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Document 62004CJ0154

Sentenza della Corte (grande sezione) del 12 luglio 2005.
The Queen, ex parte Alliance for Natural Health e Nutri-Link Ltd contro Secretary of State for Health (C-154/04) e The Queen, ex parte National Association of Health Stores e Health Food Manufacturers Ltd contro Secretary of State for Health e National Assembly for Wales (C-155/04).
Domanda di pronuncia pregiudiziale: High Court of Justice (England and Wales), Queen's Bench Division (Administrative Court) - Regno Unito.
Ravvicinamento delle legislazioni - Integratori alimentari - Direttiva 2002/46/CE - Divieto di commercializzazione di prodotti non conformi alla direttiva - Validità - Fondamento normativo - Art. 95 CE- Artt. 28 CE e 30 CE - Regolamento (CE) n. 3285/94 - Principi di sussidiarietà, di proporzionalità e di parità di trattamento - Diritto alla proprietà - Libertà di svolgere un'attività economica - Obbligo di motivazione.
Cause riunite C-154/04 e C-155/04.

Raccolta della Giurisprudenza 2005 I-06451

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2005:449

Cause riunite C-154/04 e C-155/04

The Queen, ex parte: Alliance for Natural Health e altri

contro

Secretary of State for Health e National Assembly for Wales

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla High Court of Justice (England & Wales), Queen’s Bench Division (Administrative Court)]

«Ravvicinamento delle legislazioni — Integratori alimentari — Direttiva 2002/46/CE — Divieto di commercializzazione di prodotti non conformi alla direttiva — Validità — Fondamento normativo — Art. 95 CE — Artt. 28 CE e 30 CE — Regolamento (CE) n. 3285/94 — Principi di sussidiarietà, di proporzionalità e di parità di trattamento — Diritto di proprietà — Libertà di svolgere un’attività economica — Obbligo di motivazione»

Conclusioni dell’avvocato generale L.A. Geelhoed, presentate il 5 aprile 2005 

Sentenza della Corte (Grande Sezione) 12 luglio 2005 

Massime della sentenza

1.     Ravvicinamento delle legislazioni — Integratori alimentari — Direttiva 2002/46 — Divieto di commercializzare integratori alimentari contenenti determinate vitamine o determinati minerali — Misura destinata a migliorare il funzionamento del mercato interno — Fondamento normativo — Art. 95 CE — Necessità di rispettare un elevato livello di protezione della salute delle persone

[Art. 95 CE; direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2002/46/CE, artt. 3, 4, n. 1, e 15, secondo comma, lett. b), e allegati I e II]

2.     Libera circolazione delle merci — Restrizioni quantitative — Misure d’effetto equivalente — Divieto, derivante da una misura comunitaria, di commercializzare integratori alimentari contenenti determinate vitamine o determinati minerali — Inammissibilità — Giustificazione — Protezione della salute — Presupposti

[Artt. 28 CE e 30 CE; direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2002/46, artt. 3, 4, n. 1, e 15, secondo comma, lett. b), e allegati I e II]

3.     Politica commerciale comune — Normativa comunitaria — Regolamento n. 3285/94 — Finalità — Liberalizzazione delle importazioni di prodotti provenienti da Stati terzi — Influenza sulle condizioni per l’immissione sul mercato di tali prodotti — Insussistenza — Conseguenza

[Regolamento (CE) del Consiglio n. 3285/94]

4.     Ravvicinamento delle legislazioni — Integratori alimentari — Direttiva 2002/46 — Misure di armonizzazione — Divieto di commercializzare integratori alimentari contenenti determinate vitamine o determinati minerali — Violazione del principio di sussidiarietà — Insussistenza

[Artt. 5, secondo comma, CE e 95, n. 3, CE; direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2002/46, artt. 3, 4, n. 1, e 15, secondo comma, lett. a) e b)]

5.     Ravvicinamento delle legislazioni — Integratori alimentari — Direttiva 2002/46 — Misure di armonizzazione — Divieto di commercializzare integratori alimentari contenenti determinate vitamine o determinati minerali — Violazione del principio della parità di trattamento — Insussistenza

[Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2002/46, undicesimo ‘considerando’, artt. 3, 4, n. 1, e 15, secondo comma, lett. b), e allegato II]

6.     Ravvicinamento delle legislazioni — Integratori alimentari — Direttiva 2002/46 — Misure di armonizzazione — Divieto di commercializzare integratori alimentari contenenti determinate vitamine o determinati minerali — Mancato rispetto della vita privata e familiare del consumatore — Insussistenza

[Art. 6, n. 2, UE; direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2002/46, artt. 3, 4, n. 1, e 15, secondo comma, lett. b)]

7.     Diritto comunitario — Principi — Diritti fondamentali — Diritto di proprietà — Libero esercizio delle attività economiche — Restrizioni — Divieto, derivante da una misura comunitaria, di commercializzare integratori alimentari contenenti determinate vitamine o determinati minerali — Lesione del diritto di proprietà — Insussistenza — Pregiudizo per il libero esercizio dell’attività economica dei fabbricanti di questi prodotti — Ammissibilità — Restrizione giustificata dall’interesse generale — Violazione del principio di proporzionalità — Insussistenza

[Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2002/46, artt. 3, 4, n. 1, e 15, secondo comma, lett. b)]

1.     Qualora sussistano ostacoli agli scambi, ovvero risulti probabile l’insorgere di tali ostacoli in futuro, per il fatto che gli Stati membri hanno assunto o stanno per assumere, riguardo a un prodotto o a una categoria di prodotti, provvedimenti divergenti tali da garantire un diverso livello di protezione e da ostacolare, perciò, la libera circolazione dei prodotti in questione all’interno della Comunità, l’art. 95 CE consente al legislatore comunitario di intervenire, emanando le misure appropriate.

L’art. 95 CE costituisce quindi l’unico fondamento normativo adatto per l’adozione delle disposizioni di cui agli artt. 3, 4, n. 1, e 15, secondo comma, lett. b), della direttiva 2002/46 riguardante gli integratori alimentari, considerata l’eterogeneità delle disposizioni nazionali cui erano assoggettati gli integratori alimentari prima dell’adozione della stessa direttiva e il rischio inerente di ostacoli alla libera circolazione e quindi di dirette ripercussioni sul funzionamento del mercato interno in questo settore.

Tali disposizioni devono tuttavia rispettare tanto l’art. 95, n. 3, CE, che esige espressamente che nell’attuazione dell’armonizzazione sia garantito un livello elevato di protezione della salute delle persone, quanto i principi giuridici menzionati nel Trattato o ricavati dalla giurisprudenza, in particolare il principio di proporzionalità. Inoltre, il fatto che siano intervenute considerazioni relative alla salute umana per decidere sul divieto, derivante dal combinato disposto delle disposizioni di cui agli artt. 3, 4, n. 1, e 15, secondo comma, lett. b), della direttiva 2002/46, di commercializzare integratori alimentari contenenti vitamine, minerali o sostanze vitaminiche o minerali che non compaiono negli elenchi allegati a tale direttiva non è tale da inficiare l’analisi che precede.

(v. punti 31-32, 35, 40, 42)

2.     Il combinato disposto degli artt. 3, 4, n. 1, e 15, secondo comma, lett. b), della direttiva 2002/46, riguardante gli integratori alimentari, costituisce una restrizione alla libera circolazione delle merci tra gli Stati membri ai sensi dell’art. 28 CE. Infatti, vietando la commercializzazione nella Comunità degli integratori alimentari contenenti vitamine, minerali o sostanze vitaminiche o minerali che non compaiono negli elenchi allegati a tale direttiva, tali disposizioni sono atte a restringere la libera circolazione degli integratori alimentari all’interno della Comunità. Una misura di questo tipo, motivata da considerazioni legate alla protezione della salute umana può essere tuttavia giustificata, in applicazione dell’art. 30 CE, purché sia necessaria e proporzionata rispetto all’obiettivo perseguito.

Per soddisfare il requisito della proporzionalità, un divieto di commercializzare prodotti contenenti sostanze che non compaiono in determinati elenchi dei componenti consentiti, definiti nella legislazione applicabile, deve essere corredato di una procedura, destinata a permettere l’iscrizione di una data sostanza nei detti elenchi, che sia conforme ai principi generali del diritto comunitario e, in particolare, ai principi di buona amministrazione e di certezza del diritto. Tale procedura deve essere accessibile, nel senso che deve essere espressamente menzionata in un atto di portata generale che vincoli le autorità interessate e deve potersi concludere in termini ragionevoli. Una domanda mirante ad ottenere l’iscrizione di una sostanza nell’elenco delle sostanze autorizzate può essere respinta dalle autorità competenti soltanto sulla base di una valutazione approfondita del rischio che il suo utilizzo rappresenta per la salute delle persone, valutazione basata sui più affidabili dati scientifici disponibili e sui risultati più recenti della ricerca internazionale. Se la procedura sfocia in una decisione di diniego, questa deve poter formare oggetto di un ricorso esperibile in via giurisdizionale.

Soddisfa tali requisiti la procedura contemplata all’art. 4, n. 5, della direttiva 2002/46, che consente l’iscrizione di una vitamina, di un minerale o di una sostanza vitaminica o minerale negli elenchi menzionati.

(v. punti 48-51, 72-74, 89)

3.     Il regolamento n. 3285/94, relativo al regime comune applicabile alle importazioni e che abroga il regolamento n. 518/94, ha per obiettivo la liberalizzazione delle importazioni di prodotti provenienti da Stati terzi. Per contro, esso non ha lo scopo di liberalizzare l’immissione sul mercato di tali prodotti, la quale costituisce una fase successiva all’importazione. Ne consegue che tale regolamento è irrilevante al fine di valutare la legittimità di misure comunitarie intese a vietare l’immissione sul mercato comunitario di prodotti importati da Stati terzi che non soddisfino le condizioni stabilite per tale immissione sul mercato per ragioni attinenti alla protezione della salute umana.

(v. punti 95-96)

4.     Non violano il principio di sussidiarietà, enunciato all’art. 5, secondo comma, CE, le disposizioni di cui agli artt. 3, 4, n. 1, e 15, secondo comma, lett. b), della direttiva 2002/46, riguardante gli integratori alimentari.

Infatti, il divieto, derivante da queste disposizioni, di commercializzare integratori alimentari non conformi alla direttiva 2002/46, completato dall’obbligo che incombe agli Stati membri, in conformità dell’art. 15, secondo comma, lett. a), della direttiva, di autorizzare il commercio degli integratori alimentari conformi a quest’ultima, ha lo scopo di eliminare gli ostacoli derivanti dalle divergenze tra le norme nazionali relative alle vitamine, ai minerali ed alle sostanze vitaminiche o minerali autorizzate o vietate nella fabbricazione degli integratori alimentari, garantendo nel contempo, in conformità dell’art. 95, n. 3, CE, un elevato livello di protezione della salute delle persone. Lasciare agli Stati membri il compito di disciplinare il commercio degli integratori alimentari non conformi alla direttiva 2002/46 provocherebbe il perpetuarsi dello sviluppo divergente delle normative nazionali e, pertanto, degli ostacoli agli scambi tra Stati membri e delle distorsioni della concorrenza relative a questi prodotti. Inoltre, l’obiettivo al quale contribuiscono le disposizioni di cui agli artt. 3, 4, n. 1, e 15, secondo comma, lett. b), della direttiva di cui trattasi non poteva essere realizzato in modo soddisfacente attraverso un’azione intrapresa al livello dei soli Stati membri e presupponeva un’azione a livello comunitario.

(v. punti 105-108)

5.     Non violano il principio di parità di trattamento le disposizioni di cui agli artt. 3, 4, n. 1, e 15, secondo comma, lett. b), della direttiva 2002/46, riguardante gli integratori alimentari.

Infatti, il divieto, derivante da queste disposizioni, di commercializzare integratori alimentari contenenti sostanze vitaminiche o minerali che non compaiono nell’elenco dei componenti consentiti contenuto nell’allegato II della direttiva 2002/46 riposa sul fatto che le dette sostanze, al momento dell’adozione della citata direttiva, non avevano costituito oggetto, da parte delle autorità competenti, di una valutazione scientifica intesa a garantire la loro conformità ai criteri di sicurezza e di biodisponibilità menzionati all’undicesimo ‘considerando’ della detta direttiva, al contrario delle sostanze che compaiono in tale elenco. Tale diversità di situazione autorizza pertanto un trattamento differente, senza che si possa validamente invocare la violazione del divieto di discriminazione.

(v. punti 116, 118-119)

6.     Non si può ritenere che il fatto che le disposizioni di cui agli artt. 3, 4, n. 1, e 15, secondo comma, lett. b), della direttiva 2002/46, riguardante gli integratori alimentari, possano privare talune persone del diritto a consumare integratori alimentari non conformi alla detta direttiva possa pregiudicare il rispetto della vita privata e familiare delle dette persone, ai sensi dell’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

(v. punti 123-124)

7.     Sia il diritto di proprietà che la libertà di esercizio delle attività economiche fanno parte dei principi generali del diritto comunitario. Detti principi non costituiscono tuttavia prerogative assolute, ma vanno considerati alla luce della loro funzione sociale. Ne consegue che possono essere apportate restrizioni all’uso del diritto di proprietà nonché al libero esercizio di un’attività economica, a condizione che tali restrizioni rispondano effettivamente ad obiettivi di interesse generale perseguiti dalla Comunità e non costituiscano, rispetto allo scopo perseguito, un intervento sproporzionato e inaccettabile, tale da ledere la sostanza stessa dei diritti così garantiti.

A questo proposito, il divieto – derivante dal combinato disposto delle disposizioni di cui agli artt. 3, 4, n. 1, e 15, secondo comma, lett. b), della direttiva 2002/46 riguardante gli integratori alimentari – di commercializzare e di immettere sul mercato comunitario integratori alimentari non conformi a tale direttiva non mette in alcun modo in discussione il diritto di proprietà. Infatti, nessun operatore economico può rivendicare un diritto di proprietà su una quota di mercato, anche se da esso detenuta in un momento precedente l’introduzione di una misura relativa al mercato in parola, dato che tale quota di mercato costituisce soltanto una posizione economica temporanea, esposta all’alea di un mutamento di circostanze

Per contro, tale divieto è atto a restringere il libero esercizio dell’attività economica dei fabbricanti di integratori alimentari. Non si può, tuttavia, considerare, alla luce dell’obiettivo di interesse generale costituito dalla protezione della salute delle persone perseguito da tale misura di divieto, che tale restrizione pregiudichi in modo sproporzionato il libero esercizio dell’attività economica dei detti fabbricanti.

(v. punti 126-129)




SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)

12 luglio 2005 (*)

«Ravvicinamento delle legislazioni – Integratori alimentari – Direttiva 2002/46/CE – Divieto di commercializzazione di prodotti non conformi alla direttiva – Validità – Fondamento normativo – Art. 95 CE – Artt. 28 CE e 30 CE – Regolamento (CE) n. 3285/94 – Principi di sussidiarietà, di proporzionalità e di parità di trattamento – Diritto alla proprietà – Libertà di svolgere un’attività economica – Obbligo di motivazione»

Nei procedimenti riuniti C-154/04 e C-155/04,

aventi ad oggetto alcune domande di pronuncia pregiudiziale sottoposte alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dalla High Court of Justice (England and Wales), Queen’s Bench Division (Administrative Court) (Regno Unito), con ordinanze 17 marzo 2004, pervenute in cancelleria il 26 marzo 2004, nelle cause tra

The Queen, ex parte:

Alliance for Natural Health (procedimento C-154/04),

Nutri-Link Ltd

e

Secretary of State for Health

e tra

The Queen, ex parte:

National Association of Health Stores (procedimento C-155/04),

Health Food Manufacturers Ltd

e

Secretary of State for Health,

National Assembly for Wales,

LA CORTE (Grande Sezione),

composta dal sig. V. Skouris, presidente, dai sigg. P. Jann, C.W.A. Timmermans, A. Rosas e K. Lenaerts (relatore), presidenti di sezione, C. Gulmann, A. La Pergola, J.-P. Puissochet, R. Schintgen, J. Klučka, U. Lõhmus, E. Levits e A. Ó Caoimh, giudici,

avvocato generale: sig. L.A. Geelhoed

cancelliere: sig.ra K. Sztranc, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale del 25 gennaio 2005,

considerate le osservazioni presentate:

–       per l’Alliance for Natural Health e Nutri-Link Ltd, dal sig. K. P. E. Lasok, QC, dalla sig.ra A. Howard e dal sig. M. Patchett-Joyce, barristers;

–       per la National Association of Health Stores e Health Food Manufacturers Ltd, dal sig. R. Thompson, QC, e dal sig. S. Grodzinski, barrister;

–       per il governo del Regno Unito, dal sig. M. Bethell, in qualità di agente, assistito dal sig. C. Lewis, barrister;

–       per il governo ellenico, dalla sig.ra N. Dafniou e dal sig. G. Karipsiadis, in qualità di agenti;

–       per il governo portoghese, dal sig. L. Fernandes, in qualità di agente;

–       per il Parlamento europeo, dai sigg. M. Moore e U. Rösslein, in qualità di agenti;

–       per il Consiglio dell’Unione europea, dalle sig.re E. Karlsson ed E. Finnegan, in qualità di agenti;

–       per la Commissione delle Comunità europee, dai sigg. J.-P. Keppenne e M. Shotter, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 5 aprile 2005,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1       Le domande di pronuncia pregiudiziale riguardano la validità degli artt. 3, 4, n. 1, e 15, secondo comma, lett. b), della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 10 giugno 2002, 2002/46/CE, per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative agli integratori alimentari (GU L 183, pag. 51).

2       Tali domande vengono sottoposte alla Corte a seguito della presentazione, rispettivamente, il 10 ottobre 2003 da parte della National Association of Health Stores e della Health Food Manufacturers Ltd (procedimento C-155/04) e il 13 ottobre 2003 da parte dell’Alliance for Natural Health e della Nutri-Link Ltd (procedimento C‑154/04), di atti introduttivi intesi ad ottenere l’autorizzazione a proporre un ricorso di legittimità («judicial review») avente ad oggetto il Food Supplements (England) Regulations 2003 ed il Food Supplements (Wales) Regulations 2003 (decreti, rispettivamente, inglese e gallese 2003, sugli integratori alimentari; in prosieguo: i «decreti britannici sugli integratori alimentari»). Questi due decreti recepiscono nel diritto britannico la direttiva 2002/46.

 Contesto normativo

3       La direttiva 2002/46, adottata sul fondamento dell’art. 95 CE, «si applica agli integratori alimentari commercializzati come prodotti alimentari e presentati come tali», come risulta dall’art. 1, n. 1, della medesima.

4       Secondo il primo ‘considerando’ di tale direttiva, «sono commercializzati in numero crescente nella Comunità prodotti alimentari contenenti fonti concentrate di sostanze nutritive, proposti quali supplementi delle sostanze nutritive assunte con la normale alimentazione».

5       Ai sensi del secondo ‘considerando’ della stessa direttiva:

«Questi prodotti sono assoggettati negli Stati membri a disposizioni nazionali eterogenee, che possono osta[cola]rne la libera circolazione ed instaurare condizioni di concorrenza ineguali, con dirette ripercussioni sul buon funzionamento del mercato interno. È pertanto necessario disciplinare a livello comunitario i prodotti di questo tipo commercializzati come prodotti alimentari».

6       Il quinto ‘considerando’ della direttiva 2002/46 enuncia che «per garantire ai consumatori un elevato livello di tutela e una maggior facilità di scelta, è necessario che i prodotti commercializzati siano sicuri e rechino opportuna e corretta etichettatura».

7       Risulta dal sesto, settimo e ottavo ‘considerando’ della medesima direttiva che, dinanzi all’ampia gamma di sostanze nutritive e di altri elementi che possono far parte della composizione degli integratori alimentari, cioè, in particolare, vitamine, minerali, aminoacidi, acidi grassi essenziali, fibre e piante ed estratti vari di origine vegetale, il legislatore comunitario ha dato la priorità all’adozione di misure riguardanti le vitamine e i minerali utilizzati come componenti degli integratori alimentari. Si precisa che altre norme comunitarie saranno adottate in un secondo momento, quando saranno disponibili dati scientifici sufficienti e appropriati, per nutrienti diversi dalle vitamine o dai minerali o per altre sostanze, aventi un effetto nutritivo o fisiologico, utilizzate come ingredienti di integratori alimentari e che, nell’attesa dell’adozione di tali norme comunitarie specifiche e fatte salve le disposizioni del Trattato CE, possono continuare ad essere applicate le norme nazionali relative a tali nutrienti e sostanze.

8       Il nono, decimo, undicesimo e dodicesimo ‘considerando’ della direttiva 2002/46 sono formulati nel modo seguente:

«(9)      Occorre che le vitamine e i minerali normalmente presenti nei cibi e quindi assunti con la dieta siano consentiti negli integratori alimentari, senza peraltro renderne tassativa la presenza. Andrebbe evitata ogni possibile controversia sull’identificazione di tali nutrienti. Risulta quindi opportuno elaborare un elenco che contenga nominalmente tali vitamine e minerali.

(10)      Un’ampia gamma di preparati vitaminici e sostanze minerali utilizzati per la fabbricazione di integratori alimentari attualmente venduti negli Stati membri non sono stati ancora valutati dal comitato scientifico dell’alimentazione umana e pertanto non sono compresi negli elenchi nominali. Occorre pertanto sottoporli a valutazione urgente da parte dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare, non appena i rispettivi fascicoli saranno presentati dalle parti interessate.

(11)      È essenziale che le sostanze chimiche utilizzate come fonti di vitamine e minerali per la fabbricazione degli integratori alimentari siano sicure e disponibili all’assorbimento da parte dell’organismo. Per questo motivo occorre elaborare anche per queste sostanze un elenco che le contenga nominalmente. Possono inoltre essere utilizzate per la fabbricazione di integratori alimentari anche le sostanze che, sulla base dei criteri esposti, sono già state approvate dal comitato scientifico dell’alimentazione umana per la fabbricazione di alimenti destinati ai lattanti, alla prima infanzia o a diete particolari.

(12)      Per tenersi al passo con il progresso tecnico-scientifico, è importante procedere tempestivamente, se del caso, alla modifica di tali elenchi. Tali modifiche consisterebbero in provvedimenti di attuazione di natura tecnica, e la loro adozione andrebbe affidata alla Commissione in modo da semplificare ed accelerare le procedure».

9       Ai fini della direttiva 2002/46, occorre intendere per «integratori alimentari», ai sensi dell’art. 2, lett. a), di essa, «i prodotti alimentari destinati ad integrare la dieta normale e che costituiscono una fonte concentrata di sostanze nutritive o di altre sostanze aventi un effetto nutritivo o fisiologico, sia monocomposti che pluricomposti, in forme di dosaggio, vale a dire in forme di commercializzazione quali capsule, pastiglie, compresse, pillole e simili, polveri in bustina, liquidi contenuti in fiale, flaconi a contagocce e altre forme simili, di liquidi e polveri destinati ad essere assunti in piccoli quantitativi unitari».

10     Per «sostanze nutritive» o «nutrienti», si devono intendere, ai sensi dell’art. 2, lett. b), della stessa direttiva, le vitamine e i minerali.

11     Secondo l’art. 3 della direttiva 2002/46, gli Stati membri provvedono affinché gli integratori alimentari possano essere commercializzati nella Comunità solo se conformi al disposto della detta direttiva.

12     L’art. 4 della medesima direttiva prevede quanto segue:

«1.      Per quanto riguarda le vitamine e i minerali, fatto salvo il paragrafo 6, soltanto quelli elencati nell’allegato I, nelle forme elencate nell’allegato II, possono essere usati nella fabbricazione di integratori alimentari.

(…)

5.      Le modifiche agli elenchi di cui al paragrafo 1 sono adottate secondo la procedura di cui all’articolo 13, paragrafo 2.

6.      In deroga al paragrafo 1 e fino al 31 dicembre 2009, gli Stati membri possono consentire l’uso nel loro territorio di vitamine e di minerali non elencati nell’allegato I o nelle forme non elencate nell’allegato II purché:

a)      la sostanza in questione sia utilizzata in uno o più integratori alimentari commercializzati nella Comunità alla data di entrata in vigore della presente direttiva;

b)      l’Autorità europea per la sicurezza alimentare non abbia espresso parere negativo per quanto riguarda l’uso di tale sostanza o il suo uso in quella forma nella fabbricazione di integratori alimentari sulla base di un fascicolo a sostegno dell’uso della sostanza in questione che lo Stato membro deve sottoporre alla Commissione entro il 12 luglio 2005.

7.      Fatto salvo il paragrafo 6, gli Stati membri, conformemente alle norme del trattato, possono continuare ad applicare le restrizioni o i divieti nazionali in vigore per quanto riguarda gli scambi di integratori alimentari contenenti le vitamine o i minerali non elencati nell’allegato I o nelle forme non elencate nell’allegato II.

(…)».

13     L’art. 11 della direttiva 2002/46 dispone quanto segue:

«1.      Fatto salvo l’articolo 4, paragrafo 7, gli Stati membri si astengono dal vietare o dall’introdurre restrizioni, per ragioni connesse a composizione, specifiche di fabbricazione, presentazione o etichettatura, agli scambi di prodotti di cui all’articolo 1 che siano conformi alla presente direttiva e, se del caso, alle disposizioni comunitarie di esecuzione della stessa.

2.      Ferme restando le disposizioni del trattato che istituisce la Comunità europea, e in particolare gli articoli 28 e 30, il paragrafo 1 lascia impregiudicate le normative nazionali applicabili in assenza di disposizioni comunitarie di esecuzione della presente direttiva».

14     L’art. 13 della stessa direttiva è formulato nel modo seguente:

«1.      La Commissione è assistita dal comitato permanente per la catena alimentare e la salute degli animali, istituito dal regolamento (CE) n. 178/2002 (…) (in appresso denominato “il comitato”).

2.      Nei casi in cui è fatto riferimento al presente paragrafo, si applicano gli articoli 5 e 7 della decisione 1999/468/CE, tenendo conto delle disposizioni dell’articolo 8 della stessa.

Il periodo di cui all’articolo 5, paragrafo 6, della decisione 1999/468/CE è fissato a tre mesi.

3.      Il comitato adotta il proprio regolamento interno».

15     L’art. 14 della direttiva 2002/46 prevede quanto segue:

«Le disposizioni aventi implicazioni per la salute pubblica sono adottate previa consultazione dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare».

16     L’art. 15 della detta direttiva dispone che:

«Gli Stati membri adottano le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative per conformarsi alla presente direttiva entro il 31 luglio 2003. Essi ne informano immediatamente la Commissione.

Dette disposizioni sono applicate in modo da:

a)      autorizzare il commercio di prodotti conformi alla presente direttiva al più tardi a decorrere dal 1º agosto 2003;

b)      vietare il commercio di prodotti non conformi alla presente direttiva al più tardi a decorrere dal 1º agosto 2005.

(…)».

17     In virtù del suo art. 16, la direttiva 2002/46 è entrata in vigore il 12 luglio 2002, giorno della sua pubblicazione nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee.

18     La direttiva 2002/46 include due allegati che contengono, rispettivamente, alcuni elenchi relativi alle «vitamine e minerali consentiti nella fabbricazione di integratori alimentari» ed alle «sostanze vitaminiche e minerali consentite per la fabbricazione di integratori alimentari» (in prosieguo: gli «elenchi nominali» o, anche, gli «elenchi dei componenti consentiti»).

 Cause principali e questione pregiudiziale

19     Le ricorrenti in sede nazionale nella causa C-154/04 sono, da un lato, un’associazione europea che riunisce fabbricanti, grossisti, distributori, venditori al minuto e consumatori di integratori alimentari e, dall’altro, una piccola impresa specializzata nella distribuzione e vendita di integratori alimentari nel Regno Unito.

20     Le ricorrenti in sede nazionale nella causa C-155/04 sono due associazioni di categoria che rappresentano circa 580 società, per la maggior parte di piccole dimensioni, che si occupano della vendita di alimenti salutistici nel Regno Unito.

21     Tutte le ricorrenti in sede nazionale sostengono che è incompatibile con il diritto comunitario e deve di conseguenza essere dichiarato invalido il combinato disposto degli artt. 3, 4, n. 1, e 15, secondo comma, lett. b), della direttiva 2002/46, che i decreti britannici sugli integratori alimentari hanno recepito nel diritto interno e che vietano, a decorrere dal 1º agosto 2005, la commercializzazione degli integratori alimentari non conformi alla detta direttiva.

22     La High Court of Justice (England & Wales), Queen’s Bench Division (Administrative Court) (magistrato di secondo grado d’Inghilterra e del Galles per questioni, fra l’altro, relative alla legittimità degli atti della P.A.), ha concesso le autorizzazioni a proporre ricorso di legittimità ed ha deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte, in termini identici nei due presenti procedimenti, la seguente questione pregiudiziale:

«Se gli artt. 3, 4, n. 1, e 15, lett. b), della direttiva 2002/46/CE siano da invalidare per i seguenti motivi:

a)      inadeguatezza del ricorso all’art. 95 CE come fondamento normativo;

b)      violazione i) degli artt. 28 CE e 30 CE e/o ii) degli artt. 1, n. 2, e 24, n. 2, lett. a), del regolamento [(CE) del Consiglio 22 dicembre 1994, n. 3285, relativo al regime comune applicabile alle importazioni e che abroga il regolamento (CE) n. 518/94 (GU L 349, pag. 53)];

c)      violazione del principio di sussidiarietà;

d)      violazione del principio di proporzionalità;

e)      violazione del principio della parità di trattamento;

f)      violazione dell’art. 6, n. 2, UE, interpretato alla luce dell’art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e dell’art. 1 del Primo Protocollo della detta Convenzione nonché del diritto fondamentale alla proprietà e/o del diritto a esercitare un’attività economica;

g)      violazione dell’art. 253 CE e/o dell’obbligo di motivazione».

23     Con ordinanza del presidente della Corte 7 maggio 2004, le domande del giudice del rinvio miranti a sottoporre le presenti controversie al procedimento accelerato, previsto all’art. 104 bis, primo comma, del regolamento di procedura, sono state respinte. Con la medesima ordinanza, i procedimenti C-154/04 e C-155/04 sono stati riuniti ai fini delle fasi scritta e orale e della sentenza.

 Sulla questione pregiudiziale

 Sulla lett. a) della questione

24     Con la lett. a) della questione, il giudice del rinvio chiede se le disposizioni degli artt. 3, 4, n. 1, e 15, secondo comma, lett. b), della direttiva 2002/46 siano invalide per il fatto che l’art. 95 CE non fornisce loro un adeguato fondamento normativo.

25     Le ricorrenti in sede nazionale nella causa C-154/04 fanno valere che il divieto derivante dalle dette disposizioni della direttiva 2002/46 non contribuisce al miglioramento delle condizioni di instaurazione e di funzionamento del mercato interno. Esse aggiungono che, anche supponendo che la ragione di tale divieto risieda in considerazioni relative alla salute dei cittadini, il ricorso all’art. 95 CE costituisce uno sviamento di potere in quanto, in forza dell’art. 152, n. 4, lett. c), CE, la Comunità non è competente ad armonizzare le disposizioni nazionali in materia di salute umana.

26     Le ricorrenti in sede nazionale nella causa C-155/04 asseriscono, da una parte, che gli artt. 3, 4, n. 1, e 15, secondo comma, lett. b), della direttiva 2002/46 sono in contrasto con il principio della libera circolazione delle merci in seno alla Comunità, principio al quale il legislatore comunitario è tenuto a conformarsi quando esercita le sue competenze a norma dell’art. 95 CE (v. sentenza 9 agosto 1994, causa C-51/93, Meyhui, Racc. pag. I-3879, punti 10 e 11). Esse sostengono, d’altra parte, che tali disposizioni comportano restrizioni dirette e immediate agli scambi con gli Stati terzi e che, pertanto, avrebbero dovuto essere adottate sulla base dell’art. 133 CE.

27     Al riguardo, occorre ricordare che, ai sensi dell’art. 95, n. 1, CE, il Consiglio dell’Unione europea, deliberando in conformità alla procedura di cui all’art. 251 CE e previa consultazione del Comitato economico e sociale europeo, adotta le misure relative al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri che hanno per oggetto l’instaurazione ed il funzionamento del mercato interno.

28     Secondo la giurisprudenza della Corte, pur se la semplice constatazione di disparità tra le normative nazionali non è sufficiente a giustificare il ricorso all’art. 95 CE (v., in tal senso, sentenza 5 ottobre 2000, causa C-376/98, Germania/Parlamento e Consiglio, Racc. pag. I-8419, punto 84), non può dirsi invece lo stesso in caso di divergenze tra le disposizioni legislative, regolamentari o amministrative degli Stati membri tali da ostacolare le libertà fondamentali e quindi da incidere direttamente sul funzionamento del mercato interno [sentenze 14 dicembre 2004, causa C-434/02, Arnold André, Racc. pag. I-11825, punto 30, e causa C-210/03, Swedish Match, Racc. pag. I-11893, punto 29; v. anche, in questo senso, sentenze Germania/Parlamento e Consiglio, citata, punto 95, e 10 dicembre 2002, causa C‑491/01, British American Tobacco (Investments) e Imperial Tobacco, Racc. pag. I-11453, punto 60].

29     Dalla giurisprudenza della Corte emerge del pari che, pur se il ricorso all’art. 95 CE come fondamento normativo è possibile al fine di prevenire futuri ostacoli agli scambi dovuti allo sviluppo eterogeneo delle legislazioni nazionali, l’insorgere di tali ostacoli deve apparire probabile e la misura di cui trattasi deve avere ad oggetto la loro prevenzione [sentenze citate Arnold André, punto 31, e Swedish Match, punto 30; v. ugualmente, in questo senso, sentenze 13 luglio 1995, causa C-350/92, Spagna/Consiglio, Racc. pag. I-1985, punto 35; Germania/Parlamento e Consiglio, citata, punto 86; 9 ottobre 2001, causa C‑377/98, Paesi Bassi/Parlamento e Consiglio, Racc. pag. I-7079, punto 15, nonché British American Tobacco (Investments) e Imperial Tobacco, citata, punto 61].

30     La Corte ha inoltre stabilito che, qualora le condizioni per fare ricorso all’art. 95 CE come fondamento normativo siano soddisfatte, non può impedirsi al legislatore comunitario di basarsi su tale fondamento normativo per il fatto che la tutela della salute è determinante nelle scelte da operare (sentenze citate British American Tobacco (Investments) e Imperial Tobacco, punto 62; Arnold André, punto 32, e Swedish Match, punto 31).

31     Inoltre, va rilevato al riguardo che l’art. 152, n. 1, primo comma, CE dispone che nella definizione e nell’attuazione di tutte le politiche e attività della Comunità è garantito un livello elevato di protezione della salute umana e l’art. 95, n. 3, CE esige espressamente che nell’attuazione dell’armonizzazione sia garantito un livello elevato di protezione della salute delle persone (sentenze citate British American Tobacco (Investments) e Imperial Tobacco, punto 62; Arnold André, punto 33, e Swedish Match, punto 32).

32     Risulta da quanto precede che, qualora sussistano ostacoli agli scambi, ovvero risulti probabile l’insorgere di tali ostacoli in futuro, per il fatto che gli Stati membri hanno assunto o stanno per assumere, riguardo a un prodotto o a una categoria di prodotti, provvedimenti divergenti tali da garantire un diverso livello di protezione e da ostacolare, perciò, la libera circolazione dei prodotti in questione all’interno della Comunità, l’art. 95 CE consente al legislatore comunitario di intervenire, emanando le misure appropriate nel rispetto, da un lato, dell’art. 95, n. 3 e, dall’altro, dei principi giuridici sanciti dal Trattato ovvero elaborati dalla giurisprudenza, segnatamente del principio di proporzionalità (sentenze citate Arnold André, punto 34, e Swedish Match, punto 33).

33     A seconda delle circostanze, tali misure appropriate possono consistere nell’obbligare tutti gli Stati membri ad autorizzare la commercializzazione del prodotto o dei prodotti interessati, nel sottoporre a talune condizioni detto obbligo di autorizzazione, ovvero nel vietare, in via provvisoria o definitiva, la commercializzazione di uno o più prodotti (sentenze citate Arnold André, punto 35, e Swedish Match, punto 34).

34     È alla luce di questi principi che occorre verificare se, nel caso delle disposizioni di cui alla questione presentata, ricorrano le condizioni per il ricorso all’art. 95 CE quale fondamento normativo.

35     In base alle indicazioni contenute nel secondo ‘considerando’ della direttiva 2002/46, gli integratori alimentari erano assoggettati, prima dell’adozione della stessa, a disposizioni nazionali eterogenee, che potevano ostacolarne la libera circolazione ed avere così dirette ripercussioni sul funzionamento del mercato interno in questo settore.

36     Come il Parlamento europeo e il Consiglio hanno sottolineato nelle loro osservazioni scritte, tali indicazioni sono corroborate dal fatto che, prima dell’adozione della direttiva 2002/46, la Corte è stata investita di numerose controversie legate a situazioni in cui determinati operatori economici avevano incontrato ostacoli nel commercializzare in uno Stato membro diverso da quello di stabilimento integratori alimentari legalmente commercializzati in quest’ultimo Stato.

37     Del resto, come hanno constatato il governo ellenico nonché il Consiglio e la Commissione nelle loro osservazioni scritte, al punto 1 della motivazione della proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative agli integratori alimentari, COM(2000) 222 def., presentata dalla Commissione il 10 maggio 2000 (GU C 311 E, pag. 207), è esposto che, prima della presentazione della detta proposta, ai servizi competenti della Commissione erano pervenuti «numerosi reclami da parte degli operatori economici» a causa di divergenze tra le discipline nazionali che «risulta[va] difficile sormontare con l’applicazione del principio del riconoscimento reciproco».

38     In tali circostanze, si giustificava in materia di integratori alimentari un intervento del legislatore comunitario basato sull’art. 95 CE.

39     Risulta da quanto precede che potevano essere adottate sul fondamento dell’art. 95 CE le disposizioni di cui agli artt. 3, 4, n. 1, e 15, secondo comma, lett. b), della direttiva 2002/46, dalle quali deriva il divieto, decorrente dal 1º agosto 2005 al più tardi, di commercializzare integratori alimentari non conformi alla detta direttiva.

40     Sulla base della giurisprudenza citata ai punti 30 e 31 della presente sentenza, il fatto che nella definizione di queste disposizioni siano intervenute considerazioni relative alla salute umana non è tale da inficiare l’analisi che precede.

41     Quanto all’argomento delle ricorrenti in sede nazionale nella causa C-155/04, attinente alla necessità di fondare le disposizioni degli artt. 3, 4, n. 1, e 15, secondo comma, lett. b), della direttiva 2002/46 sull’art. 133 CE, occorre osservare che la circostanza che queste disposizioni possano influire in modo secondario sul commercio internazionale degli integratori alimentari non consente di contestare validamente il fatto che il loro obiettivo primario è di contribuire all’eliminazione delle divergenze tra le normative nazionali atte a condizionare il funzionamento del mercato interno in questo settore (v., in questo senso, sentenza British American Tobacco (Investments) e Imperial Tobacco, citata, punto 96).

42     Ne consegue che l’art. 95 CE costituisce l’unico fondamento normativo adatto per l’adozione delle disposizioni di cui agli artt. 3, 4, n. 1, e 15, secondo comma, lett. b), della direttiva 2002/46.

43     Ne deriva che le dette disposizioni non sono invalide per mancanza di un adeguato fondamento normativo.

 Sulla lett. b) della questione

44     Con la lett. b) della questione, il giudice del rinvio chiede se gli artt. 3, 4, n. 1, e 15, secondo comma, lett. b), della direttiva 2002/46 siano invalidi per violazione degli artt. 28 CE e 30 CE e/o degli artt. 1, n. 2, e 24, n. 2, lett. a), del regolamento n. 3285/94.

45     Nei due presenti procedimenti, le ricorrenti in sede nazionale sostengono che il divieto derivante dalle disposizioni considerate nella questione presentata costituisce una restrizione al commercio intracomunitario e internazionale di integratori alimentari finora legalmente posti in circolazione.

46     Le ricorrenti in sede nazionale nella causa C-155/04 aggiungono che né l’art. 30 CE né l’art. 24, n. 2, lett. a), del regolamento n. 3285/94 possono giustificare l’improvvisa introduzione di una restrizione al commercio di prodotti la cui sicurezza non era mai stata posta in dubbio in precedenza.

 Con riferimento agli artt. 28 CE e 30 CE

47     Occorre ricordare che, secondo costante giurisprudenza, il divieto di restrizioni quantitative, come pure di misure di effetto equivalente, previsto dall’art. 28 CE, vale non solo per i provvedimenti nazionali, ma anche per quelli adottati dalle istituzioni comunitarie (v. sentenze 17 maggio 1984, causa 15/83, Denkavit Nederland, Racc. pag. 2171, punto 15; Meyhui, citata, punto 11; 25 giugno 1997, causa C-114/96, Kieffer e Thill, Racc. pag. I-3629, punto 27, nonché Arnold André, citata, punto 57).

48     Tuttavia, come previsto dall’art. 30 CE, l’art. 28 CE lascia impregiudicati i divieti o le restrizioni giustificati, in particolare, da motivi di tutela della salute e della vita delle persone (v. sentenze citate Arnold André, punto 58, e Swedish Match, punto 60).

49     Il combinato disposto degli artt. 3, 4, n. 1, e 15, secondo comma, lett. b), della direttiva 2002/46 costituisce una restrizione del tipo contemplato all’art. 28 CE. Infatti, vietando la commercializzazione nella Comunità degli integratori alimentari contenenti vitamine, minerali o sostanze vitaminiche o minerali che non compaiono negli elenchi dei componenti consentiti, tali disposizioni sono atte a restringere la libera circolazione degli integratori alimentari all’interno della Comunità.

50     Come ha osservato l’avvocato generale al paragrafo 40 delle sue conclusioni, risulta da diversi ‘considerando’ della direttiva 2002/46, in particolare il quinto, il nono, il decimo e l’undicesimo, che il legislatore comunitario motiva tale misura di divieto con considerazioni legate alla protezione della salute umana.

51     È necessario ancora verificare se la detta misura sia necessaria e proporzionata rispetto all’obiettivo di protezione della salute delle persone.

52     Per quanto riguarda il controllo giurisdizionale di tali condizioni, si deve riconoscere al legislatore comunitario un ampio potere discrezionale in un settore come quello del caso di specie, che richiede da parte sua scelte di natura politica, economica e sociale e rispetto al quale esso è chiamato ad effettuare valutazioni complesse. Di conseguenza, solo la manifesta inidoneità di una misura adottata in tale ambito, in relazione allo scopo che l’istituzione competente intende perseguire, può inficiare la legittimità di tale misura [v. sentenza British American Tobacco (Investments) e Imperial Tobacco, citata, punto 123].

53     Nei due presenti procedimenti, le ricorrenti in sede nazionale sostengono che il divieto in questione non è necessario né proporzionato rispetto all’obiettivo addotto.

54     In primo luogo, esse contestano la necessità di tale divieto, facendo valere a questo scopo che gli artt. 4, n. 7, e 11, n. 2, della direttiva 2002/46 riconoscono agli Stati membri la possibilità di restringere il commercio degli integratori alimentari non conformi alla direttiva. Un divieto comunitario è pertanto, a loro avviso, superfluo.

55     Per quanto riguarda, in primo luogo, l’art. 4, n. 7, della direttiva 2002/46, occorre osservare che, come risulta dai termini stessi di questa disposizione e dai lavori preparatori che hanno condotto all’adozione della direttiva, la detta disposizione è intrinsecamente legata all’art. 4, n. 6, della stessa direttiva, il che è stato confermato in udienza tanto dal Parlamento quanto dal Consiglio e dalla Commissione.

56     Ne deriva che la facoltà riconosciuta agli Stati membri dall’art. 4, n. 7, della direttiva 2002/46 di continuare ad applicare, nel rispetto delle norme del Trattato, le restrizioni o i divieti nazionali esistenti in materia di commercio degli integratori alimentari contenenti vitamine, minerali o sostanze vitaminiche o minerali che non compaiono negli elenchi dei componenti consentiti costituisce il mero corollario della possibilità per uno Stato membro, in virtù del n. 6 del medesimo art. 4, di autorizzare nel suo territorio, fino al 31 dicembre 2009, l’uso di tali componenti alle condizioni enunciate da quest’ultima disposizione.

57     Come l’avvocato generale ha sottolineato al paragrafo 22 delle sue conclusioni, l’oggetto dell’art. 4, n. 7, della direttiva 2002/46 consiste esclusivamente nel prevedere che gli Stati membri diversi da quello che ha autorizzato nel suo territorio, nei limiti e nel rispetto delle condizioni enunciate al n. 6 dello stesso art. 4, l’utilizzo, nella fabbricazione degli integratori alimentari, di vitamine, di minerali o di sostanze vitaminiche o minerali non riportate negli elenchi dei componenti consentiti non sono tenuti a consentire l’importazione nel loro territorio di integratori alimentari contenenti tali ingredienti.

58     L’argomento delle ricorrenti in sede nazionale basato sull’art. 4, n. 7, della direttiva 2002/46 non permette pertanto di escludere il carattere necessario del divieto in causa.

59     Per quanto riguarda poi l’art. 11, n. 2, della direttiva 2002/46, dalla lettura combinata di questa disposizione e dell’ottavo ‘considerando’ della medesima direttiva risulta che lo scopo della disposizione è quello di preservare, nell’attesa di una disciplina comunitaria specifica, l’applicazione, nel rispetto del Trattato, delle norme nazionali relative ai nutrienti diversi dalle vitamine e dai minerali o ad altre sostanze dotate di un effetto nutritivo o fisiologico, utilizzate come ingredienti negli integratori alimentari.

60     L’art. 11, n. 2, della direttiva 2002/46 riguarda quindi unicamente gli integratori alimentari che contengono nutrienti o sostanze che non rientrano nell’ambito d’applicazione materiale della stessa. Tale norma è, conseguentemente, priva di rilievo nella valutazione del carattere necessario del divieto contenuto negli artt. 3, 4, n. 1, e 15, secondo comma, lett. b), della direttiva.

61     In secondo luogo, le ricorrenti in sede nazionale sostengono che tale divieto viola il principio di proporzionalità.

62     Esse fanno valere in proposito che il contenuto degli elenchi dei componenti consentiti è insufficiente. A loro avviso, ciò dipende dal fatto che l’elenco delle sostanze che compaiono all’allegato II della direttiva 2002/46 è stato redatto sulla base non dei criteri di sicurezza e di biodisponibilità esposti all’undicesimo ‘considerando’ della direttiva, ma di elenchi intesi a individuare gli ingredienti autorizzati nella fabbricazione di alimenti destinati ad usi nutrizionali particolari. Ne deriverebbe che il divieto colpirebbe un gran numero di componenti nutritivi che sarebbero tuttavia adatti ad un regime alimentare normale e che sarebbero attualmente fabbricati e commercializzati in taluni Stati membri, e dei quali non sarebbe stato finora dimostrato che siano pericolosi per la salute delle persone. La direttiva 2002/46 metterebbe inoltre al bando, in modo ingiustificato e sproporzionato, le vitamine e i minerali di origine naturale, sebbene essi siano abitualmente presenti nel regime alimentare normale e siano meglio tollerati dall’organismo delle vitamine e dei minerali di origine non naturale.

63     In proposito occorre osservare, in primo luogo, che la lettura combinata dei diversi ‘considerando’ della direttiva 2002/46 indica che essa riguarda gli integratori alimentari contenenti vitamine e/o minerali derivanti da un processo di fabbricazione basato sull’uso di «sostanze chimiche» (undicesimo ‘considerando’), e non gli integratori alimentari nella cui composizione figurano ingredienti quali «aminoacidi, acidi grassi essenziali, fibre [e piante] ed estratti di origine vegetale» (sesto ‘considerando’), le cui condizioni di utilizzo rientrano, di conseguenza, «fino all’adozione di tali norme comunitarie specifiche», nell’ambito di applicazione delle «norme nazionali», «fatte salve le disposizioni del trattato» (ottavo ‘considerando’).

64     Occorre inoltre osservare che il contenuto degli elenchi dei componenti consentiti corrisponde, come hanno posto in evidenza le ricorrenti in sede nazionale nella causa C-155/04, all’elenco delle sostanze classificate nelle categorie «vitamine» e «minerali» incluse nell’allegato alla direttiva della Commissione 15 febbraio 2001, 2001/15/CE, sulle sostanze che possono essere aggiunte a scopi nutrizionali specifici ai prodotti alimentari destinati ad un’alimentazione particolare (GU L 52, pag. 19).

65     Come viene esposto al quarto ‘considerando’ della direttiva 2001/15, le sostanze individuate nel suo allegato sono state selezionate tenendo conto dei criteri di sicurezza e di biodisponibilità previsti all’undicesimo ‘considerando’ della direttiva 2002/46.

66     Come risulta dalla lettura combinata del decimo e dell’undicesimo ‘considerando’ della direttiva 2002/46, il fatto che un certo numero di sostanze chimiche che entrano nella composizione degli integratori alimentari commercializzati in taluni Stati membri non sia attualmente ammesso a livello europeo si spiega con la circostanza che le sostanze in esame nell’ambito dei procedimenti principali, al momento dell’adozione della detta direttiva, non avevano costituito oggetto di valutazione favorevole, con riferimento ai criteri di sicurezza e di biodisponibilità, da parte delle competenti autorità scientifiche europee.

67     Le indicazioni fornite dalle ricorrenti in sede nazionale nelle loro osservazioni scritte a proposito di talune sostanze vitaminiche o minerali che non compaiono nell’elenco dei componenti consentiti, contenuto nell’allegato II della direttiva 2002/46, non sono tali da porre in dubbio la fondatezza di questa spiegazione. Ne deriva infatti che, al momento dell’adozione della detta direttiva, tali sostanze non avevano ancora costituito oggetto di valutazione da parte del comitato scientifico dell’alimentazione umana o che, quanto meno, il detto comitato continuava a nutrire seri dubbi, in mancanza di dati scientifici sufficienti e appropriati, quanto alla loro sicurezza e/o alla loro biodisponibilità.

68     Alla luce di ciò, e considerata la necessità che il legislatore comunitario rispetti il principio di precauzione all’atto di adottare, nell’ambito della politica del mercato interno, provvedimenti intesi a proteggere la salute umana (v., in questo senso, sentenze 5 maggio 1998, causa C-157/96, National Farmers’ Union e a., Racc. pag. I-2211, punto 64, e causa C-180/96, Regno Unito/Commissione, Racc. pag. I‑2265, punto 100, nonché sentenza 2 dicembre 2004, causa C-41/02, Commissione/Paesi Bassi, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 45), gli autori della direttiva 2002/46 hanno potuto ragionevolmente ritenere che il modo appropriato di conciliare l’obiettivo del mercato interno, da un lato, e quello relativo alla protezione della salute umana, dall’altro, consistesse nel riservare il beneficio della libera circolazione agli integratori alimentari contenenti sostanze per le quali, al momento dell’adozione della detta direttiva, le autorità scientifiche europee competenti disponessero di dati scientifici sufficienti e appropriati in grado di confortare il loro parere favorevole. Essi hanno previsto tuttavia, all’art. 4, n. 5, della detta direttiva, la possibilità di ottenere la modifica del contenuto degli elenchi dei componenti consentiti in funzione dell’evoluzione della scienza e della tecnologia.

69     Al riguardo, occorre per altro verso osservare che, in conformità all’art. 7 del regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio 28 gennaio 2002, n. 178, che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare (GU L 31, pag. 1), il legislatore comunitario ha il pieno diritto di adottare i provvedimenti provvisori di gestione del rischio che sono necessari per assicurare un elevato livello di protezione della salute umana, nell’attesa di altre informazioni scientifiche finalizzate ad una valutazione più completa del rischio, come è indicato al decimo ‘considerando’ della direttiva 2002/46.

70     Contrariamente a quanto sostengono le ricorrenti in sede nazionale nella causa C‑154/04, un sistema basato su un elenco dei componenti vietati, consistente nel circoscrivere l’ambito del divieto alle sole sostanze individuate nell’elenco, potrebbe non essere sufficiente per perseguire l’obiettivo di protezione della salute umana. Infatti, il ricorso nella fattispecie ad un simile sistema significherebbe che, per tutto il tempo in cui non è iscritta sul detto elenco, una sostanza potrebbe liberamente entrare nella preparazione degli integratori alimentari pur non essendo stata oggetto, a causa, ad esempio, della sua novità, di una valutazione scientifica in grado di garantire la sua piena innocuità per la salute umana.

71     Le ricorrenti in sede nazionale fanno valere che le procedure contemplate all’art. 4, nn. 5 e 6, della direttiva 2002/46 mancano di trasparenza, a causa dell’imprecisione dei criteri applicati dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare in occasione dell’esame dei fascicoli miranti a ottenere l’autorizzazione ad utilizzare una sostanza non menzionata negli elenchi dei componenti consentiti. Le dette procedure rappresenterebbero anche vincoli finanziari e amministrativi particolarmente pesanti.

72     In proposito, un provvedimento che, come quello in esame nei procedimenti principali, comporta il divieto di commercializzare prodotti contenenti sostanze che non compaiono su determinati elenchi dei componenti consentiti, definiti nella legislazione applicabile, deve essere corredato di una procedura, destinata a permettere l’iscrizione di una data sostanza sui detti elenchi, che sia conforme ai principi generali del diritto comunitario e, in particolare, ai principi di buona amministrazione e di certezza del diritto.

73     Tale procedura deve essere accessibile, nel senso che deve essere espressamente menzionata in un atto di portata generale che vincoli le autorità interessate e deve potersi concludere in termini ragionevoli. Una domanda mirante ad ottenere l’iscrizione di una sostanza nell’elenco delle sostanze autorizzate può essere respinta dalle autorità competenti soltanto sulla base di una valutazione approfondita del rischio che il suo utilizzo rappresenta per la salute delle persone, valutazione basata sui più affidabili dati scientifici disponibili e sui risultati più recenti della ricerca internazionale. Se la procedura sfocia in una decisione di diniego, questa deve poter formare oggetto di un ricorso esperibile in via giurisdizionale (v., per analogia, sentenze 5 febbraio 2004, causa C-24/00, Commissione/Francia, Racc. pag. I-1277, punti 26, 27 e 36, nonché causa C‑95/01, Greenham e Abel, Racc. pag. I-1333, punti 35, 36 e 50).

74     Nel contesto della direttiva 2002/46, la procedura di cui il divieto in causa è corredato ai fini dell’iscrizione di una vitamina, di un minerale o di una sostanza vitaminica o minerale negli elenchi dei componenti consentiti è contemplata all’art. 4, n. 5, di questa direttiva, il quale concernente la modifica degli elenchi.

75     Ne deriva che, per valutare la validità del divieto derivante dagli artt. 3, 4, n. 1, e 15, secondo comma, lett. b), della direttiva 2002/46, il giudizio della Corte deve riguardare esclusivamente la legittimità della procedura di cui all’art. 4, n. 5, della detta direttiva. Un esame della validità della procedura di cui al n. 6 dello stesso art. 4, che di per sé mira al conseguimento di un’autorizzazione temporanea di portata nazionale e persegue dunque una finalità diversa da quella della procedura prevista all’art. 4, n. 5, esula, per contro, dall’ambito dell’analisi inerente ai procedimenti in esame.

76     L’art. 4, n. 5, della direttiva 2002/46 rinvia all’art. 13, n. 2, della stessa, il quale dispone, al primo comma, che, «[n]ei casi in cui è fatto riferimento al presente paragrafo, si applicano gli articoli 5 e 7 della decisione 1999/468/CE, tenendo conto delle disposizioni dell’articolo 8 della stessa».

77     Come è indicato al dodicesimo ‘considerando’ della direttiva 2002/46, il rinvio alla procedura prevista agli artt. 5 e 7 della decisione del Consiglio 28 giugno 1999, 1999/468/CE, recante modalità per l’esercizio delle competenze di esecuzione conferite alla Commissione (GU L 184, pag. 23), risponde all’intento di poter fare ricorso, qualora sia necessario rivedere gli elenchi dei componenti consentiti in funzione del progresso tecnico-scientifico, ad una procedura semplificata e accelerata consistente in provvedimenti di attuazione di natura tecnica la cui adozione va affidata alla Commissione.

78     Come risulta dal settimo e dal nono ‘considerando’ della decisione 1999/468, tale procedura, detta di «comitologia», intende conciliare gli imperativi di efficacia e di flessibilità imposti dalla necessità di adattare e di aggiornare regolarmente determinati elementi della normativa comunitaria alla luce dell’evoluzione delle teorie scientifiche in materia di protezione della salute o della sicurezza delle persone, da un lato, con la salvaguardia delle rispettive competenze delle istituzioni comunitarie, dall’altro.

79     Nel contesto di tale procedura di comitologia è previsto, in applicazione dell’art. 5 della decisione 1999/468, che la Commissione sottoponga al comitato di cui all’art. 13, n. 1, della direttiva 2002/46 un progetto delle misure da adottare, sul quale il detto comitato esprime il suo parere «entro un termine che il [suo] presidente può fissare in funzione dell’urgenza della questione in esame» (art. 5, n. 2). Quando il detto comitato ha emesso il suo parere, spetta alla Commissione adottare le misure previste qualora esse siano conformi a tale parere (art. 5, n. 3). In caso contrario, o in assenza di detto parere, la Commissione è tenuta a sottoporre «senza indugio» al Consiglio una proposta in merito alle misure da prendere e ad informarne il Parlamento europeo (art. 5, n. 4) e il Consiglio può statuire nel termine di tre mesi (art. 5, n. 6, primo comma; art. 13, n. 2, secondo comma, della direttiva 2002/46). Se entro tale termine il Consiglio ha manifestato la propria opposizione alla proposta della Commissione, quest’ultima è tenuta a riesaminare la propria proposta e può ripresentare al Consiglio la stessa proposta o una proposta modificata ovvero presentare una proposta legislativa in base al Trattato (art. 5, n. 6, secondo comma). Per contro, se allo scadere di tale termine il Consiglio non ha adottato l’atto di esecuzione proposto ovvero non ha manifestato la sua opposizione alla proposta relativa alle misure di esecuzione, la Commissione adotta il detto atto di esecuzione (art. 5, n. 6, terzo comma).

80     Il combinato disposto degli artt. 13, n. 2, secondo comma, della direttiva 2002/46 e 5 della decisione 1999/468, al quale rinvia l’art. 4, n. 5, della detta direttiva, garantisce che, a partire dalla proposta rivolta al comitato da parte della Commissione sulla base dell’art. 5, n. 2, della detta decisione, la procedura di modifica del contenuto degli elenchi dei componenti consentiti si svolga entro termini ragionevoli.

81     Sarebbe stato certamente auspicabile che, con riferimento alla fase compresa tra il deposito di un fascicolo mirante alla modifica del contenuto degli elenchi dei componenti consentiti e la proposta rivolta al detto comitato, fase che comprende in particolare la consultazione dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare prevista tanto all’art. 14 quanto al decimo ‘considerando’ della direttiva 2002/46, tale direttiva includesse disposizioni in grado di garantire da sole lo svolgersi di tale fase in condizioni di trasparenza ed entro termini ragionevoli.

82     L’assenza di tali disposizioni non può tuttavia essere considerata atta a compromettere il corretto svolgimento della procedura di modifica del contenuto degli elenchi dei componenti consentiti entro termini ragionevoli. Spetta tuttavia alla Commissione, in virtù delle competenze di esecuzione che le sono conferite dalla direttiva 2002/46 per quanto riguarda, in particolare, l’applicazione della detta procedura, adottare e rendere accessibili agli interessati, in conformità al principio di buon andamento dell’amministrazione, le misure necessarie per assicurare in via generale la trasparenza e la ragionevolezza della durata della fase di consultazione dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare.

83     Prevedendo l’applicazione della procedura istituita con l’art. 5 della decisione 1999/468, l’art. 4, n. 5, della direttiva 2002/46 garantisce inoltre che una domanda intesa a ottenere l’iscrizione di una vitamina, di un minerale o di una sostanza vitaminica o minerale negli elenchi dei componenti consentiti possa essere respinta soltanto attraverso un atto giuridico obbligatorio, soggetto a controllo giurisdizionale.

84     È importante aggiungere, al riguardo, che la direttiva 2002/46 non contiene alcun elemento in grado di costringere o indurre le autorità europee competenti a tenere conto, nell’ambito della procedura di cui all’art. 4, n. 5, della detta direttiva, di criteri estranei all’obiettivo di protezione della salute delle persone.

85     Al contrario, risulta dal nono ‘considerando’ della direttiva 2002/46 che il criterio legato al fatto che la vitamina o il minerale sia normalmente presente nel regime alimentare e consumato in tale contesto è l’unico criterio pertinente nell’ambito dell’elenco che compare all’allegato I di tale direttiva. Come hanno fatto osservare le ricorrenti in sede nazionale nella causa C-154/04, mentre la proposta di direttiva menzionata al punto 37 della presente sentenza prevedeva un secondo criterio, cioè il fatto che le vitamine e i minerali in causa dovessero essere «considerati nutrienti essenziali», come risulta dal settimo ‘considerando’ di tale proposta, il detto criterio non compare più nel nono ‘considerando’ della direttiva 2002/46. Per quanto riguarda l’elenco che compare all’allegato II della detta direttiva, deriva dal suo undicesimo ‘considerando’ di essa che gli unici criteri pertinenti sono quelli relativi alla sicurezza e alla biodisponibilità della sostanza chimica in causa.

86     Simili indicazioni evidenziano che, nelle intenzioni del legislatore comunitario, i criteri pertinenti nel contesto degli elenchi dei componenti consentiti e nell’applicazione della procedura intesa alla modifica del loro contenuto possono attenere soltanto a motivi di protezione della salute delle persone, ad esclusione di considerazioni relative ad esigenze nutrizionali.

87     È peraltro significativo constatare che le critiche formulate dalle ricorrenti in sede nazionale nei confronti della procedura di modifica del contenuto degli elenchi dei componenti consentiti riguardano in sostanza i vincoli amministrativi e finanziari legati al deposito di un fascicolo mirante ad ottenere una simile modifica, nonché il modo in cui i criteri di sicurezza e biodisponibilità esposti all’undicesimo ‘considerando’ della direttiva 2002/46 vengono applicati dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare all’atto dell’esame dei fascicoli individuali.

88     Tuttavia, benché simili elementi possano, all’occorrenza, essere invocati a sostegno di un ricorso di annullamento proposto contro una decisione definitiva che respinge una domanda di modifica del contenuto degli elenchi dei componenti consentiti, o di un’azione di responsabilità diretta contro l’Autorità europea per la sicurezza alimentare sulla base dell’art. 47, n. 2, del regolamento n. 178/2002, essi non sono, di per sé, tali da infirmare la legittimità della procedura di modifica del contenuto degli elenchi dei componenti consentiti, come il governo ellenico ha sottolineato nelle sue osservazioni scritte.

89     Si deve pertanto concludere che l’analisi svolta ai punti 76-88 della presente sentenza non ha rivelato elementi tali da infirmare la legittimità della procedura prevista all’art. 4, n. 5, della direttiva 2002/46 ai fini della modifica del contenuto degli elenchi dei componenti consentiti.

90     Infine, occorre sottolineare che, quando il legislatore comunitario intende delegare il suo potere di revisione di taluni elementi dell’atto legislativo in causa, è suo dovere garantire che tale potere sia chiaramente definito e che l’uso che ne verrà fatto sia soggetto a un controllo rigoroso con riferimento a criteri obiettivi da esso stesso stabiliti (v., in questo senso, sentenza 13 giugno 1958, causa 9/56, Meroni/Alta Autorità, Racc. pag. 9, in particolare pag. 41), a meno di non voler conferire alle autorità delegate un potere discrezionale che, trattandosi di una normativa relativa al funzionamento del mercato interno dei prodotti, sarebbe tale da ostacolare in modo eccessivo e non trasparente la libera circolazione dei prodotti in questione.

91     Nel caso specifico, come si è osservato ai punti 85 e 86 della presente sentenza, il nono e l’undicesimo ‘considerando’ della direttiva 2002/46 precisano che gli unici criteri pertinenti per quanto riguarda il contenuto degli elenchi dei componenti consentiti attengono, relativamente alle vitamine e ai minerali, al fatto che essi siano normalmente presenti nel regime alimentare e vengano consumati in tale contesto e, relativamente alle sostanze chimiche utilizzate come fonti di vitamine o minerali, alla sicurezza ed alla biodisponibilità delle sostanze in questione.

92     Correlate all’applicazione data concretamente ai detti criteri attraverso gli elenchi dei componenti consentiti che compaiono nel testo della direttiva 2002/46, le suddette precisazioni, che sarebbero dovute preferibilmente comparire tra le disposizioni stesse della detta direttiva (v., in questo senso, accordo interistituzionale del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione 22 dicembre 1998, sugli orientamenti comuni relativi alla qualità redazionale della legislazione comunitaria (GU 1999, C 73, pag. 1), circoscrivono l’esercizio da parte della Commissione del potere di modifica del contenuto dei detti elenchi basandosi su criteri obiettivi, esclusivamente legati a considerazioni relative alla sanità pubblica. Esse permettono di ritenere che, nel caso concreto, il legislatore comunitario abbia emanato gli elementi essenziali della materia da disciplinare ai fini dell’esercizio dei poteri così delegati (v., in questo senso, sentenza 17 dicembre 1970, causa 25/70, Köster, Racc. pag. 1161, punto 6).

93     Ne deriva che le disposizioni di cui agli artt. 3, 4, n. 1, e 15, secondo comma, lett. b), della direttiva 2002/46 non sono invalide per violazione degli artt. 28 CE e 30 CE.

 Con riferimento agli artt. 1, n. 2, e 24, n. 2, lett. a), del regolamento n. 3285/94

94     Occorre sottolineare che il regolamento n. 3285/94 è stato adottato nel contesto della politica commerciale comune, come risulta dal suo fondamento normativo, ossia l’art. 113 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 133 CE).

95     Tale regolamento ha per obiettivo la liberalizzazione delle importazioni di prodotti provenienti da Stati terzi. Per contro, esso non ha lo scopo di liberalizzare l’immissione sul mercato di tali prodotti, la quale costituisce una fase successiva all’importazione (v. sentenza 30 maggio 2002, causa C-296/00, Expo Casa Manta, Racc. pag. I-4657, punti 30 e 31).

96     Ne deriva che, come hanno giustamente fatto valere il Parlamento, il Consiglio e la Commissione e come ha sottolineato l’avvocato generale ai paragrafi 57 e 58 delle sue conclusioni, il regolamento n. 3285/94 è irrilevante al fine di valutare la legittimità di misure comunitarie intese a vietare l’immissione sul mercato comunitario di prodotti importati da Stati terzi che non soddisfino le condizioni stabilite per tale immissione sul mercato per ragioni attinenti alla protezione della salute umana.

97     Inoltre, anche qualora esistesse un conflitto fra gli artt. 3, 4, n. 1, e 15, secondo comma, lett. b), della direttiva 2002/46 e gli artt. 1, n. 2, e 24, n. 2, lett. a), del regolamento n. 3285/94, occorrerebbe osservare che la detta direttiva è stata adottata sul fondamento dell’art. 95 CE e non costituisce, pertanto, un provvedimento di esecuzione del detto regolamento.

98     Ne deriva che non occorre esaminare la validità delle disposizioni della direttiva 2002/46 in causa sotto il profilo del regolamento n. 3285/94.

 Sulla lett. c) della questione

99     Con la lett. c) della questione, il giudice del rinvio chiede se le disposizioni di cui agli artt. 3, 4, n. 1, e 15, secondo comma, lett. b), della direttiva 2002/46 siano invalide per violazione del principio di sussidiarietà.

100   Nelle due controversie in esame, le ricorrenti in sede nazionale fanno valere che le dette disposizioni invadono in modo ingiustificato la competenza degli Stati membri in un campo delicato sul piano sanitario, sociale ed economico. Le ricorrenti in sede nazionale nella causa C-154/04 aggiungono che sono gli Stati membri a trovarsi nella posizione migliore per determinare, sui loro rispettivi mercati, le esigenze di sanità pubblica tali da giustificare ostacoli alla libera commercializzazione degli integratori alimentari nel territorio nazionale.

101   Al riguardo occorre ricordare che, secondo il principio di sussidiarietà, enunciato all’art. 5, secondo comma, CE, la Comunità, nei settori che non sono di sua esclusiva competenza, interviene soltanto se e nei limiti in cui gli obiettivi dell’azione prevista non possono essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri e dunque, a motivo delle dimensioni o degli effetti dell’azione prospettata, possono essere meglio realizzati a livello comunitario.

102   Il Protocollo sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità, allegato al Trattato, precisa, al punto 3, che il principio di sussidiarietà non rimette in questione le competenze conferite alla Comunità dal Trattato, come interpretato dalla Corte.

103   Come la Corte ha già giudicato, il principio di sussidiarietà si applica quando il legislatore comunitario ricorre all’art. 95 CE, in quanto tale disposizione non gli attribuisce una competenza esclusiva a regolamentare le attività economiche nel mercato interno, ma solo la competenza a migliorare le condizioni di realizzazione e di funzionamento di quest’ultimo, attraverso l’eliminazione di ostacoli alla libera circolazione delle merci e alla libera prestazione dei servizi o l’eliminazione di distorsioni della concorrenza [sentenza British American Tobacco (Investments) e Imperial Tobacco, citata, punto 179].

104   Con riferimento alla questione se le disposizioni di cui agli artt. 3, 4, n. 1, e 15, secondo comma, lett. b), della direttiva 2002/46 siano conformi al principio di sussidiarietà, occorre esaminare se l’obiettivo perseguito da queste disposizioni potesse essere realizzato meglio a livello comunitario.

105   Al riguardo, occorre osservare che il divieto, derivante da queste disposizioni, di commercializzare integratori alimentari non conformi alla direttiva 2002/46, completato dall’obbligo che incombe agli Stati membri, in conformità all’art. 15, secondo comma, lett. a), della direttiva, di autorizzare il commercio degli integratori alimentari conformi a quest’ultima [v. al riguardo, per analogia, sentenza British American Tobacco (Investments) e Imperial Tobacco, citata, punto 126], ha lo scopo di eliminare gli ostacoli derivanti dalle divergenze tra le norme nazionali relative alle vitamine, ai minerali ed alle sostanze vitaminiche o minerali autorizzate o vietate nella fabbricazione degli integratori alimentari, garantendo nel contempo, in conformità all’art. 95, n. 3, CE, un elevato livello di protezione della salute delle persone.

106   Lasciare agli Stati membri il compito di disciplinare il commercio degli integratori alimentari non conformi alla direttiva 2002/46 provocherebbe il perpetuarsi dello sviluppo divergente delle normative nazionali e, pertanto, degli ostacoli agli scambi tra Stati membri e delle distorsioni della concorrenza relative a questi prodotti.

107   Ne deriva che l’obiettivo al quale contribuiscono le disposizioni di cui agli artt. 3, 4, n. 1, e 15, secondo comma, lett. b), della direttiva 2002/46 non poteva essere realizzato in modo soddisfacente attraverso un’azione intrapresa al livello dei soli Stati membri e presupponeva un’azione a livello comunitario. Tale obiettivo poteva conseguentemente essere realizzato meglio a quest’ultimo livello.

108   Risulta da quanto precede che le disposizioni di cui agli artt. 3, 4, n. 1, e 15, secondo comma, lett. b), della direttiva 2002/46 non sono invalide per violazione del principio di sussidiarietà.

 Sulla lett. d) della questione

109   Con la lett. d) della questione, il giudice del rinvio chiede se le disposizioni di cui agli artt. 3, 4, n. 1, e 15, secondo comma, lett. b), della direttiva 2002/46 siano invalide per violazione del principio di proporzionalità.

110   Le ricorrenti in sede nazionale sostengono che le dette disposizioni costituiscono un mezzo sproporzionato per pervenire all’obiettivo prefissato. Gli argomenti sviluppati a sostegno di tale asserto sono quelli esposti ai punti 54, 62, 70 e 71 della presente sentenza.

111   Tuttavia, risulta dall’analisi esposta ai punti 55-60, 63-70 e 72-92 della presente sentenza che le disposizioni di cui agli artt. 3, 4, n. 1, e 15, secondo comma, lett. b), della direttiva 2002/46 costituiscono misure idonee a realizzare l’obiettivo cui esse mirano e che, tenuto conto dell’obbligo incombente al legislatore comunitario di garantire un livello elevato di protezione della salute delle persone, le dette disposizioni non eccedono quanto necessario al conseguimento di tale obiettivo.

112   Ne deriva che le disposizioni di cui agli artt. 3, 4, n. 1, e 15, secondo comma, lett. b), della direttiva 2002/46 non sono invalide per violazione del principio di proporzionalità.

 Sulla lett.  e) della questione

113   Con la lett. e) della questione, il giudice del rinvio chiede se le disposizioni di cui agli artt. 3, 4, n. 1, e 15, secondo comma, lett. b), della direttiva 2002/46 siano invalide per violazione del principio della parità di trattamento.

114   Le ricorrenti in sede nazionale sostengono che le dette disposizioni violano tale principio, dato che determinate sostanze che non soddisfano i criteri enunciati all’undicesimo ‘considerando’ della direttiva 2002/46 sarebbero state iscritte negli elenchi dei componenti consentiti senza essere state sottoposte a prove complementari, mentre pesanti requisiti verrebbero imposti ai produttori di integratori alimentari contenenti sostanze non autorizzate allo scopo di provare il ricorrere dei criteri in questione. Esse aggiungono che tale differenza di trattamento non si fonderebbe su alcuna giustificazione obiettiva, in quanto gli elenchi non sarebbero stati redatti sulla base dei detti criteri.

115   Al riguardo occorre ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, il divieto di discriminazione vuole che situazioni analoghe non siano trattate in modo differente e situazioni differenti non siano trattate in modo identico, salvo che ciò non risulti obiettivamente giustificato (v. sentenza 9 settembre 2004, cause riunite C-184/02 e C-223/02, Spagna e Finlandia/Parlamento e Consiglio, Racc. pag. I‑7789, punto 64; nonché sentenze citate Arnold André, punto 68, e Swedish Match, punto 70).

116   Ebbene, come hanno sottolineato il governo del Regno Unito, il Parlamento e la Commissione nelle loro osservazioni scritte, le sostanze vitaminiche o minerali che non compaiono nell’elenco dei componenti consentiti contenuto nell’allegato II della direttiva 2002/46 non si trovano nella stessa situazione delle sostanze in esso menzionate. Infatti, a differenza di queste ultime, le prime, al momento dell’adozione della detta direttiva, non avevano costituito oggetto, da parte delle autorità europee competenti, di una valutazione scientifica intesa a garantire la loro conformità ai criteri di sicurezza e di biodisponibilità enunciati all’undicesimo ‘considerando’ della detta direttiva.

117   Poiché ciascuna sostanza presenta caratteristiche proprie, come indicato nelle medesime osservazioni, era esclusa l’assimilazione di una sostanza non ancora esaminata alla stregua di questi criteri ad una sostanza inclusa negli elenchi dei componenti consentiti.

118   Tale diversità di situazione autorizzava pertanto un trattamento differente, senza che si potesse validamente invocare la violazione del divieto di discriminazione.

119   Risulta da quanto precede che le disposizioni di cui agli artt. 3, 4, n. 1, e 15, secondo comma, lett. b), della direttiva 2002/46 non sono invalide per violazione del principio della parità di trattamento.

 Sulla lett. f) della questione

120   Con la lett. f) della questione, il giudice del rinvio chiede se le disposizioni di cui agli artt. 3, 4, n. 1, e 15, secondo comma, lett. b), della direttiva 2002/46 siano invalide per violazione dell’art. 6, n. 2, UE, letto alla luce dell’art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la «CEDU»), e dell’art. 1 del Protocollo addizionale alla detta Convenzione, nonché del diritto fondamentale alla proprietà e/o del diritto all’esercizio di un’attività economica.

121   Nelle due controversie, le ricorrenti in sede nazionale asseriscono che tale violazione sussiste. Esse sostengono che la direttiva 2002/46 compromette in modo ingiustificato e sproporzionato la capacità dei produttori di integratori alimentari di svolgere la loro attività, finora esercitata in piena legalità, nonché il diritto individuale alla libera scelta dei prodotti alimentari.

122   Al riguardo, occorre in primo luogo ricordare che, ai sensi dell’art. 6, n. 2, UE, «[l’]Unione rispetta i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla [CEDU] e quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, in quanto principi generali del diritto comunitario».

123   L’art. 8 della CEDU, intitolato «Diritto al rispetto della vita privata e familiare», dispone, al n. 1, che «ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza» e, al n. 2, che «non può esservi ingerenza della pubblica autorità nell’esercizio di tale diritto se non in quanto tale ingerenza sia prevista dalla legge e in quanto costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria per la sicurezza nazionale, l’ordine pubblico, il benessere economico del paese, la prevenzione dei reati, la protezione della salute o della morale, o la protezione dei diritti e delle libertà altrui».

124   Orbene non si può ritenere che il fatto che le disposizioni di cui agli artt. 3, 4, n. 1, e 15, secondo comma, lett. b), della direttiva 2002/46 possano privare talune persone del diritto a consumare integratori alimentari non conformi alla detta direttiva possa pregiudicare il rispetto della vita privata e familiare delle dette persone.

125   L’art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU, intitolato «Protezione della proprietà», enuncia quanto segue:

«Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per motivi di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.

Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di mettere in vigore le leggi da essi ritenute necessarie a disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o a assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende».

126   Deriva da costante giurisprudenza che sia il diritto di proprietà, cui si riferiscono le disposizioni riportate al punto precedente, che la libertà di esercizio delle attività economiche fanno parte dei principi generali del diritto comunitario. Detti principi non costituiscono tuttavia prerogative assolute, ma vanno considerati alla luce della loro funzione sociale. Ne consegue che possono essere apportate restrizioni all’uso del diritto di proprietà nonché al libero esercizio di un’attività economica, a condizione che tali restrizioni rispondano effettivamente ad obiettivi di interesse generale perseguiti dalla Comunità e non costituiscano, rispetto allo scopo perseguito, un intervento sproporzionato e inaccettabile, tale da ledere la sostanza stessa dei diritti così garantiti (v., in particolare, sentenze 11 luglio 1989, causa 265/87, Schräder, Racc. pag. 2237, punto 15, e 28 aprile 1998, causa C‑200/96, Metronome Musik, Racc. pag. I-1953, punto 21).

127   Nel caso specifico, è vero che il divieto di commercializzare e di immettere sul mercato comunitario integratori alimentari non conformi alla direttiva 2002/46 può restringere il libero esercizio dell’attività economica dei fabbricanti di questi prodotti.

128   Tuttavia, il diritto di proprietà degli operatori non è messo in discussione dall’introduzione di una siffatta misura. Infatti, nessun operatore economico può rivendicare un diritto di proprietà su una quota di mercato, anche se da esso detenuta in un momento precedente l’introduzione di una misura relativa al mercato in parola, dato che tale quota di mercato costituisce soltanto una posizione economica temporanea, esposta all’alea di un mutamento di circostanze (sentenze 5 ottobre 1994, causa C-280/93, Germania/Consiglio, Racc. pag. I-4973, punto 79, e Swedish Match, citata, punto 73). Né un operatore economico può vantare un diritto quesito o anche solo un legittimo affidamento sulla conservazione di una situazione in atto che può essere modificata da decisioni adottate dalle istituzioni comunitarie nell’ambito del loro potere discrezionale (v. sentenza 28 ottobre 1982, causa 52/81, Faust/Commissione, Racc. pag. 3745, punto 27, e Swedish Match, citata, punto 73).

129   Come si è detto in precedenza, il divieto derivante dalle disposizioni di cui agli artt. 3, 4, n. 1, e 15, secondo comma, lett. b), della direttiva 2002/46 mira alla protezione della salute delle persone, che è obiettivo d’interesse generale. Orbene, non sembra che simile divieto presenti un carattere inadeguato al detto obiettivo. Ciò posto, non si può ritenere che l’ostacolo al libero esercizio di un’attività economica che la detta misura comporta pregiudichi in modo sproporzionato rispetto allo scopo perseguito il diritto all’esercizio di tale libertà o il diritto di proprietà.

130   Ne deriva che le disposizioni di cui agli artt. 3, 4, n. 1, e 15, secondo comma, lett. b), della direttiva 2002/46 non sono invalide per violazione dell’art. 6, n. 2, UE, letto alla luce dell’art. 8 della CEDU e dell’art. 1 del Protocollo addizionale alla detta Convenzione, del diritto fondamentale di proprietà e del diritto ad esercitare un’attività economica.

 Sulla lett. g) della questione

131   Con la lett. g) della questione, il giudice del rinvio chiede se le disposizioni di cui agli artt. 3, 4, n. 1, e 15, secondo comma, lett. b), della direttiva 2002/46 siano invalide per violazione dell’obbligo di motivazione previsto all’art. 253 CE.

132   Le ricorrenti in sede nazionale nella causa C-154/04 sostengono che il divieto derivante da queste disposizioni non è motivato, il che costituisce, a loro avviso, una violazione dell’art. 253 CE.

133   Al riguardo, occorre ricordare che, anche se la motivazione richiesta dall’art. 253 CE deve far apparire in maniera chiara e inequivocabile l’iter logico seguito dall’istituzione comunitaria da cui promana l’atto controverso, onde consentire agli interessati di conoscere le ragioni del provvedimento adottato e alla Corte di esercitare il proprio controllo, tuttavia non si richiede che la motivazione contenga tutti gli elementi di fatto e di diritto pertinenti (v., in particolare, sentenza 29 febbraio 1996, causa C-122/94, Commissione/Consiglio, Racc. pag. I-881, punto 29).

134   L’adempimento dell’obbligo di motivazione va peraltro valutato con riferimento non solo al testo dell’atto criticato, ma anche al contesto di quest’ultimo e all’insieme delle norme giuridiche che disciplinano in concreto la materia. Se l’atto contestato fa emergere, nelle linee essenziali, lo scopo perseguito dall’istituzione, è superfluo esigere una motivazione specifica per ciascuna delle scelte tecniche da essa operate (v., in particolare, sentenza 5 luglio 2001, causa C‑100/99, Italia/Consiglio e Commissione, Racc. pag. I-5217, punto 64).

135   Nel caso specifico, il nono ‘considerando’ della direttiva 2002/46 permette di comprendere che le vitamine e i minerali colpiti dal divieto sono quelli che non sono normalmente presenti nella dieta e che non vengono consumati in tale contesto.

136   Con riferimento alle sostanze vitaminiche o minerali esistenti colpite dal divieto, risulta chiaramente dal decimo e dall’undicesimo ‘considerando’ della direttiva 2002/46 che tale misura è legata all’intento generale, espresso al quinto ‘considerando’ della medesima direttiva, di assicurare un elevato livello di protezione dei consumatori autorizzando l’immissione sul mercato dei soli prodotti che non presentino rischi per la salute delle persone e che essa si spiega con il fatto che le sostanze in questione, al momento dell’adozione della detta direttiva, non avevano costituito oggetto di una valutazione da parte del comitato scientifico per l’alimentazione umana alla stregua dei criteri di sicurezza e di biodisponibilità in base ai quali è stato definito il contenuto dell’elenco dei componenti consentiti di cui all’allegato II della direttiva.

137   Ne consegue che le disposizioni di cui agli artt. 3, 4, n. 1, e 15, secondo comma, lett. b), della direttiva 2002/46 non sono invalide per violazione dell’obbligo di motivazione previsto all’art. 253 CE.

138   Visto l’insieme delle considerazioni che precedono, occorre risolvere la questione sollevata dichiarando che l’analisi di quest’ultima non ha rivelato alcun elemento tale da pregiudicare la validità delle disposizioni di cui agli artt. 3, 4, n. 1, e 15, secondo comma, lett. b), della direttiva 2002/46.

 Sulle spese

139   Nei confronti delle parti nella causa principale, il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:

L’analisi della questione sollevata non ha rivelato alcun elemento tale da pregiudicare la validità delle disposizioni di cui agli artt. 3, 4, n. 1, e 15, secondo comma, lett. b), della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 10 giugno 2002, 2002/46/CE, per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative agli integratori alimentari.

Firme


* Lingua processuale: l’inglese.

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