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Document 61997CJ0185

Sentenza della Corte del 22 settembre 1998.
Belinda Jane Coote contro Granada Hospitality Ltd.
Domanda di pronuncia pregiudiziale: Employment Appeal Tribunal, London - Regno Unito.
Direttiva del Consiglio 76/207/CEE - Rifiuto del datore di lavoro di fornire referenze a un ex dipendente licenziato.
Causa C-185/97.

Raccolta della Giurisprudenza 1998 I-05199

ECLI identifier: ECLI:EU:C:1998:424

61997J0185

Sentenza della Corte del 22 settembre 1998. - Belinda Jane Coote contro Granada Hospitality Ltd. - Domanda di pronuncia pregiudiziale: Employment Appeal Tribunal, London - Regno Unito. - Direttiva del Consiglio 76/207/CEE - Rifiuto del datore di lavoro di fornire referenze a un ex dipendente licenziato. - Causa C-185/97.

raccolta della giurisprudenza 1998 pagina I-05199


Massima
Parti
Motivazione della sentenza
Decisione relativa alle spese
Dispositivo

Parole chiave


1 Atti delle istituzioni - Direttive - Attuazione da parte degli Stati membri - Necessità di garantire l'efficacia delle direttive - Obblighi dei giudici nazionali

(Trattato CE, artt. 5 e 189, terzo comma)

2 Politica sociale - Lavoratori di sesso maschile e lavoratori di sesso femminile - Accesso al lavoro e condizioni di lavoro - Parità di trattamento - Direttiva 76/207 - Rifiuto del datore di lavoro di fornire referenze dopo la cessazione del rapporto di lavoro - Principio del controllo giurisdizionale effettivo - Portata

(Direttiva del Consiglio 76/207/CEE, art. 6)

Massima


1 L'obbligo degli Stati membri, derivante da una direttiva, di conseguire il risultato da questa contemplato, come pure l'obbligo loro imposto dall'art. 5 del Trattato di adottare tutti i provvedimenti generali o particolari atti a garantire l'adempimento di tale obbligo, valgono per tutti gli organi degli Stati membri, ivi compresi, nell'ambito di loro competenza, quelli giurisdizionali. Nell'applicare il diritto nazionale, e in particolare le disposizioni di una legge introdotte espressamente al fine di attuare una direttiva, il giudice nazionale deve interpretare il proprio diritto per quanto possibile alla luce della lettera e dello scopo della direttiva, onde conseguire il risultato perseguito dall'art. 189, terzo comma, del Trattato.

2 L'art. 6 della direttiva 76/207, relativa all'attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l'accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro, impone agli Stati membri di introdurre nei rispettivi ordinamenti giuridici interni le misure necessarie per garantire la tutela giurisdizionale del lavoratore il cui datore di lavoro rifiuti, dopo la cessazione del rapporto di lavoro, di fornire referenze come reazione ad un'azione giudiziaria proposta al fine di far rispettare il principio della parità di trattamento ai sensi della stessa direttiva.

Il principio del controllo giurisdizionale effettivo sancito dall'art. 6, sul quale si fondano le tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri e che è del pari sancito dall'art. 6 della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, sarebbe privato del nucleo essenziale della sua efficacia se la tutela che esso conferisce non includesse quei provvedimenti che il datore di lavoro potrebbe essere indotto ad adottare come reazione ad un'azione giudiziaria promossa da un dipendente al fine di ottenere il rispetto del principio della parità di trattamento. Infatti, il timore di siffatti provvedimenti, contro i quali non sarebbe esperibile alcun ricorso, rischierebbe di dissuadere i lavoratori che si ritengano vittime di una discriminazione dal far valere i loro diritti in sede giurisdizionale e, pertanto, potrebbe compromettere gravemente la realizzazione dell'obiettivo perseguito dalla direttiva.

Parti


Nel procedimento C-185/97,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, a norma dell'art. 177 del Trattato CE, dall'Employment Appeal Tribunal di Londra nella causa dinanzi ad esso pendente tra

Belinda Jane Coote

e

Granada Hospitality Ltd,

domanda vertente sull'interpretazione della direttiva del Consiglio 9 febbraio 1976, 76/207/CEE, relativa all'attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l' accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro (GU L 39, pag. 40),

LA CORTE,

composta dai signori G.C. Rodríguez Iglesias, presidente, H. Ragnemalm e R. Schintgen, presidenti di sezione, G.F. Mancini, J.C. Moitinho de Almeida (relatore), J.L. Murray, D.A.O. Edward, J.-P. Puissochet, G. Hirsch, P. Jann e K.M. Ioannou, giudici,

avvocato generale: J. Mischo

cancelliere: signora D. Louterman-Hubeau, amministratore principale

viste le osservazioni scritte presentate:

- per la signora Coote, dalla signora Dinah Rose, Barrister, su incarico della signora Pauline Matthews, Principal Legal Officer della Equal Opportunities Commission,

- per il governo del Regno Unito, dalla signora Lindsey Nicoll, del Treasury Solicitor's Department, in qualità di agente, assistita dalla signora Sarah Moore, Barrister,

- per la Commissione delle Comunità europee, dalla signora Marie Wolfcarius e dal signor Xavier Lewis, membri del servizio giuridico, in qualità di agenti,$

vista la relazione d'udienza,

sentite le osservazioni orali della signora Coote, del governo del Regno Unito e della Commissione, all'udienza del 19 febbraio 1998,

sentite le conclusioni dell'avvocato generale, presentate all'udienza del 2 aprile 1998,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

Motivazione della sentenza


1 Con ordinanza 20 novembre 1996, pervenuta in cancelleria il 12 maggio 1997, l'Employment Appeal Tribunal di Londra ha sottoposto a questa Corte, ai sensi dell'art. 177 del Trattato CE, due questioni pregiudiziali vertenti sull'interpretazione della direttiva del Consiglio 9 febbraio 1976, 76/207/CEE, relativa all' attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l' accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro (GU L 39, pag. 40; in prosieguo: la «direttiva»).

2 Le questioni sono sorte nell'ambito di una controversia tra la signora Coote e il suo ex datore di lavoro, la Granada Hospitality Ltd (in prosieguo: la «Granada»), in merito al diniego di quest'ultimo di fornire referenze ai potenziali datori di lavoro della signora Coote.

La direttiva

3 Conformemente al suo art. 1, n. 1, scopo della direttiva è «l'attuazione negli Stati membri del principio della parità di trattamento fra uomini e donne per quanto riguarda l'accesso al lavoro, ivi compresa la promozione, e l'accesso alla formazione professionale, nonché le condizioni di lavoro e, alle condizioni di cui al paragrafo 2, la sicurezza sociale. Tale principio è denominato qui appresso "principio della parità di trattamento" ».

4 L'art. 5, n. 1, della direttiva dispone quanto segue:

«L'applicazione del principio della parità di trattamento per quanto riguarda le condizioni di lavoro, comprese le condizioni inerenti al licenziamento, implica che siano garantite agli uomini e alle donne le medesime condizioni, senza discriminazioni fondate sul sesso».

5 Ai sensi dell'art. 6 della direttiva, «gli Stati membri introducono nei rispettivi ordinamenti giuridici interni le misure necessarie per permettere a tutti coloro che si ritengano lesi dalla mancata applicazione nei loro confronti del principio della parità di trattamento, ai sensi degli articoli 3, 4 e 5, di far valere i propri diritti per via giudiziaria, eventualmente dopo aver fatto ricorso ad altre istanze competenti».

6 A norma dell'art. 7 della direttiva, «gli Stati membri adottano le misure necessarie per proteggere i lavoratori contro i licenziamenti che rappresentino una reazione del datore di lavoro ad una rimostranza presentata a livello aziendale o ad un'azione giudiziaria volta a far osservare il principio della parità di trattamento».

La normativa nazionale

7 Il Sex Discrimination Act (legge britannica relativa alla discriminazione fondata sul sesso, in prosieguo: il «SDA»), che ha trasposto nel diritto britannico le norme della direttiva, all'art. 4 prevede quanto segue:

«1) Un soggetto (l'"autore della discriminazione") ne discrimina un altro (la "vittima") in qualsiasi situazione rilevante ai fini di una norma della presente legge quando tratta la vittima in modo meno favorevole di come tratti o tratterebbe un'altra persona nella stessa situazione, e ciò perché la vittima ha:

a) promosso un procedimento ai sensi della presente legge o dell'Equal Pay Act 1970 (legge britannica sulla parità di retribuzione) contro l'autore della discriminazione o contro chiunque altro, o

(...)».

8 L'atto discriminatorio è illecito soltanto qualora sia commesso in uno dei casi previsti ai capitoli II e IV del SDA; il capitolo II riguarda la discriminazione perpetrata nell'ambito di un rapporto di lavoro. In proposito l'art. 6 dispone:

«1. E' vietato a qualunque datore di lavoro che assume personale per una sede in Gran Bretagna operare una discriminazione nei confronti di una donna:

a) con riferimento alle disposizioni volte a determinare a chi il posto debba essere offerto, o

b) nei termini in cui l'offerta viene formulata alla donna, o

c) rifiutando o omettendo volontariamente di offrire il posto a una donna.

2. E' vietato a qualunque datore di lavoro discriminare una donna assunta in una sede di lavoro in Gran Bretagna:

a) nei modi in cui le viene consentito l'accesso a opportunità di promozione, trasferimento, formazione, o ad altri benefici, vantaggi o servizi, o rifiutando od omettendo volontariamente di consentirle l'accesso a tali opportunità, o

b) licenziandola o procurandole qualsiasi altro svantaggio».

La causa principale

9 Come risulta dall'ordinanza di rinvio, la signora Coote è stata impiegata presso la Granada dal dicembre 1992 al settembre 1993. Nel 1993 ha promosso contro la Granada un'azione per discriminazione fondata sul sesso, allegando di essere stata licenziata a causa della sua gravidanza. La lite è stata oggetto di una transazione, e il rapporto di lavoro della signora Coote con la Granada si è concluso di comune accordo il 7 settembre 1993.

10 Nel luglio 1994 la signora Coote, alla ricerca di un nuovo impiego, si è rivolta a due agenzie di collocamento. Essa ritiene che le difficoltà incontrate nel trovare un nuovo posto di lavoro siano dovute al fatto che la Granada non ha fornito referenze a una di tali agenzie, cosa che la Granada, dal canto suo, contesta.

11 La signora Coote ha allora nuovamente proposto ricorso contro la Granada dinanzi all'Industrial Tribunal di Stratford, affermando di aver subito un pregiudizio a causa del rifiuto della Granada di fornire referenze all'agenzia di collocamento. A suo parere, il detto rifiuto costituiva una reazione all'azione giudiziaria precedentemente intentata contro il suo ex datore di lavoro.

12 Questo ricorso è stato respinto in quanto l'asserita discriminazione aveva avuto luogo dopo la fine del rapporto di lavoro con la Granada e, in ogni caso, il danno dedotto si era verificato dopo tale data. Secondo l'Industrial Tribunal, infatti, il SDA doveva essere interpretato nel senso che esso vieta soltanto le misure di ritorsione i cui effetti dannosi si manifestano nel corso del rapporto di lavoro. Il giudice di primo grado dichiarava di aver preso la detta decisione non senza rammarico, giacché essa lasciava l'interessata priva di vie di ricorso.

13 Avverso la detta sentenza la signora Coote ha proposto appello dinanzi all'Employment Appeal Tribunal. Nella sua ordinanza di rinvio tale giudice ricorda che, in forza dell'art. 4 dello SDA, vi è discriminazione, in particolare, qualora una persona sia trattata in modo meno favorevole delle altre perché ha promosso un'azione in forza dello SDA; peraltro, l'atto discriminatorio commesso dal datore di lavoro è illecito soltanto nelle circostanze previste al capitolo II del SDA.

14 Il giudice a quo precisa in proposito che è stato dichiarato che il Race Relations Act 1976 (legge del 1976 sui rapporti tra le razze) - contenente disposizioni analoghe agli artt. 4 e 6 del SDA - riguarda unicamente le discriminazioni perpetrate nel corso del rapporto di lavoro, cosicché esso non si estende ai casi in cui il datore di lavoro cagioni un danno a uno dei suoi ex dipendenti. L'Industrial Tribunal, nel respingere il ricorso della signora Coote, avrebbe applicato questa giurisprudenza.

15 Il giudice nazionale si chiede tuttavia se, alla luce della direttiva, il SDA - contrariamente a quanto avviene con il Race Relations Act - non debba essere interpretato nel senso che esso vieta non soltanto le misure di ritorsione che si traducono in un comportamento lesivo nel corso del rapporto di lavoro, bensì anche quelle che sono decise o che producono effetti lesivi dopo la fine del rapporto di lavoro.

16 In queste circostanze, l'Employment Appeal Tribunal ha deciso di sospendere il giudizio per sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1) Se la direttiva del Consiglio 76/207/CEE, relativa all'attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l'accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro, obblighi gli Stati membri a introdurre nei rispettivi ordinamenti nazionali le norme necessarie affinché la parte che si ritiene lesa possa agire in giudizio qualora ricorrano le seguenti circostanze:

i) l'attore sia stato dipendente del convenuto;

ii) nel corso del rapporto di lavoro, l'attore abbia promosso contro il convenuto un procedimento per discriminazione fondata sul sesso, conclusosi con una transazione;

iii) dopo il termine del rapporto di lavoro, l'attore abbia cercato senza successo un lavoro a tempo pieno;

iv) il convenuto abbia causato, o contribuito a causare, le difficoltà dell'attore nella ricerca di un lavoro rifiutando, quando richiesto, di fornire referenze a potenziali datori di lavoro;

v) il datore di lavoro abbia deciso di rifiutare le referenze quando il rapporto di lavoro dell'attore era già terminato;

vi) il solo o il principale motivo del rifiuto da parte del datore di lavoro di fornire all'attore le referenze consista nel fatto che quest'ultimo aveva promosso un procedimento contro il convenuto per discriminazione fondata sul sesso.

2) Se la direttiva del Consiglio 76/207/CEE, relativa all'attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l'accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro, obblighi gli Stati membri a introdurre nei rispettivi ordinamenti nazionali le norme necessarie affinché una persona possa agire in giudizio ove ricorrano le circostanze sub 1) salvo che:

i) il convenuto abbia deciso di rifiutare le referenze quando il rapporto di lavoro dell'attore non era ancora terminato; ma

ii) le referenze sono state effettivamente rifiutate quando il rapporto di lavoro dell'attore era già terminato».

17 Occorre precisare anzitutto che, conformemente a una giurisprudenza costante a partire dalla sentenza 26 febbraio 1986, causa 152/84, Marshall ((Racc. pag. 723, punto 48), una direttiva non può di per sé creare obblighi a carico di un singolo, nella fattispecie di un datore di lavoro, e non può quindi essere fatta valere in quanto tale nei confronti dello stesso.

18 Tuttavia risulta anche, da una giurisprudenza costante fin dalla sentenza 10 aprile 1984, causa 14/83, Von Colson e Kamann (Racc. pag. 1891, punto 26), che l'obbligo degli Stati membri, derivante da una direttiva, di conseguire il risultato da questa contemplato, come pure l'obbligo loro imposto dall'art. 5 del Trattato di adottare tutti i provvedimenti generali o particolari atti a garantire l'adempimento di tale obbligo, valgono per tutti gli organi degli Stati membri, ivi compresi, nell'ambito di loro competenza, quelli giurisdizionali. Come si evince dalle sentenze della Corte 13 novembre 1990, causa C-106/89, Marleasing (Racc. pag. I-4135, punto 8), e 16 dicembre 1993, causa C-334/92, Wagner Miret (Racc. pag. I-6911, punti 20 e 21), nell'applicare il diritto nazionale, e in particolare le disposizioni di una legge che, come nella fattispecie, sono state introdotte espressamente al fine di attuare una direttiva, il giudice nazionale deve interpretare il proprio diritto nazionale quanto più possibile alla luce della lettera e dello scopo della direttiva, onde conseguire il risultato perseguito dall'art. 189, terzo comma, del Trattato.

19 Ciò considerato, le questioni pregiudiziali vanno intese nel senso che il giudice nazionale vuol sapere, ai fini dell'interpretazione delle disposizioni nazionali di trasposizione della direttiva, se essa imponga agli Stati membri di introdurre nel loro ordinamento giuridico interno i provvedimenti necessari a garantire una tutela giurisdizionale al lavoratore il cui datore di lavoro rifiuti, dopo la cessazione del rapporto di lavoro, di fornire referenze, come reazione a un'azione giudiziaria promossa per far rispettare il principio della parità di trattamento ai sensi della direttiva.

20 Si deve ricordare in proposito che l'art. 6 della direttiva impone agli Stati membri di introdurre nei rispettivi ordinamenti giuridici interni le misure necessarie per permettere a chiunque si ritenga leso da una discriminazione di «far valere i propri diritti per via giudiziaria». Ne deriva che gli Stati membri sono tenuti ad adottare provvedimenti sufficientemente efficaci per raggiungere lo scopo della direttiva e a garantire che i diritti in tal modo attribuiti possano essere effettivamente fatti valere dagli interessati dinanzi ai giudici nazionali (v., in particolare, sentenze Von Colson e Kamann, citata, punto 18; 15 maggio 1986, causa 222/84, Johnston, Racc. pag. 1651, punto 17, e 2 agosto 1993, causa C-271/91, Marshall, Racc. pag. I-4367, punto 22).

21 Il sindacato giurisdizionale che tale articolo vuole sia garantito costituisce espressione di un principio giuridico generale su cui sono basate le tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, principio del pari sancito dall'art. 6 della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, stipulata il 4 novembre 1950 (v. in particolare sentenza Johnston, citata, punto 18).

22 A norma dell'art. 6 della direttiva, interpretato alla luce del predetto principio generale, qualsiasi persona ha il diritto di esperire un ricorso effettivo dinanzi a un giudice competente avverso gli atti che essa ritenga contrastanti col principio della parità di trattamento fra uomini e donne stabilito dalla direttiva. Tocca agli Stati membri garantire un sindacato giurisdizionale effettivo sul rispetto delle vigenti disposizioni del diritto comunitario e della normativa nazionale destinata ad attuare i diritti sanciti dalla direttiva (sentenza Johnston, citata, punto 19).

23 Come la Corte ha altresì precisato (sentenza 2 agosto 1993, Marshall, citata, punto 34), l'art. 6 della direttiva è elemento essenziale per conseguire lo scopo fondamentale della parità di trattamento tra uomini e donne, che, come risulta da una consolidata giurisprudenza (v., in particolare, sentenza 30 aprile 1996, causa C-13/94, P./S., Racc. pag. I-2143, punto 19), costituisce uno dei diritti fondamentali della persona umana, di cui la Corte deve garantire l'osservanza.

24 Orbene, il principio di un controllo giurisdizionale effettivo sancito dall'art. 6 della direttiva sarebbe privato del nucleo essenziale della sua efficacia se la tutela che esso conferisce non includesse quei provvedimenti che, come nel caso di specie, il datore di lavoro potrebbe essere indotto ad adottare come reazione ad un'azione giudiziaria promossa da un dipendente al fine di ottenere il rispetto del principio della parità di trattamento. Infatti, il timore di siffatti provvedimenti, contro i quali non sarebbe esperibile alcun ricorso, rischierebbe di dissuadere i lavoratori che si ritengano vittime di una discriminazione dal far valere i loro diritti in sede giurisdizionale e, pertanto, potrebbe compromettere gravemente la realizzazione dell'obiettivo perseguito dalla direttiva.

25 Ciò considerato, va disatteso l'argomento del governo del Regno Unito secondo il quale i provvedimenti adottati dal datore di lavoro nei confronti del dipendente come reazione a un'azione giudiziaria promossa al fine di ottenere il rispetto del principio della parità di trattamento non rientrerebbero nell'ambito di applicazione della direttiva qualora i detti provvedimenti sopravvengano dopo la cessazione del rapporto di lavoro.

26 Vero è che, come sottolinea ancora il governo del Regno Unito, l'art. 7 della direttiva obbliga espressamente gli Stati membri ad adottare le misure necessarie per proteggere i lavoratori dal licenziamento disposto dal datore di lavoro come reazione a un'azione giudiziaria volta a far rispettare il principio della parità di trattamento.

27 Tuttavia, contrariamente a quanto sostiene lo stesso governo, alla luce dello scopo perseguito dalla direttiva - che è quello di pervenire a una effettiva parità di opportunità tra uomini e donne (sentenza 2 agosto 1993, Marshall, citata, punto 24) - e della natura fondamentale del diritto a una tutela giurisdizionale effettiva, non si può, in mancanza di una chiara indicazione in senso contrario, dedurre dall'art. 7 della direttiva l'intenzione del legislatore di limitare la tutela del lavoratore contro i provvedimenti decisi per ritorsione dal datore di lavoro al solo licenziamento, il quale, pur costituendo una misura di particolare gravità, non è peraltro l'unico provvedimento atto a dissuadere efficacemente il lavoratore dall'avvalersi del suo diritto alla tutela giurisdizionale. Tra queste misure dissuasive vanno annoverate, in particolare, quelle che, come nella fattispecie, sono adottate come reazione a un'azione promossa contro il datore di lavoro e sono volte ad ostacolare la ricerca di un nuovo posto di lavoro da parte del lavoratore licenziato.

28 Alla luce di quanto sopra, le questioni sollevate dal giudice nazionale devono essere risolte nel senso che l'art. 6 della direttiva impone agli Stati membri di introdurre nei rispettivi ordinamenti giuridici interni le misure necessarie per garantire la tutela giurisdizionale del lavoratore il cui datore di lavoro rifiuti, dopo la cessazione del rapporto di lavoro, di fornire referenze come reazione a un'azione giudiziaria proposta al fine di far rispettare il principio della parità di trattamento ai sensi della direttiva.

Decisione relativa alle spese


Sulle spese

29 Le spese sostenute dal governo del Regno Unito e dalla Commissione, che hanno presentato osservazioni alla Corte, non possono dar luogo a rifusione. Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese.

Dispositivo


Per questi motivi,

LA CORTE,

pronunciandosi sulle questioni sottopostele dall'Employment Appeal Tribunal di Londra con ordinanza 20 novembre 1996, dichiara:

L'art. 6 della direttiva del Consiglio 9 febbraio 1976, 76/207/CEE, relativa all'attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l'accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro, impone agli Stati membri di introdurre nei rispettivi ordinamenti giuridici interni le misure necessarie per garantire la tutela giurisdizionale del lavoratore il cui datore di lavoro rifiuti, dopo la cessazione del rapporto di lavoro, di fornire referenze come reazione a un'azione giudiziaria proposta al fine di far rispettare il principio della parità di trattamento ai sensi della stessa direttiva.

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