, dell’assenza di errore manifesto nella valutazione di tali fatti o dell’assenza di sviamento di potere.

      Il Tribunale non eccede i limiti del suo sindacato di legittimità quando considera che gli elementi di prova prodotti da un’istituzione per giustificare l’adeguamento operato non sono sufficientemente convincenti e non possono pertanto essere considerati indizi che consentano di accertare l’esistenza del fattore in considerazione del quale si è proceduto all’adeguamento e di determinarne l’incidenza sulla comparabilità dei prezzi. Infatti, così agendo, il Tribunale non impone alle istituzioni alcun onere della prova particolare, oltre a quello di dimostrare che le condizioni per la concessione di siffatto adeguamento erano soddisfatte. Inoltre, la valutazione relativa all’insufficienza, come elementi probatori, di taluni documenti, effettuata dal Tribunale, non rappresenta una nuova valutazione dei fatti che sostituisce quella delle istituzioni. In tali condizioni, non si può ritenere che il sindacato giurisdizionale abbia sconfinato nell’ampio potere discrezionale delle istituzioni.

      (v. punti 62-63, 67-68)

    4.  Il rispetto dei diritti della difesa riveste un’importanza capitale in procedimenti di indagini antidumping. A questo riguardo, le imprese interessate devono essere state messe in condizione, nel corso del procedimento amministrativo, di far conoscere efficacemente il loro punto di vista sulla sussistenza e sulla pertinenza dei fatti e delle circostanze allegati, nonché sugli elementi di prova posti dalla Commissione a fondamento delle proprie affermazioni e relativi all’esistenza di una pratica di dumping e del pregiudizio ad essa conseguente.

      Inoltre, non si può obbligare una società interessata a produrre la prova che la decisione della Commissione sarebbe stata differente, bensì solo che tale ipotesi non va totalmente esclusa in quanto essa avrebbe potuto difendersi più efficacemente in assenza dell’irregolarità procedurale.

      Tuttavia, l’esistenza di un’irregolarità relativa ai diritti della difesa può portare all’annullamento del regolamento n. 954/2006, che istituisce un dazio antidumping definitivo sulle importazioni di alcuni tubi senza saldature, di ferro o di acciaio, [originari] della Croazia, della Romania, della Russia e dell’Ucraina, solo in quanto esista la possibilità che, in ragione di tale irregolarità, il procedimento amministrativo avrebbe potuto portare ad un risultato differente.

      (v. punti 76-79, 83)

    5.  L’obbligo di motivazione non impone al Tribunale di fornire una spiegazione che ripercorra esaustivamente e singolarmente tutti i ragionamenti svolti dalle parti della controversia, potendo quindi la motivazione essere implicita, a condizione che consenta agli interessati di conoscere le ragioni per le quali sono state adottate le misure di cui trattasi.

      (v. punto 105)

    6.  Nel contesto di un’indagine antidumping, risulta dall’articolo 18, paragrafo 3, del regolamento n. 384/96, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri della Comunità europea, che informazioni presentate sotto altra forma o nell’ambito di un documento diverso dalla risposta al questionario della Commissione non debbono essere ignorate qualora le condizioni enumerate da tale articolo siano soddisfatte.

      Quando una parte ha omesso di presentare una risposta al questionario, ma ha fornito elementi di informazione nell’ambito di un altro documento, non può esserle rimproverata alcuna omissione di collaborazione se, in primo luogo, le eventuali insufficienze non rendono eccessivamente difficile pervenire a conclusioni ragionevolmente corrette, in secondo luogo, le informazioni vengono fornite tempestivamente, in terzo luogo, esse sono controllabili e, in quarto luogo, la parte ha agito con la migliore diligenza.

      Peraltro, un produttore dell’Unione non deve essere considerato non collaborante se le lacune nella produzione dei dati, dovute al mancato deposito della risposta al questionario della Commissione da parte di una società collegata a tale produttore, non hanno prodotto un impatto significativo sullo svolgimento dell’indagine. Pertanto, i dati relativi ad un produttore di questo tipo non devono essere automaticamente esclusi da quelli presi in considerazione per calcolare il pregiudizio subìto dall’industria dell’Unione.

      (v. punti 150-152)

    7.  In forza dell’articolo 9, paragrafo 4, del regolamento n. 384/96, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri della Comunità europea, che pone la regola del dazio minimo, il margine di pregiudizio è utilizzato per stabilire il tasso del dazio antidumping solo qualora il margine di dumping sia più elevato di tale primo margine.

      (v. punto 153)

    8.  Non spetta alla Corte, quando si pronuncia sull’impugnazione, sostituire la propria valutazione degli elementi probatori a quella che ne ha fatto il Tribunale. Quindi, quando il Tribunale decide di avvalersi di taluni elementi probatori soggetti alla sua valutazione e di respingerne altri, la Corte non può sindacare tale scelta, salvo constatare che esso ha snaturato detti elementi probatori non riconoscendo l’affidamento che il loro contenuto merita.

      (v. punto 160)

    9.  L’articolo 19, paragrafo 3, del regolamento n. 384/96, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri della Comunità europea, disciplina i rapporti tra la parte interessata che fornisce informazioni riservate senza essere disposta ad autorizzarne la divulgazione, nemmeno in termini sintetici, e l’istituzione incaricata dell’inchiesta antidumping, la quale può decidere che le informazioni possono essere disattese, a meno che la loro esattezza non sia adeguatamente dimostrata da fonti attendibili. Orbene, quando l’istituzione incaricata dell’inchiesta decide che le informazioni in questione potevano essere utilizzate, cosa che le è consentita dal regolamento n. 384/96, rimane la questione, per quanto riguarda le altre parti interessate che partecipano all’inchiesta, se tale uso possa ledere i loro diritti della difesa.

      Pertanto, l’uso da parte di questa di informazioni di cui non era stato fornito alcun riassunto non riservato può essere invocato dalle parti di un procedimento antidumping come motivo di annullamento di una misura antidumping solo se esse possono dimostrare che l’uso di tali informazioni ha costituito una violazione dei loro diritti della difesa.

      I diritti della difesa non sono violati quando è dimostrato che la divulgazione ad un’altra impresa di versioni non riservate della risposta al questionario di un’impresa non avrebbe fatto approdare il procedimento amministrativo a un diverso risultato, dato che tali informazioni non producevano alcun effetto sulla determinazione del pregiudizio.

      (v. punti 165-166, 171)

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