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Document 62001TJ0329
Massime della sentenza
Massime della sentenza
1. Diritto comunitario — Principi generali del diritto — Irretroattività delle disposizioni penali
(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 15; comunicazione della Commissione 98/C 9/03)
2. Concorrenza — Ammende — Orientamenti per il calcolo delle ammende
(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2; comunicazione della Commissione 98/C 9/03)
3. Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Gravità dell’infrazione
(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2)
4. Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Gravità dell’infrazione
(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2; comunicazione della Commissione 98/C 9/03)
5. Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Carattere dissuasivo dell’ammenda
(Art. 81 CE; regolamento del Consiglio n. 17, art. 15)
6. Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Impatto concreto sul mercato
(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2; comunicazione della Commissione 98/C 9/03, punto 1 A, primo comma)
7. Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Gravità dell’infrazione
(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2)
8. Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Gravità dell’infrazione
(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 15)
9. Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Gravità dell’infrazione — Circostanze attenuanti
(Art. 81, n. 1, CE; regolamento del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2; comunicazione della Commissione 98/C 9/03, punto 3, terzo trattino)
10. Concorrenza — Ammende — Cumulo di sanzioni comunitarie per fatti distinti che traggono origine da un medesimo insieme di accordi
(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 15)
11. Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Gravità dell’infrazione — Circostanze attenuanti
(Art. 81, n. 1, CE; regolamento del Consiglio n. 17, art. 15; comunicazione della Commissione 98/C 9/03)
12. Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Non imposizione o riduzione dell’ammenda in contropartita della cooperazione dell’impresa incriminata
[Regolamento del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2; comunicazione della Commissione 96/C 207/04, punti B, lett. b), e C]
13. Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Valutazione del grado di cooperazione fornita da ciascuna delle imprese nel corso del procedimento amministrativo
(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 15; comunicazione della Commissione 96/C 207/04, punti B, C e D)
14. Concorrenza — Procedimento amministrativo — Comunicazione degli addebiti — Contenuto necessario
(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 19, n. 1)
15. Concorrenza — Ammende — Importo — Potere discrezionale della Commissione — Sindacato giurisdizionale
(Art. 229 CE)
1. Il principio di irretroattività delle leggi penali, sancito dall’art. 7 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo in quanto diritto fondamentale, costituisce un principio generale del diritto comunitario che deve esse osservato quando vengono inflitte ammende per infrazione alle regole di concorrenza. Tale principio esige che le sanzioni inflitte corrispondano a quelle che erano stabilite al momento in cui l’infrazione è stata commessa.
L’adozione di orientamenti che possono modificare la politica generale di concorrenza della Commissione in materia di ammende può, in linea di principio, rientrare nell’ambito di applicazione del principio di irretroattività.
Infatti, da un lato, gli orientamenti possono produrre effetti giuridici. Tali effetti giuridici derivano non già da una forza normativa propria degli orientamenti, bensì dalla loro adozione e pubblicazione da parte della Commissione. Tale adozione e tale pubblicazione degli orientamenti implicano un’autolimitazione del potere discrezionale della Commissione, che non può discostarsi da essi, pena, se del caso, la sanzione a titolo di violazione di principi generali del diritto, come la parità di trattamento, la tutela del legittimo affidamento e la certezza del diritto.
Dall’altro lato, gli orientamenti, in quanto strumento di una politica in materia di concorrenza, rientrano nel campo di applicazione del principio di non retroattività, alla stregua di una nuova interpretazione giurisprudenziale di una norma che istituisce una infrazione, conformemente alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo relativa all’art. 7, n. 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, secondo la quale la detta disposizione osta all’applicazione retroattiva di una nuova interpretazione di una norma che istituisce una infrazione. Secondo tale giurisprudenza, tale è in particolare il caso di un’interpretazione giurisprudenziale il cui risultato non era ragionevolmente prevedibile al momento in cui è stata commessa l’infrazione, vista, in particolare, l’interpretazione che a quell’epoca era accolta dalla giurisprudenza relativa alla disposizione di legge considerata. Tuttavia, da questa stessa giurisprudenza risulta che la portata della nozione di prevedibilità dipende in ampia misura dal contenuto del testo in esame, dal settore nel quale esso si colloca nonché dal numero e dalla qualità dei suoi destinatari. La prevedibilità della legge non osta infatti a che la persona interessata sia indotta a fare ricorso a consulenze per valutare, entro una ragionevole misura nelle circostanze di specie, le conseguenze che possono risultare da un determinato atto. In particolare, ciò vale specialmente per i professionisti, abituati a dar prova di estrema prudenza nell’esercizio della loro attività. È inoltre lecito attendersi che essi pongano una cura particolare nel valutare i rischi che essa comporta.
Al fine di controllare il rispetto del principio di non retroattività, si deve verificare se la modifica costituita dall’adozione degli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5, del trattato CECA era ragionevolmente prevedibile all’epoca in cui le infrazioni considerate sono state commesse. A questo proposito, la principale innovazione degli orientamenti consiste nel prendere come punto di partenza per il calcolo un importo di base determinato a partire da forcelle a tal riguardo previste nei detti orientamenti, le quali riflettono i differenti gradi di gravità delle infrazioni, ma che, in quanto tali, non sono in rapporto con il fatturato pertinente. Tale metodo riposa pertanto essenzialmente su una tariffazione, per quanto relativa ed elastica, delle ammende.
Inoltre il fatto che la Commissione abbia applicato, in passato, ammende di un certo livello a taluni tipi di infrazione non può privarla della possibilità di elevare tale livello entro i limiti fissati dal regolamento n. 17, se ciò si rende necessario per assicurare l’attuazione della politica comunitaria della concorrenza; anzi, l’efficace applicazione delle regole comunitarie di concorrenza esige che la Commissione possa in qualsiasi momento adattare il livello delle ammende alle esigenze di tale politica.
Ne consegue che le imprese implicate in un procedimento amministrativo che può dare luogo ad un’ammenda non possono riporre un legittimo affidamento nel fatto che la Commissione non supererà il livello delle ammende precedentemente praticato né in un metodo di calcolo di queste ultime.
Di conseguenza, le dette imprese devono tenere conto del fatto che, in qualsiasi momento, la Commissione può decidere di elevare il livello degli importi delle ammende rispetto a quello applicato in passato. Questo vale non soltanto allorché la Commissione procede ad un innalzamento del livello dell’importo delle ammende pronunciando ammende in decisioni individuali, ma anche quando tale innalzamento viene operato applicando a casi specifici regole di condotta aventi portata generale, come gli orientamenti.
(v. punti 38-46)
2. Il fatto che la Commissione abbia applicato il metodo enunciato negli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5, del trattato CECA al fine di calcolare l’importo dell’ammenda inflitta a un’impresa non può costituire un trattamento discriminatorio rispetto alle imprese che hanno commesso infrazioni alle regole comunitarie di concorrenza durante lo stesso periodo, ma che, per ragioni attinenti alla data della scoperta dell’infrazione o inerenti allo sviluppo del procedimento amministrativo che le riguardano, hanno costituito oggetto di condanne in date anteriori all’adozione e alla pubblicazione degli orientamenti.
(v. punto 53)
3. La gravità delle infrazioni alle regole di concorrenza deve essere accertata in funzione di un gran numero di elementi quali, segnatamente, le circostanze proprie del caso di specie e il suo contesto, e ciò senza che sia stato redatto un elenco vincolante o esauriente di criteri da tenere obbligatoriamente in considerazione.
Parimenti, tra gli elementi di valutazione della gravità dell’infrazione possono, a seconda dei casi, figurare il volume e il valore delle merci oggetto dell’infrazione nonché la dimensione e la potenza economica dell’impresa e quindi l’influenza che questa può esercitare sul mercato rilevante. Da un lato, ne consegue che è lecito, ai fini della determinazione dell’importo dell’ammenda, tener conto sia del fatturato complessivo dell’impresa, che costituisce un’indicazione, per quanto approssimativa e imperfetta, della sua dimensione e potenza economica, sia della quota di mercato delle imprese interessate nel mercato rilevante che può fornire un’indicazione della portata dell’infrazione. Dall’altro, ne consegue che non si deve attribuire né all’una né all’altra di tali cifre un peso eccessivo rispetto agli altri elementi di valutazione, con la conseguenza che la determinazione dell’importo adeguato di un’ammenda non può essere il risultato di un semplice calcolo basato sul fatturato complessivo.
Ad ogni modo, la sola circostanza che l’ammenda inflitta a un’impresa ecceda l’importo del fatturato da lei realizzato nello Spazio economico europeo con la vendita del prodotto oggetto dell’intesa nel corso del periodo in cui essa vi ha partecipato, o addirittura lo superi in misura notevole, non è sufficiente a dimostrare il carattere sproporzionato dell’ammenda.
(v. punti 76-77, 80)
4. In forza dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, l’importo dell’ammenda è stabilito sulla base della gravità dell’infrazione e della sua durata. Inoltre, conformemente agli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5, del trattato CECA, la Commissione fissa l’importo di partenza in funzione della gravità dell’infrazione, tenendo conto della natura stessa dell’infrazione, del suo impatto concreto sul mercato e dell’estensione del mercato geografico.
Tale quadro giuridico non impone pertanto, in quanto tale, alla Commissione di tener conto della modesta dimensione del mercato dei prodotti.
Tuttavia, nel valutare la gravità di un’infrazione, la Commissione deve tener conto di un gran numero di fattori il cui carattere e la cui importanza variano a seconda del tipo di infrazione e delle circostanze particolari della stessa. Non è dato escludere che tra questi elementi che attestano la gravità di una infrazione possa figurare, a seconda dei casi, la dimensione del mercato del prodotto rilevante.
Di conseguenza, anche se la dimensione del mercato può costituire un elemento da prendere in considerazione per accertare la gravità dell’infrazione, la sua importanza varia in funzione delle circostanze particolari dell’infrazione di cui trattasi.
(v. punti 99-102)
5. La dissuasione è una delle principali considerazioni che deve guidare la Commissione in occasione della determinazione dell’ammontare delle ammende inflitte per violazione delle regole comunitarie di concorrenza.
Se l’ammenda dovesse essere fissata a un livello che si limiti ad annullare il beneficio dell’intesa, non avrebbe effetto dissuasivo. Si può infatti ragionevolmente presumere che talune imprese tengano razionalmente conto, nell’ambito del loro calcolo finanziario e della loro gestione, non solo del livello delle ammende che rischiano di vedersi infliggere in caso di infrazione, ma anche del livello di rischio che l’intesa venga scoperta. Inoltre, se si riducesse la funzione dell’ammenda al mero annullamento del profitto o del beneficio previsto, non si terrebbe conto a sufficienza dell’illiceità del comportamento di cui trattasi alla luce dell’art. 81, n. 1, CE. Infatti, riducendo l’ammenda ad una semplice compensazione del pregiudizio verificatosi, verrebbe trascurato, oltre all’effetto dissuasivo, che può riguardare unicamente comportamenti futuri, anche il carattere repressivo di una siffatta misura rispetto all’infrazione concreta effettivamente commessa.
Parimenti, nel caso di un’impresa che è presente su un gran numero di mercati e dispone di una capacità finanziaria particolarmente importante, il fatto di prendere in considerazione il fatturato realizzato sul mercato rilevante può non essere sufficiente ad assicurare un effetto dissuasivo dell’ammenda. Infatti, più un’impresa è grande e dispone di risorse globali che le conferiscono la capacità di agire in modo indipendente sul mercato, più deve essere cosciente dell’importanza del suo ruolo circa il buon funzionamento della concorrenza sul mercato. Pertanto, le circostanze di fatto relative alla potenza economica di un’impresa resasi colpevole di un’infrazione devono essere prese in considerazione all’atto della fissazione dell’importo dell’ammenda al fine di garantirne l’effetto dissuasivo.
(v. punti 140-142)
6. Secondo la formulazione del punto 1 A, primo comma, degli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5, del trattato CECA, nel calcolare l’ammenda in funzione della gravità dell’infrazione la Commissione tiene conto, in particolare, dell’impatto concreto dell’infrazione sul mercato quando sia misurabile. Tale impatto misurabile dell’intesa deve essere considerato sufficientemente dimostrato quando la Commissione è in grado di fornire indizi concreti e credibili che indicano, con ragionevole probabilità, che l’intesa ha avuto un impatto sul mercato.
Infatti, l’esame dell’impatto di una intesa sul mercato implica necessariamente il ricorso a ipotesi. In questo contesto, la Commissione deve, in particolare, esaminare quale sarebbe stato il prezzo del prodotto in esame in assenza di intesa. Orbene, nel procedere all’esame delle cause dell’effettiva evoluzione dei prezzi, è azzardato speculare sul rispettivo ruolo di ciascuna delle dette cause. Si deve tener conto della circostanza obiettiva che, in ragione dell’intesa sui prezzi, le parti hanno per l’appunto rinunciato alla loro libertà di farsi concorrenza sui prezzi. Pertanto, la valutazione dell’influenza derivante da fattori diversi dalla detta volontaria astensione dei partecipanti all’intesa è necessariamente fondata su ragionevoli probabilità, non quantificabili con esattezza.
Quindi, a meno che non si voglia togliere effetto utile al criterio di cui al punto 1 A, primo comma, non può rimproverarsi alla Commissione di aver preso come base l’impatto concreto di una intesa sul mercato avente un oggetto anticoncorrenziale, quale un’intesa sui prezzi ovvero sulle quote, senza quantificare tale impatto o senza fornire in proposito dati di valutazione in cifre.
(v. punti 174-178)
7. In occasione della determinazione della gravità di un’infrazione in materia di concorrenza va tenuto conto, in particolare, del contesto normativo ed economico del comportamento addebitato. A tale proposito, per valutare l’impatto concreto di un’infrazione sul mercato, spetta alla Commissione fare riferimento al gioco della concorrenza che si sarebbe normalmente avuto in assenza dell’infrazione.
Da un lato, ne deriva che, nel caso di intese vertenti sui prezzi, si deve constatare – con un grado ragionevole di probabilità – che gli accordi hanno effettivamente consentito ai partecipanti interessati di conseguire un livello di prezzo super iore a quello che si sarebbe avuto in assenza dell’intesa. D’altro lato, ne consegue che la Commissione, nell’ambito della sua valutazione, deve prendere in considerazione tutte le condizioni obiettive del mercato rilevante, tenuto conto del contesto economico ed eventualmente normativo vigente. Si deve tener conto dell’esistenza, se del caso, di «fattori economici obiettivi» dai quali risulti che, in un contesto di «libero gioco della concorrenza», il livello dei prezzi non si sarebbe evoluto in modo identico a quello dei prezzi praticati.
(v. punti 191-192)
8. In materia di repressione delle intese vietate, il comportamento effettivo che un’impresa vuole adottare è inconferente ai fini della valutazione dell’impatto dell’intesa sul mercato, dato che gli effetti da prendere in considerazione sono quelli risultanti dall’insieme dell’infrazione cui essa ha partecipato.
(v. punto 204)
9. Per valutare la gravità di una infrazione alle regole di concorrenza, onde determinare l’importo dell’ammenda, la Commissione deve tener conto non solo delle circostanze particolari della fattispecie, ma anche del contesto in cui si colloca l’infrazione e curare che la sua azione abbia carattere dissuasivo. Infatti, soltanto prendendo in considerazione tali aspetti è possibile garantire la piena efficacia dell’azione della Commissione per mantenere una concorrenza non falsata sul mercato comune.
Un’analisi puramente letterale della disposizione di cui al punto 3, terzo trattino, degli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5, del trattato CECA potrebbe dare l’impressione che il semplice fatto che un contravventore cessi ogni infrazione fin dai primi interventi della Commissione costituisca in modo generale e senza riserve una circostanza attenuante. Orbene, siffatta interpretazione di detta disposizione sminuirebbe l’effetto utile delle disposizioni che consentono il mantenimento di una concorrenza efficace, perché affievolirebbe sia la sanzione che può essere imposta a seguito di una violazione dell’art. 81 CE, sia l’effetto dissuasivo di una siffatta sanzione.
Infatti, a differenza di altre circostanze attenuanti, tale circostanza non è inerente né alla peculiarità soggettiva del contravventore né ai fatti propri del caso di specie, dato che procede essenzialmente dall’intervento esterno della Commissione. La cessazione di una infrazione unicamente a seguito dell’intervento della Commissione non può pertanto essere assimilata ai meriti che derivano da una iniziativa autonoma da parte del contravventore, ma costituisce soltanto una reazione appropriata e normale al detto intervento. Inoltre, siffatta circostanza sancisce solo il ritorno del contravventore a un comportamento lecito e non contribuisce a rendere l’azione della Commissione più efficace. Infine, l’asserito carattere attenuante di tale circostanza non può giustificarsi con il semplice incentivo a porre fine all’infrazione che essa induce. A questo riguardo, la qualificazione come circostanza aggravante della continuazione di una infrazione dopo i primi interventi della Commissione costituisce già, giustamente, un incentivo a porre termine all’infrazione, che non attenua né la sanzione né l’effetto dissuasivo di tale sanzione.
Infatti, il riconoscimento della cessazione di una infrazione sin dai primi interventi della Commissione come circostanza attenuante comprometterebbe ingiustificatamente l’effetto utile dell’art. 81, n. 1, CE, a causa dell’attenuazione non solo della sanzione ma anche dell’effetto dissuasivo della sanzione. Di conseguenza, la Commissione non può imporre a se stessa di considerare la mera cessazione dell’infrazione sin dai suoi primi interventi come circostanza attenuante. Si deve pertanto interpretare restrittivamente la disposizione di cui al punto 3, terzo trattino, degli orientamenti, in modo da non contrastare l’effetto utile dell’art. 81, n. 1, CE e, quindi, nel senso che solo le circostanze particolari del caso di specie, nelle quali l’ipotesi della cessazione dell’infrazione fin dai primi interventi della Commissione viene a concretizzarsi, potrebbero giustificare che tale circostanza venga presa in considerazione come circostanza attenuante.
Nel caso di un’infrazione particolarmente grave, avente ad oggetto una fissazione dei prezzi e una ripartizione dei mercati, commessa intenzionalmente dalle imprese interessate, e la sua cessazione non può essere considerata una circostanza attenuante quando è stata determinata dall’intervento della Commissione.
(v. punti 276-282)
10. Il principio del ne bis in idem vieta di sanzionare una stessa persona più di una volta per uno stesso comportamento illecito al fine di tutelare un medesimo interesse giuridico. L’applicazione di questo principio è soggetta a tre condizioni cumulative, cioè l’identità dei fatti, l’identità del contravventore e l’identità dell’interesse giuridico protetto.
Pertanto, nel caso in cui i fatti alla base di due condanne trovino la loro origine in un medesimo insieme di accordi, ma si distinguano ciò nondimeno per quanto riguarda il loro oggetto e la loro ubicazione territoriale, tale principio non è applicabile. È quanto avviene allorché le sanzioni riguardano intese vertenti su mercati diversi. È quanto avviene altresì nel caso di un’intesa riguardante il territorio di Stati terzi, giacché, in forza del principio di territorialità, non esiste conflitto nell’esercizio delle competenze della Commissione e delle autorità di concorrenza di tali Stati terzi di infliggere ammende alle imprese che violano le regole di concorrenza dello Spazio economico europeo e dei detti Stati terzi.
(v. punti 290-292)
11. Se è certamente importante che una impresa adotti provvedimenti per impedire che in futuro siano commesse da parte di propri collaboratori nuove infrazioni al diritto comunitario della concorrenza, l’adozione di siffatti provvedimenti non muta affatto la realtà dell’infrazione constatata. La Commissione non è pertanto tenuta a considerare un siffatto elemento come circostanza attenuante, tanto più qualora l’infrazione di cui trattasi costituisca una palese violazione dell’art. 81, n. 1, CE.
Inoltre, benché gli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5, del trattato CECA prevedano che la Commissione può considerare circostanze aggravanti nei confronti di un’impresa che è già incorsa in una o più infrazioni del medesimo tipo, tuttavia non risulta che, qualora l’infrazione di cui trattasi sia la prima di questo tipo commessa dall’impresa interessata, quest’ultima abbia diritto all’applicazione di un trattamento favorevole a titolo di circostanza attenuante.
(v. punti 299-300)
12. Affinché un’impresa possa godere di una significativa riduzione dell’ammenda in applicazione del punto C della comunicazione sulla non imposizione o sulla riduzione delle ammende nei casi di intesa fra imprese, la detta comunicazione impone, al punto B, cui fa rinvio il punto C, lett. b), che essa sia la prima a fornire elementi determinanti ai fini della prova dell’esistenza dell’intesa. La comunicazione non prevede che, per soddisfare tale condizione, l’impresa che denuncia l’intesa segreta alla Commissione debba fornirle l’insieme degli elementi determinanti per l’elaborazione di una comunicazione degli addebiti o, ancor meno, per l’adozione di una decisione con la quale constata una infrazione.
(v. punti 319-321)
13. A meno che non si entri in conflitto con il principio di parità di trattamento, la comunicazione sulla non imposizione o sulla riduzione delle ammende nei casi di intesa tra imprese deve essere applicata nel senso che, nella riduzione delle ammende, la Commissione deve trattare allo stesso modo le imprese che forniscono alla Commissione nella medesima fase del procedimento e in circostanze analoghe informazioni simili circa i fatti loro addebitati. La sola circostanza che una di queste imprese abbia riconosciuto i fatti imputati rispondendo per prima alle domande poste dalla Commissione nella medesima fase del procedimento non può costituire una ragione obiettiva per riservarle un trattamento differenziato.
Tuttavia, ciò vale soltanto nell’ambito di una cooperazione di imprese non rientrante nell’ambito di applicazione dei punti B e C della comunicazione sulla cooperazione.
Infatti, contrariamente a tali punti, il punto D non prevede un trattamento diverso per le imprese interessate in funzione dell’ordine secondo il quale queste cooperano con la Commissione.
(v. punti 338-339, 341)
14. La comunicazione degli addebiti deve contenere un’esposizione degli addebiti formulata in termini che, per quanto sommari, siano sufficientemente chiari per consentire agli interessati di prendere atto dei comportamenti di cui la Commissione fa loro carico. Solo a questa condizione, infatti, la comunicazione degli addebiti può assolvere la funzione attribuitale dai regolamenti comunitari, che consiste nel fornire alle imprese e associazioni di imprese tutti gli elementi necessari per provvedere utilmente alla propria difesa prima che la Commissione adotti una decisione definitiva.
La Commissione, dal momento che dichiara espressamente, nella comunicazione degli addebiti, che vaglierà se sia il caso di infliggere ammende alle imprese interessate e indica i principali elementi di fatto e di diritto che possono implicare l’irrogazione di un’ammenda, quali la gravità e la durata della presunta infrazione ed il fatto di averla commessa «intenzionalmente o per negligenza», adempie il suo obbligo di rispettare il diritto delle imprese al contraddittorio. Così operando fornisce loro tutte le indicazioni necessarie per difendersi non solo circa gli addebiti contestati, ma anche contro l’inflizione di ammende.
Da ciò consegue che, per quanto riguarda la determinazione dell’importo delle ammende, i diritti della difesa delle imprese interessate sono garantiti dinanzi alla Commissione attraverso la possibilità di presentare le loro osservazioni in ordine alla durata, alla gravità e alla prevedibilità del carattere anticoncorrenziale dell’infrazione.
(v. punti 359, 361-362)
15. Qualora dall’esame dei motivi sollevati da un’impresa avverso la legittimità di una decisione della Commissione che le ha inflitto un’ammenda per violazione delle regole comunitarie di concorrenza non sia emerso alcun profilo di illegittimità, non occorre che il Tribunale si avvalga della propria competenza anche di merito per ridurre l’importo di tale ammenda.
(v. punto 382)