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Document 62001CJ0189

Massime della sentenza

Parole chiave
Massima

Parole chiave

1. Diritto comunitario - Principi - Presa in considerazione del benessere degli animali - Principio generale - Insussistenza - Obbligo di tenere conto del benessere degli animali nella formulazione e nell'attuazione delle politiche comunitarie - Portata

(Artt. 2 CE e 33 CE; protocollo sulla protezione ed il benessere degli animali; decisione del Consiglio 78/923/CEE)

2. Agricoltura - Ravvicinamento delle legislazioni - Lotta contro l'afta epizootica - Direttiva 85/511 - Divieto di vaccinazione preventiva - Violazione del principio di proporzionalità - Insussistenza

(Direttiva del Consiglio 85/511/CEE, art. 13)

Massima

1. Assicurare il benessere degli animali non rientra negli obiettivi del Trattato, così come sono definiti all'art. 2 CE, e tale esigenza non è menzionata all'art. 33 CE, che descrive le finalità della politica agricola comune.

Per quanto riguarda il protocollo sulla protezione ed il benessere degli animali, adottato contemporaneamente al Trattato di Amsterdam e allegato al Trattato che istituisce la Comunità europea, risulta dal suo stesso testo che esso non stabilisce un principio generale di diritto comunitario di contenuto così preciso da vincolare le istituzioni della Comunità. Infatti, pur prescrivendo di «tenere pienamente conto» del benessere degli animali nella formulazione e nell'attuazione delle politiche comunitarie, esso tuttavia limita tale obbligo a quattro settori specifici dell'attività della Comunità prevedendo nel contempo il rispetto delle disposizioni legislative o amministrative e delle consuetudini degli Stati membri per quanto riguarda, in particolare, i riti religiosi, le tradizioni culturali e il patrimonio regionale.

Un principio generalmente applicabile non può neppure essere dedotto dalla convenzione europea del 1976 sulla protezione degli animali negli allevamenti, approvata a nome della Comunità con la decisione 78/923, la quale non contiene un obbligo chiaro, preciso e incondizionato, né dalla dichiarazione n. 24 relativa alla protezione degli animali, allegata all'atto finale del Trattato sull'Unione europea, superata dal protocollo di Amsterdam e redatta in modo meno vincolante di quest'ultimo. Allo stesso modo l'art. 30 CE si riferisce alla «vita degli animali» soltanto in quanto eccezione al divieto di misure di effetto equivalente e non risulta dalla giurisprudenza della Corte che quest'ultima abbia ammesso qualsiasi giustificazione basata su tale disposizione.

Infine, se è vero che esiste un certo numero di disposizioni di diritto derivato relative al benessere degli animali, nemmeno esse però forniscono indicazioni che consentano di ritenere che la necessità di badare al benessere degli animali debba essere considerata un principio generale di diritto comunitario.

Viceversa, la Corte ha, in più occasioni, constatato l'interesse che la Comunità rivolge alla salute e alla protezione degli animali, dichiarando che il perseguimento delle finalità della politica agricola comune non può prescindere da esigenze di interesse generale, come la tutela della salute o della vita degli animali, esigenze di cui le istituzioni comunitarie devono tener conto nell'esercizio delle loro competenze.

Il protocollo sulla protezione ed il benessere degli animali ha precisamente inteso rafforzare l'obbligo di prendere in considerazione la salute e la protezione degli animali quando ha imposto di tener pienamente conto del loro benessere nella formulazione e nell'attuazione delle politiche comunitarie, in particolare in materia di politica agricola comune, pur riconoscendo che attualmente esistono ancora differenze tra le normative degli Stati membri e sensibilità diverse all'interno di questi ultimi. Il rispetto di tale obbligo può essere verificato in particolare nell'ambito del controllo della proporzionalità della misura.

( v. punti 71, 73-79 )

2. Considerato l'ampio potere discrezionale di cui dispone il legislatore comunitario in materia di politica agricola comune, solo il carattere manifestamente inidoneo di un provvedimento adottato in tale ambito, in relazione allo scopo che l'istituzione competente intende perseguire, può inficiare la legittimità di tale provvedimento, ricordando che, poiché la validità di un atto comunitario non può dipendere da valutazioni retrospettive riguardanti i suoi risultati, quando, nell'emanare una normativa, il legislatore comunitario deve valutarne gli effetti futuri e questi non possono essere previsti con certezza, la sua valutazione può essere oggetto di censura solo qualora appaia manifestamente erronea alla luce degli elementi di cui disponeva al momento dell'adozione della normativa in oggetto.

Il divieto di vaccinazione preventiva, previsto all'art. 13 della direttiva 85/511, che stabilisce misure comunitarie di lotta contro l'afta epizootica, non eccede i limiti di quanto è idoneo e necessario alla realizzazione dello scopo perseguito dalla normativa comunitaria. Infatti, quando ha adottato la politica di non vaccinazione, il Consiglio ha proceduto ad una valutazione globale dei vantaggi e degli inconvenienti del sistema che si doveva attuare e tale politica, corrispondente alle raccomandazioni dell'Ufficio internazionale delle epizoozie e alla pratica in diversi paesi del mondo, non era ad ogni modo manifestamente inadeguata rispetto all'obiettivo di lotta contro l'afta epizootica.

Inoltre, il divieto della vaccinazione preventiva generalizzata non osta a che, quando le circostanze lo richiedano, si proceda ad una vaccinazione d'emergenza selettiva e adeguata alle necessità di una particolare situazione.

( v. punti 82, 84, 95-96, 100 )

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