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Document 52016IE6237

    Parere del Comitato economico e sociale europeo su «Il ruolo della Turchia nella crisi dei rifugiati» (parere d’iniziativa)

    EESC 2016/06237

    GU C 227 del 28.6.2018, p. 20–26 (BG, ES, CS, DA, DE, ET, EL, EN, FR, HR, IT, LV, LT, HU, MT, NL, PL, PT, RO, SK, SL, FI, SV)

    28.6.2018   

    IT

    Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

    C 227/20


    Parere del Comitato economico e sociale europeo su «Il ruolo della Turchia nella crisi dei rifugiati»

    (parere d’iniziativa)

    (2018/C 227/03)

    Relatore:

    Dimitris DIMITRIADIS

    Decisione dell’Assemblea plenaria

    22.9.2016

    Base giuridica

    Articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno

     

    Parere d’iniziativa

    Sezione competente

    Relazioni esterne

    Adozione in sezione

    7.11.2017

    Adozione in sessione plenaria

    14.2.2018

    Sessione plenaria n.

    532

    Esito della votazione

    (favorevoli/contrari/astenuti)

    227/6/12

    1.   Conclusioni e raccomandazioni

    1.1.

    Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) riconosce che la Turchia svolge un ruolo importante e decisivo nella gestione della cosiddetta «crisi dei rifugiati» in Medio Oriente e nel bacino del Mediterraneo, e che tale paese ha compiuto degli sforzi per far fronte a tale crisi con i mezzi a sua disposizione, ma anche con l’aiuto dell’Unione europea e della comunità internazionale.

    1.2.

    A giudizio del CESE, nonostante la situazione esplosiva della crisi dei rifugiati, a tutt’oggi l’UE non è riuscita ad adottare una politica comune europea convincente ed efficace in materia di immigrazione o un sistema europeo comune di asilo, a motivo del rifiuto ingiustificato da parte di taluni Stati membri dell’UE di ottemperare agli obblighi sanciti da convenzioni internazionali o dai Trattati dell’UE, al pari di quelli derivanti da decisioni adottate all’unanimità in occasione di vertici o di Consigli dei ministri. Il CESE invita pertanto il Consiglio e la Commissione ad intervenire in modo più risoluto in questo campo e ad obbligare gli Stati membri che non mantengono gli impegni assunti nei confronti dell’UE ad adottare immediatamente le misure necessarie.

    1.3.

    Il CESE condanna con forza l’atteggiamento xenofobo di alcuni Stati membri nei confronti della crisi dei rifugiati, e lo giudica contrario ai valori fondamentali dell’UE.

    1.4.

    Il CESE si dichiara disponibile a contribuire in ogni modo a fronteggiare la crisi dei rifugiati, in cooperazione con le istituzioni europee e con le organizzazioni della società civile (datori di lavoro, lavoratori e ONG), come dimostra l’importante lavoro già svolto elaborando una serie di pareri e organizzando delle missioni informative nei paesi colpiti da questa catastrofe umanitaria.

    1.5.

    Dalla firma della dichiarazione UE-Turchia ad oggi il numero di persone che attraversano le frontiere europee in condizioni di irregolarità o perdono la vita nel Mar Egeo è diminuito in modo significativo e costante. Al tempo stesso, però, si è registrato un rapido aumento dei flussi migratori verso altri paesi dell’Europa meridionale, un dato, questo, che suscita nel CESE particolare preoccupazione. Inoltre, i risultati ottenuti dagli Stati membri per quanto riguarda sia il reinsediamento che la ricollocazione continuano ad essere deludenti. Mentre sono state poste le basi necessarie per la realizzazione di tali programmi, il ritmo attuale è ancora più lento di quello che sarebbe necessario per conseguire gli obiettivi fissati al fine di garantire la ricollocazione e il reinsediamento di tutti i soggetti ammissibili.

    1.6.

    Il CESE ritiene necessario che la Turchia elabori e adotti un sistema unico di riconoscimento della protezione internazionale per i richiedenti asilo, in linea con i requisiti stabiliti a livello europeo e internazionale (1), che non discrimini coloro che fanno richiesta di protezione internazionale in base alla loro origine nazionale, accordando la medesima protezione a tutti. Il CESE propone, tra l’altro, di eliminare la limitazione geografica per i richiedenti asilo non europei, e la distinzione tra richiedenti asilo siriani e non siriani (2). Anche il principio di non respingimento dev’essere garantito.

    1.7.

    Il CESE ritiene necessario un miglioramento delle condizioni di accoglienza in Turchia, nonché delle politiche per l’integrazione sociale ed economica dei rifugiati riconosciuti, specialmente per quanto riguarda l’accesso al lavoro, l’assistenza sanitaria, l’istruzione e l’offerta di alloggio. Particolare attenzione va riservata alla protezione dei bambini e dei minori non accompagnati, specialmente per garantire il loro accesso all’istruzione e tutelarli di fronte al fenomeno del lavoro e dei matrimoni forzati (3).

    1.8.

    Il CESE chiede che sia posto in essere un meccanismo di controllo e monitoraggio rigoroso e indipendente della dichiarazione UE-Turchia sui rifugiati al fine di verificare, in cooperazione con le autorità turche, le ONG internazionali e le organizzazioni umanitarie specializzate, l’attuazione e il rispetto dei termini degli accordi da entrambe le parti, in conformità del diritto internazionale ed unionale (4).

    1.9.

    Il CESE ritiene necessario rafforzare il ruolo dell’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera al fine di smantellare le reti di trafficanti e contrastare la tratta di esseri umani, nel rispetto del diritto internazionale (5).

    1.10.

    Il CESE chiede che gli Stati membri i quali finora non hanno partecipato alle procedure di ricollocazione e reinsediamento rispettino appieno gli impegni assunti e raccomanda un’accelerazione dei programmi in questione. Uno sviluppo positivo in questo senso è costituito dalle sentenze della Corte di giustizia dell’Unione europea e dagli sforzi compiuti dalla Commissione europea per migliorare il coordinamento tra le istituzioni europee e gli Stati membri. Nelle sue sentenze, la Corte di giustizia condanna direttamente il comportamento di taluni Stati membri riguardo alla mancata accoglienza dei rifugiati sul loro territorio, il che, come afferma la Corte, è contrario all’obbligo di solidarietà e di un’equa ripartizione delle responsabilità, la cui osservanza gli Stati membri devono garantire nell’ambito della politica in materia di asilo.

    1.11.

    Il CESE esprime forti preoccupazioni riguardo alla situazione generale dei diritti umani in Turchia, specialmente dopo il fallito colpo di Stato. Ritiene che i principi e i valori dell’UE sanciti nell’articolo 2 del trattato sull’Unione europea (TUE) possano essere sotto attacco da parte dell’attuale governo turco (6). Più in particolare, il CESE esprime preoccupazioni quanto alla possibilità, per le organizzazioni della società civile in Turchia, di funzionare senza impedimenti, in particolare a seguito della dichiarazione dello stato di emergenza nel paese, e ritiene che esse svolgano un ruolo fondamentale nel far fronte alla situazione umanitaria a livello sia di pianificazione che di attuazione dei programmi per l’integrazione dei rifugiati nelle comunità locali.

    1.12.

    A giudizio del CESE, le parti sociali possono e devono svolgere un ruolo cruciale in Turchia nel far fronte alla crisi dei rifugiati.

    1.13.

    Il CESE esprime preoccupazione per la tensione che ultimamente caratterizza i rapporti tra l’UE e la Turchia, e per gli effetti che un ulteriore inasprimento di tale tensione potrebbe produrre sia sull’attuazione dell’accordo sia, più in generale, sulle relazioni tra l’Europa e la Turchia. Il CESE continua a ritenere che le relazioni tra l’UE e la Turchia debbano restare nel binario di una prospettiva di adesione di quest’ultima, nel pieno rispetto dell’acquis dell’UE.

    2.   Osservazioni introduttive: dall’agenda europea sulla migrazione alla dichiarazione del 18 marzo 2016

    2.1.

    A seguito dello scoppio della guerra in Siria, che ha provocato una crisi umanitaria di proporzioni gigantesche, e della situazione esplosiva venutasi a creare in Iraq a causa della persistente instabilità politica, migliaia di profughi, in condizioni disumane, hanno iniziato ad attraversare i confini della Turchia, diretti, come destinazione finale, verso uno dei paesi dell’Unione europea e soprattutto verso i paesi dell’Europa centrale.

    La Turchia si è trovata ad «ospitare» circa tre milioni di esseri umani che, a rischio della loro vita, hanno attraversato zone di conflitto e, sempre rischiando la vita, hanno cercato e cercano ancora di passare clandestinamente le frontiere europee della Grecia.

    2.2.

    La Turchia, come primo paese di accoglienza, ha svolto e continua a svolgere un ruolo particolarmente cruciale per la cosiddetta «crisi dei rifugiati», che è divenuta uno dei maggiori problemi «irrisolti» dell’UE.

    2.3.

    L’agenda europea sulla migrazione, che è stata presentata nel maggio 2015 dopo lunghi e difficili negoziati tra i paesi europei, è il primo tentativo dell’UE di affrontare il dramma di migliaia di profughi che, a rischio della loro vita, attraversano le zone di guerra o tentano di solcare il Mediterraneo. L’agenda introduce per la prima volta concetti come la ricollocazione o il reinsediamento. Essa prevede misure sia nell’immediato che più a lungo termine per far fronte agli importanti flussi migratori che interessano in generale l’UE, ma più in particolare i paesi del Mediterraneo, e ai problemi derivanti dalla gestione di questo tipo di crisi. Tra le altre cose si prevedono una triplicazione delle risorse finanziarie destinate a Frontex, la ricollocazione dei profughi e dei migranti nei paesi dell’UE in base a criteri specifici e contingenti, l’attivazione, per la prima volta, del meccanismo di risposta alle emergenze per venire in aiuto agli Stati membri che devono far fronte a un improvviso afflusso di profughi in forza dell’articolo 78, paragrafo 3, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) e l’avvio, nel quadro della politica di sicurezza e di difesa comune (PSDC), di un’operazione nel Mediterraneo volta a smantellare le reti di trafficanti e a contrastare la tratta di esseri umani, nel rispetto del diritto internazionale.

    2.4.

    In tale contesto si colloca anche la dichiarazione UE-Turchia, del 18 marzo 2016, volta a circoscrivere la crisi dei rifugiati, che per motivi procedurali è stata denominata accordo informale vertente sull’immigrazione irregolare dalla Turchia verso l’UE e la sostituzione di questo tipo di immigrazione con il reinsediamento dei rifugiati nell’Unione tramite canali legali (7). La dichiarazione prevede, tra l’altro, quanto segue:

    i)

    tutti i «migranti irregolari» che giungano dalla Turchia in Grecia a decorrere dal 20 marzo 2016 saranno rimpatriati in Turchia, sulla base dell’accordo bilaterale tra i due paesi.

    ii)

    Tutti coloro che non presentino una domanda di asilo o la cui domanda sia ritenuta infondata o non ammissibile saranno rimpatriati in Turchia.

    iii)

    La Grecia e la Turchia, assistite dalle istituzioni dell’UE, converranno tutti i necessari accordi bilaterali, compreso quello che prevede la presenza stabile di funzionari turchi sulle isole greche e di funzionari greci in Turchia, a partire dal 20 marzo, al fine di dare attuazione a tali accordi.

    iv)

    Per ogni siriano rimpatriato in Turchia dalle isole greche, un altro siriano sarà reinsediato nell’UE.

    v)

    Al fine di attuare questo principio, sarà istituito un meccanismo specifico, in cooperazione con la Commissione, le agenzie europee, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati e gli Stati membri, che entrerà in vigore a decorrere dal primo giorno dei rimpatri.

    vi)

    La priorità di reinsediamento nell’UE spetta ai siriani provenienti dalla Turchia e non dalla Grecia. Tale priorità andrà ai migranti che, in passato, non siano entrati o non abbiano già tentato di entrare nell’UE.

    2.5.

    In una nota integrativa alla dichiarazione UE-Turchia del 18 marzo (8), la Commissione sostiene la possibilità di classificare la Turchia come «paese terzo sicuro» (9). Alla medesima conclusione essa giunge anche nella sua comunicazione al Consiglio europeo e al Parlamento europeo sullo stato di attuazione delle azioni prioritarie nel quadro dell’agenda europea sulla migrazione, sostenendo che, dal suo punto di vista, il concetto di paese terzo sicuro (definito nella direttiva sulle procedure di asilo) è condizionato alla possibilità, in linea di principio, di beneficiare di una protezione in forza della convenzione di Ginevra e non all’assenza di riserve e limitazioni geografiche nell’applicazione di tale convenzione (10).

    2.6.

    Da parte sua, il CESE ha espresso il parere per cui il concetto di paese di origine sicuro non può essere in alcun modo applicato in caso di mancato rispetto della libertà di stampa o di impedimento del pluralismo politico, oppure nei paesi dove i cittadini vengono perseguitati per motivi di genere e/o di orientamento sessuale o di appartenenza a minoranze nazionali, etniche, culturali o religiose. In ogni caso, per inserire un paese nell’elenco dei paesi di origine sicuri, occorre valutare, tra le altre cose, le informazioni aggiornate provenienti da fonti quali la Corte europea dei diritti dell’uomo, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), l’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo (EASO), il Consiglio d’Europa e altre organizzazioni di difesa dei diritti umani (11).

    2.7.

    Dalla firma della dichiarazione UE-Turchia ad oggi il numero di persone che attraversano le frontiere europee in condizioni di irregolarità o perdono la vita nel Mar Egeo è diminuito in modo significativo e costante (12). Al tempo stesso, però, si è registrato un rapido aumento dei flussi migratori verso altri paesi dell’Europa meridionale, un dato, questo, che suscita nel CESE particolare preoccupazione. Inoltre, i risultati ottenuti dagli Stati membri per quanto riguarda sia il reinsediamento che la ricollocazione continuano ad essere deludenti. Mentre sono state poste le basi necessarie per la realizzazione di tali programmi, il ritmo attuale è ancora più lento di quello che sarebbe necessario per conseguire gli obiettivi fissati al fine di garantire la ricollocazione e il reinsediamento di tutti i soggetti ammissibili (13).

    3.   Il meccanismo dei paesi sicuri: paese terzo sicuro e paese di primo asilo

    3.1.

    I concetti di «paese di origine sicuro», «paese terzo sicuro» e «paese di primo asilo» sono definiti nella direttiva 2013/32/UE recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale, che definisce norme procedurali comuni e le garanzie per i richiedenti protezione internazionale negli Stati membri dell’UE. Più in particolare, la direttiva prevede quattro categorie di paesi sicuri: il paese di primo asilo (articolo 35), i paesi terzi sicuri (articolo 38), i paesi di origine sicuri (articolo 37) e i paesi terzi europei sicuri (articolo 39) (14).

    3.2.

    Da un confronto tra l’articolo 39 della direttiva 2013/32/UE relativo al paese terzo europeo sicuro e l’articolo 35 della stessa direttiva sul paese di primo asilo emergono due regimi di protezione internazionale, uno maggiore e l’altro minore, mentre a metà strada si colloca il regime di cui all’articolo 38, quello del paese terzo sicuro. L’articolo 39 prevede il massimo livello di protezione, in quanto si riferisce a un paese che ha ratificato la convenzione di Ginevra senza limitazioni geografiche, offre il massimo grado di protezione previsto dalla convenzione, applica senza riserve al suo interno l’articolo 36 della convenzione ed è soggetto ai meccanismi di controllo stabiliti dalla convenzione. L’articolo 35 della direttiva si colloca all’estremo opposto, in quanto si limita a fornire protezione ai rifugiati o altra protezione sufficiente, ponendo l’accento sull’attuazione del principio di non respingimento.

    3.3.

    Conformemente all’articolo 38 della direttiva 2013/32/UE, un paese terzo viene considerato sicuro per il richiedente quando ottempera globalmente ai seguenti criteri: a) non sussistono minacce alla vita e alla libertà del richiedente per ragioni di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o opinioni politiche; b) è rispettato il principio di non respingimento conformemente alla convenzione di Ginevra; c) non sussiste il rischio di danno grave per il richiedente; d) è osservato il divieto di allontanamento del soggetto verso un paese in cui questi rischia di subire torture o trattamenti e punizioni crudeli, disumani o degradanti, nel rispetto del diritto internazionale; e) esiste la possibilità di chiedere lo status di rifugiato e, per chi è riconosciuto come tale, di ottenere protezione in conformità della convenzione di Ginevra, e infine f) il richiedente ha un legame con il paese terzo in questione, grazie al quale gli risulterebbe facile raggiungere tale paese. Di conseguenza, qualora le autorità competenti giudichino che un paese, ad esempio la Turchia, si può considerare paese di primo asilo o paese terzo sicuro per il richiedente, queste respingeranno, con apposita decisione, la domanda di protezione internazionale in quanto inammissibile, senza esaminarla nella sostanza (15).

    3.4.

    Il principio di non respingimento costituisce il pilastro su cui si regge il regime di protezione internazionale dei rifugiati ed è sancito dall’articolo 33, paragrafo 1, della convenzione di Ginevra del 1951 (16). L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati ha osservato che tale articolo introduce un principio centrale per la convenzione, che è poi stato assorbito dal diritto internazionale consuetudinario, diventando così vincolante per tutti i paesi della comunità internazionale, abbiano essi ratificato o meno la convenzione di Ginevra (17).

    3.5.

    Infine, qualunque soggetto considerato rifugiato ai sensi della convenzione del 1951 e chiunque soddisfi i criteri della definizione di rifugiato di cui all’articolo 1 A, paragrafo 2, della convenzione ha il diritto di avvalersi della protezione di cui all’articolo 33, paragrafo 1, della convenzione, anche nel caso in cui tale status non sia stato ufficialmente riconosciuto alla persona dell’interessato (18). Ciò riveste particolare importanza per i richiedenti asilo, in quanto è probabile che essi ottengano lo status di rifugiati e non vanno quindi allontanati o espulsi dal paese d’asilo fintanto che non sia stata presa una decisione definitiva sul loro status (19).

    4.   La Turchia in quanto «paese terzo sicuro»

    4.1.

    Dal 2011 la Turchia ospita il maggior numero di profughi provenienti dalla Siria (oltre 3 milioni, più precisamente 3 222 000). Nello stesso tempo in Libano, che ha una popolazione di circa 4,8 milioni di abitanti, è presente più di 1 milione di profughi registrati. La Giordania occupa il terzo posto per numero di profughi provenienti dalla Siria (654 582), mentre in Iraq e Egitto vi sono rispettivamente 244 235 e 124 534 profughi registrati (20).

    4.2.

    La Turchia ha ratificato la convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati e il protocollo del 1967, pur con una limitazione geografica per i richiedenti asilo extraeuropei. Più precisamente, riconosce solo i profughi provenienti dall’Europa, vale a dire da paesi che sono membri del Consiglio d’Europa (21). Nell’aprile 2014 la Turchia ha adottato una nuova normativa sugli stranieri e la protezione internazionale. Questa prevede quattro categorie di protezione in Turchia, più precisamente a) «status di rifugiato» per i rifugiati riconosciuti ai sensi della convenzione di Ginevra, vale a dire per i cittadini di uno dei 47 Stati membri del Consiglio d’Europa, b) «status condizionale di rifugiato» per i rifugiati non europei riconosciuti, c) «status di protezione sussidiaria», accordato ai cittadini sia europei che non europei i quali, pur non ottemperando alle condizioni sancite dalla convenzione di Ginevra per poter essere riconosciuti come rifugiati, rischino, in caso di rientro nel paese d’origine, di essere sottoposti alla pena di morte, a torture o a trattamenti in generale disumani o degradanti, oppure di subire danni a causa di conflitti armati nel loro paese e, infine, d) «status di protezione temporanea» che viene accordato in situazioni di forte afflusso di migranti (22).

    4.3.

    Ai siriani che sono giunti in massa è stato accordato, inizialmente, lo status di visitatori (misâfir) e, successivamente, quello di protezione temporanea, senza però che avessero il diritto di richiedere lo status di rifugiati. L’obiettivo di questa disposizione è consentire loro di rimanere in Turchia per tutta la durata del conflitto armato in Siria, per poi fare ritorno in patria quando la situazione sarà migliorata.

    4.3.1.

    Quanto ai cittadini di altri paesi (non siriani), essi possono presentare, singolarmente, una domanda di asilo per essere poi registrati mediante una procedura parallela ai sensi della nuova legge sugli stranieri e la protezione internazionale, entrata in vigore nell’aprile 2014. Conformemente a tale procedura, i richiedenti asilo si rivolgono sia alla direzione generale per la gestione della migrazione (DGGM), che procede alla determinazione dello status, sia all’UNHCR. Quest’ultimo definisce in parallelo lo status del richiedente e formula proposte di ricollocazione; le sue decisioni, però, non hanno forza di legge, ma sono prese in considerazione nella valutazione condotta dalla DGGM. È evidente, quindi, che la normativa turca in materia prevede vari livelli di protezione e norme procedurali diverse per i siriani e per i cittadini di altri paesi terzi, introducendo così delle disparità quanto all’accesso alla protezione e al suo contenuto.

    4.4.

    Vi sono inoltre gravi ostacoli, carenze e problemi per quanto riguarda l’accesso al lavoro e ai servizi di base, come l’assistenza sanitaria e il sistema previdenziale, l’istruzione e, più in generale, i processi di integrazione nella società (23). Sebbene la Turchia abbia riconosciuto ai siriani, sin dal gennaio 2016, il diritto al lavoro, in pratica sono pochissimi ad aver ottenuto il permesso di lavoro, e di conseguenza la maggior parte lavora «in nero» (24). A ciò si aggiungono l’esplicita e categorica esclusione dei beneficiari di protezione internazionale dalla possibilità di integrazione a lungo termine in Turchia (cfr. articolo 25 della legge turca sugli stranieri e la protezione internazionale), nonché le restrizioni alla libera circolazione dei rifugiati in conformità all’articolo 26 della stessa legge. È pertanto evidente che la protezione concessa a chiunque richieda protezione internazionale in Turchia è inferiore rispetto alle garanzie giuridiche e al regime di diritti accordati ai rifugiati riconosciuti dalla convenzione di Ginevra, come il diritto di circolare nel territorio del paese contraente (articolo 26 della convenzione del 1951), il diritto di naturalizzazione (articolo 34) e il diritto di svolgere un’attività retribuita (articoli 17, 18, 19).

    4.5.

    La definizione della Turchia come «paese terzo sicuro» suscita dubbi anche per quanto riguarda il rispetto del principio di non respingimento, sancito dall’articolo 33, paragrafo 1, della convenzione di Ginevra, dall’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) e dall’articolo 3, paragrafo 2, della convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti (25). Oltre ad avere, già in passato, respinto richiedenti asilo extraeuropei, la Turchia avrebbe rifiutato l’ingresso a singoli individui e respinto nel territorio della Siria gruppi di persone provenienti da tale paese, a quanto hanno riferito di recente alcune organizzazioni internazionali per i diritti umani (26). È significativo che, trascorso un giorno soltanto dalla firma dell’accordo, Amnesty International abbia riferito in merito a un ulteriore rimpatrio collettivo di profughi afghani verso Kabul (27). Analogamente, in una risoluzione adottata il 20 aprile 2016 l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa ha dichiarato, tra l’altro, che il rimpatrio di cittadini della Siria e di altri paesi verso la Turchia è in contrasto con la legislazione dell’UE e il diritto internazionale (28). È quindi evidente che non esistono le garanzie necessarie per assicurare l’effettivo rispetto del principio di non respingimento (29).

    Bruxelles, 14 febbraio 2018.

    Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

    Georges DASSIS


    (1)  Commissione europea, Relazione 2016 sulla Turchia, Bruxelles, 9.11.2016, SWD(2016) 366 final, disponibile al seguente indirizzo: http://ec.europa.eu/enlargement/pdf/key_documents/2016/20161109_report_turkey.pdf, pag. 77.

    (2)  Missioni informative del CESE sulla situazione dei rifugiati — il punto di vista delle organizzazioni della società civile, Relazione sulla missione in Turchia, 9-11 marzo 2016, disponibile al seguente indirizzo: http://www.eesc.europa.eu/resources/docs/eesc-fact-finding-missions-refugees_turkey_en.pdf, pag. 2.

    (3)  Cfr. nota 2.

    (4)  Amnesty International, Europe’s gatekeeper: unlawful detention and deportation of refugees from Turkey (Il portiere dell’Europa: detenzione illegale e deportazione di rifugiati dalla Turchia), disponibile al seguente indirizzo: https://www.amnesty.org/en/documents/document/?indexNumber=eur44%2f3022%2f2015&language=en, pag. 14.

    (5)  Cfr. nota 2.

    (6)  L’articolo 2 del TUE stabilisce che: «L’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini».

    (7)  Consiglio europeo, Affari esteri e relazioni internazionali, 18.3.2016, http://www.consilium.europa.eu/it/press/press-releases/2016/03/18-eu-turkey-statement/.

    (8)  Commissione europea, Factsheet on the EU-Turkey Agreement (Scheda informativa sulla dichiarazione UE-Turchia), 19.3.2016, http://europa.eu/rapid/press-release_MEMO-16-963_en.htm.

    (9)  «Secondo quale base giuridica i richiedenti asilo saranno rimpatriati dalle isole greche in Turchia? Le domande di asilo presentate in Grecia saranno esaminate singolarmente, in conformità della normativa UE e internazionale, e del principio di non respingimento. I richiedenti asilo saranno sottoposti a colloqui e valutazioni individuali e avranno diritto di ricorso. Non saranno, invece, sottoposti ad espulsioni collettive o automatiche. Conformemente alle disposizioni UE in materia di asilo, in alcune circostanze precise gli Stati membri possono giudicare una richiesta “non ammissibile” e respingerla, quindi, senza esaminarne la sostanza. Due sono i concetti giuridici da considerare per dichiarare non ammissibile una domanda d’asilo riguardante la Turchia: 1) paese di primo asilo (articolo 35 della direttiva 2013/32/UE sulle procedure di asilo): qualora il richiedente sia già stato riconosciuto in detto paese come rifugiato ovvero goda altrimenti di protezione sufficiente in detto paese, 2) paese terzo sicuro (articolo 38 della suddetta direttiva): qualora la persona non abbia già ricevuto protezione nel paese terzo in questione, il quale però sia in grado di garantire alla persona, una volta riammessa, un effettivo accesso alla protezione.»

    (10)  «In questo contesto, la Commissione sottolinea che il concetto di paese terzo sicuro definito nella direttiva procedure richiede che esista la possibilità di beneficiare di una protezione conformemente alla convenzione di Ginevra, ma non richiede che il paese terzo abbia ratificato tale convenzione senza riserva geografica. Inoltre, per quanto riguarda la questione dell’esistenza di un legame con il paese terzo in questione, e quindi della ragionevolezza per il richiedente asilo di recarsi in tale paese, si può altresì tener conto dell’eventuale transito del richiedente attraverso detto paese terzo, oppure della vicinanza geografica del paese terzo al paese di origine del richiedente». Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio sullo stato di attuazione delle azioni prioritarie intraprese nel quadro dell’agenda europea sulla migrazione, COM (2016) 85 final, 10.2.2016.

    (11)  Parere del Comitato economico e sociale europeo Istituzione di un elenco comune dell’UE di paesi di origine sicuri, GU C 71 del 24.2.2016, pag. 82, punti 2.4 e 2.11.

    (12)  Il numero di attraversamenti giornalieri dalla Turchia verso le isole greche è rimasto basso rispetto all’ultima relazione della Commissione, con una media di 75 arrivi al giorno. Commissione europea, Bruxelles, 6.9.2017, COM(2017) 470 final, Relazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio europeo e al Consiglio — Settima relazione sui progressi compiuti in merito all’attuazione della dichiarazione UE-Turchia. Disponibile al seguente indirizzo: https://ec.europa.eu/home-affairs/sites/homeaffairs/files/what-we-do/policies/european-agenda-migration/20170906_seventh_report_on_the_progress_in_the_implementation_of_the_eu-turkey_statement_en.pdf.

    (13)  In base ai dati più recenti, il numero totale di ricollocazioni è pari a 27 695 persone (19 244 dalla Grecia e 8 451 dall’Italia), mentre nell’ambito della dichiarazione UE-Turchia, un totale di 8 834 siriani sono stati reinsediati dalla Turchia nell’UE. Per quanto concerne il sostegno finanziario nel quadro dello strumento per i rifugiati in Turchia, dei 3 miliardi di EUR concessi come finanziamento per il periodo 2016-2017 sono già stati firmati dei contratti per un importo totale di 1,66 miliardi di EUR, mentre i pagamenti sono saliti a 838 milioni di EUR. Il numero di rifugiati vulnerabili assistiti dalla rete di sicurezza sociale di emergenza è salito da 600 000 a 860 000, e dovrebbe arrivare a 1,3 milioni entro la fine del 2017. Commissione europea, Bruxelles, 6.9.2017 — COM(2017) 465 final — Relazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio europeo e al Consiglio — Quindicesima relazione sulla ricollocazione e il reinsediamento. Disponibile al seguente indirizzo: https://ec.europa.eu/home-affairs/sites/homeaffairs/files/what-we-do/policies/european-agenda-migration/20170906_fifteenth_report_on_relocation_and_resettlement_en.pdf.

    (14)  Si sottolinea che il meccanismo dei paesi sicuri è in contrasto con l’articolo 31, paragrafo 1, della convenzione di Ginevra, in quanto il diritto internazionale non prevede l’obbligo di presentare la domanda nel primo paese che potrebbe concedere lo status di protezione internazionale. Cfr. in particolare M. Symes & P. Jorro, Asylum Law and Practice, LexisNexis UK, 2003, pag. 448; G. Goodwin & J. McAdam, The Refugee in International Law, Oxford University Press, 2007, pag. 392. Per la posizione opposta, cfr., tra gli altri, K. Hailbronner, «The Concept of “Safe Country” and Expeditious Asylum Procedures: A Western European Perspective» (Il concetto di «paese sicuro» e le procedure d’asilo per direttissima dal punto di vista dell’Europa occidentale), International Journal of Refugee Law, 1993, 5(1): pagg. 31-65.

    (15)  Secondo la Lega greca per i diritti umani, fin dai primi giorni di applicazione della dichiarazione UE-Turchia sui rifugiati, «l’esperto dell’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo (UESA) ha ritenuto che la Turchia fosse un paese terzo sicuro nel caso delle prime domande di asilo esaminate […]. Questo parere (un testo standard riproposto di volta in volta per tutte le domande respinte) in sostanza nega ai richiedenti asilo la necessaria valutazione caso per caso e, peggio ancora, riversa su di loro l’onere di provare che la Turchia non è un paese terzo sicuro, in pieno contrasto con lo spirito della direttiva. In questi primi casi le decisioni sommarie di respingere le domande presentate non sono giustificate». Hellenic League for Human Rights (Lega ellenica per i diritti umani), Comments — critical remarks on the provisions and implementation of Law 4375/2016 (Commenti e osservazioni riguardo alle disposizioni e all’attuazione della legge 4375/2016), 21 aprile 2016, pag. 6, disponibile al seguente indirizzo: http://www.hlhr.gr/?MDL=pages&SiteID=1215. Il 10 maggio 2016 è stata però adottata per la prima volta una decisione da parte greca in cui la Turchia è definita paese terzo non sicuro. In particolare, dopo il ricorso di un siriano che si trovava a Lesbo e che, essendo stata respinta inizialmente la sua domanda d’asilo, sarebbe dovuto tornare in Turchia, la commissione d’appello per i rifugiati ha giudicato che la Turchia non si poteva considerare un paese terzo sicuro e che quindi la domanda doveva essere esaminata più nei dettagli e sulla base di dati più circostanziati. Il precedente creato dalla prima decisione che giudica la Turchia un paese terzo non sicuro per i siriani è ancora oggi ripreso da numerose commissioni d’appello per i rifugiati.

    (16)  Per il principio di non respingimento, cfr., tra gli altri, E. Lauterpacht & D. Bethlehem, «The scope and content of the principle of non refoulement: Opinion», in: E. Feller, V. Tuerk & F. Nicholson (a cura di), Refugee Protection in International Law, UNHCR’s Global Consultations on International Protection, Cambridge University Press, Cambridge 2003, pagg. 87-177. Cfr. anche il parere dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati riguardo all’applicazione extraterritoriale del principio di non respingimento nel contesto della convenzione del 1951 e del protocollo del 1967 relativo allo status di rifugiato in: http://www.unhcr.org/refworld/docid/45f17a1a4.html.

    (17)  Nota sulla protezione internazionale del 13 settembre 2001 (A/AC. 96/951, paragrafo 16). Cfr. anche UNHCR, The Principle of Non Refoulement as a Norm of Customary International Law, Response to the Questions Posed to UNHCR by the Federal Constitutional Court of the Federal Republic of Germany in cases 2 BvR 1938/93, 2 BvR 1953/93, 2 BvR 1954/93 (Il principio di non respingimento quale norma del diritto internazionale consuetudinario, Risposte alle interrogazioni rivolte all’UNHCR dalla Corte costituzionale federale tedesca nei casi 2 BvR 1938/93, 2 BvR 1953/93, 2 BvR 1954/93). Cfr. inoltre UNHCR, Note on the Principle of Non Refoulement (Nota sul principio di non respingimento), (Seminario UE sull’applicazione della risoluzione sulle garanzie minime per le procedure di asilo adottata dal Consiglio il 20 giugno 1995), 1o novembre 1997. In aggiunta a quanto sopra, si rimanda al quarto comma del preambolo alla dichiarazione degli Stati firmatari della convenzione del 1951 e/o del suo protocollo del 1967 relativo allo status di rifugiato adottata in occasione della conferenza ministeriale del 12 e 13 dicembre 2001, HCR/MMSP/2001/09; si veda inoltre la sentenza della Corte suprema della Nuova Zelanda nel caso Ahmed Zaoui v. Attorney General (n. 2) [2005] 1 NZLR 690, 20.9.2004, parr. 34 e 136.

    (18)  Conclusione n. 6 (XXVIII) del 1977 sul principio di non respingimento, paragrafo c); conclusione n. 79 (XLVIII) del 1996 sulla protezione internazionale, paragrafo j); conclusione n. 81 (XLVIII) del 1997 sulla protezione internazionale, paragrafo i).

    (19)  UNHCR, Global Consultations on International Protection/Third Track: Asylum Processes (Fair and Efficient Asylum Procedures), EC/GC/01/12, 13.5.2001, parr. 4, 8, 13 & 50 (c) e E. Lauterpacht & D. Bethlehem, cfr. sopra la nota 16, parr. 87-99.

    (20)  Per maggiori informazioni cfr. http://data.unhcr.org/syrianrefugees/regional.php.

    (21)  Cfr. nota 2.

    (22)  La normativa in questione è disponibile in inglese al seguente indirizzo: http://www.goc.gov.tr/files/files/eng_minikanun_5_son.pdf.

    (23)  Cfr. nota 2.

    (24)  Meltem Ineli-Ciger, «Implications of the New Turkish Law on Foreigners and International Protection and Regulation no. 29153 on Temporary Protection for Syrians Seeking Protection in Turkey» (Implicazioni della nuova legge turca sugli stranieri e la protezione internazionale e del regolamento n. 29153 sulla protezione temporanea dei siriani in cerca di protezione in Turchia), Oxford Monitor of Forced Migration, 2014, 4(2): pagg. 28-36.

    (25)  Cfr. nota 2.

    (26)  Cfr. tra l’altro la comunicazione di Human Rights Watch del 23 novembre 2015, disponibile al seguente indirizzo: https://www.hrw.org/news/2015/11/23/turkey-syrians-pushed-back-border.

    (27)  Amnesty International, Η ψευδαίσθηση της «ασφαλούς χώρας» για την Τουρκία καταρρέει (Crolla l’illusione che la Turchia sia un «paese sicuro»), 23 marzo 2016, disponibile al seguente indirizzo: https://www.amnesty.gr/news/press/article/20243/i-pseydaisthisi-tis-asfaloys-horas-gia-tin-toyrkia-katarreei. Per maggiori informazioni, cfr. Ο. Ulusoy, Turkey as a Safe Third Country? (La Turchia è un paese terzo sicuro?), 29 marzo 2016, disponibile al seguente indirizzo: https://www.law.ox.ac.uk/research-subject-groups/centre-criminology/centreborder-criminologies/blog/2016/03/turkey-safe-third. E. Roman, Th. Baird e T. Radcliffe, Why Turkey is Not a «Safe Country» (Perché la Turchia non è un «paese sicuro»), febbraio 2016, Statewatch, http://www.statewatch.org/analyses/no-283-why-turkey-is-not-a-safe-country.pdf.

    (28)  Risoluzione 2109 (2016), versione provvisoria, The situation of refugees and migrants under the EU-Turkey Agreement of 18 March 2016 (La situazione dei rifugiati e dei migranti nell’ambito dell’accordo UE-Turchia del 18 marzo 2016), autore: Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa — origine: dibattito in Assemblea il 20 aprile 2016 (15a seduta) (cfr. doc. 14028, relazione della commissione Migrazioni, rifugiati e sfollati, relatrice: Tineke Strik). Testo adottato dall’Assemblea il 20 aprile 2016 (15a seduta).

    (29)  L. Reppeli (2015), «Turkey’s track record with the European Court of Human Rights» (La Turchia e la Corte europea dei diritti dell’uomo). Turkish Review, 1o gennaio 2015 (disponibile al seguente indirizzo: http://archive.is/XmdO5).


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