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Document 62004TJ0156

Massime della sentenza

Causa T-156/04

Électricité de France (EDF)

contro

Commissione europea

«Aiuti di Stato — Aiuti concessi dalle autorità francesi alla EDF — Decisione che dichiara l’aiuto incompatibile con il mercato comune e ne ordina il recupero — Diritti processuali del beneficiario dell’aiuto — Pregiudizio per gli scambi tra Stati membri — Criterio dell’investitore privato»

Sentenza del Tribunale (Terza Sezione) 15 dicembre 2009   II ‐ 4508

Massime della sentenza

  1. Aiuti concessi dagli Stati – Esame da parte della Commissione – Procedimento amministrativo – Obbligo per la Commissione di intimare agli interessati di presentare osservazioni – Diritto del beneficiario dell’aiuto di partecipare in misura adeguata al procedimento

    (Art. 88, n. 2, CE; regolamento del Consiglio n. 659/1999, art. 6)

  2. Aiuti concessi dagli Stati – Decisione della Commissione – Valutazione della legittimità in base ai dati disponibili al momento dell’adozione della decisione

    (Art. 87 CE)

  3. Aiuti concessi dagli Stati – Pregiudizio per gli scambi tra Stati membri – Lesione della concorrenza – Criteri di valutazione

    (Art. 87, n. 1, CE)

  4. Aiuti concessi dagli Stati – Nozione – Applicazione agli investitori pubblici del criterio dell’investitore privato accorto

    (Art. 87, n. 1, CE)

  5. Aiuti concessi dagli Stati – Nozione – Stato membro erogatore che sia creditore d’imposta e azionista unico di un’impresa pubblica che beneficia di un aumento di capitale attraverso la rinuncia a un credito d’imposta – Applicabilità del criterio dell’investitore privato

    (Art. 87, n. 1, CE)

  1.  Durante la fase di indagine prevista dall’art. 88, n. 2, CE, la Commissione ha il dovere di mettere gli interessati in grado di presentare le loro osservazioni. Se è vero che detti interessati non possono far valere i diritti della difesa, essi dispongono per contro del diritto di partecipare al procedimento amministrativo seguito dalla Commissione in misura adeguata, tenendo conto delle circostanze del caso di specie. Inoltre, la Commissione deve avviare un procedimento d’indagine formale, che prevede l’informazione degli interessati, allorché, a conclusione di un esame preliminare, nutre seri dubbi circa la compatibilità del provvedimento finanziario di cui trattasi con il mercato comune. Da ciò consegue che la Commissione non può essere tenuta a presentare un’analisi completa nei confronti dell’aiuto di cui trattasi nella sua comunicazione relativa all’apertura di tale procedimento, purché definisca sufficientemente il quadro del suo esame al fine di non svuotare di significato il diritto degli interessati di presentare le loro osservazioni. Peraltro, conformemente all’art. 6 del regolamento n. 659/1999, relativo all’applicazione dell’art. 88 CE, quando la Commissione decide di avviare il procedimento d’indagine formale, la decisione in parola può limitarsi a ricapitolare gli elementi pertinenti di fatto e di diritto, a includere una valutazione provvisoria della misura statale di cui trattasi relativa al carattere di aiuto della stessa e ad esporre i dubbi attinenti alla sua compatibilità con il mercato comune.

    La decisione di avvio deve, pertanto, mettere le parti interessate in condizione di partecipare efficacemente al procedimento d’indagine formale, nel corso del quale esse avranno la possibilità di far valere i loro argomenti. A tal fine è sufficiente che le parti interessate conoscano l’iter logico che ha portato la Commissione a ritenere provvisoriamente che la misura controversa potesse costituire un nuovo aiuto incompatibile con il mercato comune.

    (v. punti 106-110)

  2.  Nell’ambito di un ricorso di annullamento, la legittimità di un atto comunitario dev’essere valutata in funzione delle informazioni esistenti al momento in cui l’atto è stato adottato. In particolare, le complesse valutazioni della Commissione devono essere esaminate alla luce dei soli elementi di cui essa disponeva quando le ha effettuate. A tale riguardo, non può essere addebitato alla Commissione di non aver tenuto conto di eventuali informazioni che potevano esserle presentate nel corso del procedimento amministrativo, ma che non lo sono state, non avendo la Commissione l’obbligo di esaminare d’ufficio o in via presuntiva quali elementi avrebbero potuto esserle sottoposti.

    (v. punti 125-126)

  3.  Per qualificare una misura nazionale come aiuto di Stato non è necessario dimostrare una reale incidenza di tale aiuto sugli scambi tra gli Stati membri e un’effettiva distorsione della concorrenza, ma basta esaminare se l’aiuto sia idoneo a incidere su tali scambi e a falsare la concorrenza. Non spetta alla Commissione procedere ad un’analisi economica della situazione effettiva del mercato di cui trattasi, della quota di mercato delle imprese beneficiarie degli aiuti, della posizione delle imprese concorrenti e delle correnti di scambi di cui trattasi tra gli Stati membri.

    Quando un aiuto concesso da uno Stato membro rafforza la posizione di un’impresa rispetto ad altre imprese concorrenti nell’ambito degli scambi intracomunitari, questi ultimi devono ritenersi influenzati dall’aiuto. A tale proposito, il fatto che un settore economico sia stato oggetto di liberalizzazione a livello comunitario è tale da evidenziare un’incidenza reale o potenziale degli aiuti sulla concorrenza, nonché gli effetti di tali aiuti sugli scambi fra Stati membri.

    Non è peraltro necessario che l’impresa beneficiaria partecipi essa stessa agli scambi intracomunitari. Infatti, quando uno Stato membro concede un aiuto ad un’impresa, l’attività sul mercato nazionale può risultarne mantenuta o incrementata, con la conseguente diminuzione delle possibilità per le imprese con sede in altri Stati membri di penetrare nel mercato di tale Stato membro. Inoltre, il rafforzamento di un’impresa che fino a quel momento non partecipava a scambi intracomunitari può metterla nella condizione di penetrare nel mercato di un altro Stato membro.

    (v. punti 144-148)

  4.  Nell’ipotesi di un’impresa il cui capitale sociale sia nelle mani delle pubbliche autorità, si deve in particolare valutare se, in circostanze analoghe, un investitore privato di dimensioni paragonabili a quelle degli enti che gestiscono il settore pubblico, basandosi sulle possibilità di reddito prevedibili, indipendentemente da qualsiasi considerazione di carattere sociale o di politica regionale o settoriale, avrebbe effettuato un conferimento di capitale della stessa entità.

    Il fatto che il comportamento dello Stato azionista sia valutato secondo il metro dell’investitore privato avveduto, mentre il comportamento di un qualsiasi investitore privato non lo è, non costituisce una violazione della parità di trattamento tra Stato e investitore privato, dal momento che lo Stato azionista non versa nella stessa situazione dell’investitore privato. Infatti, a differenza dell’investitore privato, che può contare solo sulle proprie risorse per finanziare i suoi investimenti, lo Stato ha accesso a risorse finanziarie derivanti dall’esercizio del potere pubblico, segnatamente quelle provenienti dalle imposte. Pertanto, il semplice fatto che lo Stato abbia accesso a risorse finanziarie derivanti dall’esercizio del potere pubblico non basta a giustificare che le azioni dello Stato siano considerate come rientranti tra le sue prerogative di potere pubblico. Infatti, in tale ipotesi, vi sarebbe il rischio di annullare o quanto meno ridurre sproporzionatamente l’applicazione del criterio dell’investitore privato avveduto al comportamento dello Stato azionista, poiché lo Stato, in quanto tale, ricorre necessariamente a risorse finanziarie derivanti dall’esercizio del potere pubblico, in particolare a risorse fiscali.

    (v. punti 230-232)

  5.  Nel settore degli aiuti di Stato occorre mantenere distinte due categorie di situazioni: quelle in cui l’intervento dello Stato ha carattere economico e quelle in cui tale intervento è atto d’imperio. Se l’intervento dello Stato, alla luce della sua natura e del suo oggetto e tenuto conto dell’obiettivo perseguito, non costituisce un investimento realizzabile da un investitore privato, tale intervento può ricollegarsi ad un intervento dello Stato in quanto autorità pubblica, escludendo così l’applicazione del criterio dell’investitore privato avveduto. Per contro, se l’intervento dello Stato, alla luce della sua natura e del suo oggetto e tenuto conto dell’obiettivo perseguito, costituisce un investimento paragonabile a quello che può essere realizzato da un investitore privato, tale intervento dev’essere esaminato applicando il criterio dell’investitore privato avveduto. Detto esame mira a verificare se tale investitore, in circostanze analoghe e sulla base delle possibilità di reddito prevedibili, avrebbe effettuato un conferimento di capitale della stessa entità, indipendentemente dalla forma assunta dal detto intervento dello Stato e dal fatto che quest’ultimo abbia accesso a risorse derivanti dall’esercizio del potere pubblico, come quelle provenienti dalle imposte, alle quali un investitore privato non può avere accesso.

    In altri termini, occorre valutare la misura non soltanto alla luce della sua forma, ma in funzione della sua natura, del suo oggetto e dei suoi obiettivi, il che presuppone che venga considerata sotto tutti i suoi aspetti, e che sia preso in considerazione il contesto in cui la stessa si inserisce. Ne deriva, peraltro, che il fatto che l’intervento dello Stato assuma la forma di una legge non è, di per sé, sufficiente ad escludere che l’intervento dello Stato nel capitale di un’impresa persegua un obiettivo economico che potrebbe prefiggersi anche un investitore privato.

    Si deve quindi accertare, tenuto conto delle circostanze di ogni caso specifico, se la partecipazione o l’intervento pubblico nel capitale dell’impresa beneficiaria persegua un obiettivo economico che potrebbe essere perseguito anche da un investitore privato, e se sia pertanto effettuato dallo Stato in qualità di operatore economico allo stesso titolo di un operatore privato o se, al contrario, tale partecipazione o tale intervento sia giustificato dal perseguimento di un obiettivo di interesse pubblico e vada considerato come una forma d’intervento dello Stato in quanto autorità pubblica, nel qual caso il comportamento dello Stato non può essere paragonato a quello di un operatore o di un investitore privato operante in economia di mercato.

    Occorre pertanto valutare se uno Stato membro, che sia al contempo creditore fiscale di un’impresa pubblica e suo unico azionista, possa validamente invocare l’applicazione del criterio dell’investitore privato allorché procede ad un aumento del capitale di tale impresa rinunciando ad un credito fiscale o se si debba considerare che, tenuto conto della natura fiscale del credito e del fatto che lo Stato ha utilizzato le sue prerogative di autorità pubblica rinunciando al suddetto credito, la Commissione avesse diritto di escludere l’applicazione di tale criterio con riferimento all’aumento di capitale di cui trattasi.

    In tal senso, allorché uno Stato membro, azionista unico di un’impresa, procede ad un aumento del capitale della stessa, in particolare per rimediare agli squilibri del bilancio di quest’ultima, è giocoforza constatare che esso adotta un comportamento che potrebbe seguire un investitore privato e non si può escludere a priori che esso possa agire con uno scopo analogo a quello che avrebbe tale investitore. Proprio per stabilire se così avvenga nel caso di specie, il che permetterebbe di escludere la qualificazione della misura controversa come aiuto, occorre verificare se il criterio dell’investitore privato sia soddisfatto o meno.

    (v. punti 223, 233-237, 246, 258)

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