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Document 62002TJ0138
Massime della sentenza
Massime della sentenza
1. Politica commerciale comune — Difesa contro le pratiche di dumping — Margine di dumping
(Regolamento del Consiglio n. 384/96, artt. 2, n. 7, lett. a), b) e c), 11, n. 3, e 20)
2. Politica commerciale comune — Difesa contro le pratiche di dumping — Margine di dumping
(Regolamento del Consiglio n. 384/96, art. 6, n. 1)
1. Se l’ultimo periodo dell’art. 2, n. 7, lett. c), del regolamento antidumping di base n. 384/96 osta a che, ai fini della determinazione dell’esistenza di un dumping, le istituzioni valutino nuovamente le informazioni di cui già disponevano in sede di accertamento iniziale dello status di impresa operante in economia di mercato, da tale ultimo periodo non può dedursi che il valore normale dei prodotti considerati si determini in base alle norme applicabili ai paesi retti da un’economia di mercato qualora la parte interessata si riveli, nel corso dell’indagine e, eventualmente, successivamente all’adozione di provvedimenti provvisori, non operante in condizioni di economia di mercato ai sensi dell’art. 2, n. 7, lett. c), del regolamento di base.
Infatti, il n. 7, lett. a), dell’art. 2 del regolamento di base prevede un metodo specifico di determinazione del valore normale nell’ipotesi di importazioni provenienti da paesi non retti da un’economia di mercato, proprio in considerazione del fatto che le informazioni su cui si fonda la determinazione del valore normale, quale previsto dai nn. 1-6 dell’articolo stesso, non sono ritenute costituire elementi affidabili ai fini del calcolo del valore normale. Orbene, se il n. 7, lett. b), dell’art. 2 del regolamento di base prevede, per taluni paesi, una deroga quanto alle modalità di determinazione del valore normale di cui al n. 7, lett. a), tale deroga deve essere interpretata restrittivamente e non può, conseguentemente, trovare applicazione qualora, in esito a cambiamenti della situazione di fatto ovvero alla rivelazione di elementi nuovi che non potevano ritenersi ragionevolmente noti alla Commissione all’atto della determinazione dello status di impresa operante in economia di mercato nei tre mesi dall’avvio della procedura antidumping, emerga che il produttore de quo non soddisfi i criteri ai quali deve rispondere un’impresa operante in condizioni di economia di mercato.
Per tale ragione l’ultimo periodo dell’art. 2, n. 7, lett. c), del regolamento di base non osta a che il riconoscimento dello status di impresa operante in economia di mercato non venga mantenuto qualora un cambiamento della situazione di fatto in base alla quale tale status era stato attribuito non consenta più di ritenere che il produttore de quo operi in condizioni di economia di mercato.
Nei limiti in cui la revoca dello status di impresa operante in economia di mercato si limita a trarre le conseguenze, pro futuro, della modifica accertata delle relative circostanze e, in tal modo, si limita a produrre effetti ex nunc, essa non costituisce affatto una lesione dei diritti quesiti dell’impresa interessata.
La revoca dello status di impresa operante in economia di mercato non deve peraltro essere effettuata nel contesto della procedura di cui all’art. 11, n. 3, del regolamento di base, in quanto tale disposizione concerne unicamente il riesame di provvedimenti definitivi adottati al termine della procedura antidumping. La procedura di riesame, infatti, è volta ad adattare i dazi imposti alla successiva variazione degli elementi che erano alla loro origine e implica, normalmente, il ricorso ad un periodo di indagine successivo all’adozione dei provvedimenti definitivi che tale procedura ha l’obiettivo di riesaminare. Per contro, la procedura di riesame non ha la finalità di riesaminare gli elementi che erano stati all’origine di tali dazi, qualora essi siano rimasti invariati, poiché un esame siffatto costituisce, in realtà, una riapertura del procedimento iniziale.
Infine, quando è stata posta in condizioni di dedurre le proprie osservazioni con riguardo alle conseguenze che la Commissione intendeva trarre dai nuovi elementi che le erano stati comunicati, l’impresa considerata non può far valere una violazione del diritto di difesa, quale riconosciuto dai principi generali del diritto comunitario e attuato dall’art. 20 del regolamento di base.
(v. punti 44-47, 53-54, 56)
2. La determinazione di un periodo di inchiesta ed il divieto di tener conto di elementi posteriori alla stessa mirano a garantire che i risultati dell’inchiesta siano rappresentativi ed affidabili. A tal proposito, il periodo di inchiesta previsto dall’art. 6, n. 1, del regolamento antidumping di base n. 384/96 è volto, segnatamente, a garantire che gli elementi su cui si fonda l’accertamento del dumping e del danno non siano influenzati dal comportamento dei produttori interessati successivo all’avvio del procedimento antidumping e, dunque, che il dazio definitivo imposto in esito al procedimento sia idoneo a porre rimedio effettivo al danno risultante dal dumping.
Peraltro, poiché l’imposizione di dazi antidumping non costituisce una sanzione per un comportamento precedente, ma una misura di difesa e di tutela nei confronti della concorrenza sleale derivante dalle pratiche di dumping, allo scopo di fissare dazi antidumping idonei a proteggere l’industria comunitaria dalle pratiche di dumping, è necessario condurre l’inchiesta sulla base di informazioni il più possibile attuali.
Ne consegue che, usando il termine «normalmente», l’art. 6, n. 1, del regolamento di base consente eccezioni al divieto di tener conto di informazioni relative ad un periodo successivo al periodo d’indagine. Pertanto, qualora elementi relativi ad un periodo successivo a quello dell’indagine, riflettendo il comportamento attuale delle imprese interessate, giustifichino l’imposizione ovvero l’aumento di un dazio antidumping, le istituzioni hanno il diritto, se non l’obbligo, di tenerne conto.
Ne consegue che il Consiglio ha correttamente applicato l’art. 6, n. 1, del regolamento di base, tenendo conto della partecipazione di un’impresa, successivamente al periodo di indagine, ad un raggruppamento di produttori avente per obiettivo dichiarato quello di eludere i dazi antidumping e revocandole, conseguentemente, il beneficio dello status di impresa operante in economia di mercato, in modo da prevenire l’istituzione di misure definitive manifestamente inadeguate.
(v. punti 59-61, 63)