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Document 32008D0711

    2008/711/CE: Decisione della Commissione, dell’ 11 marzo 2008 , relativa all’aiuto di Stato C 15/07 (ex NN 20/07) cui l’Italia ha dato esecuzione, concernente incentivi fiscali a favore di taluni istituti di credito oggetto di riorganizzazione societaria [notificata con il numero C(2008) 869] (Testo rilevante ai fini del SEE)

    GU L 237 del 4.9.2008, p. 70–89 (BG, ES, CS, DA, DE, ET, EL, EN, FR, IT, LV, LT, HU, MT, NL, PL, PT, RO, SK, SL, FI, SV)

    Legal status of the document In force

    ELI: http://data.europa.eu/eli/dec/2008/711/oj

    4.9.2008   

    IT

    Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

    L 237/70


    DECISIONE DELLA COMMISSIONE

    dell’11 marzo 2008

    relativa all’aiuto di Stato C 15/07 (ex NN 20/07) cui l’Italia ha dato esecuzione, concernente incentivi fiscali a favore di taluni istituti di credito oggetto di riorganizzazione societaria

    [notificata con il numero C(2008) 869]

    (Il testo in lingua italiana è il solo facente fede)

    (Testo rilevante ai fini del SEE)

    (2008/711/CE)

    LA COMMISSIONE DELLE COMUNITÀ EUROPEE,

    visto il trattato che istituisce la Comunità europea, in particolare l’articolo 88, paragrafo 2, primo comma,

    visto l’accordo sullo Spazio economico europeo, in particolare l’articolo 62, paragrafo 1, lettera a),

    dopo avere invitato gli interessati a presentare osservazioni conformemente a detti articoli (1) e viste le osservazioni trasmesse,

    considerando quanto segue:

    1.   PROCEDIMENTO

    (1)

    Il 24 dicembre 2003 il parlamento italiano ha approvato la legge 24 dicembre 2003, n. 350 (legge 350/2003) (2), il cui articolo 2, comma 26, prevede uno speciale regime di riallineamento fiscale per i beni di taluni istituti di credito nati da o sottoposti a riorganizzazione ai sensi della precedente legge 30 luglio 1990, n. 218 (legge 218/1990) sulla privatizzazione degli istituti di credito di diritto pubblico in Italia.

    (2)

    Le autorità italiane non hanno notificato il regime alla Commissione ai fini del controllo degli aiuti di Stato ai sensi dell’articolo 88, paragrafo 3, del trattato CE. La Commissione ha tuttavia avviato un esame preliminare di detto regime.

    (3)

    Con lettera datata 26 settembre 2005 (D/57424) la Commissione ha chiesto alle autorità italiane di inviare tutte le informazioni pertinenti al fine di valutare la compatibilità del regime con le norme sugli aiuti di Stato e la sua legittimità in base all’obbligo, sancito dall’articolo 88, paragrafo 3, del trattato CE, di notificare preventivamente qualsiasi progetto di concessione di aiuti di Stato.

    (4)

    Con lettera datata 29 novembre 2005 (A/39913) l’Italia ha fornito le informazioni richieste.

    (5)

    Con lettera datata 31 marzo 2006 la Commissione ha chiesto ulteriori chiarimenti all’Italia riguardo all’eventuale equiparabilità del regime ad un aiuto di Stato e alla sua compatibilità con il mercato comune.

    (6)

    Con lettera datata 5 maggio 2006 (A/33466) l’Italia ha fornito le informazioni richieste.

    (7)

    Il 3 luglio 2006 la Commissione ha incontrato le autorità italiane per discutere del funzionamento e della giustificazione del regime fiscale in esame. Nel corso della riunione la Commissione ha preso nota delle spiegazioni fornite dalle autorità italiane, pur continuando a nutrire taluni dubbi sul regime di cui trattasi, afferenti alla sua eventuale equiparabilità ad un aiuto di Stato ed alla sua compatibilità con il mercato comune.

    (8)

    Con lettera datata 28 luglio 2006 (A/36106) le autorità italiane hanno trasmesso una sintesi delle informazioni presentate dall’Italia e dei chiarimenti forniti in occasione della riunione del 3 luglio 2006.

    (9)

    Con lettera datata 30 maggio 2007 (D/203295) la Commissione ha informato l’Italia della sua decisione di avviare il procedimento di cui all’articolo 88, paragrafo 2, del trattato CE in relazione alla misura di aiuto. Nella decisione, pubblicata nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea  (3), la Commissione ha invitato gli interessati a presentare le loro osservazioni in merito all’apertura del procedimento di indagine formale.

    (10)

    Con lettera datata 5 luglio 2007 (A/35808) le autorità italiane hanno presentato le loro osservazioni.

    (11)

    La Commissione ha inoltre ricevuto osservazioni dagli interessati, in particolare dal gruppo bancario Paribas, di cui fa parte la Banca Nazionale del Lavoro, e dal gruppo bancario UniCredit, di cui fanno parte Capitalia, la Banca di Roma e il Banco di Sicilia.

    (12)

    Con lettere datate, rispettivamente, 3 ottobre 2007 (D/53926) e 22 novembre 2007 (D/54681) la Commissione ha informato le autorità italiane delle osservazioni ricevute dagli interessati e ha chiesto all’Italia di presentare, a sua volta, le proprie osservazioni. Con lettere datate 5 novembre 2007 (A/39031) e 21 dicembre 2007 (A/40631) le autorità italiane hanno comunicato alla Commissione che non avevano altre osservazioni né ulteriori commenti da formulare.

    2.   DESCRIZIONE DETTAGLIATA DEL REGIME

    2.1.   Tassazione delle plusvalenze

    (13)

    Il sistema fiscale italiano condivide con quasi tutti i moderni ordinamenti tributari determinati principi di base della fiscalità delle società: l’imposizione sul reddito a livello delle società si applica alla maggior parte delle entità aventi personalità giuridica (principalmente le società commerciali), sebbene sia possibile applicare la trasparenza fiscale, obbligatoria o facoltativa, per quanto riguarda certe entità sprovviste di personalità giuridica nonché per alcuni tipi di società di persone. Gli azionisti della società oggetto dell’imposizione fiscale sono soggetti imponibili distinti dalla società partecipata e, in linea di principio, sono soggetti a imposta sulle plusvalenze e i dividendi ottenuti in relazione al capitale azionario posseduto, benché siano applicabili meccanismi per attenuare gli effetti della doppia imposizione dei proventi relativi alle partecipazioni possedute. Le plusvalenze societarie sono anche soggette a imposta quando sono realizzate e fiscalmente riconosciute. Gli interessi passivi della società sono, in linea di principio, detraibili, mentre non lo è il costo del capitale, il che si traduce in una singola tassazione esclusivamente a livello del detentore del debito (all’aliquota fiscale a livello del detentore del debito) sugli interessi percepiti, ed una doppia imposizione a livello di società e, perlomeno in linea di principio, dell’azionista sui dividendi relativi alle partecipazioni societarie possedute.

    (14)

    L’acquisizione di una partecipazione in una società da parte di un azionista non comporta modifiche della base fiscale nei beni della società. D’altra parte, la cessione di attivi di una società determina di regola una plusvalenza o una minusvalenza soggetta ad imposta a livello della società cedente. Dato che l’imposta su una cessione di beni viene di solito versata immediatamente, ma i vantaggi fiscali dell’incremento del valore dei beni ceduti si realizzano soltanto nel corso del tempo (ammortamenti periodici), una cessione di beni tassabile a livello della società determina in genere un aumento dell’imposta complessiva netta della società venditrice e della società acquirente.

    (15)

    La cessione di un attivo societario agli azionisti determina ugualmente l’imposizione fiscale della plusvalenza inerente al bene ceduto con un corrispondente aumento della base fiscale dell’attivo in questione ricevuto dagli azionisti, in particolare se questi ultimi sono delle società, dato che non si può registrare un incremento del valore di un bene senza che vi sia un riconoscimento fiscale della plusvalenza realizzata a livello della società stessa.

    2.2.   Rivalutazioni degli attivi e riallineamenti in generale

    (16)

    Una rivalutazione di beni societari è un’operazione contabile con la quale il valore contabile delle immobilizzazioni iscritte nel bilancio della società viene portato al valore corrente (essendo solitamente ammortizzabili, le immobilizzazioni riducono il loro valore contabile nel corso del tempo, mentre il loro valore di mercato può rimanere invariato e pertanto può risultare superiore al loro valore contabile residuo per effetto di apprezzamenti del loro valore nel corso del tempo). Dal momento che non si dovrebbe registrare un incremento del valore contabile degli attivi di una società senza un riconoscimento fiscale della plusvalenza realizzata a livello della società stessa, l’eccedenza prodotta dalla rivalutazione deve essere considerata un aumento del valore delle immobilizzazioni che si può ammortizzare alle stesse condizioni dei relativi beni. Inoltre, al momento della futura vendita di tali attivi (rivalutati), la plusvalenza realizzata sarà inferiore a causa della minore differenza tra il corrispettivo ricevuto per la vendita e il valore contabile degli attivi.

    (17)

    Le rivalutazioni sono operazioni contabili di tipo straordinario, in quanto la disciplina di bilancio è improntata a tradizionali criteri prudenziali, mentre le rivalutazioni si basano sul presupposto (eccezionale) che un determinato attivo valga di più di quanto sia stato pagato o del suo valore residuo. Tale presupposto può rivelarsi errato alla luce di futuri eventi sul mercato. Peraltro, i principi contabili introdotti recentemente (si tratta degli «international financing reporting standards» — cosiddetti principi IFRS), divenuti obbligatori in Italia per certe società ed in particolare per le banche, impongono la contabilizzazione delle immobilizzazioni societarie al valore equo, soprattutto per quanto riguarda gli strumenti finanziari (le relative plusvalenze e minusvalenze sono pertanto periodicamente registrate dal bilancio annuale). Inoltre, nell’ambito delle ristrutturazioni societarie gli attivi vengono scambiati al loro valore corrente (che è solitamente superiore al valore contabile iscritto in bilancio) ed i relativi aumenti di valore vengono contabilizzati di conseguenza.

    (18)

    Dal punto di vista dell’applicazione dell’imposta sulle società, le rivalutazioni del valore contabile degli attivi sono in linea di principio operazioni imponibili nella misura in cui si realizza una plusvalenza e si riconosce un aumento del valore fiscale delle relative immobilizzazioni. Le plusvalenze determinano un aumento del reddito imponibile e, di conseguenza, del debito d’imposta corrente dei beneficiari anche in mancanza del loro effettivo realizzo. Affinché non debba essere pagata l’imposta sulle società per plusvalenze non ancora realizzate, generalmente il sistema fiscale permette di congelare la plusvalenza fiscale continuando ad attribuire agli attivi il valore fiscale storico, inferiore rispetto al valore contabile. In tal caso, il beneficio contabile (ossia l’utile realizzato, ma non riconosciuto come reddito imponibile) viene differito fino al momento dell’effettivo realizzo della plusvalenza per esempio a seguito della vendita dei beni dietro pagamento.

    (19)

    L’utile contabile derivante dalla plusvalenza sospesa viene di norma contabilizzato ai fini fiscali in una riserva speciale, che rappresenta l’utile fiscalmente non riconosciuto. Fino a quando l’utile realizzato non viene riconosciuto ai fini fiscali, non vi è allineamento tra il valore contabile e il valore fiscale degli attivi. Il riallineamento costituisce pertanto un’operazione fiscale con la quale il valore fiscale viene adeguato al valore contabile degli attivi in questione e, di conseguenza, una plusvalenza viene riconosciuta dal punto di vista fiscale e soggetta ad imposta. L’utile contabile viene quindi svincolato dalla riserva speciale e registrato tra gli utili ordinari dell’esercizio, mentre i nuovi valori rivalutati diventano, di conseguenza, ammortizzabili dal punto di vista fiscale.

    (20)

    Va osservato tuttavia che le plusvalenze costituiscono forme di reddito particolari che, a differenza degli altri proventi dell’esercizio, riflettono un aumento dei valori economici delle immobilizzazioni maturato nel corso del tempo, mentre il suo riconoscimento fiscale è necessariamente un’operazione istantanea. Pertanto, oltre a essere differite fino al momento del riallineamento fiscale del valore degli attivi corrispondenti, le plusvalenze realizzate dalle società sono generalmente assoggettate ad un’imposta sostitutiva ridotta al posto della normale imposta sulle società. L’imposta ridotta costituisce un vantaggio, poiché la società interessata paga un’imposta sugli utili inferiore a quella ordinaria e può comunque distribuire tali utili tra gli azionisti sotto forma di dividendi, creando un eventuale diritto a crediti d’imposta o a esenzioni fiscali per le imposte sulle società già pagate. Dal punto di vista dell’applicazione delle regole in materia di aiuti di stato, il vantaggio fiscale derivante dall’imposta sostitutiva può essere giustificato dalla tecnica fiscale (4) alla luce della specificità delle plusvalenze rispetto agli utili ordinari d’esercizio.

    2.3.   Tassazione delle plusvalenze in vigore in Italia

    (21)

    Per descrivere le caratteristiche del regime in esame è necessario illustrare sinteticamente la normativa italiana che disciplina l’imposizione fiscale delle plusvalenze risultanti dai conferimenti di attivi a seguito di talune ristrutturazioni societarie del tipo previsto dalla legge 218/1990 per il sistema bancario italiano.

    (22)

    La legge 218/1990 ha introdotto — allo scopo di razionalizzare l’esercizio dell’attività bancaria in Italia — un regime speciale destinato ad agevolare il conferimento di immobilizzazioni ed altri attivi bancari o di rami di attività nel settore bancario, detenuti dagli enti creditizi pubblici locali, a istituti di credito privati di nuova istituzione o già esistenti (articolo 1 della legge 218/1990). Nel 1990 il conferimento di un ramo di attività era fiscalmente paragonata ad una vendita di attivi e, in quanto tale, avrebbe comportato il pagamento dell’imposta sulle società sulla differenza tra il valore corrente degli attivi conferiti e il valore fiscale di tali attivi, a norma dell’articolo 54, paragrafo 5, e dell’articolo 9 del Decreto del presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (DPR 917/1986) allora in vigore.

    (23)

    Per agevolare il conferimento degli attivi bancari l’articolo 7, comma 2, della legge 218/1990 ha previsto, tra l’altro, un regime fiscale derogatorio in forza del quale la plusvalenza realizzata dal conferimento di attivi a istituti di credito privati — nell’ambito di una riorganizzazione prevista dall’articolo 1 della medesima legge — in cambio delle azioni di detti istituti non è riconosciuta fiscalmente fino a quando non venga effettivamente realizzata con la cessione degli attivi oppure con la sua distribuzione sotto forma di dividendo agli azionisti (differimento del riconoscimento fiscale della plusvalenza).

    (24)

    Gli obiettivi della legge 218/1990 possono essere così riassunti:

    i)

    permettere agli enti pubblici che svolgono attività nel settore bancario (principalmente per l’erogazione di finanziamenti alla clientela) di assumere la forma giuridica di una società per azioni, ritenuta più adeguata per lo svolgimento di un’attività commerciale;

    ii)

    consentire a questi enti creditizi pubblici di ricapitalizzarsi attirando nuovi capitali dagli azionisti e consolidandosi;

    iii)

    garantire parità di condizioni tra enti creditizi pubblici e privati, riconoscendo a questi ultimi lo stesso privilegio della neutralità fiscale delle plusvalenze realizzate a seguito di riorganizzazioni societarie accordato in precedenza ai soli enti creditizi pubblici.

    (25)

    L’articolo 7, comma 2, della legge 218/1990 prevedeva che il 15 % delle plusvalenze realizzate all’atto dei conferimenti concorresse a formare il reddito imponibile dell’ente conferente (l’ente creditizio pubblico) e fosse assoggettato all’aliquota d’imposta ordinaria sulle società (all’epoca il 52,2 %, comprendente il 36 % a titolo di imposta sui redditi delle persone giuridiche IRPEG e il 16,2 % a titolo di imposta locale sui redditi ILOR). La legge stabiliva che la percentuale del 15 % della plusvalenza tassata potesse essere imputata ai singoli attivi — in quanto nuova base imponibile riconosciuta dalla banca conferitaria — oppure al valore di avviamento. La legge prevedeva inoltre che il valore fiscale degli attivi conferiti alla banca beneficiaria venisse attribuito nella contabilità di quest’ultima (valore fiscale trasferito) ed anche imputato quale valore delle azioni della banca ricevute dall’ente conferente (valore fiscale sostitutivo), fatta eccezione per la quota del 15 % di plusvalenza tassata che veniva riconosciuta quale incremento dei valori fiscali (trasferiti e sostitutivi).

    (26)

    Il regime prevedeva quindi in sostanza una neutralità fiscale parziale, in forza della quale il conferimento di un ramo di attività beneficiava di un differimento del pagamento dell’imposta sulle società, a condizione che i valori fiscali delle attività conferite venissero assegnati alle azioni ricevute dall’ente conferente e che la conferitaria attribuisse agli attivi ricevuti valore fiscale che essi avevano quando erano di proprietà del conferente. Un tale regime prevedeva il disallineamento tra i valori correnti degli attivi al momento del loro conferimento e quelli fiscali. A norma dell’articolo 7, comma 2, della legge 218/1990, sia l’ente conferitario che l’ente conferente erano tenuti ad allegare alla dichiarazione dei redditi un «prospetto di riconciliazione» nel quale dovevano rendere conto del disallineamento dei rispettivi valori fiscali con quelli contabili.

    (27)

    Con Decreto Legislativo 30 dicembre 1992, n. 544 (D.Lgs. 544/1992) l’Italia ha recepito nel suo ordinamento giuridico la direttiva 90/434/CEE («direttiva sulle fusioni») (5). Nella sua versione originale la direttiva sulle fusioni contempla le fusioni, le scissioni, i conferimenti di attivo e gli scambi di azioni concernenti società di Stati membri diversi che soddisfino i seguenti tre criteri: i) la società interessata deve assumere una delle forme elencate nell’allegato della direttiva; ii) deve avere il domicilio fiscale in uno Stato membro; e iii) deve essere assoggettata a una delle imposte sulle società vigenti negli Stati membri elencate all’articolo 3, lettera c), della direttiva.

    (28)

    La definizione di conferimento di attivo contenuta nella direttiva sulle fusioni è la seguente: l’operazione mediante la quale una società conferisce, senza essere sciolta, la totalità o uno o più rami della sua attività ad un’altra società, mediante consegna di titoli rappresentativi del capitale sociale della società beneficiaria del conferimento (può trattarsi di una controllata di nuova istituzione, la cui capitalizzazione iniziale consiste nelle azioni conferite, o di una società preesistente).

    (29)

    L’articolo 2, lettera i), della direttiva stabilisce che gli attivi conferiti rappresentino un ramo d’attività, cioè il complesso degli elementi attivi e passivi di un settore di una società che costituiscono, dal punto di vista organizzativo, un’azienda indipendente, cioè un complesso capace di funzionare con i propri mezzi. La Corte di giustizia ha chiarito in una recente sentenza (6) che, per rientrare nelle disposizioni della direttiva sulle fusioni, un conferimento di attivi deve comprendere l’intero complesso degli elementi attivi e passivi relativi a un ramo di attività. A norma della direttiva sulle fusioni, il corrispettivo del conferimento di attivi deve consistere esclusivamente in azioni, in quanto — a differenza di altre operazioni contemplate dalla direttiva stessa, quali le fusioni, le scissioni e gli scambi di azioni — in questo caso non è consentito di corrispondere alcun saldo in contanti in cambio del conferimento.

    (30)

    L’articolo 9 della direttiva sulle fusioni, con un rinvio all’articolo 4 della medesima direttiva, stabilisce che non possano essere applicate imposte sulle plusvalenze a livello della società conferitaria a seguito di un conferimento di attivi. La direttiva definisce le plusvalenze come risultanti dalla differenza totale tra il valore reale (il valore di mercato) degli elementi d’attivo e di passivo conferiti e il loro valore fiscale, a prescindere dalle specifiche regole per la definizione dei valori previste dalle normative nazionali. Questo trattamento preferenziale delle plusvalenze realizzate previsto dalla direttiva sulle fusioni — là dove essa riguarda i conferimenti tra società di Stati membri diversi — si basa sul criterio della «stabile organizzazione»: in altre parole, solo gli attivi che rimangono in una società avente domicilio fiscale nello Stato membro della società conferente o che sono effettivamente connessi alla stabile organizzazione della società beneficiaria, situata nello Stato membro della società conferente, possono beneficiare del differimento del pagamento d’imposta di cui all’articolo 4 della direttiva.

    (31)

    La direttiva prevede quindi un regime di neutralità fiscale o di differimento dell’imposta piuttosto che di esenzione fiscale, dato che lo Stato membro della società conferitaria conserva il diritto di tassare le plusvalenze realizzate all’atto del conferimento degli attivi al momento della futura cessione di questi ultimi. Per poter rimanere assoggettate ad imposta, le plusvalenze realizzate inerenti ai beni conferiti devono risultare nella contabilità fiscale della società beneficiaria: a tale scopo, tutti gli elementi di attivo e passivo conferiti devono essere registrati nella contabilità fiscale della società beneficiaria al loro ultimo valore del periodo immediatamente precedente al conferimento (valore fiscale trasferito). La società beneficiaria deve quindi rilevare la base imponibile della società conferente senza poter esercitare l’opzione di allineare tale base imponibile al valore equo di mercato. Pertanto, le disposizioni della direttiva sulle fusioni che prevedono un trattamento preferenziale per i conferimenti di attivi sono sostanzialmente simili a quelle di cui all’articolo 1 della citata legge 218/1990, tranne per il fatto che la direttiva non stabilisce delle norme per la valutazione delle azioni ricevute da parte della società conferitaria in cambio degli attivi, mentre il ricorso a valore fiscale sostitutivo è espressamente previsto dall’articolo 7, comma 2, della legge 218/1990: ne consegue, quindi, un sistema di duplice disallineamento.

    (32)

    Dal momento che le disposizioni della direttiva sulle fusioni contemplano soltanto le riorganizzazioni di società di Stati membri diversi — sistema recepito nell’ordinamento giuridico italiano con il D.Lgs. 544/1992 — l’Italia ha autonomamente esteso il regime di neutralità fiscale applicato alle riorganizzazioni societarie alle riorganizzazioni di società situate sul territorio nazionale. Col Decreto Legislativo 8 ottobre 1997, n. 358 (D.Lgs. 358/1997) l’Italia ha introdotto disposizioni fiscali generali per la riorganizzazione di società situate sul suo territorio, disposizioni applicabili anche nel caso in cui il conferimento di attivi assuma la forma del conferimento di un ramo di attività in cambio di azioni.

    (33)

    Il regime generale di imposizione fiscale delle plusvalenze risultanti da riorganizzazioni di società situate in Italia, e segnatamente risultanti dal conferimento di attivi, previsto dal D.Lgs. 358/1997 è basato su due sistemi alternativi.

    (34)

    Da un lato, l’articolo 3 del D.Lgs. 358/1997 prevede un regime opzionale di imposizione fiscale sostitutiva delle plusvalenze da conferimento di aziende o partecipazioni qualificate in cambio delle azioni di detta società. L’articolo 3 stabilisce, in primo luogo, che per la determinazione delle relative plusvalenze si debba calcolare la differenza tra il valore fiscale degli attivi conferiti — quando erano di proprietà della società conferente — e il valore attribuito nelle scritture contabili dalla società conferente alle azioni ricevute in cambio del conferimento oppure, se superiore, il valore attribuito nelle scritture contabili dalla società conferitaria al ramo di attività conferitole. L’articolo 3 prevede inoltre la possibilità di riconoscere fiscalmente le plusvalenze mediante il pagamento di un’imposta sostitutiva del 19 %. In base al nuovo regime, i valori contabili e fiscali, comprendenti le plusvalenze realizzate, vengono riconosciuti quali nuovi valori attribuiti agli attivi sia per la società conferente che per quella conferitaria, in modo da evitare il disallineamento tra il valore fiscale e il valore contabile (conferimento in regime di neutralità contabile).

    (35)

    Dall’altro lato, l’articolo 4 del D.Lgs. 358/1997 stabilisce che i soggetti partecipanti al conferimento possono optare per un regime di differimento del pagamento dell’imposta paragonabile a quello previsto dalla direttiva sulle fusioni. In base a tale regime, il conferimento degli attivi di un ramo di attività tra società situate sul territorio italiano è neutro dal punto di vista fiscale, vale a dire che le plusvalenze realizzate a seguito del conferimento di attivi in cambio di azioni non sono fiscalmente riconosciute, a condizione che il valore fiscale degli attivi conferiti venga assegnato alle azioni ricevute dalla società conferente e che agli attivi ricevuti venga trasferito il valore fiscale che essi possedevano quando erano di proprietà della conferente (conferimento in regime di neutralità fiscale).

    (36)

    Il sistema fiscale italiano dell’imposta sulle società è stato riformato in profondità nel 2003, nello stesso periodo in cui entrava in vigore (al 1o gennaio 2004) il regime di riallineamento previsto dalla legge 350/2003. La riforma è entrata in vigore con il Decreto Legislativo 12 dicembre 2003, n. 344 (D.Lgs. 344/2003) che, per quel che interessa nel presente procedimento, stabilisce quanto segue:

    i)

    l’abolizione dell’IRPEG (la precedente imposta sul reddito delle persone giuridiche) e l’introduzione di una nuova imposta sul reddito delle società, l’IRES, ad un’aliquota del 33 %, con la parallela abolizione della Dual Income Tax (DIT), la quale consisteva nell’applicazione di un’aliquota ridotta dell’IRPEG (al 19 %) alla quota del reddito imponibile reinvestito nella società;

    ii)

    l’abolizione del sistema di imputazione del credito d’imposta, in base al quale nel momento in cui erano distribuiti agli azionisti i dividendi venivano nuovamente tassati ma l’imposta sulle società pagata in Italia veniva detratta mediante imputazione di un credito d’imposta: tale sistema è stato sostituito da un regime di parziale esclusione da imposta applicabile sia ai dividendi nazionali che a quelli di fonte estera;

    iii)

    l’introduzione di un regime di esenzione delle partecipazioni per quanto riguarda le plusvalenze risultanti dalla vendita di partecipazioni qualificate e, in parallelo, la soppressione della possibilità di detrarre le svalutazioni contabili delle partecipazioni detenute;

    iv)

    l’abolizione dell’imposta sostitutiva del 19 % sulle plusvalenze risultanti da riorganizzazioni societarie a norma dell’articolo 3 del D.Lgs. 358/1997. Con l’abrogazione delle disposizioni di detto D.Lgs. 358/1997, il D.Lgs. 344/2003 ha introdotto il regime di neutralità fiscale per tutte le riorganizzazioni societarie, quali ad esempio le fusioni e le scissioni, nel Decreto del presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 e successive modifiche, — Testo unico delle imposte sui redditi (TUIR) — (articoli da 170 a 174). Tuttavia, i conferimenti di rami di attività e di partecipazioni azionarie qualificate non sono stati trasposti nel TUIR e successive modifiche, determinando quindi una disparità di trattamento tra i conferimenti di rami di attività assoggettati al regime di neutralità contabile, a norma dell’articolo 175 del DPR 917/1986 e successive modifiche, e le altre riorganizzazioni societarie disciplinate invece dal regime di neutralità fiscale.

    (37)

    In base alla riforma fiscale introdotta dal D.Lgs. 344/2003, tutte le riorganizzazioni tra società di Stati membri diversi seguitano ad essere sottoposte al regime di neutralità fiscale di cui alla direttiva sulle fusioni, che prevede la possibilità di realizzare un conferimento in regime di neutralità fiscale. La possibilità di applicare l’imposta sostitutiva del 19 % a norma dell’articolo 3 del D.Lgs. 358/1997 è stata abolita dal 1o gennaio 2004, mentre si è mantenuto il sistema di determinazione delle plusvalenze risultanti dal conferimento di rami di attività in regime di neutralità contabile. È stato altresì abolito il regime opzionale di differimento del pagamento dell’imposta previsto dall’articolo 4 del D.Lgs. 358/1997. In conseguenza della riforma sopra descritta, il regime di tassazione delle plusvalenze realizzate mediante la vendita o il conferimento di un ramo di attività è identico a quello previsto in caso di vendita dei singoli attivi.

    (38)

    In conclusione, stanti le disposizioni di legge all’epoca dell’approvazione della legge 350/2003, era pur sempre conveniente, dal punto di vista fiscale, conferire attivi mediante uno scambio di azioni piuttosto che venderli, in quanto la cessione di partecipazioni qualificate era esente da imposta, mentre la cessione degli attivi sottostanti era un’operazione assoggettata ad imposta.

    (39)

    La Commissione dopo aver illustrato il quadro complessivo definito dalla direttiva sulle fusioni e dal D.Lgs. 358/1997, può descrivere ed esaminare i diversi regimi di cui si avvalgono le società per rivalutare o riallineare il valore delle loro immobilizzazioni.

    2.4.   I riallineamenti ai sensi delle leggi 342/2000, 448/2001 e 350/2003

    (40)

    La legge 218/1990 riguardava la privatizzazione mediante trasformazioni e conferimenti di taluni istituti di credito di diritto pubblico (ai sensi dell’articolo 29 del Regio Decreto Legge 12 marzo 1936, n. 375, convertito dalla legge 7 marzo 1938, n. 141) in società per azioni operanti nel settore del credito (articolo 1 della legge 218/1990). Ai sensi dell’articolo 7, comma 2, della legge 218/1990, le plusvalenze realizzate attraverso il conferimento di attivi non sono riconosciute fiscalmente al fine di garantire la neutralità fiscale delle operazioni. Tuttavia, il 15 % di tali plusvalenze è riconosciuto e assoggettato all’aliquota d’imposta ordinaria sulle società all’epoca in vigore. Di conseguenza, il valore fiscale degli attivi conferiti ai sensi dell’articolo 7, comma 2, della legge 218/1990 è aumentato (riallineato) nella misura del 15 % della plusvalenza, mentre il restante 85 % della plusvalenza non è stato riconosciuto.

    (41)

    Il saldo risultante dalla differenza tra il valore fiscale delle azioni ricevute e degli attivi conferiti, da una parte, e il valore contabile di tali attivi (riallineati del solo nella misura del 15 %), dall’altra, corrispondeva ad una plusvalenza sospesa. Il riconoscimento della restante plusvalenza fiscale è stato espressamente differito fino all’eventuale realizzo a seguito di cessione degli attivi in questione o alla distribuzione agli azionisti, sotto forma di dividendi, della riserva contabile corrispondente alla plusvalenza non riconosciuta.

    (42)

    Pertanto, in base ai principi di contabilità fiscale di cui alla legge 218/1990, l’85 % del valore economico delle plusvalenze inerenti agli attivi scambiati nel corso delle riorganizzazioni contemplate dalla legge citata non è riconosciuto ai fini fiscali. Secondo le autorità italiane le operazioni di riorganizzazione degli istituti di credito in questione sono avvenute tra il 1990 e il 1995. Le plusvalenze realizzate all’epoca sono state congelate per tutta la durata degli anni successivi, e le società in questione sono state obbligate a registrare in un apposito prospetto allegato alle dichiarazioni dei redditi presentate i valori non allineati.

    (43)

    Ai sensi dell’articolo 17 della legge 21 novembre 2000, n. 342 (7) (legge 342/2000), alle società nate da una riorganizzazione di istituti di credito ai sensi della legge 218/1990 è stato concesso di riallineare i valori fiscali sospesi con quelli contabili realizzati mediante lo scambio di attivi nell’ambito di dette riorganizzazioni e ancora iscritti in bilancio al 31 dicembre 1999, a condizione che esse pagassero l’imposta sostitutiva sulle società pari al 19 % della plusvalenza al posto dell’aliquota globale del 42,4 % applicabile all’epoca (formata dall’imposta sulle società al 37 % e dall’imposta locale sulle attività produttive al 5,4 %). Il riallineamento era limitato all’85 % del valore non riconosciuto o sospeso della plusvalenza originaria.

    (44)

    Pagando l’imposta sulle plusvalenze del 19 %, sia le società che detenevano gli attivi bancari che le società che possedevano le azioni di dette società detentrici degli attivi potevano riallineare i valori fiscali, rispettivamente, degli attivi e delle azioni in questione. Qualora le azioni fossero state conferite a altre società o scambiate con quelle di altre società senza realizzazione in contanti, queste ultime potevano altresì riallineare il valore delle azioni scambiate.

    (45)

    L’imposta sulle plusvalenze era tuttavia ridotta al 15 % (al posto dell’imposta sostitutiva del 19 %) qualora l’istituto di credito avesse deciso di riallineare soltanto il valore fiscale dei suoi attivi invece di riallineare sia il valore degli attivi che quello delle azioni. In tal caso gli unici beneficiari del regime di riallineamento erano gli istituti di credito che detenevano gli attivi scambiati nei conferimenti originari.

    (46)

    In seguito al pagamento dell’imposta sulle plusvalenze, i beneficiari svincolavano le plusvalenze realizzate in occasione degli originari conferimenti (e conservate sotto forma di riserve di utili non distribuibili) e potevano distribuirle agli azionisti sotto forma di dividendi.

    (47)

    Parallelamente al riallineamento degli attivi e delle azioni scambiati nell’ambito delle riorganizzazioni del settore bancario descritte precedentemente, l’articolo 19 della legge 342/2000 stabiliva che la stessa imposta sostitutiva sulle plusvalenze potesse essere applicata alle società disposte a riallineare i valori fiscali degli attivi e delle azioni in loro possesso in seguito ad altre riorganizzazioni societarie che avevano beneficiato del regime di neutralità fiscale ai sensi del D.Lgs. 358/1997.

    (48)

    Il regime di cui all’articolo 19 (che prevedeva imposte sostitutive sulle plusvalenze del 19 % e del 15 % per i riallineamenti di attivi ed azioni) equiparava a tutti gli effetti il riconoscimento degli utili risultanti da riallineamenti fiscali in relazione a riorganizzazioni societarie attuate ai sensi del D.Lgs. n. 358/1997 al riconoscimento degli utili realizzati dagli istituti di credito ai sensi della legge 218/1990.

    (49)

    Inoltre, l’articolo 20 della legge 342/2000 fissava norme dettagliate per l’imposta sostitutiva sulle plusvalenze da pagare e per il relativo credito d’imposta a favore degli azionisti che ricevono dividendi risultanti dalle plusvalenze riconosciute.

    (50)

    La legge 28 dicembre 2001 n. 448 (legge 448/2001) ha prolungato i termini dei regimi di riallineamento previsti dalla legge 342/2000 per quanto riguardava gli attivi iscritti nei bilanci delle società e il cui valore non fosse ancora stato riallineato.

    (51)

    In particolare, l’articolo 3, comma 11, della legge 448/2001 ha previsto che il regime di riallineamento di cui agli articoli da 17 a 20 della legge 342/2000 si applicasse sia agli utili non riconosciuti relativi agli attivi e alle azioni derivanti da riorganizzazioni del settore bancario ai sensi della legge 218/1990, sia agli attivi derivanti da altre riorganizzazioni attuate ai sensi del D. Lgs. 358/1997 e ancora detenuti al 31 dicembre 2001. La legge 448/2001 stabiliva che le imposte sostitutive dovute per gli utili riconosciuti fossero fissate rispettivamente al 12 % in caso di duplice riallineamento (riallineamento sia degli attivi detenuti dalla società conferitaria che delle azioni ricevute dalla società che deteneva la partecipazione o conferente) e al 9 % in caso di riallineamento singolo (ossia limitato agli attivi detenuti dalla società conferitaria) al posto dell’imposta sulle società del 41 % applicabile al momento del riallineamento (formata dal 36 % di imposta sulle società più il 5 % di imposta locale sulle attività produttive).

    (52)

    Infine, l’articolo 2, comma 26, della legge 350/2003 ha stabilito che il regime di riallineamento previsto dall’articolo 17 della legge 342/2000 poteva essere applicato anche agli utili realizzati, ma non fiscalmente riconosciuti, relativi agli attivi interessati dalle riorganizzazioni del settore bancario ai sensi della legge 218/1990 e ancora risultanti dal bilancio relativo all’esercizio in corso alla data del 31 dicembre 2003. La legge 350/2003 ha stabilito che l’imposta sostitutiva sulle plusvalenze relative ai riallineamenti di tali utili ammontava al 12 % in caso di duplice riallineamento (riallineamento sia degli attivi detenuti dall’istituto di credito che delle azioni ricevute dalla conferente bancaria) e al 9 % in caso di riallineamento singolo (ossia limitato agli attivi detenuti dall’istituto di credito). L’articolo 26 della legge 350/2003 non ha previsto tuttavia alcun altro riallineamento di attivi in relazione a riorganizzazioni societarie generali ai sensi del D.Lgs. 358/1997.

    (53)

    In particolare, ai sensi dell’articolo 2, comma 26, della legge 350/2003, le plusvalenze storiche realizzate ai sensi della legge 218/1990 in relazione al conferimento di immobilizzazioni ed altri attivi bancari a istituti di credito privati di nuova istituzione o già esistenti in cambio di azioni di tali istituti potevano essere riconosciute fiscalmente mediante il pagamento di imposte sostitutive del 12 % o 9 % al posto dell’imposta sulle società del 37,25 % applicabile all’epoca (33 % di imposta sulle società più 4,25 % di imposta locale sulle attività produttive). La legge 350/2003 prevedeva inoltre che l’imposta sostitutiva dovesse essere versata in tre rate (50 % nel 2004, 25 % nel 2005 e 25 % nel 2006), senza pagamento di interessi.

    (54)

    In base alle informazioni fornite dalle autorità italiane, nove gruppi bancari hanno riallineato i propri attivi a norma dell’articolo 26, comma 26, della legge 350/2003 mediante il pagamento dell’imposta sostitutiva sulle plusvalenze del 9 % (riallineamento singolo). Le relative plusvalenze riconosciute ammontavano complessivamente a oltre 2 059 milioni di EUR. I nove beneficiari hanno versato un’imposta sostitutiva pari a 180 615 534 EUR. Per calcolare l’effettivo equivalente delle imposte ai fini degli aiuti di Stato, le rate da pagare nel 2005 e nel 2006 devono essere maggiorate del tasso di riferimento del 3,7 % per il recupero degli aiuti illegittimi previsto dal regolamento (CE) n. 794/2004 della Commissione (8). L’imposta effettivamente versata ammonta di conseguenza a 185 505 996 EUR (9), che rappresenta l’importo di riferimento per calcolare l’eventuale aiuto espresso in equivalente sovvenzione.

    (55)

    L’articolo 2, comma 25, della legge 350/2003 stabiliva che tutte le società soggette ad imposta potessero rivalutare i valori fiscali dei loro attivi esistenti al 31 dicembre 2002 per imputarli al loro valore effettivo del momento, mediante il versamento dell’imposta sostitutiva del 19 % in caso di rivalutazione di attivi ammortizzabili e del 15 % nel caso di attivi non ammortizzabili, pagabile in tre rate (50 % nel 2004, 25 % nel 2005 e 25 % nel 2006).

    (56)

    Come indicato precedentemente, le rivalutazioni sono operazioni straordinarie occasionalmente consentite da provvedimenti fiscali speciali per riconciliare il valore storico degli attivi con il loro valore corrente. La rivalutazione fiscale è diversa dal riallineamento, poiché nel primo caso il valore fiscale degli attivi di una società può essere allineato al valore di mercato al momento della rivalutazione, mentre nel secondo caso la plusvalenza fiscalmente riconosciuta non può superare il valore ottenuto in occasione di un precedente evento di realizzo, come ad esempio una riorganizzazione.

    3.   MOTIVAZIONI PER L’AVVIO DEL PROCEDIMENTO

    (57)

    Con la decisione del 30 maggio 2007 (10) la Commissione ha avviato il procedimento di indagine formale di cui all’articolo 88, paragrafo 2, del trattato CE in relazione al regime di riallineamento fiscale previsto dall’articolo 2, comma 26, della legge 350/2003, poiché tale regime sembrava soddisfare tutte le condizioni necessarie per essere considerato aiuto di Stato ai sensi dell’articolo 87, paragrafo 1 del trattato CE e, inoltre, la sua compatibilità con il mercato comune appariva dubbia in quanto non sembrava possibile applicare nessuna delle deroghe previste dall’articolo 87, paragrafi 2 e 3, del trattato CE.

    (58)

    In particolare, la Commissione ha ritenuto che l’articolo 2, comma 26, della legge 350/2003 conferisse un vantaggio finanziario, pari alla differenza tra l’imposta effettivamente versata nel 2004 per riallineare il valore degli attivi e l’imposta ordinaria dovuta se lo stesso riallineamento fosse stato eseguito in assenza delle disposizioni del medesimo articolo 2, comma 26, della legge 350/2003. L’aliquota ordinaria applicabile nel 2004 agli utili in questione sarebbe stata pari al 37,25 % (formata dall’imposta sulle società al 33 % e dall’imposta locale sulle attività produttive al 4,25 %), mentre l’imposta sostitutiva effettivamente corrisposta è stata del 9 %. Inoltre, ai sensi della legge 350/2003, l’imposta sostitutiva era versata in tre rate (50 % nel 2004, 25 % nel 2005 e 25 % nel 2006) senza interessi, mentre l’imposta applicabile in assenza delle disposizioni dell’articolo 2, comma 26, della legge 350/2003 sarebbe stata interamente dovuta nel 2004. La Commissione ha calcolato che il valore, convertito in equivalente sovvenzione, dell’imposta effettivamente pagata dai nove beneficiari del regime in esame ammontava a 185 505 996 EUR, mentre l’imposta ordinaria sarebbe stata di 771 991 022 EUR (37,25 % dell’utile realizzato, pari a oltre 2 059 milioni di EUR). La differenza tra l’imposta ordinaria e l’imposta effettivamente versata è quindi pari a 586 485 026 EUR.

    (59)

    La Commissione ha altresì ritenuto che, mentre i riallineamenti fiscali che sono andati a vantaggio dei beneficiari a norma delle citate leggi 342/2000 e 448/2001 costituivano delle semplici misure fiscali generali intese a garantire una tassazione equa delle plusvalenze realizzate, il riallineamento di cui all’articolo 2, comma 26, della legge 350/2003 era destinato esclusivamente alle banche oggetto delle riorganizzazioni disciplinate dalla legge 218/1990 e, pertanto, non poteva essere considerato una misura di carattere generale né garantiva parità di trattamento tra le plusvalenze in esame e quelle realizzate tramite altre comprabili riorganizzazioni societarie. Secondo la Commissione, inoltre, il fatto che alcune banche italiane avessero saldato il loro debito d’imposta relativo a plusvalenze non riconosciute iscritte nei loro bilanci attraverso il pagamento di un’imposta nominale (ridotta) avrebbe potuto renderle più interessanti per operazioni di acquisizione, provocando distorsioni nel mercato delle acquisizioni del settore bancario.

    (60)

    La Commissione ha quindi concluso che il regime in esame poteva costituire un aiuto di Stato incompatibile con il mercato comune e, di conseguenza, ha avviato il procedimento di cui all’articolo 88, paragrafo 2, del trattato CE. La Commissione ha fatto presente che, qualora alla chiusura del suddetto procedimento essa fosse giunta alla conclusione che il regime in esame costituiva un aiuto di Stato incompatibile, sarebbe stato necessario procedere al recupero, in conformità con l’articolo 14 del regolamento (CE) n. 659/1999 del Consiglio, del 22 marzo 1999, recante modalità di applicazione dell’articolo 93 del trattato CE (11). Tuttavia, alla luce della prassi relativa a taluni regimi di aiuti fiscali (12), il recupero avrebbe dovuto riguardare soltanto le imposte in difetto rispetto all’importo che il beneficiario del regime avrebbe pagato se si fosse avvalso di altri regimi fiscali disponibili all’epoca e a condizione che ciò non implicasse la ricostruzione di scelte meramente ipotetiche che avrebbero potuto essere fatte dai beneficiari del regime in questione (13). La Commissione ha invitato le autorità italiane e gli interessati a formulare le loro osservazioni in merito alla questione se il recupero dell’aiuto concesso illegalmente potesse essere limitato esclusivamente alla differenza tra l’imposta che sarebbe stata pagata a norma del regime di rivalutazione previsto dall’articolo 2, comma 25, della legge 350/2003 e l’imposta sostitutiva effettivamente pagata dagli istituti di credito beneficiari a norma del regime di riallineamento di cui all’articolo 2, comma 26, della medesima legge 350/2003.

    4.   OSSERVAZIONI DELL’ITALIA

    (61)

    Nelle osservazioni inviate le autorità italiane hanno in sostanza a) respinto l’equiparazione del regime in esame a un aiuto di Stato e b) fatto notare, in subordine, che l’eventuale vantaggio concesso era assai inferiore a quello calcolato dalla Commissione in via provvisoria ed era quindi da considerare esiguo («de minimis»).

    (62)

    L’Italia ha sostenuto in particolare che l’articolo 2, comma 25, della legge 350/2003 consentiva implicitamente a tutte le società che avessero preso parte a riorganizzazioni societarie di avvalersi della possibilità di riallineare il valore dei loro attivi. L’articolo 2, comma 25, della legge citata avrebbe — secondo le autorità italiane — generalizzato la possibilità di riallineare i valori fiscali a quelli contabili, mediante un riferimento implicito all’articolo 14 della legge 342/2000, che stabiliva il riconoscimento delle plusvalenze sospese a seguito di riorganizzazioni fiscalmente neutre e, pertanto, riguardava tutti i non allineamenti risultanti dalle riorganizzazioni societarie attuate a norma del D.Lgs. 358/1977.

    (63)

    Secondo l’Italia, era possibile avvalersi di questo regime generale di riallineamento, a norma dell’articolo 12 della legge 342/2000, mediante il versamento di un’imposta sostitutiva del 19 % in caso di rivalutazione di attivi ammortizzabili e del 15 % nel caso di attivi non ammortizzabili, pagabile in tre rate (50 % nel 2004, 25 % nel 2005 e 25 % nel 2006). Per le autorità italiane, quindi, il regime di cui all’articolo 2, comma 26, della legge 350/2003 avrebbe dovuto essere valutato alla luce del regime di riallineamento implicitamente introdotto dall’articolo 14 della legge 342/2000 piuttosto che confrontandolo con il regime generale di rivalutazione fiscale per le società di cui all’articolo 2, comma 25, della medesima legge 350/2003, come invece sostenuto dalla Commissione. Sia il regime implicito di riallineamento che quello esplicito di rivalutazione avrebbero, secondo l’Italia, previsto l’applicazione delle stesse imposte sostitutive alle aliquote del 19 % e del 15 % già descritte. Contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione nella decisione di apertura del procedimento di indagine formale, tuttavia, per le autorità italiane l’eventuale vantaggio conferito dall’articolo 2, comma 26, della legge 350/2003 sarebbe pari soltanto alla differenza tra l’imposta sostitutiva del 9 % versata dalle banche beneficiarie sui loro utili non riconosciuti e l’imposta del 15 % pagabile sugli stessi utili eventualmente realizzati da tutte le altre società ammissibili a beneficiare del riallineamento dei valori dei loro attivi. Questa differenza dovrebbe poi essere ulteriormente ridotta in considerazione del fatto che le banche beneficiarie avevano versato un’imposta relativamente più elevata sul 15 % delle plusvalenze originarie realizzate, a differenza di tutte le altre società che invece avevano potuto optare per il regime di totale neutralità fiscale previsto dal D.Lgs. 358/1997.

    (64)

    L’Italia ritiene inoltre che i riallineamenti disposti per le plusvalenze risultanti dalle riorganizzazioni del settore bancario attuate a norma della legge 218/1990 non possano essere paragonati a tutte le altre misure previste per il riconoscimento delle plusvalenze, per due ordini di motivi: anzitutto, perché le riorganizzazioni del settore bancario in questione erano, per la loro stessa natura, specifiche e quindi non paragonabili alle altre; e in secondo luogo, perché le misure fiscali destinate a differire il riconoscimento delle plusvalenze realizzate erano specificamente concepite per tali riorganizzazioni, in quanto prevedevano un regime di parziale neutralità fiscale tanto per l’ente conferente quanto per l’ente conferitario.

    (65)

    Quanto al carattere di unicità delle riorganizzazioni del settore bancario, le autorità italiane affermano che la misura ha riguardato esclusivamente alcune operazioni di riorganizzazione di istituti di credito attuate tra il 22 agosto 1990 e il 31 dicembre 1995, operazioni il cui obiettivo principale era la privatizzazione del settore degli istituti di credito di diritto pubblico in Italia. Si è ritenuto che la forma giuridica più adeguata che dovevano assumere gli istituti di credito di diritto pubblico in Italia fosse quella della società per azioni, perché in grado di garantire la nascita di gruppi bancari privati nel paese e di promuovere parità di condizioni con le altre banche nel mercato comune. A norma della legge 218/1990 le azioni degli ex istituti di credito di diritto pubblico sono state, a seguito della loro riorganizzazione, direttamente attribuite a società in cui era predominante o meno la proprietà pubblica oppure a fondazioni bancarie di nuova istituzione o ancora a fondazioni bancarie private preesistenti nelle quali la proprietà pubblica era ripartita tra diversi enti locali. Sia allo Stato che alle fondazioni era stato affidato l’incarico temporaneo di gestire e vendere progressivamente sul mercato le azioni di tali società neoistituite per consentire il consolidamento del settore bancario e la nascita in Italia di gruppi bancari.

    (66)

    La specifica natura del regime di neutralità fiscale per queste riorganizzazioni bancarie era giustificata dal fatto che all’epoca non esisteva un regime generale che garantisse la neutralità delle riorganizzazioni societarie e dei conferimenti di rami di attività. Il legislatore italiano intendeva agevolare la privatizzazione di alcuni istituti di credito di diritto pubblico ristrutturandoli e attribuendo loro la nuova forma giuridica di società per azioni di diritto privato, evitando però al tempo stesso di accordare vantaggi non necessari a questi stessi istituti. Al fine di prevenire distorsioni della concorrenza nei confronti di altri istituti di credito di diritto privato, il legislatore ha previsto a) una parziale neutralità fiscale sia per l’ente conferente che per l’ente conferitario (15 % delle plusvalenze realizzate veniva fiscalmente riconosciuto e tassato all’aliquota ordinaria dell’imposta pari all’epoca al 52,2 %); b) l’iscrizione delle plusvalenze non riconosciute in una riserva speciale in sospensione dell’imposta; e c) l’estensione dello stesso regime di parziale neutralità fiscale alle riorganizzazioni di istituti di credito non di diritto pubblico, per garantire parità di trattamento fiscale alle riorganizzazioni societarie a cui potevano prendere parte istituti di credito sia di diritto pubblico che di diritto privato.

    (67)

    Le autorità italiane concordano con le conclusioni della Commissione secondo cui i regimi di neutralità fiscale previsti dalla legge 218/1990 e dal D.Lgs. 358/1999 non costituiscono aiuti di Stato in quanto sono giustificati dalla logica intrinseca del sistema fiscale (punto 30 della decisione di apertura del procedimento di indagine formale). Ritengono tuttavia che, se per l’appunto tali conclusioni sono corrette, anche il regime di riallineamento fiscale previsto dall’articolo 2, comma 26, della legge 350/2003 non debba essere considerato un aiuto di Stato poiché costituisce il necessario complemento del regime di parziale neutralità fiscale previsto dall’articolo 7, comma 2, della legge 218/1990 e poiché, inoltre, si deve tener conto della specifica natura delle suddette riorganizzazioni del settore bancario.

    (68)

    L’Italia sottolinea come le uniche plusvalenze che potevano essere riallineate erano quelle storiche — derivanti dalle riorganizzazioni iniziali (attuate tra il 22 agosto 1990 e il 31 dicembre 1995) — che erano rimaste in seguito al riconoscimento e, quindi, all’assoggettamento a imposta del 15 % delle plusvalenze. L’applicazione di un’imposta sostitutiva ridotta sarebbe pienamente giustificata dalla specifica natura di tali plusvalenze, che non sono utili d’esercizio bensì utili realizzati negli anni precedenti, e in particolare dalla specifica natura delle riorganizzazioni del settore bancario disciplinate dalla legge 218/2000, in occasione delle quali è stata versata un’imposta del 52,2 % sul 15 % delle plusvalenze realizzate. Facendo una media tra l’aliquota fiscale applicata del 52,2 % e le aliquote del 9 % e del 12 % delle imposte sostitutive previste dall’articolo 2, comma 26, della legge 350/2003 sul rimanente 85 % delle plusvalenze, l’aliquota complessiva applicata sarebbe stata compresa tra il 15,48 % e il 17,85 %: aliquote cioè, secondo l’Italia, effettivamente comparabili a quelle del 15 % e del 19 % applicabili a norma del regime di riallineamento implicito previsto dalla legge 350/2003 nel caso, rispettivamente, degli attivi ammortizzabili e degli attivi non ammortizzabili di tutte le società.

    (69)

    Inoltre, le autorità italiane ritengono che il regime di riallineamento di cui all’articolo 2, comma 26, della legge 350/2003 sia meno flessibile in quanto dispone obbligatoriamente il riallineamento di tutte le plusvalenze rimanenti derivanti dalla riorganizzazione originaria, mentre il regime di riallineamento implicito di cui all’articolo 2, comma 25, della medesima legge prevede la possibilità di riallineare il valore dei singoli attivi che registrano un valore effettivo maggiore. Secondo l’Italia, una simile flessibilità sarebbe estremamente vantaggiosa per le società beneficiarie, dal momento che esse avrebbero potuto scegliere di riallineare soltanto gli attivi ammortizzabili e non quelli la cui vendita avrebbe prodotto utili comunque esenti da imposte. Ad esempio, a norma del citato regime di esenzione delle partecipazioni in vigore dal 1o gennaio 2004 la vendita di partecipazioni qualificate è esente da imposta al 95 % e, pertanto, a una società non converrebbe versare l’imposta per il riconoscimento di utili relativi ad attivi che sarebbero in ogni caso quasi totalmente esenti da imposta. Secondo le autorità italiane la differenza non è certamente di poco conto, dato che molti degli attivi storicamente conferiti negli anni ’90 agli istituti di credito di nuova istituzione erano costituiti da partecipazioni di società qualificate e pertanto quasi totalmente esenti da imposta in seguito alla riforma fiscale del 2003 descritta in precedenza.

    (70)

    Per finire, le autorità italiane ritengono che, quand’anche la Commissione pervenisse alla conclusione che l’aliquota dell’imposta pagata a norma dell’articolo 2, comma 26, della legge 350/2003 fosse più favorevole di quella applicabile a norma del regime «generale» di riallineamento previsto dall’articolo 2, comma 25, della medesima legge, la differenza di fatto sarebbe trascurabile e dovrebbe pertanto essere considerata un aiuto «de minimis».

    5.   OSSERVAZIONI DEGLI INTERESSATI

    (71)

    Nelle loro osservazioni gli interessati hanno avanzato una serie di argomenti intesi a respingere l’equiparabilità del regime di riallineamento fiscale in esame a un aiuto di Stato. Hanno sostenuto che si tratterebbe di una misura fiscale tecnica destinata a una situazione specifica, ossia a risolvere il problema del disallineamento di determinati valori fiscali non riconosciuti relativi ad attivi scambiati al momento in cui sono state attuate alcune riorganizzazioni societarie nel settore bancario; tale misura, inoltre, non conferirebbe neppure un vantaggio ai gruppi bancari in questione, in quanto comporterebbe in realtà il pagamento di oneri supplementari che, di regola, non devono versare le altre società che hanno preso parte a riorganizzazioni di tipo comparabile nel quadro del regime generale di neutralità fiscale previsto dal D.Lgs. 358/1997 e dalla direttiva sulle fusioni.

    (72)

    In sostanza, gli interessati affermano che il regime in esame non è selettivo, dal momento che è giustificato dalle caratteristiche specifiche del settore bancario e, in particolare, dalle caratteristiche specifiche delle riorganizzazioni degli istituti di credito in questione. Sempre secondo gli interessati, in alcune sue precedenti decisioni la Commissione avrebbe già considerato compatibile con il mercato comune il regime di parziale neutralità fiscale previsto dalla legge 218/1990, ad esempio nella decisione 2002/581/CE, dell’11 dicembre 2001, relativa al regime di aiuti di Stato cui l’Italia ha dato esecuzione in favore delle banche (14), decisione che rimanda a sua volta alla comunicazione della Commissione di apertura del procedimento di indagine formale in merito ad aiuti decisi dall’Italia a favore del Banco di Napoli (15).

    (73)

    Gli interessati affermano inoltre che gli istituti di credito oggetto delle riorganizzazioni in questione non hanno beneficiato di nessun vantaggio specifico, come risulterebbe dal confronto tra l’imposta sostitutiva pagata dalle banche in questione per il riconoscimento delle loro plusvalenze e l’imposta pagabile da altre società che sono state oggetto di analoghe riorganizzazioni in regime di neutralità fiscale. Le aliquote fiscali diverse, rispetto a quelle previste per altre società, applicate nel 2003 alle banche oggetto delle riorganizzazioni si possono spiegare con i differenti regimi fiscali validi per le due serie di riorganizzazioni. Le parti osservano che, mentre le plusvalenze non riconosciute derivanti dalle riorganizzazioni attuate a norma del D.Lgs. 358/1997 erano «plusvalenze liberamente distribuibili» in quanto potevano essere distribuite agli azionisti senza un’ulteriore imposizione fiscale a livello della società, le plusvalenze realizzate a norma della legge 218/1990 erano invece «plusvalenze sospese», sia per l’ente conferitario che per l’ente conferente, fintantoché ma solo fino al momento in cui queste non venissero distribuite ai rispettivi azionisti.

    (74)

    La distinzione tra i regimi fiscali distinti applicati alle plusvalenze realizzate risultanti dalle due diverse situazioni sarebbe stata confermata — secondo gli interessati — dall’interpretazione contenuta nella risoluzione n. 82/2000 del ministero italiano delle Finanze (16), con la quale l’amministrazione fiscale avrebbe riconosciuto che la differenza tra il valore equo di mercato di un ramo di attività conferito e il valore fiscale di quest’ultimo non determina una plusvalenza imponibile nel quadro di un conferimento in regime di neutralità fiscale, purché i valori fiscali non vengano allineati al valore equo di mercato né a livello dell’ente conferente né a livello dell’ente conferitario. Nella risoluzione si arriverebbe inoltre alla conclusione che la differenza realizzata mediante il conferimento del ramo di attività non ha che una rilevanza puramente contabile fino a quando gli attivi del ramo in questione non vengano effettivamente venduti e, quindi, la «plusvalenza sospesa» diverrebbe distribuibile agli azionisti senza alcun onere impositivo a livello della società. D’altra parte, l’articolo 7, comma 2, della Legge 218/1990 prevede espressamente che la differenza in valore contabile risultante da un conferimento in regime di parziale neutralità fiscale in seguito alle ristrutturazioni degli istituti di credito in questione sia tassata non solo se gli attivi plusvalenti vengono ceduti ma anche se la plusvalenza viene distribuita agli azionisti.

    (75)

    Secondo le osservazioni degli interessati, il fatto che le aliquote fiscali stabilite dalle leggi 342/2000 e 448/2001 per i riallineamenti del 2000 e del 2001 fossero le stesse sia per riorganizzazioni di istituti di credito che per le riorganizzazioni che interessavano altre società, mentre invece le aliquote dei riallineamenti del 2003 erano apparentemente più vantaggiose per le banche, si può spiegare con le modifiche introdotte dalla riforma dell’imposta sulle società del 2003, che ha sostituito il sistema di imputazione del credito d’imposta con il metodo dell’esenzione al 95 % affinché non si verifichi una doppia imposizione economica dei dividendi.

    (76)

    Sempre secondo gli interessati, inoltre, le società oggetto delle riorganizzazioni, a differenza degli istituti di credito oggetto di riorganizzazioni, avrebbero potuto distribuire le loro plusvalenze storiche senza dover versare alcuna imposta sulle società, ma i relativi dividendi — a norma del sistema di imputazione applicabile fino al 31 dicembre 2003 — sarebbero stati soggetti ad imposta al livello del beneficiario-azionista. Nel caso in cui fosse stata riscossa un’imposta sostitutiva sulle società al fine di riconoscere fiscalmente tali plusvalenze (come è avvenuto per i regimi di riallineamento fiscale del 2000 e del 2001), l’imposta versata sarebbe stata imputata come credito d’imposta per l’importo pagabile dall’azionista all’atto della distribuzione del relativo del dividendo. Nel quadro del precedente sistema di imputazione, quindi, l’imposta a livello dell’azionista avrebbe in ogni caso assorbito l’imposta sulle società eventualmente versata in acconto e, di conseguenza, avrebbe parificato il trattamento fiscale di qualsiasi regime di riallineamento: questo, a sua volta, avrebbe giustificato l’applicabilità della stessa aliquota dell’imposta sostitutiva tanto agli istituti di credito oggetto di riorganizzazione quanto ad altre società interessate all’epoca da una riorganizzazione.

    (77)

    La situazione sarebbe cambiata notevolmente dopo il 31 dicembre 2003, con l’introduzione del regime di esclusione del 95 % dei dividendi applicabile alle plusvalenze da riorganizzazione sospese e successivamente distribuite sotto forma di dividendi. A partire dal 2004 l’imposta sulle plusvalenze realizzate in seguito alle riorganizzazioni di società altre che le banche in questione, e successivamente distribuite sotto forma di dividendi sarebbe stata applicata soltanto sul 5 % delle plusvalenze distribuite come dividendo, costituendo questa l’unica imposta dovuta (nel caso non si applicasse alcuna imposta sostitutiva), mentre sulle plusvalenze realizzate dalle banche oggetto di riorganizzazione sarebbe stata applicata — qualora tali utili fossero stati distribuiti — l’imposta ordinaria sulle società (sempre nel caso non si applicasse un’imposta sostitutiva). Al fine di rimediare a questa disparità di trattamento, il legislatore italiano avrebbe introdotto l’imposta sostitutiva ad aliquota nominale (ridotta), prevista dall’articolo 2, comma 26, della legge 350/2003, in modo da riconoscere le plusvalenze sospese unicamente per le banche in questione sottoposte a riorganizzazione, ed escludendo invece le plusvalenze sospese a norma del D.Lgs. 358/1997 in quanto queste ultime, una volta distribuite come dividendi, sarebbero comunque assoggettate a una minore imposizione fiscale (esclusione del 95 % del dividendo dall’imponibile del percettore).

    (78)

    Per riassumere, secondo gli interessati il regime di riallineamento fiscale del 2003 non aveva conferito un vantaggio alle banche oggetto di riorganizzazione: si sarebbe trattato invece di una misura destinata a rimediare alla disparità tra il regime di riallineamento fiscale notevolmente più oneroso previsto dalla legge 218/1990 per gli istituti di credito sottoposti a riorganizzazione e il regime fiscalmente generalmente meno severo applicato alle plusvalenze distribuite dalle società oggetto delle riorganizzazioni nel quadro del regime generale previsto dal D.Lgs. 358/1997.

    (79)

    Infine, gli interessati hanno osservato, in subordine, che quand’anche la Commissione dovesse concludere che il regime di riallineamento fiscale di cui all’articolo 2, comma 26, della legge 350/2003 abbia conferito un vantaggio specifico esclusivamente agli istituti di credito che hanno preso parte alle riorganizzazioni attuate a norma della legge 218/1990, tale vantaggio non sarebbe pari a quello calcolato in via preliminare dalla Commissione, bensì soltanto alla differenza tra l’imposta versata a titolo del riallineamento e l’imposta, separata e distinta, pagabile per rivalutare singoli attivi ammortizzabili o non ammortizzabili a norma dell’articolo 2, comma 25, della medesima legge 350/2003. Tale differenza equivarrebbe a una frazione dell’imposta sulla rivalutazione realizzata e, anzi, dovrebbe essere ridotta dell’importo dell’imposta pagata in eccesso per riallineare degli attivi che non determinano plusvalenze imponibili se ceduti (beni la cui cessione da origine a plusvalenze esenti).

    6.   VALUTAZIONE

    6.1.   Aiuti di Stato ai sensi dell’articolo 87, paragrafo 1, del trattato CE

    (80)

    Secondo una giurisprudenza consolidata della Corte (17), per essere considerata come aiuto di Stato una misura deve soddisfare tutti i criteri stabiliti dall’articolo 87, paragrafo 1, del trattato CE, ossia deve essere concessa dallo Stato o mediante risorse statali, deve fornire un vantaggio che favorisca in maniera selettiva talune imprese o produzioni senza che ciò sia giustificato dalla logica intrinseca del regime fiscale e, infine, deve falsare o minacciare di falsare la concorrenza e incidere sugli scambi.

    (81)

    La Commissione ritiene che la misura in esame sia stata con tutta evidenza finanziata mediante risorse statali, in quanto il pagamento di un’imposta sostitutiva nominale (ridotta) al posto dell’imposta ordinaria sulle società sulle plusvalenze riconosciute in forza dell’articolo 2, comma 26, della legge 350/2003 equivale a un alleggerimento dell’imposta sulle società altrimenti dovuta, a discapito delle finanze pubbliche.

    (82)

    Le autorità italiane e gli interessati hanno osservato che — nelle precedenti decisioni 2000/600/CE (18), recante approvazione condizionata dell’aiuto accordato dall’Italia alle banche pubbliche siciliane Banco di Sicilia e Sicilcassa, e 1999/288/CE (19), recante approvazione condizionata dell’aiuto concesso dall’Italia al Banco di Napoli — la Commissione avrebbe esaminato e approvato il regime di parziale neutralità fiscale previsto dalla legge 218/1990, dal momento che era giunta alla conclusione che tale misura non costituiva un aiuto di Stato. Pertanto, neanche il regime in esame costituirebbe un aiuto di Stato, poiché non rappresenterebbe nient’altro che la naturale conseguenza del regime di sospensione fiscale stabilito dalla suddetta legge 218/1990.

    (83)

    L’articolo 7, comma 2, della legge 218/1990 stabiliva che i conferimenti di attivi e di azioni effettuati nel quadro delle riorganizzazioni del settore bancario in questione ricevessero un trattamento di parziale neutralità fiscale. Questo implicava il parziale non riconoscimento delle plusvalenze realizzate a seguito del conferimento dei rami di attività bancaria sia per l’ente conferente che per l’ente conferitario, a condizione che gli attivi che componevano il ramo di attività conferito acquisissero lo stesso valore fiscale di quando erano di proprietà dell’ente conferente (valore fiscale trasferito) e le azioni ricevute da tale ente conferente acquisissero anch’esse lo stesso valore fiscale degli attivi conferiti (valore fiscale sostitutivo).

    (84)

    Nel quadro di questo regime, dato che non si registrava un incremento dei valori fiscali degli attivi e delle azioni scambiati, non veniva accordato un vantaggio fiscale agli enti che avevano preso parte alle riorganizzazioni e la tassazione dell’utile realizzato in seguito al conferimento veniva soltanto differita in attesa del futuro riconoscimento fiscale (all’atto, ad esempio, della cessione degli attivi da parte della società conferitaria o delle azioni da parte dell’ente o società conferente). Dal momento che non si registrava un incremento della base imponibile né per il conferente né per il conferitario, non si configurava alcuna misura di aiuto determinata dal differimento del riconoscimento dell’utile a livello della società.

    (85)

    Tale differimento del pagamento dell’imposta ai sensi del regime previsto dalla legge 218/1990 era peraltro conforme ai principi di base della fiscalità delle società — secondo i quali la tassazione del reddito si applica a tutti i proventi e gli utili realizzati da qualsiasi società — ma le plusvalenze realizzate non venivano fiscalmente riconosciute in quanto non si registrava un corrispondente aumento dei valori fiscali degli attivi interessati, cosicché l’assoggettamento all’imposta poteva comunque aver luogo successivamente.

    (86)

    Alla luce di quanto precede, la Commissione conferma la valutazione iniziale formulata nella decisione di apertura del procedimento di indagine formale, vale a dire che a) tanto il non riconoscimento dell’85 % delle plusvalenze realizzate nel quadro delle operazioni disciplinate dalla legge 218/1990 b) quanto il non riconoscimento delle plusvalenze realizzate nel quadro delle operazioni disciplinate dal D.Lgs. 358/1997 non costituiscono un aiuto di Stato, in quanto i valori fiscali degli attivi scambiati sono rimasti inalterati (20) e, pertanto, le plusvalenze fiscali non si sono materializzate e quindi non è stato concesso alcun vantaggio. Poiché le plusvalenze realizzate sono state congelate, non si è potuto distribuire i relativi utili e non si sono potute ammortizzare, svalutare o in altro modo detrarre dal reddito imponibile della società risultante da tali operazioni le quote dell’accresciuto valore degli attivi. La Commissione conclude pertanto che il differimento d’imposta relativo alla neutralità fiscale applicata sia giustificata dalla logica intrinseca del sistema fiscale e che non costituisca un aiuto di Stato.

    (87)

    Per contro, il regime di riallineamento fiscale previsto dall’articolo 2, comma 26, della legge 350/2003 conferiva il diritto a un incremento del valore fiscale per il quale sarebbe stata versata l’imposta ordinaria sulle società, qualora non fosse stata disponibile un’imposta sostitutiva speciale come quella in esame. La Commissione intende che, per agevolare la tassazione delle plusvalenze, il legislatore nazionale possa applicare un’imposta sostitutiva con un’aliquota più conveniente rispetto a quella ordinaria. Dato che l’imposta su una cessione viene di solito versata immediatamente ma i vantaggi fiscali dell’incremento della base imponibile degli attivi conferiti si verificano soltanto nel corso del tempo — mediante la deduzione del loro ammortamento periodico o all’atto della cessione di tali attivi — la normale tassazione di tali utili comporterebbe in genere un aumento dell’imposta complessiva netta della società conferente e della società conferitaria. Un’imposta sostitutiva — con un’aliquota inferiore rispetto a quella ordinaria — sulle plusvalenze realizzate in seguito a riorganizzazioni societarie potrebbe quindi essere giustificata, in linea di principio, in quanto misura tecnica destinata ad agevolare il riconoscimento fiscale delle plusvalenze.

    (88)

    Tuttavia, un simile riallineamento fiscale preferenziale può essere giustificato soltanto se è obiettivamente applicabile alle stesse condizioni a tutti i riconoscimenti fiscali di plusvalenze comparabili, come quelle risultanti da altre riorganizzazioni non contemplate dalla legge 218/1990, ivi comprese le riorganizzazioni relative ad altri istituti di credito.

    (89)

    La Commissione ritiene che i riallineamenti previsti dalle leggi 342/2000 e 448/2001 abbiano consentito alle imprese interessate dalle riorganizzazioni disciplinate dalla legge 218/1990 e dal Decreto Legislativo 358/1997 di riconoscere le plusvalenze storiche realizzate mediante il pagamento di un’imposta sostitutiva uniforme per tutte le imprese in questione. Essa conclude pertanto che tali riallineamenti costituivano misure fiscali generali e che l’imposta sostitutiva applicata in forma ridotta — rispetto all’imposta ordinaria sulle società applicabile all’epoca — non forniva alcun vantaggio concorrenziale alle società in questione, poiché è stata applicata alle stesse condizioni a tutte le imprese che hanno scelto di riconoscere le plusvalenze storiche realizzate ma temporaneamente non riconosciute a norma delle pertinenti disposizioni della legge 218/1990 o del Decreto Legislativo 358/1997. La Commissione conclude pertanto che tali riallineamenti costituiscono misure fiscali generali giustificate dalla logica del sistema fiscale e non costituiscono un aiuto di Stato.

    (90)

    Per contro, la Commissione ritiene che il riallineamento fiscale previsto dall’articolo 2, comma 26, della legge 350/2003 218/1990 non costituisca una misura generale, in quanto era applicabile esclusivamente alle plusvalenze realizzate da alcuni istituti di credito in seguito alle sole riorganizzazioni attuate a norma della legge 218/1990.

    (91)

    In particolare, la Commissione ritiene che il regime fiscale in esame abbia conferito un vantaggio pari alla differenza tra l’imposta effettivamente versata per riallineare il valore degli attivi e l’imposta ordinaria che sarebbe stata pagata se lo stesso riallineamento fosse stato eseguito in assenza delle disposizioni dell’articolo 2, comma 26, della legge 350/2003. L’aliquota effettiva dell’imposta applicabile nel 2004 a tali utili sarebbe stata del 37,25 % (formata dall’imposta sulle società al 33 % e dall’imposta locale sulle attività produttive al 4,25 %), mentre l’imposta sostitutiva effettivamente corrisposta è stata del 9 % (senza contare la detrazione risultante dal differimento dei pagamenti dell’imposta).

    (92)

    La Commissione tiene inoltre presente il fatto che, ai sensi della legge 350/2003, l’imposta sostitutiva è stata versata in tre rate (50 % nel 2004, 25 % nel 2005 e 25 % nel 2006) senza interessi, mentre l’imposta ordinaria che sarebbe stata applicata in assenza delle disposizioni dell’articolo 2, comma 26, della legge 350/2003 sarebbe stata interamente dovuta nel 2004. La Commissione osserva quindi che il valore, convertito in equivalente sovvenzione, dell’imposta effettivamente pagata dai nove beneficiari del regime in esame ammonta a 185 505 996 EUR, mentre l’imposta ordinaria sarebbe stata di 771 991 022 EUR (37,25 % dell’utile realizzato, pari a oltre 2 059 milioni di EUR). La differenza tra l’imposta ordinaria e l’imposta effettivamente versata è quindi pari a 586 485 026 EUR.

    (93)

    La Commissione ritiene che il suddetto vantaggio sia stato effettivamente limitato ai soli istituti di credito interessati dalle operazioni disciplinate dalla legge 218/1990, mentre gli altri istituti di credito e le altre società interessati da operazioni di riorganizzazione analoghe attuate a norma del Decreto Legislativo 358/1997 non hanno potuto beneficiare dello stesso regime di riallineamento fiscale e delle condizioni favorevoli concesse da quest’ultimo.

    (94)

    Le autorità italiane e gli interessati hanno osservato che nessuno dei nove beneficiari del regime sarebbe stato disposto a riallineare il valore dei propri attivi se, così facendo, sarebbe stato assoggettato all’imposta ordinaria sulle società per le plusvalenze riconosciute. Inoltre, secondo le spiegazioni fornite dalle autorità italiane, le altre società che non erano state oggetto delle riorganizzazioni attuate a norma della legge 218/1990 avrebbero beneficiato del regime implicito di riallineamento fiscale di cui all’articolo 2, comma 25, della legge 350/2003 secondo le modalità generali, sostanzialmente equivalenti, stabilite dall’articolo 17 della legge 342/2000.

    (95)

    Le autorità italiane e gli interessati sono dell’avviso che, per calcolare correttamente il vantaggio in questione, si debba tener conto delle imposte pagate al momento dei conferimenti originari, cioè all’epoca della legge 218/1990, ad un’aliquota globale di oltre il 40 %. La tassazione effettiva complessiva delle plusvalenze in questione nel 1990 più quella nel 2004 risulterebbe di gran lunga superiore all’aliquota generale per i riallineamenti applicata nel 2000 e, di conseguenza, non avrebbe creato alcun vantaggio.

    (96)

    La Commissione ribadisce tuttavia che il regime di cui all’articolo 2, comma 25, della legge 350/2003 non costituisce un riallineamento fiscale di valori non allineati risultanti da riorganizzazioni fiscalmente neutre, bensì un regime di rivalutazione fiscale che ha consentito la realizzazione delle plusvalenze latenti derivanti dall’adeguamento al valore corrente del valore fiscale degli attivi detenuti dalle società beneficiarie. Essa ritiene che i due regimi non siano comparabili ed è inoltre dell’avviso che il regime di rivalutazione fiscale di cui all’articolo 2, comma 25, della legge 350/2003 non sia equivalente al regime di riallineamento fiscale di cui all’articolo 2, comma 26, della medesima legge, tenuto conto della differenza tra le aliquote legali dell’imposta sostitutiva previste da questi due regimi.

    (97)

    La Commissione conclude pertanto che le società che hanno riallineato i valori fiscali dei loro attivi ai sensi dell’articolo 2, comma 26, della legge 350/2003 hanno beneficiato di un vantaggio specifico consistente nella differenza tra l’aliquota d’imposta ordinaria sugli utili riconosciuti e l’imposta sostitutiva speciale sugli stessi utili.

    (98)

    Gli interessati hanno obiettato che l’aliquota dell’imposta sostitutiva inferiore a quella ordinaria prevista dall’articolo 2, comma 26, della legge 350/2003 non era selettiva, poiché era giustificata dagli specifici elementi di diritto e di fatto della tassazione delle plusvalenze risultanti dalle riorganizzazioni attuate a norma della legge 218/1990. Hanno sostenuto inoltre che, trascorsi tutti questi anni, l’Italia non avrebbe potuto legittimamente tassare tali plusvalenze come le plusvalenze risultanti da altre riorganizzazioni societarie.

    (99)

    La Commissione prende nota del fatto che le riorganizzazioni attuate a norma della legge 218/1990 prevedevano condizioni e disposizioni specifiche volte a differire il riconoscimento fiscale delle plusvalenze realizzate in seguito alle riorganizzazioni stesse, come viene dichiarato anche nella citata risoluzione del ministero delle Finanze italiano. Nonostante ciò, essa ritiene che il regime di parziale neutralità fiscale previsto dalla legge 218/1990 sia sostanzialmente equivalente al regime di totale neutralità fiscale previsto dal D.Lgs. 358/1997 per quanto riguarda le plusvalenze realizzate ma non riconosciute fiscalmente. Dal momento che le due situazioni sono effettivamente comparabili, il legislatore avrebbe dovuto applicare lo stesso trattamento quando ha disposto, nel 2003, il riconoscimento fiscale delle plusvalenze sospese.

    (100)

    La Commissione ritiene inoltre che l’applicazione di un’aliquota d’imposta più bassa non possa essere semplicemente considerata una compensazione di una tassazione più onerosa sulle plusvalenze derivanti dalle ristrutturazioni del settore bancario di cui alla legge 218/1990 distribuite agli azionisti come dividendi, rispetto alla tassazione delle plusvalenze distribuite come dividendi derivanti da altre riorganizzazioni in regime di neutralità fiscale, così come viene invece affermato nella suddetta risoluzione. Non è possibile sottoscrivere una simile affermazione, dato che l’applicazione alle plusvalenze di imposte sostitutive diverse non può essere sempre giustificata dai differenti carichi fiscali applicabili nel caso le plusvalenze sospese vengano distribuite come dividendi. La Commissione osserva infatti che ammettere una simile giustificazione equivarrebbe a consentire l’applicazione di aliquote effettive diverse dell’imposta sulle società nei confronti di alcune società soltanto perché queste ultime hanno preso parte a determinati tipi di riorganizzazioni preferite dallo Stato.

    (101)

    La Commissione ritiene che il vantaggio fiscale derivante dall’applicazione del regime di riallineamento fiscale previsto dall’articolo 2, comma 26, della legge 350/2003 non possa essere considerato di scarsa entità, cioè «de minimis». Nel determinare la sussistenza di un aiuto, infatti, la Commissione deve confrontare l’imposta nominale (ridotta) applicata a norma del regime in esame e l’imposta che sarebbe stata applicata nel caso in cui detto regime non fosse stato disponibile e gli istituti di credito beneficiari avessero allineato le basi imponibili dei loro attivi e distribuito ai loro azionisti le plusvalenze risultanti da tali riallineamenti fiscali.

    (102)

    Non solo, ma la Commissione ritiene che la presunta esiguità del vantaggio finanziario accordato dallo Stato non sia di per sé una ragione sufficiente per escludere che tale vantaggio si configuri come un aiuto. La Commissione osserva anche che non è possibile invocare l’eccezione «de minimis» — prevista dal regolamento (CE) n. 1998/2006 della Commissione, del 15 dicembre 2006, relativo all’applicazione degli articoli 87 e 88 del trattato agli aiuti d’importanza minore («de minimis») (21) — in quanto la misura in esame non comporta un aiuto trasparente, come richiesto da detto regolamento, e poiché le autorità italiane non si sono conformate alle condizioni previste dal regolamento stesso.

    (103)

    Secondo l e autorità italiane e gli interessati il regime di riallineamento previsto dall’articolo 2, comma 26, della legge 350/2003 sarebbe giustificato dalle caratteristiche peculiari del settore bancario e che per questo motivo esso non rappresenterebbe un aiuto di Stato.

    (104)

    Secondo la giurisprudenza della Corte, una misura fiscale è selettiva soltanto quando opera una discriminazione ingiustificata tra situazioni comparabili dal punto di vista giuridico e fattuale alla luce degli obiettivi fissati dal sistema fiscale (22) e «l’esistenza di un vantaggio ai sensi dell’articolo 87, paragrafo 1, del trattato non può essere automaticamente dedotta dalla differenza di trattamento che subiscono le imprese interessate» (23).

    (105)

    La Commissione ritiene che il regime in esame non rappresenti un adeguamento del sistema generale alle caratteristiche distintive del settore bancario, bensì piuttosto un vantaggio selettivo che incide sul miglioramento della competitività di talune imprese, ossia gli istituti di credito coinvolti in talune riorganizzazioni.

    (106)

    Le autorità italiane affermano inoltre che il regime in questione è una mera riedizione del regime introdotto ai sensi della legge 342/2000, il quale non implicava un elemento di aiuto di Stato, poiché si applicava agli utili realizzati a seguito di qualsiasi tipo di ristrutturazione societaria. Il regime previsto dalla legge 350/2003 dovrebbe essere confrontato con quello previsto dalla legge 342/2000 e non fornirebbe, secondo l’Italia, alcun vantaggio aggiuntivo. Come spiegato precedentemente, la Commissione non condivide questo punto di vista, poiché il riallineamento ai sensi della legge 350/2003 ha una portata più limitata rispetto al riallineamento generale previsto dalla legge 342/2000.

    (107)

    Alla luce di quanto sopra, la Commissione è giunta alla conclusione che il vantaggio concesso a taluni istituti di credito a norma della legge 350/2003, rappresentato dall’applicazione di un’imposta sostitutiva speciale per gli utili realizzati mediante taluni conferimenti di attivi al posto dell’aliquota d’imposta ordinaria, sia un vantaggio specifico e non giustificato dalla natura del sistema fiscale.

    (108)

    Secondo una giurisprudenza consolidata della Corte (24), affinché una misura falsi la concorrenza è sufficiente che il destinatario dell’aiuto sia in concorrenza con altre imprese su mercati aperti alla concorrenza. Inoltre, una misura incide sugli scambi tra Stati membri quando l’aiuto finanziario concesso dallo Stato rafforza la posizione di un’impresa nei confronti di altre imprese concorrenti negli scambi intracomunitari (25).

    (109)

    La Commissione ritiene che il considerevole importo dell’aiuto abbia effettivamente contribuito a rafforzare la posizione finanziaria dei beneficiari appartenenti al settore bancario che competono, sul mercato liberalizzato dei servizi finanziari aperto alla concorrenza, con altre imprese che prestano servizi a livello intracomunitario.

    (110)

    La Commissione ritiene inoltre che il vantaggio concesso a favore degli istituti di credito in questione sia in grado di falsare la concorrenza nell’attuale contesto caratterizzato da opportunità di consolidamento nel settore bancario italiano. Il fatto che taluni istituti di credito italiani abbiano eliminato il loro debito d’imposta relativo a plusvalenze latenti nei loro attivi ed iscritte nei loro bilanci attraverso il pagamento di un’imposta di entità nominale (ridotta) è suscettibile di accrescere la capacità di attrazione di tali istituti di credito nonché il loro valore economico agli occhi dei potenziali investitori e acquirenti. La Commissione è dell’avviso che il vantaggio accordato dal regime fiscale in esame possa provocare un’alterazione indebita del mercato delle acquisizioni societarie nel settore bancario in Italia.

    6.2.   Compatibilità

    (111)

    Nella misura in cui il regime in esame costituisce un aiuto di Stato ai sensi dell’articolo 87, paragrafo 1, del trattato CE, la sua compatibilità deve essere valutata alla luce delle deroghe previste dall’articolo 87, paragrafi 2 e 3, del trattato CE. Né le autorità italiane né gli interessati hanno avanzato argomentazioni specifiche per invocare l’applicazione di una delle suddette deroghe nel presente caso.

    (112)

    Le deroghe previste dall’articolo 87, paragrafo 2, del trattato CE, riguardanti gli aiuti a carattere sociale concessi ai singoli consumatori, gli aiuti destinati a ovviare ai danni arrecati dalle calamità naturali oppure da altri eventi eccezionali e gli aiuti concessi all’economia di determinate regioni della Repubblica federale di Germania non si applicano nel presente caso.

    (113)

    La deroga prevista dall’articolo 87, paragrafo 3, lettera a), del trattato CE autorizza gli aiuti destinati a favorire lo sviluppo economico delle regioni ove il tenore di vita sia anormalmente basso oppure si abbia una grave forma di sottoccupazione: essa non è però applicabile al presente caso, poiché l’aiuto non favorisce lo sviluppo economico di regioni con queste caratteristiche in Italia.

    (114)

    Il regime non può essere considerato un progetto di comune interesse europeo o un aiuto volto a porre rimedio a un grave turbamento dell’economia di uno Stato membro, come previsto dall’articolo 87, paragrafo 3, lettera b), del trattato CE, né mira a promuovere la cultura e la conservazione del patrimonio, come previsto dall’articolo 87, paragrafo 3, lettera d), del trattato CE.

    (115)

    Infine, il regime va esaminato alla luce dell’articolo 87, paragrafo 3, lettera c), del trattato CE, che autorizza gli aiuti destinati ad agevolare lo sviluppo di talune attività o di talune regioni economiche, sempreché non alterino le condizioni degli scambi in misura contraria al comune interesse. A questo proposito, va osservato in primo luogo che l’aiuto in esame non è conforme a nessuna delle discipline o degli orientamenti che definiscono i criteri di compatibilità con il mercato comune di determinati tipi di aiuti. In particolare, esso non è in linea con gli orientamenti comunitari sugli aiuti di Stato per il salvataggio e la ristrutturazione di imprese in difficoltà all’epoca in vigore (26). In secondo luogo, poiché il vantaggio fiscale è stato concesso a posteriori rispetto ad operazioni che sono già avvenute, non si può ritenere che esso produca gli effetti incentivanti necessari per giustificare l’applicazione di tale deroga.

    (116)

    La Commissione ritiene invece che il regime fiscale in questione abbia comportato una riduzione degli oneri che gli istituti di credito beneficiari avrebbero dovuto normalmente sostenere in caso di riorganizzazioni del tipo descritto e, pertanto, vada considerato come un aiuto al funzionamento. Tale aiuto non può essere ritenuto compatibile con il mercato comune, poiché non favorisce lo sviluppo di alcuna attività o regione economica e non è limitato nel tempo, decrescente o proporzionato a quanto necessario per porre rimedio a svantaggi economici specifici.

    (117)

    La Commissione è quindi giunta alla conclusione che il regime in esame è incompatibile con il mercato comune.

    6.3.   Recupero

    (118)

    Dal momento che al regime di aiuto è stata data esecuzione senza attendere l’autorizzazione preliminare della Commissione, si dovrebbe procedere al recupero in conformità dell’articolo 14 del regolamento (CE) n. 659/1999 del Consiglio, del 22 marzo 1999, recante modalità di applicazione dell’articolo 93 del trattato CE (27). Tuttavia, alla luce della prassi relativa a taluni regimi di aiuti fiscali (28), la Commissione ritiene che il recupero debba riguardare soltanto le imposte in difetto rispetto all’importo che il beneficiario del regime avrebbe pagato se si fosse avvalso di altri regimi fiscali disponibili all’epoca. La Commissione ritiene che nel presente caso l’applicazione del regime alternativo di rivalutazione fiscale di cui all’articolo 2, comma 25, della legge 350/2003 non rappresenti una scelta puramente ipotetica, bensì una ragionevole opzione di cui si sarebbero potuti avvalere i beneficiari in questione per il riconoscimento fiscale del valore effettivo dei loro attivi (29).

    (119)

    Va ricordato che l’articolo 2, comma 25, della legge 350/2003 contiene una disposizione generale per il riconoscimento degli utili realizzati dalle imprese che avevano deciso di rivalutare gli attivi iscritti in bilancio al 31 dicembre 2002 imputandoli al loro valore di mercato dell’epoca mediante il pagamento di un’imposta sostitutiva del 19 %, in caso di rivalutazione di attivi ammortizzabili, e del 15 %, nel caso di attivi non ammortizzabili, pagabile in tre rate (50 % nel 2004, 25 % nel 2005 e 25 % nel 2006). Questo regime di portata generale era applicabile anche agli istituti di credito oggetto di riorganizzazione in questione. Sebbene i riallineamenti e le rivalutazioni non siano operazioni equiparabili, la Commissione ritiene che se all’epoca il regime di riallineamento non fosse stato disponibile, gli istituti di credito interessati avrebbero optato con ogni probabilità per il regime generale di rivalutazione di cui all’articolo 2, comma 25, della legge 350/2003.

    (120)

    Alla luce di quanto precede, la Commissione conclude che il recupero dell’aiuto deve essere limitato esclusivamente alla differenza tra l’imposta pagabile per rivalutare gli attivi detenuti a norma dell’articolo 2, comma 25, della legge 350/2003 (del 19 % in caso di rivalutazione di attivi ammortizzabili, del 15 % nel caso degli attivi non ammortizzabili generalmente detenuti dagli istituti di credito oggetto delle riorganizzazioni in questione) e l’imposta effettivamente pagata a norma dell’articolo 2, comma 26, della medesima legge 350/2003.

    7.   CONCLUSIONI

    (121)

    La Commissione constata che l’Italia ha dato illegalmente esecuzione all’articolo 2, comma 26, della legge 350/2003 in violazione dell’articolo 88, paragrafo 3, del trattato CE. Il regime di aiuto non è compatibile con il mercato comune.

    (122)

    Si deve procedere esclusivamente al recupero dell’aiuto concesso per un ammontare pari alle imposte pagate in difetto rispetto all’importo che il beneficiario del regime avrebbe versato se si fosse avvalso di altri regimi fiscali disponibili all’epoca.

    (123)

    L’importo da recuperare è quindi limitato alla differenza tra l’imposta che sarebbe stata pagata a norma dell’articolo 2, comma 25, della legge 350/2003 e l’imposta effettivamente versata a norma dell’articolo 2, comma 26, della medesima legge 350/2003,

    HA ADOTTATO LA PRESENTE DECISIONE:

    Articolo 1

    Il regime fiscale derogatorio di cui all’articolo 2, comma 26, della legge 350/2003 al quale l’Italia ha dato esecuzione costituisce un aiuto di Stato ed è incompatibile con il mercato comune.

    Articolo 2

    L’Italia sopprime il regime di cui all’articolo 1.

    Articolo 3

    1.   L’Italia adotta tutti i provvedimenti necessari per recuperare dai beneficiari l’aiuto concesso mediante l’applicazione dell’imposta sostitutiva prevista dall’articolo 2, comma 26, della legge 350/2003 relativamente al riconoscimento fiscale delle plusvalenze risultanti dalle riorganizzazioni attuate a norma della legge 218/1990, aiuto già posto illegalmente a loro disposizione.

    2.   L’importo da recuperare è limitato alla differenza tra l’imposta che sarebbe stata pagata se i beneficiari dell’aiuto avessero applicato il regime di rivalutazione fiscale di cui all’articolo 2, comma 25, della legge 350/2003 e l’imposta effettivamente versata a norma dell’articolo 2, comma 26, della medesima legge 350/2003.

    3.   Il recupero viene eseguito senza indugio e secondo le procedure del diritto interno, a condizione che queste consentano l’esecuzione immediata ed effettiva della presente decisione.

    4.   Le somme da recuperare comprendono gli interessi, che decorrono dalla data in cui l’aiuto è stato posto a disposizione del beneficiario fino a quella del suo effettivo recupero.

    5.   Gli interessi sono calcolati in conformità delle disposizioni di cui al capo V del regolamento (CE) n. 794/2004 della Commissione, del 21 aprile 2004, recante disposizioni di esecuzione del regolamento (CE) n. 659/1999 del Consiglio recante modalità di applicazione dell’articolo 93 del trattato CE.

    Articolo 4

    Entro due mesi dalla notifica della presente decisione, l’Italia informa la Commissione circa i provvedimenti previsti o già presi per conformarvisi. Tali informazioni vengono comunicate compilando il questionario di cui all’allegato I della presente decisione. Entro quattro mesi dalla notifica della presente decisione, l’Italia informa la Commissione circa i provvedimenti presi per darle esecuzione.

    Articolo 5

    La Repubblica italiana è destinataria della presente decisione.

    Fatto a Bruxelles, l’11 marzo 2008.

    Per la Commissione

    Neelie KROES

    Membro della Commissione


    (1)  GU C 154 del 7.7.2007, pag. 15.

    (2)  Legge finanziaria 2004 dell’Italia, Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana n. 299 del 27.12.2003.

    (3)  Cfr. nota 1.

    (4)  Vedi sentenza del 10 gennaio 2006, Causa C-222/04, ministero dell’Economia e delle Finanze/Cassa di Risparmio di Firenze SpA, Fondazione Cassa di Risparmio di San Miniato e Cassa di Risparmio di San Miniato SpA, Racc. 2006, pag. I-00289, punti 136-137.

    (5)  Direttiva 90/433/CEE del Consiglio, del 23 luglio 1990, relativa al regime fiscale comune da applicare alle fusioni, alle scissioni, ai conferimenti d’attivo ed agli scambi d’azioni concernenti società di Stati membri diversi (GU L 225 del 20.8.1990, pag. 1).

    (6)  Sentenza del 15 gennaio 2002, Causa C-43/00, Andersen og Jensen ApS/Skatteministeriet, Racc. 2002, pag. I-00379, punto 34 e segg.

    (7)  Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana n. 276 del 21.11.2000.

    (8)  Regolamento (CE) n. 794/2004 della Commissione, del 21 aprile 2004, recante disposizioni di esecuzione del regolamento (CE) n. 659/1999 del Consiglio recante modalità di applicazione dell’articolo 93 del trattato CE (capo V — Tassi di interesse per il recupero di aiuti illegittimi) (GU L 140 del 30.4.2004, pag. 1).

    (9)  Gli importi versati sono i seguenti: a) 92 760 506 EUR nel 2004; b) 46 380 253 EUR pagabili nel 2005, corrispondenti ad un valore attuale netto di 44 725 412 EUR nel 2004; e c) 46 380 253 EUR pagabili nel 2006, corrispondenti ad un valore attuale netto di 43 129 616,9 EUR nel 2004.

    (10)  Cfr. nota 1.

    (11)  GU L 83 del 27.3.1999, pag. 1.

    (12)  Cfr. sezione VI della decisione 2006/748/CE della Commissione, del 4 luglio 2006, relativa all’aiuto di Stato C 30/04 (ex NN 34/04) al quale il Portogallo ha dato esecuzione — Esenzione dall’imposta sulle società per le plusvalenze derivanti da determinate operazioni ad opera di imprese pubbliche (GU L 307 del 7.11.2006, pag. 219).

    (13)  Cfr. punti 113-119 della sentenza della Corte del 15 dicembre 2005, Causa C-148/04, Unicredito Italiano SpA/Agenzia delle Entrate, Ufficio Genova 1, Racc. 2005, pag. I-11137.

    (14)  Cfr. il punto 32 della decisione citata (GU L 184 del 13.7.2002, pag. 27).

    (15)  Cfr. il punto 3.2.1 della comunicazione citata (GU C 328 dell’1.11.1996, pag. 23).

    (16)  Risoluzione n. 82/E-67004 del 6 giugno 2000, disponibile nella banca dati sulla fiscalità (Servizio di documentazione tributaria) del ministero italiano delle Finanze al seguente indirizzo Internet: http://dt.finanze.it/doctrib/PDF/Documento.pdf?Request=0&DocumentID=14000008220000606FIN110000006700400&Info=1,0,0

    (17)  Vedi anche la sentenza della Corte del 10 gennaio 2006, Causa C-222/04, ministero dell’Economia e delle Finanze/Cassa di Risparmio di Firenze SpA, Fondazione Cassa di Risparmio di San Miniato e Cassa di Risparmio di San Miniato SpA, Racc. 2006, pag. I-00289, punto 129.

    (18)  GU L 256 del 10.10.2000, pag. 21.

    (19)  GU L 116 del 4.5.1999, pag. 36.

    (20)  Laddove invece il valore realizzato è stato riconosciuto, esso è stato assoggettato all’imposta, come nel caso dell’utile del 15 % riconosciuto nel quadro delle operazioni disciplinate dalla legge 218/1990.

    (21)  GU L 379 del 28.12.2006, pag. 5.

    (22)  Sentenza dell’8 novembre 2001, Causa C-143/99, Adria-Wien Pipeline GmbH e Wietersdorfer & Peggauer Zementwerke GmbH/Finanzlandesdirektion für Kärnten, Racc. 2001, pag. I-8365.

    (23)  Sentenza del 22 novembre 2001, Causa C-53/00, Ferring/ACOSS, Racc. 2001, pag. I-9067, punto 17.

    (24)  Sentenza del Tribunale di primo grado nella Causa T-214/95, Het Vlaamse Gewest/Commissione, Racc. 1998, pag. II-717.

    (25)  Sentenza della Corte di giustizia nella causa 730/79, Philip Morris/Commissione, Racc. 1980, pag. 2671, punto 11.

    (26)  GU C 288 del 9.1.1999, pag. 2.

    (27)  GU L 83 del 27.3.1999, pag. 1.

    (28)  Cfr. sezione VI della decisione 2006/748/CE della Commissione, del 4 luglio 2006, relativa all’aiuto di Stato C 30/04 (ex NN 34/04) al quale il Portogallo ha dato esecuzione — Esenzione dall’imposta sulle società per le plusvalenze derivanti da determinate operazioni ad opera di imprese pubbliche (GU L 307 del 7.11.2006, pag. 219).

    (29)  Cfr. punti 113-119 della sentenza della Corte del 15 dicembre 2005, Causa C-148/04, Unicredito Italiano SpA/Agenzia delle Entrate, Ufficio Genova 1, Racc. 2005, pag. I-11137.


    ALLEGATO I

    Informazioni relative all’esecuzione della decisione della Commissione relativa all’aiuto di Stato C 15/07 (ex NN 20/07), al quale l’Italia ha dato esecuzione, concernente incentivi fiscali a favore di taluni istituti di credito oggetto di riorganizzazione societaria

    1.   Numero totale dei beneficiari e importo totale dell’aiuto da recuperare

    1.1.

    Specificare come sarà calcolato l’importo dell’aiuto da recuperare presso i singoli beneficiari:

    capitale,

    interessi.

    1.2.

    Indicare l’importo totale da recuperare dell’aiuto concesso illegalmente nel quadro del presente regime (in equivalente sovvenzione lordo, ai prezzi del …):

    1.3.

    Indicare il numero totale dei beneficiari presso i quali deve essere recuperato l’aiuto concesso illegalmente nel quadro del presente regime:

    2.   Provvedimenti previsti e già adottati per recuperare l’aiuto

    2.1.

    Specificare i provvedimenti previsti e i provvedimenti già adottati per il recupero immediato ed effettivo degli aiuti. Indicare altresì, ove d’applicazione, la base giuridica dei provvedimenti adottati o previsti:

    2.2.

    Indicare la data entro la quale sarà completato il recupero degli aiuti:

    3.   Informazioni relative ai singoli beneficiari

    Nella tabella che segue, indicare i dati relativi ad ogni beneficiario presso il quale deve essere recuperato l’aiuto concesso illegalmente nel quadro del regime.

    Identità del beneficiario

    Importo dell’aiuto concesso illegalmente (1)

    Valuta: …

    Importi rimborsati (2)

    Valuta: …

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     


    (1)  Importo dell’aiuto messo a disposizione del beneficiario (in equivalente sovvenzione lordo, ai prezzi del …).

    (2)  

    (°)

    Importi lordi rimborsati (compresi gli interessi).


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