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Document 52016IE0786

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «L’impatto sui settori industriali principali (e sull’occupazione e la crescita) dell’eventuale concessione alla Cina dello status di economia di mercato (ai fini degli strumenti di difesa commerciale)» (parere d’iniziativa)

GU C 389 del 21.10.2016, p. 13–19 (BG, ES, CS, DA, DE, ET, EL, EN, FR, HR, IT, LV, LT, HU, MT, NL, PL, PT, RO, SK, SL, FI, SV)

21.10.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 389/13


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «L’impatto sui settori industriali principali (e sull’occupazione e la crescita) dell’eventuale concessione alla Cina dello status di economia di mercato (ai fini degli strumenti di difesa commerciale)»

(parere d’iniziativa)

(2016/C 389/02)

Relatore:

Andrés BARCELÓ DELGADO

Correlatore:

Gerald KREUZER

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 21 gennaio 2016, ha deciso, conformemente al disposto dell’articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere d’iniziativa sul tema:

L’impatto sui settori industriali principali (e sull’occupazione e la crescita) dell’eventuale concessione alla Cina dello status di economia di mercato (ai fini degli strumenti di difesa commerciale)

(parere d’iniziativa)

La commissione consultiva per le trasformazioni industriali (CCMI), incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 22 giugno 2016.

Alla sua 518a sessione plenaria, tenutasi il 13 e 14 luglio 2016 (seduta del 14 luglio 2016), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 194 voti favorevoli, 4 voti contrari e 3 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

È veramente difficile ammettere che la Cina operi oggi in condizioni di economia di mercato, dal momento che l’economia cinese non soddisfa quattro dei cinque criteri stabiliti dalla prassi consolidata della Commissione né rispecchia le condizioni fissate dal regolamento di base [regolamento (CE) n. 1225/2009 del Consiglio].

1.2.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) riconosce che, malgrado le conclusioni diverse a cui si perviene a seconda delle fonti consultate, se l’UE non disporrà più degli strumenti idonei a garantire un commercio libero ed equo con la Cina, andranno perdute centinaia di migliaia di posti di lavoro — una cifra chiaramente inaccettabile.

1.3.

Le perdite sarebbero concentrate in determinati settori industriali (alluminio, biciclette, ceramica, elettrodi, ferroleghe, vetro, carta, pannelli solari, acciaio e pneumatici) e in aree geografiche specifiche, che subirebbero gravi impatti negativi: pertanto, si raccomandano ulteriori studi di tipo settoriale e geografico.

1.4.

I comparti interessati sono principalmente produttori o consumatori di beni intermedi; di conseguenza, è improbabile che i consumatori privati possano beneficiare della riduzione delle misure antidumping.

1.5.

I settori industriali che consumano prodotti oggetto di dumping trarrebbero vantaggio, a breve termine, dall’importazione di prodotti oggetto di sovvenzioni. Nel medio periodo, tuttavia, anche questi settori potrebbero essere a rischio, dal momento che la Cina oggi promuove anche settori a valle provvisti di valore aggiunto. L’insufficiente livello di conformità della Cina in materia di diritti di proprietà industriale in passato rappresenta anch’esso una minaccia in tal senso.

1.6.

Una volta perduti, è assai raro che i posti di lavoro nell’industria possano essere creati di nuovo. Se chi ha perso il posto riesce a trovare un nuovo lavoro, probabilmente riceverà un salario inferiore e si troverà in una posizione in cui le sue qualifiche non saranno considerate nel loro giusto valore. La sostituzione di posti di lavoro di qualità nell’industria con lavori scarsamente retribuiti e precari rischia inoltre di aumentare le disuguaglianze sociali in Europa.

1.7.

Pertanto, il CESE ritiene che il riconoscimento dello status di economia di mercato alla Cina metterebbe in serio pericolo l’assetto industriale dell’UE e la sua occupazione manifatturiera. Verrebbe pregiudicata la possibilità di consentire il rilancio dell’industria europea attraverso l’impiego di occupazione stabile e di alta qualità oltre che con l’introduzione e la diffusione di innovazione tecnologica e della ricerca e sviluppo — altrettanti fattori chiavi per assicurare una dinamica sostenibile del sistema economico e sociale europeo.

1.8.

In questo contesto, la concessione dello status di economia di mercato alla Cina comprometterebbe seriamente l’esistenza dei distretti industriali e dei sistemi locali produttivi di PMI caratterizzati da produzioni minacciate da pratiche concorrenziali scorrette da parte della Cina. Si correrebbe così il rischio di perdere specializzazioni produttive di PMI e un’occupazione artigianale ed altamente specializzata che rappresentano la spina dorsale dell’assetto manifatturiero europeo.

1.9.

Il CESE esorta la Commissione europea, il Parlamento europeo e il Consiglio a promuovere una concorrenza equa a livello mondiale quale via da percorrere per una difesa attiva di questi posti di lavoro e dei valori della società europea, oltre che per incentivare il reddito e la ricchezza nell’Unione europea.

1.10.

La difesa dei posti di lavoro nell’UE e degli investimenti ad essi collegati non è ragionevole unicamente da una mera prospettiva economica, ma va anche a favore della sostenibilità sociale e ambientale. Delocalizzare le produzioni da stabilimenti di produzione in Europa molto efficienti in termini di impiego delle risorse e dell’energia verso un’economia cinese basata sul carbone rappresenterebbe una seria battuta d’arresto per il conseguimento dei nostri obiettivi in materia di cambiamenti climatici e sviluppo sostenibile. Va anche sottolineato che il rispetto dei diritti umani e del lavoro in Cina rimane una questione difficile.

1.11.

L’azione di difesa dei nostri posti di lavoro dev’essere condotta nel rispetto del diritto europeo e dei trattati internazionali. Essa dovrebbe inoltre garantire l’adempimento di accordi da parte di terzi e tenere conto dei negoziati condotti con i nostri maggiori partner commerciali, come gli Stati Uniti. Strumenti di difesa commerciale efficaci servono a garantire un’equa concorrenza, e sono inoltre indispensabili per il futuro dell’industria europea e per sostenere l’obiettivo dell’UE di portare al 20 % la percentuale dell’industria nel PIL.

1.12.

Fin quando la Cina non soddisferà i cinque criteri fissati dall’UE per essere riconosciuta come economia di mercato, la Commissione europea dovrebbe utilizzare un metodo non standard per condurre le inchieste antidumping e antisovvenzioni sulle importazioni cinesi, in conformità delle rimanenti disposizioni della sezione 15 del Protocollo di adesione della Cina all’OMC.

1.13.

Mantenere le industrie nell’UE costituisce la base per lo sviluppo di solide reti di R&S (ricerca e sviluppo), le quali rivestono un’importanza cruciale per la crescita futura e per trovare soluzioni alle «grandi sfide sociali» dell’Europa (invecchiamento demografico, energia, clima, assistenza sanitaria e mobilità).

1.14.

Le piccole e medie imprese (PMI) non dispongono delle risorse necessarie per avviare dei procedimenti antidumping né per offrire una piena collaborazione alla Commissione nel quadro delle inchieste antidumping. Il CESE invita ad adottare un approccio semplificato per quei settori in cui la partecipazione delle PMI ha una sua rilevanza.

1.15.

Il presente parere, che riconosce l’importanza strategica di questa problematica, rappresenta l’inizio, e non la fine, dell’impegno del CESE sull’argomento. Il Comitato intende definire un impegno permanente in materia e propone di dare vita ad un proprio progetto sullo status di economia di mercato della Cina, che dovrebbe consentirgli di seguire tutti gli sviluppi della questione per conto della società civile. Si dovrebbero assegnare risorse sufficienti e idonee allo svolgimento di questo particolare compito.

2.   Introduzione

2.1.

Conformemente alle norme dell’OMC, un paese può imporre, oltre alle tariffe doganali, dei dazi antidumping su prodotti provenienti da paesi terzi qualora, al termine di un’indagine, sia dimostrato che tali prodotti entrano nel paese in questione a prezzi inferiori a quelli praticati sul suo mercato interno, arrecando pertanto un pregiudizio all’industria nazionale. Quando la Cina è diventata membro dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) nel dicembre 2001, un regime transitorio relativo alla sua adesione le ha consentito di essere considerata un’economia non di mercato nell’ambito dei procedimenti antidumping, nel caso in cui le imprese cinesi non potessero dimostrare di operare conformemente ai principi del libero mercato. L’attuale status di economia non di mercato di cui beneficia offre alla Cina la possibilità di ricorrere ai prezzi di un paese «analogo» invece dei prezzi applicati sul suo mercato interno (prezzi che nelle economie non di mercato sono artificialmente bassi a causa dell’intervento statale) per calcolare il margine di dumping. Il ricorso a metodologie relative all’economia non di mercato è descritto nella sezione 15 del Protocollo di adesione della Cina all’OMC, ma le disposizioni della sezione 15, lettera a), punto ii), del protocollo verranno a scadere nel dicembre 2016. Il fatto che tali disposizioni vengano a scadere a quella data obbligherà la Commissione a modificare il metodo utilizzato nei procedimenti antidumping per determinare la comparabilità dei prezzi.

2.2.

Il presente parere del CESE esamina in particolare gli effetti sull’industria e l’occupazione nell’UE che risulterebbero dall’eventuale concessione alla Cina dello status di economia di mercato e dall’eventuale modifica del metodo utilizzato per gli strumenti di difesa commerciale, a prescindere dagli aspetti giuridici del dibattito in merito, dal momento che il Comitato considera tale questione della massima importanza per l’industria dell’UE e i posti di lavoro nei vari settori industriali europei.

2.3.

Il Parlamento europeo ha adottato a larga maggioranza una risoluzione in cui chiede l’applicazione di un metodo non standard che sia conforme al Protocollo di adesione della Cina all’OMC, pur mantenendo la possibilità di creare effettivamente un quadro per un commercio libero ed equo.

3.   Osservazioni generali

3.1.

Per quanto concerne l’economia, il CESE formula le seguenti osservazioni:

3.2.

Negli ultimi 15 anni la Cina ha registrato una crescita senza precedenti, che ha modificato la configurazione dell’industria e del commercio a livello mondiale. Il modello di crescita cinese si è basato sugli investimenti, un’attività, questa, che rappresentava il 46 % del suo PIL nel 2015, secondo i dati del Fondo monetario internazionale (FMI) — una cifra superiore alla quota di investimenti registrata in altre economie industrializzate quali l’UE (19 %) e gli Stati Uniti (20 %).

3.3.

L’ampiezza e la velocità delle trasformazioni sono dovute in larga misura all’intervento dello Stato. Il CESE riconosce che la Cina non è un’economia di mercato in base alla definizione di questo concetto a cui si attiene l’UE, e il consenso su questo punto è generale anche al di fuori della nostra istituzione. Come si legge in una recente relazione della Banca mondiale, «lo Stato è intervenuto ampiamente e direttamente nell’assegnazione delle risorse tramite un controllo amministrativo e dei prezzi, garanzie, orientamenti in materia di credito e una proprietà diffusa delle istituzioni finanziarie (1), oltre che con politiche regolamentari».

3.4.

Lo sviluppo della Cina è segnato da un gran numero di eccessi. Il paese ha registrato un consumo di cemento pari a 6,6 miliardi di tonnellate tra il 2011 e il 2013, vale a dire più del consumo degli Stati Uniti in tutto il XX secolo (4,4 miliardi di tonnellate). Questo significa che, nello spazio di tre anni, la Cina ha utilizzato lo stesso quantitativo di cemento che è stato necessario per costruire in tutti gli Stati Uniti nell’arco di un secolo. A parte l’impiego inefficiente delle risorse, si è sviluppata un’enorme capacità industriale per produrre un così ingente quantitativo di materiali in un periodo tanto breve.

3.5.

La Cina ha iniziato a cambiare il proprio modello economico orientandolo verso maggiori consumi e una crescita imperniata sui servizi. L’economia cinese deve far fronte ad una recessione, il che implica che una quota significativa della produzione dell’industria pesante cinese non troverà acquirenti in Cina.

3.6.

Secondo la Camera di commercio europea in Cina, si può già riscontrare un considerevole eccesso di capacità per prodotti o settori quali l’acciaio grezzo, l’alluminio, il cemento, i prodotti chimici, la cantieristica navale, la raffinazione, il vetro piano, la carta e il cartone. Il governo cinese ne è consapevole e ha deciso una riduzione della capacità di produzione di acciaio grezzo compresa tra 100 e 150 milioni di tonnellate entro il 2020 (2), nonché una riduzione della produzione di carbone di 500 milioni di tonnellate nello stesso periodo (3).

3.7.

A prescindere da questi obiettivi che le autorità cinesi si sono prefissi, la riduzione della capacità totale è un compito che richiederà tempi lunghi. Le fabbriche chiuse negli ultimi dieci anni sono state sostituite da stabilimenti moderni con una produttività più elevata, e il problema dell’eccesso di capacità si è andato sempre più aggravando. La domanda di beni intermedi proveniente dalle famiglie non potrà mai sostituirsi a quella dell’industria.

3.8.

L’UE è riuscita a risolvere questo problema negli Anni 80 e 90 del secolo scorso solo al termine di un processo lungo e faticoso, e anche nel caso della Cina non sarà possibile trovare una soluzione in tempi brevi.

3.9.

Di conseguenza, l’eccesso di capacità combinato alla debolezza della domanda interna sta determinando una produzione in eccesso, che cerca poi di trovare degli sbocchi sui mercati internazionali.

3.10.

Il CESE mette in rilievo i dati sulle esportazioni cinesi.

3.10.1.

Secondo i dati dell’OMC, la Cina è il principale esportatore di prodotti manufatti al mondo, con una quota del 18 %, che dal 2010 ad oggi è aumentata del 20 %. Nel 2014 le esportazioni cinesi hanno registrato una crescita del 6 %, mentre quelle dal resto del mondo sono aumentate del 3,5 %. Se prendiamo in considerazione il periodo 2010-2014, l’incremento delle esportazioni dalla Cina è stato del 49 %, vale a dire il doppio della percentuale di crescita delle esportazioni dal resto del mondo.

3.10.2.

In base ai dati dell’Istituto nazionale di statistica cinese, i prodotti che nel 2014 hanno registrato il maggiore tasso di crescita sono lo zinco e le leghe di zinco (+2 360 %), il cotone (+ 100 %), il coke (+ 82 %), i diodi e gli altri semiconduttori (+ 61 %) e l’acciaio laminato (+ 50 %). Dal 2010 le esportazioni di cotone, di acciaio laminato e di diodi e altri semiconduttori sono raddoppiate, mentre il volume delle vendite di coke, zinco e leghe di zinco è triplicato.

3.10.3.

Questa tendenza alla crescita delle esportazioni dovrebbe proseguire nei prossimi anni, dal momento che le previsioni indicano una contrazione della domanda interna in Cina. Se gli strumenti di difesa commerciale messi in campo dall’Europa si riveleranno nettamente meno efficaci di quelli dei nostri partner commerciali, le esportazioni che la Cina realizza attualmente verso l’area dell’Accordo di libero scambio nordamericano (North American Free Trade Agreement — NAFTA) o il Giappone potrebbero essere dirottate verso l’UE.

3.10.4.

Questo modello di crescita trainata dalle esportazioni ha determinato oggi un forte disavanzo — pari a 137 miliardi di euro (48,8 miliardi di euro nel 2000) — della bilancia commerciale dell’UE nel settore del commercio di beni, con le importazioni dell’UE dalla Cina due volte superiori rispetto alle esportazioni dell’Unione verso questo stesso paese.

3.10.5.

È in questo contesto che la Cina ha avviato l’iniziativa «One Belt One Road» (OBOR, ossia la «Nuova via della seta») volta a realizzare un’attività di infrastrutturazione di trasporto (ferroviario-autostradale e marittimo) dell’area euroasiatica, con l’obiettivo principale di far accedere ai mercati euroasiatici coinvolti nell’iniziativa le proprie aziende in condizioni di non concorrenzialità e di utilizzare questi ultimi come mercati di sbocco per i settori in sovrapproduzione. La concessione alla Cina dello status di economia di mercato rappresenterebbe un rischio considerevole per le aziende europee degli Stati membri dell’UE coinvolti nell’iniziativa OBOR.

3.11.

Dati relativi alle pratiche di dumping

3.11.1.

La Cina ha, in parte, ottenuto il netto aumento delle esportazioni sopra descritto grazie a pratiche sleali, come dimostrano i numerosi procedimenti antidumping avviati nei suoi confronti ai sensi delle norme dell’OMC.

3.11.2.

La Cina è il paese più colpito da misure antidumping: è stata infatti oggetto del 34 % delle inchieste di difesa commerciale che hanno portato all’imposizione di 667 misure. Nel solo 2015 erano in vigore o erano state avviate nei confronti della Cina ben 76 misure antidumping.

3.11.3.

Il 67 % delle misure antidumping adottate nei confronti della Cina riguardava settori industriali quali quelli dei prodotti tessili e dell’abbigliamento, della ceramica e del vetro, dei metalli comuni, delle materie plastiche, dei macchinari, delle apparecchiature elettriche e della petrolchimica. Lo scorso anno il 79 % delle misure imposte nei confronti della Cina si concentrava in questi settori.

3.11.4.

Benché l’UE sia uno dei protagonisti più attivi nell’arena del commercio mondiale, di cui rappresenta il 15,8 % del totale, nei confronti della regione formata dai 28 Stati membri sono state adottate solamente 133 misure antidumping, pari al 7 % dei procedimenti antidumping nel mondo. Al confronto, la Cina costituisce l’oggetto del 47 % di tali misure, e nel solo 2015 è stata sanzionata in tre procedimenti.

4.   Osservazioni specifiche riguardo alle perdite di posti di lavoro in Europa

4.1.    Settori direttamente colpiti

4.1.1.

Dal punto di vista puramente teorico, la concessione alla Cina dello status di economia di mercato avrebbe degli effetti negativi per l’Unione europea in termini di benessere generale. La liberalizzazione degli scambi è di fondamentale importanza per l’UE: essa ha effetti di rete positivi, benché vi siano sempre dei settori su cui il processo di liberalizzazione incide negativamente peggiorandone la situazione.

4.1.2.

Nel caso in esame, tuttavia, il CESE sottolinea che non si tratta di un processo negoziale che preveda lo smantellamento di barriere da entrambe le parti al negoziato. In cambio della concessione dello status di economia di mercato la Cina non darebbe nulla in contropartita, mentre l’UE ridurrebbe unilateralmente la propria capacità di compensare la distorsione della concorrenza causata dal sostegno sleale fornito dal governo centrale e dalle autorità locali cinesi.

4.1.3.

Il CESE constata che i posti di lavoro nell’industria sono già stati delocalizzati. Nel periodo 2000-2014 le industrie europee hanno registrato una perdita di 6,7 milioni di lavoratori, ossia il 12 % del totale di 56,3 milioni di lavoratori all’inizio del periodo considerato. Nell’arco dello stesso periodo l’indice del volume delle importazioni è aumentato del 144 %. Secondo i risultati di ricerche condotte negli Stati Uniti, paese con un settore industriale ben più ridotto di quello dell’UE, tra il 1999 e il 2011 si è registrata una perdita di circa 985 000 posti di lavoro nell’industria a causa di una maggiore penetrazione delle importazioni cinesi (4).

4.1.4.

Non sono solo le industrie di base ad aver perso posti di lavoro, ma anche quelle innovative: ad esempio, è del tutto scomparsa una certa industria all’avanguardia nel settore della telefonia mobile. In un settore essenziale per il nostro futuro come quello dei pannelli fotovoltaici, tra il 2010 e il 2012 34 produttori hanno presentato una domanda di apertura di un procedimento d’insolvenza, due hanno abbandonato l’attività nel campo dell’energia solare, cinque hanno cessato, parzialmente o totalmente, la produzione e, infine, tre sono stati rilevati da investitori cinesi (5).

4.1.5.

Sono particolarmente a rischio taluni comparti industriali che hanno un’importanza strategica nei piani quinquennali della Cina: le produzioni di alluminio, biciclette, ceramica, vetro, componenti per autoveicoli, carta e acciaio.

4.1.6.

Varie istituzioni hanno condotto delle valutazioni d’impatto sull’eventuale concessione alla Cina dello status di economia di mercato. La Commissione europea ha fatto realizzare uno studio che, tuttavia, non è ancora pubblicato, cosicché il CESE non è in grado di analizzare la posizione assunta da questa istituzione dell’UE su questo tema della massima urgenza.

4.1.7.

Secondo il think tank statunitense Economic Policy Institute (EPI), il pregiudizio derivante dalla concessione alla Cina dello status di economia di mercato è valutabile in una cifra compresa tra 1,7 e 3,5 milioni di posti di lavoro a rischio nell’UE. Questa stima si basa su un modello input-output che prende in considerazione le perdite dirette (settori direttamente colpiti da un aumento delle importazioni), le perdite indirette (industrie fornitrici e di trasformazione per i settori direttamente colpiti) e le perdite in termini di reinvestimenti (dovute alla riduzione del reddito delle famiglie e delle spese). L’inconveniente principale dello studio dell’EPI è che tiene conto degli effetti di tutte le importazioni dalla Cina, anche in settori su cui esse in realtà sono ben lungi dall’avere un’incidenza.

4.1.8.

Se si prendono in considerazione unicamente le industrie che registrano delle misure antidumping, le perdite dirette e indirette di posti di lavoro sono comprese tra 0,5 e 0,9 milioni. Sempre secondo lo studio, l’occupazione diretta totale generata dalle industrie esposte a forti e improvvisi incrementi delle importazioni oggetto di dumping è di 2,7 milioni di posti di lavoro.

4.1.9.

Lo studio non calcola tuttavia gli effetti in termini di reinvestimenti in questi soli settori. Il dato che emerge dalla relazione dell’EPI è che i posti di lavoro a rischio nei settori interessati dalle pratiche antidumping rappresentano il 60 % dell’occupazione totale nelle industrie manifatturiere. Applicando la stessa proporzione agli effetti indiretti e a quelli in termini di reinvestimenti, le perdite di posti di lavoro potrebbero salire ad una cifra compresa tra 1,1 e 2,1 milioni.

4.1.10.

Una seconda relazione riprende le conclusioni di tre studi, commissionati dalle associazioni dei produttori siderurgici dell’area del NAFTA, relativi ai probabili effetti economici che avrebbe la concessione dello status di economia di mercato alla Cina sui paesi appartenenti a tale area. La relazione conclude che, se i tre paesi del NAFTA riconoscessero alla Cina lo status di economia di mercato, la domanda di manodopera diminuirebbe di un importo compreso tra 15 e 32 miliardi di USD, e gran parte di tale diminuzione si registrerebbe negli Stati Uniti. Secondo le stime, questo si tradurrebbe in una perdita di posti di lavoro compresa tra 0,4 e 0,6 milioni.

4.1.11.

Entrambi gli studi citati si basano su modelli macroeconomici di equilibrio generale. Tuttavia, se studi di questo tipo venissero realizzati separatamente su grandi aree economiche come l’UE e l’area del NAFTA, il CESE è convinto che la concessione unilaterale dello status di economia di mercato alla Cina sarebbe quasi certamente all’origine di una perdita diretta di prosperità nella misura di, come minimo, centinaia di migliaia di posti di lavoro perduti, e anzi, le perdite si avvicinerebbero probabilmente al milione — un milione di persone che dovrebbero trovare delle alternative per il proprio sostentamento.

4.1.12.

Per poter valutare la probabilità che tali perdite si verifichino effettivamente, il CESE richiama l’attenzione su alcune importanti conseguenze:

le pratiche di dumping sulle importazioni non si verificano solamente per i prodotti che sono attualmente oggetto di misure antidumping. Sono al vaglio ulteriori misure, da parte della Commissione europea o dei produttori. Si osserva inoltre un effetto negativo a catena tra i prodotti: dopo che è stata imposta una misura antidumping su un determinato prodotto, è probabile che gli esportatori che ne vengono colpiti orientino la loro attività di esportazione verso prodotti non contemplati da tale misura,

gli effetti del basso livello dei prezzi dovuto alle importazioni oggetto di dumping su altri prodotti dello stesso settore,

una volta perdute, le capacità manifatturiere non verranno ripristinate, proprio come verrà meno anche l’intero ecosistema che gravita intorno a un determinato comparto industriale.

4.1.13.

Per quanto riguarda la dimensione geografica, il CESE ribadisce che i posti di lavoro che rischiano di andare perduti non sono uniformemente distribuiti sotto il profilo geografico. La concentrazione delle perdite di posti di lavoro in talune aree può determinare situazioni critiche in queste zone, anche se altre regioni dell’Unione potrebbero invece non dover subire conseguenze gravi. I paesi più colpiti potrebbero perdere fino al 2,7 % della loro manodopera.

4.1.14.

Molto spesso sono stabilimenti industriali di grandi dimensioni e fortemente legati al tessuto economico e industriale dei territori in cui sono situati ad offrire questi posti di lavoro. Recentemente si sono registrate perdite considerevoli in settori come quello siderurgico, nel quale migliaia di posti di lavoro dipendono da un’unica azienda, con conseguenti drammatiche ripercussioni sociali sulle comunità in cui sono situati questi impianti.

4.1.15.

Il CESE insiste inoltre sulla qualità dei posti di lavoro nell’industria: quelli delle industrie manifatturiere sono mediamente più stabili e meglio retribuiti rispetto ai posti di lavoro di altri settori dell’economia. La Commissione europea sottolineava nel 2014 (6) che la retribuzione mensile dei lavoratori del manifatturiero è superiore del 5 % rispetto alla media generale dell’UE. Negli Stati Uniti il salario settimanale nell’industria manifatturiera è maggiorato dell’8 % rispetto a quello dei lavoratori nei settori non manifatturieri. Tale retribuzione più elevata è il risultato di una maggiore produttività.

4.1.16.

L’industria offre posti di lavoro di qualità a lavoratori qualificati ma anche poco qualificati, che avrebbero grandi difficoltà a trovare un altro posto alle stesse condizioni lavorative. Il ruolo sempre più ridotto dell’industria contribuisce, di per sé, alle disuguaglianze sociali in Europa.

4.1.17.

Secondo l’indagine sulle condizioni di lavoro condotta da Eurofound (Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro), il lavoro a tempo parziale è molto meno diffuso nel settore manifatturiero (12 %) rispetto alla media dell’UE a 28 (24 %). Inoltre, nel settore manifatturiero l’orario di lavoro tende ad essere più regolare e gli orari atipici sono assai meno diffusi rispetto all’economia dell’UE nel suo complesso (7).

4.1.18.

Il CESE vorrebbe poi evitare il rischio che la concessione alla Cina dello status di economia di mercato pregiudicasse l’ecosistema della conoscenza: il manifatturiero è il settore in cui si osserva, ben più che in tutti gli altri, la maggiore domanda di attività di R&S (ricerca e sviluppo), e vi è una crescente tendenza ad avvalersi della R&S realizzata da società di servizi incentrate sull’innovazione (8). Secondo uno studio realizzato dall’ECSIP Consortium, il contenuto medio in servizi dei beni manufatti prodotti nell’UE sfiora il 40 % del valore totale dei prodotti finiti ottenuti. La maggior parte di tali servizi sono servizi di distribuzione (15 %), trasporto e comunicazione (8 %) nonché servizi alle imprese, questi ultimi in percentuale compresa tra meno del 10 % e ben il 20 % e anche più nei vari Stati membri dell’UE. La categoria dei servizi alle imprese comprende servizi quali R&S, pubblicità e ricerche di mercato, attività di ingegneria e servizi di TIC (tecnologie dell’informazione e della comunicazione).

4.1.19.

Il CESE ha già predisposto dei pareri sull’importanza di promuovere standard normativi più elevati in materia di proprietà intellettuale, a causa della mancata conformità agli standard da parte di alcuni paesi. Questo aspetto non andrebbe dimenticato al momento dell’elaborazione della politica commerciale dell’UE.

4.2.    Settori non direttamente interessati dagli strumenti di difesa commerciale

4.2.1.

Una valutazione dell’impatto della concessione unilaterale alla Cina dello status di economia di mercato deve prendere in considerazione anche i potenziali vantaggi che ne deriverebbero in altri settori, in particolare per i consumatori di prodotti per i quali la Cina vanta attualmente — o ha in previsione nei suoi piani economici — una forte attività manifatturiera.

4.2.2.

Molte delle industrie che hanno subito finora degli effetti negativi sono produttrici di beni intermedi, vale a dire di beni che vengono trasformati e assemblati in prodotti finiti.

4.2.3.

La produzione industriale mondiale non ha ancora recuperato i livelli precedenti la crisi finanziaria. Di conseguenza, dato che si registra tuttora una notevole eccedenza di capacità industriale, gli acquirenti di prodotti cinesi oggetto di misure antidumping sarebbero in grado di rifornirsi da paesi terzi senza una perdita significativa di competitività.

4.2.4.

Se la Cina è autorizzata ad accrescere la sua quota di mercato con pratiche sleali e a creare un vantaggio oligopolistico, non c’è dubbio che, in seguito, trarrà profitto da questa situazione per aumentare di nuovo i prezzi, il che avrà delle ripercussioni negative sulle industrie consumatrici dell’UE. Oggi la Cina agisce già in questo modo per incentivare le proprie industrie locali. Il Parlamento europeo (9) presenta elementi di prova in merito a misure restrittive del commercio di risorse naturali che potrebbero costituire una violazione delle norme dell’OMC. Nel 2009 la Cina ha adottato un piano di sviluppo per le terre rare per il periodo 2009-2015 che impone contingenti alle esportazioni, fissate a 35 000 tonnellate annue. L’anno seguente, i prezzi delle terre rare cinesi sono triplicati. Un altro esempio è riscontrabile nel mercato dell’elettronica, in cui la Cina impone tasse più elevate sull’esportazione di componenti che non su quella di prodotti finiti, al fine di proteggere la propria industria locale dell’assemblaggio di dispositivi elettronici.

4.2.5.

Questi esempi dimostrano che la strategia cinese promuove le industrie a più alto contenuto di valore aggiunto. Se non avessero la possibilità di intentare dei procedimenti antidumping, settori come quello delle apparecchiature o l’industria automobilistica finirebbero anch’essi per essere esposti ad una concorrenza sleale. Inoltre, la Cina in passato ha violato in diverse occasioni i diritti di proprietà intellettuale, perciò persino i brevetti non sarebbero di grande utilità per riuscire a mantenere industrie innovative entro i confini dell’UE.

4.2.6.

A lungo termine, la concessione alla Cina dello status di economia di mercato arrecherebbe un danno all’intera catena del valore industriale a causa degli effetti negativi sull’innovazione. Nell’UE è ampiamente diffusa la convinzione che l’innovazione sia l’unico strumento di cui dispongono le nostre società in Europa per competere con chi ci fa concorrenza unicamente sul piano dei costi. Tuttavia, è ormai finita l’epoca in cui l’innovazione era frutto degli sforzi di laboratori isolati. Da un’indagine della società di servizi e consulenza KPMG emerge invece che l’85 % degli intervistati, esponenti dell’industria dei metalli a livello mondiale, ritiene che saranno i partenariati a plasmare il futuro dell’innovazione per la loro organizzazione. Oltre tre quarti dei partecipanti all’indagine dichiarano di avere già dato vita a modelli aziendali più collaborativi con fornitori e clienti. È quindi impossibile immaginare che le industrie innovative del futuro non facciano parte di reti della conoscenza.

4.3.    Reddito dell’UE

4.3.1.

Nel lungo periodo, e a prescindere dall’andamento nei singoli settori, la ricchezza nell’UE potrà registrare una crescita duratura solo grazie ad un robusto sviluppo del reddito disponibile. Le attuali politiche della Commissione a favore dell’occupazione e degli investimenti ne sono consapevoli e dovrebbero essere prese in considerazione al momento di adottare le decisioni tese ad affrontare questo problema.

Bruxelles, 14 luglio 2016.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Banca mondiale, China Economic Update (“Aggiornamento sull’economia cinese”), giugno 2015.

(2)  Curb to be placed on metal overcapacity («Saranno operate riduzioni dell’eccesso di capacità nel settore siderurgico»), English.gov.cn, febbraio 2016.

(3)  Coal capacity guideline issued («Emanata una direttiva sulla capacità di produzione di carbone»), English.gov.cn, febbraio 2016.

(4)  Per un equilibrio negli scambi commerciali tra l’UE e la Cina, Position Paper (documento di sintesi) del gruppo dell’Alleanza progressista dei Socialisti & Democratici al Parlamento europeo, marzo 2016.

(5)  Concorrenza leale — Situazione allarmante per le aziende europee del solare, EuProSun.

(6)  Indagini europee sulle condizioni di lavoro (European Working Conditions Surveys — EWCS).

(7)  ECSIP Consortium, 2014.

(8)  Direzione generale delle Politiche esterne, Parlamento europeo, 2016.

(9)  Direzione generale delle Politiche esterne, Parlamento europeo, Bruxelles, 2015.


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