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Document 62005CJ0150

    Massime della sentenza

    Parole chiave
    Massima

    Parole chiave

    1. Questioni pregiudiziali — Competenza della Corte — Limiti

    (Art. 234 CE)

    2. Questioni pregiudiziali — Competenza della Corte — Limiti

    (Art. 234 CE)

    3. Unione europea — Cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale — Protocollo che integra l’acquis di Schengen — Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen — Principio del ne bis in idem

    (Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen, art. 54)

    4. Unione europea — Cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale — Protocollo che integra l’acquis di Schengen — Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen — Principio del ne bis in idem

    (Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen, art. 54)

    Massima

    1. Nell’ambito della cooperazione tra la Corte e i giudici nazionali istituita dall’art. 234 CE, spetta esclusivamente al giudice nazionale, cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità dell’emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolari circostanze della causa, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale ai fini della pronuncia della propria sentenza, sia la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte. Di conseguenza, quando le questioni pregiudiziali sollevate vertono sull’interpretazione del diritto comunitario, la Corte, in via di principio, è tenuta a statuire.

    La Corte può rifiutare di pronunciarsi su una questione pregiudiziale sollevata da un giudice nazionale solo quando risulta manifestamente che l’interpretazione del diritto comunitario richiesta non ha alcuna relazione con la realtà o con l’oggetto della causa principale, quando il problema è di natura teorica o quando la Corte non dispone degli elementi di fatto e di diritto necessari per fornire una soluzione utile alle questioni che le vengono sottoposte.

    (v. punti 33-34)

    2. Sebbene la Corte non sia competente, a norma dell’art. 234 CE, ad applicare la norma comunitaria ad una determinata fattispecie e pertanto a qualificare una disposizione di diritto nazionale alla luce di tale norma, tuttavia, nell’ambito della collaborazione giudiziaria instaurata dal detto articolo e in base al contenuto del fascicolo, può fornire al giudice nazionale gli elementi d’interpretazione del diritto comunitario che possono essergli utili per la valutazione degli effetti di detta disposizione.

    (v. punto 37)

    3. L’art 54 della Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen deve essere interpretato nel senso che il criterio pertinente ai fini della sua applicazione è quello dell’identità dei fatti materiali, intesi come esistenza di un insieme di circostanze concrete inscindibilmente collegate tra loro indipendentemente dalla qualificazione giuridica di tali fatti o dall’interesse giuridico tutelato.

    Per quanto riguarda i reati relativi agli stupefacenti, da un lato, non viene richiesto che siano identici i quantitativi di droga di cui trattasi nei due Stati contraenti interessati né i soggetti che si presume abbiano partecipato alla fattispecie nei due Stati. Non è quindi escluso che una situazione in cui manchi una siffatta identità costituisca un insieme di fatti che, per la loro stessa natura, sono inscindibilmente collegati. D’altra parte, i fatti punibili consistenti nell’esportazione e nell’importazione degli stessi stupefacenti e perseguiti in diversi Stati contraenti della detta Convenzione devono in via di principio essere considerati come «i medesimi fatti» ai sensi dell’art. 54, spettando alle autorità nazionali competenti la valutazione definitiva a questo riguardo.

    (v. punt 48-51, 53, dispositivo 1)

    4. Il principio del ne bis in idem, sancito all’art. 54 della Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen (CAAS) che ha lo scopo di evitare che una persona, per il fatto di esercitare il suo diritto alla libera circolazione, sia sottoposta a procedimento penale per i medesimi fatti sul territorio di più Stati contraenti, trova applicazione nei confronti di una decisione dell’autorità giudiziaria di uno Stato contraente con cui un imputato è definitivamente assolto per insufficienza di prove.

    La proposizione principale contenuta nell’unica frase che costituisce l’art. 54 della CAAS non fa, infatti, alcun riferimento al contenuto della sentenza passata in giudicato. È solo nella proposizione subordinata che l’art. 54 menziona l’ipotesi di una condanna disponendo che, in tal caso, il divieto di procedimento penale è sottoposto a una condizione specifica. Qualora la regola generale enunciata nella proposizione principale fosse applicabile solo alle sentenze di condanna, sarebbe superflua la precisazione secondo cui la regola speciale è applicabile in caso di condanna.

    Inoltre, non applicare tale articolo ad una decisione definitiva di assoluzione per insufficienza di prove avrebbe l’effetto di pregiudicare l’esercizio del diritto alla libera circolazione.

    Infine, l’avvio di un procedimento penale in un altro Stato contraente per i medesimi fatti comprometterebbe, nel caso di un’assoluzione definitiva per insufficienza di prove, i principi della certezza del diritto e del legittimo affidamento. L’imputato dovrebbe, infatti, temere nuovi procedimenti penali in un altro Stato contraente, sebbene gli stessi fatti siano già stati definitivamente giudicati.

    (v. punti 56-59, 61, dispositivo 2)

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