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Document 52019XC0927(01)

    Comunicazione della Commissione — Orientamenti sull’interpretazione e sull’applicazione della direttiva 93/13/CEE del Consiglio concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (Testo rilevante ai fini del SEE.)

    GU C 323 del 27.9.2019, p. 4–92 (BG, ES, CS, DA, DE, ET, EL, EN, FR, HR, IT, LV, LT, HU, MT, NL, PL, PT, RO, SK, SL, FI, SV)

    27.9.2019   

    IT

    Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

    C 323/4


    COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE

    Orientamenti sull’interpretazione e sull’applicazione della direttiva 93/13/CEE del Consiglio concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori

    (Testo rilevante ai fini del SEE)

    (2019/C 323/04)

    INDICE

    INTRODUZIONE 5

    1.

    OBIETTIVI E AMBITO DI APPLICAZIONE DELLA DIRETTIVA 7

    1.1.

    Gli obiettivi perseguiti dalla direttiva 8

    1.2.

    L’ambito di applicazione della direttiva 10

    1.2.1.

    Le nozioni di «professionista», «consumatore» e «contratti stipulati tra un professionista e un consumatore» 10

    1.2.2.

    Clausole contrattuali che non sono state oggetto di negoziato individuale (articolo 3, paragrafi 1 e 2, della direttiva) 13

    1.2.3.

    Esclusione delle clausole contrattuali che riproducono disposizioni legislative o regolamentari imperative (articolo 1, paragrafo 2, della direttiva) 14

    1.2.4.

    Interazione con la legislazione dell’UE esistente 15

    1.2.5.

    Applicazione della direttiva ai professionisti stabiliti nei paesi terzi 17

    2.

    RAPPORTO CON IL DIRITTO NAZIONALE, INCLUSA L’ARMONIZZAZIONE MINIMA 17

    2.1.

    Armonizzazione minima ed estensione dell’ambito di applicazione (articoli 8 e 8 bis della direttiva), incluso il ruolo dei massimi organi giurisdizionali nazionali 18

    2.2.

    Altre disposizioni del diritto nazionale 19

    3.

    IL TEST GENERALE DI ABUSIVITÀ E GLI OBBLIGHI DI TRASPARENZA 20

    3.1.

    Abusività e trasparenza in generale 20

    3.2.

    Particolarità delle clausole contrattuali relative all’oggetto principale del contratto o al prezzo e alla remunerazione (articolo 4, paragrafo 2, della direttiva) 23

    3.2.1.

    Clausole contrattuali relative alla definizione dell’oggetto principale del contratto 23

    3.2.2.

    Clausole contrattuali relative al prezzo e alla remunerazione 24

    3.3.

    Obblighi di trasparenza 25

    3.3.1.

    Obblighi di trasparenza previsti dalla direttiva 25

    3.3.2.

    Obblighi di trasparenza derivanti da altri atti dell’UE 28

    3.4.

    Valutazione del carattere abusivo ai sensi degli articoli 3 e 4, paragrafo 1, della direttiva 29

    3.4.1.

    Il quadro della valutazione di cui all’articolo 3, paragrafo 1, e all’articolo 4, paragrafo 29

    3.4.2.

    La rilevanza delle disposizioni legislative e l’importanza dello squilibrio 31

    3.4.3.

    Sanzioni o conseguenze del mancato adempimento degli obblighi contrattuali da parte del consumatore 32

    3.4.4.

    Eventuale carattere abusivo del prezzo o della remunerazione 33

    3.4.5.

    Circostanze al momento della conclusione del contratto 33

    3.4.6.

    Rilevanza della mancanza di trasparenza per il carattere abusivo delle clausole contrattuali 34

    3.4.7.

    Ruolo dell’allegato cui si rinvia nell’articolo 3, paragrafo 3, della direttiva 35

    4.

    CARATTERE NON VINCOLANTE DELLE CLAUSOLE ABUSIVE NEI CONTRATTI (ARTICOLO 6, PARAGRAFO 1, DELLA DIRETTIVA) 37

    4.1.

    La natura e il ruolo dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva nella protezione dalle clausole abusive nei contratti 37

    4.2.

    L’effetto giuridico del «carattere non vincolante per il consumatore» 38

    4.3.

    Conseguenze del carattere abusivo delle clausole contrattuali per i diritti e gli obblighi delle parti 39

    4.3.1.

    Il principio: rimozione delle clausole contrattuali abusive e divieto di revisione delle stesse 39

    4.3.2.

    L’eccezione: colmare le lacune create dalle clausole abusive per evitare la nullità del contratto 41

    4.3.3.

    L’applicazione delle disposizioni di natura suppletiva in altri casi 43

    4.3.4.

    Possibile applicazione delle clausole contrattuali abusive nonostante il carattere abusivo 43

    4.4.

    Restituzione dei vantaggi ottenuti tramite clausole abusive nei contratti 43

    5.

    RICORSI E GARANZIE PROCEDURALI PREVISTI DALL’ARTICOLO 6, PARAGRAFO 1, E DALL’ARTICOLO 7, PARAGRAFO 1, DELLA DIRETTIVA 44

    5.1.

    L’importanza dell’articolo 6, paragrafo 1, dell’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva nonché dei principi di equivalenza ed effettività in generale 44

    5.2.

    Il principio del controllo d’ufficio delle clausole abusive nei contratti 48

    5.2.1.

    Collegamento con l’articolo 6, paragrafo 1, e l’articolo 7, paragrafo 48

    5.2.2.

    Rapporto con i principi di procedura civile 48

    5.2.3.

    Il controllo d’ufficio e la passività totale da parte del consumatore 49

    5.3.

    Obblighi derivanti dal principio di equivalenza 49

    5.3.1.

    Il controllo d’ufficio delle clausole abusive nei contratti 49

    5.3.2.

    Altri obblighi basati sul principio di equivalenza 50

    5.4.

    Valutazione d’ufficio ed effettività dei ricorsi 50

    5.4.1.

    Il test applicabile 50

    5.4.2.

    Fattori rilevanti per l’effettività dei ricorsi 52

    5.5.

    Le implicazioni del controllo d’ufficio 58

    5.5.1.

    Obblighi fondamentali 58

    5.5.2.

    Aspetti da esaminare 58

    5.5.3.

    Disponibilità dei necessari elementi di diritto e di fatto 59

    5.5.4.

    Conclusioni da trarre dalla valutazione del carattere abusivo 61

    5.6.

    Implicazioni del controllo d’ufficio, dell’effettività e dell’equivalenza per le norme di procedura nazionali 61

    5.7.

    Controllo d’ufficio delle clausole abusive nei contratti e procedure stragiudiziali 62

    6.

    PROVVEDIMENTI INIBITORI NELL’INTERESSE COLLETTIVO DEI CONSUMATORI (ARTICOLO 7, PARAGRAFI 2 E 3, DELLA DIRETTIVA) 63
    ALLEGATO I — Elenco delle cause della Corte citate nella presente comunicazione 65
    ALLEGATO II — Tabella riassuntiva delle notifiche previste all’articolo 8 bis della direttiva 90

    INTRODUZIONE

    La direttiva 93/13/CEE del Consiglio (1) è un atto legislativo basato su principi. Tutela i consumatori dalle clausole abusive in tutti i tipi di contratti stipulati tra imprese e consumatori e, in tal senso, costituisce uno strumento fondamentale per garantire l’equità nel mercato interno.

    Sin dalla sua adozione 26 anni fa, la direttiva è stata interpretata mediante numerose decisioni della Corte di giustizia dell’Unione europea («Corte»), in particolare pronunce pregiudiziali, attraverso le quali la Corte ha ulteriormente sviluppato molti dei principi generali stabiliti nella direttiva. L’interpretazione della Corte non si limita ai criteri per la valutazione sostanziale delle clausole contrattuali e alle conseguenze da trarre dal loro carattere abusivo, ma ha anche implicazioni per le norme nazionali di procedura nella misura in cui queste siano rilevanti per l’efficace protezione dalle clausole abusive nei contratti.

    Il controllo dell’adeguatezza del 2017 (2) nell’ambito della normativa in materia di consumatori e di marketing ha comportato una valutazione esauriente della direttiva, da cui è emerso che l’approccio della direttiva basato sui principi è efficace e contribuisce a un elevato livello di protezione dei consumatori. Ciononostante, la valutazione ha anche identificato una certa mancanza di chiarezza riguardo all’interpretazione della direttiva e alla sua applicazione per quanto riguarda ad esempio: i) l’ambito di applicazione delle esenzioni per le clausole riguardanti il prezzo e l’oggetto principale; ii) le conseguenze giuridiche della natura non vincolante delle clausole abusive nei contratti; e iii) l’obbligo dei giudici nazionali di svolgere un ruolo attivo nell’applicare la direttiva nei singoli casi. Pertanto, la relazione sul controllo dell’adeguatezza ha raccomandato di affrontare tali problematiche seguendo gli specifici orientamenti della Commissione.

    In questo contesto, la proposta della Commissione dell’11 aprile 2018 (3) che modifica diverse direttive sulla protezione dei consumatori si limita, per quanto riguarda la direttiva, alla proposta di inserire una disposizione sulle sanzioni. Allo stesso tempo la Commissione, nella sua comunicazione Un «new deal» per i consumatori dell’11 aprile 2018 (4), ha annunciato che avrebbe adottato degli orientamenti sulla direttiva nel 2019 per chiarire le domande sorte nell’applicazione della direttiva.

    La principale finalità della presente comunicazione orientativa (in appresso, la «presente comunicazione») è presentare, in modo strutturato, l’interpretazione fornita dalla Corte in merito ai concetti e alle disposizioni principali della direttiva, alla luce dei casi specifici trattati dai tribunali degli Stati membri. In tal modo, la Commissione vorrebbe sensibilizzare maggiormente su tale giurisprudenza tutte le parti interessate, quali i consumatori, le imprese, le autorità degli Stati membri, inclusi i giudici nazionali e gli operatori del diritto nell’UE, facilitando così la sua applicazione pratica.

    Sebbene la direttiva abbia raggiunto un elevato livello di tutela dei consumatori e armonizzazione dei concetti chiave per la protezione dalle clausole abusive nei contratti nel mercato interno, negli Stati membri esistono specificità che i soggetti attivi sul mercato e gli operatori del diritto dovranno inoltre tenere in considerazione. Tali specificità potrebbero riguardare un ambito di applicazione più ampio delle norme nazionali che recepiscono la direttiva oppure potrebbero consistere in norme più dettagliate o più severe rispetto al carattere abusivo delle clausole contrattuali. Gli esempi includono una lista nera di clausole contrattuali che sono sempre considerate abusive, elenchi di clausole contrattuali che si presumono abusive, la valutazione anche di clausole contrattuali che sono state oggetto di negoziato individuale, nonché la valutazione del carattere abusivo delle clausole contrattuali che definiscono l’oggetto principale o dell’adeguatezza del prezzo o della remunerazione anche laddove tali clausole siano trasparenti. Potrebbero inoltre esserci requisiti meno stringenti per considerare abusiva una clausola contrattuale secondo la disposizione generale relativa al carattere abusivo, ad esempio quando le norme nazionali di recepimento non richiedono che lo squilibrio tra i diritti e gli obblighi delle parti sia significativo oppure che tale squilibrio sia contrario al requisito di buona fede. In linea di principio, tali norme sono possibili secondo la disposizione sull’armonizzazione minima contenuta nell’articolo 8 della direttiva (5). L’allegato II della presente comunicazione contiene una tabella riassuntiva delle informazioni trasmesse dagli Stati membri ai sensi dell’articolo 8 bis della direttiva (6), che riflettono le deviazioni dalla direttiva.

    La presente comunicazione si basa sullo standard minimo previsto dalla direttiva e non è in grado di fornire un quadro completo dell’applicazione della direttiva nei singoli Stati membri dell’UE, incluse le decisioni dei giudici nazionali e degli altri organi competenti sulla valutazione di clausole contrattuali specifiche. Oltre alle diverse fonti informative messe a disposizione negli Stati membri, nella banca dati sul diritto dei consumatori, accessibile attraverso il portale della giustizia elettronica (7), sono disponibili anche informazioni sulle disposizioni nazionali di recepimento della direttiva, sulla giurisprudenza e sulla letteratura giuridica.

    Laddove non diversamente specificato, gli articoli citati nella presente comunicazione sono quelli della direttiva. Qualora venga utilizzata la nozione di «clausola contrattuale» o «clausola», essa si riferisce a una «clausola [che] non è stata oggetto di negoziato individuale» ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva. Nei casi in cui le citazioni dal testo della direttiva o dalle sentenze della Corte contengano parti evidenziate, tale modifica grafica è stata introdotta dalla Commissione.

    La sezione 1 della presente comunicazione ha come oggetto gli obiettivi e l’ambito di applicazione della direttiva, mentre la sezione 2 si riferisce in particolare al principio dell’armonizzazione minima e al rapporto con il diritto nazionale in generale. La sezione 3 presenta la valutazione della trasparenza e della equità o del carattere abusivo delle clausole contrattuali di cui agli articoli 3, 4 e 5. La sezione 4 spiega le implicazioni del carattere abusivo delle clausole contrattuali per i diritti e gli obblighi delle parti di cui all’articolo 6, paragrafo 1. La sezione 5 esamina nel dettaglio i requisiti procedurali per la valutazione delle clausole contrattuali, incluso l’obbligo per i giudici nazionali di svolgere un ruolo attivo nella valutazione delle clausole contrattuali. Infine, la sezione 6 presenta alcune particolarità delle azioni inibitorie.

    I principi elaborati dalla Corte in relazione alle garanzie procedurali previste dalla direttiva, incluso quello del controllo d’ufficio, si applicano mutatis mutandis ad altri atti legislativi dell’UE in materia di consumatori (8). Analogamente, la presente comunicazione tiene conto di alcune sentenze riguardanti altre direttive sulla protezione dei consumatori laddove rilevanti anche per la direttiva.

    Sebbene le pronunce pregiudiziali siano rivolte al giudice del rinvio e ai giudici nazionali in generale, che sono obbligati ad applicarle direttamente, esse riguardano tutte le autorità nazionali che si occupano di clausole abusive nei contratti, incluse quelle amministrative che danno attuazione alla direttiva e i ministri responsabili di proporre atti legislativi. Spetta agli Stati membri esaminare in che misura le loro norme e pratiche siano conformi alla direttiva così come interpretata dalla Corte e, ove opportuno, vedere in che modo sia possibile migliorare la conformità al fine di tutelare efficacemente i consumatori dalle clausole abusive che figurano nei contratti.

    La presente comunicazione è rivolta agli Stati membri dell’UE e all’Islanda, al Liechtenstein e alla Norvegia, in qualità di firmatari dell’accordo sullo Spazio economico europeo (9) (SEE). I riferimenti all’UE, all’Unione o al mercato unico sono quindi da intendersi come riferimenti al SEE o al mercato SEE.

    La presente comunicazione è un mero documento di orientamento: soltanto gli atti legislativi dell’UE hanno efficacia giuridica. L’interpretazione autentica della normativa deve discendere dal testo dalla direttiva 93/13/CEE e direttamente dalle decisioni della Corte (10) emanate finora e in futuro.

    La presente comunicazione tiene conto delle sentenze della Corte pubblicate fino al 31 maggio 2019 e non è tale da pregiudicare ulteriori sviluppi della giurisprudenza della Corte.

    I pareri espressi nella presente comunicazione non sono tali da pregiudicare la posizione che la Commissione europea può assumere dinanzi alla Corte.

    Le informazioni contenute nella presente comunicazione sono di carattere generale e non riguardano specificamente particolari persone o entità. Né la Commissione europea né qualsiasi persona che agisce per conto della Commissione è responsabile dell’uso che può essere fatto delle seguenti informazioni.

    1.   OBIETTIVI E AMBITO DI APPLICAZIONE DELLA DIRETTIVA

    Articolo 1

    1.

    La presente direttiva è volta a ravvicinare le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti le clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e un consumatore.

    2.

    Le clausole contrattuali che riproducono disposizioni legislative o regolamentari imperative e disposizioni o principi di convenzioni internazionali, in particolare nel settore dei trasporti, delle quali gli Stati membri o la Comunità sono parte, non sono soggette alle disposizioni della presente direttiva.

    Articolo 2

    Ai fini della presente direttiva si intende per:

    a)

    «clausole abusive»: le clausole di un contratto quali sono definite all’articolo 3;

    b)

    «consumatore»: qualsiasi persona fisica che, nei contratti oggetto della presente direttiva, agisce per fini che non rientrano nel quadro della sua attività professionale;

    c)

    «professionista»: qualsiasi persona fisica o giuridica che, nei contratti oggetto della presente direttiva, agisce nel quadro della sua attività professionale, sia essa pubblica o privata.

    Articolo 3, paragrafi 1 e 2

    1.

    Una clausola contrattuale, che non è stata oggetto di negoziato individuale, si considera abusiva se, in contrasto con il requisito della buona fede, determina, a danno del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto.

    2.

    Si considera che una clausola non sia stata oggetto di negoziato individuale quando è stata redatta preventivamente in particolare nell’ambito di un contratto di adesione e il consumatore non ha di conseguenza potuto esercitare alcuna influenza sul suo contenuto.

    Il fatto che taluni elementi di una clausola o che una clausola isolata siano stati oggetto di negoziato individuale non esclude l’applicazione del presente articolo alla parte restante di un contratto, qualora una valutazione globale porti alla conclusione che si tratta comunque di un contratto di adesione.

    Qualora il professionista affermi che una clausola standardizzata è stata oggetto di negoziato individuale, gli incombe l’onere della prova.

    Considerando 6

    Considerando che, per facilitare la creazione del mercato interno e per tutelare il cittadino che acquisisce, in qualità di consumatore, beni o servizi mediante contratti disciplinati dalla legislazione di Stati membri diversi dal proprio, è indispensabile eliminare le clausole abusive da tali contratti;

    Considerando 9

    Considerando che secondo il principio stabilito nel capitolo «Protezione degli interessi economici dei consumatori» dei due programmi, «gli acquirenti di beni o di servizi devono essere protetti dagli abusi di potere del venditore o del prestatario, in particolare dai contratti di adesione e dall’esclusione abusiva di diritti essenziali nei contratti»;

    Considerando 10

    Considerando che si può realizzare una più efficace protezione del consumatore adottando regole uniformi in merito alle clausole abusive; che tali regole devono applicarsi a qualsiasi contratto stipulato fra un professionista ed un consumatore; che sono segnatamente esclusi dalla presente direttiva i contratti di lavoro, i contratti relativi ai diritti di successione, i contratti relativi allo statuto familiare, i contratti relativi alla costituzione ed allo statuto delle società;

    Considerando 11

    Considerando che il consumatore deve godere della medesima protezione nell’ambito di un contratto orale o di un contratto scritto e, in quest’ultimo caso, indipendentemente dal fatto che i termini del contratto siano contenuti in uno o più documenti;

    Considerando 13

    Considerando […] che a questo riguardo l’espressione «disposizioni legislative o regolamentari imperative» che figura all’articolo 1, paragrafo 2 comprende anche le regole che per legge si applicano tra le parti contraenti allorché non è stato convenuto nessun altro accordo;

    1.1.   Gli obiettivi perseguiti dalla direttiva

    La direttiva mira a ravvicinare le legislazioni nazionali al fine di innalzare il livello di protezione dei consumatori dalle clausole abusive che non siano state oggetto di negoziato individuale nei contratti stipulati tra un professionista e un consumatore.

    Pertanto, essa ha un duplice obiettivo:

    l’efficace protezione dei consumatori, in quanto parte solitamente più debole, dalle clausole contrattuali abusive che vengono utilizzate dai professionisti e che non siano state oggetto di negoziato individuale; e

    contribuire alla creazione del mercato interno attraverso l’armonizzazione minima delle norme nazionali che mirano a fornire tale protezione.

    La Corte (11) ha sottolineato il ruolo della direttiva in relazione agli obiettivi generali dell’UE quando ha affermato che:

    «[…] si deve, inoltre, rilevare che, secondo la giurisprudenza della Corte, tale direttiva, nella sua integralità, ai sensi dell’articolo 3, n. 1, lett. t), CE, costituisce un provvedimento indispensabile per l’adempimento dei compiti affidati alla Comunità europea e, in particolare, per l’innalzamento del livello e della qualità della vita al suo interno […]» (12).

    A tal riguardo, la Corte ha ripetutamente definito la protezione fornita dalla direttiva come una questione di «interesse pubblico» (13). Come espresso all’articolo 114 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) (14), base giuridica della direttiva, nonché all’articolo 169 del TFUE e all’articolo 38 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE (15), la direttiva offre un elevato livello di protezione dei consumatori.

    Secondo la giurisprudenza costante della Corte (16), il sistema di protezione introdotto dalla direttiva 93/13/CEE si basa su:

    «l’idea […] che il consumatore si trovi in una situazione di inferiorità rispetto al professionista per quanto riguarda sia il potere di trattativa sia il livello di informazione, situazione che lo induce ad aderire alle condizioni predisposte dal professionista, senza poter incidere sul contenuto delle stesse […]».

    La direttiva mira quindi ad occuparsi delle situazioni di disuguaglianza delle parti in relazione alle clausole contrattuali, che può essere dovuta a una asimmetria dell’informazione e delle competenze tecniche (17) o del potere di trattativa (18) in relazione alle clausole contrattuali.

    In particolare, attraverso il carattere non vincolante delle clausole abusive nei contratti di cui all’articolo 6, paragrafo 1, la direttiva mira a creare un equilibrio reale (19) tra le parti del contratto, eliminando lo squilibrio creato dalle clausole abusive nei contratti (20), al fine di compensare la posizione di inferiorità dei consumatori (21).

    Inoltre, la direttiva mira a dissuadere i professionisti dall’utilizzare clausole abusive in futuro (22). La Commissione ricorda che, nella sua relazione del 2000 (23) sull’applicazione della direttiva, ha evidenziato gli effetti dannosi dell’utilizzo delle clausole abusive nei contratti per l’ordine giuridico ed economico dell’UE nel suo insieme e ha sottolineato l’importanza della direttiva al di là della protezione dei singoli consumatori direttamente interessati da clausole abusive nei contratti.

    1.2.   L’ambito di applicazione della direttiva

    1.2.1.   Le nozioni di «professionista», «consumatore» e «contratti stipulati tra un professionista e un consumatore»

    Come stabilito nell’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva, quest’ultima si applica ai «contratti stipulati tra un professionista e un consumatore».

    Affinché un contratto sia oggetto della direttiva, è necessario che una parte del contratto sia un professionista, quale definito all’articolo 2, lettera c), e l’altra sia un consumatore (24), ai sensi dell’articolo 2, lettera b). Ciò non pregiudica il fatto che, a priori, agli Stati membri non venga impedito di estendere l’ambito di applicazione delle norme nazionali che recepiscono la direttiva anche ad altri contratti, includendo ad esempio anche quelli stipulati tra due professionisti o tra due consumatori.

    1.2.1.1.   Le definizioni di «professionista» e di «consumatore»

    Mentre ai sensi dell’articolo 2, lettera b), i consumatori devono essere persone fisiche, secondo l’articolo 2, lettera c), un professionista può essere una persona fisica o giuridica.

    Al fine di stabilire se una determinata persona sia un professionista o un consumatore, è importante esaminare l’equilibrio dei poteri tra le parti in relazione al contratto in questione. I fattori tipici sono costituiti dell’asimmetria dell’informazione, delle conoscenze, delle competenze tecniche o del potere di trattativa. Le nozioni di «professionista» e di «consumatore» sono nozioni funzionali basate sul ruolo delle parti in relazione al contratto in questione. Allo stesso tempo, la nozione di «consumatore» è oggettiva e riflette la tipica posizione di inferiorità della controparte del professionista, indicando che le conoscenze e le esperienze superiori di uno specifico consumatore non escludono che tale persona sia un «consumatore» ai fini della direttiva (25).

    La Corte ha spiegato tale approccio funzionale nel seguente modo (26):

    «53

    Pertanto, è con riferimento alla qualità dei contraenti, a seconda che essi agiscano o meno nell’ambito della loro attività professionale, che detta direttiva definisce i contratti ai quali essa si applica […]» (27).

    «55

    [Ne consegue che] la nozione di «professionista», ai sensi dell’articolo 2, lettera c), della direttiva 93/13, è una nozione funzionale che comporta la necessità di valutare se il rapporto contrattuale si inserisca nell’ambito delle attività che una persona svolge a titolo professionale […]» (28).

    Al fine di stabilire se una persona fisica che svolge un’attività professionale sia un professionista o un consumatore, è importante determinare se il contratto in questione si riferisca a una di queste attività o meno.

    Nonostante talune varianti del termine «professionista» nelle diverse versioni linguistiche (29) dell’articolo 2, lettera c), della direttiva, tale nozione deve essere interpretata uniformemente (30) e alla luce degli obiettivi della direttiva (31). Ciò significa che la terminologia più restrittiva utilizzata in alcune versioni linguistiche della direttiva e nelle norme nazionali di recepimento non può limitare i tipi di contratti oggetto della direttiva e, pertanto, l’ambito cui si applica la sua protezione (32). Di fatto, la nozione di «professionista» di cui all’articolo 2, lettera c), dovrà essere interpretata analogamente al termine «professionista» che figura in altre direttive in materia di protezione dei consumatori e, in linea di principio, la giurisprudenza relativa ai termini «professionista» e «consumatore» in altre direttive è pertinente anche per la direttiva (33).

    La Corte (34) ha affermato che la definizione di «professionista» di cui all’articolo 2, lettera c), deve essere interpretata in senso ampio:

    «47

    Ai sensi dell’articolo 2, lettera c), della direttiva 93/13, la nozione di “professionista” è definita come riguardante qualsiasi persona fisica o giuridica che, nei contratti oggetto della suddetta direttiva, agisce nel quadro della sua attività professionale, sia essa pubblica o privata.

    48

    Dalla formulazione stessa di tale disposizione emerge che il legislatore dell’Unione ha inteso sancire un concetto ampio della nozione di “professionista” […]» (35).

    Pertanto, qualsiasi persona fisica o giuridica è da considerarsi un professionista quando il contratto si riferisce alla sua attività professionale, incluso il caso in cui l’attività sia di carattere pubblico o di interesse generale (36) o abbia uno status di diritto pubblico (37). Le organizzazioni o gli organismi che perseguano una missione di interesse pubblico ovvero obiettivi caritatevoli o etici saranno considerati professionisti in relazione ai contratti sulla vendita di prodotti o servizi di qualunque tipo ai consumatori. A tal riguardo, è irrilevante che un’attività venga svolta «senza scopo di lucro». Secondo la Corte (38):

    «[n]e consegue che l’articolo 2, lettera c), della direttiva 93/13 non esclude dal suo ambito di applicazione né gli enti incaricati di una missione di interesse generale né quelli che abbiano uno status di diritto pubblico […] (39). Inoltre, […], poiché i compiti di natura e interesse pubblici sono spesso svolti senza fini di lucro, il fatto che un organismo abbia o meno scopo di lucro è irrilevante ai fini della definizione della nozione di “professionista”, ai sensi di tale disposizione».

    Ciò significa che, ad esempio, in linea di principio, sono interessati anche i contratti relativi ai servizi sanitari e assistenziali, indipendentemente dalla natura giuridica del fornitore.

    La Corte ha altresì specificato che, al fine di essere considerati un «professionista», non è necessario che un contratto riguardi l’attività principale di una persona, bensì esso può riferirsi anche a un’attività complementare o accessoria (40). Pertanto, ad esempio, può rientrarvi anche un prestito offerto da una società ai propri dipendenti (41) o un contratto di mutuo fornito a uno studente da un istituto di insegnamento (42).

    In breve, è necessario valutare caso per caso se una persona sia un «professionista» o un «consumatore»in relazione allo specifico contratto in questione, tenendo conto della natura e della finalità del contratto stesso e del fatto che la direttiva mira a proteggere i consumatori in quanto parti che si trovano solitamente in una situazione di inferiorità.

    Ciò significa anche che una determinata persona fisica può essere un «professionista» in relazione ad alcuni contratti, ad esempio un avvocato nel caso di un contratto di prestazione di servizi di assistenza legale (43), e un «consumatore» in relazione ad altri contratti, ad esempio un contratto di credito stipulato per scopi privati (44). A tal riguardo, la Corte (45) ha affermato:

    «In un caso siffatto, anche a voler affermare che un avvocato dispone di un elevato livello di competenze tecniche [… (46)], tale circostanza non consentirebbe di presumere che egli non sia una parte debole rispetto a un professionista. […] [L]a situazione di inferiorità del consumatore rispetto al professionista, alla quale il sistema di tutela istituito dalla direttiva 93/13 è diretto a porre rimedio, riguarda infatti tanto il livello di informazione del consumatore quanto il suo potere di trattativa in presenza di condizioni predisposte dal professionista, e sul cui contenuto tale consumatore non può incidere».

    Inoltre, una persona fisica che, nell’ambito di un contratto accessorio, agisce in qualità di garante per un contratto stipulato tra due società commerciali deve essere considerata un consumatore laddove essa abbia agito per fini che non rientrano nel quadro della sua attività professionale e non abbia un collegamento di natura funzionale con la società mutuataria. Un collegamento di natura funzionale, ad esempio, può consistere nel fatto di essere amministratore di tale società oppure di detenere una partecipazione non trascurabile al suo capitale sociale (47).

    1.2.1.2.   Contratti stipulati tra un professionista e un consumatore

    Laddove vi sia un professionista da un lato e un consumatore dall’altro, il contratto deve considerarsi oggetto della direttiva come espresso nella seconda clausola del considerando 10. Il considerando 10 chiarisce che la direttiva si applica a tutti i contratti stipulati fra un professionista ed un consumatore.

    Ciò implica che essa si applica a tutti i contratti riguardanti l’acquisto di beni e la fornitura di servizi e la Corte ha chiarito che la direttiva deve essere infatti considerata applicabile «in tutti i settori di attività economica» (48).

    Il considerando 10 spiega inoltre che, tra l’altro, […] «sono […] esclusi» dal suo ambito di applicazione i contratti di lavoro, i contratti relativi ai diritti di successione, i contratti relativi allo statuto familiare e i contratti relativi alla costituzione ed allo statuto delle società (49). Tali esempi (50), in quanto limitazioni dell’ambito di applicazione della direttiva, dovranno essere interpretati restrittivamente (51).

    La direttiva non richiede che il consumatore fornisca un corrispettivo in denaro per un bene o servizio. La Corte non ha ritenuto necessario che vi sia un corrispettivo in denaro. Ha sostenuto, ad esempio (52), che i privati che forniscono una fideiussione per un contratto di prestito stipulato da un altro soggetto possono essere protetti dalla direttiva anche laddove il contratto di fideiussione non preveda un corrispettivo in denaro per uno specifico servizio. Pertanto, anche i contratti tra i consumatori e i fornitori di servizi di social media devono essere considerati oggetto della direttiva, indipendentemente dal fatto che i consumatori debbano pagare determinati importi o dal fatto che il corrispettivo per i servizi consista nei contenuti generati dai consumatori e nella loro profilazione (53).

    Quando un contratto accessorio, ad esempio un contratto di fideiussione, viene stipulato tra un professionista e un consumatore, tale contratto è oggetto della direttiva, anche qualora il contratto principale, ad esempio un contratto di mutuo, venga concluso tra due società commerciali ed esuli pertanto dall’ambito di applicazione della stessa (54).

    La Corte si è pronunciata su un numero limitato di casi specifici in cui i giudici nazionali avevano dubbi circa la classificazione di un determinato contratto e ha chiarito che la direttiva si applica ai seguenti tipi di contratti:

    contratti di locazione di abitazione stipulati tra un soggetto privato, da una parte, e un professionista del settore immobiliare, dall’altra (55);

    contratti di prestazione di servizi di assistenza legale (56);

    un contratto di credito con concessione di ipoteca stipulato da un avvocato per scopi privati (57);

    un contratto stipulato da un istituto di libero insegnamento con il quale esso concede a una sua studentessa agevolazioni di pagamento di importi dovuti da quest’ultima a titolo di tasse di iscrizione e di spese relative a un viaggio di studio (58);

    un contratto di garanzia immobiliare o di fideiussione stipulato tra una persona fisica e un ente creditizio al fine di garantire le obbligazioni che una società commerciale ha contratto nei confronti di tale ente in base a un contratto di credito, quando tale garante abbia agito per scopi che esulano dalla sua attività professionale e non abbia alcun collegamento di natura funzionale con tale società (59);

    un mutuo immobiliare concesso da un datore di lavoro al suo dipendente e al coniuge di quest’ultimo per fini privati (60).

    1.2.2.   Clausole contrattuali che non sono state oggetto di negoziato individuale (articolo 3, paragrafi 1 e 2, della direttiva) (61)

    Secondo l’articolo 2, lettera a), in combinato disposto con l’articolo 3, paragrafo 1, soltanto le clausole contrattuali che non sono state oggetto di negoziato individuale sono soggette alla direttiva. L’articolo 3, paragrafo 2, contiene alcune presunzioni e disposizioni sull’onere della prova nel caso in cui si debba determinare se una clausola contrattuale sia stata oggetto o meno di negoziato individuale. Oltre ai considerando 9 e 11, anche l’articolo 3, paragrafo 2, fornisce esempi dei tipi di clausole contrattuali cui si applica la direttiva, che includono in genere, ma non in via esclusiva, le clausole contrattuali «standardizzate» (62), «di adesione» (63) o redatte preventivamente (64), che si trovano spesso nei cosiddetti «termini e condizioni».

    Non risultano determinanti la forma in cui le clausole sono redatte, ad esempio in formato stampato, online o offline, scritte a mano o persino orali (65), il modo in cui è stato stipulato il contratto, ad esempio privatamente o nella forma di un atto notarile, la parte del contratto in cui sono inserite le clausole o se esse siano contenute in uno o più documenti. Ciò che conta è che esse contribuiscono a definire i diritti e gli obblighi delle parti e che non si sono svolti negoziati individuali sulla o sulle clausole specifiche in questione.

    Valutare se vi siano stati negoziati individuali su una particolare clausola contrattuale è una questione che compete ai giudici nazionali. Secondo il primo comma dell’articolo 3, paragrafo 2, quando una clausola contrattuale è stata redatta «preventivamente», ad esempio nel caso di un «contratto di adesione», si considera che essa «non sia stata oggetto di negoziato individuale». Il terzo comma dell’articolo 3, paragrafo 2, stabilisce che, qualora il professionista affermi che una «clausola standardizzata» è stata oggetto di negoziato individuale, gli incombe l’onere della prova. Ai sensi del secondo comma dell’articolo 3, paragrafo 2, qualora taluni elementi di una clausola o una clausola isolata siano stati oggetto di negoziato individuale, ciò non significa che le altre clausole contrattuali siano state oggetto di negoziato individuale. La firma del consumatore in calce al contratto o a conferma delle singole clausole non indica certamente che le clausole contrattuali siano state oggetto di negoziato individuale.

    La Corte potrebbe fornire ulteriori orientamenti su tale criterio e sul concetto di «negoziato» (66).

    Nella presente comunicazione i riferimenti a «clausole abusive nei contratti» o «clausole contrattuali» si intendono fatti a «clausole contrattuali che non siano state oggetto di negoziato individuale» anche qualora non vengano ripetute le parole «che non siano state oggetto di negoziato individuale». Tale assunto non pregiudica il fatto che in alcuni Stati membri la protezione fornita dalla direttiva si applichi anche alle clausole contrattuali che siano state oggetto di negoziato individuale (67).

    1.2.3.   Esclusione delle clausole contrattuali che riproducono disposizioni legislative o regolamentari imperative (articolo 1, paragrafo 2, della direttiva)

    Ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, non sono soggette alle disposizioni della direttiva le clausole contrattuali che riproducono disposizioni legislative o regolamentari imperative e disposizioni o principi di convenzioni internazionali delle quali gli Stati membri o l’Unione sono parte. La Corte (68) ha evidenziato che, in quanto eccezione alla prevista protezione dei consumatori dalle clausole abusive nei contratti, l’articolo 1, paragrafo 2, deve essere interpretato restrittivamente:

    «[…] il giudice nazionale deve tener conto del fatto che, considerato in particolare l’obiettivo della suddetta direttiva, cioè la protezione dei consumatori dalle clausole abusive inserite nei contratti conclusi da questi ultimi con professionisti, l’eccezione introdotta dall’articolo 1, paragrafo 2, della medesima direttiva deve essere interpretata restrittivamente […]» (69).

    Al fine di escludere la valutazione prevista nella direttiva, è necessario determinare che la clausola contrattuale riproduce una disposizione legislativa o regolamentare imperativa.

    Ai fini dell’articolo 1, paragrafo 2, e in linea con il considerando 13, una disposizione è imperativa se:

    si applica alle parti del contratto indipendentemente dalla loro scelta;

    ma anche laddove sia di natura supplementare e quindi sia applicabile in via suppletiva, vale a dire in assenza di un diverso accordo tra le parti del contratto (70).

    In tali casi, l’esclusione dall’ambito di applicazione della direttiva è giustificata dal fatto che:

    «[…] in linea di principio, è legittimo presumere che il legislatore nazionale abbia stabilito un equilibrio tra l’insieme dei diritti e degli obblighi delle parti di determinati contratti» (71).

    Tale norma si applica, in linea di principio, anche quando una disposizione imperativa viene adottata dopo la conclusione del contratto e impone un accordo che sostituisce una clausola abusiva nel contratto (72).

    Allo stesso tempo, l’eccezione di cui all’articolo 1, paragrafo 2, deve essere limitata strettamente alla questione disciplinata da tali disposizioni imperative (73). Inoltre, le disposizioni imperative del diritto nazionale che si applicano a particolari gruppi di consumatori non sono tali ai fini dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva nella misura in cui una clausola contrattuale le renda applicabili ad altri clienti (74).

    La Corte (75) ha chiarito che l’eccezione di cui all’articolo 1, paragrafo 2, non si applica laddove le norme nazionali offrano alle parti diverse opzioni, ad esempio, per determinare il foro competente.

    La Corte potrebbe fornire ulteriori orientamenti sull’articolo 1, paragrafo 2, sulla base delle tre richieste di pronunce pregiudiziali pendenti al momento dell’adozione della presente comunicazione (76).

    L’articolo 1, paragrafo 2, inoltre, esclude dall’ambito di applicazione della direttiva le disposizioni o i principi di convenzioni internazionali delle quali gli Stati membri dell’Unione sono parte, con specifico riferimento alle convenzioni internazionali nel settore dei trasporti (77).

    1.2.4.   Interazione con la legislazione dell’UE esistente

    La direttiva si applica ai contratti stipulati fra un professionista ed un consumatore in tutti i settori di attività economica (78). Pertanto, a un determinato contratto, a seconda del tipo di contratto in questione, possono applicarsi anche altre disposizioni del diritto dell’Unione, incluse altre norme in materia di protezione dei consumatori. Altre norme rilevanti, che potrebbero applicarsi in parallelo, potrebbero essere le norme orizzontali sull’informazione precontrattuale e sul diritto di recesso di cui alla direttiva 2011/83/UE (79) sui diritti dei consumatori oppure sulle pratiche commerciali sleali di cui alla direttiva 2005/29/CE (80). Analogamente, oltre alla direttiva, possono applicarsi norme relative a particolari tipi di contratti, come ad esempio, la direttiva 2008/48/CE (81) relativa ai contratti di credito ai consumatori, la direttiva 2008/122/CE (82) sulla tutela dei consumatori per quanto riguarda taluni aspetti dei contratti di multiproprietà, dei contratti relativi ai prodotti per le vacanze di lungo termine e dei contratti di rivendita e di scambio, la direttiva 2014/17/UE (83) in merito ai contratti di credito ai consumatori relativi a beni immobili residenziali, la direttiva (UE) 2015/2302 (84) relativa ai pacchetti turistici e ai servizi turistici collegati, la direttiva (UE) 2018/1972 (85) che istituisce il codice europeo delle comunicazioni elettroniche, il regolamento (CE) n. 1008/2008 (86) sui servizi aerei, la direttiva 2009/72/CE (87) relativa a norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica e che abroga la direttiva 2003/54/CE, oppure la direttiva 2009/73/CE (88) relativa a norme comuni per il mercato interno del gas naturale e che abroga la direttiva 2003/55/CE (89). Inoltre, ai casi riguardanti clausole abusive nei contratti possono applicarsi le norme nell’ambito della cooperazione giudiziaria in materia civile, ad esempio sul diritto applicabile (90) e sulla giurisdizione (91) nonché sulle modalità procedurali, quali quelle sulle controversie di modesta entità (92) o sul procedimento europeo d’ingiunzione di pagamento (93).

    Alcuni atti settoriali specifici chiariscono esplicitamente che essi non sono tesi a pregiudicare la direttiva. Tra gli esempi figurano la direttiva 2009/72/CE (94), la direttiva 2009/73/CE (95), la direttiva 2014/17/UE (96) e la direttiva (UE) 2018/1972 (97).

    A causa dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva, di cui si tratta nella sezione 1.2.3, sono escluse dall’ambito di applicazione della presente direttiva le clausole contrattuali che riproducono disposizioni imperative, incluse quelle stabilite nella legislazione settoriale specifica, o i principi di convenzioni internazionali.

    Diversamente, laddove la legislazione settoriale specifica sia stata adottata dopo l’adozione della direttiva, si dovrà considerare se tale legislazione possa escludere l’applicazione della direttiva soltanto nella misura in cui ciò sia previsto esplicitamente (98). Poiché tale circostanza non si verifica normalmente (99), la direttiva si applicherà generalmente in aggiunta alle norme settoriali specifiche.

    Laddove, in aggiunta alla direttiva, si applichino altre disposizioni dell’UE, si dovrà, in generale, favorire un’interpretazione che preservi il più possibile l’effet utile della stessa e di una disposizione potenzialmente conflittuale. Ad esempio, le norme di procedura non dovrebbero mettere a rischio l’effettività della tutela dalle clausole abusive nei contratti prevista dalla direttiva.

    Nel valutare la trasparenza e il carattere abusivo delle clausole contrattuali ai sensi della direttiva, potrebbero dover essere prese in considerazione altre disposizioni dell’UE. Ad esempio, il fatto che un professionista ricorra a pratiche commerciali sleali secondo il significato di cui alla direttiva 2005/29/CE (100) potrebbe costituire un elemento per la valutazione del carattere abusivo delle singole clausole contrattuali (101). Tale accertamento non ha però diretta incidenza sulla valutazione, sotto il profilo dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva, della validità del contratto (102).

    Il rapporto tra le norme settoriali specifiche e la direttiva, con particolare riguardo agli obblighi di trasparenza e informazione pre-contrattuale (103) ovvero ai contenuti obbligatori dei contratti (104), viene trattato di seguito, nella sezione 3.3.2.

    1.2.5.   Applicazione della direttiva ai professionisti stabiliti nei paesi terzi

    In linea di principio, l’applicabilità della direttiva a un contratto stipulato tra un consumatore residente in uno Stato membro e un professionista non residente nell’UE e nel SEE (105) è determinata dal regolamento (CE) n. 593/2008 (106) (Roma I).

    L’articolo 6, paragrafi 1 e 2, del regolamento Roma I dispone quanto segue:

    1.

    Fatti salvi gli articoli 5 e 7, un contratto concluso da una persona fisica per un uso che possa essere considerato estraneo alla sua attività commerciale o professionale («il consumatore») con un’altra persona che agisce nell’esercizio della sua attività commerciale o professionale («il professionista») è disciplinato dalla legge del paese nel quale il consumatore ha la residenza abituale, a condizione che il professionista:

    a)

    svolga le sue attività commerciali o professionali nel paese in cui il consumatore ha la residenza abituale; o

    b)

    diriga tali attività, con qualsiasi mezzo, verso tale paese o vari paesi tra cui quest’ultimo;

    e il contratto rientri nell’ambito di dette attività.

    2.

    In deroga al paragrafo 1, le parti possono scegliere la legge applicabile a un contratto che soddisfa i requisiti del paragrafo 1 in conformità dell’articolo 3. Tuttavia, tale scelta non vale a privare il consumatore della protezione assicuratagli dalle disposizioni alle quali non è permesso derogare convenzionalmente ai sensi della legge che, in mancanza di scelta, sarebbe stata applicabile a norma del paragrafo 1.

    Pertanto, ogni volta che un professionista di un paese terzo svolge un’attività in uno Stato membro o dirige le proprie attività verso consumatori che hanno la loro residenza abituale in uno Stato membro, tali consumatori beneficeranno della protezione prevista dalla direttiva e delle norme in materia di protezione dei consumatori del loro Stato membro. Tale principio si applica anche quando le parti scelgono come legislazione applicabile quella del paese terzo. Tuttavia, l’articolo 5 del regolamento Roma I contiene norme particolari per i contratti di trasporto.

    Inoltre l’articolo 6, paragrafo 2, della direttiva, prevede:

    Gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché il consumatore non sia privato della protezione assicurata dalla presente direttiva a motivo della scelta della legislazione di un paese terzo come legislazione applicabile al contratto, laddove il contratto presenti un legame stretto con il territorio di uno Stato membro.

    Tale disposizione può concedere un’ulteriore protezione al consumatore, dal momento che si applica in ogni caso in cui venga scelta la legislazione di un paese terzo, ma in cui vi sia un legame stretto con uno Stato membro. Le condizioni poste per la sua applicazione sono pertanto più ampie di quelle dell’articolo 6 del regolamento Roma I.

    Inoltre, la Corte ha stabilito (107) che, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva, una clausola contrattuale che prevede che un contratto stipulato con un consumatore dev’essere disciplinato dalla legislazione dello Stato membro in cui è stabilito il professionista sia abusiva laddove non specifichi chiaramente che il consumatore possa comunque fare affidamento sulle norme imperative in materia di protezione dei consumatori del paese in cui ha la sua residenza abituale ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 2, del regolamento Roma I. Senza tale specifica, esso potrebbe fuorviare il consumatore dandogli l’impressione errata che soltanto la legislazione scelta si applichi al contratto. La stessa logica deve applicarsi quando, mediante una clausola contrattuale ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva, venga scelta la legislazione di un paese che non è uno Stato membro dell’UE (108).

    2.   RAPPORTO CON IL DIRITTO NAZIONALE, INCLUSA L’ARMONIZZAZIONE MINIMA

    Articolo 8 della direttiva

    Gli Stati membri possono adottare o mantenere, nel settore disciplinato dalla presente direttiva, disposizioni più severe, compatibili con il trattato, per garantire un livello di protezione più elevato per il consumatore.

    Articolo 8 bis della direttiva (109)

    1.

    Quando uno Stato membro adotta disposizioni conformemente all’articolo 8, ne informa la Commissione, così come di qualsiasi successiva modifica, in particolare qualora tali disposizioni:

    estendano la valutazione di abusività a clausole contrattuali negoziate individualmente o all’adeguatezza del prezzo o della remunerazione, oppure

    contengano liste di clausole contrattuali che devono essere considerate abusive.

    2.

    La Commissione garantisce che le informazioni di cui al paragrafo 1 siano facilmente accessibili ai consumatori e ai professionisti, tra l’altro su un apposito sito web.

    3.

    La Commissione trasmette le informazioni di cui al paragrafo 1 agli altri Stati membri e al Parlamento europeo. La Commissione consulta le parti interessate in merito a dette informazioni.

    Considerando 17

    Considerando che, ai fini della presente direttiva, l’elenco delle clausole figuranti nell’allegato ha solamente carattere indicativo e che, visto il suo carattere minimo, gli Stati membri possono integrarlo o formularlo in modo più restrittivo, nell’ambito della loro legislazione nazionale, in particolare per quanto riguarda la portata di dette clausole;

    La direttiva e il diritto nazionale interagiscono in diversi modi. Esistono infatti:

    disposizioni che recepiscono la direttiva nel diritto nazionale, incluse quelle che ne estendono l’ambito di applicazione o che stabiliscono requisiti più severi; e

    disposizioni del diritto nazionale, di natura sostanziale o procedurale, che riguardano aspetti aggiuntivi, ma che devono essere prese in considerazione quando i tribunali sono chiamati a pronunciarsi su casi in materia di clausole abusive nei contratti.

    2.1.   Armonizzazione minima ed estensione dell’ambito di applicazione (articoli 8 e 8 bis della direttiva), incluso il ruolo dei massimi organi giurisdizionali nazionali

    Ai sensi dell’articolo 8, gli Stati membri possono garantire un più elevato livello di protezione per i consumatori rispetto a quello della direttiva (110). L’articolo 8 bis della direttiva (111) obbliga gli Stati membri a notificare le norme nazionali che contengono standard più severi o che estendono l’ambito di applicazione delle norme nazionali di recepimento della direttiva (112).

    Ad esempio, gli Stati membri possono applicare le norme nazionali di recepimento della direttiva anche alle clausole contrattuali che sono state oggetto di negoziato individuale (113), alle relazioni tra le imprese o alle transazioni tra consumatori (114).

    Essi possono inoltre renderle più severe, in particolare applicando una soglia meno impegnativa per considerare abusiva una clausola contrattuale. Ad esempio, possono adottare una «lista nera» delle clausole contrattuali che sono sempre considerate abusive senza necessità di una valutazione caso per caso condotta secondo il test di abusività di cui all’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva (115) e/o diversi tipi di «liste grigie». Ulteriori informazioni riguardo all’allegato della direttiva sono disponibili nella sezione 3.4.7.

    La legislazione nazionale, ad esempio, può anche prevedere che la mancanza di trasparenza possa condurre direttamente all’invalidità delle clausole contrattuali, senza dover applicare il test di abusività di cui all’articolo 3, paragrafo 1 (116).

    La Corte (117) ha altresì chiarito che, in virtù dell’articolo 8, non sussiste l’obbligo per gli Stati membri di richiedere, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2 (118), che la definizione dell’oggetto principale o la perequazione tra il prezzo e la remunerazione possa essere valutata unicamente laddove le relative clausole non siano formulate in modo chiaro e comprensibile.

    La Corte (119) ha confermato che la giurisprudenza dei massimi organi giurisdizionali nazionali non rientra tra le disposizioni nazionali più severe ai sensi dell’articolo 8. Ciò non toglie che, laddove i massimi organi giurisdizionali nazionali elaborino determinati criteri per la valutazione del carattere abusivo delle clausole contrattuali che i tribunali di grado inferiore dovranno di fatto rispettare se non vogliono che le loro decisioni vengano annullate ovvero a cui tali tribunali di grado inferiore devono formalmente attenersi, tale fatto, in linea di principio, è compatibile con la direttiva. Tuttavia, i criteri utilizzati dai massimi organi giurisdizionali nazionali devono essere conformi alla giurisprudenza della Corte e non devono impedire al tribunale competente di offrire ai consumatori un ricorso effettivo per la tutela dei loro diritti o di presentare alla Corte una domanda di pronuncia pregiudiziale (120).

    2.2.   Altre disposizioni del diritto nazionale

    Tra le altre norme nazionali che potrebbero applicarsi ai casi che riguardano clausole abusive nei contratti figurano le disposizioni generali del diritto contrattuale, in particolare sulla formazione e sulla validità dei contratti, nonché le norme di procedura per i procedimenti dinanzi ai giudici nazionali. Tali questioni non sono specificamente disciplinate nella direttiva, ma potrebbero avere un impatto significativo sulla sua applicazione.

    Ad esempio, la direttiva, pur applicandosi alla valutazione delle singole clausole contrattuali contenute in un contratto tra un’impresa e un consumatore, non per questo disciplina la validità dei contratti nel loro complesso. È comunque possibile che, ai sensi del diritto contrattuale nazionale, il carattere abusivo di una o più clausole contrattuali conduca all’invalidità del contratto nella sua interezza, ad esempio quando tale contratto non può essere adempiuto senza accordi rispetto agli obblighi fondamentali delle parti. Tale possibilità è contemplata nell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva e trattata nella sezione 4.

    Inoltre, esistono norme del diritto nazionale che potrebbero prevedere l’invalidità del contratto nel suo complesso, ad esempio quando esso viola divieti giuridici, è usurario ovvero è altrimenti contrario ai principi del buon costume. Inoltre, ai sensi del diritto nazionale i consumatori potrebbero essere in grado di invalidare un contratto laddove la sua conclusione si basi su un comportamento fraudolento o aggressivo da parte del professionista, che possa corrispondere a pratiche ingannevoli o aggressive ovvero a pratiche commerciali altrimenti sleali in virtù della direttiva 2005/29/CE (121).

    Qualora tali circostanze coincidano con la presenza di clausole abusive nei contratti, la direttiva non pregiudicherà normalmente tali norme nazionali, purché esse non mettano in discussione l’efficacia della direttiva e, in particolare, del suo articolo 6, paragrafo 1 (122). La Corte (123) ha indicato che, in linea di principio, le norme sull’invalidità dei contratti devono essere considerate secondo la loro stessa logica (124) e che, qualora coincidano con quelle sulle clausole abusive nei contratti, tali norme sono accettabili ai sensi dell’articolo 8 della direttiva purché conducano a risultati più convenienti per i consumatori rispetto alla protezione minima prevista dalla direttiva (125).

    È opportuno rilevare che, nel suo ambito di applicazione, il diritto dell’Unione prevale su quello nazionale e che le autorità nazionali, inclusi i tribunali, sono tenute a interpretare il diritto nazionale il più possibile in conformità al diritto dell’UE al fine di garantirne l’effettività. Secondo quanto affermato dalla Corte (126),

    «[…] [o]ccorre ricordare […] che un giudice nazionale cui venga sottoposta una controversia intercorrente esclusivamente tra privati deve, quando applica le norme del diritto interno, prendere in considerazione l’insieme delle norme del diritto nazionale ed interpretarle, per quanto possibile, alla luce del testo e della finalità di tale direttiva per giungere ad una soluzione conforme all’obiettivo perseguito da quest’ultima […]» (127).

    Laddove il diritto nazionale, incluse le norme di procedura, non possa essere interpretato in conformità al diritto dell’Unione, i tribunali nazionali hanno l’obbligo di rimuoverle e basarsi direttamente sul diritto dell’Unione (128). La Corte (129) ha confermato che i giudici nazionali hanno l’obbligo di garantire la piena efficacia della direttiva, disapplicando all’occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi contraria disposizione della legislazione nazionale, anche posteriore. I giudici non sono pertanto tenuti a chiedere o attendere la previa rimozione di tale disposizione in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale. Vi rientrano i casi in cui il diritto nazionale non preveda la valutazione d’ufficio delle clausole abusive nei contratti oppure addirittura la impedisca, atteso che tale controllo è previsto dalla direttiva (130), ovvero i casi in cui il diritto nazionale violi altrimenti la direttiva o i principi di equivalenza o di effettività (131).

    Allo stesso tempo, gli Stati membri hanno l’obbligo di modificare le norme che non rispettano la direttiva, anche nei casi in cui vi sia incertezza sulla loro interpretazione (132).

    3.   IL TEST GENERALE DI ABUSIVITÀ E GLI OBBLIGHI DI TRASPARENZA

    3.1.   Abusività e trasparenza in generale

    Articolo 3, paragrafi 1 e 3

    1.

    Una clausola contrattuale, che non è stata oggetto di negoziato individuale, si considera abusiva se, malgrado il requisito della buona fede, determina, a danno del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto. […]

    3.

    L’allegato contiene un elenco indicativo e non esauriente di clausole che possono essere dichiarate abusive.

    Articolo 4

    1.

    Fatto salvo l’articolo 7, il carattere abusivo di una clausola contrattuale è valutato tenendo conto della natura dei beni o servizi oggetto del contratto e facendo riferimento, al momento della conclusione del contratto, a tutte le circostanze che accompagnano detta conclusione e a tutte le altre clausole del contratto o di un altro contratto da cui esso dipende.

    2.

    La valutazione del carattere abusivo delle clausole non verte né sulla definizione dell’oggetto principale del contratto, né sulla perequazione tra il prezzo e la remunerazione, da un lato, e i servizi o i beni che devono essere forniti in cambio, dall’altro, purché tali clausole siano formulate in modo chiaro e comprensibile.

    Articolo 5

    Nel caso di contratti di cui tutte le clausole o talune clausole siano proposte al consumatore per iscritto, tali clausole devono essere sempre redatte in modo chiaro e comprensibile. In caso di dubbio sul senso di una clausola, prevale l’interpretazione più favorevole al consumatore. Questa regola di interpretazione non è applicabile nell’ambito delle procedure previste all’articolo 7, paragrafo 2.

    Considerando 16

    Considerando […] che nel valutare la buona fede occorre rivolgere particolare attenzione alla forza delle rispettive posizioni delle parti, al quesito se il consumatore sia stato in qualche modo incoraggiato a dare il suo accordo alla clausola e se i beni o servizi siano stati venduti o forniti su ordine speciale del consumatore; che il professionista può soddisfare il requisito di buona fede trattando in modo leale ed equo con la controparte, di cui deve tenere presenti i legittimi interessi;

    Considerando 20

    Considerando che i contratti devono essere redatti in termini chiari e comprensibili, che il consumatore deve avere la possibilità effettiva di prendere conoscenza di tutte le clausole e che, in caso di dubbio, deve prevalere l’interpretazione più favorevole al consumatore;

    Punto 1, lettera i), dell’allegato della direttiva citato all’articolo 3, paragrafo 3

    1.

    Clausole che hanno per oggetto o per effetto di:

    […]

    i)

    constatare in modo irrefragabile l’adesione del consumatore a clausole di cui egli non ha avuto di fatto possibilità di prendere conoscenza prima della conclusione del contratto;

    j)

    autorizzare il professionista a modificare unilateralmente le condizioni del contratto senza valido motivo specificato nel contratto stesso;

    L’articolo 3, paragrafo 1, contiene il test generale con il quale occorre valutare il carattere abusivo delle clausole contrattuali utilizzate dai professionisti. Tale test generale deve essere riprodotto nelle norme degli Stati membri e deve essere applicato dalle autorità caso per caso nel valutare le singole clausole.

    Oltre al test generale di cui all’articolo 3, paragrafo 1, l’articolo 3, paragrafo 3, fa riferimento a un allegato che contiene un elenco indicativo e non esauriente di clausole contrattuali che possono essere dichiarate abusive (133).

    Inoltre, la direttiva contiene obblighi di trasparenza per i professionisti che utilizzano clausole contrattuali che non siano state oggetto di negoziato individuale. Essi sono espressi nelle norme che prevedono che le clausole contrattuali devono essere (formulate) in modo chiaro e comprensibile (articolo 4, paragrafo 2, e articolo 5 della direttiva) e nell’obbligo di fornire di fatto ai consumatori la possibilità di prendere conoscenza delle clausole contrattuali prima della conclusione del contratto (punto 1, lettera i), dell’allegato e considerando 20).

    In base alla direttiva, gli obblighi di trasparenza hanno tre funzioni:

    Ai sensi dell’articolo 5, seconda frase, le clausole contrattuali che non sono redatte in modo chiaro e comprensibile devono essere interpretate a favore del consumatore (134).

    Ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, l’oggetto principale o la perequazione tra il prezzo e la remunerazione stabiliti nel contratto sono soggetti a una valutazione conformemente all’articolo 3, paragrafo 1, soltanto nella misura in cui tali clausole non siano redatte in modo chiaro e comprensibile (135).

    Il mancato rispetto degli obblighi di trasparenza può costituire un elemento nella valutazione del carattere abusivo di una determinata clausola contrattuale (136) e può persino essere indice di abusività (137).

    La Corte ha fornito orientamenti sia sugli obblighi di trasparenza che i professionisti devono rispettare, sia sui criteri per il test generale di abusività. Ulteriori dettagli sulla trasparenza sono riportati nella sezione 3.3, mentre la sezione 3.4 fornisce maggiori informazioni sul test generale di abusività.

    Allo stesso tempo, la Corte ha ripetutamente ribadito (138) che, sebbene il suo ruolo sia fornire orientamenti sull’interpretazione della trasparenza e del carattere abusivo, spetta alle autorità nazionali, in particolari ai giudici nazionali, valutare la trasparenza e il carattere abusivo delle specifiche clausole contrattuali alla luce delle specifiche circostanze di ciascun caso. La Corte (139) si è espressa sull’argomento nei termini seguenti:

    «42

    Se è vero che la Corte, nell’ambito dell’esercizio della competenza ad essa conferita all’articolo 234 CE (140), al punto 22 della citata sentenza Océano Grupo Editorial e Salvat Editores, ha interpretato i criteri generali utilizzati dal legislatore comunitario per definire la nozione di clausola abusiva, è pur vero che essa non può pronunciarsi sull’applicazione di tali criteri generali ad una clausola particolare che dev’essere esaminata in relazione alle circostanze proprie al caso di specie (v. sentenza Freiburger Kommunalbauten, cit., punto 22).

    43

    Alla luce di quanto suesposto spetta al giudice del rinvio stabilire se una clausola contrattuale possa essere qualificata abusiva ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva».

    Spetta al giudice nazionale stabilire se, date le circostanze proprie del caso di specie, una clausola soddisfi i requisiti di buona fede, equilibrio e trasparenza.

    Lo stesso dicasi per quanto riguarda l’esame per verificare se una clausola contrattuale rientri nel concetto di «oggetto principale del contratto» o se la sua valutazione si riferisca alla perequazione tra il prezzo e la remunerazione ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva (141).

    Alla luce di quanto sopra, la Corte (142) si è generalmente astenuta dal fornire una valutazione definitiva del carattere abusivo di una specifica clausola contrattuale, lasciando tale valutazione al giudice nazionale del rinvio. Tuttavia, in alcuni casi, la Corte ha comunque fornito indicazioni abbastanza chiare circa il carattere abusivo di una determinata clausola contrattuale (143).

    I giudici nazionali potrebbero elaborare criteri più specifici per la valutazione del carattere abusivo delle clausole contrattuali, purché conformi alla metodologia stabilita dalla Corte (144). Laddove i massimi organi giurisdizionali nazionali, nell’interesse di garantire un’interpretazione uniforme del diritto, adottino decisioni in merito alle modalità di attuazione della direttiva, tali decisioni non possono impedire ai singoli giudici di garantire la piena efficacia di tale direttiva e di offrire ai consumatori la possibilità di un ricorso effettivo, né di richiedere alla Corte di pronunciarsi in via pregiudiziale (145).

    La presente comunicazione non può contenere tutta la ricca giurisprudenza in materia di valutazione dei tipi particolari di clausole contrattuali esistenti negli Stati membri.

    3.2.   Particolarità delle clausole contrattuali relative all’oggetto principale del contratto o al prezzo e alla remunerazione (articolo 4, paragrafo 2, della direttiva)

    Rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva le clausole contrattuali relative all’oggetto principale del contratto o al prezzo e alla remunerazione (146). La particolarità di tali clausole contrattuali risiede nel fatto che, secondo la norma minima prevista all’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva (147), la valutazione del loro carattere abusivo di cui all’articolo 3, paragrafo 1, è esclusa (148) o limitata (149), laddove esse siano redatte in modo chiaro e comprensibile o, in altre parole, laddove tali clausole soddisfino gli obblighi di trasparenza della direttiva.

    Poiché l’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva stabilisce un’eccezione all’applicazione del test di abusività di cui all’articolo 3, paragrafo 1, tale disposizione deve essere interpretata restrittivamente (150). Inoltre, l’articolo 4, paragrafo 2, deve essere interpretato uniformemente all’interno dell’Unione europea, tenendo conto della finalità della direttiva (151). È competenza dei giudici nazionali determinare nei singoli casi se una determinata clausola contrattuale (a) sia relativa alla definizione dell’oggetto principale del contratto o se l’esame del suo carattere abusivo implicherebbe una valutazione della perequazione tra il prezzo e la remunerazione (152) e (b) se sia redatta in modo chiaro e comprensibile. (153).

    3.2.1.   Clausole contrattuali relative alla definizione dell’oggetto principale del contratto

    La Corte ha affermato che le clausole contrattuali rientranti nella nozione di «oggetto principale del contratto», ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva, devono intendersi come quelle che fissano le prestazioni essenziali dello stesso contratto e che, come tali, lo caratterizzano (154). Al contrario, le clausole che sono meramente accessorie non possono rientrare nella nozione di «oggetto principale del contratto» (155). Al fine di determinare se una clausola rientri nella nozione di «oggetto principale del contratto», è necessario considerare la natura, l’impianto sistematico e le disposizioni del contratto, nonché il contesto giuridico e fattuale nel quale lo stesso si colloca (156).

    La Corte (157) si è espressa sull’argomento nei termini seguenti in relazione ai prestiti in valuta:

    «37

    Nel caso di specie, da numerosi elementi del fascicolo sottoposto alla Corte si deduce che una clausola, […], inserita in un contratto di credito stipulato in una valuta estera concluso tra un professionista e un consumatore, e che non è stata oggetto di un negoziato individuale, in forza della quale il credito deve essere restituito nella medesima valuta, rientra nella nozione di “oggetto principale del contratto”, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13.

    38

    […] il fatto che un credito debba essere rimborsato in una certa valuta riguarda, in linea di principio, non già una modalità accessoria di pagamento, bensì la natura stessa dell’obbligazione del debitore, costituendo così un elemento essenziale del contratto di mutuo».

    A tal riguardo, la Corte (158) ha sottolineato la differenza tra le clausole contrattuali che prevedono che il credito debba essere rimborsato nella stessa valuta estera in cui è stato concesso e quelle in base alle quali un prestito espresso in valuta estera doveva essere rimborsato in valuta nazionale in funzione del corso di vendita della valuta estera applicato dall’istituto bancario (159). La Corte ha ritenuto (160) che una clausola contrattuale, inserita in un contratto di mutuo espresso in una valuta estera, in forza della quale il prestito deve essere restituito nella stessa valuta estera nella quale è stato contratto, fissa una prestazione essenziale che caratterizza tale contratto. Pertanto, essa si riferisce all’«oggetto principale del contratto» ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2. A tal riguardo, è irrilevante se l’importo del credito sia erogato al consumatore in valuta locale e non in quella prevista nel contratto (161). Di contro, la Corte ha ritenuto che una clausola che definisce il meccanismo di conversione della valuta debba essere considerata di carattere accessorio (162).

    3.2.2.   Clausole contrattuali relative al prezzo e alla remunerazione

    Le clausole relative al prezzo e alla remunerazione, vale a dire agli obblighi finanziari del consumatore, sono, in linea di principio, soggette al test di abusività di cui all’articolo 3, paragrafo 1. Tuttavia, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2 (163), il test di abusività potrebbe includere una valutazione della perequazione tra il prezzo e la remunerazione, ovvero, come espresso nel considerando 19, del «rapporto qualità/prezzo della fornitura o della prestazione» soltanto laddove le relative clausole non fossero trasparenti. Viceversa, il carattere abusivo di altri aspetti relativi al prezzo o alla remunerazione, come la possibilità di modifiche unilaterali del prezzo o il meccanismo che le regola, deve essere valutata anche nel caso in cui le relative clausole siano pienamente trasparenti.

    La Corte (164), in relazione a un contratto di mutuo, ha descritto come segue la limitazione relativa alla valutazione di tali clausole contrattuali:

    «Le clausole relative alla contropartita dovuta dal consumatore al mutuante o che incidono sul prezzo effettivo da pagare a quest’ultimo da parte del consumatore non rientrano dunque, in linea di principio, in tale seconda categoria di clausole, salvo per quanto riguarda la questione se l’importo della contropartita o del prezzo quale stabilito nel contratto sia commisurato al servizio fornito in cambio dal mutuante».

    La Corte (165) ha altresì chiarito che le clausole contrattuali sulle modifiche delle spese sono pienamente soggette al test di abusività di cui all’articolo 3, paragrafo 1.

    «[…] Tale esclusione non può, tuttavia, applicarsi ad una clausola che verte su un meccanismo di modifica delle spese dei servizi da prestare al consumatore».

    Tale posizione è coerente con il fatto che l’allegato della direttiva stabilisce condizioni che le clausole sulle modifiche del prezzo devono normalmente rispettare al fine di non essere considerate abusive (166).

    Inoltre, la Corte ritiene che il fatto che una determinata commissione avrebbe dovuto essere inclusa nel calcolo del costo totale di un credito al consumo ai sensi della direttiva 2008/48/CE, non indica che l’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva si applichi alla clausola contrattuale che fissa tale commissione (167).

    Infine, la Corte ha chiarito che l’adeguatezza del prezzo o della remunerazione è esclusa dalla valutazione del carattere abusivo soltanto laddove le relative clausole stabiliscano una remunerazione effettiva per un prodotto o servizio fornito (168). Su tali basi, la Corte (169) ha stabilito:

    «[…] un’esclusione siffatta non può essere applicata a clausole che […] si limitano a determinare, in vista del calcolo dei rimborsi, il corso di conversione della valuta estera in cui è redatto il contratto di mutuo, senza però che alcun servizio di cambio fosse fornito dal mutuante in occasione del suddetto calcolo e non implicano pertanto alcuna “remunerazione” la cui congruità, quale contropartita di una prestazione effettuata dal medesimo, non può essere oggetto di una valutazione del suo carattere abusivo a norma dell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13».

    3.3.   Obblighi di trasparenza

    3.3.1.   Obblighi di trasparenza previsti dalla direttiva

    Gli obblighi di trasparenza della direttiva si applicano a tutti i tipi di clausole contrattuali (non oggetto di negoziato individuale (170)) che rientrino nell’ambito di applicazione della direttiva (171).

    La Corte ha interpretato in senso ampio l’obbligo di cui all’articolo 4, paragrafo 2, e all’articolo 5, secondo cui le clausole contrattuali devono essere redatte in modo chiaro e comprensibile. A tal riguardo, la Corte ha altresì considerato che, in base al punto 1, lettera e), dell’allegato della direttiva, il fatto che i consumatori non abbiano avuto di fatto possibilità di prendere conoscenza di una clausola contrattuale (172), costituisce indice del loro carattere abusivo.

    Sebbene la Corte non si sia specificamente occupata di molti dei fattori di seguito citati, a parere della Commissione, i seguenti fattori saranno rilevanti per valutare se una determinata clausola contrattuale sia chiara e comprensibile ai sensi della direttiva:

    se il consumatore ha avuto di fatto la possibilità di prendere conoscenza di una clausola contrattuale prima della conclusione del contratto; ciò include la questione se il consumatore abbia avuto accesso alla o alle clausole contrattuali e se abbia avuto l’opportunità di leggerle; laddove una clausola contrattuale si riferisca a un allegato o a un altro documento, il consumatore deve avere accesso anche a tali documenti;

    la comprensibilità delle singole clausole, alla luce della chiarezza della formulazione e della specificità della terminologia utilizzata, nonché, ove opportuno, in combinato disposto con altre clausole contrattuali (173). A tale proposito, deve essere presa in considerazione la posizione o la prospettiva dei consumatori cui sono rivolte le relative clausole (174), che includerà anche la questione se tali consumatori cui le relative clausole sono rivolte conoscano sufficientemente la lingua in cui esse sono redatte;

    il modo in cui vengono presentate le clausole contrattuali, che può includere aspetti quali:

    la chiarezza della presentazione visiva, incluse le dimensioni del carattere;

    se un contratto è strutturato in modo logico e se le condizioni importanti sono messe in evidenza nel modo che meritano e non nascoste tra le altre disposizioni; o

    se le clausole sono contenute in un contratto o contesto in cui è ragionevolmente prevedibile trovarle, incluso unitamente ad altre relative clausole contrattuali ecc.

    Ad esempio, le clausole contrattuali il cui impatto può essere compreso soltanto leggendole congiuntamente, non dovrebbero essere presentate in modo tale da celare il loro impatto congiunto, ad esempio collocandole in parti diverse del contratto (175).

    La Corte ha derivato dall’articolo 4, paragrafo 2, e dall’articolo 5, talvolta facendo riferimento anche al considerando 20 e all’allegato della direttiva, in particolare i punti 1, lettere i) e j), standard di trasparenza, inclusi gli obblighi di informazione, che vanno oltre gli aspetti sopra richiamati. A tal riguardo, la Corte ha anche utilizzato il termine requisiti di «trasparenza sostanziale» (176). Secondo la Corte «l’obbligo di trasparenza delle clausole contrattuali […] non potrebbe essere limitato unicamente al carattere comprensibile sui piani formale e grammaticale di queste ultime» ma richiede che il «consumatore sia posto in grado di valutare […] le conseguenze economiche» di una clausola contrattuale o di un contratto (177):

    «44

    Per quanto riguarda l’obbligo di trasparenza delle clausole contrattuali, quale risulta dall’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13, la Corte ha sottolineato che tale obbligo, richiamato ugualmente all’articolo 5 di tale direttiva, non potrebbe essere limitato unicamente al carattere comprensibile sui piani formale e grammaticale di queste ultime, ma, al contrario, poiché il sistema di tutela istituito dalla suddetta direttiva si fonda sull’idea che il consumatore si trova in una situazione di inferiorità rispetto al professionista per quanto riguarda, in particolare, il grado di informazione, tale obbligo di redazione chiara e comprensibile delle clausole contrattuali e, dunque, di trasparenza, introdotto dalla medesima direttiva, deve essere interpretato in modo estensivo […]» (178).

    «45

    Pertanto, il requisito secondo cui una clausola contrattuale deve essere redatta in modo chiaro e comprensibile deve essere inteso nel senso che impone anche che il contratto esponga in maniera trasparente il funzionamento concreto del meccanismo al quale si riferisce la clausola in parola nonché, se del caso, il rapporto fra tale meccanismo e quello prescritto da altre clausole, di modo che tale consumatore sia posto in grado di valutare, sul fondamento di criteri precisi e intelligibili, le conseguenze economiche che gliene derivano[…]» (179).

    Tale modo generale di intendere la trasparenza comporta che i professionisti devono fornire informazioni chiare ai consumatori sulle clausole contrattuali e sulle loro implicazioni/conseguenze prima della conclusione del contratto. La Corte ha ripetutamente evidenziato l’importanza di tali informazioni affinché i consumatori possano comprendere la portata dei loro diritti e obblighi previsti dal contratto prima di essere vincolati dallo stesso. La Corte (180) ha affermato che:

    «[…] secondo una giurisprudenza costante della Corte, le informazioni, prima della conclusione di un contratto, in merito alle condizioni contrattuali ed alle conseguenze di detta conclusione, sono, per un consumatore, di fondamentale importanza. È segnatamente in base a tali informazioni che quest’ultimo decide se desidera vincolarsi alle condizioni preventivamente redatte dal professionista […]» (181).

    La Corte ha specificato ulteriormente i requisiti, in particolare per quanto concerne le clausole contrattuali che sono essenziali per la portata degli obblighi che i consumatori accettano di assumere, ad esempio in merito alle clausole contrattuali rilevanti per la definizione dei pagamenti che i consumatori devono effettuare in conformità a un contratto di mutuo. Alcune di queste sentenze riguardano in particolare i contratti di credito con concessione di ipoteca (espressi) in una valuta estera o indicizzati in una valuta estera. La Corte ha sintetizzato come segue lo standard che i professionisti sono tenuti a rispettare (182):

    «[…] spetta al giudice nazionale, quando valuta le circostanze ricorrenti al momento della conclusione del contratto, verificare che, nella causa in discussione, sia stato comunicato al consumatore il complesso degli elementi idonei a incidere sulla portata del suo impegno e che gli consentono di valutare, segnatamente, il costo totale del suo mutuo.

    Svolgono un ruolo determinante in siffatta valutazione, da un lato, la questione di accertare se le clausole siano formulate in modo chiaro e comprensibile tale da consentire a un consumatore medio, ossia un consumatore normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto, di valutare un costo del genere e,

    d’altro lato, la circostanza collegata alla mancata menzione nel contratto di credito delle informazioni considerate come essenziali alla luce della natura dei beni o dei servizi che costituiscono l’oggetto del suddetto contratto.[…]» (183).

    La Corte ha applicato tali standard, ad esempio, al funzionamento dei meccanismi di conversione della valuta che si applicano ai contratti di mutuo indicizzati in una valuta estera (184) nonché agli interessi e alle commissioni dovuti, incluso il loro adattamento, conformemente a un contratto di credito al consumo (185). Inoltre, la Corte ha applicato tali standard di trasparenza al fatto che, in relazione ai prestiti contratti in valute estere, i consumatori si espongono al rischio di svalutazione della moneta nella quale percepiscono il proprio reddito (186). Tale svalutazione potrebbe infatti incidere sulla loro capacità di rimborsare il prestito. In tali casi, la Corte impone ai professionisti di esporre le possibili variazioni dei tassi di cambio e i rischi inerenti alla sottoscrizione di un mutuo in valuta estera e chiede al giudice nazionale di verificare che il professionista abbia comunicato al consumatore interessato tutte le informazioni pertinenti che gli permettano di valutare i suoi obblighi finanziari (187). Sarà altresì rilevante che il professionista conferisca la opportuna preminenza a tali importanti informazioni.

    La Corte ha inoltre affermato che i giudici nazionali, nel valutare la conformità con gli obblighi di trasparenza, devono verificare se i consumatori abbiano ricevuto le informazioni richieste (188) e devono anche tenere conto della pubblicità e delle informazioni fornite dal mutuante nell’ambito della negoziazione del contratto di mutuo (189).

    Laddove la natura della clausola contrattuale imponga ai professionisti di fornire alcune informazioni o spiegazioni prima della conclusione del contratto, essi dovranno altresì assumersi l’onere della prova di aver fornito ai consumatori le informazioni necessarie per poter sostenere che le relative clausole sono chiare e comprensibili (190).

    Sebbene le sentenze sulla trasparenza siano spesso relative a clausole contrattuali che definiscono l’oggetto principale del contratto o la remunerazione ovvero a clausole contrattuali strettamente connesse a tali aspetti fondamentali del contratto, gli obblighi di trasparenza di cui all’articolo 5 non sono limitati al tipo di clausole indicato nell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva. La trasparenza, inclusa la prevedibilità, costituisce un aspetto importante, anche in relazione alle modifiche unilaterali del contratto, in particolare le variazioni delle spese, ad esempio, nei contratti di mutuo o nei contratti di fornitura a lungo termine (191).

    Sebbene tutte le clausole contrattuali debbano essere redatte in modo chiaro e comprensibile, è probabile che la portata degli obblighi di informazione pre-contrattuale dei professionisti derivanti dalla direttiva dipenda anche dall’importanza della clausola contrattuale ai fini della transazione e dal suo impatto economico.

    La Corte (192) è stata chiamata a fornire indicazioni sui criteri di trasparenza per l’inclusione in un contratto di mutuo ipotecario di un indice di riferimento per il tasso di interesse applicabile stabilito da una banca nazionale.

    3.3.2.   Obblighi di trasparenza derivanti da altri atti dell’UE

    Vari atti dell’UE disciplinano in modo dettagliato le informazioni pre-contrattuali che i professionisti devono fornire ai consumatori in generale o rispetto a specifici tipi di contratti. Tra gli esempi si annoverano la direttiva sulle pratiche commerciali sleali (193), la direttiva sui diritti dei consumatori (194), la direttiva sul credito al consumo (195), la direttiva sui crediti ipotecari (196), la direttiva relativa ai pacchetti turistici (197), il codice europeo delle comunicazioni elettroniche (198), il regolamento (CE) n. 1008/2008 sui servizi aerei (199) e le direttive 2009/72/CE (200) e 2009/73/CE (201) relative a norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica e del gas naturale. Tali atti potrebbero anche disciplinare i contenuti obbligatori dei relativi contratti (202) e contenere norme sull’ammissibilità delle modifiche contrattuali e la loro trasparenza (203).

    La direttiva non pregiudica tali disposizioni e le conseguenze del mancato rispetto delle stesse indicate in tali specifici strumenti (204).

    Nella misura in cui si applichino gli obblighi specifici di informazione pre-contrattuale e contrattuale, essi dovranno essere tenuti presenti, caso per caso, anche per gli obblighi di trasparenza previsti dalla direttiva e alla luce della finalità e dell’ambito di applicazione di tali strumenti.

    Pertanto, ad esempio, in relazione alla normativa dell’UE in materia di credito al consumo (205), la Corte ha sottolineato l’importanza che i consumatori dispongano di tutti gli elementi idonei a incidere sulla portata del loro impegno (206) e, pertanto, di presentare il costo globale del credito sotto forma di una formula matematica unica (207). Ne consegue, che l’omessa indicazione del tasso annuo effettivo globale (TAEG) come previsto dalle norme dell’UE sul credito al consumo (208) costituisca una «prova decisiva» per determinare se la clausola del contratto relativa al costo globale del credito sia redatta in modo chiaro e comprensibile. Ciò è vero anche quando non vengono fornite le necessarie informazioni sul calcolo del TAEG (209). Lo stesso principio deve applicarsi nel caso in cui il TAEG indicato sia errato o fuorviante. Laddove non vengano fornite le informazioni sul costo globale del prestito previste dalle norme dell’UE sul credito al consumo ovvero laddove l’indicazione sia ingannevole, le relative clausole saranno, di conseguenza, considerate non redatte in modo chiaro e comprensibile.

    Per quanto riguarda i contratti di credito ipotecario con i consumatori, tutte le sentenze emanate finora dalla Corte si riferivano ai contratti conclusi prima dell’entrata in vigore della direttiva 2014/17/UE (210) in merito ai contratti di credito ai consumatori relativi a beni immobili residenziali. Per tale ragione, la Corte non si è ancora pronunciata sul rapporto tra gli specifici obblighi di informazione previsti dalla direttiva 2014/17/UE e gli obblighi di trasparenza di cui alla direttiva. La direttiva 2014/17/UE impone elevati standard di trasparenza, richiedendo che vengano rese disponibili ai consumatori informazioni generali chiare e comprensibili relative ai contratti di credito, attraverso il Prospetto informativo europeo standardizzato (PIES) e il calcolo del tasso annuo effettivo globale (TAEG). In relazione ai prestiti in valuta estera, l’articolo 23, paragrafo 6, della direttiva 2014/17/UE richiede che creditori e intermediari comunichino al consumatore, nel PIES e nel contratto di credito, le disposizioni che gli consentono di limitare il rischio di cambio a cui è esposto nel corso della durata del credito. Se nel contratto di credito non esiste alcuna disposizione volta a limitare il rischio di cambio a cui il consumatore è esposto nel caso di una fluttuazione inferiore al 20 %, il PIES include un esempio illustrativo dell’impatto di una fluttuazione del 20 % sul tasso di cambio.

    La Corte ha applicato in modo complementare (211) gli obblighi di trasparenza derivanti dalla direttiva 2003/55/CE (212) relativa a norme comuni per il mercato interno del gas naturale e dalla direttiva.

    Il fatto che un professionista abbia rispettato i requisiti di settore specifici costituisce un elemento importante per valutare la conformità con gli obblighi di trasparenza di cui alla direttiva. Tuttavia, data l’applicabilità parallela della direttiva e della normativa settoriale, la conformità rispetto a tali strumenti non indica automaticamente il rispetto di tutti gli obblighi di trasparenza previsti dalla direttiva. Inoltre, il fatto che un determinato atto non contenga requisiti di informazione specifici non esclude gli obblighi di informazione previsti nella direttiva rispetto alle clausole contrattuali che i professionisti aggiungono di loro iniziativa.

    3.4.   Valutazione del carattere abusivo ai sensi degli articoli 3 e 4, paragrafo 1, della direttiva

    3.4.1.   Il quadro della valutazione di cui all’articolo 3, paragrafo 1, e all’articolo 4, paragrafo 1

    Ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, le clausole contrattuali devono essere considerate abusive se:

    in contrasto con il requisito della buona fede;

    determinano, a danno del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto.

    Sebbene la Corte non sia finora stata chiamata a spiegare il rapporto tra tali due criteri, la formulazione dell’articolo 3, paragrafo 1, e del considerando 16 suggerisce che l’assenza di buona fede è collegata al significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi creato da una clausola contrattuale. Il considerando 16 si riferisce al potere di trattativa delle parti e spiega che il requisito della «buona fede» riguarda il fatto che un professionista tratti in modo leale ed equo con il consumatore, di cui deve tenere presenti i legittimi interessi. A tal riguardo, la Corte (213) ritiene che sia particolarmente rilevante considerare se il professionista avrebbe potuto ragionevolmente aspettarsi che il consumatore aderisse alla clausola nell’ambito di un negoziato individuale:

    «Per chiarire quali siano le circostanze in cui un tale squilibrio sia creato “malgrado il requisito della buona fede”, occorre constatare che, alla luce del considerando 16 della direttiva 93/13, a tal fine il giudice nazionale deve verificare se il professionista, qualora avesse trattato in modo leale ed equo con il consumatore, avrebbe potuto ragionevolmente aspettarsi che quest’ultimo aderisse ad una siffatta clausola nell’ambito di un negoziato individuale […]» (214).

    Ciò conferma che, ai fini dell’articolo 3, paragrafo 1, il concetto di buona fede è un fattore oggettivo legato al fatto che la clausola contrattuale in questione, alla luce del suo contenuto, sia compatibile con pratiche di mercato leali ed eque che tengano sufficientemente conto dei legittimi interessi del consumatore. Pertanto, esso è strettamente legato (215) all’equilibrio/squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti.

    La valutazione del significativo squilibrio richiede un esame del modo in cui la clausola contrattuale può influenzare i diritti e gli obblighi delle parti. Qualora vi siano disposizioni complementari da cui il contratto si discosta, esse costituiranno il criterio principale per valutare il significativo squilibrio tra i diritti e gli obblighi delle parti (216). Laddove non vi siano disposizioni legislative rilevanti, il significativo squilibrio dovrà essere valutato alla luce degli altri punti di riferimento, quali pratiche di mercato leali ed eque o un confronto dei diritti e degli obblighi delle parti sulla base di una particolare clausola, tenendo conto della natura del contratto e delle altre relative clausole contrattuali.

    Conformemente all’articolo 4, paragrafo 1 (217), il carattere abusivo di una clausola contrattuale dev’essere valutato tenendo conto:

    della natura dei beni o servizi oggetto del contratto;

    di tutte le altre clausole del contratto o di un altro contratto da cui esso dipende; e

    di tutte le circostanze che accompagnano la conclusione del contratto.

    Gli Stati membri possono discostarsi dal test di abusività generale unicamente a beneficio dei consumatori, vale a dire soltanto laddove le norme nazionali di recepimento consentano più facilmente di concludere che una clausola contrattuale è abusiva (218).

    L’elenco indicativo delle clausole contrattuali contenuto nell’allegato (219) della direttiva costituisce un elemento essenziale su cui fondare la valutazione relativa all’eventuale carattere abusivo di una determinata clausola ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1 (220). Al contrario, quando una determinata clausola contrattuale figura in una «lista nera» nazionale, non è necessario effettuare una valutazione caso per caso basata sui criteri di cui all’articolo 3, paragrafo 1. Una logica simile si applicherà laddove uno Stato membro abbia adottato un elenco di clausole contrattuali che si considerano abusive.

    3.4.2.   La rilevanza delle disposizioni legislative e l’importanza dello squilibrio

    Quando valutano se una clausola contrattuale «determina, a danno del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti», i giudici nazionali devono, in primo luogo, raffrontare la clausola contrattuale in questione con le eventuali disposizioni che si applicherebbero nel diritto nazionale in mancanza di tale clausola contrattuale (221), vale a dire le disposizioni complementari. Tali modelli legislativi si ritrovano in particolare nel diritto contrattuale nazionale, ad esempio nelle norme che determinano le conseguenze del mancato adempimento di determinati obblighi contrattuali di una parte, che possono includere le condizioni in base alle quali è possibile richiedere sanzioni, come gli interessi di mora, o le disposizioni sul tasso d’interesse legale (222)

    Sarà proprio una siffatta analisi comparatistica a consentire al giudice nazionale di valutare se e in che misura la clausola contrattuale collochi il consumatore in una situazione giuridica meno favorevole rispetto a quella altrimenti prevista dal diritto contrattuale applicabile. La clausola contrattuale potrebbe rendere la situazione giuridica meno favorevole per i consumatori, ad esempio laddove essa limiti i diritti di cui essi godrebbero altrimenti, o potrebbe aggiungere un vincolo al loro esercizio. Essa potrebbe inoltre imporre un ulteriore obbligo in capo al consumatore non previsto dalle relative norme nazionali (223).

    Lo squilibrio tra i diritti e gli obblighi a danno del consumatore è significativo laddove vi sia un «pregiudizio sufficientemente grave alla situazione giuridica in cui il consumatore […] viene collocato in forza delle disposizioni nazionali applicabili» (224). Ciò non richiede necessariamente che la clausola debba avere un impatto economico significativo rispetto al valore della transazione (225). Pertanto, ad esempio, una clausola contrattuale che impone al consumatore il pagamento di un’imposta che, ai sensi della legislazione nazionale applicabile, dovrebbe gravare sul professionista, può creare un significativo squilibrio tra i diritti e gli obblighi delle parti, indipendentemente dagli importi che il consumatore dovrà alla fine pagare in conformità a tale clausola contrattuale (226).

    L’effetto di una clausola contrattuale dipenderà anche dalle sue conseguenze nell’ambito del sistema giuridico nazionale applicabile al contratto, il che significa che potrebbero dover essere prese in considerazione anche altre disposizioni di legge, incluse norme di procedura (227). In tale contesto, potrebbe essere rilevante anche la difficoltà per il consumatore di far cessare l’inserzione del tipo di clausola contrattuale in questione (228).

    La Corte ha descritto come segue la valutazione del significativo squilibrio tra i diritti e gli obblighi delle parti (229):

    «21

    A tal proposito, la Corte ha dichiarato che, per appurare se una clausola determini, a danno del consumatore, un “significativo squilibrio” dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto, occorre tener conto, in particolare, delle disposizioni applicabili nel diritto nazionale in mancanza di un accordo tra le parti in tal senso. Sarà proprio una siffatta analisi comparatistica a consentire al giudice nazionale di valutare se, ed eventualmente in che misura, il contratto collochi il consumatore in una situazione giuridica meno favorevole rispetto a quella prevista dal vigente diritto nazionale […] (230).

    22

    Sembra quindi che la questione se un tale significativo squilibrio esista non possa limitarsi ad una valutazione economica di natura quantitativa che si basi su un confronto tra il valore complessivo dell’operazione oggetto del contratto, da un lato, e i costi posti a carico del consumatore da tale clausola, dall’altro.

    23

    Al contrario, un significativo squilibrio può risultare dal mero fatto di un pregiudizio sufficientemente grave alla situazione giuridica in cui il consumatore, quale parte del contratto di cui trattasi, viene collocato in forza delle disposizioni nazionali applicabili, sia esso in forma di restrizione al contenuto dei diritti che, ai sensi di tali disposizioni, egli trae da tale contratto o di ostacolo all’esercizio dei medesimi o ancora dell’imposizione di un obbligo ulteriore, non previsto dalla disciplina nazionale.

    24

    A tal proposito, la Corte ha ricordato che, conformemente all’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva, il carattere abusivo di una clausola contrattuale dev’essere valutato tenendo conto della natura dei beni o servizi oggetto del contratto di cui trattasi e facendo riferimento a tutte le circostanze che hanno accompagnato la sua conclusione e a tutte le altre clausole di tale contratto […] (231). Ne discende che, in questo contesto, devono altresì essere valutate le conseguenze che la detta clausola può avere nell’ambito del diritto applicabile a un contratto siffatto, il che implica un esame del sistema giuridico nazionale […]» (232).

    Laddove gli accordi contrattuali violino una disposizione legislativa del diritto nazionale o del diritto contrattuale dell’UE da cui le parti non possono discostarsi mediante contratto, tali pattuizioni contrattuali saranno in genere invalide già direttamente in virtù di tali disposizioni. Le clausole contrattuali che non siano state oggetto di negoziato individuale e che si discostano da tali disposizioni violeranno verosimilmente anche l’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva.

    3.4.3.   Sanzioni o conseguenze del mancato adempimento degli obblighi contrattuali da parte del consumatore

    Al fine di non causare un significativo squilibrio a danno del consumatore, le sanzioni o conseguenze associate al mancato adempimento degli obblighi contrattuali da parte del consumatore stesso devono essere giustificate alla luce dell’importanza dell’obbligo del consumatore e della gravità dell’inadempimento (233). In altre parole, esse devono essere proporzionate (234). Tale valutazione deve includere la questione se la clausola contrattuale deroghi dalle disposizioni normative che si applicherebbero in assenza di una siffatta clausola contrattuale e, laddove la clausola conduca a una particolare procedura, i mezzi processuali a disposizione del consumatore (235).

    La Corte (236) ha presentato i relativi criteri per quanto concerne le cosiddette clausole di «risoluzione anticipata» nei contratti di mutuo ipotecario che consentono al creditore di avviare procedimenti di esecuzione su un bene ipotecato descrivendoli nel seguente modo:

    «[…] L’articolo 3, paragrafi 1 e 3, della direttiva 93/13, nonché i punti 1, lettere e) e g), e 2, lettera a), del suo allegato devono essere interpretati nel senso che, al fine di valutare il carattere abusivo di una clausola di scadenza anticipata di un mutuo ipotecario, […], rivestono segnatamente un’importanza essenziale:

    se la facoltà riconosciuta al professionista di risolvere unilateralmente il contratto dipenda dall’inadempimento da parte del consumatore di un’obbligazione che presenta un carattere essenziale nel contesto del rapporto contrattuale in esame;

    se tale facoltà sia prevista per le ipotesi in cui siffatto inadempimento riveste un carattere sufficientemente grave rispetto alla durata e all’importo del mutuo;

    se detta facoltà deroghi alle norme applicabili in mancanza di accordo tra le parti, rendendo più arduo per il consumatore, visti gli strumenti processuali di cui dispone, l’accesso alla giustizia nonché l’esercizio dei diritti della difesa; e

    se il diritto nazionale preveda mezzi adeguati ed efficaci che consentano al consumatore al quale siffatta clausola è stata opposta di ovviare agli effetti del recesso unilaterale del contratto di mutuo.

    Spetta al giudice del rinvio effettuare tale valutazione, in funzione di tutte le circostanze proprie della controversia di cui è investito».

    Per quanto riguarda gli interessi moratori, la Corte (237) ha spiegato tale test come segue:

    «[…], per quanto riguarda la clausola relativa alla fissazione degli interessi di mora, occorre ricordare che, alla luce del punto 1, lettera e), dell’allegato della direttiva, letto in combinato disposto con le disposizioni degli articoli 3, paragrafo 1, e 4, paragrafo 1, della direttiva, il giudice del rinvio dovrà verificare in particolare, […], da un lato, le norme nazionali applicabili tra le parti, nelle ipotesi in cui non sia stato concluso alcun accordo nel contratto in oggetto o nei vari contratti di questo tipo stipulati con i consumatori e, dall’altro, il livello del tasso di interesse di mora stabilito, rispetto al tasso di interesse legale, onde appurare che esso sia idoneo a garantire il conseguimento delle finalità che esso persegue nello Stato membro interessato e non ecceda quanto necessario per realizzarle».

    In relazione alla proporzionalità (238) e, quindi, al carattere abusivo delle sanzioni previste nelle clausole contrattuali, la Corte ha altresì specificato (239) che è necessario valutare l’effetto cumulativo di tutte le clausole penali nel contratto in questione, indipendentemente dalla circostanza se realmente il creditore insista sul loro completo pagamento.

    Anche laddove soltanto l’effetto cumulativo delle sanzioni le renda sproporzionate, tutte le relative clausole contrattuali devono essere considerate abusive (240), indipendentemente dal fatto che siano state applicate (241).

    3.4.4.   Eventuale carattere abusivo del prezzo o della remunerazione

    Come menzionato in precedenza (242), secondo lo standard minimo della direttiva, la perequazione del prezzo o della remunerazione deve essere valutata ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, soltanto laddove le clausole contrattuali che determinano il prezzo o la remunerazione applicabile non siano state redatte in modo chiaro e comprensibile. Per la loro valutazione ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, nella misura in cui il relativo diritto nazionale non contenga disposizioni complementari, ad esempio, dovranno essere prese in considerazione le pratiche di mercato prevalenti al momento della conclusione del contratto nel comparare il corrispettivo pagato dal consumatore e il valore di un particolare bene o servizio (243). A titolo esemplificativo, per quanto concerne l’eventuale carattere abusivo degli interessi ordinari stabiliti in un contratto di mutuo, la Corte ha stabilito (244) che:

    «qualora il giudice del rinvio ritenga che una clausola contrattuale relativa al metodo di calcolo degli interessi ordinari […] non sia formulata in modo chiaro e comprensibile ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, di detta direttiva, spetta ad esso esaminare se tale clausola sia abusiva ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della medesima direttiva. Nell’ambito di tale esame, spetta, in particolare, a detto giudice confrontare il metodo di calcolo del tasso degli interessi ordinari previsto da tale clausola e l’importo effettivo di detto tasso che ne risulta con i metodi di calcolo abitualmente adottati e il tasso d’interesse legale nonché i tassi d’interesse praticati sul mercato alla data della conclusione del contratto di cui trattasi nel procedimento principale per un mutuo di importo e di durata equivalenti a quelli del contratto di mutuo considerato».

    Prendendo in considerazione anche il «requisito di buona fede» di cui all’articolo 3, paragrafo 1, la Commissione ritiene che soltanto le pratiche di mercato leali ed eque possano essere considerate ai fini di tale valutazione.

    3.4.5.   Circostanze al momento della conclusione del contratto

    Conformemente all’articolo 4, paragrafo 1, il carattere abusivo di una clausola contrattuale, ovvero il significativo squilibrio rispetto ai requisiti di buona fede, dev’essere valutato tenendo conto della natura del contratto, delle altre clausole del contratto e di altri contratti da cui esso dipende, nonché di «tutte le circostanze che accompagnano detta conclusione». Quest’ultimo aspetto non include le circostanze che si manifestano durante l’adempimento del contratto. Tuttavia, le circostanze che accompagnano la conclusione del contratto devono includere tutte quelle di cui il professionista era o, avrebbe potuto essere ragionevolmente, a conoscenza e che erano idonee a incidere sull’ulteriore esecuzione del contratto (245).

    Un esempio di tali circostanze è costituito dal rischio di variazioni del tasso di cambio inerente alla sottoscrizione di un mutuo in valuta estera, che potrebbe materializzarsi soltanto durante l’esecuzione del contratto. In tali casi, spetterà al giudice nazionale valutare, alla luce delle competenze e delle conoscenze del mutuante, se il rischio di cambio cui è esposto il consumatore è in linea con il requisito della buona fede, ovverosia se costituisca una pratica leale ed equa e, se esso dia luogo a un significativo squilibrio, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1 (246).

    Laddove le clausole contrattuali vengano modificate o sostituite, è ragionevole tenere conto delle circostanze prevalenti al momento della modifica o della sostituzione nel valutare le nuove clausole contrattuali (247).

    Il significativo squilibrio deve essere considerato con riguardo ai contenuti della clausola contrattuale e indipendentemente dal modo in cui è stata applicata in concreto (248). Ad esempio, laddove una clausola contrattuale consenta a un professionista di richiedere immediatamente il rimborso integrale del prestito nel caso in cui il consumatore ometta di pagare un certo numero di rate mensili, il carattere abusivo dovrà essere valutato in base al numero di rate mensili non versate richiesto nel contratto. Essa non potrà basarsi sul numero di rate mensili che il consumatore aveva effettivamente omesso di versare prima che il professionista invocasse la relativa clausola (249).

    3.4.6.   Rilevanza della mancanza di trasparenza per il carattere abusivo delle clausole contrattuali

    La mancanza di trasparenza non comporta automaticamente il carattere abusivo di una determinata clausola contrattuale ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva (250). Ciò significa che, dopo aver stabilito che una clausola contrattuale cui si applica l’articolo 4, paragrafo 2 (251), «non sia formulata in modo chiaro e comprensibile», normalmente il suo carattere abusivo deve comunque essere valutato secondo i criteri di cui all’articolo 3, paragrafo 1 (252). Al contrario, la mancanza di trasparenza non costituisce un elemento indispensabile nella valutazione del carattere abusivo ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1 (253), così che anche clausole contrattuali che sono perfettamente trasparenti possono essere abusive ai sensi del medesimo articolo 3, paragrafo 1, alla luce del loro contenuto non equilibrato (254).

    Tuttavia, nella misura in cui le clausole contrattuali non siano formulate in modo chiaro e comprensibile, ovverosia laddove i professionisti non rispettino gli obblighi di trasparenza, tale circostanza può contribuire a far ritenere abusiva una clausola contrattuale ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, o può persino indicarne il carattere abusivo. Il punto 1, lettera i), dell'allegato, in generale, e il punto 1, lettera j), dell'allegato, con particolare riguardo alle modifiche unilaterali delle clausole contrattuali, confermano che la mancanza di trasparenza potrebbe essere decisiva per il carattere abusivo delle clausole contrattuali.

    Diverse sentenze fanno riferimento alla mancanza di trasparenza come a un elemento (importante) per la valutazione del carattere abusivo quanto meno di particolari tipi di clausole contrattuali (255) o si riferiscono alla mancanza di trasparenza e al carattere abusivo delle clausole contrattuali come fossero un’unica cosa (256).

    La Corte ha evidenziato l’importanza della trasparenza per l’equità delle clausole contrattuali, ad esempio per quanto riguarda le clausole che consentono al professionista di modificare i prezzi pagati dal consumatore nei contratti a lungo termine (257), le clausole che determinano gli obblighi fondamentali dei consumatori nei contratti di prestito (258) o con riferimento alle clausole di scelta del diritto applicabile (259).

    La Corte ha indicato esplicitamente che, in relazione a una clausola di scelta del diritto applicabile che non riconosca il fatto che, ai sensi del regolamento Roma I, i consumatori possono sempre fare affidamento sulle norme più vantaggiose del loro Stato membro di residenza (260), tale omissione di informazioni o la natura ingannevole della clausola possono implicarne il carattere abusivo. La Corte (261), dopo aver richiamato il criterio del significativo squilibrio tra i diritti e gli obblighi delle parti, ha affermato che:

    «[i]n particolare, il carattere abusivo di una siffatta clausola può derivare da una formulazione che non soddisfi il requisito di redazione chiara e comprensibile stabilito dall’articolo 5 della direttiva 93/13 […]».

    Si potrebbe pertanto concludere che, a seconda dei contenuti della clausola contrattuale in questione e alla luce dell’impatto determinato dalla mancanza di trasparenza, l’eventuale carattere abusivo di una clausola contrattuale può essere strettamente correlato alla sua mancanza di trasparenza o che la mancanza di trasparenza di una clausola contrattuale può persino indicare il carattere abusivo della stessa. Tale circostanza potrebbe verificarsi, ad esempio, quando i consumatori non sono in grado di comprendere le conseguenze di una clausola oppure sono fuorviati.

    Invero, quando i consumatori vengono posti in una posizione di svantaggio sulla base di clausole contrattuali che sono poco chiare, nascoste o ingannevoli, o quando non vengono fornite le spiegazioni necessarie per comprendere le loro implicazioni, è improbabile che il professionista stesse trattando in modo leale ed equo con il consumatore, tenendo conto degli interessi legittimi di quest’ultimo.

    3.4.7.   Ruolo dell’allegato cui si rinvia nell’articolo 3, paragrafo 3, della direttiva

    Come indicato nell’articolo 3, paragrafo 3, della direttiva, l’allegato della direttiva contiene «soltanto» un elenco indicativo e non esauriente di clausole che possono essere dichiarate abusive. La Corte ha ripetutamente ribadito tale principio (262). Il carattere non esauriente dell’allegato e il principio dell’armonizzazione minima di cui all’articolo 8 della direttiva stanno a significare che la legislazione nazionale potrebbe estendere l’elenco o utilizzare formulazioni che conducono a standard più severi (263).

    Poiché l’elenco è soltanto indicativo, le clausole che vi figurano non dovrebbero automaticamente essere considerate abusive. Ciò significa che il loro carattere abusivo deve comunque essere valutato alla luce dei criteri generali definiti nell’articolo 3, paragrafo 1, e nell’articolo 4 della direttiva (264). La Corte ha specificato che le clausole presenti nell’allegato non devono necessariamente essere considerate abusive e, viceversa, una clausola che non vi figuri può tuttavia essere dichiarata abusiva (265). Ciononostante, l’allegato costituisce un elemento importante nella valutazione del carattere abusivo delle clausole contrattuali. Secondo quanto affermato dalla Corte,

    «Se è vero che il contenuto dell’allegato di cui trattasi non può stabilire automaticamente e di per sé il carattere abusivo di una clausola controversa, esso costituisce tuttavia un elemento essenziale sul quale il giudice competente può fondare la sua valutazione del carattere abusivo di tale clausola» (266).

    Laddove uno Stato membro (267) abbia adottato una «lista nera» di clausole che sono sempre considerate abusive (268), le clausole contrattuali che vi figurano non dovranno essere valutate ai sensi delle norme nazionali di recepimento dell’articolo 3, paragrafo 1.

    Altrimenti, le autorità nazionali devono esaminare la clausola ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, utilizzando l’allegato come indicazione di ciò che, normalmente, costituisce un significativo squilibrio tra i diritti e gli obblighi delle parti contrario al requisito della buona fede.

    Nella sua giurisprudenza, la Corte ha fatto riferimento ai seguenti punti dell’allegato:

    punto 1, lettera e) (269): causa C-76/10, Pohotovost’; causa C-415/11, Aziz (270); cause riunite C-94/17 e C-96/16, Banco Santander Escobedo Cortés, aventi ad oggetto gli interessi di mora;

    punto 1, lettera e): C-377/14, Radlinger Radlingerová riguardante l’effetto cumulativo delle sanzioni contrattuali;

    punto i), lettere j) e l), in combinato disposto con il punto 2, lettere b) e d): C-92/11, RWE Vertrieb, C-472/10, Invitel (271), causa C-348/14, Bucura (272), riguardanti le clausole di variazione del prezzo;

    punto 1, lettere j) e l), in combinato disposto con il punto 2, lettere b) e d):

    C-26/13, Kásler e Káslerné Rábai (273) relativa al meccanismo di conversione del tasso per un contratto di mutuo espresso in una valuta estera;

    causa C-143/13, Matei e Matei (274), relativa alle modifiche unilaterali del tasso di interesse;

    punto 1, lettera q) (275):

    C-240/98, Océano Grupo Editorial; C-137/08, VB Penzügyi Lízing; C-243/08, Pannon GSM; specificando che il punto 1, lettera q), si applica, in linea di principio, alle clausole sulla giurisdizione che obbligano il consumatore a rimettersi alla competenza giurisdizionale esclusiva di un tribunale che potrebbe essere molto lontano dal suo domicilio e che gli renderebbero difficoltoso comparire personalmente (276); causa C-266/18, Aqua Med, riguardante le disposizioni di legge sulla giurisdizione;

    C-240/08, Asturcom Telecommunicaciones; C-342/13, Katalin Sebestyén in relazione alle clausole compromissorie;

    C-415/11, Aziz, punto 75, riguardante le clausole di pignoramento nei contratti di mutuo ipotecario e la loro valutazione in relazione ai ricorsi disponibili.

    Uno dei meriti dell’allegato è il fatto di aiutare a trovare una base comune su cui gli Stati membri possono coordinare le loro misure di esecuzione in relazione alle clausole abusive nei contratti. L’allegato della direttiva e i diversi tipi di allegati nelle norme nazionali di recepimento chiariscono poi maggiormente ai professionisti quali sono i tipi problematici di clausole contrattuali e possono aiutare gli organismi preposti all’applicazione delle norme ad attuare la direttiva in modo formale o informale.

    4.   CARATTERE NON VINCOLANTE DELLE CLAUSOLE ABUSIVE NEI CONTRATTI (ARTICOLO 6, PARAGRAFO 1, DELLA DIRETTIVA)

    Articolo 6

    1.

    Gli Stati membri prevedono che le clausole abusive contenute in un contratto stipulato fra un consumatore ed un professionista non vincolano il consumatore, alle condizioni stabilite dalle loro legislazioni nazionali, e che il contratto resti vincolante per le parti secondo i medesimi termini, sempre che esso possa sussistere senza le clausole abusive.

    2.

    Gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché il consumatore non sia privato della protezione assicurata dalla presente direttiva a motivo della scelta della legislazione di un paese terzo come legislazione applicabile al contratto, laddove il contratto presenti un legame stretto con il territorio di uno Stato membro.

    Considerando 21

    Considerando che gli Stati membri devono prendere le misure necessarie per evitare l’inserzione di clausole abusive in contratti stipulati tra un professionista e dei consumatori; che se, ciò nonostante, tali clausole figurano in detti contratti, esse non vincoleranno il consumatore, e il contratto resta vincolante per le parti secondo le stesse condizioni, qualora possa sussistere anche senza le clausole abusive;

    4.1.   La natura e il ruolo dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva nella protezione dalle clausole abusive nei contratti

    La Corte (277) sottolinea regolarmente il ruolo centrale dell’articolo 6, paragrafo 1, nel sistema di tutela dei consumatori istituito con la direttiva, che

    «[…] si fonda sull’idea che il consumatore si trova in una posizione di inferiorità nei confronti del professionista per quanto riguarda sia il potere negoziale sia il livello di informazione […]» (278).

    In particolare, il carattere non vincolante delle clausole abusive nei contratti di cui all’articolo 6, paragrafo 1, è una disposizione imperativa attraverso la quale la direttiva mira ad affrontare questa disuguaglianza e a creare un equilibrio reale (279) tra le parti del contratto. Secondo quanto affermato dalla Corte (280):

    «[…] L’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva, ai sensi del quale le clausole abusive non vincolano i consumatori, costituisce una disposizione imperativa tesa a sostituire all’equilibrio formale, che il contratto determina fra i diritti e gli obblighi delle parti contraenti, un equilibrio reale, finalizzato a ristabilire l’uguaglianza tra queste ultime».

    Poiché la protezione dei consumatori dalle clausole abusive nei contratti prevista dalla direttiva è una questione di interesse pubblico , la Corte (281) ha ripetutamente affermato che l’articolo 6, paragrafo 1, è equivalente alle norme di ordine pubblico contenute nella legislazione degli Stati membri:

    «La Corte ha peraltro dichiarato che, data la natura e l’importanza dell’interesse pubblico sul quale si fonda la tutela che la direttiva garantisce ai consumatori, il suo articolo 6 deve essere considerato come una norma equivalente alle disposizioni nazionali che occupano, nell’ambito dell’ordinamento giuridico interno, il rango di norme di ordine pubblico […]. Occorre considerare che tale qualificazione si estende a tutte le disposizioni della direttiva indispensabili a realizzare l’obiettivo perseguito da detto articolo 6».

    Il carattere imperativo dell’articolo 6, paragrafo 1, indica che tale disposizione è vincolante per tutte le parti e autorità e che, in linea di principio, non è possibile derogarvi. L’articolo 6, paragrafo 2, della direttiva conferma quanto precede specificando che i consumatori non possono essere privati i loro diritti previsti dalla direttiva neppure se il contratto è retto dalle leggi di un paese diverso da uno Stato membro in virtù di un accordo sulla scelta del diritto applicabile (282).

    Il carattere imperativo dell’articolo 6, paragrafo 1, implica inoltre che il consumatore non possa, in linea di principio, rinunciare a tale protezione né mediante contratto (283) né sulla base di una dichiarazione unilaterale, direttamente o indirettamente. Ciò vale certamente prima della risoluzione di qualsiasi controversia in merito a pretese specifiche concernenti il carattere abusivo delle clausole contrattuali (284).

    Le implicazioni sostanziali dell’articolo 6, paragrafo 1, sono presentate nei paragrafi 4.2, 4.3 e 4.4. Le garanzie procedurali derivanti dall’articolo 6, paragrafo 1, sono discusse nella sezione 5. Le conseguenze sostanziali risultanti dal carattere abusivo delle clausole contrattuali si applicano indipendentemente dai procedimenti giurisdizionali e a prescindere dal fatto che il carattere abusivo delle clausole contrattuali sia sollevato dal consumatore o d’ufficio da un tribunale.

    4.2.   L’effetto giuridico del «carattere non vincolante per il consumatore»

    La nozione di carattere non vincolante delle clausole contrattuali abusive per il consumatore può essere tradotta in diversi concetti giuridici a livello nazionale a condizione che sia realizzata la protezione perseguita con la direttiva. Tuttavia, l’invalidità delle clausole contrattuali abusive sembrerebbe realizzare la protezione auspicata nel modo più efficace. La Corte (285) ha sottolineato che:

    «[…] l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 deve essere interpretato nel senso che una clausola contrattuale dichiarata abusiva deve essere considerata, in linea di principio, come se non fosse mai esistita, cosicché non può sortire effetti nei confronti del consumatore. Pertanto, l’accertamento giudiziale del carattere abusivo di una clausola del genere, in linea di massima, deve produrre la conseguenza di ripristinare, per il consumatore, la situazione di diritto e di fatto in cui egli si sarebbe trovato in mancanza di tale clausola».

    Il carattere non vincolante delle clausole contrattuali abusive emana direttamente dalla direttiva e non richiede alcuna previa dichiarazione di abusività o invalidità di una clausola contrattuale da parte di un tribunale o di un altro organismo autorizzato. Tuttavia, tali dichiarazioni garantiscono certezza del diritto per quanto concerne il carattere (non) abusivo di una data clausola contrattuale, in particolare nei casi in cui possano esservi pareri discordanti in merito alla sua abusività.

    Pertanto, il carattere non vincolante non può dipendere da se e quando un consumatore ha eccepito il carattere abusivo di una data clausola contrattuale o ne ha contestato la validità, come ha confermato la Corte (286) affermando che:

    «[…] l’articolo 6, n. 1, della direttiva dev’essere interpretato nel senso che una clausola contrattuale abusiva non vincola il consumatore e che non è necessario, in proposito, che egli abbia in precedenza impugnato utilmente siffatta clausola».

    Ciò implica anche che, in linea di principio, non si possa impedire ai consumatori di richiedere a un professionista di rimuovere una data clausola abusiva da un contratto, chiedere a un giudice nazionale di dichiarare nulla una clausola contrattuale o opporsi a pretese avanzate dai professionisti sulla base di clausole contrattuali abusive in virtù di qualsiasi termine di prescrizione applicabile (287). Lo stesso vale per il potere dei giudici nazionali di valutare d’ufficio il carattere abusivo delle clausole contrattuali. La Corte (288) ha affermato che:

    «[…] [l]a tutela che la direttiva garantisce ai consumatori osta ad una normativa interna che, in un’azione promossa da un professionista nei confronti di un consumatore e basata su un contratto stipulato tra loro, vieta al giudice nazionale, alla scadenza di un termine di decadenza, di rilevare d’ufficio o a seguito di un’eccezione sollevata dal consumatore l’abusività di una clausola inserita nel suddetto contratto».

    Quando, nell’ambito di una controversia individuale o di un’azione collettiva, un giudice nazionale constata il carattere abusivo di una determinata clausola, tale constatazione o dichiarazione si applica ex tunc. Ciò vuol dire che deve avere effetto a partire dalla conclusione del contratto o dal momento in cui la clausola pertinente è stata inserita nel contratto, mentre non ex tunc significa a partire dalla data della sentenza (289).

    4.3.   Conseguenze del carattere abusivo delle clausole contrattuali per i diritti e gli obblighi delle parti

    La presente sezione illustra il principio per cui le clausole contrattuali abusive devono essere rimosse e non possono essere revisionate (paragrafo 4.3.1), come anche le circostanze specifiche in cui è possibile colmare le lacune nel contratto causate dall’eliminazione di una clausola abusiva (paragrafo 4.3.2).

    4.3.1.   Il principio: rimozione delle clausole contrattuali abusive e divieto di revisione delle stesse

    Ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, mentre le clausole contrattuali abusive non sono vincolanti per i consumatori, la parte restante del contratto rimane vincolante per le parti «sempre che esso possa sussistere senza le clausole abusive». La Corte (290) ha sottolineato ripetutamente che:

    «[…], a norma dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13, il giudice nazionale chiamato ad esaminare una clausola contrattuale abusiva è tenuto unicamente ad escludere l’applicazione di quest’ultima affinché non produca effetti vincolanti nei confronti del consumatore, senza che detto giudice sia legittimato a rivedere il contenuto della clausola stessa. Infatti, il contratto in questione deve rimanere in essere, in linea di principio, senza alcun’altra modifica se non quella risultante dalla soppressione della clausola suddetta, purché, conformemente alle norme di diritto interno, una simile sopravvivenza del contratto sia giuridicamente possibile […]» (291).

    Ciò significa ad esempio, in relazione alle clausole penali abusive, che i giudici nazionali non possono ridurre l’importo dovuto ai sensi della clausola contrattuale a un livello accettabile, ma devono soltanto rimuovere la clausola nella sua totalità (292).

    La revisione delle clausole contrattuali abusive implicherebbe infatti che le clausole in questione rimangano parzialmente vincolanti e che i professionisti traggano un qualche beneficio dal fatto di aver utilizzato tali clausole. Ciò comprometterebbe l’efficacia dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva e priverebbe l’articolo 6, paragrafo 1, dell’effetto dissuasivo che cerca di ottenere considerando le clausole contrattuali abusive come non vincolanti (293). La privazione di tale effetto dissuasivo sarebbe anche incoerente con l’obiettivo di contrastare l’inserzione di clausole abusive nei contratti, formulato nell’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva (294).

    Secondo la stessa logica, è inammissibile anche la cancellazione parziale di una clausola contrattuale abusiva in quanto, in generale, ciò equivarrà a una revisione di una clausola contrattuale incidendo sulla sua sostanza (295).

    Tale prospettiva può cambiare soltanto nei casi in cui quella che sembrerebbe essere un’unica «clausola contrattuale» sia, in realtà, composta da diverse clausole contrattuali ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1. Ciò può avvenire, in particolare, qualora una clausola contrattuale contenga due (o più) disposizioni che possono essere separate le une dalle altre in maniera tale che, cancellando una di esse, le disposizioni restanti siano comunque chiare e comprensibili e possano essere valutate sulla base dei propri meriti.

    Finora la Corte ha fornito solo alcune indicazioni riguardo ai criteri per determinare cosa costituisca una clausola contrattuale a sé stante. Essa distingue, ad esempio, fra clausole contrattuali che riportano gli obblighi fondamentali in capo al consumatore per il rimborso di un prestito in una determinata valuta e clausole che specificano il meccanismo di conversione valutaria (296) e che sono quindi, per definizione, clausole contrattuali separate. Lo stesso vale per le clausole che riportano il prezzo imputato al consumatore e un meccanismo per le modifiche di prezzo nelle relazioni contrattuali di lungo corso (297).

    La Corte (298) ha anche operato una distinzione fra una clausola che stabilisce il tasso degli interessi corrispettivi da pagare per un mutuo ipotecario e una clausola sugli interessi moratori, anche se questi ultimi sono definiti come un’aggiunta rispetto al tasso di interesse normale. Avendo stabilito che gli interessi corrispettivi e gli interessi moratori hanno funzioni molto diverse, la Corte ha spiegato che:

    «[…] tali considerazioni si applicano indipendentemente dal modo in cui sono formulate la clausola contrattuale che fissa il tasso degli interessi moratori e quella che fissa il tasso degli interessi corrispettivi. In particolare, dette considerazioni valgono non soltanto quando il tasso degli interessi moratori sia definito indipendentemente dal tasso degli interessi corrispettivi, in una clausola distinta, ma anche quando il tasso degli interessi moratori venga determinato sotto forma di maggiorazione del tasso degli interessi corrispettivi pari a un certo numero di punti percentuali. In quest’ultimo caso, dato che la clausola abusiva consiste in tale maggiorazione, la direttiva 93/13 esige unicamente che la maggiorazione stessa venga annullata».

    In relazione alla cancellazione parziale, la Corte non ha finora indicato se la cosiddetta dottrina della «matita blu» («blue pencil»), applicata, ad esempio, dalla Corte di cassazione tedesca, sia compatibile con la direttiva (299). In base a tale dottrina, si opera una distinzione tra la revisione inammissibile (300) di una clausola contrattuale e la cancellazione ammissibile di una disposizione abusiva contenuta in una clausola contrattuale, a condizione che il contenuto restante della clausola possa essere applicato senza ulteriori interventi. Tuttavia, in relazione a una clausola in un contratto di credito ipotecario che consentiva alla banca di esigere il rimborso dell’intero prestito dopo che il consumatore aveva saltato il pagamento di una sola rata mensile, la Corte ha affermato che l’obbligo di rimborso anticipato non può essere separato dalla condizione di una (sola) rata mensile non pagata senza modificare la sostanza di tali clausole. In questo caso, la clausola era dunque non separabile.

    In breve,

    ciò che conta per la separabilità delle clausole contrattuali è il contenuto o la funzione di particolari disposizioni piuttosto che il modo in cui sono presentate in un dato contratto e

    una cancellazione parziale non è possibile quando due parti di una clausola contrattuale sono legate in modo tale che l’eliminazione di una parte influirebbe sulla sostanza della restante clausola contrattuale.

    A tale riguardo, non si esclude che un singolo paragrafo/punto in un contratto possa contenere più di una clausola contrattuale ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva. Viceversa, è possibile che due paragrafi/punti o addirittura disposizioni all’interno di diversi documenti formino un’unica clausola contrattuale, alla luce del loro contenuto.

    Il principio secondo cui i giudici nazionali non possono rivedere le clausole contrattuali abusive si applica indipendentemente dal fatto che il carattere abusivo sia invocato dal consumatore o sia considerato d’ufficio.

    Tuttavia, tale principio non influisce sul diritto delle parti di modificare una clausola contrattuale abusiva o sostituirla con una nuova, entro i limiti della loro libertà contrattuale. Se la nuova clausola è una clausola contrattuale ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva, dovrà essere valutata in base alle proprie specificità ai sensi degli articoli 3, 4 e 5 della direttiva. Nel contempo, la modifica o sostituzione di una clausola contrattuale abusiva non può eliminare, in linea di principio, il diritto del consumatore derivante dal carattere non vincolante della clausola modificata/sostituita, come ad esempio le richieste di restituzione (301). La Corte potrebbe chiarire ulteriormente tali questioni in relazione ai cosiddetti accordi di novazione (302).

    Il principio per cui le clausole abusive debbano essere eliminate dal contratto mentre la parte restante del contratto rimane vincolante per le parti non solleva difficoltà nei casi in cui il contratto possa essere eseguito senza la o le clausole contrattuali abusive. Ad esempio, è questo il caso delle penali contrattuali come gli interessi moratori (303), delle clausole che limitano la responsabilità del professionista per errato adempimento, o delle clausole relative a scelta del diritto, giurisdizione o arbitrato. I casi che comportano maggiori complicazioni sono discussi nella sezione 4.3.2.

    4.3.2.   L’eccezione: colmare le lacune create dalle clausole abusive per evitare la nullità del contratto

    Ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva, la parte restante del contratto rimane applicabile sempre che il contratto «possa sussistere senza le clausole abusive».

    Per stabilire se la sussistenza del contratto sia possibile senza la clausola abusiva occorre una «valutazione giuridica secondo il diritto nazionale applicabile» (304). Ciò richiede un’«analisi caso per caso della possibilità, sotto il profilo giuridico o tecnico, di eseguire il contratto senza la clausola contrattuale abusiva». Pertanto, la valutazione non può basarsi su considerazioni puramente economiche. L’esame della capacità di sussistenza del contratto deve essere obiettivo, ossia non può basarsi sugli interessi di una sola parte (305). Ciò vuol dire che è irrilevante sapere se il professionista non avrebbe stipulato il contratto senza la clausola abusiva o se la cancellazione della clausola renda il contratto meno attraente da un punto di vista economico.

    Un contratto non può essere eseguito, ossia «non può sussistere», se si rimuove una clausola che definisce il suo oggetto principale o una clausola indispensabile per il calcolo della remunerazione dovuta dal consumatore (306). Ciò vale, ad esempio, per la designazione della valuta nella quale devono essere effettuati i pagamenti (307) o per una clausola che stabilisce il tasso di cambio per il calcolo delle rate di rimborso di un prestito denominato in una valuta estera (308).

    Allo stesso tempo occorre tenere conto del fatto che la finalità perseguita dall’articolo 6, paragrafo 1, consiste nel ripristinare l’equilibrio tra le parti attraverso la rimozione delle clausole abusive dal contratto, salvaguardando al contempo, in linea di principio, la validità del contratto nel suo complesso, e non nell’annullamento di qualsiasi contratto contenente clausole abusive (309). Tuttavia, uno Stato membro potrebbe disporre che sia dichiarata la nullità complessiva di un contratto contenente clausole abusive, qualora ciò risulti garantire una migliore tutela del consumatore (310).

    La nullità del contratto potrebbe avere conseguenze negative per il consumatore, ad esempio l’obbligo di rimborsare immediatamente la totalità del prestito invece che rimborsarlo attraverso le rate concordate, il che potrebbe essere in contrasto con la protezione perseguita dalla direttiva. Pertanto, la Corte (311) ha riconosciuto che, in circostanze eccezionali e a determinate condizioni, i giudici nazionali possono sostituire una clausola contrattuale abusiva con una disposizione di diritto nazionale di natura suppletiva al fine di evitare la nullità del contratto. In relazione a una causa in cui il ricorso a una disposizione di natura suppletiva ha evitato la nullità di un contratto di credito indicizzato in valuta estera dovuta al carattere abusivo del meccanismo di conversione valutaria, la Corte ha affermato:

    «80

    Non ne deriva però che, in una situazione come quella di cui al procedimento principale, l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 osterebbe a che il giudice nazionale, in applicazione di principi del diritto dei contratti, rimuova la clausola abusiva sostituendole una disposizione di diritto nazionale di natura suppletiva.

    81

    Al contrario il fatto di sostituire ad una clausola abusiva una disposizione siffatta nella quale, come risulta dal tredicesimo considerando della direttiva 93/13, si ritiene che non siano inserite clausole abusive, nel senso che sfocia in un risultato tale che il contratto può sussistere malgrado la rimozione della clausola III/2 e continua ad essere coercitivo per le parti, è pienamente giustificato data la finalità della direttiva 93/13».

    La Corte ha inoltre spiegato che «le conseguenze particolarmente dannose» dell’annullamento del contratto per il consumatore potrebbero compromettere il carattere dissuasivo perseguito con l’eliminazione della clausola contrattuale abusiva (312).

    Pertanto, in base all’attuale giurisprudenza (313), prima di sostituire clausole contrattuali abusive con «norme di diritto nazionale di natura suppletiva» i giudici nazionali devono valutare se

    oggettivamente l’eliminazione di una clausola contrattuale abusiva condurrebbe altrimenti alla nullità del contratto nel suo complesso,

    e se ciò abbia conseguenze particolarmente dannose per il consumatore (314) alla luce di tutte le disposizioni di diritto nazionale pertinenti, incluse le norme di procedura (315).

    La direttiva non definisce né utilizza l’espressione «disposizioni di diritto nazionale di natura suppletiva». In un contesto differente, fa però riferimento a «regole che per legge si applicano tra le parti contraenti allorché non è stato convenuto nessun altro accordo». Questa semi-definizione rispecchia quella che è generalmente ritenuta essere la funzione delle disposizioni di natura suppletiva e, nell’utilizzare tale espressione in associazione con l’articolo 6, paragrafo 1, la Corte fa in effetti riferimento al considerando 13 della direttiva (316).

    La Corte potrebbe ulteriormente approfondire l’interpretazione del concetto di «disposizioni di diritto nazionale di natura suppletiva». Ad esempio, potrebbe chiarire se esso si riferisca esclusivamente a disposizioni disciplinano in modo specifico i diritti e gli obblighi delle parti di un contratto, oppure se possa includere anche disposizioni generali del diritto contrattuale (317). Laddove tali disposizioni generali si prestino a un adattamento creativo del contratto, si pone la questione se ciò non sia, in effetti, equivalente a una «revisione» non ammissibile della o delle relative clausole contrattuali (318).

    La Corte (319) ha indicato che, in circostanze specifiche, le disposizioni legislative che fungono da modello o riferimento per le clausole contrattuali, ma che non sono tecnicamente disposizioni di natura suppletiva, possono essere usate per sostituire una clausola contrattuale abusiva al fine di prevenire la nullità del contratto.

    La Corte potrebbe anche chiarire se, in circostanze molto specifiche, possano essere ammissibili altre forme di riempimento della lacuna lasciata da una clausola contrattuale abusiva (320).

    Nel valutare le conseguenze particolarmente dannose per i consumatori, i giudici nazionali devono tenere conto degli interessi del consumatore nel momento in cui la questione viene sollevata dinanzi al giudice nazionale (321). Nei casi in cui la sussistenza del contratto sia giuridicamente impossibile in seguito all’eliminazione di una clausola contrattuale abusiva e laddove la persistenza del contratto sarebbe in contrasto con gli interessi del consumatore, la Corte ha specificato che i giudici nazionali non possono mantenere la validità del contratto (322). In simili casi, la legislazione nazionale non può vietare ai consumatori di fare affidamento sulla nullità del contratto ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva (323).

    Ad oggi, la Corte non si è pronunciata in modo esplicito (324) in merito al fatto che il giudice nazionale debba stabilire l’interesse del consumatore alla nullità del contratto esclusivamente sulla base di criteri oggettivi o piuttosto in base alla preferenza del consumatore espressa nell’ambito del procedimento. Vi sono tuttavia valide argomentazioni per rispettare la preferenza del consumatore, tenuto conto che il consumatore potrebbe persino insistere in giudizio affinché sia applicata una clausola abusiva (325).

    4.3.3.   L’applicazione delle disposizioni di natura suppletiva in altri casi

    Finora la Corte non si è pronunciata in maniera specifica sulla questione se le disposizioni di diritto nazionale di natura suppletiva possano essere applicate nei casi in cui la cancellazione di una clausola contrattuale non conduca alla nullità del contratto, come le clausole sulle penali, ma laddove ciò non implichi una «revisione» della clausola abusiva da parte del giudice nazionale. La Corte (326) ha stabilito che l’approccio adottato da un giudice supremo nazionale, che non ha applicato alcun interesse moratorio previsto per legge dopo aver rimosso da un contratto una clausola abusiva sugli interessi moratori, era compatibile con la direttiva. La Corte non ha però affermato che la direttiva prevede un simile risultato. La giurisprudenza discussa al punto 4.3.2. potrebbe tuttavia suggerire che il ricorso a disposizioni di natura suppletiva sia possibile soltanto se il contratto sarebbe altrimenti nullo.

    4.3.4.   Possibile applicazione delle clausole contrattuali abusive nonostante il carattere abusivo (327)

    La Corte (328) ha stabilito che, nei casi in cui il contratto possa sussistere senza una clausola abusiva (329) e dopo che il giudice abbia informato il consumatore del carattere abusivo e della natura non vincolante di una clausola contrattuale abusiva, il consumatore può decidere di non avvalersi di tale tutela, consentendo di fatto l’applicazione della clausola contrattuale.

    4.4.   Restituzione dei vantaggi ottenuti tramite clausole abusive nei contratti

    Un’altra conseguenza della natura non vincolante delle clausole abusive nei contratti è che, laddove i consumatori abbiano effettuato pagamenti sulla base di clausole contrattuali abusive, essi devono avere diritto al rimborso di tali pagamenti (330):

    «62

    Se ne evince che l’obbligo in capo al giudice nazionale di disapplicare una clausola contrattuale abusiva che prescriva il pagamento di somme che si rivelino indebite implica, in linea di principio, un corrispondente effetto restitutorio per quanto riguarda tali somme.

    63

    L’assenza di tale effetto restitutorio, infatti, potrebbe pregiudicare l’effetto deterrente che l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13, in combinato disposto con l’articolo 7, paragrafo 1, della stessa, mira a collegare alla dichiarazione del carattere abusivo delle clausole contenute in contratti stipulati tra un consumatore e un professionista».

    Soltanto le disposizioni legate alla certezza del diritto, in particolare l’autorità di cosa giudicata e termini di prescrizione ragionevoli, possono limitare tale effetto restitutorio (331). Allo stesso tempo, gli Stati membri, inclusi i legislatori e i giudici nazionali, non possono porre limiti temporali all’effetto di una constatazione di abusività di una determinata clausola contrattuale (332) e quindi, ad esempio, escludere richieste di restituzione antecedenti a tale constatazione (333):

    «L’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13/CEE […] deve essere interpretato nel senso che osta ad una giurisprudenza nazionale che limiti nel tempo gli effetti restitutori legati alla dichiarazione giudiziale del carattere abusivo, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, di tale direttiva, di una clausola contenuta in un contratto stipulato fra un consumatore e un professionista, alle sole somme indebitamente versate in applicazione di una siffatta clausola successivamente alla pronuncia della decisione che ha accertato giudizialmente tale carattere abusivo».

    A tale riguardo, la Corte ha rammentato che spetta esclusivamente alla Corte stessa, alla luce del requisito fondamentale di un’applicazione generale e uniforme del diritto dell’Unione, decidere in merito ai termini di prescrizione da applicare all’interpretazione da essa formulata in relazione a una norma del diritto dell’Unione (334). In generale, l’interpretazione fornita dalla Corte di una norma del diritto dell’Unione deve essere applicata dai giudici nazionali anche alle relazioni giuridiche sorte prima della sentenza della Corte, in quanto la sua interpretazione indica come deve essere, o dovrebbe essere, intesa e applicata la norma pertinente a partire dal momento della sua entrata in vigore (335). Pertanto, la Corte potrebbe limitare l’effetto nel tempo delle sue pronunce soltanto in «casi complessivamente eccezionali» in applicazione del principio generale della certezza del diritto, purché siano soddisfatte due condizioni cumulative: i) i soggetti attivi sul mercato interessati hanno agito in buona fede e ii) sussiste un rischio di gravi difficoltà legate all’applicazione «retroattiva» della giurisprudenza della Corte (336).

    5.   RICORSI E GARANZIE PROCEDURALI PREVISTI DALL’ARTICOLO 6, PARAGRAFO 1, E DALL’ARTICOLO 7, PARAGRAFO 1, DELLA DIRETTIVA

    5.1.   L’importanza dell’articolo 6, paragrafo 1, dell’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva nonché dei principi di equivalenza ed effettività in generale

    Articolo 6

    1.

    Gli Stati membri prevedono che le clausole abusive contenute in un contratto stipulato fra un consumatore ed un professionista non vincolano il consumatore, alle condizioni stabilite dalle loro legislazioni nazionali, e che il contratto resti vincolante per le parti secondo i medesimi termini, sempre che esso possa sussistere senza le clausole abusive.

    […]

    Articolo 7

    1.

    Gli Stati membri, nell’interesse dei consumatori e dei concorrenti professionali, provvedono a fornire mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione di clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e dei consumatori.

    […]

    Articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali

    Diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale

    Ogni persona i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell’Unione siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice, nel rispetto delle condizioni previste nel presente articolo.

    […]

    L’articolo 6, paragrafo 1, e l’articolo 7, paragrafo 1, costituiscono le disposizioni della direttiva che stabiliscono le modalità con cui i consumatori devono essere protetti dalle clausole abusive nei contratti e si completano a vicenda (337).

    Le implicazioni della natura non vincolante delle clausole abusive nei contratti per i diritti e gli obblighi delle parti sono presentate nella precedente sezione 4. La presente sezione illustra le implicazioni dell’articolo 6, paragrafo 1, in combinato disposto con l’articolo 7, paragrafo 1, nonché i principi di equivalenza ed effettività, rispetto alle norme di procedura e ai poteri e obblighi dei giudici nazionali.

    L’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva riflette, con particolare riguardo alle clausole abusive nei contratti, il diritto generale a un ricorso effettivo per la violazione dei diritti e delle libertà garantiti dal diritto dell’Unione e sanciti nell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE (338).

    Sebbene l’articolo 6, paragrafo 1, e l’articolo 7, paragrafo 1, non contengano norme di procedura specifiche, i loro obiettivi possono essere raggiunti soltanto laddove le norme procedurali nazionali contribuiscano al loro raggiungimento e non frappongano ostacoli ingiustificati per i consumatori in modo che essi possano fare affidamento sulla protezione assicurata loro dalla direttiva.

    In assenza di un’armonizzazione delle norme di procedura in uno strumento del diritto dell’Unione, la Corte ha sottolineato l’autonomia processuale degli Stati membri (339), ma anche la loro responsabilità di garantire che i diritti derivanti dal diritto dell’UE siano effettivamente tutelati (340). La Corte ha stabilito che, laddove le norme procedurali degli Stati membri incidano sull’applicazione dei diritti stabiliti dal diritto dell’Unione, esse devono rispettare i principi di equivalenza ed effettività (341). Essa ha fatto riferimento a tali principi in quanto esprimono l’obbligo generale per gli Stati membri di garantire la tutela giurisdizionale dei diritti spettante ai singoli in forza del diritto dell’Unione (342).

    In base al principio di equivalenza le norme procedurali per la tutela dei diritti derivanti dal diritto dell’Unione non devono essere meno favorevoli di quelle che si applicano alla tutela di diritti analoghi ai sensi del diritto interno (343) o che riguardano ricorsi analoghi di diritto interno (344).

    Il principio di effettività implica che le norme di procedura nazionali non devono rendere virtualmente o praticamente (345) impossibile o eccessivamente difficile per i cittadini, inclusi i consumatori, l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione europea (346).

    La Corte ha descritto il significato dei termini equivalenza ed effettività come di seguito riportato (347):

    «A questo proposito occorre ricordare che, in mancanza di disciplina comunitaria in materia, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro designare i giudici competenti e stabilire le modalità procedurali dei ricorsi giurisdizionali intesi a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza delle norme di diritto comunitario aventi effetto diretto. Tuttavia, dette modalità non possono essere meno favorevoli di quelle che riguardano ricorsi analoghi di natura interna, né rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico comunitario […]».

    La Corte ha sviluppato ulteriormente tali principi per quanto riguarda la legislazione in materia di consumatori e specialmente la direttiva, ricavando da esse una serie di requisiti procedurali specifici al fine di garantire che i consumatori siano effettivamente protetti dalle clausole abusive nei contratti anche nella realtà dei procedimenti giurisdizionali.

    A seconda delle circostanze del caso e delle questioni sollevate dai giudici del rinvio, la Corte ha basato tali requisiti su:

    l’effettività (348) della natura non vincolante delle clausole abusive nei contratti ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva;

    il requisito dei mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione delle clausole abusive contenute nei contratti ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva (349);

    il diritto fondamentale a un ricorso effettivo ai sensi dell’articolo 47 della Carta (350);

    nonché, a seconda del diritto nazionale applicabile, il principio di equivalenza (351).

    La Corte fa riferimento all’articolo 7, paragrafo 1, talvolta suffragato dall’articolo 47 della Carta, e all’effettività in modo quasi intercambiabile, come fonte di garanzie relative all’effettività della tutela processuale dalle clausole abusive nei contratti (352).

    I requisiti procedurali riguardano i ricorsi e i diritti processuali spettanti ai consumatori, da un lato, e gli obblighi dei giudici nazionali, dall’altro. Essenzialmente, essi includono i principi secondo cui:

    i consumatori devono poter accedere a ricorsi effettivi per contestare il carattere abusivo delle relative clausole contrattuali; e

    i giudici nazionali sono tenuti a verificare d’ufficio il carattere abusivo delle clausole contrattuali.

    La Corte ha ulteriormente sviluppato tali garanzie processuali alla luce degli specifici tipi di procedure e situazioni processuali, quali i procedimenti civili ordinari (353), le procedure di appello (354), le sentenze contumaciali (355), i ricorsi di annullamento di un lodo arbitrale (356), l’esecuzione di un lodo arbitrale (357), le azioni inibitorie (358), i diversi tipi di procedimenti d’ingiunzione di pagamento (359), i procedimenti di esecuzione ipotecaria (360), le vendite all’asta volontarie (361) e i procedimenti per insolvenza (362). La Corte è inoltre stata invitata a considerare il rapporto tra il regolamento (CE) n. 1896/2006 (363) che istituisce un procedimento europeo d’ingiunzione di pagamento e le garanzie processuali previste dalla direttiva (364).

    Sebbene la maggior parte delle pronunce pregiudiziali abbia riguardato casi in cui i consumatori si trovavano nella posizione di imputato o debitore (365), la Corte ha applicato tali principi anche ai procedimenti in cui il consumatore ha richiesto di dichiarare invalida una clausola contrattuale.

    Anche se occorre prendere in considerazione il contesto e le specificità di ciascun tipo di procedura nel valutare la compatibilità di specifiche disposizioni con la direttiva, gli standard e i test sviluppati dalla Corte si applicano a tutti i tipi di procedure.

    La Corte ha sottolineato ripetutamente (366) che le procedure che offrono ai creditori la possibilità di far valere in modo più rapido le loro pretese basate su titoli diversi dalle sentenze ottenute in procedimenti di accertamento e che non prevedono, o comportano soltanto in misura limitata, controlli sostanziali da parte dei giudici nazionali, non devono privare i consumatori del loro diritto a una opportuna protezione dalle clausole abusive nei contratti. Ciò significa che lo specifico tipo di procedura prescelto da un professionista, o che si applica altrimenti, non può comprimere le garanzie processuali fondamentali previste dalla direttiva a favore di consumatori. Secondo quanto affermato dalla Corte (367):

    «[…] le caratteristiche specifiche dei procedimenti giurisdizionali che si svolgono nel contesto del diritto nazionale tra i professionisti ed i consumatori non possono costituire un elemento atto a pregiudicare la tutela giuridica di cui devono godere questi ultimi in forza delle disposizioni della direttiva 93/13».

    Al contempo, in relazione al principio di effettività (368), è necessario esaminare le norme di procedura nazionali nel loro proprio contesto e nella loro interezza. La Corte (369) si è espressa sull’argomento nei termini seguenti:

    «43

    […] per quanto riguarda il principio di effettività, la Corte ha ribadito più volte che ciascun caso in cui si pone la questione se una disposizione processuale nazionale renda impossibile o eccessivamente difficile l’applicazione del diritto dell’Unione dev’essere esaminato tenendo conto del ruolo di detta disposizione nell’insieme del procedimento, dello svolgimento e delle peculiarità dello stesso, dinanzi ai vari organi giurisdizionali nazionali […]

    44

    Sotto tale profilo, si devono considerare, se necessario, i principi che sono alla base del sistema giurisdizionale nazionale, quali la tutela dei diritti della difesa, il principio della certezza del diritto e il regolare svolgimento del procedimento […]».

    Ciò significa che è necessario considerare la protezione assicurata dalle disposizioni nazionali contro le clausole abusive nei contratti nelle varie fasi processuali, ad esempio in quella prima dell’emissione di un’ingiunzione di pagamento ovvero dell’esecuzione forzata o di opposizione (370), o in relazione ai ricorsi contro l’esecuzione ipotecaria basata su un atto notarile (371).

    I giudici nazionali sono tenuti ad applicare tali garanzie processuali anche quando le disposizioni nazionali impediscono loro di farlo e devono disapplicare la giurisprudenza dei massimi organi giurisdizionali nazionali nella misura in cui essa sia incompatibile con la direttiva così come interpretata dalla Corte (372).

    Tutte le garanzie processuali derivanti dal diritto dell’Unione si applicano ai casi riguardanti clausole abusive nei contratti, anche laddove non specificamente indicato nella presente comunicazione, ivi compresi i diritti processuali menzionati all’articolo 47 della Carta, inclusi l’equo processo (373) e la parità delle armi (374). Il principio della tutela giurisdizionale effettiva dei consumatori, di per sé, non riconosce a questi ultimi il diritto di accesso a un doppio grado di giudizio (375) per la valutazione delle clausole contrattuali. Tuttavia, tale diritto potrebbe essere basato sull’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva, in combinato disposto con il principio della parità delle armi, garantito dall’articolo 47 della Carta, quando, nello stesso procedimento, i professionisti hanno il diritto di ricorrere contro una decisione riguardante il carattere abusivo delle clausole contrattuali (376).

    5.2.   Il principio del controllo d’ufficio delle clausole abusive nei contratti (377)

    5.2.1.   Collegamento con l’articolo 6, paragrafo 1, e l’articolo 7, paragrafo 1

    Al fine di compensare la posizione strutturale di inferiorità dei consumatori, che potrebbero non essere consapevoli dei loro diritti e, pertanto, non contestare il carattere abusivo delle clausole contrattuali, i giudici nazionali, in quanto istanza neutrale, svolgono un ruolo attivo nei procedimenti riguardanti le clausole abusive nei contratti. Sin dalla sua sentenza del 4 giugno 2009 (378), la Corte ha costantemente sostenuto che i giudici nazionali sono tenuti a verificare d’ufficio l’abusività delle clausole contrattuali, vale a dire anche qualora l’abusività delle stesse non venga contestata dal consumatore:

    «1.

    L’articolo 6, n. 1, della direttiva del Consiglio 5 aprile 1993, 93/13/CEE, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, dev’essere interpretato nel senso che una clausola contrattuale abusiva non vincola il consumatore e che non è necessario, in proposito, che egli abbia in precedenza impugnato utilmente siffatta clausola.

    2.

    Il giudice nazionale deve esaminare d’ufficio la natura abusiva di una clausola contrattuale a partire dal momento in cui dispone degli elementi di diritto e di fatto necessari a tal fine. Se esso considera abusiva una siffatta clausola, non la applica, tranne nel caso in cui il consumatore vi si opponga. Tale obbligo incombe al giudice nazionale anche in sede di verifica della propria competenza territoriale».

    La Corte ha ripetutamente confermato tale requisito (379):

    «[…] la Corte ha già reiteratamente rilevato che il giudice nazionale è tenuto ad esaminare d’ufficio la natura abusiva di una clausola contrattuale che ricade nell’ambito di applicazione della direttiva 93/13 e, in tal modo, ad ovviare allo squilibrio che esiste tra il consumatore e il professionista a partire dal momento in cui dispone degli elementi di diritto e di fatto necessari […]» (380).

    Il controllo d’ufficio mira a perseguire il risultato fissato dall’articolo 6, paragrafo 1, nei singoli casi e contribuisce al raggiungimento dell’obiettivo dell’articolo 7, poiché può avere un effetto dissuasivo rispetto all’inserimento di clausole abusive nei contratti in generale (381). L’obbligo di un controllo d’ufficio si applica a fortiori quando un consumatore contesta nella sostanza la validità o l’equità del contratto senza tuttavia fare riferimento specificamente alle disposizioni legislative sulle clausole abusive nei contratti (382).

    5.2.2.   Rapporto con i principi di procedura civile

    Negli Stati membri, il principio guida nei procedimenti civili (383) è il principio dispositivo (o autonomia delle parti). Esso implica solitamente che è a discrezione esclusiva delle parti definire l’oggetto e la portata dei procedimenti affinché il giudice non possa accogliere una richiesta che non è stata avanzata (ultra petita) o non possa concedere più di quello che è stato richiesto (extra petita). È inoltre prassi ampiamente accettata che spetta in primo luogo alle parti di presentare i fatti su cui si basano al fine di sostanziare le loro richieste e fornire le prove necessarie. In generale, incomberà a ciascuna parte l’onere della prova rispetto ai fatti a sostegno della propria richiesta, tranne laddove vi siano disposizioni specifiche che invertono o alleggeriscono l’onere della prova per alcune questioni.

    Si riconosce generalmente che, sebbene siano le parti a dover addurre i fatti, è compito del giudice effettuare le necessarie qualificazioni giuridiche (384), espresse nei principi da mihi factum dabo tibi jus e iura novit curia. È inoltre normale che il giudice consideri, d’ufficio, alcune norme imperative, spesso riferite a questioni di ordine pubblico, senza dover essere sollecitato dalle parti.

    In tale quadro generale, non vi sono differenze tra gli Stati membri per quanto riguarda la misura in cui i giudici possono o devono svolgere un ruolo più attivo nei procedimenti (385), ivi compreso un ruolo più inquisitorio o investigativo, ad esempio ponendo domande, fornendo suggerimenti o riscontri, ma anche per quanto concerne l’assunzione delle prove.

    Il controllo d’ufficio del carattere abusivo delle clausole contrattuali è fondamentalmente la conseguenza processuale del fatto che l’abusività delle stesse e la loro natura non vincolante sono norme obbligatorie di ordine pubblico applicabili per legge e che esse costituiscono aspetti giuridici i quali, pertanto, non dipendono dalle parti che li invocano. Il controllo d’ufficio delle clausole abusive nei contratti, pertanto, non è in conflitto con i principi fondamentali dei procedimenti civili come il principio dispositivo. Ciononostante, le disposizioni nazionali specifiche potrebbero rendere difficile o impossibile l’esame d’ufficio. Per ulteriori dettagli su tali casi, cfr. le sezioni 5.4, 5.5 e 5.6.

    5.2.3.   Il controllo d’ufficio e la passività totale da parte del consumatore

    In genere, ci si aspetta che i consumatori esperiscano i ricorsi a loro disposizione e non restino completamente passivi al fine di beneficiare della protezione prevista dalla direttiva. La Corte ha riconosciuto che il principio di effettività non può essere esteso tanto da richiedere al giudice nazionale di supplire integralmente alla completa passività del consumatore (386) nei casi in cui questo possa proporre ricorsi effettivi in condizioni ragionevoli (387). Conseguentemente, il mero fatto che un consumatore possa dover agire in giudizio e proporre i ricorsi per ottenere la protezione dalle clausole abusive nei contratti non è automaticamente contrario al principio di effettività (388). Allo stesso tempo, la giurisprudenza della Corte implica che i giudici nazionali devono valutare d’ufficio il carattere abusivo delle clausole nei contratti anche quando i consumatori siano rimasti completamente passivi, laddove tale intervento sia richiesto dal principio di equivalenza, come illustrato nella sezione 5.3, o dall’articolo 7, paragrafo 1, o dal principio di effettività, come illustrato nella sezione 5.4.

    5.3.   Obblighi derivanti dal principio di equivalenza

    5.3.1.   Il controllo d’ufficio delle clausole abusive nei contratti

    Secondo il principio di equivalenza (389), i giudici o i tribunali nazionali sono tenuti a considerare d’ufficio le disposizioni vincolanti del diritto dell’Unione in tutti i casi in cui il diritto interno preveda per essi l’obbligo, o quanto meno il potere o la facoltà, di eccepire d’ufficio questioni di diritto sulla base delle norme interne vincolanti. Come sopra accennato, il carattere non vincolante delle clausole abusive nei contratti stabilito nell’articolo 6, paragrafo 1, e tutte le disposizioni della direttiva fondamentali per il raggiungimento di tale obiettivo devono essere trattati come equivalenti alle considerazioni di ordine pubblico riconosciute dal diritto degli Stati membri. Tale status si applicherà a tutte le disposizioni della direttiva che sono rilevanti per valutare il carattere abusivo di una clausola contrattuale e trarre le relative conseguenze.

    La Corte (390) ha spiegato tale principio nei termini seguenti:

    «44

    […], data la natura e l’importanza dell’interesse pubblico sul quale si fonda la tutela che la direttiva garantisce ai consumatori, il suo articolo 6 deve essere considerato come una norma equivalente alle disposizioni nazionali che occupano, nell’ambito dell’ordinamento giuridico interno, il rango di norme di ordine pubblico […]. Occorre considerare che tale qualificazione si estende a tutte le disposizioni della direttiva indispensabili a realizzare l’obiettivo perseguito da detto articolo 6.

    45

    Ne deriva che, quando il giudice nazionale è competente, ai sensi delle norme interne di procedura, a valutare d’ufficio la validità di un atto giuridico rispetto alle norme nazionali di ordine pubblico, […] detto giudice deve parimenti esercitare tale competenza ai fini di valutare d’ufficio, rispetto ai criteri enunciati dalla direttiva, l’eventuale carattere abusivo di una clausola contrattuale che rientri nell’ambito di applicazione di quest’ultima.

    46

    Occorre ricordare che siffatto obbligo incombe del pari al giudice nazionale quando, nell’ambito del sistema giurisdizionale interno, dispone di una mera facoltà di valutare d’ufficio la contrarietà di una clausola del genere con le norme nazionali d’ordine pubblico […]».

    Pertanto, i giudici nazionali devono valutare d’ufficio il carattere abusivo delle relative clausole contrattuali ogni volta che il diritto nazionale prevede per essi l’obbligo, ovvero la possibilità, di verificare d’ufficio la conformità alle considerazioni di ordine pubblico menzionate nelle relative disposizioni nazionali, inclusi, ad esempio, i divieti giuridici, il buon costume (391) o l’ordine pubblico in generale (392). A tal riguardo, la Corte (393) ha affermato, ad esempio, che:

    «[…] laddove il giudice investito ai fini dell’esecuzione di un lodo arbitrale può porre fine, anche d’ufficio, all’applicazione di tale lodo qualora quest’ultimo imponga all’interessato una prestazione materialmente impossibile, vietata dalla legge o contraria al buon costume, tale giudice, ove disponga a tal fine delle informazioni necessarie riguardo alla situazione giuridica e fattuale, deve valutare, anche d’ufficio, nell’ambito del procedimento di esecuzione, il carattere abusivo della penalità (394) prevista dal contratto di credito concluso da un finanziatore con un consumatore o la contrarietà di una clausola compromissoria» (395).

    L’obbligo del controllo d’ufficio basato sul principio di equivalenza si applica a tutti i tipi e le fasi processuali, incluse le sentenze contumaciali (396), le procedure di appello (397) o le procedure di esecuzione (398), ogni volta che il diritto interno conferisca al giudice nazionale il potere di esaminare la conformità alle norme di ordine pubblico.

    Pertanto, i giudici nazionali sono tenuti ad applicare le relative disposizioni nazionali sul controllo d’ufficio mutatis mutandis, al fine di valutare d’ufficio il carattere abusivo delle clausole contrattuali (399).

    A differenza del principio di effettività, tale obbligo è indipendente da ulteriori valutazioni del fatto che, senza il controllo d’ufficio, non vi sarebbe una effettiva protezione dalle clausole abusive nei contratti.

    5.3.2.   Altri obblighi basati sul principio di equivalenza

    Il principio di equivalenza si applica analogamente alle altre norme di procedura. Ad esempio, la Corte (400) ha stabilito che le norme che consentono alle organizzazioni per la difesa del consumatore di opporsi alla contestazione di un’ingiunzione di pagamento basandosi sul carattere abusivo delle clausole contrattuali a condizioni meno favorevoli di quelle applicabili alle controversie soggette esclusivamente al diritto interno violerebbero il principio di equivalenza.

    Lo stesso orientamento si applica ai termini, al diritto al contraddittorio, alle condizioni necessarie per l’adozione di provvedimenti provvisori, al diritto a presentare opposizione o ricorso e, di fatto, a tutte le altre disposizioni procedurali.

    5.4.   Valutazione d’ufficio ed effettività dei ricorsi

    5.4.1.   Il test applicabile

    Ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva o del principio di effettività (401), il diritto nazionale deve prevedere ricorsi che siano effettivi e che consentano ai consumatori di invocare il carattere abusivo delle clausole contrattuali. Ciò implica che i consumatori devono essere in grado di esperire tali ricorsi in condizioni ragionevoli, ovverosia non devono esistere requisiti o limitazioni che rendano praticamente impossibile o eccessivamente difficile per gli stessi ottenere la protezione richiesta. Inoltre, i consumatori potrebbero essere impossibilitati a esperire i ricorsi legali non soltanto a causa di ostacoli procedurali, ma anche delle loro conoscenze o informazioni limitate.

    Pertanto, al fine di stabilire se vi siano ricorsi effettivi, la Corte (402) applica il test generale volto a verificare se sussiste un rischio non trascurabile che i consumatori interessati non beneficeranno della tutela effettiva a causa del fatto che:

    specifici requisiti o limiti processuali rendono eccessivamente difficile (o persino praticamente impossibile) avvalersi dei ricorsi a disposizione;

    o , in alternativa, i consumatori non hanno le conoscenze necessarie riguardo ai loro diritti ovvero non ricevono le informazioni necessarie per avvalersi effettivamente dei ricorsi.

    Tale test è riprodotto in varie sentenze, ad esempio, per quanto riguarda le procedure d’ingiunzione di pagamento (403):

    «A tal proposito, occorre rilevare che sussiste un rischio non trascurabile che i consumatori interessati non propongano l’opposizione richiesta a causa del termine particolarmente breve previsto a tal fine, o perché possono essere dissuasi dal difendersi tenuto conto delle spese che un’azione giudiziaria implicherebbe rispetto all’importo del debito contestato, o perché ignorano o non intendono la portata dei loro diritti, o ancora in ragione del contenuto succinto della domanda d’ingiunzione introdotta dai professionisti e, pertanto, dell’incompletezza delle informazioni delle quali dispongono […]».

    Come spiegato nella sezione 5.1, con riferimento all’effettività, è necessario considerare le relative norme di procedura nella loro interezza, tenendo conto delle varie fasi (404). I fattori rilevanti per la valutazione dell’effettività sono illustrati nella successiva sezione 5.4.2.

    Laddove vi sia un rischio non trascurabile che i consumatori non possano opporsi a un’ingiunzione di pagamento, la Corte ha stabilito che i giudici nazionali devono valutare d’ufficio il carattere abusivo delle clausole contrattuali in una qualche fase della procedura e, almeno, prima che la misura di esecuzione venga applicata nei confronti di un consumatore (405). Secondo quanto affermato dalla Corte (406),

    «Una tutela effettiva dei diritti attribuiti al consumatore da tale direttiva, infatti, può essere garantita solo a condizione che il sistema processuale nazionale consenta, nell’ambito del procedimento di ingiunzione di pagamento o di quello di esecuzione dell’ingiunzione di pagamento, un controllo d’ufficio della potenziale natura abusiva delle clausole inserite nel contratto di cui trattasi […]».

    Ciò significa che:

    laddove vi sia un rischio non trascurabile che il consumatore non esperisca i mezzi per opporsi all’ingiunzione di pagamento, il giudice è tenuto a valutare d’ufficio il carattere abusivo delle relative clausole contrattuali prima dell’emissione dell’ingiunzione di pagamento (407).

    Per contro:

    laddove il controllo d’ufficio non sia stato effettuato prima della concessione dell’ingiunzione, esso deve essere svolto, in ultima istanza, nella fase dell’esecuzione (408).

    Analogamente,

    laddove i controlli svolti in una fase anteriore della procedura non abbiano riguardato tutte le clausole contrattuali rilevanti, i giudici nazionali sono tenuti a valutare, anche d’ufficio, le altre clausole contrattuali rilevanti, anche nel caso in cui i controlli precedenti siano terminati con una decisione munita di autorità di cosa giudicata secondo le norme di procedura nazionali (409).

    La Corte (410) ha inoltre specificato che il fatto che il carattere abusivo delle clausole contrattuali sia valutato da un funzionario il cui status sia inferiore a quello di magistrato prima dell’emanazione dell’ingiunzione di pagamento non fornisce la tutela prevista. Ciò significa che, laddove vi sia il rischio non trascurabile che un consumatore non presenti opposizione, il giudice deve comunque valutare il carattere abusivo delle clausole contrattuali, ove necessario d’ufficio, e, al più tardi, nella fase dell’esecuzione.

    Per quanto riguarda specificamente l’esecuzione ipotecaria, la Corte (411), in linea di principio, ha considerato accettabile che le procedure di esecuzione possano essere avviate sulla base di un atto notarile senza un controllo giurisdizionale preventivo d’ufficio delle clausole abusive nei contratti. Tuttavia, tale orientamento è compatibile con la direttiva soltanto nella misura in cui i consumatori possano agire in giudizio contro tale esecuzione in condizioni ragionevoli, inclusa la disponibilità di provvedimenti provvisori, e laddove il controllo d’ufficio del carattere abusivo delle clausole contrattuali sia garantito nei procedimenti di accertamento che ne conseguono.

    Pertanto, l’esecuzione ipotecaria basata su un atto notarile non è compatibile con la direttiva laddove non vi siano ricorsi effettivi esperibili per i consumatori ovvero laddove vi sia il rischio non trascurabile che i consumatori non li esperiranno. Non esistono ricorsi effettivi, ad esempio, quando i consumatori, nella procedura di esecuzione, non possono opporsi all’esecuzione stessa basandosi sul carattere abusivo delle clausole contrattuali nella procedura di esecuzione, oppure quando nei procedimenti di accertamento in cui può essere valutato il carattere abusivo delle clausole contrattuali, essi non possano ottenere la sospensione delle procedure di esecuzione (412).

    La logica di tali principi deve applicarsi mutatis mutandis a tutti i tipi di procedura (413).

    5.4.2.   Fattori rilevanti per l’effettività dei ricorsi

    Nel valutare l’effettività dei ricorsi, dovranno essere prese in considerazione le specificità della procedura in questione. Inoltre, ai fini dell’impatto che particolari ostacoli potrebbero avere sulla capacità dei consumatori di esperire ricorsi o dell’effetto che le conoscenze o le informazioni limitate potrebbero avere a tal riguardo, si dovrebbe prendere in considerazione la prospettiva dei consumatori più vulnerabili. Tali consumatori potrebbero essere particolarmente riluttanti a esperire i ricorsi disponibili, anche laddove le clausole contrattuali fatte valere nei loro confronti siano chiaramente abusive (414).

    I seguenti fattori sono alternativi. Ciò significa che la non effettività dei ricorsi può essere causata da un singolo requisito, ad esempio le spese giudiziarie elevate o discriminatorie (415), oppure da un insieme di diversi requisiti, ad esempio un termine breve unito alla necessità di avvalersi di un avvocato (416) oppure di addurre minuziose argomentazioni (417). Nonostante la maggior parte degli aspetti citati di seguito riguardino il diritto processuale, in tale contesto è irrilevante se un determinato fattore sia qualificato come una questione di diritto processuale o sostanziale (418) nel relativo Stato membro. L’elenco che segue non è esaustivo, bensì riporta gli esempi più comuni tratti dalla giurisprudenza della Corte.

    Regole sulla competenza giudiziaria

    La Corte ha affermato che il diritto al ricorso effettivo si applica alle regole sulla competenza giudiziaria nonché alle norme procedurali (419). Sebbene il regolamento (UE) n. 1215/2012 concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (420) contenga norme di tutela dei consumatori in relazione ai procedimenti transfrontalieri (421), una tutela simile potrebbe non esistere nelle norme nazionali sulla competenza giurisdizionale dei casi interni. Le regole sulla competenza giudiziaria, obbligando, direttamente o indirettamente (422), i consumatori ad adire le vie legali o difendersi dinanzi a tribunali che sono talvolta distanti dal loro luogo di residenza, potrebbero dissuaderli dall’esperire ricorsi, in particolare laddove sia richiesta la presenza fisica nella procedura in questione (423). I giudici nazionali devono in questo caso esaminare se la distanza dal tribunale determini spese di viaggio eccessivamente elevate per il consumatore, tali da dissuaderlo dal comparire personalmente in un procedimento intentato nei suoi confronti (424).

    Tuttavia, il fatto che una certa causa debba essere dibattuta non dinanzi al tribunale locale, bensì presso un tribunale di grado superiore, che è situato lontano e che potrebbe comportare spese più elevate, non implica automaticamente la violazione dell’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva (425). Inoltre, le associazioni di tutela dei consumatori che propongono procedure collettive non si trovano nella stessa posizione dei singoli consumatori per quanto riguarda le regole sulla competenza giurisdizionale (426).

    Termini

    Secondo la giurisprudenza costante, è compatibile con la legislazione europea la fissazione di termini di ricorso «ragionevoli» a pena di decadenza, nell’interesse della certezza del diritto (427). Termini ragionevoli non sono, di per sé stessi, tali da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti attribuiti dall’ordinamento giuridico dell’UE (428).

    I termini brevi possono essere problematici già a causa del poco tempo che concedono ai consumatori per valutare le opzioni a loro disposizione, che possono spesso comportare una valutazione giuridica, nonché la necessità di avvalersi dell’assistenza di un legale. Finora, la Corte ha giudicato la lunghezza dei termini caso per caso e, principalmente, valutando anche altre circostanze, e di conseguenza non esiste un criterio assoluto per stabilire quali termini siano ragionevoli e quali non lo siano.

    Ad esempio, la Corte ha ritenuto che un termine di due mesi per contestare un lodo arbitrale a seguito della sua notifica sia ragionevole (429). Al contrario, la stessa (430) ha considerato «particolarmente breve» un termine di 20 giorni per opporsi a un’ingiunzione di pagamento, ma ha altresì tenuto conto dell’obbligo di essere rappresentati da un avvocato e delle spese correlate, che potrebbero dissuadere i consumatori dal difendersi.

    In relazione all’esecuzione stragiudiziale di un diritto di pegno (431), la Corte ha tenuto conto del fatto che una vendita all’asta poteva essere contestata entro 30 giorni dalla notifica dell’esecuzione sul bene dato in garanzia e che i consumatori avevano un termine di tre mesi dall’asta pubblica per agire. Inoltre, durante la valutazione sostanziale erano disponibili provvedimenti provvisori per sospendere o far cessare l’esecuzione. Su tale base, la Corte ha concluso che la legislazione in questione non rendeva eccessivamente difficile il ricorso alla tutela prevista dalla direttiva da parte dei consumatori.

    Per quanto riguarda le disposizioni transitorie relative a un nuovo motivo di opposizione nell’ambito di un procedimento di esecuzione ipotecaria sulla base del carattere abusivo delle clausole contrattuali (432), la Corte (433) ha ritenuto che il termine di quattro settimane per opporsi in relazione a un procedimento pendente fosse, in linea di principio, ragionevole e proporzionato (434). Ciononostante, la Corte ha ritenuto che il fatto che i consumatori interessati fossero informati di tale diritto soltanto tramite la gazzetta ufficiale dello Stato membro, ma non personalmente dal giudice competente (435), ingenerasse il rischio non trascurabile della decorrenza del termine senza che i consumatori fossero in grado di esercitare i loro diritti, violando il principio di effettività e, di conseguenza, la direttiva (436).

    La Corte ha fatto riferimento al termine di due settimane per l’opposizione all’ingiunzione di pagamento fondata su una cambiale definendolo un termine «breve» (437). Essa ha ritenuto che tale termine sia particolarmente problematico nel caso in cui l’imputato debba organizzare la sua difesa entro tali due settimane presentando tutti i suoi reclami e adducendo fatti e mezzi di prova.

    La Corte (438) ha inoltre giudicato che un periodo di 15 giorni, unito al requisito di motivare l’opposizione a un’ingiunzione di pagamento, potrebbe dissuadere un consumatore dall’esperire tale ricorso.

    Notifica

    Il fatto che l’eventuale misura o decisione oggetto di contestazione sia notificata al consumatore prima della decorrenza del termine fornisce almeno una garanzia del fatto che il consumatore venga informato dell’esistenza della relativa misura o decisione (439). Lo standard di notifica richiesto potrebbe essere rilevante anche nel valutare il rischio che i consumatori non esperiscano i ricorsi a loro disposizione, unitamente alle informazioni fornite ai consumatori nel momento in cui viene loro notificato il documento.

    Spese legali e obbligo di avvalersi di un avvocato

    Le spese processuali nonché quelle legali e di rappresentanza possono rappresentare, da sole, un fattore che potrebbe dissuadere i consumatori dal presentare ricorso. Ciò che è importante non è solo l’ammontare in assoluto, ma anche, ad esempio, il rapporto rispetto al valore della pretesa o il loro carattere discriminatorio. Le spese legali dovranno essere tenute in considerazione laddove i consumatori siano formalmente obbligati a essere rappresentati da un avvocato ovvero laddove vi sia, almeno nella prassi, la necessità di avvalersi dell’assistenza di un legale.

    Occorre prendere in considerazione anche i meccanismi diretti a compensare le difficoltà finanziarie del consumatore (440) e che possono, almeno, ridurre l’impatto delle spese.

    La Corte (441) ha considerato che l’obbligo di essere rappresentati da un avvocato per le cause di valore superiore a 900 EUR e le spese correlate costituiscono un fattore che potrebbe dissuadere i consumatori dal difendersi.

    La Corte (442) ha ritenuto che una norma secondo cui l’imputato è tenuto a pagare tre quarti delle spese processuali nel momento in cui si oppone a un’ingiunzione di pagamento potrebbe, in sé, dissuadere i consumatori dal proporre opposizione.

    Necessità di giustificare il ricorso

    Quando si esperisce un ricorso, l’obbligo di addurre argomentazioni sostanziali per quanto riguarda gli elementi di fatto e di diritto di una causa, inclusi i mezzi di prova, potrebbe dissuadere i consumatori dall’avvalersi di tale rimedio, specialmente se ciò è associato a un termine breve (443). Lo stesso dicasi quando i consumatori devono indicare i motivi per i quali esperiscono un ricorso per opporsi a un’ingiunzione di pagamento entro un termine di 15 giorni (444).

    Anche laddove non vi sia l’obbligo formale dell’assistenza di un avvocato, la necessità di giustificare il ricorso potrebbe far sorgere l’esigenza del patrocinio legale, il che, alla luce del tempo necessario e dei costi associati, come discusso in precedenza, potrebbe costituire un ulteriore fattore dissuasivo per i consumatori interessati a presentare ricorso.

    La disponibilità dei provvedimenti provvisori

    La Corte (445) ha ripetutamente evidenziato l’importanza della disponibilità di provvedimenti provvisori, in particolare al fine di far cessare o sospendere l’esecuzione nei confronti di un consumatore mentre il giudice valuta il carattere abusivo delle relative clausole contrattuali. Senza i provvedimenti provvisori, vi è il rischio che la protezione dalle clausole abusive nei contratti giunga troppo tardi e che, pertanto, non sia effettiva. Tali provvedimenti provvisori sono particolarmente importanti in relazione a procedimenti di esecuzione che riguardano l’abitazione del consumatore (446), inclusi gli sfratti, ma sono rilevanti anche per gli altri procedimenti di esecuzione. La Corte (447) ha sintetizzato come segue la sua posizione giuridica:

    «44

    […] la Corte ha altresì osservato che la normativa di uno Stato membro non era conforme alla direttiva 93/13 qualora, non prevedendo, nel contesto di un procedimento di esecuzione ipotecaria, motivi di opposizione tratti dal carattere abusivo di una clausola contrattuale costituente il fondamento del titolo esecutivo, tale normativa non consentisse al giudice del merito, competente a valutare il carattere abusivo di una clausola del genere, di emanare provvedimenti provvisori di sospensione di detto procedimento esecutivo […] (448).

    45

    Infine, la Corte ha dichiarato contrario alla direttiva 93/13 una normativa nazionale che non consenta al giudice dell’esecuzione, nell’ambito di un procedimento di esecuzione ipotecaria, né di valutare, d’ufficio o su domanda del consumatore, il carattere abusivo di una clausola contenuta nel contratto dal quale discende il debito fatto valere e che fonda il titolo esecutivo, né di adottare provvedimenti provvisori, tra i quali, segnatamente, la sospensione dell’esecuzione, allorché la concessione di tali provvedimenti sia necessaria a garantire la piena efficacia della decisione finale del giudice investito del relativo procedimento di merito, competente ad esaminare il carattere abusivo di tale clausola […]» (449).

    I provvedimenti provvisori possono risultare fondamentali non soltanto per sospendere le misure di esecuzione nei confronti dei consumatori, ma anche nei casi in cui i consumatori intraprendano azioni legali per richiedere di riconoscere l’invalidità di alcune clausole contrattuali (450).

    L’articolo 7, paragrafo 1, potrebbe inoltre richiedere che i giudici nazionali debbano avere la possibilità di concedere d’ufficio provvedimenti provvisori laddove:

    la concessione di tali provvedimenti sia necessaria al fine di assicurare la piena effettività di una sentenza successiva riguardante clausole abusive nei contratti; e

    vi sia un rischio non trascurabile che i consumatori non richiedano provvedimenti provvisori (451).

    Infine, non soltanto la completa assenza di provvedimenti provvisori potrebbe essere contraria all’effettività dei ricorsi, ma anche il fatto che sia difficile per i consumatori ottenerli alla luce, ad esempio, dei termini molto stretti, delle argomentazioni da addurre ovvero delle garanzie o prove da fornire.

    Mancanza di conoscenze e informazioni

    I consumatori spesso ignorano o non percepiscono la portata dei loro diritti, ovvero possono trovare difficoltà a valutare la situazione giuridica a causa delle informazioni limitate che vengono fornite loro, ad esempio, in un’ingiunzione di pagamento alla quale potrebbero opporsi (452). La mancanza o la limitatezza delle informazioni può far sorgere il rischio che i consumatori non esperiscano i ricorsi disponibili (453). La Corte ha confermato (454) che le informazioni fornite ai consumatori nella decisione eventualmente oggetto di contestazione o in relazione a essa, sono vitali. Tra di esse figurano le informazioni sul fatto che è possibile proporre opposizione all’atto, le motivazioni che possono essere addotte per l’opposizione e la forma, nonché i relativi termini. Inoltre, le informazioni limitate sulla sostanza della pretesa potrebbero rendere difficile per i consumatori giudicare le possibilità di successo associate all’opposizione di determinati atti, come le ingiunzioni di pagamento. Non è impossibile che, a seconda del loro contenuto, le informazioni fornite ai consumatori possano dissuaderli dall’esperire i ricorsi disponibili.

    Finora, la Corte (455) ha fornito soltanto indicazioni limitate su come determinare il rischio non trascurabile che i consumatori non esperiscano ricorsi sulla base della mancanza di conoscenze o informazioni. In qualunque caso, l’esame di tale rischio dovrà tenere conto della situazione tipica dei consumatori, inclusi quelli vulnerabili, nel tipo di procedura in questione.

    Autorità di cosa giudicata e termini di prescrizione in generale

    Analogamente ai termini, i termini di prescrizione e le norme sulla inappellabilità delle decisioni dei tribunali o di altri organi (autorità di cosa giudicata) sono legati al principio della certezza del diritto. Sia i termini di prescrizione che l’autorità di cosa giudicata costituiscano ostacoli giuridici per i ricorsi, ma quest’ultima potrebbe avere anche l’effetto di impedire a un giudice di (ri)considerare, su richiesta di una parte o d’ufficio, alcune questioni di diritto sostanziale, anche nella fase d’appello o dell’esecuzione.

    Nonostante il fatto che l’autorità di cosa giudicata e i termini di prescrizione, in alcune circostanze, possano essere in conflitto con la «giustizia materiale», la Corte ha riconosciuto il valore della certezza del diritto nell’ordinamento giuridico dell’Unione e degli Stati membri. Su tale base, la Corte (456) ha confermato che l’effettività del diritto in materia di consumatori, in linea di principio, non richiede di rimuovere le disposizioni nazionali sull’autorità di cosa giudicata e sui termini ragionevoli, inclusi i termini di prescrizione:

    «68

    […] invero, la Corte ha già riconosciuto che la tutela del consumatore non riveste un carattere assoluto. In particolare, essa ha statuito che il diritto dell’Unione non obbliga un giudice nazionale a disapplicare le norme processuali interne che attribuiscono, in particolare, autorità di cosa giudicata ad una decisione, anche quando ciò permetterebbe di porre rimedio ad una violazione di una disposizione, di qualunque natura essa sia, contenuta nella direttiva 93/13 […] (457).

    69

    Parimenti, la Corte ha già dichiarato che è compatibile con il diritto dell’Unione la fissazione di termini di ricorso ragionevoli a pena di decadenza nell’interesse della certezza del diritto […] (458).

    70

    Tuttavia, si deve distinguere l’applicazione di una modalità processuale, come un termine ragionevole di prescrizione, da una limitazione nel tempo degli effetti di un’interpretazione di una norma del diritto dell’Unione. […]».

    —    Autorità di cosa giudicata

    Alla luce di tali constatazioni della Corte, il principio dell’autorità di cosa giudicata prevarrà generalmente nelle cause terminate con una decisione definitiva inappellabile. Tale principio si applica anche nel caso in cui tale decisione sia contraria alla direttiva e/o laddove la giurisprudenza in merito alla valutazione del tipo specifico di clausola contrattuale sia cambiata.

    Tuttavia, è comunque necessario esaminare se la regola dell’autorità di cosa giudicata in questione limiti in modo sproporzionato o eccessivo i ricorsi ovvero impedisca il controllo d’ufficio in relazione al carattere abusivo delle clausole contrattuali.

    Come spiegato nella sezione 5.4.1, una norma nazionale sull’autorità di cosa giudicata non sarà compatibile con il principio dell’effettività quando impedisca il controllo d’ufficio delle clausole contrattuali prima che sia fatta valere una pretesa nei confronti di un consumatore nel caso in cui non vi siano ricorsi effettivi ovvero esista il rischio non trascurabile che i consumatori non esperiscano i ricorsi a loro disposizione (459). Analogamente, la Corte (460) ha stabilito che, laddove un giudice abbia esaminato soltanto alcune delle relative clausole contrattuali, l’autorità di cosa giudicata non può impedire la valutazione delle ulteriori clausole contrattuali in una fase successiva, su richiesta del consumatore ovvero in ragione di un controllo d’ufficio:

    «Quindi, nell’ipotesi in cui, nell’ambito di un precedente esame di un contratto controverso che abbia portato all’adozione di una decisione munita di autorità di cosa giudicata, il giudice nazionale si sia limitato ad esaminare d’ufficio, alla luce della direttiva 93/13, una sola o talune delle clausole di tale contratto, detta direttiva impone a un giudice nazionale […] regolarmente adito dal consumatore mediante un’opposizione incidentale, di valutare, su istanza delle parti o d’ufficio qualora disponga degli elementi di diritto e di fatto necessari a tal fine, l’eventuale carattere abusivo delle altre clausole di detto contratto. Infatti, in assenza di un siffatto controllo, la tutela del consumatore si rivelerebbe incompleta ed insufficiente e costituirebbe un mezzo inadeguato ed inefficace per far cessare l’utilizzo di questo tipo di clausole, contrariamente a quanto disposto all’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13 […]» (461).

    Inoltre, come illustrato nella sezione 5.3.1, i giudici potrebbero essere tenuti a valutare d’ufficio il carattere abusivo delle clausole contrattuali in base al principio di equivalenza (462), laddove le norme di procedura nazionali attribuiscano loro il potere di esaminare le questioni di ordine pubblico nonostante la norma dell’autorità di cosa giudicata altrimenti applicabile.

    —    Termini di prescrizione

    Come enunciato in precedenza (463), la Corte, in linea di principio, ritiene che termini di prescrizione ragionevoli siano accettabili nell’interesse della certezza del diritto, ad esempio, in relazione a pretese per la restituzione dell’indebito basate su clausole abusive nei contratti. Finora, la Corte non ha stabilito quali termini di prescrizione siano ragionevoli a tal riguardo e non si è pronunciata sul loro punto di partenza, sebbene sia stata invitata a fornire orientamenti su quest’ultimo aspetto (464).

    Occorre operare una distinzione tra i termini di prescrizione stabiliti per legge e la limitazione nel tempo degli effetti della sentenza di un tribunale sul carattere abusivo di una clausola contrattuale e sulle conseguenze associate (465), come il diritto del consumatore alla restituzione (466), essendo tali limitazioni nel tempo inammissibili (467).

    In qualunque caso, come affermato nella sezione 4.2, il carattere non vincolante delle clausole abusive nei contratti non può, in sé, essere soggetto a termini di prescrizione. Ciò implica che i consumatori possono sempre fare affidamento su tale protezione quando sono confrontati a pretese da parte dei professionisti sulla base di clausole abusive nei contratti, invocandone in prima persona il carattere abusivo o mediante un controllo d’ufficio, senza pena di decadenza (468). Lo stesso principio si applica per le richieste volte a dichiarare abusive clausole contrattuali in azioni singole o provvedimenti inibitori ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 2, della direttiva.

    5.5.   Le implicazioni del controllo d’ufficio

    5.5.1.   Obblighi fondamentali

    Il controllo d’ufficio richiede un intervento proattivo da parte dei giudici nazionali indipendentemente dalle argomentazioni addotte dalle parti (469), sia per quanto riguarda:

    l’esame dell’eventuale carattere abusivo di una clausola contrattuale e, pertanto, il suo carattere non vincolante; che

    le conseguenze derivanti dalla dichiarazione di abusività della clausola in questione al fine di assicurare che il consumatore non sia vincolato dalla stessa.

    I giudici nazionali potrebbero applicare clausole abusive soltanto laddove, eccezionalmente, un consumatore, che fosse informato dei propri diritti, si opponesse alla mancata applicazione delle clausole abusive nel contratto (470). La Corte ha affermato che:

    «[i]l giudice nazionale deve esaminare d’ufficio la natura abusiva di una clausola contrattuale a partire dal momento in cui dispone degli elementi di diritto e di fatto necessari a tal fine. Se esso considera abusiva una siffatta clausola, non la applica, tranne nel caso in cui il consumatore vi si opponga. […] (471).

    Infatti, la piena efficacia della tutela prevista dalla direttiva esige che il giudice nazionale che abbia accertato d’ufficio il carattere abusivo di una clausola possa trarre tutte le conseguenze derivanti da tale accertamento, senza attendere che il consumatore, informato dei suoi diritti, presenti una dichiarazione diretta ad ottenere l’annullamento di detta clausola [… (472)]» (473).

    L’obbligo del controllo d’ufficio potrebbe imporre inoltre ai giudici di emanare provvedimenti provvisori d’ufficio laddove ciò sia necessario per l’effettività del ricorso o laddove vi sia il rischio non trascurabile che i consumatori possano non richiedere un provvedimento provvisorio (474).

    Inoltre, i giudici sono tenuti a informare le parti dell’esito della valutazione d’ufficio di una clausola contrattuale e delle conclusioni da trarre, in modo che esse possano dibattere sulla questione (475).

    5.5.2.   Aspetti da esaminare

    L’obbligo dei giudici nazionali di valutare d’ufficio il carattere abusivo delle clausole contrattuali richiede che essi esaminino tutti i prerequisiti per dichiarare illecita una clausola (476), ivi comprese, nella misura in cui siano necessari provvedimenti individuali ai sensi delle relative norme nazionali di recepimento, le seguenti questioni:

    se le clausole contrattuali rientrino nell’ambito di applicazione della direttiva (477), che richiede che:

    vi sia un contratto stipulato tra un professionista e un consumatore (478);

    la clausola in questione non sia stata oggetto di negoziato individuale (479);

    la clausola in questione non riproduca norme imperative ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2;

    se l’articolo 4, paragrafo 2, si applichi o meno alla clausola contrattuale e, in caso affermativo, se essa soddisfi gli obblighi di trasparenza;

    se la clausola contrattuale sia abusiva, ovvero se, contrariamente al requisito della buona fede, essa crei un significativo squilibrio tra i diritti e gli obblighi delle parti a danno del consumatore, ivi compresa la possibile mancanza di trasparenza delle relative clausole, ovvero, se del caso, se essa corrisponda a una delle clausole che figurano in una lista nera o grigia.

    5.5.3.   Disponibilità dei necessari elementi di diritto e di fatto

    L’elemento principale della valutazione relativa al carattere abusivo delle clausole contrattuali è costituito dal contratto con tutte le sue clausole. Tuttavia, come spiegato in precedenza, prima di valutare il carattere abusivo di una clausola è necessario considerare altri elementi, ad esempio se una parte sia un consumatore, se una clausola sia stata oggetto di negoziato individuale, ovvero se un professionista abbia fornito al consumatore le necessarie informazioni prima della conclusione del contratto.

    Il problema potrebbe essere che, in un determinato caso, il giudice nazionale possa non disporre di tutti gli elementi di fatto e di diritto necessari per pronunciarsi sul carattere abusivo di una clausola contrattuale. La Corte ha riconosciuto tale evenienza quando ha utilizzato in molte sentenze formulazioni quali «a partire dal momento in cui [il giudice nazionale] dispone degli elementi di diritto e di fatto necessari a tal fine» (480).

    Allo stesso tempo, la Corte ha chiarito che il controllo d’ufficio implica un approccio proattivo per avere accesso agli elementi necessari per la valutazione delle clausole contrattuali (481), ad esempio quando, in relazione all’esame dei prerequisiti ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva, ha utilizzato l’espressione «adottare d’ufficio misure istruttorie al fine di accertare» (482).

    «[…], la Corte ha dichiarato che detto giudice deve adottare d’ufficio misure istruttorie al fine di accertare se una clausola inserita in un contratto stipulato tra un professionista e un consumatore rientri nell’ambito di applicazione della direttiva e, in caso affermativo, valutare d’ufficio la natura eventualmente abusiva di una clausola siffatta […]» (483).

    La Corte (484) ha altresì evidenziato che i giudici nazionali, laddove vi siano almeno alcune indicazioni che lo suggeriscano, devono ottenere i necessari chiarimenti per verificare se una parte sia qualificata come un consumatore:

    «[…], il principio di effettività richiede che il giudice nazionale adito nel contesto di una controversia vertente su un contratto che possa entrare nell’ambito di applicazione della citata direttiva, a partire dal momento in cui dispone degli elementi di diritto e di fatto necessari a tal fine o possa disporne su semplice domanda di chiarimenti, sia tenuto a verificare se l’acquirente possa essere qualificato come consumatore, anche se quest’ultimo non ha espressamente rivendicato questa qualità».

    Pertanto, laddove vi siano indicazioni che suggeriscono che il relativo contratto possa essere un contratto stipulato con un consumatore, un giudice nazionale è tenuto ad adottare d’ufficio misure istruttorie al fine di accertare tale fatto, anche laddove le parti non sollevino tale questione. Tale approccio proattivo sembrerebbe di fatto essere richiesto dal carattere obbligatorio dell’articolo 6, paragrafo 1.

    Analogamente, laddove vi siano indicazioni che suggeriscono che una pretesa possa essere basata su clausole contrattuali che non sono state oggetto di negoziato individuale, ma non tutti gli elementi siano immediatamente disponibili per completare tale esame, i giudici nazionali dovranno sollevare tale questione con le parti al fine di ottenere i necessari chiarimenti e mezzi di prova (485). Laddove i professionisti siano obbligati a fornire informazioni specifiche ai consumatori, i giudici sono tenuti a verificare se questi ultimi abbiano ricevuto le informazioni previste (486).

    Qualora particolari norme di procedura, ad esempio in un’ingiunzione di pagamento o una procedura di esecuzione, non consentano ai giudici di effettuare una valutazione sostanziale nonostante la disponibilità di tali elementi (487) o non forniscano loro accesso a tali elementi (488), ivi compreso il contratto su cui si basa la pretesa, tali limitazioni processuali non possono escludere l’obbligo di garantire il controllo d’ufficio.

    Tale interpretazione è confermata dalle considerazioni di seguito esposte:

    La formulazione utilizzata dalla Corte e il contesto delle varie sentenze suggeriscono già che la Corte riconosce il fatto che, in concreto, per un giudice nazionale non sarà possibile effettuare la valutazione necessaria senza avere accesso a tali elementi (489).

    Nella maggioranza delle cause, la Corte ha tenuto conto del fatto che i giudici del rinvio non avevano accesso agli elementi necessari. Inoltre, in diverse di queste sentenze, la Corte ha utilizzato la formulazione «[…] anche qualora  (490) disponga degli elementi di diritto e di fatto necessari a tal fine […]», indicando un ragionamento a fortiori opposto a una condizione giuridica.

    Laddove le norme di procedura nazionale possano impedire il controllo d’ufficio semplicemente negando ai giudici l’accesso agli elementi necessari, ciò lederebbe il diritto a un ricorso effettivo.

    Qualora il controllo d’ufficio sia richiesto in virtù del principio di equivalenza, tale esame potrebbe essere impedito nel concreto nel caso in cui le norme di procedura nazionali neghino ai giudici l’accesso agli elementi necessari.

    La Corte (491) ha confermato tale interpretazione quando, dopo aver stabilito l’esistenza di un rischio non trascurabile che i consumatori non si oppongano a un’ingiunzione di pagamento (492), essa ha ritenuto che l’emissione di un’ingiunzione di pagamento senza un esame d’ufficio preventivo rispetto al carattere abusivo delle clausole contrattuali fosse incompatibile con l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva. La Corte è giunta a tale conclusione sebbene fosse consapevole che, secondo le relative norme di procedura, i giudici nazionali non avevano accesso agli elementi di fatto e di diritto necessari per tale esame (493) e senza menzionare l’accesso a tali elementi come un presupposto per la sua pronuncia (494), quando ha affermato che:

    «[…] l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13 deve essere interpretato nel senso che osta a un procedimento che consente di emettere un’ingiunzione di pagamento, quando il giudice investito di una domanda di ingiunzione di pagamento non dispone del potere di procedere a un esame dell’eventuale carattere abusivo delle clausole del contratto in oggetto, una volta che le modalità di esercizio del diritto di proporre opposizione avverso una simile ordinanza non consentono di garantire il rispetto dei diritti che il consumatore trae dalla direttiva in parola».

    Pertanto, nei casi in cui la direttiva impone un controllo d’ufficio, i giudici nazionali devono essere obbligati a ottenere gli elementi necessari per la valutazione d’ufficio interpretando le norme nazionali in conformità al diritto dell’Unione ovvero, ove ciò non fosse possibile, rimuovendo le norme nazionali conflittuali.

    5.5.4.   Conclusioni da trarre dalla valutazione del carattere abusivo

    Alla fine della valutazione, i giudici nazionali devono trarre le conseguenze derivanti dal carattere abusivo delle relative clausole contrattuali e dal loro carattere non vincolante, in conformità con i principi stabiliti nella sezione 4. A seconda della pretesa, del tipo di procedura e della natura della clausola contrattuale, ciò potrebbe portare, ad esempio, a rigettare o limitare una pretesa nei confronti di un consumatore che sia totalmente o parzialmente basata su clausole abusive nei contratti, a far cessare o limitare la sua esecuzione, ovvero a una dichiarazione di invalidità.

    Come affermato in precedenza, prima che un giudice nazionale decida di disapplicare una clausola contrattuale che abbia valutato d’ufficio e che giudichi abusiva, lo stesso deve ascoltare entrambe le parti su tale questione (495).

    Inoltre, i consumatori, dopo essere stati informati della natura abusiva e del carattere non vincolante delle clausole contrattuali in questione, potrebbero decidere di non fare affidamento su tale tutela nei procedimenti in cui il giudice competente dovrà applicare la clausola abusiva del contratto (496). Alla luce del carattere obbligatorio dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva, tale dichiarazione dovrebbe essere valida soltanto laddove il giudice consideri soddisfacente che il consumatore abbia pienamente compreso la situazione giuridica e ritenga che la sua dichiarazione non si basi su concezioni erronee o non sia resa a seguito di pressioni di altre parti.

    5.6.   Implicazioni del controllo d’ufficio, dell’effettività e dell’equivalenza per le norme di procedura nazionali

    Laddove il diritto dell’Unione richieda un controllo d’ufficio del carattere abusivo delle clausole contrattuali, i giudici nazionali devono garantire tale esame interpretando e applicando il diritto interno il più possibile in conformità con quello dell’Unione (497). Nel caso in cui ciò sia impossibile e le norme di procedura nazionali non soddisfino il principio dell’effettività e/o non garantiscano un ricorso effettivo, i giudici nazionali sono tenuti a rimuoverle al fine di effettuare i controlli d’ufficio previsti dal diritto dell’Unione (498).

    Inoltre, i principi del controllo d’ufficio e dell’effettività potrebbero richiedere che gli Stati membri apportino alcuni adeguamenti o correzioni nella loro legislazione laddove le norme di procedura nazionali e le disposizioni sostanziali siano in conflitto con essi come descritto nei paragrafi che precedono. Gli Stati membri, pertanto, sono invitati a esaminare tutte le disposizioni nazionali che potrebbero essere in conflitto con le garanzie previste dalla direttiva così come interpretata dalla Corte.

    Laddove il controllo d’ufficio sia richiesto dal principio di equivalenza (499), i giudici nazionali sono tenuti ad applicare le relative disposizioni nazionali mutatis mutandis, al fine di valutare d’ufficio il carattere abusivo delle clausole contrattuali. Tuttavia, laddove tali disposizioni non riguardino esplicitamente azioni basate sul diritto dell’Unione, esiste il rischio che i giudici nazionali possano omettere di effettuare tale controllo basandosi soltanto su tali disposizioni nazionali. Pertanto, la conformità con il principio di equivalenza può richiedere anche adeguamenti legislativi.

    Infine, la Corte (500) ha chiarito che la decisione di un giudice nazionale di ultima istanza che non rispetti l’obbligo di valutare d’ufficio il carattere abusivo delle clausole contrattuali potrebbe costituire una violazione sufficientemente grave del diritto dell’Unione che potrebbe determinare la responsabilità dello Stato membro di risarcire i danni causati ai consumatori.

    5.7.   Controllo d’ufficio delle clausole abusive nei contratti e procedure stragiudiziali

    La giurisprudenza della Corte sulle garanzie processuali derivanti dalla direttiva è diretta esclusivamente agli «organi giurisdizionali» ai sensi dell’articolo 267 del TFUE. La Corte ha ritenuto che i tribunali arbitrali non possano presentare domande di pronuncia pregiudiziale (501).

    Con riferimento alla direttiva, la Corte (502) ha stabilito che la sua giurisprudenza relativa all’esame d’ufficio dei giudici nazionali non si applica ai notai nell’apposizione della formula esecutiva su un documento. Tuttavia, la valutazione della procedura nella sua interezza potrebbe tenere conto del ruolo dei notai, secondo il relativo diritto nazionale, nella redazione di tali documenti (503). Allo stesso tempo, le garanzie nella fase pregiudiziale non possono sostituire l’accesso a una valutazione giudiziale completa da parte del giudice (504).

    Ciononostante, la Corte ha chiarito che, in relazione alle procedure arbitrali avviate da professionisti nei confronti di consumatori, nella misura in cui esse siano ammissibili secondo il diritto nazionale applicabile, deve esservi un controllo giudiziale effettivo dei lodi arbitrali nelle procedure di appello e di esecuzione (505). Sulla base dei principi di equivalenza ed effettività (506), ciò può implicare l’obbligo per i giudici di valutare d’ufficio il carattere abusivo delle relative clausole contrattuali, ivi comprese quelle che consentono al professionista di ricorrere all’arbitrato, ove necessario nella fase dell’esecuzione. Le norme nazionali su tali procedure che mettono a rischio l’applicazione del principio della tutela giurisdizionale effettiva dalle clausole abusive nei contratti devono essere considerate contrarie alla direttiva (507). Le clausole contrattuali in base alle quali i professionisti possono imporre procedure di arbitrato ai consumatori risultano verosimilmente abusive laddove escludano o ostacolino il diritto dei consumatori ad adire le vie legali o esperire un ricorso (508), ivi compreso laddove impediscano l’effettivo controllo giudiziale delle clausole abusive nei contratti.

    Per quanto riguarda le procedure di risoluzione delle controversie avviate dai consumatori, la direttiva 2013/11/UE sulla risoluzione alternativa delle controversie dei consumatori (509) contiene garanzie importanti, tra l’altro per gli accordi tra un consumatore e un professionista volti a deferire le pretese a un organismo ADR, nonché per l’equità e la legalità delle procedure dinanzi agli organismi ADR riconosciuti. Nell’ambito di applicazione della direttiva 2013/11/UE, un accordo tra un consumatore e un professionista riguardo alla presentazione di reclami presso un organismo ADR non è vincolante per il consumatore prima dell’insorgere della controversia se ha l’effetto di privare il consumatore del suo diritto di adire un organo giurisdizionale per la risoluzione della stessa. Tale principio si applica a fortiori laddove tale accordo sia contenuto in una clausola contrattuale che non sia stata oggetto di negoziato individuale.

    6.   PROVVEDIMENTI INIBITORI NELL’INTERESSE COLLETTIVO DEI CONSUMATORI (ARTICOLO 7, PARAGRAFI 2 E 3, DELLA DIRETTIVA)

    Articolo 7

    1.

    Gli Stati membri, nell’interesse dei consumatori e dei concorrenti professionali, provvedono a fornire mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione di clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e dei consumatori.

    2.

    I mezzi di cui al paragrafo 1 comprendono disposizioni che permettano a persone o organizzazioni, che a norma del diritto nazionale abbiano un interesse legittimo a tutelare i consumatori, di adire, a seconda del diritto nazionale, le autorità giudiziarie o gli organi amministrativi competenti affinché stabiliscano se le clausole contrattuali, redatte per un impiego generalizzato, abbiano carattere abusivo ed applichino mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione di siffatte clausole.

    3.

    Nel rispetto della legislazione nazionale, i ricorsi menzionati al paragrafo 2 possono essere diretti, separatamente o in comune, contro più professionisti dello stesso settore economico o associazioni di professionisti che utilizzano o raccomandano l’inserzione delle stesse clausole contrattuali generali o di clausole simili.

    L’articolo 7, paragrafi 2 e 3, della direttiva integra la direttiva 2009/22/CE relativa a provvedimenti inibitori a tutela degli interessi dei consumatori (510), con particolare riguardo ai provvedimenti inibitori a tutela degli interessi collettivi dei consumatori, al fine di far cessare l’inserzione di clausole abusive nei contratti da parte di singoli professionisti o gruppi di professionisti. Ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, anche i provvedimenti inibitori devono essere adeguati ed effettivi (511). Alla luce della natura preventiva e della finalità dissuasiva di tali azioni, nonché della loro indipendenza nei confronti di qualsiasi conflitto individuale concreto, le persone o organizzazioni autorizzate, come le associazioni di consumatori, possono esercitare tali provvedimenti inibitori anche laddove le relative clausole non siano ancora state utilizzate in specifici contratti (512). Al contrario, la Corte ha ritenuto che l’articolo 7, paragrafi 1 e 2, e l’articolo 47 della Carta non obblighino gli Stati membri a consentire a un’organizzazione di consumatori di intervenire a sostegno di singoli consumatori nei procedimenti riguardanti l’esecuzione di clausole potenzialmente abusive nei contratti (513), tranne laddove ciò sia richiesto dal principio di equivalenza (514).

    I principi di equivalenza ed effettività e il controllo d’ufficio, nonché l’articolo 47 della Carta, si applicano allo stesso modo ai provvedimenti inibitori a tutela degli interessi dei consumatori, sebbene debba essere presa in considerazione la loro particolare natura.

    In particolare, l’articolo 6, paragrafo 1, in combinato disposto con l’articolo 7, paragrafi 1 e 2, richiede che le clausole contrattuali dichiarate abusive nell’ambito di un’azione inibitoria non vincolino né i consumatori che siano parti nel procedimento inibitorio né quelli che abbiano stipulato con il professionista un contratto al quale si applicano le medesime clausole (515). Una clausola dichiarata abusiva in tale procedura si considera tale anche nei futuri contratti tra il professionista e i consumatori (516). I giudici nazionali che si pronunciano su singole cause sono obbligati a tenere conto dell’effetto di tali azioni inibitorie nell’ambito dei loro doveri d’ufficio e potrebbero non considerare equa e valida la relativa clausola.

    La Corte ha altresì riconosciuto, in linea di principio, la possibilità di aumentare la tutela dalle clausole abusive nei contratti ai sensi dell’articolo 8 creando un registro nazionale delle clausole contrattuali ritenute abusive in sentenze definitive, sulla base del quale l’autorità competente potrebbe sanzionare anche gli altri professionisti che ricorrono a clausole equivalenti. Tuttavia, alla luce dell’articolo 47 della Carta, tali professionisti devono disporre di un ricorso giurisdizionale effettivo contro la decisione che dichiara equivalenti le clausole e contro quella di stabilire l’ammontare della sanzione pecuniaria inflitta (517).

    Nonostante i benefici evidenti delle azioni collettive di cui all’articolo 7, paragrafo 2, tali azioni non devono compromettere il diritto, per i consumatori che intentano azioni individuali parallele per richiedere la dichiarazione del carattere abusivo di una clausola contrattuale, di dissociarsi dall’azione collettiva avente ad oggetto clausole simili utilizzate nei contratti dello stesso tipo. Come spiegato dalla Corte (518), le azioni individuali o collettive previste dalla direttiva sono complementari e hanno finalità ed effettivi giuridici diversi. Un’azione collettiva per ottenere un provvedimento inibitorio mira, in astratto, alla valutazione generale dell’eventuale carattere abusivo di una clausola contrattuale, mentre un’azione individuale comporta l’esame specifico di una clausola contrattuale alla luce delle particolari circostanze del caso (519). Di conseguenza, le azioni collettive possono avere soltanto un impatto processuale limitato sulle azioni individuali, giustificato in particolare dalla solida amministrazione della giustizia e dalla necessità di evitare decisioni giudiziarie incompatibili. Pertanto, l’articolo 7 osta a una norma nazionale che imponga a un giudice di sospendere automaticamente un’azione individuale intentata dinanzi a esso da un consumatore fino a quando non si giunga a una sentenza definitiva in un’azione collettiva parallela avviata da un’associazione (520).

    In tal contesto, i provvedimenti provvisori dovrebbero essere disponibili nell’ambito dell’azione individuale, sia su richiesta del consumatore che mediante intervento d’ufficio del giudice, per tutto il tempo necessario, in attesa di una sentenza definitiva relativa a un’azione collettiva in corso (521). Tale concetto è rilevante specialmente quando il provvedimento provvisorio è necessario per garantire la piena effettività della sentenza nell’azione individuale.

    Per quanto riguarda le regole sulla competenza giudiziaria, la Corte ha accettato che una norma nazionale in base alla quale le azioni inibitorie esercitate dalle associazioni di tutela dei consumatori debbano essere esperite dinanzi ai giudici del luogo di stabilimento o di domicilio del convenuto, ovvero il professionista, non violano il principio di effettività (522). La Corte ha ritenuto che le associazioni di tutela dei consumatori non si trovino nella stessa posizione di inferiorità dei singoli consumatori quando richiedono azioni inibitorie nei confronti di professionisti e ha fatto riferimento all’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2009/22/CE (523).

    La Corte ha inoltre affermato che le regole dell’Unione sulla competenza giudiziaria indicano che un’azione inibitoria esercitata da un’associazione di tutela dei consumatori al fine di impedire a un professionista di utilizzare clausole considerate abusive nei contratti con i privati costituisce una questione in materia di delitti o quasi-delitti ai sensi della Convenzione di Bruxelles (524). Tale interpretazione è valida anche per il regolamento Bruxelles I (525). Ciò implica che la competenza può essere attribuita a un giudice del luogo in cui l’evento dannoso è avvenuto, che deve essere inteso in senso ampio per quanto riguarda la tutela dei consumatori, non solo per le situazioni in cui un soggetto abbia subito danni personali ma anche, in particolare, in quelle in cui il ricorso a clausole abusive mini la stabilità giuridica (526). Il diritto applicabile a tale azione deve essere determinato in conformità all’articolo 6, paragrafo 1, del regolamento Roma II (527), mentre quello applicabile alla valutazione di una particolare clausola contrattuale deve sempre essere determinato ai sensi del regolamento Roma I (528), sia che si tratti di una valutazione nell’ambito di un’azione individuale che collettiva (529).


    (1)  Direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori («direttiva») (GU L 95 del 21.4.1993, pag. 29) modificata dalla direttiva 2011/83/UE del Parlamento europeo e del Consiglio (GU L 304 del 22.11.2011, pag. 64).

    (2)  Relazione finale del 23.5.2017, SWD(2017) 208 final.

    (3)  Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 93/13/CEE del Consiglio del 5 aprile 1993, la direttiva 98/6/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, la direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e la direttiva 2011/83/UE del Parlamento europeo e del Consiglio per una migliore applicazione e una modernizzazione delle norme dell’UE relative alla protezione dei consumatori, COM(2018) 185 final. Al momento dell’adozione della presente comunicazione, il Consiglio e il Parlamento europeo avevano deciso, in linea di principio, di inserire nella direttiva un nuovo articolo 8 ter sulle sanzioni.

    (4)  COM(2018) 183 final.

    (5)  Sezione 2.1.

    (6)  Tali informazioni sono disponibili anche sul sito web della DG Giustizia e consumatori: https://archiefotc01.archiefweb.eu/archives/archiefweb/20171125145225/http://ec.europa.eu/consumers/consumer_rights/rights-contracts/directive/notifications/index_en.htm#HR

    (7)  https://e-justice.europa.eu/content_text_of_the_directive-628-en.do#partDisplayArea

    (8)  Almeno in relazione al diritto contrattuale dei consumatori. Cfr. causa C-377/14, Radlinger Radlingerová, punti da 60 a 74, in particolare il punto 62 con riferimenti ad altre sentenze: per quanto attiene la direttiva 85/577/CEE del Consiglio, del 20 dicembre 1985, per la tutela dei consumatori in caso di contratti negoziati fuori dei locali commerciali (GU L 372 del 31.12.1985, pag. 31), causa C-227/08, Martín, punto 29, per quanto attiene la direttiva 1999/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 maggio 1999, su taluni aspetti della vendita e delle garanzie dei beni di consumo (GU L 171 del 7.7.1999, pag. 12) e causa C-32/12, Duarte Hueros, punto 39. In relazione alla direttiva 1999/44/CE si veda, inoltre, la causa C-497/13, Froukje Faber, punti da 42 a 48. Per quanto attiene la direttiva 87/102/CEE del Consiglio, del 22 dicembre 1986, relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di credito al consumo (GU L 42 del 12.2.1987, pag. 48), sostituita dalla direttiva 2008/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (GU L 133 del 22.5.2008, pag. 66), cfr. la causa C-429/05, Rampion, punto 69 e dispositivo e la causa C-76/10, Pohotovost’, punto 76.

    (9)  GU L 1 del 3.1.1994, pag. 3.

    (10)  Solitamente sentenze e talvolta ordinanze.

    (11)  Ad esempio, causa C-40/08, Asturcom Telecomunicaciones, punto 51.

    (12)  Riferimento alla causa C-168/05, Mostaza Claro, punto 37.

    (13)  Causa C-243/08, Pannon GSM, punto 31; causa C-168/05, Mostaza Claro, punto 3; causa C-26/13, Kásler e Káslerné Rábai, punto 78.

    (14)  Al momento dell’adozione, articolo 100 bis del trattato che istituisce la Comunità economica europea.

    (15)  In appresso denominata la «Carta».

    (16)  La citazione che segue è tratta dalla causa C-147/16, Karel de Grote, punto 54. Alla fine di tale punto, la Corte fa riferimento alla causa C-488/11, Asbeek Brusse, punto 31, e alla causa C-110/14, Costea, punto 18, della giurisprudenza ivi citata. Affermazioni simili si ritrovano in molte altre sentenze, ad esempio nella causa C-169/14, Sánchez Morcillo, punto 22.

    (17)  Tale aspetto è affrontato in particolare nella causa C-147/16, Karel de Grote, punto 59.

    (18)  Tale aspetto è evidenziato nella causa C-110/14, Costea, punto 27.

    (19)  Ad esempio, causa C-421/14, Banco Primus, punto 41; causa C-169/14, Sánchez Morcillo e Abril García, punto 23; cause riunite C-154/15, C-307/15 e C-308/15, Gutiérrez Naranjo e altri, punti 53 e 55.

    (20)  Cause riunite C-96/16 e C-94/17, Banco Santander Escobedo Cortés, punto 69.

    (21)  Ad esempio, causa C-169/14, Sánchez Morcillo e Abril García, punto 22, e la giurisprudenza ivi citata.

    (22)  Conclusioni dell’avvocato generale Pitruzzella nella causa C-260/18, Dziubak, punto 53.

    (23)  Relazione della Commissione sull’applicazione della direttiva 93/13/CEE del Consiglio del 5 aprile 1993 concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, del 27 aprile 2000, COM(2000) 248 final, pag. 13.

    (24)  È inoltre possibile che le parti di un contratto includano più di un professionista e/o più di un consumatore.

    (25)  Causa C-590/17, Pouvin Dijoux, punti da 25 a 28, con riferimenti alla causa C-110/14, Costea, punto 21, per quanto attiene la nozione di «consumatore»; causa C-74/15, Tarcău, punto 27; causa C-534/15, Dumitraș, punto 36; e causa C-535/16, Bachman, punto 36.

    (26)  Ad esempio nella causa C-147/16, Karel de Grote, punti 53 e 55, che sono qui citati.

    (27)  Causa C-488/11, Asbeek Brusse, punto 30; e causa C-110/14, Costea, punto 17, e giurisprudenza ivi citata.

    (28)  Riferimento, per analogia, all’ordinanza del 27 aprile 2017 nella causa C-535/16, Bachman, punto 36 e alla giurisprudenza ivi citata.

    (29)  Causa C-488/11, Asbeek Brusse, punto 25.

    (30)  Causa C-488/11, Asbeek Brusse, punto 26.

    (31)  Causa C-488/11, Asbeek Brusse, punto 31.

    (32)  Causa C-488/11, Asbeek Brusse, punti da 27 a 30; causa C-147/16, Karel de Grote, punti da 40 a 42.

    (33)  Cfr., ad esempio, il riferimento nel punto 51 della causa C-147/16, Karel de Grote, alla causa C-59/12, Zentrale zur Bekämpfung unlauteren Wettbewerbs, riguardante la direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno e che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio (GU L 149 dell’11.6.2005, pag. 22).

    (34)  Causa C-147/16, Karel de Grote, punti 47 e 48; causa C-488/11, Asbeek Brusse, punto 28.

    (35)  Cfr. causa C-147/16, Karel de Grote, punto 48, che fa rifermento alla causa C-488/11, Asbeek Brusse, punto 28 e alla giurisprudenza ivi citata.

    (36)  Causa C-147/16, Karel de Grote, punti da 49 a 51.

    (37)  Causa C-59/12, Zentrale zur Bekämpfung des unlauteren Wettbewerbs, punto 32.

    (38)  Causa C-147/16, Karel de Grote, punto 51.

    (39)  Riferimento, per analogia, alla causa C-59/12, Zentrale zur Bekämpfung unlauteren Wettbewerbs, punto 32.

    (40)  Causa C-590/17, Pouvin Dijoux, punto 37; causa C-147/6, Karel de Grote — Hogeschool Katholieke Hogeschool Antwerpen, punti 57 e 58.

    (41)  Causa C-590/17, Pouvin Dijoux.

    (42)  Causa C-147/16, Karel de Grote.

    (43)  Causa C 537/13, Šiba.

    (44)  Causa C-110/14, Costea.

    (45)  Causa C-110/14, Costea, punto 27.

    (46)  Riferimento alla causa C-537/13, Šiba, punto 23.

    (47)  Cause C-74/15, Dumitru Tarcău e C-534/15, Dumitraș, punti da 34 a 40.

    (48)  Causa C-290/16, Air Berlin, punto 44.

    (49)  La Corte potrebbe fornire ulteriori chiarimenti su tale categoria di contratti nella causa C-272/18, Verein für Konsumenteninformation/TVP Treuhand- und Verwaltungsgesellschaft für Publikumsfonds mbH & Co KG (pendente al 31 maggio 2019) riguardante i contratti fiduciari stipulati tra un socio amministratore e altri accomandanti in una società in accomandita di diritto tedesco.

    (50)  Come espresso dall’avvocato generale nel punto 56 della causa C-590/17, Pouvin Dijoux, il considerando 10 «fornisce di fatto esempi illustrativi dei tipi di negozi giuridici che esulano dall’ambito di applicazione dell’articolo 1, paragrafo 1, in combinato disposto con l’articolo 2, lettere b) e c) della direttiva».

    (51)  Cfr., per quanto attiene i contratti di lavoro, la causa C-590/17, Pouvin Dijoux, punto 32.

    (52)  Cause C-74/15, Dumitru Tarcău e C-534/15, Dumitraș.

    (53)  Tale aspetto è confermato dalla posizione comune assunta dalle autorità nazionali nell’ambito della rete di autorità pubbliche di vigilanza creata con il regolamento 2006/2004/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 ottobre 2004, sulla cooperazione tra le autorità nazionali responsabili dell'esecuzione della normativa che tutela i consumatori («regolamento sulla cooperazione per la tutela dei consumatori») (GU L 364 del 9.12.2004, pag. 1) sulla tutela dei consumatori sui social network, disponibile all’indirizzo http://europa.eu/rapid/press-release_IP-17-631_it.htm (novembre 2016). Cfr. anche il concetto di remunerazione di cui al considerando 16 della direttiva (UE) 2018/1972 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2018, che istituisce il codice europeo delle comunicazioni elettroniche (GU L 321 del 17.12.2018, pag. 36).

    (54)  Cause C-74/15, Dumitru Tarcău, punto 26, e C-534/15, Dumitraș, punto 31.

    (55)  Causa C-488/11, Asbeek Brusse, punti da 32 a 34.

    (56)  Causa C 537/13, Šiba, punti 23 e 24.

    (57)  Causa C-110/14, Costea.

    (58)  Causa C-147/16, Karel de Grote.

    (59)  Cause C-74/15, Dumitru Tarcău e C-534/15, Dumitraș.

    (60)  Causa C-590/17, Pouvin Dijoux. La Corte ha ritenuto che la nozione di «consumatore» di cui all’articolo 2, lettera b), della direttiva si applichi al dipendente di un’impresa e al coniuge di quest’ultimo, che stipulano un contratto di mutuo con tale impresa, riservato, principalmente, ai membri del personale della stessa, al fine di finanziare l’acquisto di un bene immobile per fini privati. La nozione di «professionista» di cui all’articolo 2, lettera c), della direttiva si applica a tale impresa, nel caso in cui la stessa stipuli tale contratto di mutuo nel contesto della sua attività professionale, anche laddove la concessione dei mutui non costituisca la sua attività principale.

    (61)  In alcuni Stati membri (cfr. allegato II), anche le clausole contrattuali che sono state oggetto di negoziato individuale sono soggette alle norme sulle clausole abusive nei contratti.

    (62)  Articolo 3, paragrafo 2.

    (63)  Considerando 9.

    (64)  articolo 3, paragrafo 2; causa C-191/15, Verein für Konsumenteninformation/Amazon, punto 63.

    (65)  Considerando 11.

    (66)  Causa C-452/18, Ibercaja Banco (pendente al 31 maggio 2019).

    (67)  Cfr. le relative notifiche degli Stati membri di cui all’articolo 8 bis presentate nell’allegato II.

    (68)  Citazione dalla causa C-51/17, OTP Bank/Ilyés e Kiss, punto 54. La stessa affermazione si ritrova, ad esempio, nelle cause C-186/16, Andriciuc, punto 31 e C-34/13, Kušionová, punto 77.

    (69)  Riferimento alla causa C-186/16, Andriciuc e altri, punto 31, e alla giurisprudenza ivi citata.

    (70)  Cause C-266/18, Aqua Med, punto 33, C-446/17, Woonhaven Antwerpen, punto 25, C-186/16, Andriciuc, punto 29; C-280/13, Barclays Bank, punti 31 e 42; C-34/13, Kušionová, punto 77; e C-92/11, RWE Vertrieb, punto 26.

    (71)  Causa C-51/17, OTP Bank/Ilyés e Kiss, punto 53, causa C-92/11, RWE Vertrieb, punto 28. Cfr. anche considerando 13 della direttiva.

    (72)  Causa C-51/17, OTP Bank/Ilyés e Kiss, punti da 62 a 64. Tuttavia, tale disposizione non può privare i consumatori dei diritti che deriverebbero dall’invalidità del contratto a causa del carattere abusivo di una clausola contrattuale. Cfr. sezione 4.3.2.1 e causa C-118/17, Dunai, punti da 51 a 55.

    (73)  Nella causa C-51/17, OTP Bank/Ilyés e Kiss, la Corte ha rilevato che una clausola contrattuale standardizzata, relativa al rischio di cambio di un contratto di mutuo espresso in una valuta estera non è esclusa dall’ambito di applicazione della direttiva, anche laddove il diritto nazionale contenga disposizioni imperative sul meccanismo di conversione della valuta.

    (74)  Causa C-92/11, RWE Vertrieb, punto 1 del dispositivo: «L’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, deve essere interpretato nel senso che tale direttiva si applica alle clausole delle condizioni generali inserite nei contratti, stipulati tra un professionista e un consumatore, che riproducono una norma del diritto nazionale applicabile ad un’altra categoria di contratti e che non sono soggetti alla normativa nazionale di cui trattasi».

    (75)  Causa C-266/18, Aqua Med, punti da 35 a 38.

    (76)  Cause C-125/18, Gomez del Moral, C-779/18, Mikrokasa e C-81/19, Banca Transilvania, pendenti al 31 maggio 2019.

    (77)  Convenzione per l’unificazione di alcune norme relative al trasporto aereo internazionale (Convenzione di Montreal), conclusa a Montreal il 28 maggio 1999.

    Convenzione relativa ai trasporti internazionali per ferrovia (COTIF) del 9 maggio 1980, modificata dal protocollo di Vilnius del 3 giugno 1999.

    Convenzione di Atene del 1974 relativa al trasporto via mare dei passeggeri e del loro bagaglio, come modificata dal Protocollo del 2002 (Convenzione di Atene).

    (78)  Causa C-290/16, Air Berlin, punto 44.

    (79)  Direttiva 2011/83/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2011, sui diritti dei consumatori, recante modifica della direttiva 93/13/CEE del Consiglio e della direttiva 1999/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga la direttiva 85/577/CEE del Consiglio e la direttiva 97/7/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (GU L 304 del 22.11.2011, pag. 64).

    (80)  GU L 149 dell’11.6.2005, pag. 22.

    (81)  Direttiva 2008/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2008, relativa ai contratti di credito ai consumatori e che abroga la direttiva 87/102/CEE del Consiglio (GU L 133 del 22.5.2008, pag. 66).

    (82)  Direttiva 2008/122/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 gennaio 2009, sulla tutela dei consumatori per quanto riguarda taluni aspetti dei contratti di multiproprietà, dei contratti relativi ai prodotti per le vacanze di lungo termine e dei contratti di rivendita e di scambio (GU L 33 del 3.2.2009, pag. 10).

    (83)  Direttiva 2014/17/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 febbraio 2014, in merito ai contratti di credito ai consumatori relativi a beni immobili residenziali e recante modifica delle direttive 2008/48/CE e 2013/36/UE e del regolamento (UE) n. 1093/2010 (GU L 60 del 28.2.2014, pag. 34).

    (84)  Direttiva (UE) 2015/2302 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2015, relativa ai pacchetti turistici e ai servizi turistici collegati, che modifica il regolamento (CE) n. 2006/2004 e la direttiva 2011/83/UE del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga la direttiva 90/314/CEE del Consiglio (GU L 326 dell’11.12.2015, pag. 1).

    (85)  GU L 321 del 17.12.2018, pag. 36. Il considerando 260 prevede che gli utenti finali dovrebbero fra l’altro essere informati dei livelli di qualità del servizio offerti, delle condizioni di promozione e risoluzione dei contratti e delle tariffe e dei piani tariffari applicabili ai servizi soggetti a condizioni di prezzo particolari.

    (86)  Regolamento (CE) n. 1008/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 settembre 2008, recante norme comuni per la prestazione di servizi aerei nella Comunità (GU L 293 del 31.10.2008, pag. 3).

    (87)  Direttiva 2009/72/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 luglio 2009, relativa a norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica e che abroga la direttiva 2003/54/CE (GU L 211 del 14.8.2009, pag. 55).

    (88)  Direttiva 2009/73/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 luglio 2009, relativa a norme comuni per il mercato interno del gas naturale e che abroga la direttiva 2003/55/CE (GU L 211 del 14.8.2009, pag. 94).

    (89)  Il rapporto tra la direttiva e la direttiva 2003/55/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2003, relativa a norme comuni per il mercato interno del gas naturale e che abroga la direttiva 98/30/CE (GU L 176 del 15.7.2003, pag. 57) è stato discusso nella causa C-92/11, RWE Vertrieb, in cui la Corte ha applicato entrambi gli strumenti in modo complementare.

    (90)  Regolamento (CE) n. 593/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 giugno 2008, sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (Roma I) (GU L 177 del 4.7.2008, pag. 6).

    (91)  Regolamento (UE) n. 1215/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2012, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (rifusione) (GU L 351 del 20.12.2012, pag. 1).

    (92)  Regolamento (CE) n. 861/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 luglio 2007, che istituisce un procedimento europeo per le controversie di modesta entità (GU L 199 del 31.7.2007, pag. 1).

    (93)  Regolamento (CE) n. 1896/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, che istituisce un procedimento europeo d’ingiunzione di pagamento (GU L 399 del 30.12.2006, pag. 1). La questione del rapporto tra tale regolamento e la direttiva è stata sollevata nelle cause riunite C-453/18 e C-494/18, Bondora (pendenti al 31 maggio 2019).

    (94)  La parte introduttiva del punto 1 dell’allegato della direttiva 2009/72/CE (GU L 211 del 14.8.2009, pag. 55) recita come segue: «Fatte salve le norme comunitarie relative alla tutela dei consumatori, nella fattispecie […] la direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, le misure di cui all’articolo 3 consistono nel garantire che i clienti […]».

    (95)  La parte introduttiva del punto 1 dell’allegato della direttiva 2009/73/CE (GU L 211 del 14.8.2009, pag. 94) recita come segue: «Fatte salve le norme comunitarie relative alla tutela dei consumatori, nella fattispecie […] la direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, le misure di cui all’articolo 3 consistono nel garantire che i clienti: […]».

    (96)  Il considerando 50 della direttiva 2014/17/UE (GU L 60 del 28.2.2014, pag. 34) ha il seguente tenore: «[…] Le disposizioni della presente direttiva in materia di prodotti e servizi accessori (ad esempio le disposizioni riguardanti i costi di apertura e tenuta di un conto bancario) dovrebbero far salve […] la direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori […]».

    (97)  Il considerando 258 della direttiva (UE) 2018/1972 (GU L 321 del 17.12.2018, pag. 36) recita: «Oltre che dalla presente direttiva, le transazioni dei consumatori in materia di reti e di servizi di comunicazione elettronica sono disciplinate dal diritto dell’Unione in vigore sulla tutela contrattuale dei consumatori e in particolare dalla direttiva 93/13/CEE del Consiglio […]». Una formulazione simile è contenuta nel considerando 30 della direttiva 2002/22/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 marzo 2002, relativa al servizio universale e ai diritti degli utenti in materia di reti e di servizi di comunicazione elettronica (direttiva servizio universale) (GU L 108 del 24.4.2002, pag. 51).

    (98)  Causa C-290/16, Air Berlin, punti 45 e 46.

    (99)  Nella causa C-290/16, Air Berlin, punto 2 del dispositivo e punti da 45 a 52, la Corte ha stabilito che le norme sulla libertà in materia di tariffe stabilite nell’articolo 22, paragrafo 1, del regolamento (CE) n. 1008/2008 sui servizi aerei (GU L 293 del 31.10.2008, pag. 3) non escludono l’applicazione della direttiva in relazione alle clausole contrattuali relative al prezzo.

    (100)  GU L 149 dell’11.6.2005, pag. 22.

    (101)  Causa C-453/10, Pereničová e Perenič, punto 2 del dispositivo, penultima frase: «L’accertamento del carattere sleale di una siffatta pratica commerciale rappresenta un elemento tra gli altri sul quale il giudice competente può fondare, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 93/13, la sua valutazione del carattere abusivo delle clausole del contratto relative al costo del prestito concesso al consumatore».

    (102)  Causa C-453/10, Pereničová e Perenič, ultima frase del punto 2 del dispositivo.

    (103)  Ad esempio, articoli 5 e 6 della direttiva 2008/48/CE sul credito al consumo (GU L 133 del 22.5.2008, pag. 66) o articolo 5 della direttiva (UE) 2015/2302 relativa ai pacchetti turistici e ai servizi turistici collegati (GU L 326 dell’11.12.2015, pag. 1).

    (104)  Cfr., ad esempio, l’articolo 10 della direttiva 2008/48/CE sul credito al consumo (GU L 133 del 22.5.2008, pag. 66) — aggiungere disposizioni — e articolo 7 della direttiva (UE) 2015/2302 relativa ai pacchetti turistici e ai servizi turistici collegati (GU L 326 dell’11.12.2015, pag. 1).

    (105)  «Professionista» è il termine utilizzato in molte direttive dell’UE in materia di protezione dei consumatori, mentre in alcune versioni linguistiche della direttiva e del regolamento Roma I vengono utilizzati termini diversi.

    (106)  GU L 177 del 4.7.2008, pag. 6.

    (107)  Causa C-191/15, Verein für Konsumenteninformation/Amazon, in particolare il punto 2 del dispositivo.

    (108)  Si veda la posizione comune assunta dalle autorità nazionali nell’ambito della rete CTC riguardante la tutela dei consumatori sui social network (novembre 2016), http://europa.eu/rapid/press-release_IP-17-631_it.htm.

    (109)  L’articolo 8 bis è stato aggiunto mediante l’articolo 32 della direttiva 2011/83/UE sui diritti dei consumatori (GU L 304 del 22.11.2011, pag. 64).

    (110)  Tale obbligo è confermato, ad esempio, nel punto 55 della causa C-191/15, Verein für Konsumenteninformation/Amazon: «[…] A tal proposito, si deve osservare che il livello di tutela dei consumatori varia ancora da uno Stato membro all’altro, conformemente all’articolo 8 della direttiva 93/13, cosicché la valutazione di una clausola può variare, a parità di tutte le altre condizioni, in funzione del diritto applicabile». Ciò è stato confermato dalla Corte anche nella causa C-453/10, Pereničová e Perenič.

    (111)  Inserito tramite l’articolo 32 della direttiva 2011/83/UE (GU L 304 del 22.11.2011, pag. 64).

    (112)  Le norme nazionali notificate si possono trovare nell’allegato II e all’indirizzo:

    https://ec.europa.eu/info/notifications-under-article-8a-directive-93-13-eec_en.

    (113)  Menzionate esplicitamente nell’articolo 8 bis, paragrafo 1, primo trattino.

    (114)  Gli ultimi due esempi non sono menzionati esplicitamente nell’articolo 8 bis.

    (115)  Nel punto 61 della causa C-143/13, Matei e Matei, la Corte ha confermato che una «lista nera» delle clausole da considerarsi abusive costituisce una delle misure più severe che gli Stati membri possono adottare o mantenere, nel settore disciplinato dalla direttiva, per garantire il massimo livello di protezione per il consumatore compatibile con il diritto dell’Unione.

    (116)  Cfr. anche la sezione 4, in cui è descritto il rapporto tra trasparenza e abusività.

    (117)  Causa C-484/08, Caja de Ahorros y Monte de Piedad de Madrid, punti da 41 a 44.

    (118)  La funzione dell’articolo 4, paragrafo 2, è spiegata ulteriormente nella sezione 3.1.

    (119)  Cause riunite C-96/16 e C-94/17, Banco Santander Escobedo Cortés, punto 69.

    (120)  Cause riunite C-96/16 e C-94/17, Banco Santander Escobedo Cortés, punti da 62 a 71; causa C-118/17, Dunai, punti da 60 a 64.

    (121)  GU L 149 dell’11.6.2005, pag. 22.

    (122)  L’articolo 6, paragrafo 1, è discusso più nel dettaglio nella sezione 4 e, per quanto riguarda le sue implicazioni procedurali, nella sezione 5.

    (123)  Ad esempio, nella causa C-453/10, Pereničová e Perenič.

    (124)  Cfr. causa C-453/10, Pereničová e Perenič, punti 46 e 47 in fine:

    «46

    Di conseguenza, l’accertamento del carattere sleale di una pratica commerciale non ha diretta incidenza sulla validità del contratto ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13.

    47

    […] L’accertamento del carattere sleale di una siffatta pratica commerciale rappresenta un elemento tra gli altri sul quale il giudice competente può fondare, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 93/13, la sua valutazione del carattere abusivo delle clausole del contratto relative al costo del prestito concesso al consumatore. Un tale accertamento non ha tuttavia diretta incidenza sulla valutazione, sotto il profilo dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13, della validità del contratto di credito stipulato».

    (125)  Causa C-453/10, Pereničová e Perenič, punto 35: «[d]i conseguenza, la direttiva 93/13 non osta ad una normativa nazionale adottata da uno Stato membro, nel rispetto del diritto dell’Unione, la quale permetta di dichiarare la nullità complessiva di un contratto stipulato tra un professionista ed un consumatore e contenente una o più clausole abusive, qualora ciò risulti garantire una migliore tutela del consumatore».

    (126)  Ad esempio, cause riunite C-482/13, C-484/13, C-485/13 e C-487/13, Unicaja Banco, punto 38.

    (127)  Riferimento alla causa C-26/13, Kásler e Káslerné Rábai, punto 64.

    (128)  Causa 106/77, Simmenthal, punti da 21 a 26. I principi stabiliti in Simmenthal sono stati confermati, ad esempio, nella causa C-689/13, PFE, punti 40 e 41:

    «40

    Il giudice nazionale incaricato di applicare, nell’ambito della propria competenza, le norme del diritto dell’Unione ha l’obbligo di garantire la piena efficacia di tali norme, disapplicando all’occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi contraria disposizione della legislazione nazionale, anche posteriore, senza doverne chiedere o attendere la previa rimozione in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale […]» (riferimento alle cause 106/77, Simmenthal, punti 21 e 24, e C-112/13, A, punto 36).

    «41

    Sarebbe difatti incompatibile con gli obblighi che derivano dalla natura stessa del diritto dell’Unione qualsiasi disposizione di un ordinamento giuridico nazionale o qualsiasi prassi, legislativa, amministrativa o giudiziaria, la quale porti ad una riduzione dell’efficacia del diritto dell’Unione per il fatto di negare al giudice competente ad applicare questo diritto il potere di compiere, all’atto stesso di tale applicazione, tutto quanto è necessario per disapplicare le disposizioni legislative nazionali che eventualmente ostino alla piena efficacia delle norme dell’Unione […]» (riferimento a Simmenthal, punto 22, e causa C-112/13, A, punto 37).

    (129)  Causa C-118/17, Dunai, punto 61.

    (130)  Tale principio è implicito nella causa C-168/15, Milena Tomášová, in cui la Corte ha affermato che, a determinate condizioni, gli Stati membri sono responsabili di risarcire i consumatori per i danni causati dal fatto che un tribunale di ultimo grado, nonostante avesse l’obbligo di farlo ai sensi della direttiva, non abbia valutato d’ufficio le relative clausole contrattuali, anche qualora non vi sia una norma esplicita a tal riguardo nel diritto nazionale. Le cause C-618/10, Banco Español de Crédito, C-49/14, Finanmadrid, C-176/17, Profi Credit Polska e C-632/17, PKO, costituiscono esempi di casi in cui la Corte ha ritenuto che i giudici nazionali fossero tenuti a valutare d’ufficio il carattere abusivo delle clausole contrattuali, anche laddove il diritto nazionale non prevedesse tale valutazione. La questione del controllo d’ufficio del carattere abusivo delle clausole contrattuali è discussa più nel dettaglio nella sezione 5.

    (131)  Il rapporto tra la direttiva e le norme di procedura nazionali viene esaminato specificamente nella successiva sezione 5.

    (132)  Causa C-144/99, Commissione/Regno dei Paesi Bassi, punto 21.

    (133)  Nella causa C-143/13, Matei e Matei, punto 60, la Corte fa riferimento all’allegato come a una «lista grigia». Tuttavia, nel recepimento da parte degli Stati potrebbero esserci alcune variazioni rispetto al modo di intendere il termine «lista grigia», che potrebbe includere un mero elenco indicativo, come nell’allegato della direttiva, ma anche la presunzione giuridica che le clausole che vi figurano siano abusive.

    (134)  La terza frase dell’articolo 5, tuttavia, si discosta da tale principio in relazione alle procedure collettive per far cessare l’inserzione di una clausola contrattuale (cfr. anche la causa C-70/03, Commissione/Spagna, punto 16).

    (135)  Tuttavia, qualora gli Stati membri abbiano scelto di non recepire tale requisito, le autorità nazionali potrebbero valutare l’eventuale carattere abusivo dell’oggetto principale o del prezzo o della remunerazione anche laddove le relative clausole contrattuali vengano presentate in modo chiaro e comprensibile. Cfr. causa C-484/08, Caja de Ahorros y Monte de Piedad de Madrid, punti da 40 a 44.

    (136)  Causa C-472/10, Invitel, punto 1 del dispositivo e punti 30 e 31; causa C-226/12, Constructora Principado, punto 27.

    (137)  Causa C-191/15, Verein für Konsumenteninformation/Amazon, punto 2 del dispositivo e punti da 65 a 71.

    (138)  Dalla causa C-237/02, Freiburger Kommunalbauten.

    (139)  Citazione dalla causa C-243/08, Pannon GSM, punti 42 e 43. Posizioni simili, ad esempio, sono espresse nella causa C-421/14, Banco Primus, punto 57; causa C-415/11, Aziz, punto 66 e giurisprudenza ivi citata; causa C-226/12, Constructora Principado, punto 20, causa C-472/10, Invitel, punto 22, e causa C-237/02, Freiburger Kommunalbauten, punti da 23 a 25 e dispositivo.

    (140)  Conformemente all’articolo 267 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE).

    (141)  Causa C-186/16, Andriciuc, punti 32 e 33.

    (142)  Dopo la causa C-240/98, Océano Grupo Editorial, punto 2 del dispositivo.

    (143)  Causa C-191/15, Verein für Konsumenteninformation/Amazon, punto 71 e punto 2 del dispositivo; cause riunite da C-240/98 a C-244/98, Océano Grupo Editorial, punti da 21 a 24.

    (144)  Cause riunite C-96/16 e C-94/17, Banco Santander Escobedo Cortés.

    (145)  Cause C-118/17, Dunai, punti da 57 a 64, e cause riunite C-96/16 e C-94/17, Banco Santander Escobedo Cortés.

    (146)  Cfr., ad esempio, cause C-348/14, Bucura, punto 50, C-484/08, Caja de Ahorros y Monte de Piedad de Madrid, punto 32, e C-76/10, Pohotovost’, punto 72.

    (147)  Laddove gli Stati membri non abbiano recepito nel diritto nazionale tale limitazione contenuta nell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva (cfr. allegato II della presente comunicazione), il carattere abusivo di tali clausole, inclusa la perequazione del prezzo, può essere valutata indipendentemente dalla mancanza di trasparenza. Nella causa C-484/08, Caja de Ahorros Monte de Piedad, la Corte ha confermato che l’articolo 8 si applica a tale recepimento nazionale. La Corte, nel punto 1 del dispositivo, ha affermato: «Gli artt. 4, n. 2, e 8 della direttiva del Consiglio […] 93/13/CEE […] debbono essere interpretati nel senso che non ostano ad una normativa nazionale, […] che autorizza un controllo giurisdizionale del carattere abusivo delle clausole contrattuali vertenti sulla definizione dell’oggetto principale del contratto o sulla perequazione tra il prezzo e la remunerazione, da un lato, e i servizi o beni che devono essere forniti in cambio, dall’altro, anche se tali clausole sono formulate in modo chiaro e comprensibile».

    (148)  Riguardante l’oggetto principale del contratto.

    (149)  Escludendo una valutazione della perequazione del prezzo o della remunerazione.

    (150)  Causa C-186/16, Andriciuc, punto 34; causa C-26/13, Kásler e Káslerné Rábai, punto 42, e causa C-96/14, Van Hove, punto 31. La Corte è stata chiamata a fornire ulteriori indicazioni sull’interpretazione di tale questione nella causa C-84/19, Credit Profi Polska (pendente al 31 maggio 2019).

    (151)  Causa C-143/13, Matei e Matei, punto 50.

    (152)  Causa C-143/13, Matei e Matei, punto 53.

    (153)  Causa C-51/17, OTP Bank e OTP Faktoring, punto 68; causa C-118/17, Dunai, punto 49.

    (154)  Causa C-186/16, Andriciuc, punto 35; causa C-484/08, Caja de Ahorros y Monte de Piedad de Madrid, punto 34; causa C-96/14, Van Hove, punto 33.

    (155)  Causa C-186/16, Andriciuc, punto 36; causa C-26/13, Kásler e Káslerné Rábai, punto 50; e causa C-96/14, Van Hove, punto 33.

    (156)  Causa C-26/13, Kásler e Káslerné Rábai, punti 50 e 51.

    (157)  Causa C-186/16, Andriciuc, punti 37 e 38.

    (158)  Causa C-186/16, Andriciuc, punti da 39 a 41.

    (159)  Causa C-26/13, Kásler e Káslerné Rábai.

    (160)  Causa C-186/16, Andriciuc, punto 41, causa C-119/17, Lupean, punto 17.

    (161)  Causa C-119/17, Lupean, punti da 18 a 21.

    (162)  Causa C-26/13, Kásler e Káslerné Rábai.

    (163)  Il diritto nazionale potrebbe concedere ai giudici la possibilità di valutare la perequazione del prezzo anche quando tali clausole sono chiare e comprensibili (cfr. allegato II della presente comunicazione).

    (164)  Ad esempio, causa C-143/13, Matei e Matei, punto 56.

    (165)  Causa C-472/10, Invitel, punto 23.

    (166)  Nella Causa C-472/10, Invitel, punto 24, la Corte ha proseguito affermando: «Con riferimento alla clausola contrattuale che prevede una modifica del costo totale del servizio da prestare al consumatore, occorre rilevare che, alla luce dei punti 1, lettere j) e l), nonché 2, lettere b) e d), dell’allegato della direttiva, dovrebbero essere indicati, in particolare, il motivo o le modalità di variazione di tale costo, e il consumatore dovrebbe disporre della facoltà di porre termine al contratto».

    (167)  Causa C-143/13, Matei e Matei, in particolare punto 47. Inoltre, il fatto che una commissione non corrisponda a un servizio effettivo significa che la sua valutazione non riguarderebbe l’adeguatezza di tale commissione (punto 70).

    (168)  Causa C-26/13, Kásler e Káslerné Rábai, punti 57 e 58.

    (169)  Causa C-26/13, Kásler e Káslerné Rábai, punto 58, confermato, ad esempio, nella causa C-143/13, Matei e Matei, punto 70.

    (170)  Tranne laddove le norme nazionali di recepimento si applichino anche alle clausole contrattuali che siano state oggetto di negoziato individuale (cfr. allegato II della presente comunicazione).

    (171)  C-119/17, Lupean, punto 23, e causa C-186/16, Andriciuc, punto 43, e giurisprudenza ivi citata.

    (172)  Il considerando 20 precisa inoltre che «il consumatore deve avere la possibilità effettiva di prendere conoscenza di tutte le clausole».

    (173)  Causa C-96/14, Van Hove, punto 50.

    (174)  Causa C-96/14, Van Hove, punto 48.

    (175)  Conclusioni dell’avvocato generale Hogan del 15 maggio 2019 nella causa C-621/17, Kiss, punto 41.

    (176)  Cause riunite C-154/15, C-307/15 e C-308/15, Gutiérrez Naranjo e altri, punti 48 e 49.

    (177)  Ad esempio, la causa C-186/16, Andriciuc, punti 44 e 45, che sono citati qui. Affermazioni simili si ritrovano, ad esempio, nelle cause C-26/13, Kásler e Káslerné Rábai, punti 71 e 72, C-191/15, Verein für Konsumentenforschung/Amazon, punto 68, e C-96/14, Van Hove, punto 40, con ulteriori riferimenti.

    (178)  Riferimenti alle cause C-26/13, Kásler e Káslerné Rábai, punti 71 e 72, e C-348/14, Bucura, punto 52.

    (179)  Riferimento alle cause C-26/13, Kásler e Káslerné Rábai, punto 75 e C-96/14, Van Hove, punto 50.

    (180)  Ad esempio, nella causa C-186/16, Andriciuc, punto 48, citato qui.

    (181)  Riferimento alle cause C-92/11, RWE Vertrieb, punto 44, e C-154/15, C-307/15 e C-308/15, Gutiérrez Naranjo e altri, punto 50.

    (182)  Ad esempio, causa C-186/16, Andriciuc, punto 47, qui citato. La stessa formulazione si ritrova nella causa C-143/13, Matei e Matei, punto 74.

    (183)  Riferimenti alla causa C-348/14, Bucura, punto 66.

    (184)  Ad esempio, causa C-26/13, Kásler e Káslerné Rábai, punti 73 e 74.

    (185)  Causa C-348/14, Bucura, punti da 45 a 66.

    (186)  Causa C-186/16, Andriciuc, punti da 49 a 51.

    (187)  Causa C-186/16, Andriciuc, punto 50.

    (188)  Causa C-186/16, Andriciuc, punto 43, e causa C-119/17, Lupean, punto 23.

    (189)  Causa C-186/16, Andriciuc, punto 46; causa C-143/13, Matei e Matei, punto 75; causa C-26/13, Kásler e Káslerné Rábai, punto 74.

    (190)  La Corte non si è ancora pronunciata su tale questione in relazione alla direttiva, ma è stata chiamata a fornire ulteriori indicazioni sull’interpretazione nella causa C-829/18, Crédit Logement (pendente al 31 maggio 2019). Un elemento è costituito dal fatto che è difficile per i consumatori dimostrare l’assenza di tali informazioni. Inoltre, le direttive dell’UE che prevedono specifici obblighi di informazione pre-contrattuale confermano che tale obbligo incombe al professionista, ad esempio gli articoli 5 e 6 della direttiva 2011/83/UE sui diritti dei consumatori (GU L 304 del 22.11.2011, pag. 64), gli articoli 5 e 6 della direttiva 2008/48/CE relativa ai contratti di credito ai consumatori (GU L 133 del 22.5.2008, pag. 66), l’articolo 14 della direttiva 2014/17/UE in merito ai contratti di credito ai consumatori relativi a beni immobili residenziali (GU L 60 del 28.2.2014, pag. 34) o l’articolo 5 della direttiva (UE) 2015/2302 relativa ai pacchetti turistici e ai servizi turistici collegati (GU L 326 dell’11.12.2015, pag. 1). Alcune di esse, ad esempio nell’articolo 6, paragrafo 9, della direttiva 2011/83/UE e nell’articolo 8 della direttiva (UE) 2015/2302, hanno anche codificato il principio secondo cui l’onere della prova a tal riguardo incombe al professionista.

    (191)  Causa C-472/10, Invitel; causa C-92/11, RWE Vertrieb; causa C-143/13, Matei e Matei.

    (192)  Causa C-125/18, Gomez del Moral (pendente al 31 maggio 2019).

    (193)  Direttiva 2005/29/CE (GU L 149 dell’11.6.2005, pag. 22).

    (194)  Direttiva 2011/83/UE (GU L 304 del 22.11.2011, pag. 64).

    (195)  Direttiva 2008/48/CE (GU L 133 del 22.5.2008, pag. 66).

    (196)  Direttiva 2014/17/UE (GU L 60 del 28.2.2014, pag. 34).

    (197)  Direttiva (UE) 2015/2302 (GU L 326 dell’11.12.2015, pag. 1).

    (198)  Direttiva (UE) 2018/1972 (GU L 321 del 17.12.2018, pag. 36).

    (199)  GU L 293 del 31.10.2008, pag. 3. Ai sensi di tale regolamento, le tariffe aeree offerte al pubblico devono includere le condizioni applicabili. Il prezzo finale da pagare è sempre indicato e include tutte le tariffe aeree passeggeri o merci applicabili, nonché tutte le tasse, i diritti ed i supplementi inevitabili e prevedibili al momento della pubblicazione. Inoltre, sono specificati almeno le tariffe aeree passeggeri o merci, le tasse, i diritti aeroportuali e gli altri diritti, tasse o supplementi connessi ad esempio alla sicurezza o ai carburanti.

    (200)  GU L 211 del 14.8.2009, pag. 55.

    (201)  GU L 211 del 14.8.2009, pag. 94.

    (202)  Ad esempio, articolo 7 della direttiva (UE) 2015/2302 relativa ai pacchetti turistici e ai servizi turistici collegati (GU L 326 dell’11.12.2015, pag. 1); articolo 10 della direttiva 2008/48/CE in merito ai contratti di credito ai consumatori (GU L 133 del 22.5.2008, pag. 66); articolo 21 e allegato II della direttiva 2002/22/CE (GU L 108 del 24.4.2002, pag. 51); articoli 14 e 15 del regolamento (UE) n. 531/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 giugno 2012, relativo al roaming sulle reti pubbliche di comunicazioni mobili all’interno dell’Unione (GU L 172 del 30.6.2012, pag. 10); articolo 4 del regolamento (UE) 2015/2120 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2015, che stabilisce misure riguardanti l’accesso a un’Internet aperta e che modifica la direttiva 2002/22/CE relativa al servizio universale e ai diritti degli utenti in materia di reti e di servizi di comunicazione elettronica e il regolamento (UE) n. 531/2012 relativo al roaming sulle reti pubbliche di comunicazioni mobili all’interno dell’Unione (GU L 310 del 26.11.2015, pag. 1); articoli 102 e 103 e allegati ivi citati della direttiva (UE) 2018/1972 (GU L 321 del 17.12.2018, pag. 36); allegato I, punto 1, lettera a), della direttiva 2009/72/CE (GU L 211 del 14.8.2009, pag. 55) e allegato I, punto 1, lettera a) della direttiva 2009/73/CE (GU L 211 del 14.8.2009, pag. 94).

    (203)  Ad esempio, gli articoli 10 e 11 della direttiva (UE) 2015/2302 (GU L 326 dell’11.12.2015, pag. 1), l’articolo 11 della direttiva 2008/48/CE (GU L 133 del 22.5.2008, pag. 66), l’allegato I, punto 1, lettera b), della direttiva 2009/72/CE (GU L 211 del 14.8.2009, pag. 55) e l’allegato I, punto 1, lettera b), della direttiva 2009/73/CE (GU L 211 del 14.8.2009, pag. 94) contengono norme sull’ammissibilità delle modifiche contrattuali e sulla loro trasparenza.

    (204)  Cfr., ad esempio, la causa C-76/10, Pohotovosť, che oltre alla valutazione delle clausole abusive nei contratti si è occupata dell’omessa indicazione delle informazioni sul tasso annuo effettivo globale (TAEG) nell’ambito di un contratto di credito al consumo e delle sanzioni applicate in tal caso. Cfr., in particolare, i punti da 74 a 76. Cfr. anche causa C-143/13, Matei e Matei.

    (205)  Ora direttiva 2008/48/CE (GU L 133 del 22.5.2008, pag. 66), ex direttiva 87/102/CEE (GU L 42 del 12.2.1987, pag. 48).

    (206)  Cause C-448/17, EOS KSI Slovensko, punto 63, e C-348/14, Bucura, punto 57.

    (207)  Causa C-448/17, EOS KSI Slovensko, in particolare punto 3 del dispositivo, nonché punti da 63 a 68, che segue la causa C-76/10, Pohotovost’, in particolare punti da 68 a 77.

    (208)  Attualmente previsto dalla direttiva 2008/48/CE (GU L 133 del 22.5.2008, pag. 66). Nella causa C-448/17, EOS KSI Slovensko e nella causa C-76/10 Pohotovost’, la direttiva 87/102/CEE (GU L 42 del 12.2.1987, pag. 48) era ancora applicabile ai relativi contratti di credito al consumo.

    (209)  Causa C-448/17, EOS KSI Slovensko, punto 66, e punto 3 del dispositivo. La Corte ha ritenuto che la mera indicazione di una formula matematica per il calcolo del TAEG, senza le informazioni necessarie per calcolare il TAEG stesso, è equivalente all’omessa indicazione del TAEG.

    (210)  Ai sensi dell’articolo 43 della direttiva 2014/17/UE (GU L 60 del 28.2.2014, pag. 34), tale direttiva non si applica ai contratti di credito esistenti prima del 21 marzo 2016.

    (211)  Causa C-92/11, RWE Vertrieb. Cfr. in particolare il punto 2 del dispositivo: «Gli articoli 3 e 5 della direttiva 93/13, in combinato disposto con l’articolo 3, paragrafo 3, della direttiva 2003/55/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2003, relativa a norme comuni per il mercato interno del gas naturale e che abroga la direttiva 98/30/CE, devono essere interpretati nel senso che, al fine di valutare se una clausola contrattuale standardizzata, con cui un’impresa di approvvigionamento si riservi il diritto di modificare le spese della fornitura di gas, risponda o meno ai requisiti di buona fede, equilibrio e trasparenza posti da tali disposizioni, rilevanza essenziale rivestono, in particolare, i seguenti aspetti:

    se il contratto esponga in modo trasparente il motivo e le modalità di variazione di dette spese, di modo che il consumatore possa prevedere, in base a criteri chiari e comprensibili, le modifiche eventuali di tali spese. In linea di principio, l’assenza di informazioni a tale riguardo prima della conclusione del contratto non può essere compensata dalla mera circostanza che i consumatori, nel corso dell’esecuzione del contratto, saranno informati con un preavviso ragionevole della modifica delle spese e del loro diritto di recedere dal contratto qualora non desiderino accettare detta modifica, e

    se, nelle circostanze concrete, la facoltà di recesso conferita al consumatore possa essere realmente esercitata. […]».

    (212)  Nelle cause riunite C-359/11 e C-400/11, Schulz e Egbringhoff, la Corte si è pronunciata sugli obblighi di trasparenza relativi alle modifiche dei contratti di fornitura di energia elettrica e gas nell’ambito dell’obbligo generale di approvvigionamento. La Corte ha ritenuto che la normativa nazionale che determina il contenuto di questo tipo di contratti conclusi con i consumatori e che consente di modificare il prezzo di tale fornitura, ma che non garantisce che i consumatori siano informati, in tempo utile prima dell’entrata in vigore di tale modifica, circa i motivi, le condizioni e la portata della medesima, è contraria alle disposizioni sulla trasparenza di cui alla direttiva 2003/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2003, relativa a norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica e che abroga la direttiva 96/92/CE — Dichiarazioni riguardanti lo smantellamento di impianti e le attività di gestione dei rifiuti (GU L 176 del 15.7.2003, pag. 37) e alla direttiva 2003/55/CE (GU L 176 del 15.7.2003, pag. 57), sostituite rispettivamente dalla direttiva 2009/72/CE (GU L 211 del 14.8.2009, pag. 55) e dalla direttiva 2009/73/CE (GU L 211 del 14.8.2009, pag. 94). Poiché il contenuto dei contratti in questione viene determinato da disposizioni normative tedesche che sono imperative, la direttiva non è applicabile.

    (213)  Causa C-421/14, Banco Primus, punto 60. Cfr. anche causa C-186/16, Andriciuc, punto 57.

    (214)  Riferimento alla causa C-415/11, Aziz, punto 69.

    (215)  Nelle sue conclusioni del 21 marzo 2019 nella causa C-34/18, Ottília Lovasné Tóth, punti da 56 a 62, l’avvocato generale Hogan suggerisce perfino che l’assenza di buona fede non sia affatto una condizione distinta per il carattere abusivo di una clausola contrattuale, sebbene alcune dichiarazioni della Corte (ad esempio, nella causa C-186/16, Andriciuc, punto 56: «[…] spetta al giudice del rinvio valutare, […] in un primo momento, la possibile violazione del requisito della buona fede e, in un secondo momento, la sussistenza di un eventuale significativo squilibrio, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13») non sostengano necessariamente tale posizione.

    (216)  Cfr. sezione 3.4.2.

    (217)  La Corte ha ricordato ai giudici nazionali tale disposizione in diverse sentenze, ad esempio, causa C-226/12, Constructora Principado, secondo trattino del dispositivo e punto 30; causa C-415/11, Aziz, punto 71; causa C-243/08, Pannon GSM, punto 39; causa C-137/08, VB Pénzügyi Lízing, punto 42; causa C-421/14, Banco Primus, punto 61; causa C-186/16, Andriciuc, punto 53. La prima frase del punto 61 della causa C-421/14, Banco Primus, recita come segue: «Inoltre, conformemente all’articolo 4, paragrafo 1, di tale direttiva, il carattere abusivo di una clausola contrattuale dev’essere valutato tenendo conto della natura dei beni o dei servizi oggetto del contratto e facendo riferimento, al momento della conclusione del contratto, a tutte le circostanze che accompagnano detta conclusione».

    (218)  Ad esempio, quando la norma nazionale di recepimento dell’articolo 3, paragrafo 1, non richiede l’assenza della buona fede o che lo squilibrio sia «significativo». Cfr. anche la sezione 2.1 sull’armonizzazione minima.

    (219)  Cfr. anche la sezione 3.4.7 sul ruolo dell’allegato.

    (220)  Causa C-472/10, Invitel, punti 25 e 26; causa C-243/08, Pannon GSM, punti 37 e 38; causa C-76/10, Pohotovost’, punti 56 e 58; causa C-478/99, Commissione/Svezia, punto 22. Sezione 3.4.7.

    (221)  Causa C-415/11, Aziz, punto 68; causa C-226/12, Constructora Principado, punto 21; causa C-421/14, Banco Primus, punto 59; causa C-186/16, Andriciuc, punto 59.

    (222)  Tale ultimo aspetto è citato, ad esempio, nella causa C-415/11, Aziz, punto 74.

    (223)  Causa C-421/14, Banco Primus, punto 59; causa C-415/11, Aziz punto 68; causa C-226/12, Constructora Principado, punto 23.

    (224)  Causa C-226/12, Constructora Principado, punto 23 e primo trattino del dispositivo.

    (225)  Causa C-226/12, Constructora Principado, punto 22 e primo trattino del dispositivo.

    (226)  Causa C-226/12, Constructora Principado, punto 26.

    (227)  Causa C-421/14, Banco Primus, punto 61, seconda frase: «[…] devono altresì essere valutate le conseguenze che la detta clausola può avere nell’ambito del diritto applicabile a un contratto siffatto, il che implica un esame del sistema giuridico nazionale». Cfr. anche causa C-415/11, Aziz, punto 71 e giurisprudenza ivi citata; causa C-237/02, Freiburger Kommunalbauten, punto 21, e l’ordinanza nella causa C-76/10, Pohotovosť, punto 59.

    (228)  Causa C-421/14, Banco Primus, primo trattino del punto 3 del dispositivo e punto 59; causa C-415/11, Aziz, punti 68 e 73.

    (229)  Causa C-226/12, Constructora Principado, punti da 21 a 24.

    (230)  Riferimento alla causa C-415/11, Aziz, punto 68.

    (231)  Riferimento alla causa C-472/11, Banif Plus Bank, punto 40.

    (232)  Riferimento alla causa C-415/11, Aziz, punto 71.

    (233)  Ad esempio, Causa C-415/11, Aziz, punto 73; causa C-421/14 Banco Primus, punto 66.

    (234)  Tale principio è evidente anche nel punto 1, lettera e), dell’allegato della direttiva: «imporre al consumatore che non adempie ai propri obblighi un indennizzo per un importo sproporzionatamente elevato».

    (235)  Causa C-415/11, Aziz, punti 73 e 74; cause riunite C-537/12 e C-116/13, Banco Popular Español Banco de Valencia, punti 70 e 71. Per quanto riguarda la conformità delle norme di procedura rispetto alla direttiva, si veda la sezione 6.

    (236)  Causa C-421/14, Banco Primus, punto 66, cause riunite C-537/12 e C-116/13, Banco Popular Español Banco de Valencia, punto 71, basate sulla causa C-415/11, Aziz, punti 73 e 75.

    (237)  Causa C-415/11, Aziz, punto 74.

    (238)  Punto 1, lettera e), dell’allegato della direttiva.

    (239)  Causa C-377/14, Radlinger Radlingerová, punto 101.

    (240)  Causa C-377/14, Radlinger Radlingerová, punto 101.

    (241)  Cfr. anche sezione 4.3.3 e causa C-421/14, Banco Primus, punto 4 del dispositivo e punto 73. È stato eliminato il riferimento a una pronuncia pregiudiziale (causa C-750/18 A, B/C — pendente al 31 maggio 2019) in cui la Corte è stata chiamata a fornire indicazioni sulla questione se l’effetto cumulativo possa essere limitato alle sanzioni relative allo stesso inadempimento degli obblighi contrattuali.

    (242)  Sezioni 3.1 e 3.2.2. Cause riunite C-96/16 e C-94/17, Banco Santander Escobedo Cortés.

    (243)  Anche, ad esempio, laddove le fluttuazioni di valuta possano condurre a uno squilibrio tra i diritti e gli obblighi delle parti facendo ricadere un onere maggiore sul consumatore (cfr. causa C-186/16, Andriciuc, punti da 52 a 58).

    (244)  Causa C-421/14, Banco Primus, punto 67, secondo trattino.

    (245)  Nella causa C-186/16, Andriciuc, punto 54, la Corte fa riferimento alle circostanze di cui il professionista «poteva essere a conoscenza» al momento della conclusione del contratto. Tuttavia, nel punto 56 la Corte accenna anche alle competenze e alle conoscenze della banca e al fatto che il giudice nazionale deve valutare, tra l’altro, se l’esposizione al rischio di cambio soddisfi il requisito della buona fede.

    (246)  Causa C-186/16, Andriciuc, punti 55 e 56.

    (247)  La Corte è stata chiamata a fornire maggiori indicazioni sull’interpretazione della causa C-452/18, Ibercaja Banco (pendente al 31 maggio 2019) riguardante la novazione di un contratto di mutuo.

    (248)  Causa C-602/13, BBVA, punto 50.

    (249)  Causa C-421/14, Banco Primus, punto 4 del dispositivo e punto 73.

    (250)  Sebbene, in linea con il principio dell’armonizzazione minima, il diritto nazionale possa prevedere che la mancanza di trasparenza possa produrre tale conseguenza immediata. Cfr. sezione 2 sul rapporto della direttiva con il diritto nazionale e § 307, sub. 1), del Codice civile tedesco (BGB).

    (251)  Cfr. sezione 3.2.1.

    (252)  Tale orientamento è confermato implicitamente o esplicitamente in diverse sentenze, tra cui ad esempio la causa C-421/14, Banco Primus, punti da 62 a 67, in particolare il punto 64 e il secondo trattino del punto 67, la causa C-119/17, Lupean, punti da 22 a 31, o la causa C-118/17, Dunai, punto 49.

    (253)  La mancanza di trasparenza non è citata come una condizione nell’articolo 3, paragrafo 1. La differenza riguarda unicamente le clausole contrattuali che definiscono l’oggetto principale del contratto o la cui valutazione richiederebbe un esame della perequazione del prezzo o della remunerazione.

    (254)  Confermato nella causa C-342/13, Katalin Sebestyén, punto 34: «Tuttavia, e pur ammettendo che informazioni generali ricevute dal consumatore prima della conclusione di un contratto soddisfino le esigenze di chiarezza e trasparenza derivanti dall’articolo 5 della suddetta direttiva, siffatta circostanza non può, da sola, permettere di escludere il carattere abusivo di una clausola […]».

    (255)  Ad esempio, causa C-472/10, Invitel, punto 28, e fine del punto 1 del dispositivo: «Spetta al giudice nazionale […] accertare, alla luce dell’articolo 3, paragrafi 1 e 3, della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, il carattere abusivo di una clausola figurante nelle condizioni generali dei contratti stipulati con consumatori a mezzo della quale un professionista prevede una modifica unilaterale delle spese collegate al servizio da prestare, senza peraltro descrivere chiaramente le modalità di quantificazione delle spese suddette né specificare validi motivi per tale modifica. Nell’effettuare tale valutazione, detto giudice dovrà verificare in particolare se, alla luce di tutte le clausole figuranti nelle condizioni generali dei contratti stipulati con consumatori delle quali fa parte la clausola controversa, nonché della legislazione nazionale che prevede i diritti e gli obblighi che potrebbero aggiungersi a quelli previsti dalle condizioni generali di cui trattasi, i motivi o le modalità di variazione delle spese collegate al servizio da prestare siano descritti in modo chiaro e comprensibile e se, all’occorrenza, i consumatori dispongano della facoltà di porre termine al contratto».

    Causa C-92/11, RWE Vertrieb, punto 2 del dispositivo: «Gli articoli 3 e 5 della direttiva 93/13, in combinato disposto con l’articolo 3, paragrafo 3, della direttiva 2003/55/CE […] devono essere interpretati nel senso che, al fine di valutare se una clausola contrattuale standardizzata, con cui un’impresa di approvvigionamento si riservi il diritto di modificare le spese della fornitura di gas, risponda o meno ai requisiti di buona fede, equilibrio e trasparenza posti da tali disposizioni, rilevanza essenziale rivestono, in particolare, i seguenti aspetti:

    se il contratto esponga in modo trasparente il motivo e le modalità di variazione di dette spese, di modo che il consumatore possa prevedere, in base a criteri chiari e comprensibili, le modifiche eventuali di tali spese. […]; e

    se, nelle circostanze concrete, la facoltà di recesso conferita al consumatore possa essere realmente esercitata.

    Spetta al giudice del rinvio operare la suddetta valutazione, in funzione di tutte le circostanze peculiari del caso di specie, compreso l’insieme delle clausole contenute nelle condizioni generali dei contratti di consumo di cui fa parte la clausola controversa».

    (256)  Ad esempio, causa C-191/15, Verein für Konsumenteninformation/Amazon, punto 65: «Spetta al giudice nazionale stabilire se, date le circostanze proprie del caso di specie, una clausola soddisfi i requisiti di buona fede, equilibrio e trasparenza». Cfr. anche cause riunite C-70/17 e C-179/17, Abanca Corporación Bancaria e Bankia, punto 50, e causa C-26/13, Kásler e Káslerné Rábai, punto 40.

    Causa C-92/11, RWE Vertrieb, punto 47: «Una clausola standardizzata che consenta un tale adeguamento unilaterale deve tuttavia soddisfare i requisiti di buona fede, equilibrio e trasparenza posti da dette direttive».

    (257)  Causa C-472/10, Invitel, punti da 21 a 31; causa C-92/11, RWE Vertrieb, punti da 40 a 55.

    (258)  Causa C-26/13, Kásler e Káslerné Rábai, causa C-348/14, Bucura, causa C-186/16, Andriciuc e causa C-119/17, Lupean, punti da 22 a 31.

    (259)  Causa C-191/15, Verein für Konsumenteninformation/Amazon.

    (260)  Articolo 6 del regolamento Roma I.

    (261)  Causa C-191/15, Verein für Konsumenteninformation/Amazon, punto 68, un estratto del quale è qui citato. Il precedente punto 67 ha il seguente tenore: «In tale contesto, […] una clausola di scelta della legge applicabile redatta preventivamente che designi la legge dello Stato membro in cui ha sede il professionista è abusiva soltanto qualora presenti talune specificità, proprie alla sua formulazione o al suo contesto, tali da generare un significativo squilibrio tra i diritti e gli obblighi delle parti».

    (262)  Causa C-472/10, Invitel, punto 25; causa C-243/08, Pannon GSM, punti 37 e 38; causa C-137/08, VB Pénzügyi Lízing, punto 42; e ordinanza nella causa C-76/10, Pohotovosť, punti 56 e 58.

    (263)  Causa C-478/99, Commissione/Svezia, punto 11.

    (264)  Causa C-478/99, Commissione/Svezia, punto 11.

    (265)  Causa C-237/02, Freiburger Kommunalbauten, punto 2; causa C-478/99, Commissione/Svezia, punto 20. Nella causa C-143/13, Matei e Matei, punto 60, la Corte ha fatto riferimento all’allegato come a una «lista grigia». Tuttavia, è possibile che, in alcune legislazioni nazionali, esistano «liste grigie» intese nel senso che vi è una presunzione giuridica (confutabile) che specifici tipi di clausole contrattuali siano abusive.

    (266)  Causa C-472/10, Invitel, prima parte del punto 26.

    (267)  Cfr. l’allegato II della presente comunicazione.

    (268)  Causa C-143/13, Matei e Matei, punto 61.

    (269)  Clausole che «[impongono] al consumatore che non adempie ai propri obblighi un indennizzo per un importo sproporzionatamente elevato».

    (270)  Punto 74.

    (271)  Punti da 21 a 31.

    (272)  Punto 60.

    (273)  In particolare il punto 73.

    (274)  In particolare, i punti 59 e 74; il punto 74 ha il seguente tenore: «Risulta in particolare dagli articoli 3 e 5 della direttiva 93/13 nonché dai punti 1, lettere j) e l), e 2, lettere b) e d), dell’allegato di tale direttiva che, ai fini del rispetto dell’obbligo di trasparenza è di rilevanza essenziale la questione se il contratto di mutuo esponga in modo trasparente il motivo e le modalità del meccanismo di modifica del tasso di interesse e il rapporto tra tale clausola e altre clausole relative alla remunerazione del mutuante, di modo che un consumatore informato possa prevedere, in base a criteri chiari e comprensibili, le conseguenze economiche che gliene derivano».

    (275)  

    «Clausole che hanno per oggetto o per effetto di “sopprimere o limitare l’esercizio di azioni legali o vie di ricorso del consumatore, in particolare obbligando il consumatore a rivolgersi esclusivamente a una giurisdizione di arbitrato non disciplinata da disposizioni giuridiche, limitando indebitamente i mezzi di prova a disposizione del consumatore o imponendogli un onere della prova che, ai sensi della legislazione applicabile, incomberebbe a un’altra parte del contratto”».

    (276)  Causa C-240/98, Océano Grupo Editorial, dispositivo e punti da 22 a 24; causa C-137/08, VB Penzügyi Lízing, punti da 54 a 56; causa C-243/08, Pannon GSM, punto 41.

    (277)  Ad esempio, causa C-421/14, Banco Primus, punto 40, qui citato.

    (278)  Riferimento alla causa C-169/14, Sánchez Morcillo e Abril García, punto 22, e alla giurisprudenza ivi citata.

    (279)  Cause C-421/14, Banco Primus, punto 41; C-169/14, Sánchez Morcillo e Abril García, punto 23, cause riunite C-154/15, C-307/15 e C-308/15, Gutiérrez Naranjo e altri, punti 53 e 55.

    (280)  Causa C-488/11, Asbeek Brusse, punto 38 con riferimenti alla causa C-618/10, Banco Español de Crédito, punto 40, e alla causa C-472/11, Banif Plus Bank, punto 20.

    (281)  Ad esempio, cause riunite C-154/15, C-307/15 e C-308/15, Naranjo Gutierrez, punto 54; causa C-488/11, Asbeek Brusse, punto 44, qui citato. In tale punto, la Corte fa riferimento alle precedenti decisioni nella causa C-40/08, Asturcom Telecomunicaciones, punto 52, e nella causa C-76/10, Pohotovost’, punto 50.

    (282)  Cfr. sezione 1.2.5 sui professionisti stabiliti nei paesi terzi.

    (283)  Che sia in virtù di clausole oggetto di negoziato individuale o di clausole contrattuali ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva.

    (284)  La Corte ha tuttavia chiarito che, nei procedimenti giurisdizionali, dopo essere stati informati riguardo il carattere abusivo di una clausola contrattuale, i consumatori possono decidere di non avvalersi di tale protezione (cfr. sezioni 4.3.3, 5.5.1 e 5.5.5). Nella causa C-452/18, Ibercaja (pendente al 31 maggio 2019) la Corte è chiamata a considerare le clausole contrattuali contenute in un accordo di novazione secondo cui un consumatore avrebbe rinunciato al diritto di avanzare richieste di restituzione sulla base di clausole contrattuali che potrebbero essere state abusive nell’ambito di una «conciliazione» riguardante le conseguenze di una clausola contrattuale abusiva, e potrebbe fornire ulteriori orientamenti su tale principio.

    (285)  Cause riunite C-154/15, C-307/15 e C-308/15, Gutiérrez Naranjo, punto 61.

    (286)  Causa C-243/08, Pannon GSM, punto 28 qui citato.

    (287)  Il fatto che anche i consumatori siano generalmente soggetti a limiti di tempo per esperire ricorsi nei procedimenti in corso o possano essere soggetti a termini di prescrizione ragionevoli quando richiedono la restituzione di pagamenti effettuati sulla base di clausole contrattuali abusive è una questione diversa, cfr. cause riunite C-154/15, C-307/15 e C-308/15, Gutierrez Naranjo, punti 69 e 70.

    (288)  Causa C-473/00, Cofidis, punto 38. L’obbligo dei giudici nazionali di valutare d’ufficio il carattere abusivo delle clausole contrattuali è discusso nella sezione 5.

    (289)  Cause riunite C-154/15, C-307/15 e C-308/15, Gutiérrez Naranjo, dispositivo e punti da 73 a 75.

    (290)  Cause riunite C-96/16 e C-94/17, Banco Santander Escobedo Cortés, punto 73. Nella causa C-618/10, Banco Español de Crédito, la Corte ha stabilito i principi fondamentali riguardanti le conseguenze che devono essere tratte dal carattere non vincolante delle clausole contrattuali abusive. Tali conseguenze sono state confermate in numerose cause, ad esempio: causa C-488/11, Asbeek Brusse; causa C-26/13, Kásler e Káslerné Rábai; cause riunite C-482/13, C-484/13, C-485/13 e C-487/13, Unicaja Banco y Caixabank; causa C-421/14, Banco Primus, punto 71; e cause riunite C-154/15, C-307/15 e C-308/15, Gutierrez Naranjo, punti da 57 a 61.

    (291)  Riferimento alla causa C-421/14, Banco Primus, punto 71 e alla giurisprudenza ivi citata.

    (292)  Ad esempio, causa C-488/11, Asbeek Brusse, punto 59: «[…] l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva non può essere interpretato nel senso che consente al giudice nazionale, qualora quest’ultimo accerti il carattere abusivo di una clausola penale in un contratto stipulato tra un professionista e un consumatore, di ridurre l’importo della penale imposta a carico del consumatore anziché disapplicare integralmente la clausola in esame […]».

    (293)  Cause riunite C-154/15, C-307/15 e C-308/15, Gutierrez Naranjo, punti 60 e 62.

    (294)  Ad esempio, causa C-488/11, Asbeek Brusse, punto 58: «La Corte ha peraltro rilevato che tale interpretazione è corroborata, inoltre, dall’obiettivo e dall’economia generale della direttiva. Al riguardo, essa ha ricordato che, data la natura e l’importanza dell’interesse pubblico sul quale si basa la tutela assicurata ai consumatori, la direttiva impone agli Stati membri, come risulta dal suo articolo 7, paragrafo 1, di predisporre mezzi adeguati ed efficaci “per far cessare l’utilizzo di clausole abusive nei contratti stipulati da un professionista con i consumatori”. Orbene, se il giudice nazionale potesse rivedere il contenuto di clausole abusive contenute in contratti del genere, una siffatta facoltà potrebbe compromettere la realizzazione dell’obiettivo di lungo termine indicato all’articolo 7 della direttiva, in quanto essa ridurrebbe l’effetto dissuasivo esercitato sui professionisti dalla pura e semplice non applicazione nei confronti del consumatore di siffatte clausole abusive (sentenza Banco Español de Crédito, cit., punti da 66 a 69)».

    (295)  La Corte lo ha confermato nelle cause riunite C-70/17 e C-179/17, Abanca Corporación Bancaria e Bankia, punto 55: «Nel caso di specie, la mera eliminazione del motivo di risoluzione che rende abusive le clausole oggetto del procedimento principale equivarrebbe, in definitiva, a rivedere il contenuto di tali clausole incidendo sulla loro sostanza. Pertanto, il mantenimento parziale di dette clausole non può essere consentito, salvo pregiudicare direttamente l’effetto dissuasivo menzionato nel punto precedente della presente sentenza».

    (296)  Causa C-26/13, Kásler e Káslerné Rábai e causa C-186/16, Andriciuc in associazione con l’articolo 4, paragrafo 2.

    (297)  Causa C-472/11, Invitel e causa C-92/11, RWE Vertrieb.

    (298)  Cause riunite C-96/16 e C-94/17, Banco Santander Escobedo Cortés, in particolare punti 76 e 77.

    (299)  Nelle cause riunite C-70/17 e C-179/17, Abanca Corporación Bancaria e Bankia, la Corte non ha commentato direttamente questa questione, ma nella causa C-70/17 la Corte di cassazione spagnola ha fatto specifico riferimento a tale dottrina.

    (300)  Altresì designata come «geltungserhaltende Reduktion» nella dottrina e nella giurisprudenza tedesca.

    (301)  Sezione 5.4.

    (302)  Causa C-452/18, Ibercaja (pendente al 31 maggio 2019).

    (303)  Causa C-618/10, Banco Español de Crédito; causa C-488/11, Asbeek Brusse; cause riunite C-96/16 e C-94/17, Banco Santander Escobedo Cortés ecc.

    (304)  Nella causa C-618/10, Banco Español de Crédito, punto 65, e nella causa C-488/11, Asbeek Brusse, punto 57, la Corte di giustizia ha affermato che «[il] contratto in questione deve rimanere in essere, in linea di principio, senza alcun’altra modifica se non quella risultante dalla soppressione della clausola suddetta, purché, conformemente alle norme di diritto interno, una simile sopravvivenza del contratto sia giuridicamente possibile».

    (305)  Causa C-453/10, Pereničová e Perenič, punto 32, e causa C-118/17, Dunai, punto 51.

    (306)  Causa C-118/17, Dunai, punto 52.

    (307)  Causa C-186/16, Andriciuc, punti 35 e 37.

    (308)  Causa C-26/13, Kásler e Káslerné Rábai.

    (309)  Causa C-453/10, Pereničová e Perenič, punto 31; causa C-118/17, Dunai, punto 51; causa C-26/13, Kásler e Káslerné Rábai, punto 82; e causa C-618/10, Banco Español de Crédito, punto 40.

    (310)  Causa C-453/10, Pereničová e Perenič, punto 35.

    (311)  Causa C-26/13, Kásler e Káslerné Rábai, punti 80 e 81.

    (312)  Causa C-26/13, Kásler e Káslerné Rábai, punto 83.

    (313)  La Corte ha confermato i principi sanciti nella causa C-26/13, Kásler e Káslerné Rábai, punto 85, nelle cause riunite C-482/13, C-484/13, C-485/13 e C-487/13, Unicaja Banco y Caixabank, punto 33, nelle cause riunite C-96/16 e C-94/17, Banco Santander Escobedo Cortés, punto 74, e nelle cause riunite C-70/17 e C-179/17, Abanca Corporación Bancaria e Bankia, punti da 56 a 63.

    (314)  La Corte ha sottolineato la condizione per cui le conseguenze devono essere «particolarmente dannose» per i consumatori e tali da «penalizzare» questi ultimi nelle cause C-118/17, Dunai, punto 54, C-96/16 e C-94/17, Banco Santander e Escobedo Cortés, punto 74, C-51/17, OTP Bank e OTP Faktoring, punto 61 o «in contrasto con gli interessi» del consumatore, Dunai, punto 55.

    (315)  Cause riunite, C-70/17 e C-179/17, Abanca Corporación Bancaria e Bankia, punti 61 e 62.

    (316)  Causa C-26/13, Kásler e Káslerné Rábai, punti 80 e 81; causa C-92/11, RWE Vertrieb, punto 26; causa C-280/13, Barclays Bank, punti 31 e 42; causa C-7/16, Banco Popular Español e PL Salvador, punto 21; causa C-446/17, Woonhaven Antwerpen BV CVBA/Berkani e Hajji, punto 25.

    (317)  Causa C-260/18, Dziubak (pendente al 31 maggio 2019). Tale causa riguarda, tra le altre questioni, le conseguenze derivanti dalla potenziale nullità di una clausola contrattuale che definisce il meccanismo di conversione valutaria per un prestito denominato in valuta estera.

    (318)  Nelle sue conclusioni del 14 maggio 2019 nella causa C-260/18, Dziubak, l’avvocato generale Pitruzzella sostiene che la nozione di disposizione di natura suppletiva debba essere interpretata in senso stretto come applicabile soltanto alle disposizioni che possono sostituire in quanto tali la clausola contrattuale abusiva, senza bisogno di «creatività» da parte del giudice, dato che una simile «creatività» corrisponderebbe, a suo parere, a una revisione di clausole contrattuali abusive (punti da 77 a 79).

    (319)  Cause riunite, C-70/17 e C-179/17, Abanca Corporación Bancaria e Bankia, punto 59.

    (320)  Causa C-126/18, Gómez del Moral Guasch (pendente al 31 maggio 2019), riguardante la potenziale nullità del riferimento contenuto in un contratto di mutuo ipotecario a un indice per il tasso di interesse applicabile. Se tale clausola contrattuale dovesse risultare abusiva, non vi sarebbe alcun accordo sul tasso di interesse applicabile.

    (321)  Conclusioni dell’avvocato generale Pitruzzella del 14 maggio 2019 nella causa C-260/18, Dziubak, punto 60. Queste vanno distinte dalla valutazione del carattere abusivo della clausola contrattuale ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, che tiene conto delle circostanze alla conclusione del contratto.

    (322)  Causa C-118/17, Dunai, punto 55.

    (323)  Causa C-118/17, Dunai, punti da 51 a 55.

    (324)  Nella causa C-118/17, Dunai, punti da 53 a 55, l’interesse del consumatore alla nullità del contratto sembrava coincidere con la richiesta del consumatore. Nelle sue conclusioni del 14 maggio 2019 nella causa C-260/18, Dziubak, punto 67, l’avvocato generale Pitruzzella ritiene decisiva la preferenza del consumatore. Nelle cause riunite C-70/17 e C-179/17, Abanca Corporación Bancaria, punti 61 e 62, la Corte fa riferimento a una valutazione che deve essere effettuata dal giudice nazionale alla luce della legislazione nazionale applicabile, ma non esclude che il giudice nazionale possa coinvolgere il consumatore nella questione.

    (325)  Cfr. sezione 4.3.3 qui di seguito.

    (326)  Cause riunite C-94/17 e C-96/16, Banco Santander Escobedo Cortés.

    (327)  Cfr. anche i punti 5.5.1 e 5.5.5. seguenti.

    (328)  Causa C-243/08, Pannon GSM. Cfr. la successiva conferma, ad esempio, nella causa C-472/11, Banif Plus Bank, punti 27 e 35, e nelle cause riunite C-70/17 e C-179/17, Abanca Corporación Bancaria e Bankia, punto 63.

    (329)  Cause riunite, C-70/17 e C-179/17, Abanca Corporación Bancaria e Bankia, punto 63.

    (330)  Cause riunite C-154/15, C-307/15 e C-308/15, Gutierrez Naranjo, punti 62 e 63, qui citati; causa C-483/16, Sziber, punto 53.

    (331)  Cause riunite C-154/15, C-307/15 e C-308/15, Gutierrez Naranjo, punti da 67 a 69.

    (332)  Cause riunite C-154/15, C-307/15 e C-308/15, Gutierrez Naranjo, punti 70 e 71. La Corte distingue chiaramente tale limitazione nel tempo dai termini ragionevoli di prescrizione per presentare ricorso, stabiliti nella legislazione nazionale.

    (333)  Cause riunite C-154/15, C-307/15 e C-308/15, Gutierrez Naranjo. Il passaggio citato è tratto dal dispositivo.

    (334)  Cause riunite C-154/15, C-307/15 e C-308/15, Gutierrez Naranjo, punto 70, in riferimento alla causa 309/85, Barra e altri, punto 13.

    (335)  Causa C-92/11, RWE Vertrieb, punto 58 in riferimento alla precedente giurisprudenza.

    (336)  Causa C-92/11, RWE Vertrieb, punto 59 in riferimento alla precedente giurisprudenza.

    (337)  Ad esempio, cause riunite C-154/15, C-307/15 e C-308/15, Gutierrez Naranjo, punti da 53 a 56.

    (338)  Causa C-176/17, Profi Credit Polska, punto 59. La Corte ha altresì spiegato che il principio della tutela giurisdizionale effettiva costituisce un principio generale del diritto dell’Unione che deriva dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, che è stato sancito dagli articoli 6 e 13 della CEDU e confermato dall’articolo 47 della Carta (cause riunite C-317/08, C-318/08, C-319/08 e C-320/08, Alassini, punto 61).

    (339)  Ad esempio, causa C-49/14, Finanmadrid, punto 40; cause riunite da C-240/98 a C-244/98, Océano Grupo Editorial; causa C-168/05, Mostaza Claro; causa C-40/08, Asturcom Telecomunicaciones. Recentemente, causa C-618/10, Banco Español de Crédito; causa C-137/08, VB Pénzügyi Lízing; e causa C-453/10, Pereničová e Perenič.

    (340)  Cause riunite C-317/08, C-318/08, C-319/08 e C-320/08, Alassini, punto 61.

    (341)  Cause riunite C-430/93 e 431/93, Van Schijndel; causa C-432/05, Unibet (London) Ltd. e Unibert (International) Ltd.; causa C-126/97, Eco-Swiss China Time Ltd; causa C-49/14, Finanmadrid, punto 40.

    (342)  Cause riunite C-317/08, C-318/08, C-319/08 e C-320/08, Alassini, punto 49.

    (343)  Causa C-377/14, Radlinger e Radlingerová, punto 48; causa C-49/14, Finanmadrid, punto 40; causa C-169/14, Sánchez Morcillo e Abril García, punto 31, e la giurisprudenza ivi citata.

    (344)  Causa C-567/13, Nóra Baczó, punti da 42 a 47.

    (345)  Entrambi i termini si ritrovano nella giurisprudenza della Corte.

    (346)  Causa C-49/14, Finanmadrid, punto 40; causa C-196/14, Sánchez Morcillo e Abril García, punto 31, e la giurisprudenza ivi citata.

    (347)  Cause riunite C-430/93 e C-431/93, Van Schijndel, punto 17.

    (348)  La Corte applica il principio dell’effettività della protezione prevista dalla direttiva come uno standard per la valutazione dei vincoli procedurali, nonché come un requisito positivo soggiacente, in particolare, al controllo d’ufficio (ad esempio nella causa C-176/17, Profi Credit Polska, punto 44, e nella causa C-49/14, Finanmadrid, punto 4). Cfr. anche la causa C-497/13, Froukje Faber, punti da 42 a 47, avente ad oggetto la direttiva 1999/44/CE su taluni aspetti della vendita e delle garanzie dei beni di consumo (GU L 171 del 7.7.1999, pag. 12).

    (349)  Ad esempio, causa C-176/17, Profi Credit Polska.

    (350)  Ad esempio, causa C-176/17, Profi Credit Polska.

    (351)  Ad esempio, causa C-40/08, Asturcom Telecomunicaciones, causa C-76/10, Pohotovosť, e causa C-488/11, Asbeek Brusse.

    (352)  Ad esempio, nella causa C-176/17, Profi Credit Polska, la Corte fa riferimento all’articolo 7, paragrafo 1, mentre nella causa C-618/10, Banco Español de Crédito, la Corte si basa sull’effettività.

    (353)  Causa C-32/12, Duarte Hueros, e causa C-497/13, Froukje Faber, entrambe aventi ad oggetto la direttiva 99/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 maggio 1999, su taluni aspetti della vendita e delle garanzie dei beni di consumo (GU L 171 del 7.7.1999, pag. 12).

    (354)  Cause C-488/11, Asbeek Brusse e C-397/11, Erika Jörös.

    (355)  In cui l’imputato non si presenta in tribunale; causa C-147/16, Karel de Grote, punti da 24 a 37.

    (356)  Causa C-168/05, Mostaza Claro.

    (357)  Cause C-168/05, Mostaza Clara, C-40/08, Asturcom Telecomunicaciones, C-76/10, Pohotovosť e C-168/15, Tomášová.

    (358)  Causa C-472/10, Invitel.

    (359)  Causa C-243/08, Pannon GSM, causa C-137/08, VB Pénzügyi Lízing, causa C-618/10, Banco Español de Crédito, causa C-49/14, Finanmadrid; causa C-176/17, Profi Credit Polska; causa C-632/17, PKO.

    (360)  Ad esempio, causa C-415/11, Mohammed Aziz; causa C-169/14, Sanchez Morcillo; causa C-32/14, Erste Bank Hungary; causa C-421/14, Banco Primus ecc.

    (361)  Causa C-34/13, Kušionová.

    (362)  Causa C-377/14, Radlinger Radlingerová.

    (363)  GU L 399 del 30.12.2006, pag. 1.

    (364)  Cause riunite C-453/18 e C-494/18, Bondora (pendenti al 31 maggio 2019).

    (365)  Incluso quando essi dovevano esperire ricorsi contro una misura di esecuzione richiesta da un professionista.

    (366)  Ad esempio, causa C-618/10, Banco Español de Crédito, punto 55; causa C-415/11, Aziz; causa C-76/10, Pohotovost’ e causa C-77/14, Radlinger Radlingerová, punto 50.

    (367)  Causa C-77/14, Radlinger Radlingerová, punto 50. La Corte fa riferimento alla precedente sentenza della causa C-34/13, Kušionová, punti 52 e 53 e alla ulteriore giurisprudenza ivi citata.

    (368)  O articolo 7, paragrafo 1, della direttiva.

    (369)  I passaggi citati sono tratti dalla causa C-49/14, Finanmadrid, punti 43 e 44. Una formulazione identica o simile si ritrova, ad esempio, nelle cause C-618/10, Banco Español de Crédito, punto 49, C-415/11, Mohammed Aziz, punto 5, C-8/14, BBVA, punto 26, C-377/14, Radlinger Radlingerová, punti 50, 54 e 55.

    (370)  Causa C-49/14, Finanmadrid; causa C-176/17, Profi Credit Polska; causa C-632/17, PKO e causa C-448/17, EOS KSI Slovensko.

    (371)  Cause C-415/11, Aziz e C-32/14 ERSTE Bank Hungary.

    (372)  Cause riunite C-154/15, C-307/15 e C-308/15, Gutierrez Naranjo, punto 74, facenti riferimento alla giurisprudenza precedente. Cfr. anche la causa C-118/17, Dunai, punto 64.

    (373)  Causa C-119/15, Biuro prodróży «Partner».

    (374)  Causa C-169/14, Sanchez Morcillo, punti da 44 a 51.

    (375)  Causa C-169/14, Sánchez Morcillo, punto 36.

    (376)  Causa C-169/14, Sanchez Morcillo, punti da 44 a 51.

    (377)  Implicazioni più dettagliate sul principio del controllo d’ufficio sono presentate nei paragrafi che seguono.

    (378)  Causa C-243/08, Pannon GSM, dispositivo. Secondo la giurisprudenza precedente, iniziata nelle cause riunite da C-240/98 a 244/98, Océano Grupo Editorial, e confermata in diverse sentenze successive, la Corte ha richiesto che i giudici nazionali dovessero avere il potere di esaminare d’ufficio le clausole abusive nei contratti. Tale sviluppo della giurisprudenza della Corte è spiegato nella causa C-168/15, Milena Tomášová, punti da 28 a 31.

    (379)  Ad esempio, causa C-421/14, Banco Primus, punto 43, qui citato.

    (380)  Riferimento alle cause C-415/11, Aziz, punto 46 e giurisprudenza ivi citata e C-154/15, C-307/15, nonché causa C-308/15, Gutiérrez Naranjo e altri, punto 58.

    (381)  Causa C-168/05, Mostaza Claro, punti 27 e 28; causa C-473/00, Cofidis, punto 32; causa C-240/98, Océano Grupo Editorial, punto 28.

    (382)  Causa C-397/11, Erika Jöros, punti 30, 35 e 36.

    (383)  Un quadro completo dei principi guida negli Stati membri, incluse le implicazioni per le cause riguardanti i consumatori, è riportato nel capitolo 3 dello Studio di valutazione sulle leggi e prassi processuali nazionali riguardo al loro impatto sulla libera circolazione delle sentenze e sull’equivalenza e l’effettività della tutela processuale dei consumatori secondo la normativa dell’UE in materia di consumatori, JUST/2014/RCON/PR/CIVI/ — Sezione 2 Tutela processuale dei consumatori.

    (384)  Cfr. anche la causa C-497/13, Froukje Faber, punto 38.

    (385)  Un ruolo più attivo dei giudici può dipendere anche da fattori quali il fatto che una parte, ad esempio un consumatore, venga considerata in una situazione di inferiorità ovvero o il fatto che una parte sia rappresentata, in particolare da un avvocato.

    (386)  Causa C-40/08, Asturcom Telecomunicaciones, punto 47. Cfr. anche causa C-137/08, VB Pénzügyi Lízing, punto 56; causa C-415/11, Aziz, punto 47; causa C-472/11, Banif Plus Bank, punto 24.

    (387)  Causa C-40/08, Asturcom Telecomunicaciones, punti da 41 a 46. Nel caso di specie, il consumatore non aveva partecipato alla procedura arbitrale avviata nei suoi confronti dal professionista, né aveva presentato un ricorso per annullamento del lodo arbitrale entro due mesi. Tuttavia, in questo caso, la Corte ha ritenuto che il giudice nazionale fosse tenuto a valutare la conformità del loro arbitrale rispetto alla direttiva sulla base del principio di equivalenza.

    (388)  Causa C-32/14, ERSTE Bank Hungary, punto 63.

    (389)  Gli obblighi d’ufficio basati sul principio di equivalenza sono spiegati, ad esempio, nelle cause riunite C-430/93 e C-431/93, van Schijndel e van Veen, punti 13 e 14, con riferimento alla giurisprudenza precedente:

    «13

    Poiché, in forza del diritto nazionale, i giudici devono sollevare d’ufficio i motivi di diritto basati su una norma interna di natura vincolante che non siano stati addotti dalle parti, siffatto obbligo si impone anche qualora si tratti di norme comunitarie vincolanti (v., in particolare, sentenza 16 dicembre 1976, causa 33/76, Rewe, Racc. pag. 1989, punto 5).

    14

    Lo stesso vale se il diritto nazionale conferisce al giudice la facoltà di applicare d’ufficio la norma di diritto vincolante. Infatti, è compito dei giudici nazionali, secondo il principio di collaborazione enunciato dall’articolo 5 del trattato, garantire la tutela giurisdizionale spettante ai singoli in forza delle norme di diritto comunitario aventi effetto diretto (v., in particolare, sentenza 19 giugno 1990, causa C-213/89, Factortame e a., Racc. pag. I-2433, punto 19)».

    (390)  Ad esempio, causa C-488/11, Asbeek Brusse, punti da 44 a 46 qui citati. In tale sentenza, la Corte ha fatto riferimento anche alle cause C-40/08, Asturcom Telecomunicaciones, punti 52 e 54, C-76/10, Pohotovost’, punto 5.

    (391)  Causa C-76/10, Pohotovosť.

    (392)  Causa C-147/16, Karel de Grote.

    (393)  Causa C-76/10, Pohotovosť.

    (394)  V., in particolare, il punto 53 dell’ordinanza.

    (395)  V., in particolare, il punto 51 dell’ordinanza.

    (396)  Causa C-147/16, Karel de Grote, punti da 24 a 37.

    (397)  Causa C-397/11, Erika Jöros, punti 30, 35, 36 e 38; causa C-488/11, Asbeek Brusse, punto 45.

    (398)  Ad esempio, causa C-40/08, Asturcom Telecomunicaciones, causa C-76/10, Pohotovosť, e causa C-49/14, Finanmadrid.

    (399)  Per quanto riguarda la questione dei possibili adeguamenti legislativi, si veda la sezione 5.6.

    (400)  Causa C-448/17, EOS KSI Slovensko, punto 1 del dispositivo.

    (401)  La causa C-632/17, PKO, punto 43 e la causa C-567/13, Nóra Baczó, punti 52 e 59, sono esempi che mostrano che il diritto a un ricorso effettivo di cui all’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva e all’articolo 47 della Carta deve essere valutato secondo gli stessi criteri utilizzati per il principio di effettività.

    (402)  Causa C-618/10, Banco Español de Crédito, in particolare punti da 52 a 54; causa C-176/17, Profi Credit Polska, punti da 61 a 72.

    (403)  Causa C-176/17, Profi Credit Polska, punto 69. Altri riferimenti includono causa C-49/14, Finanmadrid, punto 52; causa C-122/14, Aktiv Kapital Portfolio, punto 37 e causa C-618/10, Banco Español de Crédito, punto 54.

    (404)  Ad esempio, causa C-49/14, Finanmadrid, punti 43 e 44, con riferimento tra l’altro alla causa C-618/10, Banco Español de Crédito, punto 49 e alla causa C-413/12, Asociación de Consumidores Independientes de Castilla y León, punto 34, e alla causa C-470/12, Pohotovosť, punto 51.

    (405)  Causa C-176/17, Profi Credit Polska, punti 44, 61-64 e 71; causa C-49/14, Finanmadrid, punti 45 e 46; causa C-122/14, Aktiv Kapital Portfolio, punto 30; causa C-448/17, EOS KSI Slovensko, punti 45, 46 e 49; e causa C-632/17, PKO, punto 49. Tali cause riguardavano tutti i procedimenti d’ingiunzione di pagamento e si basano sulla causa C-618/10, Banco Español de Crédito.

    (406)  Causa C-176/17, Profi Credit Polska, punto 44.

    (407)  Causa C-618/10, Banco Español de Crédito, punto 57, causa C-176/17, Profi Credit Polska, punto 44 e causa C-632/17, PKO, punto 49.

    (408)  Causa C-49/14, Finanmadrid. Nelle sue conclusioni, l’avvocato generale Szpunar ha fatto riferimento all’esame d’ufficio nella fase dell’esecuzione come all’«ultima istanza».

    (409)  Causa C-421/14, Banco Primus, punto 2 del dispositivo e punto 52. Sebbene tale causa si riferisca a un’esecuzione ipotecaria, la stessa logica deve applicarsi ad altri tipi di procedure. La valutazione delle norme sull’autorità di cosa giudicata secondo i principi di effettività, anche riguardo al controllo d’ufficio, è discussa nello specifico nel punto 5.4.2, in cui è citato tra l’altro il punto 52 della causa Banco Primus.

    (410)  Causa C-448/17, EOS KSI Slovensko, in particolare punti da 49 a 54.

    (411)  Causa C-32/14, ERSTE Bank Hungary, punto 65 e dispositivo.

    (412)  Causa C-415/11, Aziz, punto 1 del dispositivo e punti da 43 a 64.

    (413)  Causa C-618/10, Banco Español de Crédito, punto 55; causa C-415/11, Aziz; causa C-76/10, Pohotovost’ e causa C-77/14, Radlinger Radlingerová, punto 50.

    (414)  Ad esempio, causa C-76/10, Pohotovost’ e causa C-168/15, Milena Tomášová.

    (415)  Causa C-176/17, Profi Credit Polska, punti 67 e 68.

    (416)  Causa C-618/10, Banco Español de Crédito, punto 52.

    (417)  Ad esempio, laddove il consumatore debba immediatamente sollevare le eccezioni rispetto all’atto contestato, ad esempio l’ordinanza di un tribunale, nonché dedurre fatti e mezzi di prova (causa C-176/17, Profi Credit Polska, punti 65 e 66).

    (418)  Tale aspetto può essere discutibile, ad esempio, per quanto riguarda i termini di prescrizione.

    (419)  Causa C-632/17, PKO, punto 45.

    (420)  GU L 351 del 20.12.2012, pag. 1; il regolamento ha abrogato il regolamento (CE) n. 44/2001 del Consiglio (GU L 12 del 16.1.2001, pag. 1).

    (421)  Conformemente all’articolo 17, paragrafo 3, del regolamento (UE) n. 1215/2012 (GU L 351 del 20.12.2012, pag. 1), tali norme non sono applicabili ai contratti di trasporto che non prevedono prestazioni combinate di trasporto e di alloggio per un prezzo globale. Inoltre, gli articoli 19 e 25 del regolamento (UE) n. 1215/2012 consentono alle parti del contratto di derogare in alcuni casi alle regole sulla competenza giurisdizionale. La Corte è stata chiamata a fornire un’interpretazione a tal riguardo nella causa C-629/18, EN, FM, GL/Ryanair (pendente al 31 maggio 2019).

    (422)  Ad esempio, dando al professionista l’opportunità di citare in giudizio un consumatore in un tribunale diverso da quello del suo luogo di residenza.

    (423)  Nelle cause riunite da C-240/98 a C-244/98, Océano Grupo Editorial, punto 21, la Corte ha considerato che tali regole in materia di competenza nelle clausole contrattuali che non siano state oggetto di negoziato soddisfano tutti i criteri per essere considerate abusive ai fini della direttiva.

    (424)  Causa C-266/18, Aqua Med, punto 54, causa C-567/13, Baczó e Vizsnyiczai, C-567/13, punti da 49 a 59.

    (425)  Causa C-567/13, Baczó e Vizsnyiczai, punti da 52 a 59.

    (426)  Causa C-413/12, Asociación de Consumidores Independientes de Castilla y León.

    (427)  Causa 33/76, Rewe-Zentralfinanz e Rewe-Zentral, punto 5; causa C-261/95, Palmisani, punto 28; e causa C-2/06, Kempter, punto 58; causa C-40/08, Asturcom Telecomunicaciones, punto 41.

    (428)  Causa C-255/00, Grundig Italiana, punto 34; causa C-40/08, Asturcom Telecomunicaciones, punto 41.

    (429)  Causa C-40/08, Asturcom Telecomunicaciones, punti da 44 a 46.

    (430)  Causa C-618/10, Banco Español de Crédito, in particolare punti da 52 a 54.

    (431)  Causa C-34/13, Kusionová, in particolare punto 55.

    (432)  Introdotto a seguito della sentenza della Corte nella causa C-415/11, Aziz.

    (433)  Causa C-8/14, BBVA.

    (434)  Causa C-8/14, BBVA, punti 30 e 31.

    (435)  Causa C-8/14, BBVA, punti da 33 a 42 e dispositivo. Il termine ha iniziato a decorrere dal giorno successivo alla pubblicazione della nuova legge sulla gazzetta ufficiale.

    (436)  Causa C-8/14, BBVA, punti 40 e 41.

    (437)  Causa C-176/17, Profi Credit Polska, in particolare punti 65, 66 e 70. Tale causa ha riguardato una procedura d’ingiunzione di pagamento fondata su una cambiale. Cfr. anche la causa C-632/17, PKO riguardante le procedure di ingiunzione di pagamento in generale.

    (438)  Causa C-448/17, EOS KSI Slovensko, in particolare punti da 51 a 53.

    (439)  Causa C-40/08, Asturcom Telecomunicaciones, punto 45, riguardante la notifica di un lodo arbitrale.

    (440)  Causa C-567/13, Nóra Baczó, punto 55.

    (441)  Causa C-618/10, Banco Español de Crédito, in particolare punti da 52 A 54.

    (442)  Causa C-176/17, Profi Credit Polska, in particolare punti 67 e 68.

    (443)  Ad esempio, causa C-176/17, Profi Credit Polska e causa C-632/17, PKO.

    (444)  Causa C-448/17, EOS KSI Slovensko.

    (445)  Ad esempio, causa C-415/11, Aziz; causa C-34/13, Kušionová; causa C-280/13, Barclays Bank e causa C-32/14, ERSTE Bank Hungary. La Corte ha formulato affermazioni di carattere generale sulla necessità che i giudici nazionali siano in grado di adottare provvedimenti provvisori per la piena effettività delle decisioni giurisdizionali riguardanti la tutela dei diritti concessi dall’ordinamento giuridico dell’UE nelle cause C-213/89, Factortame e altri, punto 21; C-226/99, Siples, punto 19; e C-432/05, Unibet, punto 67.

    (446)  Ad esempio, la causa C-34/13, Kušionová, punti da 63 a 66, con ulteriori riferimenti, tra l’altro, alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo e all’articolo 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE, comprendente il diritto alla casa.

    (447)  Causa C-32/14, ERSTE Bank Hungary, punti 44 e 45.

    (448)  Riferimenti alle cause C 415/11, Aziz, punto 64 e C-280/13, Barclays Bank, punto 36.

    (449)  Cause riunite C 537/12 e C 116/13, Banco Popular Español e Banco de Valencia, punto 60; e causa C-169/14, Sánchez Morcillo e Abril Garcia, punto 28.

    (450)  Cause riunite da C-568/14 a C-570/14, Ismael Fernández Oliva. Tale causa riguardava la possibilità di ottenere provvedimenti provvisori individuali in attesa della decisione in merito a un procedimento collettivo.

    (451)  La Corte ha stabilito tale requisito in relazione alle richieste di rimborso basate sul carattere abusivo delle clausole contrattuali e alle azioni collettive parallele che conducono alla sospensione dell’azione individuale. Cause riunite da C-568/14 a C-570/14, Ismael Fernández Oliva, punti da 32 a 37. Il rischio significativo si è basato sul fatto che, tenuto conto dello svolgimento e delle complessità del procedimento nazionale, i consumatori potrebbero ignorare o non percepire la portata dei loro diritti. Poiché riflette un principio generale, tale requisito sembrerebbe fornire una risposta anche in altre situazioni procedurali,

    (452)  Causa C-618/10, Banco Español de Crédito, punto 54.

    (453)  Ciò deriva già dalla formula mediante la quale la Corte definisce la presenza di un rischio non trascurabile. Inoltre, il fatto di ignorare o non percepire la portata dei loro diritti di consumatori o procedurali può, di per sé, giustificare un intervento d’ufficio. La Corte ha confermato tale fatto nelle cause riunite da C-568/14 a C-570/14, Ismael Fernández Oliva, punto 33, in cui ha affermato che «[…], tenuto conto dello svolgimento e delle complessità del procedimento nazionale di cui trattasi nelle controversie principali, […], sussiste un rischio non trascurabile che il consumatore interessato non formuli una siffatta domanda, e ciò sebbene i requisiti sostanziali richiesti nel diritto interno per la concessione di provvedimenti provvisori siano eventualmente soddisfatti, perché ignora o non percepisce la portata dei suoi diritti».

    (454)  Causa C-8/14, BBVA, punti da 36 a 40.

    (455)  La Corte ha considerato una situazione piuttosto specifica nella causa C-8/14, BBVA, punti da 33 a 42.

    (456)  Cause riunite C-154/15, C-307/15 e C-308/15, Gutiérrez Naranjo punti da 68 a 70.

    (457)  Cause riunite C-537/12 e C-116/13, Banco Popular Español e Banco de Valencia, punto 60; e causa C-169/14, Sánchez Morcillo e Abril Garcia, punto 28.

    (458)  Causa C-40/08, Asturcom Telecomunicaciones, punto 41.

    (459)  Causa C-176/17, Profi Credit Polska, punti 44, 61-64 e 71; causa C-49/14, Finanmadrid, punti 45 e 46; causa C-122/14, Aktiv Kapital Portfolio, punto 30; causa C-448/17, EOS KSI Slovensko, punti 45, 46 e 49; e causa C-632/17, PKO, punto 49. Tali cause riguardavano tutti i procedimenti d’ingiunzione di pagamento e si basano sulla causa C-618/10, Banco Español de Crédito.

    (460)  Causa C-421/14, Banco Primus, punto 52, qui citato. Nel caso di specie, il primo esame era stato effettuato d’ufficio, ma la regola sarebbe la medesima laddove il primo controllo fosse effettuato su richiesta del consumatore.

    (461)  Riferimento alla causa C-415/11, Aziz, punto 60.

    (462)  Causa C-421/14, Banco Primus, punto 47 in fine con riferimento alla causa C-40/08, Asturcom Telecomunicaciones, punto 53; causa C-76/10, Pohotovost’.

    (463)  Cause riunite C-154/15, C-307/15 e C-308/15, Gutiérrez Naranjo, punto 69. Tuttavia, nel caso di specie, il diritto spagnolo non prevedeva un termine di prescrizione per tali pretese.

    (464)  Cause C-698/18, SC Raiffeisen Bank SA e C-699/18, BRD Groupe Société Générale SA (pendenti al 31 maggio 2019).

    (465)  Cause riunite C-154/15, C-307/15 e C-308/15, Gutiérrez Naranjo, punto 75.

    (466)  Cause riunite C-154/15, C-307/15 e C-308/15, Gutierrez Naranjo, punto 70, con riferimenti a sentenze precedenti in altre branche del diritto.

    (467)  Cfr. sezione 4.4 con una citazione del dispositivo delle cause riunite C-154/15, C-307/15 e C-308/15, Gutiérrez Naranjo.

    (468)  Causa C-473/00, Cofidis, punto 38.

    (469)  Causa C-497/13, Froukje Faber, punto 1 del dispositivo e punti da 46 a 48; causa C-137/08, VB Pénzügyi Lízing, punto 3 del dispositivo e punti da 45 a 51; causa C-397/11, Erika Jörös.

    (470)  Causa C-488/11, Asbeek Brusse, punto 49; causa C-618/10, Banco Español de Crédito, punto 63; causa C-472/11, Banif Plus Bank, punto 27. Cfr. anche le sezioni 5.5.1 e 5.5.5.

    (471)  Causa C-243/08, Pannon GSM, punto 2 del dispositivo.

    (472)  Riferimento alla causa C-397/11, Erika Jőrös, punto 42.

    (473)  Cause riunite C-154/15, C-307/15 e C-308/15, Gutierrez Naranjo, punto 59.

    (474)  Cfr. cause riunite da C-568/14 a C-570/14, Ismael Fernández Oliva.

    (475)  Tale aspetto è importante per quanto riguarda sia i consumatori che i professionisti, come discende ad esempio dalle cause C-243/08, Pannon GSM, C-472/11, Banif Plus Bank, punti da 29 a 35, C-488/11, Asbeek Brusse, punto 52, e C-119/15, Biuro podróży «Partner», punti da 22 a 47. Cfr. anche la sezione 5.5.4.

    (476)  Causa C-137/08, VB Pénzügyi Lízing, punto 49 e successivi.

    Per quanto riguarda i criteri sostanziali da considerare, si veda la sezione 3.

    (477)  Causa C-137/08, VB Pénzügyi Lízing, punti da 49 a 51. Per le questioni relative all’ambito di applicazione della direttiva, cfr. la sezione 1.2.

    (478)  Causa C-497/13, Froukje Faber, punto 1 del dispositivo e punti da 46 a 48. Tale decisione riguarda la direttiva 1999/44/CE (GU L 171 del 7.7.1999, pag. 12), ma deve applicarsi mutatis mutandis alla direttiva. Inoltre, al fine di stabilire se le clausole in questione rientrino nell’ambito di applicazione della direttiva, i giudici devono inevitabilmente verificare se vi sia un contratto tra il professionista e il consumatore.

    (479)  Causa C-137/08, VB Pénzügyi Lízing, punti da 49 a 51. I giudici devono tenere conto del fatto che l’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva, contiene una norma specifica relativa all’onere della prova per quanto concerne la questione se una clausola contrattuale di adesione sia stata oggetto di negoziato individuale o meno.

    (480)  Ad esempio, causa C-176/17, Profi Credit Polska, punto 42: «In tale contesto, occorre, in primo luogo, evidenziare che, secondo giurisprudenza costante della Corte, il giudice nazionale è sì tenuto ad esaminare d’ufficio la natura abusiva di una clausola contrattuale che ricade nell’ambito di applicazione della direttiva 93/13 e, in tal modo, a ovviare allo squilibrio che esiste tra il consumatore e il professionista, ma a condizione che quest’ultimo disponga degli elementi di diritto e di fatto necessari a tal fine». In questo punto la Corte fa riferimento alle cause C-377/14 Radlinger e Radlingerová, punto 52 e alla giurisprudenza ivi citata e C-154/15, C-307/15 e C-308/15, Gutiérrez Naranjo e altri, punto 58.

    (481)  Causa C-497/13, Froukje Faber, punto 1 del dispositivo e punti da 46 a 48; causa C-137/08, VB Pénzügyi Lízing, punto 3 del dispositivo e punti da 45 a 51.

    (482)  La Corte ha utilizzato tale espressione nella causa C-137/08, VB Pénzügyi Lízing, punto 56, e l’ha confermata nella causa C-472/11, punto 24 qui citato.

    (483)  Riferimenti alle cause C-137/08, VB Pénzügyi Lízing, punto 56, e C-618/10, Banco Español de Crédito, punto 44.

    (484)  Causa C-497/13, Froukje Faber in particolare, punti 44 e 46. La citazione è tratta dal punto 46. Sebbene tale causa abbia riguardato la direttiva 1999/44/CE (GU L 171 del 7.7.1999, pag. 12), essa affronta una questione orizzontale del diritto contrattuale dei consumatori ed è applicabile mutatis mutandis allo status del consumatore ai sensi della direttiva.

    (485)  A tal proposito, essi devono tenere conto delle disposizioni relative all’onere della prova di cui all’articolo 3, paragrafo 2. Cfr. sezione 1.2.2.1. Qualora, in uno Stato membro, le norme di recepimento della direttiva si applichino anche alle clausole contrattuali che sono state oggetto di negoziato individuale, tale valutazione non è, ovviamente, necessaria.

    (486)  Sezione 3.3.1, causa C-186/16, Andriciuc, punto 43, causa C-119/17, Lupean, punto 23.

    (487)  Causa C-618/10, Banco Español de Crédito.

    (488)  Causa C-176/17, Profi Credit Polska e causa C-632/17, PKO.

    (489)  Causa C-632/17, PKO, punto 38: «[…], in circostanze come quelle di cui al procedimento principale, un giudice nazionale non è in grado di esaminare l’eventuale natura abusiva di una clausola contrattuale dal momento che non dispone di tutti gli elementi di fatto e di diritto a tal fine». La Corte fa riferimento alla stessa evidenza nella causa C-176/17, Profi Credit Polska, punto 47.

    (490)  Cause C-618/10, Banco Español de Crédito, punto 57, C-49/14, Finanmadrid, punto 36; C-32/14, ERSTE Bank Hungary, punto 43. In altri casi, ad esempio nella causa C-488/11, Asbeek Brusse, punto 40, la Corte ha utilizzato la formulazione «dal momento in cui dispone degli elementi di diritto e di fatto necessari a tal fine».

    (491)  Causa C-176/17, Profi Credit Polska e causa C-632/17, PKO.

    (492)  Causa C-176/17, Profi Credit Polska, punti 69 e 70; causa C-632/17, PKO, punti da 45 a 49.

    (493)  Causa C-632/17, PKO, punti 37 e 38; causa C-176/17, Profi Credit Polska, punto 47.

    (494)  Causa C-632/17, PKO, punto 49, che è qui citato e che contiene un riferimento alla precedente sentenza nella causa C-176/17, Profi Credit Polska, punto 71.

    (495)  Causa C-472/11, Banif Plus Bank, punti da 29 a 35, causa C-488/11, Asbeek Brusse, punto 52: «[…] occorre ricordare che il principio del contraddittorio impone, di norma, al giudice nazionale che abbia accertato d’ufficio il carattere abusivo di una clausola di informarne le parti della controversia e di dare loro la possibilità di discuterne in contraddittorio secondo le forme previste al riguardo dalle norme processuali nazionali (sentenza Banif Plus Bank, cit., punti 31 e 36)».

    (496)  Causa C-243/08, Pannon GSM. Cfr. anche causa C-488/11, Asbeek Brusse, punto 49, causa C-618/10, Banco Español de Crédito, punto 63, causa C-472/11, Banif Plus Bank, punto 27, e cause riunite C-70/17 e C-179/17, Abanca Corporación Bancaria e Bankia, punto 63.

    (497)  Si tratta di un principio generale del diritto dell’Unione che la Corte ha ribadito, ad esempio, nella causa C-397/11, Erika Jörös, punto 32.

    (498)  Cfr. sezioni 2.2 e 5.2 nonché causa C-118/17, Dunai, punto 61.

    (499)  Sezione 5.3.1.

    (500)  Causa C-168/15, Milena Tomášová.

    (501)  Causa C-125/04, Denuit. Cfr. anche la causa C-503/15, Margarit Panicello in relazione alla procedura dinanzi al Secretario Judicial (Cancelliere) riguardante il pagamento degli onorari dovuti per i servizi giuridici.

    (502)  Causa C-32/14, ERSTE Bank Hungary, punti da 47 a 49.

    (503)  Causa C-32/14, ERSTE Bank Hungary, punti da 55 a 58.

    (504)  Tale principio discende, ad esempio, dalla causa C-32/14, ERSTE Bank Hungary, in particolare punto 59, e dalla causa C-448/17, EOS KSI Slovensko, punti da 44 a 54.

    (505)  Causa C-40/08, Asturcom Telecomunicaciones e causa C-76/10, Pohotovosť.

    (506)  Per verificare se i consumatori siano effettivamente tutelati, sarebbe necessario esaminare le garanzie durante l’intera procedura, ivi compresi i requisiti rispetto all’accordo necessario per sottoporre una controversia ad arbitrato, le garanzie processuali nelle procedure di arbitrato, il rischio che i consumatori non esperiscano ricorsi contro un lodo arbitrale a causa delle loro conoscenze e informazioni limitate, nonché le garanzie nella fase giudiziale, inclusa la valutazione d’ufficio delle clausole abusive nei contratti.

    (507)  Tale principio deriva dalle sentenze sulla direttiva relative all’articolo 6, paragrafo 1, e all’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva e dal principio di effettività. Inoltre, la sentenza della Corte nelle cause riunite C-317/08, C-318/08, C319/08 e C-320/08, Alassini, riguardante la direttiva 2002/22/CE (direttiva servizio universale) (GU L 108 del 24.4.2002, pag. 51), esprime il principio generale secondo cui le norme nazionali sulle procedure di risoluzione delle controversie non potrebbero ostare alla tutela giurisdizionale effettiva dei consumatori e degli utenti finali (si veda, in particolare, il dispositivo e i punti 49, 53, 54, 58, 61, 62 e 65).

    (508)  Cfr. punto 1, lettera q), dell’allegato della direttiva e causa C-342/13, Katalin Sebestyén, punto 36. Nella misura in cui il diritto nazionale vieti le procedure di arbitrato contro i consumatori, tali clausole saranno invalide già a sensi delle relative disposizioni nazionali.

    (509)  Articolo 10 della direttiva 2013/11/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2013, sulla risoluzione alternativa delle controversie dei consumatori, che modifica il regolamento (CE) n. 2006/2004 e la direttiva 2009/22/CE (direttiva sull’ADR per i consumatori) (GU L 165 del 18.6.2013, pag. 63): «un accordo tra un consumatore e un professionista riguardo alla presentazione di reclami presso un organismo ADR non sia vincolante per il consumatore se è stato concluso prima dell’insorgere della controversia e se ha l’effetto di privare il consumatore del suo diritto di adire un organo giurisdizionale per la risoluzione della controversia».

    (510)  Direttiva 2009/22/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009, relativa a provvedimenti inibitori a tutela degli interessi dei consumatori (GU L 110 dell’1.5.2009, pag. 30).

    (511)  Causa C-472/10, Invitel, punto 35.

    (512)  Causa C-372/99, Commissione/Italia, punto 15.

    (513)  Causa C-470/12, Pohotovosť, punto 54.

    (514)  Cfr. sezione 5.3 con riferimento alla causa C-448/17, EOS KSI Slovensko.

    (515)  Causa C-472/10, Invitel, punti da 38 a 40; causa C-191/15, Verein für Konsumenteninformation/Amazon, punto 56.

    (516)  Causa C-472/10, Invitel, punti 43 e 44.

    (517)  Causa C-119/15, Biuro podróży «Partner», punti da 22 a 47.

    (518)  Cause riunite C-381/14 e C-385/14, Sales Sinués e Drame Ba, punto 30.

    (519)  Conclusioni dell’avvocato generale Szpunar nelle cause riunite C-381/14 e C-385/14, Sales Sinués e Drame Ba, punto 72.

    (520)  Cause riunite C-381/14 e C-385/14, Sales Sinués e Drame Ba, punti 39 e 43.

    (521)  Cause riunite da C-568/14 a C-570/14, Ismael Fernández Oliva. Cfr. anche la sezione 5.3.2.

    (522)  Causa C-413/12, Asociación de Consumidores Independientes de Castilla y León, punti da 49 a 53.

    (523)  In base a tale disposizione, i giudici degli Stati membri del luogo di stabilimento o di domicilio del convenuto sono competenti a giudicare le azioni inibitorie esercitate dalle associazioni di tutela dei consumatori di altri Stati membri.

    (524)  Causa C-167/00, Henkel, punto 50 per quanto attiene l’articolo 5, paragrafo 3, della Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968 concernente la competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (Convenzione di Bruxelles).

    (525)  Regolamento (CE) n. 44/2001 del Consiglio, del 22 dicembre 2000, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (GU L 12 del 16.1.2001, pag. 1), abrogato e sostituito dal regolamento (UE) n. 1215/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio (GU L 351 del 20.12.2012, pag. 1); cfr. causa C-548/12, Brogsitter, punto 19; causa C-191/15, Verein für Konsumenteninformation/Amazon, punto 38.

    (526)  Causa C-167/00, Henkel, punto 42.

    (527)  Regolamento (CE) n. 864/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 luglio 2007, sulla legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali (Roma II) (GU L 199 del 31.7.2007, pag. 40).

    (528)  Regolamento (CE) n. 593/2008 (GU L 177 del 4.7.2008, pag. 6).

    (529)  Causa C-191/15, Verein für Konsumenteninformation/Amazon, punti da 48 a 60.


    ALLEGATO I

    Elenco delle cause della Corte citate nella presente comunicazione

    Numero e nome della causa

    Questioni

    Sezione della comunicazione

    1976

    33/76 — Rewe/Landwirtschaftskammer für das Saarland

    Domanda di pronuncia pregiudiziale: Bundesverwaltungsgericht — Germania

    5.3.

    Obblighi derivanti dal principio di equivalenza

    5.4.

    Valutazione d’ufficio ed effettività dei ricorsi

    1978

    106/77 — Amministrazione delle finanze dello Stato/Simmenthal

    Disapplicazione da parte del giudice nazionale di una legge in contrasto col diritto comunitario

    2.2.

    Altre disposizioni del diritto nazionale

    1988

    309/85 — Barra/Stato belga

    Non discriminazione — Accesso all’insegnamento non universitario — Ripetizione dell’indebito

    4.4.

    Restituzione dei vantaggi ottenuti tramite clausole abusive nei contratti

    1990

    C-213/89 — The Queen/Secretary of State for Transport, ex parte Factortame

    Diritti derivanti dalle norme comunitarie — Tutela da parte dei giudici nazionali — Competenza dei giudici nazionali a pronunciare provvedimenti provvisori in caso di rinvio pregiudiziale

    5.3.

    Obblighi derivanti dal principio di equivalenza

    5.4.

    Valutazione d’ufficio ed effettività dei ricorsi

    1995

    Cause riunite C-430/93 e C-431/93 — Van Schijndel/Stichting Pensioenfonds voor Fysiotherapeuten

    Qualificazione di un fondo pensionistico di categoria come impresa — Iscrizione obbligatoria ad un regime pensionistico di categoria — Compatibilità con le regole di concorrenza — Possibilità di addurre per la prima volta in cassazione un motivo di diritto comunitario che implica un cambiamento dell’oggetto della lite e un esame dei fatti

    5.1.

    L’importanza degli articoli 6, paragrafo 1, e 7, paragrafo 1, della direttiva nonché dei principi di equivalenza ed effettività in generale

    5.3.

    Obblighi derivanti dal principio di equivalenza

    1997

    C-261/95 — Palmisani/INPS

    Politica sociale — Tutela dei lavoratori in caso di insolvenza del datore di lavoro — Direttiva 80/987/CEE — Responsabilità dello Stato membro per la tardiva attuazione di una direttiva — Risarcimento adeguato — Termine di decadenza

    5.4.

    Valutazione d’ufficio ed effettività dei ricorsi

    1999

    C-126/97 — Eco Swiss China Time Ltd/Benetton International NV

    Concorrenza — Applicazione d’ufficio dell’articolo 81 CE (ex articolo 85) da parte degli arbitri — Poteri del giudice nazionale in sede di impugnazione dei lodi arbitrali

    5.1.

    L’importanza degli articoli 6, paragrafo 1, e 7, paragrafo 1, della direttiva nonché dei principi di equivalenza ed effettività in generale

    2000

    Cause riunite C-240/98 — Océano Grupo Editorial SA/Roció Murciano Quintero (C-240/98) e Salvat Editores SA/José M. Sánchez Alcón Prades (C-241/98), José Luis Copano Badillo (C-242/98), Mohammed Berroane (C-243/98) e Emilio Viñas Feliú (C-244/98)

    Clausole vessatorie nei contratti stipulati con i consumatori — Clausola derogativa dalla competenza — Potere del giudice di esaminare d’ufficio l’illiceità di tale clausola

    3.1.

    Abusività e trasparenza in generale

    3.4.

    Valutazione del carattere abusivo ai sensi degli articoli 3 e 4, paragrafo 1, della direttiva

    5.1.

    L’importanza degli articoli 6, paragrafo 1, e 7, paragrafo 1, della direttiva nonché dei principi di equivalenza ed effettività in generale

    5.2.

    Il principio del controllo d’ufficio delle clausole abusive nei contratti

    2001

    Causa C-144/99 — Commissione/Paesi Bassi

    Inadempimento di uno Stato — Direttiva 93/13/CEE — Clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori — Trasposizione incompleta

    2.2.

    Altre disposizioni del diritto nazionale

    C-226/99 — Siples

    Codice doganale comunitario — Ricorso — Sospensione dell’esecuzione di una decisione delle autorità doganali

    5.4.

    Valutazione d’ufficio ed effettività dei ricorsi

    2002

    C-167/00 — Verein für Konsumenteninformation/Karl Heinz Henkel

    Convenzione di Bruxelles — Articolo 5, punto 3 — Competenza in materia di delitti o quasi-delitti — Azione preventiva di interesse collettivo — Associazione di tutela dei consumatori che chiede il divieto dell’uso da parte di un professionista di clausole abusive nei contratti conclusi con i consumatori

    6.

    Provvedimenti inibitori nell’interesse collettivo dei consumatori (articolo 7, paragrafi 2 e 3, della direttiva)

    C-255/00 — Grundig Italiana SpA/Ministero delle Finanze

    Imposte nazionali incompatibili con il diritto comunitario — Ripetizione dell’indebito — Normativa nazionale che riduce, retroattivamente, i termini di ricorso — Compatibilità con il principio di effettività

    5.4.

    Valutazione d’ufficio ed effettività dei ricorsi

    C-372/99 Commissione delle Comunità europee/Repubblica italiana

    Inadempimento di uno Stato — Direttiva del Consiglio 93/13/CEE — Clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori — Mezzi destinati a far cessare l’uso di dette clausole

    6.

    Provvedimenti inibitori nell’interesse collettivo dei consumatori (articolo 7, paragrafi 2 e 3, della direttiva)

    C-473/00 — Cofidis

    Azione proposta da un professionista — Disposizione interna che vieta al giudice nazionale, alla scadenza di un termine di decadenza, di rilevare, d’ufficio o a seguito di un’eccezione sollevata dal consumatore, il carattere abusivo di una clausola

    4.2.

    L’effetto giuridico del «carattere non vincolante per il consumatore»

    5.2.

    Il principio del controllo d’ufficio delle clausole abusive nei contratti

    C-478/99 — Commissione/Svezia

    Inadempimento di uno Stato — Direttiva 93/13/CEE — Clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori — Obbligo di riprodurre nella normativa nazionale l’elenco delle clausole che possono essere dichiarate abusive figurante in allegato alla direttiva 93/13

    3.4.

    Valutazione del carattere abusivo ai sensi degli articoli 3 e 4, paragrafo 1, della direttiva

    2004

    C-70/03 — Commissione/Spagna

    Inadempimento di uno Stato — Direttiva 93/13/CEE — Clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori — Regole d’interpretazione — Norme sul conflitto di leggi

    1.2.

    L’ambito di applicazione della direttiva

    3.1.

    Abusività e trasparenza in generale

    C-237/02 — Freiburger Kommunalbauten GmbH Baugesellschaft & Co. KG/Ludger Hofstetter e Ulrike Hofstetter

    Clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori — Contratto vertente sulla costruzione e sulla cessione di un posto macchina in un parcheggio — Inversione dell’ordine di esecuzione degli obblighi contrattuali previsto dalle disposizioni suppletive del diritto nazionale — Clausola che obbliga il consumatore a pagare il prezzo prima che il professionista abbia adempiuto i suoi obblighi — Obbligo del professionista di fornire una garanzia

    3.1.

    Abusività e trasparenza in generale

    3.4.

    Valutazione del carattere abusivo ai sensi degli articoli 3 e 4, paragrafo 1, della direttiva

    2005

    C-125/04 — Guy Denuit

    Rinvio alla Corte — Giurisdizione nazionale ai sensi dell’articolo 234 CE — Tribunale arbitrale

    5.7.

    Controllo d’ufficio delle clausole abusive nei contratti e procedure stragiudiziali

    2006

    C-168/05 — Mostaza Claro

    Clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori — Mancata contestazione del carattere abusivo di una clausola in sede di procedura arbitrale — Possibilità di sollevare tale eccezione nell’ambito della procedura di impugnazione del lodo

    1.1.

    Gli obiettivi perseguiti dalla direttiva

    5.1.

    L’importanza degli articoli 6, paragrafo 1, e 7, paragrafo 1, della direttiva nonché dei principi di equivalenza ed effettività in generale

    5.2.

    Il principio del controllo d’ufficio delle clausole abusive nei contratti

    2007

    C-429/05 — Rampion e Godard

    Direttiva 87/102/CEE — Credito al consumo — Diritto del consumatore di procedere contro il creditore nell’ipotesi di mancata esecuzione o di esecuzione non conforme del contratto relativo ai beni o ai servizi finanziati dal credito — Presupposti — Menzione del bene o del servizio finanziato nell’offerta di credito — Apertura di credito con possibilità di far uso del credito concesso in momenti differenti — Possibilità, per il giudice nazionale, di rilevare d’ufficio il diritto del consumatore di procedere contro il creditore

    Introduzione

    C-432/05 — Unibet (London) Ltd e Unibet (International) Ltd/Justitiekanslern

    Principio di tutela giurisdizionale — Legislazione nazionale che non prevede un ricorso autonomo per contestare la conformità di una disposizione nazionale con il diritto comunitario — Autonomia procedurale — Principi di equivalenza e di effettività — Tutela provvisoria

    5.1.

    L’importanza degli articoli 6, paragrafo 1, e 7, paragrafo 1, della direttiva nonché dei principi di equivalenza ed effettività in generale

    5.4.

    Valutazione d’ufficio ed effettività dei ricorsi

    2008

    C-2/06 — Kempter KG/Hauptzollamt Hamburg-Jonas

    Esportazione di bovini — Restituzioni all’esportazione — Decisione amministrativa definitiva — Interpretazione di una sentenza della Corte — Effetti di una sentenza pronunciata in via pregiudiziale dalla Corte successivamente a tale decisione — Riesame e rettifica — Limiti temporali — Certezza del diritto — Principio di cooperazione — Articolo 10 CE

    5.4.

    Valutazione d’ufficio ed effettività dei ricorsi

    2009

    C-40/08 — Asturcom Telecomunicaciones

    Contratti stipulati con i consumatori — Clausola compromissoria abusiva — Nullità — Lodo arbitrale che ha acquisito autorità di cosa giudicata — Esecuzione forzata — Facoltà del giudice nazionale dell’esecuzione di rilevare d’ufficio la nullità di una clausola compromissoria abusiva — Principi di equivalenza e di effettività

    1.1.

    Gli obiettivi perseguiti dalla direttiva

    4.1.

    La natura e il ruolo dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva nella protezione dalle clausole abusive nei contratti

    5.1.

    L’importanza degli articoli 6, paragrafo 1, e 7, paragrafo 1, della direttiva nonché dei principi di equivalenza ed effettività in generale

    5.2.

    Il principio del controllo d’ufficio delle clausole abusive nei contratti

    5.3.

    Obblighi derivanti dal principio di equivalenza

    5.4.

    Valutazione d’ufficio ed effettività dei ricorsi

    5.7.

    Controllo d’ufficio delle clausole abusive nei contratti e procedure stragiudiziali

    Causa C-227/08 — Martín

    Articolo 4 — Tutela dei consumatori — Contratti negoziati fuori dei locali commerciali — Diritto di recesso — Obbligo d’informazione da parte del professionista — Nullità del contratto — Misure appropriate

    Introduzione

    C-243/08 — Pannon GSM Zrt./Erzsébet Sustikné Győrfi

    Clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori — Effetti giuridici di una clausola abusiva — Potere e obbligo del giudice nazionale di esaminare d’ufficio la natura abusiva di una clausola attributiva di competenza — Criteri di valutazione

    1.1.

    Gli obiettivi perseguiti dalla direttiva

    3.1.

    Abusività e trasparenza in generale

    3.4.

    Valutazione del carattere abusivo ai sensi degli articoli 3 e 4, paragrafo 1, della direttiva

    4.2.

    L’effetto giuridico del «carattere non vincolante per il consumatore»

    4.3.

    Conseguenze del carattere abusivo delle clausole contrattuali per i diritti e gli obblighi delle parti

    5.2.

    Il principio del controllo d’ufficio delle clausole abusive nei contratti

    5.5.

    Le implicazioni del controllo d’ufficio

    2010

    C-76/10 — Pohotovosť s.r.o./Iveta Korčkovská

    Direttiva 93/13/CEE — Clausole abusive — Direttiva 2008/48/CE — Direttiva 87/102/CEE — Contratti di credito al consumo — Tasso annuo effettivo globale — Procedimento arbitrale — Lodo arbitrale — Facoltà del giudice nazionale di valutare d’ufficio l’eventuale carattere abusivo di talune clausole

    Introduzione

    3.2.

    Clausole contrattuali relative all’oggetto principale del contratto o al prezzo e alla remunerazione (articolo 4, paragrafo 2, della direttiva)

    3.3.

    Obblighi di trasparenza

    3.4.

    Valutazione del carattere abusivo ai sensi degli articoli 3 e 4, paragrafo 1, della direttiva

    4.2.

    L’effetto giuridico del «carattere non vincolante per il consumatore»

    5.1.

    L’importanza degli articoli 6, paragrafo 1, e 7, paragrafo 1, della direttiva nonché dei principi di equivalenza ed effettività in generale

    5.3.

    Obblighi derivanti dal principio di equivalenza

    5.4.

    Valutazione d’ufficio ed effettività dei ricorsi

    C-137/08 — VB Pénzügyi Lízing Zrt./Ferenc Schneider

    Criteri di valutazione — Esame d’ufficio, da parte del giudice nazionale, del carattere abusivo di una clausola attributiva di competenza giurisdizionale — Articolo 23 dello Statuto della Corte

    3.4.

    Valutazione del carattere abusivo ai sensi degli articoli 3 e 4, paragrafo 1, della direttiva

    5.1.

    L’importanza degli articoli 6, paragrafo 1, e 7, paragrafo 1, della direttiva nonché dei principi di equivalenza ed effettività in generale

    5.2.

    Il principio del controllo d’ufficio delle clausole abusive nei contratti

    5.5.

    Le implicazioni del controllo d’ufficio

    Cause riunite C-317/08, C-318/08, C-319/08 e C-320/08, Rosalba Alassini/Telecom Italia SpA, Filomena Califano/Wind SpA, Lucia Anna Giorgia Iacono/Telecom Italia SpA e Multiservice Srl/Telecom Italia SpA

    Principio della tutela giurisdizionale effettiva — Reti e servizi di comunicazione elettronica — Direttiva 2002/22/CE — Servizio universale — Controversie tra utenti finali e fornitori — Tentativo obbligatorio di conciliazione extragiudiziale

    5.1.

    L’importanza degli articoli 6, paragrafo 1, e 7, paragrafo 1, della direttiva nonché dei principi di equivalenza ed effettività in generale

    5.7.

    Controllo d’ufficio delle clausole abusive nei contratti e procedure stragiudiziali

    C-484/08 — Caja de Ahorros y Monte de Piedad de Madrid/Asociación de Usuarios de Servicios Bancarios (Ausbanc)

    Contratti stipulati con i consumatori — articolo 4, paragrafo 2 — Clausole che definiscono l’oggetto principale del contratto — Controllo giurisdizionale del loro carattere abusivo — Disposizioni nazionali più severe per garantire un più elevato livello di protezione per il consumatore

    2.1.

    Armonizzazione minima ed estensione dell’ambito di applicazione (articoli 8 e 8 bis della direttiva), incluso il ruolo dei massimi organi giurisdizionali nazionali

    3.1.

    Abusività e trasparenza in generale

    3.3.

    Obblighi di trasparenza

    C-542/08 — Barth/Bundesministerium für Wissenschaft und Forschung

    Libera circolazione delle persone — Lavoratori — Parità di trattamento — Indennità speciale di anzianità di servizio dei professori universitari prevista da una normativa nazionale la cui incompatibilità con il diritto comunitario è stata constatata con sentenza della Corte — Termine di prescrizione — Principi di equivalenza e di effettività

    5.4.

    Valutazione d’ufficio ed effettività dei ricorsi

    2012

    C-453/10 — Pereničová e Perenič/SOS financ spol. s r. o

    Contratto di credito al consumo — Erronea indicazione del tasso annuo effettivo globale — Incidenza delle pratiche commerciali sleali e delle clausole abusive sulla validità del contratto nel suo complesso

    1.2.

    L’ambito di applicazione della direttiva

    2.1.

    Armonizzazione minima ed estensione dell’ambito di applicazione (articoli 8 e 8 bis della direttiva), incluso il ruolo dei massimi organi giurisdizionali nazionali

    2.2.

    Altre disposizioni del diritto nazionale

    4.3.

    Conseguenze del carattere abusivo delle clausole contrattuali per i diritti e gli obblighi delle parti

    5.1.

    L’importanza degli articoli 6, paragrafo 1, e 7, paragrafo 1, della direttiva nonché dei principi di equivalenza ed effettività in generale

    C-472/10 — Nemzeti Fogyasztóvédelmi Hatóság/Invitel Távközlési Zrt

    Articolo 3, paragrafi 1 e 3 — Articoli 6 e 7 — Contratti stipulati con i consumatori — Clausole abusive — Modifica unilaterale delle condizioni del contratto da parte del professionista — Azione inibitoria promossa nell’interesse collettivo, a nome dei consumatori, da un ente individuato dalla legislazione nazionale — Accertamento del carattere abusivo della clausola — Effetti giuridici

    3.1.

    Abusività e trasparenza in generale

    3.3.

    Obblighi di trasparenza

    3.4.

    Valutazione del carattere abusivo ai sensi degli articoli 3 e 4, paragrafo 1, della direttiva

    4.3.

    Conseguenze del carattere abusivo delle clausole contrattuali per i diritti e gli obblighi delle parti

    5.1.

    L’importanza degli articoli 6, paragrafo 1, e 7, paragrafo 1, della direttiva nonché dei principi di equivalenza ed effettività in generale

    6.

    Provvedimenti inibitori nell’interesse collettivo dei consumatori (articolo 7, paragrafi 2 e 3, della direttiva)

    C-472/11 — Banif Plus Bank Zrt/Csaba Csipai e Viktória Csipai

    Esame d’ufficio, da parte del giudice nazionale, del carattere abusivo di una clausola — Obbligo, per il giudice nazionale che abbia rilevato d’ufficio il carattere abusivo di una clausola, di invitare le parti a presentare le loro osservazioni prima di trarre le conseguenze derivanti da tale accertamento — Clausole contrattuali che devono essere prese in considerazione nell’esame del carattere abusivo

    3.4.

    Valutazione del carattere abusivo ai sensi degli articoli 3 e 4, paragrafo 1, della direttiva

    4.1.

    La natura e il ruolo dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva nella protezione dalle clausole abusive nei contratti

    4.3.

    Conseguenze del carattere abusivo delle clausole contrattuali per i diritti e gli obblighi delle parti

    5.2.

    Il principio del controllo d’ufficio delle clausole abusive nei contratti

    5.5.

    Le implicazioni del controllo d’ufficio

    C-618/10 — Banco Español de Crédito SA/Joaquín Calderón Camino

    Contratti stipulati con i consumatori — Clausola abusiva sugli interessi moratori — Procedimento d’ingiunzione di pagamento — Competenze del giudice nazionale

    2.2.

    Altre disposizioni del diritto nazionale

    4.1.

    La natura e il ruolo dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva nella protezione dalle clausole abusive nei contratti

    4.3.

    Conseguenze del carattere abusivo delle clausole contrattuali per i diritti e gli obblighi delle parti

    5.1.

    L’importanza degli articoli 6, paragrafo 1, e 7, paragrafo 1, della direttiva nonché dei principi di equivalenza ed effettività in generale

    5.4.

    Valutazione d’ufficio ed effettività dei ricorsi

    5.5.

    Le implicazioni del controllo d’ufficio

    2013

    C-32/12 — Duarte Hueros

    Direttiva 1999/44/CE — Diritti del consumatore in caso di difetto di conformità del bene — Carattere minore di tale difetto — Esclusione della risoluzione del contratto — Competenze del giudice nazionale

    Introduzione

    5.1.

    L’importanza degli articoli 6, paragrafo 1, e 7, paragrafo 1, della direttiva nonché dei principi di equivalenza ed effettività in generale

    C-59/12 — Zentrale zur Bekämpfung unlauteren Wettbewerbs

    Direttiva 2005/29/CE — Pratiche commerciali sleali — Ambito di applicazione — Informazioni ingannevoli diffuse da una cassa malattia del regime legale di previdenza sociale — Cassa malattia organizzata sotto forma di organismo di diritto pubblico

    1.2.

    L’ambito di applicazione della direttiva

    C-92/11 — RWE Vertrieb AG/Verbraucherzentrale Nordrhein-Westfalen eV

    Direttiva 2003/55/CE — Mercato interno del gas naturale — Direttiva 93/13/CEE — articolo 1, paragrafo 2, e articoli 3-5 — Contratti conclusi tra i professionisti e i consumatori — Condizioni generali — Clausole abusive — Modifica unilaterale del prezzo del servizio da parte del professionista — Rinvio ad una normativa imperativa concepita per un’altra categoria di consumatori — Applicabilità della direttiva 93/13 — Obbligo di redazione chiara e comprensibile e di trasparenza

    1.2.

    L’ambito di applicazione della direttiva

    3.3.

    Obblighi di trasparenza

    3.4.

    Valutazione del carattere abusivo ai sensi degli articoli 3 e 4, paragrafo 1, della direttiva

    4.3.

    Conseguenze del carattere abusivo delle clausole contrattuali per i diritti e gli obblighi delle parti

    4.4.

    Restituzione dei vantaggi ottenuti tramite clausole abusive nei contratti

    C-143/13 — Bogdan Matei e Ioana Ofelia Matei/SC Volksbank România SA

    Clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e un consumatore — articolo 4, paragrafo 2 — Valutazione del carattere abusivo delle clausole contrattuali — Esclusione delle clausole relative all’oggetto principale del contratto o alla perequazione del prezzo o della remunerazione purché siano redatte in modo chiaro e comprensibile — Clausole contenenti una «commissione di rischio» riscossa dal mutuante e che autorizza quest’ultimo, in presenza di determinate condizioni, a modificare unilateralmente il tasso di interesse

    2.1.

    Armonizzazione minima ed estensione dell’ambito di applicazione (articoli 8 e 8 bis della direttiva), incluso il ruolo dei massimi organi giurisdizionali nazionali

    3.1.

    Abusività e trasparenza in generale

    3.2.

    Clausole contrattuali relative all’oggetto principale del contratto o al prezzo e alla remunerazione (articolo 4, paragrafo 2, della direttiva)

    3.3.

    Obblighi di trasparenza

    3.4.

    Valutazione del carattere abusivo ai sensi degli articoli 3 e 4, paragrafo 1, della direttiva

    C-397/11 — Erika Jőrös/Aegon Magyarország Hitel Zrt

    Clausole abusive contenute nei contratti stipulati con i consumatori — Esame d’ufficio, da parte del giudice nazionale, del carattere abusivo di una clausola contrattuale — Conseguenze che il giudice nazionale deve trarre dall’accertamento del carattere abusivo della clausola

    5.1.

    L’importanza degli articoli 6, paragrafo 1, e 7, paragrafo 1, della direttiva nonché dei principi di equivalenza ed effettività in generale

    5.2.

    Il principio del controllo d’ufficio delle clausole abusive nei contratti

    5.3.

    Obblighi derivanti dal principio di equivalenza

    5.5.

    Le implicazioni del controllo d’ufficio

    C-413/12 — Asociación de Consumidores Independientes de Castilla y León/Anuntis Segundamano España SL

    Azione inibitoria promossa da un’associazione regionale di tutela dei consumatori — Giudice competente per territorio — Assenza di possibilità di impugnare una decisione declinatoria di competenza emessa in primo grado — Autonomia processuale degli Stati membri — Principi di equivalenza e di effettività

    5.4.

    Valutazione d’ufficio ed effettività dei ricorsi

    6.

    Provvedimenti inibitori nell’interesse collettivo dei consumatori (articolo 7, paragrafi 2 e 3, della direttiva)

    C-415/11 — Mohamed Aziz/Caixa d’Estalvis de Catalunya, Tarragona i Manresa (Catalunyacaixa)

    Contratti stipulati con i consumatori — Contratto di mutuo con garanzia ipotecaria — Procedimento di esecuzione ipotecaria — Competenze del giudice nazionale di merito — Clausole abusive — Criteri di valutazione

    3.1.

    Abusività e trasparenza in generale

    3.4.

    Valutazione del carattere abusivo ai sensi degli articoli 3 e 4, paragrafo 1, della direttiva

    5.1.

    L’importanza degli articoli 6, paragrafo 1, e 7, paragrafo 1, della direttiva nonché dei principi di equivalenza ed effettività in generale

    5.2.

    Il principio del controllo d’ufficio delle clausole abusive nei contratti

    5.4.

    Valutazione d’ufficio ed effettività dei ricorsi

    C-488/11 — Asbeek Brusse e de Man Garabito

    Clausole abusive contenute nei contratti stipulati con i consumatori — Contratto di locazione di abitazione tra un locatore professionale e un locatario privato — Esame d’ufficio, da parte del giudice nazionale, del carattere abusivo di una clausola contrattuale — Clausola penale — Annullamento della clausola

    1.1.

    Gli obiettivi perseguiti dalla direttiva

    1.2.

    L’ambito di applicazione della direttiva

    4.1.

    La natura e il ruolo dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva nella protezione dalle clausole abusive nei contratti

    4.3.

    Conseguenze del carattere abusivo delle clausole contrattuali per i diritti e gli obblighi delle parti

    5.1.

    L’importanza degli articoli 6, paragrafo 1, e 7, paragrafo 1, della direttiva nonché dei principi di equivalenza ed effettività in generale

    5.3.

    Obblighi derivanti dal principio di equivalenza

    5.5.

    Le implicazioni del controllo d’ufficio

    Cause riunite C-537/12 e C-116/13 — Banco Popular Español SA/Maria Teodolinda Rivas Quichimbo e Wilmar Edgar Cun Pérez e Banco de Valencia SA/Joaquín Valldeperas Tortosa e María Ángeles Miret Jaume

    Articolo 99 del regolamento di procedura della Corte — Contratti stipulati con i consumatori — Contratto di mutuo ipotecario — Procedimento di esecuzione ipotecaria — Competenze del giudice nazionale dell’esecuzione — Clausole abusive — Criteri di valutazione

    3.4.

    Valutazione del carattere abusivo ai sensi degli articoli 3 e 4, paragrafo 1, della direttiva

    2014

    C-26/13 — Kásler e Káslerné Rábai

    Clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista ed un consumatore — Articoli 4, paragrafo 2, e 6, paragrafo 1 — Valutazione del carattere abusivo delle clausole contrattuali — Esclusione delle clausole relative all’oggetto principale del contratto o alla congruità del prezzo o della remunerazione purché siano redatte in maniera chiara e comprensibile — Contratti di credito al consumo redatti in valuta estera — Clausole relative ai corsi di cambio — Differenza tra il corso di acquisto, applicabile all’erogazione del mutuo, ed il corso di vendita, applicabile al suo rimborso — Poteri del giudice nazionale in presenza di una clausola qualificata come «abusiva» — Sostituzione delle clausola abusiva con una disposizione di diritto nazionale di natura suppletiva — Ammissibilità

    1.1.

    Gli obiettivi perseguiti dalla direttiva

    1.2.

    L’ambito di applicazione della direttiva

    2.2.

    Altre disposizioni del diritto nazionale

    3.2.

    Clausole contrattuali relative all’oggetto principale del contratto o al prezzo e alla remunerazione (articolo 4, paragrafo 2, della direttiva)

    3.3.

    Obblighi di trasparenza

    3.4.

    Valutazione del carattere abusivo ai sensi degli articoli 3 e 4, paragrafo 1, della direttiva

    4.3.

    Conseguenze del carattere abusivo delle clausole contrattuali per i diritti e gli obblighi delle parti

    C-34/13 — Kušionová/SMART Capital

    Contratto di credito al consumo — articolo 1, paragrafo 2 — Clausola che riflette una disposizione legislativa di carattere imperativo — Ambito di applicazione della direttiva — Articoli 3, paragrafo 1, 4, 6, paragrafo 1, e 7, paragrafo 1 — Credito garantito attraverso un diritto reale costituito su un bene immobile — Possibilità di realizzare tale garanzia tramite una vendita all’asta — Sindacato giurisdizionale

    1.2.

    L’ambito di applicazione della direttiva

    5.1.

    L’importanza degli articoli 6, paragrafo 1, e 7, paragrafo 1, della direttiva nonché dei principi di equivalenza ed effettività in generale

    5.4.

    Valutazione d’ufficio ed effettività dei ricorsi

    C-169/14 — Sánchez Morcillo e Abril García

    Articolo 7 — Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea — articolo 47 — Contratti stipulati con i consumatori — Contratto di prestito ipotecario — Clausole abusive — Procedura di esecuzione ipotecaria — Legittimazione ad agire

    1.1.

    Gli obiettivi perseguiti dalla direttiva

    4.1.

    La natura e il ruolo dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva nella protezione dalle clausole abusive nei contratti

    5.1.

    L’importanza degli articoli 6, paragrafo 1, e 7, paragrafo 1, della direttiva nonché dei principi di equivalenza ed effettività in generale

    5.4.

    Valutazione d’ufficio ed effettività dei ricorsi

    C-226/12 — Constructora Principado SA/José Ignacio Menéndez Álvarez

    Contratti stipulati con i consumatori — Contratto di compravendita immobiliare — Clausole abusive — Criteri di valutazione

    3.1.

    Abusività e trasparenza in generale

    3.4.

    Valutazione del carattere abusivo ai sensi degli articoli 3 e 4, paragrafo 1, della direttiva

    C-280/13 — Barclays Bank/Sara Sánchez García e Alejandro Chacón Barrera

    Tredicesimo considerando — articolo 1, paragrafo 2 — Contratti stipulati con i consumatori — Contratto di mutuo ipotecario — Procedimento di esecuzione ipotecaria — Disposizioni legislative e regolamentari nazionali — Equilibrio del sinallagma contrattuale

    1.2.

    L’ambito di applicazione della direttiva

    4.3.

    Conseguenze del carattere abusivo delle clausole contrattuali per i diritti e gli obblighi delle parti

    5.4.

    Valutazione d’ufficio ed effettività dei ricorsi

    C-342/13 — Katalin Sebestyén/Zsolt Csaba Kővári e altri

    Contratto di mutuo ipotecario concluso con una banca — Clausola che prevede la competenza esclusiva di un’istanza arbitrale — Informazioni concernenti la procedura di arbitrato fornite dalla banca in occasione della conclusione del contratto — Clausole abusive — Criteri di valutazione

    3.4.

    Valutazione del carattere abusivo ai sensi degli articoli 3 e 4, paragrafo 1, della direttiva

    Cause riunite C-359/11 e C-400/11 — Alexandra Schulz/Technische Werke Schussental GmbH und Co. KG e Josef Egbringhoff/Stadtwerke Ahaus GmbH

    Direttive 2003/54/CE e 2003/55/CE — Tutela dei consumatori — Mercato interno dell’energia elettrica e del gas naturale — Normativa nazionale che determina il contenuto dei contratti conclusi con i consumatori nell’ambito dell’obbligo generale di approvvigionamento — Modifica unilaterale del prezzo del servizio da parte del professionista — Informazione, in tempo utile prima dell’entrata in vigore di tale modifica, circa i motivi, le condizioni e la portata della medesima

    3.3.

    Obblighi di trasparenza

    C-470/12 — Pohotovosť s. r. o./Miroslav Vašuta

    Contratto di credito al consumo — Clausole abusive — Direttiva 93/13/CEE — Esecuzione forzata di un lodo arbitrale — Domanda di intervento in un procedimento di esecuzione — Associazione per la tutela dei consumatori — Legislazione nazionale che non permette un tale intervento — Autonomia procedurale degli Stati membri

    5.4.

    Valutazione d’ufficio ed effettività dei ricorsi

    6.

    Provvedimenti inibitori nell’interesse collettivo dei consumatori (articolo 7, paragrafi 2 e 3, della direttiva)

    2015

    C-32/14 — ERSTE Bank Hungary/Attila Sugár

    Clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e un consumatore — Contratto di prestito ipotecario — articolo 7, paragrafo 1 — Cessazione dell’inserzione di clausole abusive — Mezzi adeguati ed efficaci — Riconoscimento di debito — Atto notarile — Apposizione della formula esecutiva da parte di un notaio — Titolo esecutivo — Obblighi del notaio — Esame d’ufficio delle clausole abusive — Sindacato giurisdizionale — Principi di equivalenza e di effettività

    5.1.

    L’importanza degli articoli 6, paragrafo 1, e 7, paragrafo 1, della direttiva nonché dei principi di equivalenza ed effettività in generale

    5.2.

    Il principio del controllo d’ufficio delle clausole abusive nei contratti

    5.4.

    Valutazione d’ufficio ed effettività dei ricorsi

    5.7.

    Controllo d’ufficio delle clausole abusive nei contratti e procedure stragiudiziali

    C-74/15 — Tarcău

    Articoli 1, paragrafo 1, e 2, lettera b) — Clausole abusive contenute nei contratti stipulati con i consumatori — Contratti di fideiussione e di garanzia immobiliare stipulati con un ente creditizio da persone fisiche che agiscono per scopi che esulano dalla loro attività professionale e che non hanno alcun collegamento di natura funzionale con la società commerciale di cui si sono costituite garanti

    1.2.

    L’ambito di applicazione della direttiva

    C-96/14 — Jean-Claude Van Hove/CNP Assurances SA

    Contratto di assicurazione — articolo 4, paragrafo 2 — Valutazione del carattere abusivo delle clausole contrattuali — Esclusione delle clausole relative all’oggetto principale del contratto — Clausola intesa a garantire la presa a carico delle rate di un contratto di mutuo immobiliare — Inabilità totale al lavoro del mutuatario — Esclusione dal beneficio di tale garanzia in caso di idoneità riconosciuta ad esercitare un’attività retribuita o meno

    3.2.

    Clausole contrattuali relative all’oggetto principale del contratto o al prezzo e alla remunerazione (articolo 4, paragrafo 2, della direttiva)

    C-110/14 — Costea

    Articolo 2, lettera b) — Nozione di «consumatore» — Contratto di credito concluso da una persona fisica che esercita la professione di avvocato — Rimborso del credito garantito da un bene immobile appartenente allo studio legale del mutuatario — Mutuatario che possiede le conoscenze necessarie per valutare il carattere abusivo di una clausola prima della firma del contratto

    1.1.

    Gli obiettivi perseguiti dalla direttiva

    1.2.

    L’ambito di applicazione della direttiva

    C-348/14 — Maria Bucura/SC Bancpost SA

    Direttiva 87/102/CEE — articolo 1, paragrafo 2, lettera a) — Credito al consumo — Direttiva 93/13/CEE — Articoli 2, lettera b), da 3 a 5 e 6, paragrafo 1 — Clausole abusive — Esame d’ufficio da parte del giudice nazionale — Clausole formulate «in modo chiaro e comprensibile» — Informazioni che devono essere fornite da parte del creditore

    3.2.

    Clausole contrattuali relative all’oggetto principale del contratto ovvero al prezzo e alla remunerazione (articolo 4, paragrafo 2, della direttiva)

    3.3.

    Obblighi di trasparenza

    3.4.

    Valutazione del carattere abusivo ai sensi degli articoli 3 e 4, paragrafo 1, della direttiva

    Cause riunite C-482/13, C-484/13, C-485/13 e C-487/13 — Unicaja Banco, SA/José Hidalgo Rueda e a. e Caixabank SA/Manuel María Rueda Ledesma e a.

    Contratti conclusi tra consumatori e professionisti — Contratti di mutuo ipotecario — Clausola relativa agli interessi di mora — Clausole abusive — Procedimento di esecuzione ipotecaria — Moderazione dell’importo degli interessi — Competenze del giudice nazionale

    2.2.

    Altre disposizioni del diritto nazionale

    4.3.

    Conseguenze del carattere abusivo delle clausole contrattuali per i diritti e gli obblighi delle parti

    C-497/13 — Froukje Faber/Autobedrijf Hazet Ochten BV

    Direttiva 1999/44/CE — Vendita e garanzia dei beni di consumo — Status dell’acquirente — Qualità di consumatore — Difetto di conformità del bene consegnato — Obbligo di informare il venditore — Difetto manifestatosi entro sei mesi dalla consegna del bene — Onere della prova

    Introduzione

    5.1.

    L’importanza degli articoli 6, paragrafo 1, e 7, paragrafo 1, della direttiva nonché dei principi di equivalenza ed effettività in generale

    5.5.

    Le implicazioni del controllo d’ufficio

    C-537/13 — Šiba

    Ambito di applicazione — Contratti stipulati con i consumatori — Contratto di prestazione di servizi di assistenza legale stipulato tra un avvocato ed un consumatore

    1.2.

    L’ambito di applicazione della direttiva

    C-567/13 — Baczó e Vizsnyiczai/Raiffeisen Bank Zrt

    Articolo 7 — Contratto di finanziamento immobiliare — Clausola compromissoria — Carattere abusivo — Ricorso del consumatore — Regola procedurale nazionale — Incompetenza del tribunale adito con il ricorso riguardante l’invalidità di un contratto di adesione a conoscere della domanda diretta a ottenere l’accertamento dell’abusività delle clausole contrattuali contenute nello stesso contratto

    5.1.

    L’importanza degli articoli 6, paragrafo 1, e 7, paragrafo 1, della direttiva nonché dei principi di equivalenza ed effettività in generale

    5.4.

    Valutazione d’ufficio ed effettività dei ricorsi

    C-602/13 — (BBVA) Banco Bilbao Vizcaya Argentaria SA/Fernando Quintano Ujeta e María Isabel Sánchez García

    Rapporto contrattuale tra un professionista e un consumatore — Contratto di mutuo ipotecario — Clausola sugli interessi moratori– Clausola di rimborso anticipato — Procedimento di esecuzione ipotecaria — Contenimento dell’importo degli interessi — Competenza del giudice nazionale

    3.4.

    Valutazione del carattere abusivo ai sensi degli articoli 3 e 4, paragrafo 1, della direttiva

    5.1.

    L’importanza degli articoli 6, paragrafo 1, e 7, paragrafo 1, della direttiva nonché dei principi di equivalenza ed effettività in generale

    5.4.

    Valutazione d’ufficio ed effettività dei ricorsi

    2016

    C-7/16 — Banco Popular Español e PL Salvador S.A.R.L./Maria Rita Giraldez Villar e Modesto Martínez Baz

    Articolo 99 del regolamento di procedura della Corte — Direttiva 93/13/CEE — Clausole abusive — Cessione di credito — Diritto del debitore di estinguere il suo debito — Requisiti per esercitare tale diritto

    4.3.

    Conseguenze del carattere abusivo delle clausole contrattuali per i diritti e gli obblighi delle parti

    C-49/14 — Finanmadrid EFC SA/Jesús Vicente Albán Zambrano e altri

    Clausole abusive — Procedimento d’ingiunzione di pagamento — Procedimento di esecuzione forzata — Competenza del giudice nazionale dell’esecuzione a rilevare d’ufficio la nullità della clausola abusiva — Principio dell’autorità di cosa giudicata — Principio di effettività — Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea — Tutela giurisdizionale

    2.2.

    Altre disposizioni del diritto nazionale

    5.1.

    L’importanza degli articoli 6, paragrafo 1, e 7, paragrafo 1, della direttiva nonché dei principi di equivalenza ed effettività in generale

    5.4.

    Valutazione d’ufficio ed effettività dei ricorsi

    5.5.

    Le implicazioni del controllo d’ufficio

    C-119/15 — Biuro podróży Partner Sp. z o.o, Sp. komandytowa w Dąbrowie Górniczej/Prezes Urzędu Ochrony Konkurencji i Konsumentów

    Direttiva 93/13/CEE — Direttiva 2009/22/CE — Tutela dei consumatori — Efficacia erga omnes di clausole abusive contenute in un registro pubblico — Sanzione pecuniaria inflitta a un professionista che ha utilizzato una clausola considerata equivalente a quella contenuta nel suddetto registro — Professionista che non ha partecipato al procedimento conclusosi con la dichiarazione del carattere abusivo della clausola — articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea — Nozione di «giurisdizione nazionale, avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno»

    5.1.

    L’importanza degli articoli 6, paragrafo 1, e 7, paragrafo 1, della direttiva nonché dei principi di equivalenza ed effettività in generale

    5.5.

    Le implicazioni del controllo d’ufficio

    6.

    Provvedimenti inibitori nell’interesse collettivo dei consumatori (articolo 7, paragrafi 2 e 3, della direttiva)

    C-122/14 — Aktiv Kapital Portfolio AS, Oslo, succursale à Zug, ex Aktiv Kapital Portfolio Invesment/Angel Luis Egea Torregrosa

    Clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori — Procedura d’ingiunzione di pagamento — Procedura d’esecuzione — Competenza del giudice nazionale dell’esecuzione a sollevare d’ufficio la quesitone di nullità di una clausola abusiva — Principio di effettività — Principio dell’autorità della cosa giudicata

    5.4.

    Valutazione d’ufficio ed effettività dei ricorsi

    Cause riunite C-154/15, C-307/15 e C-308/15 — Gutierrez Naranjo e altri

    Contratti stipulati con i consumatori — Mutui ipotecari — Clausole abusive — articolo 4, paragrafo 2 — articolo 6, paragrafo 1 — Dichiarazione di nullità — Giudice nazionale che limita nel tempo gli effetti della dichiarazione di nullità di una clausola abusiva

    1.1.

    Gli obiettivi perseguiti dalla direttiva

    3.3.

    Obblighi di trasparenza

    4.1.

    La natura e il ruolo dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva nella protezione dalle clausole abusive nei contratti

    4.2.

    L’effetto giuridico del «carattere non vincolante per il consumatore»

    4.3.

    Conseguenze del carattere abusivo delle clausole contrattuali per i diritti e gli obblighi delle parti

    4.4.

    Restituzione dei vantaggi ottenuti tramite clausole abusive nei contratti

    5.1.

    L’importanza degli articoli 6, paragrafo 1, e 7, paragrafo 1, della direttiva nonché dei principi di equivalenza ed effettività in generale

    5.2.

    Il principio del controllo d’ufficio delle clausole abusive nei contratti

    5.4.

    Valutazione d’ufficio ed effettività dei ricorsi

    5.5.

    Le implicazioni del controllo d’ufficio

    C-168/15 — Tomášová/Slovenská republika

    Contratto di credito contenente una clausola abusiva — Esecuzione forzata di un lodo arbitrale pronunciato in applicazione di tale clausola — Responsabilità di uno Stato membro per danni arrecati ai singoli da violazioni del diritto dell’Unione imputabili a un organo giurisdizionale nazionale — Presupposti per la sussistenza — Esistenza di una violazione sufficientemente qualificata del diritto dell’Unione

    2.2.

    Altre disposizioni del diritto nazionale

    5.1.

    L’importanza degli articoli 6, paragrafo 1, e 7, paragrafo 1, della direttiva nonché dei principi di equivalenza ed effettività in generale

    5.2.

    Il principio del controllo d’ufficio delle clausole abusive nei contratti

    5.4.

    Valutazione d’ufficio ed effettività dei ricorsi

    C-191/15 — Verein für Konsumenteninformation/Amazon EU Sàrl

    Cooperazione giudiziaria in materia civile — Regolamenti (CE) n. 864/2007 e (CE) n. 593/2008 — Tutela dei consumatori — Direttiva 93/13/CEE — Tutela dei dati — Direttiva 95/46/CE — Contratti di vendita on line stipulati con consumatori residenti in altri Stati membri — Clausole abusive — Condizioni generali contenenti una clausola di scelta del diritto applicabile che designa il diritto dello Stato membro in cui ha sede l’impresa — Determinazione della legge applicabile per valutare il carattere abusivo delle clausole di tali condizioni generali nell’ambito di un’azione inibitoria — Determinazione della legge che disciplina il trattamento dei dati personali dei consumatori

    1.2.

    L’ambito di applicazione della direttiva

    2.1.

    Armonizzazione minima ed estensione dell’ambito di applicazione (articoli 8 e 8 bis della direttiva), incluso il ruolo dei massimi organi giurisdizionali nazionali

    3.1.

    Abusività e trasparenza in generale

    3.3.

    Obblighi di trasparenza

    3.4.

    Valutazione del carattere abusivo ai sensi degli articoli 3 e 4, paragrafo 1, della direttiva

    6.

    Provvedimenti inibitori nell’interesse collettivo dei consumatori (articolo 7, paragrafi 2 e 3, della direttiva)

    C-377/14 — Radlinger Radlingerová/Finway a.s.

    Articolo 7 — Norme nazionali disciplinanti il procedimento per insolvenza — Debiti derivanti da un contratto di credito al consumo — Ricorso giurisdizionale effettivo — Punto 1, lettera e), dell’allegato — Carattere sproporzionato dell’importo dell’indennizzo — Direttiva 2008/48/CE — articolo 3, lettera l) — Importo totale del credito — Punto I dell’allegato I — Importo del prelievo — Calcolo del tasso annuo effettivo globale — articolo 10, paragrafo 2 — Obbligo di informazione — Esame d’ufficio — Sanzione

    Introduzione

    3.4.

    Valutazione del carattere abusivo ai sensi degli articoli 3 e 4, paragrafo 1, della direttiva

    5.1.

    L’importanza degli articoli 6, paragrafo 1, e 7, paragrafo 1, della direttiva nonché dei principi di equivalenza ed effettività in generale

    5.4.

    Valutazione d’ufficio ed effettività dei ricorsi

    5.5.

    Le implicazioni del controllo d’ufficio

    Cause riunite C-381/14 e C-385/14 — Jorge Sales Sinués e Youssouf Drame Ba/Caixabank SA e Catalunya Caixa SA (Catalunya Banc SA)

    Ordinanza di rettifica

    6.

    Provvedimenti inibitori nell’interesse collettivo dei consumatori (articolo 7, paragrafi 2 e 3, della direttiva)

    C-534/15 — Dumitraş

    Articolo 1, paragrafo 1 — articolo 2, lettera b) — Status di consumatore — Trasferimento di un credito mediante novazione di contratti di credito — Contratto di garanzia immobiliare sottoscritto da privati che non hanno alcun rapporto professionale con la società commerciale nuova debitrice

    1.2.

    L’ambito di applicazione della direttiva

    Cause riunite da C-568/14 a C-570/14, Ismael Fernández Oliva e a./Caixabank SA e a.

    Articolo 99 del regolamento di procedura della Corte — Contratti conclusi tra professionisti e consumatori — Contratti ipotecari — Clausola pavimento — Procedimento collettivo — Procedimento individuale avente il medesimo oggetto — Provvedimenti provvisori

    5.4.

    Valutazione d’ufficio ed effettività dei ricorsi

    5.5.

    Le implicazioni del controllo d’ufficio

    6.

    Provvedimenti inibitori nell’interesse collettivo dei consumatori (articolo 7, paragrafi 2 e 3, della direttiva)

    C-689/13 — PFE (Puligienica Facility Esco SpA)/Airgest SpA

    Direttiva 89/665/CEE — articolo 1, paragrafi 1 e 3 — Procedure di ricorso — Ricorso di annullamento avverso il provvedimento di aggiudicazione di un appalto pubblico presentato da un offerente la cui offerta non è stata prescelta — Ricorso incidentale dell’aggiudicatario — Principio del primato del diritto dell’Unione

    2.2.

    Altre disposizioni del diritto nazionale

    2017

    C-186/16 — Andriciuc e altri

    Articolo 3, paragrafo 1, e articolo 4, paragrafo 2 — Valutazione del carattere abusivo delle clausole contrattuali — Contratto di credito concluso in una valuta estera — Rischio di cambio interamente a carico del consumatore — Significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto — Momento in cui lo squilibrio deve essere valutato — Portata della nozione di clausole «formulate in modo chiaro e comprensibile» — Livello d’informazione che deve essere fornito dalla banca

    1.2.

    L’ambito di applicazione della direttiva

    3.1.

    Abusività e trasparenza in generale

    3.2.

    Clausole contrattuali relative all’oggetto principale del contratto o al prezzo e alla remunerazione (articolo 4, paragrafo 2, della direttiva)

    3.3.

    Obblighi di trasparenza

    3.4.

    Valutazione del carattere abusivo ai sensi degli articoli 3 e 4, paragrafo 1, della direttiva

    4.3.

    Conseguenze del carattere abusivo delle clausole contrattuali per i diritti e gli obblighi delle parti

    C-290/16 — Air Berlin

    Trasporto — Norme comuni per la prestazione di servizi aerei nell’Unione — Regolamento (CE) n. 1008/2008 — Disposizioni tariffarie — articolo 22, paragrafo 1 — articolo 23, paragrafo 1 — Informazioni richieste nella presentazione delle tariffe offerte al pubblico — Obbligo di indicare l’importo reale di tasse, diritti o supplementi — Libertà in materia di tariffe — Fatturazione di spese amministrative in caso di annullamento della prenotazione di un volo da parte del passeggero o di mancata presentazione all’imbarco — Tutela dei consumatori

    1.2.

    L’ambito di applicazione della direttiva

    C-421/14 — Banco Primus SA/Jesús Gutiérrez García

    Contratti conclusi tra professionisti e consumatori — Clausole abusive — Contratti di mutuo ipotecario — Procedimento di esecuzione su un bene ipotecato — Termine di decadenza — Compito dei giudici nazionali — Autorità di cosa giudicata

    1.1.

    Gli obiettivi perseguiti dalla direttiva

    3.1.

    Abusività e trasparenza in generale

    3.4.

    Valutazione del carattere abusivo ai sensi degli articoli 3 e 4, paragrafo 1, della direttiva

    4.1.

    La natura e il ruolo dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva nella protezione dalle clausole abusive nei contratti

    4.3.

    Conseguenze del carattere abusivo delle clausole contrattuali per i diritti e gli obblighi delle parti

    5.1.

    L’importanza degli articoli 6, paragrafo 1, e 7, paragrafo 1, della direttiva nonché dei principi di equivalenza ed effettività in generale

    5.2.

    Il principio del controllo d’ufficio delle clausole abusive nei contratti

    5.4.

    Valutazione d’ufficio ed effettività dei ricorsi

    C-446/17 — Woonhaven Antwerpen BV CVBA/Khalid Berkani e Asmae Hajji

    Articolo 99 del regolamento di procedura della Corte — Clausole abusive — Contratto di locazione concluso fra una società riconosciuta di edilizia popolare e un locatario — Contratto di locazione tipo reso vincolante da un atto legislativo nazionale — Direttiva 93/13/CEE — articolo 1, paragrafo 2 — Inapplicabilità di tale direttiva

    1.2.

    L’ambito di applicazione della direttiva

    4.3.

    Conseguenze del carattere abusivo delle clausole contrattuali per i diritti e gli obblighi delle parti

    C-503/15 — Margarit Panicello

    Articolo 267 TFUE — Cancelliere — Nozione di «giurisdizione nazionale» — Giurisdizione obbligatoria — Esercizio di funzioni giurisdizionali — Indipendenza — Incompetenza della Corte

    5.7.

    Controllo d’ufficio delle clausole abusive nei contratti e procedure stragiudiziali

    C-535/16 — Bachman

    Articolo 2, lettera b) — Clausole abusive contenute nei contratti stipulati con i consumatori — Nozione di «consumatore» — Persona fisica che ha concluso un contratto di novazione con un istituto di credito al fine di adempiere gli obblighi di rimborso dei crediti ottenuti da una società commerciale nei confronti di tale istituto

    1.2.

    L’ambito di applicazione della direttiva

    2018

    C-51/17 — OTP Bank e OTP Faktoring Követeléskezelő Zrt/Teréz Ilyés ed Emil Kiss

    Ambito di applicazione — articolo 1, paragrafo 2 — Disposizioni legislative o regolamentari imperative — articolo 3, paragrafo 1 — Nozione di «clausola contrattuale che non è stata oggetto di negoziato individuale» — Clausola inserita nel contratto dopo la conclusione di quest’ultimo in seguito ad un intervento del legislatore nazionale — articolo 4, paragrafo 2 — Formulazione chiara e comprensibile di una clausola — articolo 6, paragrafo 1 — Esame d’ufficio, da parte del giudice nazionale, del carattere abusivo di una clausola — Contratto di mutuo espresso in valuta estera concluso tra un professionista e un consumatore

    1.2.

    L’ambito di applicazione della direttiva

    3.3.

    Obblighi di trasparenza

    4.3.

    Conseguenze del carattere abusivo delle clausole contrattuali per i diritti e gli obblighi delle parti

    Cause riunite C-96/16 e C-94/17 — Banco Santander Escobedo Cortés

    Clausole abusive — Ambito di applicazione — Cessione di credito — Contratto di mutuo concluso con un consumatore — Criteri di valutazione del carattere abusivo di una clausola di tale contratto che fissa il tasso degli interessi moratori — Conseguenze di tale carattere

    1.1.

    Gli obiettivi perseguiti dalla direttiva

    2.1.

    Armonizzazione minima ed estensione dell’ambito di applicazione (articoli 8 e 8 bis della direttiva), incluso il ruolo dei massimi organi giurisdizionali nazionali

    3.4.

    Valutazione del carattere abusivo ai sensi degli articoli 3 e 4, paragrafo 1, della direttiva

    4.3.

    Conseguenze del carattere abusivo delle clausole contrattuali per i diritti e gli obblighi delle parti

    C-147/16 — Karel de Grote — Hogeschool Katholieke Hogeschool Antwerpen

    Clausole abusive nei contratti conclusi tra un professionista e un consumatore — Verifica d’ufficio da parte del giudice nazionale diretta a stabilire se un contratto rientri nell’ambito di applicazione di tale direttiva — articolo 2, lettera c) — Nozione di «professionista» — Istituto di insegnamento superiore il cui finanziamento è garantito principalmente da fondi pubblici — Contratto relativo a un piano di rimborso a rate esente da interessi delle tasse di iscrizione e della partecipazione alle spese per un viaggio di studio

    1.1.

    Gli obiettivi perseguiti dalla direttiva

    1.2.

    L’ambito di applicazione della direttiva

    C-119/17 — Liviu Petru Lupean, Oana Andreea Lupean/SC OTP BAAK Nyrt

    Clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori — articolo 3, paragrafo 1, articolo 4, paragrafo 1, e articolo 5 — Valutazione del carattere abusivo delle clausole contrattuali — Contratto di credito concluso in una valuta estera — Rischio di cambio interamente a carico del consumatore — Significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto — Oggetto principale del contratto di mutuo

    3.2.

    Clausole contrattuali relative all’oggetto principale del contratto o al prezzo e alla remunerazione (articolo 4, paragrafo 2, della direttiva)

    3.3.

    Obblighi di trasparenza

    3.4.

    Valutazione del carattere abusivo ai sensi degli articoli 3 e 4, paragrafo 1, della direttiva

    C-176/17 — Profi Credit Polska SA w Bielsku Białej/Mariusz Wawrzosek

    Clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori — Direttiva 2008/48/CE — Procedimento inteso all’emissione di un’ingiunzione di pagamento fondata su una cambiale che garantisce gli obblighi derivanti da un contratto di credito al consumo

    2.2.

    Altre disposizioni del diritto nazionale

    5.1.

    L’importanza degli articoli 6, paragrafo 1, e 7, paragrafo 1, della direttiva nonché dei principi di equivalenza ed effettività in generale

    5.4.

    Valutazione d’ufficio ed effettività dei ricorsi

    5.5.

    Le implicazioni del controllo d’ufficio

    C-448/17 — EOS KSI Slovensko s.r.o./Ján Danko and Margita Danková

    Clausole abusive — articolo 4, paragrafo 2, e articolo 5 — Obbligo di redigere le clausole in modo chiaro e comprensibile — articolo 7 — Adizione delle autorità giudiziarie da parte di persone o organizzazioni aventi un legittimo interesse a tutelare i consumatori dall’uso di clausole abusive — Normativa nazionale che subordina la facoltà d’intervento in giudizio di un’associazione per la difesa del consumatore al consenso del consumatore — Credito al consumo — Direttiva 87/102/CEE — articolo 4, paragrafo 2 — Obbligo di indicare il tasso annuale effettivo globale nel contratto scritto — Contratto contenente soltanto un’equazione matematica di calcolo del tasso annuale effettivo globale priva degli elementi necessari per effettuare tale calcolo

    3.3.

    Obblighi di trasparenza

    5.1.

    L’importanza degli articoli 6, paragrafo 1, e 7, paragrafo 1, della direttiva nonché dei principi di equivalenza ed effettività in generale

    5.3.

    Obblighi derivanti dal principio di equivalenza

    5.4.

    Valutazione d’ufficio ed effettività dei ricorsi

    5.7.

    Controllo d’ufficio delle clausole abusive nei contratti e procedure stragiudiziali

    6.

    Provvedimenti inibitori nell’interesse collettivo dei consumatori (articolo 7, paragrafi 2 e 3, della direttiva)

    C-483/16 — Sziber/ERSTE Bank Hungary Zrt

    Articolo 7, paragrafo 1 — Contratti di mutuo denominati in valuta estera — Normativa nazionale che prevede requisiti procedurali specifici per contestare il carattere abusivo — Principio di equivalenza — Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea — articolo 47 — Diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva

    4.4.

    Restituzione dei vantaggi ottenuti tramite clausole abusive nei contratti

    5.5.

    Le implicazioni del controllo d’ufficio

    C-632/17 — Powszechna Kasa Oszczędności (PKO) Bank Polski SA w Warszawie/Jacek Michalski

    Articolo 99 del regolamento di procedura della Corte — Tutela dei consumatori — Direttiva 93/13/CEE — Clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori — Direttiva 2008/48/CE — Procedimento di ingiunzione di pagamento fondato su un estratto di libri bancari — Impossibilità per il giudice, in assenza del ricorso del consumatore, di valutare l’eventuale carattere abusivo delle clausole contrattuali

    2.2.

    Altre disposizioni del diritto nazionale

    5.1.

    L’importanza degli articoli 6, paragrafo 1, e 7, paragrafo 1, della direttiva nonché dei principi di equivalenza ed effettività in generale

    5.4.

    Valutazione d’ufficio ed effettività dei ricorsi

    5.5.

    Le implicazioni del controllo d’ufficio

    2019

    Cause riunite C-70/17 e C-179/17 — Abanca Corporación Bancaria SA/Alberto García Salamanca Santos e Bankia SA/Alfonso Antonio Lau Mendoza e Verónica Yuliana Rodríguez Ramírez

    Articoli 6 e 7 — Clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori — Clausola di scadenza anticipata di un contratto di mutuo ipotecario — Dichiarazione del carattere parzialmente abusivo della clausola — Poteri del giudice nazionale in presenza di una clausola qualificata come «abusiva» — Sostituzione della clausola abusiva con una disposizione di diritto nazionale

    3.4.

    Valutazione del carattere abusivo ai sensi degli articoli 3 e 4, paragrafo 1, della direttiva

    4.3.

    Conseguenze del carattere abusivo delle clausole contrattuali per i diritti e gli obblighi delle parti

    5.5.

    Le implicazioni del controllo d’ufficio

    C-118/17 — Dunai/ERSTE Bank Hungary Zrt

    Articolo 1, paragrafo 2 — articolo 6, paragrafo 1 — Contratto di mutuo denominato in valuta estera — Divario nel cambio — Sostituzione di una disposizione legislativa a una clausola abusiva dichiarata nulla — Rischio di cambio — Persistenza del contratto in seguito alla soppressione della clausola abusiva — Sistema nazionale di interpretazione uniforme del diritto

    1.2.

    L’ambito di applicazione della direttiva

    2.2.

    Altre disposizioni del diritto nazionale

    3.2.

    Clausole contrattuali relative all’oggetto principale del contratto o al prezzo e alla remunerazione (articolo 4, paragrafo 2, della direttiva)

    3.3.

    Obblighi di trasparenza

    3.4.

    Valutazione del carattere abusivo ai sensi degli articoli 3 e 4, paragrafo 1, della direttiva

    4.3.

    Conseguenze del carattere abusivo delle clausole contrattuali per i diritti e gli obblighi delle parti

    5.2.

    Il principio del controllo d’ufficio delle clausole abusive nei contratti

    5.6.

    Implicazioni del controllo d’ufficio, dell’effettività e dell’equivalenza per le norme di procedura nazionali

    C-266/18 — Aqua Med sp.z.o.o.

    Articolo 1, paragrafo 2 — Ambito di applicazione della direttiva — Clausola che attribuisce la competenza territoriale al giudice determinato in applicazione delle regole generali — articolo 6, paragrafo 1 — Esame d’ufficio del carattere abusivo — articolo 7, paragrafo 1 — Obblighi e poteri del giudice nazionale

    1.2.

    L’ambito di applicazione della direttiva

    3.4.

    Valutazione del carattere abusivo ai sensi degli articoli 3 e 4, paragrafo 1, della direttiva

    5.4.

    Valutazione d’ufficio ed effettività dei ricorsi

    C-590/17 — Pouvin e Dijoux

    Ambito di applicazione — articolo 2, lettere b) e c) — Nozioni di «consumatore» e di «professionista» — Finanziamento dell’acquisto di un’abitazione principale — Mutuo immobiliare concesso da un datore di lavoro al suo dipendente e al coniuge di quest’ultimo, co-mutuatario in solido

    1.2.

    L’ambito di applicazione della direttiva

    Cause pendenti al 31 maggio 2019

    C-125/18 — Gómez del Moral Guasch

    Articolo 1, paragrafo 2 — articolo 4, paragrafo 2 — articolo 6, paragrafo 1 — articolo 7, paragrafo 1 — articolo 8

    1.2.

    L’ambito di applicazione della direttiva

    3.3.

    Obblighi di trasparenza

    C-260/18 — Dziubak

    Articolo 1, paragrafo 2 — articolo 6, paragrafo 1

    4.3.

    Conseguenze del carattere abusivo delle clausole contrattuali per i diritti e gli obblighi delle parti

    C-272/18 — Verein für Konsumenteninformation

    Riguardante i contratti fiduciari stipulati tra un socio amministratore e altri accomandanti in una società in accomandita di diritto tedesco

    1.2.

    L’ambito di applicazione della direttiva

    C-452/18 — Ibercaja Banco

    Allegato, lettera q) — articolo 3 — articolo 4, paragrafo 2 — articolo 6

    1.2.

    L’ambito di applicazione della direttiva

    4.2.

    L’effetto giuridico del «carattere non vincolante per il consumatore»

    Cause riunite C-453/18 e C-494/18 — Bondora

    Articolo 6, paragrafo 1 — articolo 7, paragrafo 1

    5.1.

    L’importanza degli articoli 6, paragrafo 1, e 7, paragrafo 1, della direttiva nonché dei principi di equivalenza ed effettività in generale

    Cause riunite C-698/18 — Raiffeisen Bank SA e C-699/18 — BRD Groupe Societe Generale SA

    Articolo 2, lettera b) — articolo 6, paragrafo 1 — articolo 7, paragrafo 2 — articolo 8 — Considerando 12, 21 e 23

    5.4.

    Valutazione d’ufficio ed effettività dei ricorsi

    C-779/18 — Mikrokasa e Revenue Niestandaryzowany Sekurytyzacyjny Fundusz Inwestycyjny Zamknięty w Warszawie

    Articolo 1, paragrafo 2

    1.2.

    L’ambito di applicazione della direttiva

    C-829/18 — Crédit Logement

    Articolo 1, paragrafo 2 — articolo 3, paragrafo 1 — articolo 4 — articolo 5 — articolo 6, paragrafo 1 — articolo 7, paragrafo 1 — punto 1, lettera i) dell’allegato

    3.3.

    Obblighi di trasparenza

    C-81/19 — Banca Transilvania

    Articolo 1, paragrafo 2 — articolo 3, paragrafo 1 — articolo 4 — articolo 5 — articolo 6, paragrafo 1 — articolo 7, paragrafo 1 — punto 1, lettera i) dell’allegato

    1.2.

    L’ambito di applicazione della direttiva

    C-84/19 — Profi Credit Polska

    Articolo 1, paragrafo 2 — articolo 3, paragrafo 1 — articolo 4, paragrafo 2 — Direttiva 2008/48/CE

    3.2.

    Clausole contrattuali relative all’oggetto principale del contratto o al prezzo e alla remunerazione (articolo 4, paragrafo 2, della direttiva)


    ALLEGATO II

    Tabella riassuntiva delle notifiche previste all’articolo 8 bis della direttiva (1)

    La presente tabella riproduce le informazioni che gli Stati membri hanno notificato alla Commissione ai sensi dell’articolo 8 bis della direttiva 93/13/CEE (direttiva). Essa non rappresenta un quadro completo delle misure di recepimento nazionali della direttiva 93/13/CEE e fornisce una semplice indicazione di massima di alcune particolarità delle relative legislazioni nazionali. Ad esempio, a seconda della precisa formulazione delle relative disposizioni nazionali, una «lista grigia» può avere diverse implicazioni giuridiche.

    Le presenti informazioni sono accessibili anche sul seguente sito web, che sarà aggiornato regolarmente:

    https://ec.europa.eu/info/notifications-under-article-8a-directive-93-13-eec_en

    BELGIO

    Il diritto nazionale prevede un elenco di clausole contrattuali standardizzate considerate abusive in tutte le circostanze (lista nera).

    BULGARIA

    Il diritto nazionale prevede un elenco di clausole contrattuali standardizzate considerate abusive in tutte le circostanze (lista nera).

    CECHIA

    Il diritto nazionale contempla anche il carattere abusivo delle clausole contrattuali che siano state oggetto di negoziato individuale e prevede un elenco di clausole contrattuali considerate abusive in tutte le circostanze (lista nera).

    DANIMARCA

    Il diritto nazionale non va oltre lo standard minimo della direttiva.

    GERMANIA

    Il diritto nazionale prevede due liste nere di clausole contrattuali standardizzate considerate abusive.

    ESTONIA

    Il diritto nazionale prevede un elenco di clausole contrattuali standardizzate considerate abusive in tutte le circostanze (ovvero una lista nera).

    IRLANDA

    Il diritto nazionale non va oltre lo standard minimo della direttiva.

    GRECIA

    Il diritto nazionale prevede un elenco di clausole contrattuali standardizzate considerate abusive in tutte le circostanze (lista nera).

    SPAGNA

    Il diritto nazionale ha esteso l’ambito di applicazione della valutazione del carattere abusivo alle clausole contrattuali relative alla definizione dell’oggetto principale del contratto e alla perequazione del prezzo o della remunerazione, indipendentemente dal fatto che tali clausole siano redatte in modo chiaro e comprensibile.

    Il diritto nazionale prevede anche elenchi di clausole considerate abusive in tutte le circostanze (liste nere).

    FRANCIA

    Il diritto nazionale contempla anche il carattere abusivo delle clausole contrattuali che siano state oggetto di negoziato individuale e prevede un elenco di clausole considerate abusive in tutte le circostanze (lista nera) e un elenco di clausole contrattuali considerate abusive fino a prova contraria (una sorta di lista grigia).

    CROAZIA

    Il diritto nazionale non va oltre lo standard minimo della direttiva.

    ITALIA

    Il diritto nazionale prevede un elenco di clausole contrattuali considerate abusive in tutte le circostanze (lista nera), anche laddove esse siano state oggetto di negoziato individuale, e un elenco di clausole contrattuali che, in assenza di prova contraria, sono considerate abusive (una sorta di lista grigia). L’elenco è stato esteso rispetto all’allegato della direttiva.

    CIPRO

    Il diritto nazionale non va oltre lo standard minimo della direttiva.

    LETTONIA

    Il diritto nazionale non va oltre lo standard minimo della direttiva.

    LITUANIA

    Il diritto nazionale non prevede disposizioni che vanno oltre lo standard minimo della direttiva.

    LUSSEMBURGO

    Il diritto nazionale ha esteso l’ambito di applicazione della valutazione del carattere abusivo alle clausole contrattuali che siano state oggetto di negoziato individuale e all’oggetto principale del contratto.

    Il diritto nazionale prevede una lista nera di clausole contrattuali considerate abusive in tutte le circostanze (lista nera), che è stata estesa rispetto alla direttiva.

    UNGHERIA

    Il diritto nazionale prevede un elenco di clausole contrattuali considerate abusive in tutte le circostanze (lista nera) e un elenco di clausole contrattuali considerate abusive fino a prova contraria (una sorta di lista grigia).

    MALTA

    Il diritto nazionale ha esteso l’ambito di applicazione della valutazione del carattere abusivo alle clausole contrattuali che siano state oggetto di negoziato individuale e alla perequazione del prezzo o della remunerazione, indipendentemente dal fatto che tali clausole siano redatte in modo chiaro e comprensibile.

    Il diritto nazionale prevede un elenco di clausole contrattuali standardizzate che potrebbero essere abusive e che contiene alcune clausole aggiuntive rispetto all’allegato della direttiva.

    PAESI BASSI

    Il diritto nazionale prevede un elenco di clausole contrattuali considerate abusive in tutte le circostanze (lista nera) e un elenco di clausole contrattuali che potrebbero essere considerate abusive (una sorta di lista grigia). L’elenco è stato esteso rispetto alla direttiva.

    AUSTRIA

    Il diritto nazionale prevede una lista nera e una lista grigia delle clausole contrattuali standardizzate considerate abusive ed estende parzialmente la valutazione del carattere abusivo alle clausole contrattuali che siano state oggetto di negoziato individuale.

    POLONIA

    Il diritto nazionale prevede un elenco di clausole che sono considerate abusive in caso di dubbio (una sorta di lista grigia) e che va oltre l’allegato della direttiva.

    PORTOGALLO

    Il diritto nazionale ha esteso l’ambito di applicazione della valutazione del carattere abusivo alle clausole contrattuali relative alla definizione dell’oggetto principale del contratto e alla perequazione del prezzo o della remunerazione, indipendentemente dal fatto che tali clausole siano redatte in modo chiaro e comprensibile.

    Il diritto nazionale prevede un elenco di clausole contrattuali standardizzate che sono rigorosamente vietate (ossia una lista nera) e un elenco di clausole contrattuali che sono vietate in determinate circostanze (una sorta di lista grigia).

    ROMANIA

    Il diritto nazionale prevede un elenco indicativo di clausole considerate abusive, che è stato esteso rispetto all’allegato della direttiva.

    SLOVENIA

    Il diritto nazionale estende la valutazione del carattere abusivo alle clausole contrattuali relative all’oggetto principale del contratto e alla perequazione del prezzo o della remunerazione, indipendentemente dal fatto che tali clausole siano redatte in modo chiaro e comprensibile.

    SLOVACCHIA

    Il diritto nazionale prevede una lista nera delle clausole contrattuali considerate abusive in tutte le circostanze.

    FINLANDIA

    Il diritto nazionale ha esteso l’ambito di applicazione della valutazione del carattere abusivo alle clausole contrattuali che siano state oggetto di negoziato individuale e alla perequazione del prezzo o della remunerazione, indipendentemente dal fatto che tali clausole siano redatte in modo chiaro e comprensibile.

    SVEZIA

    Il diritto nazionale estende la valutazione del carattere abusivo alle clausole contrattuali relative alla definizione dell’oggetto principale del contratto e alla perequazione del prezzo o della remunerazione, indipendentemente dal fatto che tali clausole siano redatte in modo chiaro e comprensibile, nonché alle clausole contrattuali che siano state oggetto di negoziato individuale.

    REGNO UNITO

    Il diritto nazionale non va oltre lo standard minimo della direttiva. Tuttavia l’elenco indicativo è stato esteso rispetto all’allegato della direttiva.


    (1)  Status al 31 maggio 2019.


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