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Document 62004CJ0293

Sentenza della Corte (Seconda Sezione) del 9 marzo 2006.
Beemsterboer Coldstore Services BV contro Inspecteur der Belastingdienst - Douanedistrict Arnhem.
Domanda di pronuncia pregiudiziale: Gerechtshof te Amsterdam - Paesi Bassi.
Recupero a posteriori di dazi all'importazione o all'esportazione - Art. 220, n. 2, lett. b), del regolamento (CEE) n. 2913/92 - Applicazione nel tempo - Sistema di cooperazione amministrativa che coinvolge le autorità di un paese terzo - Nozione di "certificato inesatto" - Onere della prova.
Causa C-293/04.

Raccolta della Giurisprudenza 2006 I-02263

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2006:162

Causa C-293/04

Beemsterboer Coldstore Services BV

contro

Inspecteur der Belastingdienst – Douanedistrict Arnhem

(domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Gerechtshof te Amsterdam)

«Recupero a posteriori di dazi all’importazione o all’esportazione — Art. 220, n. 2, lett. b), del regolamento (CEE) n. 2913/92 — Applicazione nel tempo — Sistema di cooperazione amministrativa che coinvolge le autorità di un paese terzo — Nozione di “certificato inesatto” — Onere della prova»

Conclusioni dell’avvocato generale J. Kokott, presentate l’8 settembre 2005 

Sentenza della Corte (Seconda Sezione) 9 marzo 2006 

Massime della sentenza

1.     Risorse proprie delle Comunità europee — Recupero a posteriori dei dazi all’importazione o all’esportazione

[Regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio n. 2700/2000; regolamento (CE) del Consiglio n. 2913/92, art. 220, n. 2, lett. b)]

2.     Origine delle merci — Regimi tariffari preferenziali

[Regolamento del Consiglio n. 2913/92, art. 220, n. 2, lett. b)]

3.     Risorse proprie delle Comunità europee — Recupero a posteriori dei dazi all’importazione o all’esportazione

[Regolamento del Consiglio n. 2913/92, art. 220, n. 2, lett. b)]

1.     L’art. 220, n. 2, lett. b), del regolamento n. 2913/92, che istituisce un codice doganale comunitario, nella versione introdotta dal regolamento n. 2700/2000, si applica ad un’obbligazione doganale che sia sorta e della quale sia stato avviato il recupero a posteriori prima dell’entrata in vigore del regolamento n. 2700/2000.

La disposizione di cui trattasi, che disciplina le condizioni alle quali un debitore viene esonerato dalla riscossione a posteriori dei dazi all’importazione a seguito di un errore delle autorità doganali, detta una norma sostanziale e non dovrebbe applicarsi, in linea di principio, a situazioni maturate anteriormente alla sua entrata in vigore. Tuttavia, le norme comunitarie di diritto sostanziale possono eccezionalmente essere interpretate come applicabili a situazioni maturate anteriormente alla loro entrata in vigore qualora dalla loro formulazione, dalla loro finalità o dalla loro economia complessiva risulti chiaramente che dev’essere loro attribuita tale efficacia.

A tal riguardo, dall’undicesimo ‘considerando’ del regolamento n. 2700/2000 risulta che la modifica dell’art. 220, n. 2, lett. b), del codice doganale mirava a esplicitare le nozioni di errore delle autorità doganale e di buona fede del debitore, nozioni già contenute nella versione originaria del detto articolo. Pertanto, il nuovo testo dell’art. 200, n. 2, lett. b), del codice doganale presenta carattere essenzialmente interpretativo.

Inoltre, né il principio della certezza del diritto né il principio del legittimo affidamento ostano all’applicazione della disposizione in questione a situazioni maturate anteriormente alla sua entrata in vigore.

(v. punti 20-23, 26-27, dispositivo 1)

2.     Qualora, a seguito di un controllo a posteriori, l’origine delle merci risultante da un certificato di circolazione delle merci EUR.1 non possa più essere confermata, tale certificato dev’essere considerato come un «certificato inesatto» ai sensi dell’art. 220, n. 2, lett. b), del regolamento n. 2913/92, che istituisce il codice doganale comunitario, come modificato dal regolamento n. 2700/2000.

Infatti, qualora un controllo a posteriori non consenta di confermare l’origine della merce indicata nel certificato EUR.1, si deve ritenere che essa sia di origine ignota e che, di conseguenza, il certificato EUR.1 e la tariffa preferenziale siano stati concessi indebitamente.

(v. punti 34-35, dispositivo 2)

3.     L’art. 220, n. 2, lett. b), del regolamento n. 2913/92, che istituisce il codice doganale comunitario, come modificato dal regolamento n. 2700/2000, dev’essere interpretato nel senso che incombe a colui che invoca il terzo comma del detto articolo fornire le prove necessarie al successo della sua pretesa. Pertanto, in linea di principio, spetta alle autorità doganali che tendono ad avvalersi del detto art. 220, n. 2, lett. b), terzo comma, initio, per procedere al recupero a posteriori, fornire la prova che il rilascio dei certificati inesatti è imputabile all’inesatta interpretazione dei fatti da parte dell’esportatore. Tuttavia, qualora, a seguito di una negligenza imputabile soltanto all’esportatore, le autorità doganali si trovino nell’impossibilità di fornire la prova necessaria del fatto che il certificato di circolazione delle merci EUR.1 è stato rilasciato sulla base della presentazione esatta o inesatta dei fatti da parte dell’esportatore stesso, incombe al debitore dei dazi dimostrare che tale certificato rilasciato dalle autorità del paese terzo si basava su un’esatta presentazione dei fatti.

(v. punto 46, dispositivo 3)




SENTENZA DELLA CORTE (Seconda Sezione)

9 marzo 2006 (*)

«Recupero a posteriori di dazi all’importazione o all’esportazione – Art. 220, n. 2, lett. b), del regolamento (CEE) n. 2913/92 – Applicazione nel tempo – Sistema di cooperazione amministrativa che coinvolge le autorità di un paese terzo – Nozione di “certificato inesatto” – Onere della prova»

Nel procedimento C-293/04,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dal Gerechtshof te Amsterdam (Paesi Bassi) con decisione 14 giugno 2004, pervenuta in cancelleria il 9 luglio 2004, nella causa

Beemsterboer Coldstore Services BV

contro

Inspecteur der Belastingdienst – Douanedistrict Arnhem,

LA CORTE (Seconda Sezione),

composta dal sig. C. W. A. Timmermans, presidente di sezione, dai sigg. J. Makarczyk (relatore) e R. Schintgen, dalla sig.ra R. Silva de Lapuerta e dal sig. G. Arestis, giudici,

avvocato generale: sig.ra J. Kokott

cancelliere: sig. R. Grass

vista la fase scritta del procedimento,

considerate le osservazioni presentate:

–       per la Beemsterboer Coldstore Services BV, dal sig. Jan van Nouhuys, advocaat;

–       per l’Inspecteur der Belastingdienst – Douanedistrict Arnhem, dal sig. G. Wijngaard, in qualità di agente;

–       per il governo dei Paesi Bassi, dalle sig.re H.G. Sevenster e C. Wissels, in qualità di agenti;

–       per il governo italiano, dal sig. I. M. Braguglia, in qualità di agente, assistito dal sig. G. Albenzio, avvocato dello Stato;

–       per la Commissione delle Comunità europee, dal sig. X. Lewis, in qualità di agente, assistito dal sig. F. Tuytschaever, avocat,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza dell’8 settembre 2005,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1       La domanda di pronuncia pregiudiziale riguarda l’interpretazione dell’art. 220, n. 2, lett. b), del regolamento (CEE) del Consiglio 12 ottobre 1992, n. 2913, che istituisce un codice doganale comunitario (GU L 302, pag. 1; in prosieguo: il «codice doganale»), tanto nella sua versione originaria quanto in quella introdotta dal regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio 16 novembre 2000, n. 2700 (GU L 311, pag. 17).

2       Tali questioni sono state sollevate nell’ambito di una controversia tra la società di diritto olandese Beemsterboer Coldstore Services BV (in prosieguo: la «Beemsterboer») e l’Inspecteur der Belastingdienst – Douanedistrict Arnhem (in prosieguo: l’«Ispettore») in merito al recupero a posteriori di dazi all’importazione.

 Contesto normativo

 Il codice doganale

3       L’art. 220 del codice doganale, nella sua versione originaria, precisa quanto segue:

«1.      Quando l’importo dei dazi risultante da un’obbligazione doganale non sia stato contabilizzato ai sensi degli articoli 218 e 219 o sia stato contabilizzato ad un livello inferiore all’importo legalmente dovuto, la contabilizzazione dei dazi da riscuotere o che rimangono da riscuotere deve avvenire entro due giorni dalla data in cui l’autorità doganale si è resa conto della situazione in atto ed è in grado di calcolare l’importo legalmente dovuto e di determinarne il debitore (contabilizzazione a posteriori). Questo termine può essere prorogato conformemente all’articolo 219.

2.      Eccetto i casi di cui all’articolo 217, paragrafo 1, secondo e terzo comma, non si procede alla contabilizzazione a posteriori quando:

(...)

b)      l’importo dei dazi legalmente dovuto non è stato contabilizzato per un errore dell’autorità doganale, che non poteva ragionevolmente essere scoperto dal debitore avendo questi agito in buona fede e rispettato tutte le disposizioni previste dalla normativa in vigore riguardo alla dichiarazione in dogana;

(...)».

4       L’art. 220, n. 2, lett. b), del codice doganale è stato modificato a far data dal 19 dicembre 2000 dal regolamento n. 2700/2000, ed è così formulato:

«l’importo dei dazi legalmente dovuto non è stato contabilizzato per un errore dell’autorità doganale, che non poteva ragionevolmente essere scoperto dal debitore avendo questi agito in buona fede e rispettato tutte le disposizioni previste dalla normativa in vigore riguardo alla dichiarazione in dogana.

Quando la posizione preferenziale di una merce è stabilita in base ad un sistema di cooperazione amministrativa che coinvolge le autorità di un paese terzo, il rilascio da parte di queste ultime di un certificato, ove esso si riveli inesatto, costituisce, ai sensi del primo comma, un errore che non poteva ragionevolmente essere scoperto.

Il rilascio di un certificato inesatto non costituisce tuttavia un errore in tal senso se il certificato si basa su una situazione fattuale inesatta riferita dall’esportatore, salvo se, in particolare, è evidente che le autorità che hanno rilasciato il certificato erano informate o avrebbero ragionevolmente dovuto essere informate che le merci non avevano diritto al regime preferenziale.

La buona fede del debitore può essere invocata qualora questi possa dimostrare che, per la durata delle operazioni commerciali in questione, ha agito con diligenza per assicurarsi che sono state rispettate tutte le condizioni per il trattamento preferenziale.

Il debitore non può tuttavia invocare la buona fede qualora la Commissione europea abbia pubblicato nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee un avviso in cui sono segnalati fondati dubbi circa la corretta applicazione del regime preferenziale da parte del paese beneficiario».

 L’Accordo sul libero scambio e sulle questioni commerciali tra le Comunità europee e la Repubblica di Estonia

5       L’Accordo sul libero scambio e sulle questioni commerciali tra la Comunità europea, la Comunità europea dell’energia atomica e la Comunità europea del carbone e dell’acciaio, da una parte, e la Repubblica di Estonia, dall’altra, sottoscritto il 18 luglio 1994 (GU L 373, pag. 2; in prosieguo: l’«Accordo di libero scambio»), contiene un Protocollo n. 3 relativo alla definizione della nozione di «prodotti originari» e ai metodi di cooperazione amministrativa, che è stato modificato dalla decisione n. 1/97 del Comitato Misto tra le Comunità Europee e la Repubblica di Estonia del 6 marzo 1997 (GU L 111, pag. 1; in prosieguo: il «Protocollo n. 3»).

6       L’art. 16, n. 1, del Protocollo n. 3, intitolato «Requisiti di carattere generale», incluso nel titolo V, relativo alla prova dell’origine, dispone quanto segue:

«1.      I prodotti originari della Comunità importati in Estonia e i prodotti originari dell’Estonia importati nella Comunità beneficiano delle disposizioni dell’Accordo su presentazione:

a)      di un certificato di circolazione EUR.1 [in prosieguo: il “certificato EUR.1”], il cui modello figura nell’allegato III; (...)

(...)».

7       L’art. 17 del detto Protocollo, intitolato «Procedura di rilascio dei certificati di circolazione EUR.1», contiene un paragrafo 3 così formulato:

«L’esportatore che richiede il rilascio di un certificato (...) EUR.1 deve essere pronto a presentare in qualsiasi momento, su richiesta delle autorità doganali del paese di esportazione in cui viene rilasciato il certificato (...) EUR.1, tutti i documenti atti a comprovare il carattere originario dei prodotti in questione e l’adempimento degli altri obblighi di cui al presente protocollo».

8       L’art. 28, n. 1, del medesimo Protocollo, intitolato «Conservazione delle prove dell’origine e dei documenti giustificativi», dispone quanto segue:

«L’esportatore che richiede il rilascio di un certificato di circolazione EUR.1 deve conservare per almeno tre anni i documenti di cui all’articolo 17, paragrafo 3».

9       L’art. 32 del Protocollo n. 3, intitolato «Controllo delle prove dell’origine», così stabilisce:

«1.      Il controllo a posteriori delle prove dell’origine è effettuato per sondaggio o ogniqualvolta le autorità doganali dello Stato di importazione abbiano ragionevole motivo di dubitare dell’autenticità dei documenti, del carattere originario dei prodotti in questione o dell’osservanza degli altri requisiti del presente protocollo.

(...)

3.      Il controllo viene effettuato dalle autorità doganali del paese di esportazione. A tal fine, esse hanno la facoltà di richiedere qualsiasi prova e di procedere a qualsiasi controllo dei conti dell’esportatore nonché a tutte le altre verifiche che ritengano opportune».

 Causa principale e questioni pregiudiziali

10     Nel 1997 la Hoogwegt International BV (in prosieguo: la «Hoogwegt») ha acquistato alcuni quantitativi di burro dall’impresa estone AS Lacto Ltd (in prosieguo: la «Lacto»). Tali quantitativi sono stati dichiarati all’ingresso nei Paesi Bassi dalla Beemsterboer, spedizioniere doganale, operante per conto della Hoogwegt. L’Estonia è stata indicata come paese d’origine delle merci, le quali sono state dunque immesse in libera pratica con applicazione della tariffa preferenziale sulla base del suddetto Accordo di libero scambio. Per provare l’origine del burro, ciascuna dichiarazione doganale era accompagnata da un certificato EUR.1, rilasciato dalle autorità doganali estoni su richiesta della Lacto.

11     Nel marzo 2000, in seguito ad indicazioni relative ad una frode riguardante quantitativi di burro commercializzato tra l’Unione europea e l’Estonia, una delegazione istituita dalla Commissione delle Comunità europee, in collaborazione con le autorità doganali nazionali, ha effettuato un controllo a questo proposito.

12     Nell’ambito dell’indagine, è emerso che la Lacto non aveva conservato i documenti originari comprovanti l’origine del burro esportato.

13     Con decisione in data 14 luglio 2000, l’ispettorato delle dogane di Tallin (Estonia) ha dichiarato nulli i certificati EUR.1 e li ha revocati. A seguito di un reclamo della Lacto presso il servizio delle dogane estoni, la decisione di revoca dei detti certificati è stata giudicata illegittima per ragioni formali.

14     Non essendo stato possibile stabilire l’origine del burro, le autorità doganali olandesi hanno proceduto al recupero a posteriori nei confronti della Beemsterboer. Vistosi respinto il reclamo da essa proposto contro gli avvisi di riscossione, la Beemsterboer ha presentato un ricorso dinanzi al giudice del rinvio.

15     È in tale contesto che il Gerechtshof te Amsterdam ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali.

«1)      Se il nuovo testo dell’art. 220, n. 2, initio e lett. b), del (…) [codice doganale] possa trovare applicazione in un caso in cui la nascita dell’obbligazione doganale ed il recupero a posteriori abbiano avuto luogo prima dell’entrata in vigore della detta disposizione.

2)      In caso di soluzione affermativa della prima questione: se un certificato EUR.1 del quale sia impossibile accertare l’effettiva inesattezza, in quanto ad un controllo a posteriori l’origine delle merci per le quali il certificato è stato rilasciato non ha potuto esser confermata, mentre tali merci per questo solo motivo vengono private del trattamento preferenziale, sia un “certificato inesatto” ai sensi del nuovo testo dell’art. 220, n. 2, initio e lett. b), del (…) [codice doganale] e, ove così non fosse, se un interessato possa invocare vittoriosamente tale disposizione.

3)      In caso di soluzione affermativa della seconda questione: su chi gravi l’onere di provare che il certificato è basato su un’inesatta presentazione dei fatti da parte dell’esportatore, e/o chi debba provare che le autorità che hanno rilasciato il certificato [EUR.1] manifestamente sapevano o avrebbero dovuto sapere che le merci non potevano beneficiare di un trattamento preferenziale.

4)      In caso di soluzione negativa della prima questione: se un interessato possa vittoriosamente invocare l’art. 220, n. 2, initio e lett. b), del (…) [codice doganale] nel testo vigente sino al 19 dicembre 2000, in una fattispecie in cui non sia possibile stabilire a posteriori che le autorità doganali hanno rilasciato un certificato EUR.1 in base a motivi fondati e corretti al momento del rilascio stesso».

 Sulle questioni pregiudiziali

 Sulla prima questione

16     Con la sua prima questione il giudice del rinvio chiede alla Corte se l’art. 220, n. 2, lett. b), del codice doganale, nella versione introdotta dal regolamento n. 2700/2000, si applichi ad un’obbligazione doganale che sia sorta e della quale sia stato avviato il recupero a posteriori prima dell’entrata in vigore del detto regolamento.

17     Il governo dei Paesi Bassi, l’Ispettore e il governo italiano ritengono che tale quesito meriti risposta negativa. Dopo aver ricordato le regole relative all’applicazione nel tempo delle norme sostanziali nel diritto comunitario, il governo dei Paesi Bassi afferma che l’art. 220, n. 2, lett. b), del codice doganale è una norma sostanziale ordinaria e ne deduce che essa non può avere effetto retroattivo. Il governo italiano fa valere che il nuovo testo dell’art. 220, n. 2, lett. b), del codice doganale si applica unicamente alle obbligazioni sorte dopo il 19 dicembre 2000, data di entrata in vigore del regolamento n. 2700/2000.

18     La Commissione propone di risolvere la prima questione in senso affermativo e ricorda che, alla luce dei motivi esposti nei lavori preparatori del regolamento n. 2700/2000, le disposizioni che sono state aggiunte all’art. 220, n. 2, lett. b), del codice doganale miravano a precisare tale testo al fine di migliorare la certezza del diritto, piuttosto che a modificarlo. Secondo la Beemsterboer, la nuova versione dell’art. 220 del codice doganale costituirebbe un chiarimento di una norma esistente prima del 19 dicembre 2000 e, di conseguenza, dovrebbe essere applicata retroattivamente.

19     Occorre ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, le norme di procedura sono generalmente considerate applicabili a tutte le controversie pendenti nel momento in cui esse entrano in vigore [v. sentenze 6 luglio 1993, cause riunite C‑121/91 e C‑122/91, CT Control (Rotterdam) e JCT Benelux/Commissione, Racc. pag. I‑3873, punto 22; 7 settembre 1999, causa C‑61/98, De Haan, Racc. pag. I‑5003, punto 13; 14 novembre 2002, causa C‑251/00, Illumitrónica, Racc. pag. I 10433, punto 29, e 1° luglio 2004, cause riunite C‑361/02 e C‑362/02, Tsapalos e Diamantakis, Racc. pag. I‑6405, punto 19].

20     A questo proposito occorre constatare che l’art. 220, n. 2, lett. b), del codice doganale, disciplinando le condizioni alle quali un debitore viene esonerato dalla riscossione a posteriori dei dazi all’importazione a seguito di un errore delle autorità doganali, detta una norma sostanziale. Di conseguenza, la detta disposizione non dovrebbe applicarsi, in linea di principio, a situazioni maturate anteriormente alla sua entrata in vigore.

21     Tuttavia, le norme comunitarie di diritto sostanziale possono eccezionalmente essere interpretate come applicabili a situazioni maturate anteriormente alla loro entrata in vigore qualora dalla loro formulazione, dalla loro finalità o dalla loro economia complessiva risulti chiaramente che dev’essere loro attribuita tale efficacia (v. sentenze 12 novembre 1981, cause riunite 212/80‑217/80, Salumi e a., Racc. pag. 2735, punto 9; 15 luglio 1993, causa C-34/92, GruSa Fleisch, Racc. pag. I-4147, punto 22, e 24 settembre 2002, cause riunite C‑74/00 P e C‑75/00 P, Falck e Acciaierie di Bolzano/Commissione, Racc. pag. I‑7869, punto 119).

22     Occorre osservare come risulti dall’undicesimo ‘considerando’ del regolamento n. 2700/2000 che la modifica dell’art. 220, n. 2, lett. b), del codice doganale mirava a definire, per il particolare caso dei regimi preferenziali, le nozioni di errore delle autorità doganali e di buona fede del debitore. Pertanto, senza ricorrere ad una modifica nel merito, l’articolo suddetto ha come scopo di esplicitare le nozioni summenzionate, già contenute nella versione originaria del detto art. 220, e già precisate dalla giurisprudenza della Corte (v., segnatamente, sentenze 14 maggio 1996, cause riunite C‑153/94 e C‑204/94, Faroe Seafood e a., Racc. pag. I‑2465, punti 92 e 97; 19 ottobre 2000, causa C‑15/99, Sommer, Racc. pag. I‑8989, punti 35‑37; ordinanza 11 ottobre 2001, causa C‑30/00, Wiliam Hinton & sons, Racc. pag. I‑7511, punti 68‑73, e sentenza Illumitrónica, cit., punti 42 e 43).

23     Di conseguenza, occorre constatare che il nuovo testo dell’art. 220, n. 2, lett. b), del codice doganale presenta carattere essenzialmente interpretativo, e che esso va applicato alle situazioni maturate anteriormente alla sua entrata in vigore.

24     Tuttavia, l’effetto così riconosciuto ad una disposizione di diritto sostanziale non deve compromettere i principi fondamentali della Comunità e, in particolare, i principi della certezza del diritto e del legittimo affidamento, in forza dei quali la normativa comunitaria dev’essere chiara e prevedibile per gli amministrati (v., in tal senso, sentenze Salumi e a., cit., punto 10; 10 febbraio 1982, causa 21/81, Bout, Racc. pag. 381, punto 13; GruSa Fleisch, cit., punto 22, e 26 aprile 2005, causa C‑376/02, «Goed Wonen», Racc. pag. I-3445, punto 33).

25     A questo proposito occorre osservare, da un lato, come dall’art. 1 e dal preambolo della proposta modificata di regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica del regolamento n. 2913/92 [documento COM/99/236 def.] risulti che il nuovo testo dell’art. 220, n. 2, lett. b), del codice doganale tende a migliorare la certezza del diritto, operando una ripartizione del rischio di incertezza tra l’importatore e il sistema e precisando gli obblighi delle autorità doganali. Dall’altro lato, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 32 delle sue conclusioni, il nuovo testo rafforza la tutela dell’affidamento dell’operatore economico interessato in caso di errori delle autorità doganali in merito al regime preferenziale di merci originarie di paesi terzi.

26     Pertanto, né il principio della certezza del diritto né il principio del legittimo affidamento ostano all’applicazione della disposizione in questione a situazioni maturate anteriormente alla sua entrata in vigore.

27     Alla luce di quanto precede, occorre risolvere la questione sollevata dichiarando che l’art. 220, n. 2, lett. b), del codice doganale, nella versione introdotta dal regolamento n. 2700/2000, si applica ad un’obbligazione doganale che sia sorta e della quale sia stato avviato il recupero a posteriori prima dell’entrata in vigore del detto regolamento.

 Sulla seconda questione

28     La seconda questione si divide in due parti. Con la prima parte del quesito, il giudice del rinvio chiede in sostanza se, nel caso in cui, in seguito ad un controllo a posteriori, l’origine delle merci per le quali il certificato EUR.1 è stato rilasciato non possa più essere confermata, tale certificato costituisca un «certificato inesatto» ai sensi dell’art. 220, n. 2, lett. b), del codice doganale, nella versione introdotta dal regolamento n. 2700/2000. Con la seconda parte del suo quesito, il giudice del rinvio chiede se, in caso di soluzione negativa della parte di quesito di cui sopra, una parte interessata possa invocare vittoriosamente la detta disposizione.

29     In via preliminare, occorre ricordare che dalle disposizioni del Protocollo n. 3 risulta che i prodotti originari della Comunità o dell’Estonia beneficiano del regime preferenziale previsto dall’Accordo, dietro presentazione di un certificato EUR.1 costituente la prova di tale origine.

30     Tuttavia, ai sensi dell’art. 32 del detto Protocollo, rimane possibile procedere ad un controllo a posteriori delle prove dell’origine qualora le autorità doganali del paese di importazione abbiano ragionevole motivo di dubitare dell’autenticità dei documenti, del carattere originario dei prodotti in questione o dell’osservanza degli altri requisiti previsti dal Protocollo stesso.

31     Risulta dalla decisione di rinvio che, a seguito di un controllo a posteriori effettuato presso la Lacto, è emerso che quest’ultima non aveva conservato i documenti iniziali comprovanti l’origine dei prodotti in questione e che, sulla base dei dati disponibili, non era possibile accertare l’origine del burro esportato dalla ditta suddetta.

32     Al riguardo la Corte ha già statuito che la finalità del controllo a posteriori è di verificare l’esattezza dell’origine indicata nel certificato EUR.1, precedentemente rilasciato (sentenze 7 dicembre 1993, causa C‑12/92, Huygen e a., Racc. pag. I‑6381, punto 16, e 17 luglio 1997, causa C‑97/95, Pascoal & Filhos, Racc. pag. I‑4209, punto 30).

33     Il debitore non può nutrire un legittimo affidamento quanto alla validità dei certificati EUR.1 per il fatto che essi siano stati ritenuti inizialmente veritieri dalle autorità doganali di uno Stato membro, dato che le operazioni effettuate dai detti uffici nell’ambito dell’accettazione iniziale delle dichiarazioni non ostano affatto all’esercizio di controlli successivi (sentenza Faroe Seafood e a., cit., punto 93).

34     Pertanto, qualora un controllo a posteriori non consenta di confermare l’origine della merce indicata nel certificato EUR.1, si deve ritenere che essa sia di origine ignota e che, di conseguenza, il certificato EUR.1 e la tariffa preferenziale siano stati concessi indebitamente (sentenze Huygen e a., cit., punti 17 e 18, e Faroe Seafood e a., cit., punto 16).

35     Stanti tali premesse, occorre risolvere la prima parte del secondo quesito dichiarando che, qualora, a seguito di un controllo a posteriori, l’origine delle merci risultante da un certificato EUR.1 non possa più essere confermata, tale certificato dev’essere considerato come un «certificato inesatto» ai sensi dell’art. 220, n. 2, lett. b), del codice doganale, come modificato dal regolamento n. 2700/2000.

36     Tenuto conto della soluzione fornita alla prima parte del secondo quesito, non occorre rispondere alla seconda parte del medesimo.

 Sulla terza questione

37     Il terzo quesito riguarda l’interpretazione del terzo comma dell’art. 220, n. 2, lett. b), del codice doganale, nella versione introdotta dal regolamento n. 2700/2000.

38     In primo luogo, il giudice del rinvio desidera sapere a chi spetti dimostrare che un certificato EUR.1 è stato rilasciato sulla base di un’inesatta presentazione dei fatti da parte dell’esportatore.

39     A questo proposito occorre constatare che, conformemente alle regole tradizionali di ripartizione dell’onere della prova, spetta alle autorità doganali che intendano avvalersi dell’art. 220, n. 2, lett. b), terzo comma, initio, del codice doganale, per procedere al recupero a posteriori, fornire, a sostegno della loro pretesa, la prova che il rilascio dei certificati inesatti è imputabile all’inesatta presentazione dei fatti da parte dell’esportatore.

40     Tuttavia, dalle constatazioni effettuate dal giudice nazionale nella decisione di rinvio risulta che, nel caso di specie, le autorità doganali non avevano la possibilità di dimostrare la correttezza o meno delle informazioni fornite in vista del rilascio di un certificato EUR.1, posto che l’esportatore non aveva conservato, presso di sé, i documenti probatori, malgrado l’obbligo imposto dall’art. 28, n. 1, del Protocollo n. 3 di conservare per almeno tre anni la necessaria documentazione comprovante il carattere originario dei prodotti in questione.

41     Orbene, spetta agli operatori economici adottare, nell’ambito dei loro rapporti contrattuali, i provvedimenti necessari per premunirsi contro i rischi di un’azione di recupero a posteriori (sentenza Pascoal & Filhos, cit., punto 60).

42     Pertanto, al fine di raggiungere l’obiettivo perseguito dal controllo a posteriori, ossia la verifica dell’autenticità e dell’esattezza del certificato EUR.1, spetterà al debitore, nel caso di specie, provare che i detti certificati rilasciati dalle autorità del paese terzo erano fondati su un’esatta presentazione dei fatti.

43     Ad ogni modo, è pacifico che la Comunità non è tenuta a sopportare le conseguenze pregiudizievoli dei comportamenti scorretti dei fornitori degli importatori (sentenza Pascoal & Filhos, cit., punto 59).

44     In secondo luogo, il giudice del rinvio desidera sapere a chi spetti provare che le autorità doganali che hanno rilasciato il certificato EUR.1 sapevano manifestamente o avrebbero dovuto sapere che le merci non soddisfacevano i requisiti necessari per beneficiare del trattamento preferenziale.

45     A questo proposito è sufficiente constatare come spetti a colui che invochi un’eccezione ai sensi dell’ultima parte del terzo comma dell’art. 220, n. 2, lett. b), del codice doganale sopportare l’onere della prova del fatto che era evidente che le autorità di rilascio del detto certificato sapevano o avrebbero dovuto sapere che le merci non soddisfacevano i requisiti necessari per beneficiare del trattamento preferenziale.

46     Alla luce di quanto precede, occorre risolvere la terza questione dichiarando che incombe a colui che invochi il terzo comma dell’art. 220, n. 2, lett. b), del codice doganale, come modificato dal regolamento n. 2700/2000, fornire le prove necessarie al successo della sua pretesa. Pertanto, in linea di principio, spetta alle autorità doganali che intendano avvalersi del detto art. 220, n. 2, lett. b), terzo comma, initio, per procedere al recupero a posteriori, fornire la prova che il rilascio dei certificati inesatti è imputabile all’inesatta presentazione dei fatti da parte dell’esportatore. Tuttavia, qualora, a seguito di una negligenza imputabile soltanto all’esportatore, le autorità doganali si trovino nell’impossibilità di fornire la prova necessaria del fatto che il certificato EUR.1 è stato rilasciato sulla base della presentazione esatta o inesatta dei fatti da parte dell’esportatore stesso, incombe al debitore dei dazi dimostrare che tale certificato rilasciato dalle autorità del paese terzo si basava su un’esatta presentazione dei fatti.

 Sulla quarta questione

47     Alla luce della soluzione fornita alla prima questione, non occorre risolvere la quarta questione.

 Sulle spese

48     Nei confronti delle parti della causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Seconda Sezione) dichiara:

1)      L’art. 220, n. 2, lett. b), del regolamento (CEE) del Consiglio 12 ottobre 1992, n. 2913, che istituisce un codice doganale comunitario, come modificato dal regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio 16 novembre 2000, n. 2700, si applica ad un’obbligazione doganale che sia sorta e della quale sia stato avviato il recupero a posteriori prima dell’entrata in vigore del detto regolamento.

2)      Qualora, a seguito di un controllo a posteriori, l’origine delle merci risultante da un certificato di circolazione delle merci EUR.1 non possa più essere confermata, tale certificato dev’essere considerato come un «certificato inesatto» ai sensi dell’art. 220, n. 2, lett. b), del regolamento n. 2913/92, come modificato dal regolamento n. 2700/2000.

3)      Incombe a colui che invochi il terzo comma dell’art. 220, n. 2, lett. b), del regolamento n. 2913/92, come modificato dal regolamento n. 2700/2000, fornire le prove necessarie al successo della sua pretesa. Pertanto, in linea di principio, spetta alle autorità doganali che intendano avvalersi del detto art. 220, n. 2, lett. b), terzo comma, initio, per procedere al recupero a posteriori, fornire la prova che il rilascio dei certificati inesatti è imputabile all’inesatta presentazione dei fatti da parte dell’esportatore. Tuttavia, qualora, a seguito di una negligenza imputabile soltanto all’esportatore, le autorità doganali si trovino nell’impossibilità di fornire la prova necessaria del fatto che il certificato di circolazione delle merci EUR.1 è stato rilasciato sulla base della presentazione esatta o inesatta dei fatti da parte dell’esportatore stesso, incombe al debitore dei dazi dimostrare che tale certificato rilasciato dalle autorità del paese terzo si basava su un’esatta presentazione dei fatti.

Firme


* Lingua processuale: l'olandese.

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