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Documento 62020CC0483

Conclusioni dell’avvocato generale P. Pikamäe, presentate il 30 settembre 2021.


Raccolta della giurisprudenza - generale - Sezione "Informazioni sulle decisioni non pubblicate"

Identificatore ECLI: ECLI:EU:C:2021:780

 CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

PRIIT PIKAMÄE

presentate il 30 settembre 2021 ( 1 )

Causa C‑483/20

XXXX

contro

Commissaire général aux réfugiés et aux apatrides

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Conseil d’État (Consiglio di Stato, Belgio)]

«Rinvio pregiudiziale – Politica comune in materia di asilo e di protezione sussidiaria – Minore che ha ottenuto la protezione internazionale in uno Stato membro – Procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale – Direttiva 2013/32/UE – Articolo 33, paragrafo 2, lettera a) – Inammissibilità della domanda di protezione internazionale del genitore in considerazione del previo riconoscimento dello status di rifugiato in un altro Stato membro – Diritto al rispetto della vita familiare – Interesse superiore del minore – Articoli 7, 18 e 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Rischio reale e comprovato di essere oggetto di trattamento contrario al rispetto della vita familiare – Norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale – Direttiva 2011/95/UE»

Indice

 

I. Contesto normativo

 

A. Diritto dell’Unione

 

B. Normativa belga

 

II. Procedimento principale e questioni pregiudiziali

 

III. Procedimento dinanzi alla Corte

 

IV. Analisi giuridica

 

A. Considerazioni preliminari

 

B. Sul meccanismo di inammissibilità della domanda di protezione internazionale previsto all’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2013/32

 

1. Sull’interpretazione letterale, sistematica e teleologica

 

2. Sull’assenza di automaticità del rigetto per inammissibilità della domanda di protezione internazionale

 

C. Sul rischio serio di un trattamento contrario all’articolo 7 della Carta, in combinato disposto con gli articoli 18 e 24 della Carta

 

1. Sulla protezione della vita familiare offerta dalle direttive 2011/95 e 2013/32

 

2. Sullo status di richiedente nello Stato membro ospitante

 

a) Sull’articolo 23 della direttiva 2011/95

 

b) Sulla direttiva 2003/86

 

3. Sul rapporto fra il richiedente e il familiare

 

D. Conclusione intermedia

 

E. Sulle conseguenze dell’ammissibilità della domanda di protezione internazionale

 

V. Conclusione

1.

I percorsi migratori sono spesso il risultato di una combinazione di due elementi: il caso e la necessità. Nella causa sottoposta alla Corte, un cittadino siriano, dopo essere transitato per la Libia e la Turchia, è giunto in Austria, paese in cui ha presentato per necessità una domanda di protezione internazionale. Dopo aver ottenuto lo status di rifugiato, l’interessato si è recato in Belgio per raggiungere le sue due figlie, una delle quali minorenne, e ha ivi presentato una nuova domanda di protezione internazionale, dichiarata inammissibile alla luce del previo riconoscimento concesso nel primo Stato membro.

2.

È in tale contesto che si pone, segnatamente, la questione, a quanto mi consta inedita, se il diritto fondamentale al rispetto della vita familiare, sancito all’articolo 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»), in combinato disposto con l’obbligo di prendere in considerazione l’interesse superiore del minore enunciato all’articolo 24, paragrafo 2, di quest’ultima, possa vanificare il meccanismo di inammissibilità delle domande di protezione internazionale previsto all’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2013/32/UE ( 2 ).

I. Contesto normativo

A.   Diritto dell’Unione

3.

Oltre a talune disposizioni di diritto primario, ossia l’articolo 78 TFUE e gli articoli 7, 18 e 24 della Carta, sono rilevanti nell’ambito della presente causa gli articoli 2, 14, 33 e 34 della direttiva 2013/32, gli articoli 2, 23 e 24 della direttiva 2011/95/UE ( 3 ), nonché gli articoli 2, 3 e 10 della direttiva 2003/86/CE ( 4 ).

B.   Normativa belga

4.

L’articolo 10, paragrafo 1, punto 7, della loi sur l’accès au territoire, le séjour, l’établissement et l’éloignement des étrangers, du 15 décembre 1980 (legge in materia di accesso al territorio, soggiorno, stabilimento e allontanamento degli stranieri, del 15 dicembre 1980, Moniteur belge del 31 dicembre 1980, pag. 14584), dispone quanto segue:

«1.   Fatte salve le disposizioni degli articoli 9 e 12, sono ammessi d’ufficio a soggiornare nel Regno per più di tre mesi:

(…)

7° Il padre e la madre di un straniero riconosciuto come rifugiato ai sensi dell’articolo 48/3 o beneficiante della protezione sussidiaria, che vengono ad abitare con lui, a condizione che quest’ultimo abbia un’età inferiore ai diciotto anni e sia entrato nel Regno senza essere accompagnato da un adulto che ne sia responsabile per legge e non sia stato effettivamente affidato successivamente a un tale adulto, o sia stato abbandonato una volta entrato nel Regno.

(…)».

5.

L’articolo 57/6 della loi sur l’accès au territoire, le séjour, l’établissement et l’éloignement des étrangers (legge in materia di accesso al territorio, soggiorno, stabilimento e allontanamento degli stranieri), come modificato dalla legge del 21 novembre (Moniteur belge del 12 marzo 2018, pag. 19712), enuncia quanto segue:

«(...)

3.   Il Commissario generale per i rifugiati e gli apolidi può dichiarare inammissibile una domanda di protezione internazionale quando:

(...)

3° il richiedente beneficia già di una protezione internazionale in un altro Stato membro dell’Unione europea;

(...)».

II. Procedimento principale e questioni pregiudiziali

6.

Il 1o dicembre 2015, un cittadino siriano, ricorrente nel procedimento principale, ha ottenuto lo status di rifugiato in Austria. All’inizio del 2016, egli si è trasferito in Belgio per raggiungere ivi le sue due figlie, una delle quali minorenne, le quali ottenevano ivi lo status di protezione sussidiaria il 14 dicembre 2016. Tale ricorrente è detentore dell’autorità genitoriale su tale figlia minorenne con la quale egli vive, ma non dispone di un permesso di soggiorno in Belgio.

7.

Nel giugno del 2018, il ricorrente nel procedimento principale ha presentato una domanda di protezione internazionale in Belgio. L’11 febbraio 2019, il Commissaire général aux réfugiés et aux apatrides (Commissario generale per i rifugiati e gli apolidi, Belgio) ha dichiarato inammissibile tale domanda con la motivazione che era già stata concessa una protezione internazionale all’interessato da un altro Stato membro. Con sentenza dell’8 maggio 2019, il Conseil du contentieux des étrangers (Consiglio per il contenzioso degli stranieri, Belgio) ha respinto il ricorso proposto dal ricorrente nel procedimento principale avverso tale decisione di inammissibilità.

8.

Con atto presentato il 21 maggio 2019, il ricorrente nel procedimento principale ha proposto ricorso per cassazione avverso tale sentenza dinanzi al giudice del rinvio. Egli fa valere che il rispetto del principio dell’unità del nucleo familiare e dell’interesse superiore del minore osta, nelle circostanze del caso di specie, a che lo Stato belga possa avvalersi della sua facoltà di dichiarare inammissibile la sua domanda di protezione internazionale. Egli sostiene parimenti che il rispetto dello stesso principio impone che gli venga concessa tale protezione affinché lo stesso possa, segnatamente, fruire dei benefici previsti agli articoli da 24 a 35 della direttiva 2011/95, il che non sarebbe del tutto estraneo alla logica della protezione internazionale.

9.

Secondo il convenuto nel procedimento principale, il principio dell’unità del nucleo familiare che può portare alla concessione di uno status «derivato» non si applica nella specie, poiché il ricorrente nel procedimento principale e le figlie dispongono già di una protezione internazionale. Esso ritiene, peraltro, che il solo interesse superiore del minore non possa giustificare l’applicazione di tale principio né la concessione di tale protezione.

10.

In tali circostanze, il Conseil d’État (Consiglio di Stato, Belgio) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«Se il diritto dell’Unione europea, essenzialmente gli articoli 18 e 24 della [Carta], gli articoli 2, 20, 23 e 31 della [direttiva 2011/95] e l’articolo 25, paragrafo 6, della [direttiva 2013/32] osti a che, nell’attuazione della facoltà conferita dall’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della [direttiva 2013/32], uno Stato membro respinga una domanda di protezione internazionale per inammissibilità a causa di una protezione già accordata da un altro Stato membro, qualora il richiedente sia il padre di un minore non accompagnato che ha ottenuto protezione nel primo Stato membro, sia l’unico genitore della famiglia nucleare presente al suo fianco, viva con lui e detto Stato membro gli abbia riconosciuto la potestà genitoriale sul minore. Se i principi di unità del nucleo familiare e di rispetto dell’interesse superiore del minore non impongano, al contrario, che lo Stato in cui il figlio ha ottenuto protezione riconosca una protezione a tale genitore».

III. Procedimento dinanzi alla Corte

11.

Hanno depositato osservazioni scritte la Commissione europea, nonché i governi belga e italiano.

IV. Analisi giuridica

A.   Considerazioni preliminari

12.

Mi sembra necessario, in via preliminare, formulare alcune osservazioni concernenti la portata della domanda di pronuncia pregiudiziale in relazione al contenuto delle memorie delle parti interessate, ove detta domanda contiene formalmente due questioni rivolte alla Corte:

la prima riguarda la possibilità per uno Stato membro di dichiarare inammissibile, sul fondamento dell’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2013/32, una domanda di protezione internazionale presentata da un genitore che vive al fianco del figlio minore, beneficiario della protezione sussidiaria in tale Stato, qualora un altro Stato membro abbia previamente accordato una siffatta protezione a detto genitore.

la seconda evoca la necessaria concessione di una protezione internazionale a tale genitore da parte dello Stato nel quale suo figlio ha ottenuto una protezione sussidiaria, e ciò in applicazione dei «principi di unità del nucleo familiare e di rispetto dell’interesse superiore del minore».

13.

Anche se queste due questioni sono indubbiamente connesse, alla luce di una riflessione di insieme che esse implicano sul sistema europeo comune di asilo e sulla protezione della vita familiare da esso offerta, manifestamente esse non hanno lo stesso oggetto, poiché la questione dell’esame dell’ammissibilità della domanda di protezione internazionale non può essere confusa con quella della valutazione nel merito di tale domanda.

14.

Orbene, rilevo che, nelle loro osservazioni, le parti interessate si sono sforzate di dimostrare che le direttive 2011/95 e 2013/32, lette alla luce degli articoli 7, 18 e 24 della Carta, non esigevano da uno Stato membro la concessione della protezione internazionale in una situazione come quella del ricorrente nel procedimento principale. In altre parole, nessuno status rientrante nella protezione internazionale potrebbe essere accordato all’interessato a seguito di una domanda avente il solo scopo di assicurare il ricongiungimento familiare. Ed è per deduzione da tale valutazione di merito che le parti interessate hanno concluso in maniera identica nel senso della possibilità per uno Stato membro di avvalersi della facoltà offerta dall’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2013/32 e dunque di dichiarare inammissibile la domanda di protezione presentata da detto ricorrente. Tale ragionamento mi sembra censurabile nella misura in cui omette l’analisi indispensabile e primaria della problematica specifica dell’ammissibilità delle domande di protezione internazionale e dunque della questione dell’interpretazione dell’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2013/32.

B.   Sul meccanismo di inammissibilità della domanda di protezione internazionale previsto all’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2013/32

15.

Con la sua prima questione pregiudiziale, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2013/32, in combinato disposto con gli articoli 7, 18 e con l’articolo 24, paragrafo 2, della Carta ( 5 ), debba essere interpretato nel senso che esso osta a che uno Stato membro eserciti la facoltà offerta da tale disposizione di respingere una domanda di concessione della protezione internazionale in quanto inammissibile con la motivazione che al richiedente è già stata attribuita una siffatta protezione da un altro Stato membro, qualora tale richiedente sia il padre di un minore che ha ottenuto il beneficio della protezione sussidiaria nello Stato destinatario della citata domanda e ne sia l’unico genitore che vive al suo fianco e detenga, a tale titolo, l’autorità genitoriale. Secondo una giurisprudenza costante, ai fini dell’interpretazione di una norma di diritto dell’Unione si deve tener conto non soltanto della lettera della stessa, ma anche del suo contesto e degli scopi perseguiti dalla normativa di cui essa fa parte ( 6 ).

1. Sull’interpretazione letterale, sistematica e teleologica

16.

L’obiettivo della direttiva 2013/32 è, ai sensi del suo articolo 1, stabilire procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca della protezione internazionale a norma della direttiva 2011/95. Ai sensi dell’articolo 33, paragrafo 1, della direttiva 2013/32, oltre ai casi in cui una domanda non è esaminata a norma del regolamento (UE) n. 604/2013 ( 7 ), gli Stati membri non sono tenuti ad esaminare se al richiedente sia attribuibile la qualifica di beneficiario di protezione internazionale a norma della direttiva 2011/95 qualora la domanda sia giudicata inammissibile a norma di tale articolo. A tal riguardo, l’articolo 33, paragrafo 2, della direttiva 2013/32 elenca esaustivamente le situazioni in cui gli Stati membri «possono giudicare» inammissibile una domanda di protezione internazionale ( 8 ). Dal testo dell’articolo 33, paragrafo 2, della direttiva 2013/32 risulta che il legislatore dell’Unione non ha inteso imporre agli Stati membri di introdurre, nei loro rispettivi diritti, l’obbligo, per le autorità competenti, di procedere all’esame dell’ammissibilità delle domande di protezione internazionale, né di prevedere, in presenza di uno dei motivi di inammissibilità menzionati da tale disposizione, il rigetto di una domanda senza previo esame nel merito.

17.

Si tratta dunque effettivamente soltanto di una mera facoltà offerta agli Stati membri ( 9 ), ma anche di una deroga all’obbligo di questi ultimi di esaminare tutte le domande nel merito secondo i termini del considerando 43 di tale direttiva ( 10 ). La Corte ha precisato, in tal senso, che l’articolo 33 della direttiva 2013/32 è diretto a temperare l’obbligo dello Stato membro competente di esaminare una domanda di protezione internazionale definendo i casi nei quali una siffatta domanda è giudicata inammissibile ( 11 ). Ai sensi dell’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2013/32, gli Stati membri possono giudicare una domanda di protezione internazionale inammissibile se un altro Stato membro ha concesso la protezione internazionale e dunque respingere, senza esame nel merito, tale domanda, facoltà questa, e motivo questo, attuati dal Regno del Belgio nella sua legislazione.

18.

Tale menzione, da parte della Corte, di un temperamento nell’esecuzione da parte degli Stati membri del loro obbligo di esaminare le domande di protezione internazionale traduce una delle finalità perseguite dal legislatore dell’Unione tramite la redazione dell’articolo 33 della direttiva 2013/32, ossia la finalità di economia procedurale ( 12 ). L’intenzione del legislatore consiste dunque nel consentire al secondo Stato membro destinatario della domanda di protezione internazionale di non procedere ad un nuovo esame completo nel merito della stessa, già valutata e accolta dal primo Stato membro. Tale meccanismo di inammissibilità è inteso a semplificare e ad alleggerire l’onere dell’esame incombente alle autorità nazionali competenti al fine di prevenire qualsivoglia saturazione del sistema con l’obbligo, per tali autorità, di trattare domande multiple introdotte da uno stesso richiedente ( 13 ). La dimensione di economia procedurale è inoltre inscindibile dall’obiettivo di celerità perseguito dalla direttiva 2013/32, posto che l’adozione di una decisione più rapida possibile viene descritta, secondo i termini del considerando 18 di tale direttiva, come rispondente all’interesse sia degli Stati membri sia dei richiedenti protezione internazionale.

19.

Infine, occorre citare un altro obiettivo perseguito dal legislatore dell’Unione tramite diversi strumenti giuridici che costituiscono il sistema europeo comune di asilo, il regolamento n. 604/2013 ( 14 ), la direttiva 2011/95 ( 15 ) e la direttiva 2013/32 ( 16 ), ossia la limitazione dei movimenti secondari dei richiedenti protezione internazionale nell’Unione. A tal riguardo, per quanto attiene al ravvicinamento delle norme procedurali, il fatto di obbligare il secondo Stato membro ad esaminare nel merito una domanda di protezione internazionale già accolta nel primo Stato membro potrebbe essere idoneo ad incoraggiare la ricerca, da parte di taluni cittadini dei paesi terzi, detentori della protezione internazionale, di un livello di protezione più elevato o a condizioni materiali di vita più favorevoli, in contraddizione con il summenzionato obiettivo.

20.

Dalle considerazioni che precedono non si può dedurre, tuttavia, che l’attuazione dell’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2013/32 porti ad una forma di rigetto automatico della seconda domanda di protezione internazionale presentata in uno Stato membro da un cittadino di un paese terzo che abbia già ottenuto tale protezione in un altro Stato.

2. Sull’assenza di automaticità del rigetto per inammissibilità della domanda di protezione internazionale

21.

Occorre sottolineare, in primo luogo, che l’adozione quanto prima possibile di una decisione sulla domanda di protezione internazionale non può avvenire, in ogni caso, senza che venga prima svolto, in conformità al considerando 18 della direttiva 2013/32, un esame adeguato e completo della situazione del suo autore ( 17 ).

22.

A tal riguardo, tale direttiva enuncia in maniera univoca l’obbligo di dare al richiedente protezione internazionale la facoltà di un colloquio personale prima dell’adozione di una decisione sulla sua domanda. Così, l’articolo 14, paragrafo 1, della direttiva 2013/32 dispone, al pari di quanto prevedeva l’articolo 12, paragrafo 1, della direttiva 2005/85, che, prima che l’autorità accertante decida, è data facoltà al richiedente di sostenere un colloquio personale sulla sua domanda di protezione internazionale con una persona competente, a norma del diritto nazionale, a svolgere tale colloquio. Tale obbligo, il quale fa parte dei principi di base e delle garanzie fondamentali enunciati rispettivamente al capo II di tali direttive, vale sia per le decisioni di ammissibilità sia per le decisioni di merito. La circostanza che detto obbligo si applichi parimenti alle decisioni di ammissibilità è espressamente confermata all’articolo 34 della direttiva 2013/32, intitolato «Norme speciali in ordine al colloquio sull’ammissibilità», il quale dispone, al suo paragrafo 1, che, prima che l’autorità accertante decida sull’ammissibilità di una domanda di protezione internazionale, gli Stati membri consentono al richiedente di esprimersi in ordine all’applicazione dei motivi di cui all’articolo 33 di tale direttiva alla sua situazione particolare, e che, a tal fine, essi organizzano un colloquio personale sull’ammissibilità della domanda ( 18 ).

23.

L’articolo 34, paragrafo 1, della direttiva 2013/32 precisa inoltre che gli Stati membri possono derogare alla regola secondo la quale essi organizzano un colloquio personale con il richiedente sull’ammissibilità della sua domanda di protezione internazionale soltanto ai sensi dell’articolo 42 di tale direttiva, in caso di una domanda reiterata ( 19 ). La circostanza che il legislatore dell’Unione abbia scelto, nell’ambito di detta direttiva, di prevedere, da un lato, un chiaro ed esplicito obbligo per gli Stati membri di dare al richiedente protezione internazionale la facoltà di sostenere un colloquio personale prima dell’adozione di una decisione sulla sua domanda e, dall’altro, un elenco tassativo di eccezioni a tale obbligo attesta l’importanza fondamentale che esso attribuisce a un siffatto colloquio personale per la procedura di asilo ( 20 ).

24.

Il diritto conferito al richiedente dagli articoli 14 e 34 della direttiva 2013/32 di poter esporre, nel corso di un colloquio personale, il proprio punto di vista in merito all’applicabilità di un motivo di inammissibilità alla sua situazione particolare si esercita, in linea di principio, senza la presenza della famiglia in conformità all’articolo 15, paragrafo 1, di tale direttiva, ed è accompagnato da specifiche garanzie, illustrate in dettaglio ai paragrafi 2 e 3 del summenzionato articolo, che dovrebbero assicurare l’effettività di tale diritto ( 21 ). Occorre tuttavia rilevare che l’autorità nazionale competente può ritenere che un esame adeguato debba comportare la presenza di altri familiari, il che dimostra chiaramente la considerazione della problematica familiare nello svolgimento del procedimento.

25.

In secondo luogo, si deve rilevare che la Corte ha già ammesso un’eccezione all’attuazione del meccanismo di inammissibilità previsto dalla direttiva 2013/32 e più specificamente all’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della stessa. Secondo la giurisprudenza della Corte, tale disposizione osta a che uno Stato membro eserciti la facoltà offerta dalla stessa di respingere come inammissibile una domanda di protezione internazionale perché al richiedente è già stata concessa da un altro Stato membro una siffatta protezione, quando le prevedibili condizioni di vita in cui si troverebbe detto richiedente quale beneficiario di tale protezione in tale altro Stato membro lo esporrebbero ad un grave rischio di subire un trattamento inumano o degradante, nell’accezione dell’articolo 4 della Carta ( 22 ).

26.

Secondo la Corte, la facoltà offerta dall’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2013/32 costituisce, nel quadro della procedura comune di asilo istituita da tale direttiva, un’espressione del principio della fiducia reciproca, il quale consente e impone agli Stati membri di presumere, nel contesto del sistema europeo comune di asilo, che il trattamento riservato ai richiedenti protezione internazionale in ciascuno Stato membro sia conforme a quanto prescritto dalla Carta, dalla Convenzione relativa allo status dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951 [Recueil des traités des Nations unies, vol. 189, pag. 150, n. 2545 (1954)] (in prosieguo: la «convenzione di Ginevra»), nonché dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la «CEDU»). Tale presunzione e l’esercizio di detta facoltà che ne consegue non possono essere giustificati qualora sia accertato che, in realtà, in un determinato Stato membro ciò non avviene ( 23 ).

27.

Da tale giurisprudenza risulta che la presunzione del rispetto dei diritti fondamentali, la quale discende dal principio di fiducia reciproca, presenta un carattere confutabile e che pur se, rispondendo alle questioni pregiudiziali sollevate in tal senso dal giudice del rinvio, la Corte ha sancito un’eccezione all’attuazione del meccanismo di inammissibilità previsto all’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2013/32 sotto il profilo della violazione degli articoli 1 e 4 della Carta, la premessa del ragionamento seguito dalla stessa riguarda la totalità dei diritti fondamentali ( 24 ), incluso l’articolo 7 relativo alla protezione della vita familiare e l’articolo 24, paragrafo 2, della stessa, concernente l’obbligo di prendere in considerazione l’interesse superiore del bambino, così come l’articolo 18 della Carta ( 25 ).

28.

Si pone la questione, nell’ambito della presente istanza pregiudiziale, se la dichiarazione di inammissibilità della domanda di protezione internazionale possa dare luogo, nelle circostanze del procedimento principale, ad una violazione dei diritti fondamentali del richiedente.

C.   Sul rischio serio di un trattamento contrario all’articolo 7 della Carta, in combinato disposto con gli articoli 18 e 24 della Carta

1. Sulla protezione della vita familiare offerta dalle direttive 2011/95 e 2013/32

29.

È pacifico che la costruzione del sistema europeo comune di asilo risponde alla volontà del legislatore dell’Unione di far rispettare i diritti fondamentali dei richiedenti protezione internazionale, risultanti dalla convenzione di Ginevra, dalla Carta e dalla CEDU ( 26 ), e, segnatamente, il diritto al rispetto della vita familiare.

30.

Tanto la direttiva 2011/95 quanto la direttiva 2013/32 sono state adottate sul fondamento dell’articolo 78 TFUE e al fine di realizzare l’obiettivo da esso enunciato, una politica comune che l’Unione sviluppa in materia di asilo, di protezione sussidiaria e di protezione temporanea conforme alla convenzione di Ginevra, nonché di assicurare il rispetto dell’articolo 18 della Carta. Inoltre, risulta dal considerando 3 di queste due direttive che, ispirandosi alle conclusioni del Consiglio europeo di Tampere, il legislatore dell’Unione ha inteso fare in modo che il regime europeo comune di asilo che dette direttive contribuiscono a definire fosse fondato sull’applicazione, in ogni sua componente, della Convenzione di Ginevra ( 27 ). A tal riguardo, l’atto finale della Conferenza dei plenipotenziari delle Nazioni Unite che ha elaborato il testo di tale convenzione riconosceva tuttavia espressamente il «diritto essenziale» del rifugiato all’unità della famiglia e raccomandava agli Stati firmatari di disporre i provvedimenti necessari al suo mantenimento e, più in generale, alla protezione della famiglia del rifugiato, il che traduce un collegamento stretto fra il diritto del rifugiato all’unità della sua famiglia e la logica della protezione internazionale ( 28 ).

31.

La direttiva 2011/95 mira ad assicurare il pieno rispetto della dignità umana e del diritto di asilo dei «richiedenti asilo e dei familiari al loro seguito» (considerando 16) e impone espressamente agli Stati di provvedere alla preservazione del nucleo familiare, prevedendo un certo numero di diritti a favore dei familiari del beneficiario di protezione internazionale (articolo 23, paragrafi 1 e 2), fermo restando che l’obiettivo consiste nel facilitare l’integrazione di tali persone nello Stato membro ospitante. Il considerando 60 della direttiva 2013/32 indica che quest’ultima rispetta i diritti fondamentali e osserva i principi riconosciuti nella Carta. In particolare, tale direttiva intende assicurare il pieno rispetto della dignità umana nonché promuovere l’applicazione, segnatamente, degli articoli 18 e 24 della Carta, e deve essere attuata di conseguenza. Pur se la protezione della vita familiare, prevista all’articolo 7 della Carta, non figura fra gli obiettivi principali di detta direttiva, occorre ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, tale articolo deve essere letto in combinato disposto con l’obbligo di prendere in considerazione l’interesse superiore del minore, sancito dall’articolo 24, paragrafo 2, della Carta, tenendo conto parimenti della necessità per il minore di intrattenere regolarmente relazioni personali con entrambi i genitori, affermata al paragrafo 3 dello stesso articolo ( 29 ).

32.

Il considerando 33 della direttiva 2013/32 enuncia chiaramente che l’interesse superiore del minore deve costituire una considerazione preminente degli Stati membri nell’applicazione della stessa ( 30 ), conformemente alla Carta e alla convenzione internazionale dei diritti del fanciullo del 1989 ( 31 ), il che si traduce in un obbligo espresso e generale previsto all’articolo 25, paragrafo 6, di tale direttiva. Nella valutazione dell’interesse superiore del minore, gli Stati membri devono in particolare tenere debitamente conto del benessere e dello sviluppo sociale del minore, incluso il suo passato. Così, le disposizioni della direttiva 2013/32 non possono essere interpretate in modo tale da portare ad una violazione del diritto fondamentale per il minore di intrattenere regolarmente relazioni personali con i genitori, diritto il cui rispetto va inevitabilmente a coincidere con l’interesse superiore del bambino ( 32 ). Ricordo che spetta agli Stati membri non solo interpretare il loro diritto nazionale in modo conforme al diritto dell’Unione, ma anche provvedere a non fondarsi su un’interpretazione di un testo di diritto derivato contrastante con i diritti fondamentali tutelati dall’ordinamento giuridico dell’Unione ( 33 ).

33.

In tale contesto ( 34 ), si deve ritenere che, qualora il richiedente protezione internazionale fosse esposto, in caso di rinvio nello Stato membro che gli ha inizialmente concesso lo status di rifugiato o il beneficio della protezione sussidiaria, ad un rischio serio di subire un trattamento contrario all’articolo 7 della Carta, in combinato disposto con gli articoli 18 e 24 della stessa, lo Stato membro presso il quale la nuova domanda è stata presentata non dovrebbe avere la possibilità di opporre un’inammissibilità a quest’ultima. Tale situazione presenta, a mio avviso, il carattere eccezionale richiesto dalla giurisprudenza della Corte ( 35 ) per invertire la presunzione derivante dal principio di fiducia reciproca.

34.

La valutazione di un rischio serio di subire un trattamento contrario all’articolo 7 della Carta, in combinato disposto con gli articoli 18 e 24 della stessa, può essere effettuata solo dopo avere offerto al richiedente l’opportunità di presentare, nel corso del colloquio personale sull’ammissibilità della domanda previsto all’articolo 14, paragrafo 1, e all’articolo 34, paragrafo 1, della direttiva 2013/32, tutti gli elementi, in particolare di natura personale, idonei a confermarne l’esistenza. Pertanto, nel caso in cui l’autorità accertante intenda giudicare inammissibile una domanda di protezione internazionale in applicazione del motivo di cui all’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2013/32, tale colloquio deve avere come scopo quello di dare al richiedente non solo l’opportunità di esprimersi sulla questione se una protezione internazionale gli sia stata effettivamente concessa da parte di un altro Stato membro, ma soprattutto la possibilità di esporre tutti gli elementi che caratterizzano la sua situazione specifica al fine di consentire a tale autorità di escludere che tale richiedente sia esposto, in caso di rinvio verso questo altro Stato membro, al summenzionato rischio ( 36 ).

35.

Per quanto riguarda la determinazione del rischio serio di violazione di tale diritto fondamentale al rispetto della vita familiare, valutato in correlazione con l’obbligo di prendere in considerazione l’interesse superiore del minore, essa implica di tenere conto di due elementi: lo status giuridico del richiedente protezione internazionale nello Stato membro in cui egli risiede insieme al familiare beneficiario di detta protezione, da un lato, e la natura dei rapporti intrattenuti dall’interessato con quest’ultimo, dall’altro.

2. Sullo status di richiedente nello Stato membro ospitante

36.

La detenzione, da parte del richiedente, di uno status che gli assicura una certa stabilità e sicurezza quanto alla sua residenza nello Stato membro ospitante mi sembra idonea ad escludere qualsivoglia rischio di rinvio nel primo Stato membro e, correlativamente, a garantire l’unità del nucleo familiare nello Stato ospitante. A tal riguardo, rilevo che le parti interessate fanno valere che il diritto al rispetto della vita familiare e l’interesse superiore del minore sono garantiti da strumenti giuridici adeguati alle circostanze del caso di specie, ossia l’articolo 23 della direttiva 2011/95 e la direttiva 2003/86, la cui attuazione consente di offrire uno status adeguato al ricorrente nel procedimento principale.

a) Sull’articolo 23 della direttiva 2011/95

37.

Il capo VII della direttiva 2011/95, intitolato «Contenuto della protezione internazionale», ha l’obiettivo di definire i diritti di cui possono beneficiare i candidati allo status di rifugiato o alla protezione sussidiaria la cui domanda è stata accolta ( 37 ), fra i quali figura il mantenimento dell’unità del nucleo familiare in conformità all’articolo 23 di tale direttiva. Quest’ultimo impone infatti agli Stati membri di adattare il loro diritto nazionale in modo tale che i familiari, nel significato contemplato all’articolo 2, lettera j), di detta direttiva, del beneficiario dello status di rifugiato o dello status conferito dalla protezione sussidiaria siano ammessi, a determinate condizioni, ai benefici di cui agli articoli da 24 a 35 della direttiva 2011/95, che comprendono in particolare il rilascio di un titolo di soggiorno, l’accesso al lavoro o all’istruzione e che hanno ad oggetto il mantenimento dell’unità del nucleo familiare ( 38 ). L’obiettivo di tale regime giuridico speciale consiste nell’assicurare al meglio l’integrazione del beneficiario della protezione internazionale e dei suoi familiari nello Stato membro ospitante.

38.

L’applicazione dell’articolo 23 della direttiva 2011/95 è subordinata al soddisfacimento di tre condizioni cumulative. In primo luogo, il potenziale beneficiario dei benefici in questione deve essere un familiare ai sensi dell’articolo 2, lettera j), di tale direttiva. In secondo luogo, egli non deve soddisfare, individualmente, le condizioni necessarie per ottenere la protezione internazionale. In terzo luogo, il suo status giuridico personale deve essere compatibile con la concessione dei benefici previsti dalla direttiva 2011/95 ( 39 ). Mi sembra pertinente esaminare più specificamente le prime due condizioni.

39.

In primo luogo, l’articolo 2, lettera j), della direttiva 2011/95 prende in considerazione i familiari del beneficiario di protezione internazionale che si trovano nel medesimo Stato membro in connessione alla domanda di protezione internazionale, appartenenti al nucleo familiare già costituito nel paese di origine. Il padre, la madre o altro adulto che sia responsabile di un minore rientrano nella definizione di «familiare». I legami familiari devono dunque essere preesistenti all’ingresso della famiglia nello Stato membro ospitante ( 40 ) e i familiari in questione devono trovarsi in tale Stato «in connessione alla domanda di protezione internazionale», formulazione, è vero, poco esplicita. A tal riguardo, condivido l’interpretazione di tale espressione data dall’avvocato generale Richard de la Tour nelle sue conclusioni nella causa Bundesrepublik Deutschland (Mantenimento dell’unità del nucleo familiare) ( 41 ), secondo la quale una siffatta condizione implica che i familiari siano stati al seguito del beneficiario di protezione internazionale dal paese d’origine verso lo Stato membro ospitante ai fini della presentazione della sua domanda, testimoniando così la loro volontà di restare uniti. Tale lettura risulta dal considerando 16 della direttiva 2011/95, il quale specifica che il legislatore dell’Unione deve assicurare il pieno rispetto dei diritti dei «richiedenti asilo e dei familiari al loro seguito» ( 42 ).

40.

Padre di una figlia minorenne apparentemente non sposata e beneficiaria dello status di protezione sussidiaria, il ricorrente nel procedimento principale può entrare nella categoria dei «familiari» di cui all’articolo 2, lettera j), terzo trattino, della direttiva 2011/95, sempreché egli soddisfi le due summenzionate sottocondizioni, il che non emerge in maniera evidente dal fascicolo sottoposto alla Corte in relazione alla seconda di esse. Infatti, dalla domanda di pronuncia pregiudiziale e dal ricorso per cassazione proposto dal ricorrente nel procedimento principale risulta che quest’ultimo è fuggito dal suo paese alla fine del 2013 ed è arrivato nel 2014 in Austria, ove ha ottenuto, il 1o dicembre 2015, lo status di rifugiato. Egli ha successivamente lasciato l’Austria all’inizio del 2016 per «raggiungere» le figlie in Belgio, le quali hanno ottenuto lo status di protezione sussidiaria in tale paese il 14 dicembre 2016, e ha ivi presentato la sua domanda di protezione internazionale solamente il 14 giugno 2018. È possibile desumere da tale ricostruzione dei fatti che il ricorrente e le figlie hanno conosciuto un percorso migratorio distinto, e che il primo non ha accompagnato le figlie nel loro viaggio dal paese d’origine fino allo Stato membro ospitante.

41.

In secondo luogo, l’articolo 23, paragrafo 2, della direttiva 2011/95 si applica unicamente ai familiari del beneficiario di protezione internazionale che, individualmente, non soddisfano le condizioni necessarie per ottenere la protezione internazionale ( 43 ). L’applicazione di tale disposizione presuppone dunque la realizzazione di un esame nel merito della domanda di protezione internazionale presentata dal familiare in questione, il quale sia sfociato in una conclusione negativa quanto al soddisfacimento delle condizioni sostanziali di riconoscimento dello status di rifugiato o di quello conferito dalla protezione sussidiaria come precisate rispettivamente agli articoli da 9 a 10 e 15 della direttiva 2011/95. Stando al dettato dell’articolo 32 della direttiva 2013/32, gli Stati membri possono ritenere infondata una domanda solo se l’autorità accertante ha stabilito che al richiedente non è attribuibile la qualifica di beneficiario di protezione internazionale a norma della direttiva 2011/95. Orbene, è pacifico che una dichiarazione di inammissibilità di una domanda di protezione internazionale adottata in applicazione dell’articolo 33 della direttiva 2013/32 non è preceduta da alcuna valutazione nel merito della medesima, valutazione dalla quale il legislatore dell’Unione ha appunto inteso dispensare lo Stato membro interessato per ragioni di economia procedurale. L’attuazione dell’articolo 23, paragrafo 2, della direttiva 2011/95 rientra unicamente in situazioni in cui la domanda di protezione internazionale non contrasta con un motivo di inammissibilità.

42.

Ci si può parimenti interrogare sulla possibilità di prendere in considerazione, soltanto in relazione a tale questione particolare dell’applicabilità dell’articolo 23, paragrafo 2, della direttiva 2011/95, il motivo specifico di inammissibilità previsto all’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2013/32. La decisione iniziale di concessione della protezione internazionale, successivamente all’esame nel merito di una domanda in tal senso, si iscrive nel sistema normativo comportante nozioni e criteri comuni agli Stati membri istituito dalla direttiva 2011/95. Ricordo che l’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2013/32 costituisce, nell’ambito della procedura comune in materia di asilo istituita da tale direttiva, un’espressione del principio di fiducia reciproca, il quale impone, segnatamente per quanto riguarda lo spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia, a ciascuno Stato membro di ritenere, tranne che in circostanze eccezionali, che tutti gli altri Stati membri rispettino il diritto dell’Unione ( 44 ). Anche se, allo stato attuale del diritto, non esiste uno status «europeo» del rifugiato o della protezione sussidiaria il quale sia comune a tutti gli Stati membri, l’attuazione dell’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2013/32 costituisce una forma di riconoscimento implicito della valutazione corretta, da parte del primo Stato membro, della fondatezza della domanda di protezione internazionale.

43.

In tali circostanze, che si consideri la decisione di inammissibilità della domanda nell’ottica della sua sola natura procedurale oppure in combinato disposto con il succitato motivo specifico di inammissibilità, la situazione creata dalla medesima mi sembra idonea a fondare la conclusione dell’impossibilità di ammettere il ricorrente nel procedimento principale, detentore comprovato dello status di rifugiato, ai benefici previsti agli articoli da 24 a 35 della direttiva 2011/95, in mancanza di applicabilità dell’articolo 23, paragrafo 2, di questo stesso atto ( 45 ). Quest’ultima disposizione non può dunque garantire al ricorrente nel procedimento principale una soluzione per ottenere un titolo di soggiorno che gli consenta di risiedere nello stesso Stato membro delle proprie figlie e di evitare così qualsiasi rischio di violazione del diritto fondamentale al rispetto della vita familiare.

b) Sulla direttiva 2003/86

44.

Ai sensi del suo articolo 1, lo scopo della direttiva 2003/86 è quello di fissare le condizioni dell’esercizio del diritto al ricongiungimento familiare di cui dispongono i cittadini di paesi terzi che risiedono legalmente nel territorio degli Stati membri. In generale, gli obiettivi perseguiti da tale direttiva, come enunciati nei considerando 4 e 8 della stessa, consistono nell’agevolare l’integrazione dei cittadini di paesi terzi interessati consentendo loro di condurre una vita familiare normale e di offrire condizioni più favorevoli all’esercizio del diritto al ricongiungimento familiare da parte dei rifugiati, tenuto conto della loro situazione particolare ( 46 ).

45.

Tali condizioni, previste al capo V della direttiva 2003/86, riguardano letteralmente soltanto il ricongiungimento familiare dei «rifugiati». L’articolo 3, paragrafo 2, lettera c), di tale direttiva precisa, segnatamente, che quest’ultima non si applica quando il soggiornante è un cittadino di un paese terzo autorizzato a soggiornare in uno Stato membro in virtù di «forme sussidiarie di protezione», conformemente agli obblighi internazionali, alle legislazioni nazionali o alle prassi degli Stati membri. Una siffatta formulazione si spiega con l’inesistenza, nel diritto dell’Unione, al momento dell’adozione della direttiva 2003/86, di uno status di beneficiario della protezione sussidiaria. È giocoforza constatare che il contesto normativo europeo dell’asilo si è notevolmente evoluto con il riconoscimento di un siffatto status nella direttiva 2004/83/CE ( 47 ) e il ravvicinamento dei due regimi di protezione con la direttiva 2011/95. Dai considerando 8, 9 e 39 di quest’ultima emerge che il legislatore dell’Unione ha voluto istituire uno status uniforme a favore dell’insieme dei beneficiari di protezione internazionale e che esso ha, di conseguenza, scelto di concedere ai beneficiari dello status di protezione sussidiaria gli stessi diritti e gli stessi benefici di cui godono i rifugiati, fatte salve le deroghe necessarie e oggettivamente giustificate ( 48 ).

46.

Nonostante siffatta notevole evoluzione, nonché le interrogazioni del Commissario per i diritti dell’uomo del Consiglio d’Europa ( 49 ) in merito al trattamento differenziato dei due status di cui trattasi, la Corte ha dichiarato che la direttiva 2003/86 deve essere interpretata nel senso che essa non si applica a cittadini di paesi terzi, familiari di un beneficiario dello status conferito dalla protezione sussidiaria. Essa ha ritenuto, a tal riguardo, che poiché i criteri comuni per ottenere la protezione sussidiaria sono stati ispirati dai regimi esistenti negli Stati membri che essi mirano ad armonizzare, se necessario sostituendoli, l’articolo 3, paragrafo 2, lettera c), della direttiva 2003/86 sarebbe privato di gran parte del suo effetto utile se dovesse essere interpretato nel senso che non si applica ai beneficiari dello status conferito dalla protezione sussidiaria previsto dal diritto dell’Unione ( 50 ). Orbene, è pacifico che la figlia minorenne del ricorrente nel procedimento principale, la quale è la potenziale «soggiornante» ai sensi dell’articolo 2, lettera c), della direttiva 2003/86, possiede un permesso di soggiorno in Belgio a causa del suo status di beneficiario della protezione sussidiaria, il che esclude un ricongiungimento familiare in tale paese in conformità alla summenzionata giurisprudenza.

47.

Alla luce di tale constatazione, la Commissione fa riferimento, da un lato, alla possibilità di una domanda di ricongiungimento familiare presentata in Austria, paese nel quale il ricorrente nel procedimento principale è detentore dello status di rifugiato e, dall’altro, alla legislazione belga che autorizza un siffatto ricongiungimento quando il soggiornante è un beneficiario dello status di protezione sussidiaria, segnatamente in relazione al padre o alla madre di un siffatto beneficiario che vengono ad abitare con lui, a condizione che quest’ultimo abbia un’età inferiore ai diciotto anni, sia entrato in Belgio senza essere accompagnato da un adulto che ne sia responsabile per legge e non sia stato effettivamente affidato successivamente a un tale adulto, o sia stato abbandonato una volta entrato. Per quanto riguarda la prima soluzione summenzionata, essa mi sembra sollevare diverse difficoltà che possono essere qualificate come «ostative».

48.

In primo luogo, l’attuazione della direttiva 2003/86 può dare luogo ad una separazione familiare temporanea. In conformità all’articolo 2, lettere da a) a d) della direttiva 2003/86, quest’ultima si applica soltanto ai soggiornanti cittadini di paesi terzi, in altre parole a chiunque non sia cittadino dell’Unione ai sensi dell’articolo 20, paragrafo 1, TFUE, «legittimamente soggiornante in uno Stato membro» che chiede o i cui familiari chiedono il ricongiungimento familiare, nonché ai familiari di un cittadino di un paese terzo che raggiungono il soggiornante al fine di conservare l’unità familiare, indipendentemente dal fatto che il legame familiare sia anteriore o posteriore all’ingresso del soggiornante. Tale domanda deve essere presentata ed esaminata, in linea di principio, quando i familiari soggiornano all’esterno del territorio dello Stato membro nel cui territorio risiede il soggiornante ( 51 ). Il ricorrente nel procedimento principale potrebbe dunque essere costretto, se del caso, a lasciare il Belgio e le figlie ( 52 ) per recarsi e stabilirsi da solo in Austria, paese in cui egli può soggiornare legalmente in considerazione dello status di rifugiato che gli è stato riconosciuto. Le sue figlie, al contrario, non potrebbero entrare in tale paese durante il periodo occorrente per l’esame della domanda, il quale può durare nove mesi, termine che può essere prorogato. L’articolo 5, paragrafo 3, secondo comma, e il considerando 7 della direttiva 2003/86 consentono, tuttavia, agli Stati membri, di derogare alla regola generale del primo comma ed accettare che una domanda sia presentata quando i familiari si trovano già nel suo territorio, e ciò «in determinate circostanze»» la cui fissazione rientra nel loro ampio potere discrezionale.

49.

In secondo luogo, è possibile che il ricorrente nel procedimento principale non possa beneficiare della totalità delle disposizioni della direttiva 2003/86 che prevedono un trattamento più favorevole delle domande di ricongiungimento familiare dei rifugiati. A titolo derogatorio, l’articolo 12, paragrafo 1, di tale direttiva prevede che gli Stati membri non possano chiedere, nel caso di un rifugiato e della sua famiglia, la prova che il soggiornante disponga di un alloggio adeguato, di un’assicurazione contro le malattie, nonché di risorse stabili per mantenere sé stesso e i suoi familiari. A parte il fatto che tale deroga non riguarda il ricongiungimento dei figli adulti, il terzo comma dello stesso paragrafo di tale articolo consente agli Stati membri di chiedere che il rifugiato soddisfi tali condizioni di cui all’articolo 7 di detta direttiva, se la domanda di ricongiungimento familiare non è presentata entro tre mesi dalla concessione dello status di rifugiato. Nella presente causa, è manifesto che la domanda di ricongiungimento familiare verrà presentata più di tre mesi dopo il riconoscimento dello status di rifugiato, avvenuto il 1o dicembre 2015. La realizzazione di dette condizioni potrebbe rivelarsi particolarmente problematica per il ricorrente nel procedimento principale, il quale, da diversi anni, abita in Belgio con le figlie.

50.

In terzo luogo, l’attuazione della direttiva 2003/86 può dare luogo ad una separazione dei fratelli ( 53 ). L’articolo 4, paragrafo 2, lettera b), di tale direttiva prevede, infatti, che gli Stati membri «possono» autorizzare l’ingresso e il soggiorno dei figli adulti non coniugati del soggiornante qualora questi ultimi «obiettivamente non possano sovvenire alle proprie necessità in ragione del loro stato di salute». Non sussiste pertanto alcun obbligo in capo agli Stati membri di consentire ai figli adulti del soggiornante di entrare nel loro territorio e, nel caso in cui ciò avvenga, l’autorizzazione è necessariamente subordinata al requisito della prova di un rapporto di dipendenza con il genitore interessato, situazione che non emerge dal fascicolo sottoposto alla Corte.

51.

In quarto luogo, la riunificazione familiare in Austria avrebbe come conseguenza, di fatto, la perdita per le minori dello status di protezione sussidiaria riconosciuto dal Regno del Belgio, nonché dei benefici che ne derivano. Inoltre, se le interessate decidessero di depositare domande di protezione internazionale in Austria, esse potrebbero scontrarsi con lo stesso motivo di inammissibilità opposto alla domanda del padre e che forma l’oggetto della controversia di cui al procedimento principale ( 54 ). A seguito della riunificazione familiare ottenuta in forza della direttiva 2003/86, le figlie del ricorrente nel procedimento principale avrebbero la qualità di familiari del soggiornante, ossia, sotto il profilo giuridico, una situazione di dipendenza nei confronti di quest’ultimo che può durare diversi anni prima che tali figlie possano acquisire un titolo di soggiorno autonomo ( 55 ). Inoltre, esistono sostanziali differenze fra i vantaggi di cui godono i familiari di un cittadino di un paese terzo sul fondamento della direttiva 2003/86 e i diritti conferiti alle persone che beneficiano della protezione internazionale, fermo restando che il paragone è sfavorevole ai primi ( 56 ). A tale constatazione si aggiungono le prevedibili difficoltà di adattamento connesse ad una nuova residenza in un altro Stato membro, dopo molti anni trascorsi in Belgio, e una rottura dei legami sociali e affettivi intessuti in tale paese.

52.

In tale contesto, si deve ricordare che le disposizioni della direttiva 2003/86 devono essere interpretate e applicate alla luce dell’articolo 7 e dell’articolo 24, paragrafi 2 e 3, della Carta, come risulta del resto dai termini del considerando 2 e dall’articolo 5, paragrafo 5, di tale direttiva, che impongono agli Stati membri di esaminare le domande di ricongiungimento in questione nell’interesse dei minori coinvolti e nell’ottica di favorire la vita familiare. Oltre a quest’ultimo obiettivo, detta direttiva è intesa a concedere una protezione ai cittadini di paesi terzi, segnatamente ai minori ( 57 ). Mi sembra difficile sostenere, alla luce delle considerazioni che precedono, che l’attuazione della direttiva 2003/86 ai fini di un ricongiungimento familiare nello Stato membro che ha concesso lo status di rifugiato, rendendo così applicabile tale norma, sia conforme ai summenzionati diritti fondamentali del figlio minorenne. Tale soluzione comporterebbe, segnatamente, la perdita dello status di protezione sussidiaria, nonché i vantaggi ad esso connessi, a priori non recuperabili nel nuovo paese ospitante, e una possibile separazione dei fratelli, conseguenza quantomeno paradossale in un contesto di ricongiungimento familiare.

53.

Per quanto riguarda la seconda soluzione, basata su un ricongiungimento familiare autorizzato a determinate condizioni dalla normativa belga, si deve ricordare la possibilità, riconosciuta agli Stati membri dall’articolo 3, paragrafo 5, della direttiva 2003/86, di concedere, sul solo fondamento del loro diritto nazionale, un diritto di ingresso e di soggiorno a condizioni più favorevoli. A tal riguardo, la Commissione, nei suoi orientamenti per l’applicazione della direttiva 2003/86, ha indicato che le esigenze di protezione umanitaria dei beneficiari di protezione sussidiaria non differivano da quelle dei rifugiati e ha incoraggiato, di conseguenza, gli Stati membri ad adottare norme che riconoscano diritti analoghi ai rifugiati e ai beneficiari di protezione temporanea o sussidiaria ( 58 ). Pur se molti Stati membri prevedono, nella loro normativa nazionale, la possibilità per i beneficiari della protezione sussidiaria di presentare una domanda di ricongiungimento familiare alle stesse condizioni dei rifugiati, sussistono talune disparità in dette normative, poiché alcune di esse comportano ancora differenze considerevoli nel trattamento dei rifugiati e dei beneficiari della protezione sussidiaria per quanto riguarda le condizioni di accesso al ricongiungimento familiare ( 59 ). Nella specie, è giocoforza constatare che dal ricorso in cassazione proposto dinanzi al giudice del rinvio dal ricorrente nel procedimento principale emerge che quest’ultimo ha tentato invano di ottenere il ricongiungimento familiare con la figlia minorenne non avendo potuto produrre i documenti ad hoc richiesti dall’amministrazione comunale competente. Nell’ordinanza di rinvio è inoltre menzionato che l’interessato non beneficia di un permesso di soggiorno in Belgio ( 60 ).

54.

Ciò premesso, e in generale, è ipotizzabile che un cittadino di un paese terzo, già beneficiario di una protezione internazionale concessa in un primo Stato membro, riesca a recarsi in un altro Stato membro per raggiungere la propria famiglia e presenti una nuova domanda di protezione internazionale in questo altro Stato e, parallelamente, si veda rilasciare un permesso di soggiorno in forza dell’articolo 13, paragrafo 2, della direttiva 2003/86 oppure in conformità ad una normativa nazionale di trasposizione più favorevole. In caso contrario, tale cittadino può vedersi concedere uno status di protezione nazionale per ragioni diverse da quelle di protezione internazionale, vale a dire a titolo discrezionale e per motivi caritatevoli o umanitari, il che non rientra nell’ambito di applicazione della direttiva 2011/95. Infatti, dall’articolo 2, lettera h), in fine, della direttiva 2011/95 emerge che quest’ultima ammette che gli Stati membri ospitanti possono accordare, in conformità al loro diritto nazionale, una protezione nazionale di un «altro tipo» corredata da diritti che consentano alle persone escluse dallo status di rifugiato o di beneficiario di protezione sussidiaria di soggiornare nel loro territorio ( 61 ). Sarebbe necessario verificare, in queste due fattispecie, se tali status siano idonei a garantire una certa stabilità della residenza e, di conseguenza, dell’unità del nucleo familiare in tale Stato. In caso affermativo, lo Stato membro ospitante dovrebbe, a mio avviso, poter esercitare la facoltà offertagli dall’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2013/32 di dichiarare inammissibile la domanda di protezione internazionale, indipendentemente da qualsivoglia analisi del rapporto fra il richiedente e il familiare in questione ( 62 ).

3. Sul rapporto fra il richiedente e il familiare

55.

Occorre sottolineare che, come risulta dalle spiegazioni relative alla Carta e in conformità all’articolo 52, paragrafo 3, di tale atto, i diritti garantiti dall’articolo 7 della medesima hanno lo stesso significato e la stessa portata di quelli garantiti dall’articolo 8 della CEDU, come interpretato dalla giurisprudenza della Corte EDU. Nelle cause che riguardano congiuntamente vita familiare ( 63 ) e immigrazione, la Corte EDU procede a un bilanciamento degli interessi posti a confronto, e cioè l’interesse personale dei soggetti interessati a condurre una vita familiare in un determinato territorio e l’interesse generale perseguito dallo Stato, nella fattispecie il controllo sull’immigrazione. Qualora siano interessati dei minori, la Corte EDU considera che occorre tener conto del loro interesse superiore. Su questo punto particolare, essa ricorda che l’idea secondo la quale l’interesse superiore dei minori deve prevalere in tutte le decisioni che li riguardano forma oggetto di ampio consenso, in particolare nel diritto internazionale. Vero è che tale interesse non è determinante da solo, ma occorre certo accordargli un peso rilevante. Così, nelle cause di ricongiungimento familiare, la Corte EDU annette un’attenzione particolare alla situazione dei minori in questione, in particolare alla loro età, alla loro situazione nel paese o nei paesi interessati e al loro grado di dipendenza nei confronti dei loro genitori ( 64 ).

56.

Rilevo che tale nozione di «rapporto di dipendenza» è parimenti utilizzata dalla Corte nella sua giurisprudenza concernente il contenzioso migratorio ( 65 ). Così è per la concessione ad un cittadino di un paese terzo, sulla base degli articoli 20 e 21 TFUE, di un diritto di soggiorno derivato nel territorio dell’Unione, conferito attraverso un familiare che gode dello status di cittadino dell’Unione, qualora esista fra i due un rapporto di dipendenza tale da far sì che quest’ultimo sia costretto a seguire detto cittadino di paese terzo e a lasciare il territorio dell’Unione, considerato nel suo insieme ( 66 ). È parimenti possibile fare riferimento alla giurisprudenza della Corte relativa all’esame individuale delle domande di ricongiungimento imposto dall’articolo 17 della direttiva 2003/86 e che deve tenere conto di tutti gli elementi rilevanti del caso di specie, con particolare attenzione agli interessi dei minori coinvolti e all’ottica di favorire la vita familiare, ove il grado di dipendenza dai genitori fa parte di tali elementi ( 67 ).

57.

In tali circostanze, la valutazione, da parte dell’autorità nazionale competente, del rischio serio di un trattamento contrario all’articolo 7 della Carta, in combinato disposto con l’articolo 24 della stessa, in seguito al colloquio personale previsto agli articoli 14 e 34 della direttiva 2013/32, deve essere effettuata alla luce di tutti gli elementi rilevanti del caso di specie, i quali includono, segnatamente, l’età del minore, la sua situazione nel paese in questione ( 68 ) e il grado di dipendenza del medesimo nei confronti dei suoi genitori, tenendo conto del suo sviluppo fisico ed emotivo, dell’intensità della sua relazione affettiva con i genitori, poiché tutto ciò è idoneo a caratterizzare il rischio che la separazione da questi ultimi comporterebbe per il rapporto genitori-figlio e l’equilibrio di tale minore. Così, il fatto che il genitore coabiti con il figlio minorenne è uno degli elementi rilevanti da prendere in considerazione per determinare l’esistenza di un rapporto di dipendenza tra loro, senza per questo costituirne una condizione necessaria ( 69 ).

D.   Conclusione intermedia

58.

Alla luce dell’insieme delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di dichiarare che l’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2013/32 deve essere interpretato nel senso che esso osta a che uno Stato membro eserciti la facoltà offerta da tale disposizione di respingere in quanto inammissibile una domanda di concessione dello status di rifugiato con la motivazione che al richiedente è già stato attribuito un siffatto status da un altro Stato membro, qualora tale richiedente corra un rischio serio di subire, in caso di rinvio in questo altro Stato membro, un trattamento incompatibile con il diritto al rispetto della vita familiare, previsto all’articolo 7 della Carta, in combinato disposto con l’obbligo di prendere in considerazione l’interesse superiore del minore, sancito all’articolo 24, paragrafo 2, della Carta. Non mi pare che tale interpretazione si ponga in contraddizione con gli obiettivi di tale direttiva e, più in generale, con quelli del sistema europeo comune di asilo.

59.

Per quanto riguarda l’economia procedurale, non può validamente invocarsi un onere di lavoro supplementare o eccessivo gravante sulle autorità nazionali competenti con riferimento ai requisiti procedurali già fissati dalla direttiva 2013/32 e più specificamente all’obbligo di colloquio individuale preliminare a qualsiasi decisione, inclusa quella sull’inammissibilità della domanda. La realizzazione di un siffatto colloquio consente, al contempo, di precisare la situazione familiare del richiedente e di valutare, se del caso, le esigenze di protezione internazionale di quest’ultimo. Tale procedura permette dunque all’autorità competente di valutare al meglio e rapidamente la situazione del richiedente, nell’interesse sia del richiedente sia dello Stato membro, il che contribuisce all’obiettivo di celerità e al requisito di esaustività dell’esame della domanda.

60.

Per quanto riguarda la prevenzione dei movimenti secondari, mi sembra che la situazione del ricorrente nel procedimento principale, il quale si è trasferito in un altro Stato membro dopo aver ottenuto lo status di rifugiato al fine di raggiungere le figlie e vivere con loro, non rientri, in senso stretto, in tale nozione. Tale trasferimento all’interno dell’Unione non ha come origine esclusiva, contrariamente a quanto enunciato al considerando 13 della direttiva 2013/32, una differenza di normative degli Stati membri, ma è motivata dal soddisfacimento di un diritto fondamentale previsto all’articolo 7 della Carta. In altre parole, la condotta del ricorrente non si colloca in quello che è comunemente designato come «forum shopping» dell’asilo, poiché l’interessato non ha cercato una protezione giuridica migliore o di giocare sulle differenze di livello di protezione sociale offerta dagli Stati membri per ottenere migliori condizioni materiali di vita. Inoltre, alla luce delle condizioni che delimitano il divieto imposto agli Stati membri di attuare l’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2013/32, la prospettiva di una «saturazione» del sistema mi sembra poco probabile.

61.

La soluzione prospettata nelle presenti conclusioni è, a mio avviso, pienamente conforme ad altri obiettivi perseguiti dal legislatore dell’Unione attraverso l’elaborazione del sistema europeo comune di asilo, ossia l’armonizzazione delle norme in materia, segnatamente, di procedure di asilo, la protezione e l’integrazione dei beneficiari di protezione internazionale e dei loro familiari nello Stato membro ospitante, nonché la preminenza dell’interesse superiore del minore nell’assunzione di decisioni. L’interpretazione proposta dell’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2013/32 mi sembra appropriata in un contesto caratterizzato dalla diversità delle possibili situazioni dei richiedenti protezione internazionale all’interno dell’Unione. Il fatto che tale disposizione sia facoltativa per gli Stati membri, che lo status di rifugiato venga riconosciuto automaticamente, a titolo derivato, ad un familiare del beneficiario della protezione internazionale da talune legislazioni nazionali che attuano l’articolo 3 della direttiva 2011/95 e che alcune trasposizioni nazionali della direttiva 2003/86 abbiano talvolta dato luogo ad allineamenti dello status di rifugiato a quello di protezione sussidiaria contribuisce a tale eterogeneità, in contrasto con l’obiettivo di un processo di armonizzazione inteso a che i richiedenti protezione internazionale siano trattati in modo identico ed adeguato, ovunque si trovino nel territorio dell’Unione.

E.   Sulle conseguenze dell’ammissibilità della domanda di protezione internazionale

62.

Con la seconda questione pregiudiziale, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la direttiva 2011/95 debba essere interpretata nel senso che essa impone allo Stato membro ospitante di estendere il beneficio della protezione internazionale accordata ad un minore al genitore che vive al suo fianco in conformità al diritto al rispetto della vita familiare sancito all’articolo 7 della Carta, in combinato disposto con l’obbligo di prendere in considerazione l’interesse superiore del minore previsto all’articolo 24, paragrafo 2, di quest’ultima. La risposta a tale questione implica, a mio avviso, la formulazione di diverse osservazioni connesse alle conseguenze di un’impossibilità di attuazione, da parte dello Stato membro ospitante, della facoltà offertagli dall’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2013/32 e dunque dell’ammissibilità della domanda di protezione internazionale.

63.

In primo luogo, occorre ricordare che il meccanismo di inammissibilità previsto all’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2013/32 costituisce una deroga all’obbligo degli Stati membri di esaminare nel merito tutte le domande di protezione internazionale, ossia di valutare se il richiedente interessato possa invocare la protezione internazionale in conformità alla direttiva 2011/95. Quest’ultima stabilisce, da parte sua e conformemente al suo articolo 1, norme, anzitutto, sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale; poi, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché, infine, sul contenuto della protezione riconosciuta. Come ha già precisato la Corte, dagli articoli 13 e 18 della direttiva 2011/95, letti in combinato disposto con le definizioni dei termini «rifugiato» e «persona avente titolo a beneficiare della protezione sussidiaria» contenute nell’articolo 2, lettere d) e f), della stessa, risulta che la protezione internazionale contemplata in tale direttiva deve, in linea di principio, essere riconosciuta a qualunque cittadino di un paese terzo o apolide il quale abbia un timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, opinione politica o appartenenza a un determinato gruppo sociale, o che corra un rischio effettivo di subire danni gravi, ai sensi dell’articolo 15 della medesima direttiva ( 70 ).

64.

Pertanto, nel caso in cui uno Stato membro dovesse trovarsi di fronte ad una situazione che gli impedisce di avvalersi della facoltà offertagli dall’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2013/32, spetterebbe al medesimo esaminare la domanda di protezione internazionale che gli è stata presentata e verificare il soddisfacimento, da parte del richiedente protezione internazionale, delle condizioni sostanziali di concessione di tale protezione come descritte supra. Lo Stato membro deve dunque considerare e trattare il cittadino del paese terzo interessato come un “primo-richiedente” protezione internazionale, indipendentemente da quella già accordatagli da un altro Stato membro. Le conseguenze di una siffatta situazione sono state contemplate in maniera chiara dal legislatore dell’Unione nell’ambito del meccanismo di inammissibilità previsto all’articolo 33, paragrafo 2, lettera a) della direttiva 2013/32 ( 71 ) e, salvo privare tale disposizione di ogni effetto utile, la circostanza relativa al previo riconoscimento della protezione internazionale da parte di un primo Stato membro non può, ancora una volta, essere presa in considerazione in alcun modo nell’ambito dell’esame nel merito della domanda ( 72 ).

65.

In secondo luogo, tutte le parti interessate sottolineano, in sostanza, che la domanda presentata dal ricorrente nel procedimento principale ha lo scopo di assicurare o è unicamente motivata dalla riunione familiare, poiché l’interessato non è guidato da un bisogno di protezione internazionale, già soddisfatto in Austria. La sua domanda di protezione internazionale non sarebbe dunque veramente tale e non potrebbe dare luogo, alla luce della lettera, dell’economia generale e degli obiettivi della direttiva 2011/95, alla concessione di uno status rientrante in tale protezione. Mi sembra necessario operare, a tal riguardo, una distinzione chiara fra lo strumento giuridico stesso, la domanda di protezione internazionale, e il tenore degli argomenti e degli elementi di prova apportati a sostegno della stessa, nonché l’eventuale motivazione sottesa del richiedente protezione internazionale.

66.

La nozione di «domanda di protezione internazionale» viene definita all’articolo 2, lettera b), della direttiva 2013/32 come la «richiesta di protezione rivolta a uno Stato membro da un cittadino di un paese terzo o da un apolide di cui si può ritenere che intende ottenere lo status di rifugiato o lo status di protezione sussidiaria, e che non sollecita esplicitamente un diverso tipo di protezione non contemplato nell’ambito di applicazione della [direttiva 2011/95] e che possa essere richiesto con domanda separata». Una siffatta domanda si considera presentata non appena la persona interessata abbia manifestato, presso una delle autorità di cui all’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2013/32, la propria volontà di beneficiare della protezione internazionale, senza che la manifestazione di tale volontà possa essere sottoposta a una qualche formalità amministrativa ( 73 ). Risulta in maniera univoca dalla decisione di rinvio che il ricorrente nel procedimento principale, il 14 giugno 2018, ha presentato in Belgio una domanda considerata come una domanda di protezione internazionale e trattata come tale dalle autorità competenti, le quali l’hanno dichiarata inammissibile sulla base delle disposizioni nazionali che recepiscono l’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2013/32.

67.

Nel merito, la Corte ha dichiarato che, in forza dell’articolo 13 della direttiva 2011/95, gli Stati membri riconoscono lo status di rifugiato a qualsiasi cittadino di un paese terzo o apolide che soddisfi i requisiti materiali per essere considerato come rifugiato conformemente ai capi II e III di tale direttiva, senza disporre di un potere discrezionale a tale riguardo ( 74 ). Una stessa soluzione si applica, per analogia, in relazione allo status di protezione sussidiaria, considerata la formulazione simile dell’articolo 18 della direttiva 2011/95 ( 75 ). L’esistenza di una motivazione sottesa e opportuna del richiedente quanto al mantenimento dell’unità del nucleo familiare nello Stato membro interessato è nella specie indifferente, a partire dal momento in cui le summenzionate condizioni sono soddisfatte. In tale contesto, la valutazione di una domanda di protezione internazionale basata sul solo fondamento della necessaria unità familiare con il beneficiario di una siffatta protezione, indipendentemente da qualsivoglia allegazione di un rischio di persecuzione o di minacce gravi concernenti l’autore della domanda, non può che concludersi, alla luce delle disposizioni della direttiva 2011/95, con un rigetto nel merito. A tal riguardo, occorre sottolineare che tale direttiva non prevede un’estensione dello status di rifugiato o dello status di protezione sussidiaria ai familiari della persona alla quale tale status è concesso, il che non significa che il legame familiare non possa essere mai preso in considerazione per quanto riguarda il riconoscimento della protezione internazionale ( 76 ).

68.

In terzo luogo, come si evince dal considerando 12 della direttiva 2011/95, le disposizioni di quest’ultima mirano a garantire l’applicazione di criteri comuni per l’identificazione delle persone che hanno bisogno di protezione internazionale, nonché un livello minimo di benefici per tali persone in tutti gli Stati membri ( 77 ). Inoltre, in virtù dei considerando 11 e 12 nonché dell’articolo 1 della direttiva 2013/32, il quadro per il riconoscimento della protezione internazionale è fondato sul concetto di «procedura unica» e si basa su norme minime comuni ( 78 ). In tali circostanze, è lecito pensare che le situazioni di richiedenti protezione internazionale che presentano un’effettiva somiglianza dovrebbero essere trattate nello stesso modo dalle autorità nazionali competenti dei diversi Stati membri ed esigere una stessa risposta nel merito. In altre parole, il ricorrente nel procedimento principale dovrebbe, a priori, vedersi riconoscere lo status di rifugiato in Belgio, il che darebbe luogo ad una situazione di cumulo di protezione internazionale. Pur se l’esistenza di una simile situazione, così come la sua cessazione, non viene presa espressamente in considerazione dalle direttive 2011/95 e 2013/32, essa costituisce cionondimeno una conseguenza possibile del carattere facoltativo per gli Stati membri dell’attuazione dell’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), ed è stata implicitamente ma necessariamente ammessa dalla Corte nella sua giurisprudenza relativa a tale disposizione ( 79 ).

69.

Per uno scrupolo di completezza concernente la valutazione di una siffatta situazione, rilevo che, per quanto riguarda più specificamente lo status di rifugiato, l’articolo 14 della direttiva 2011/95, in combinato disposto con l’articolo 11 della stessa, enuncia i casi in cui gli Stati membri possono o devono revocare, cessare o rifiutare di rinnovare tale status. Nessuna delle fattispecie prese in considerazione, le quali devono essere oggetto di un’interpretazione restrittiva secondo l’Alto Commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati ( 80 ), comprende quella del duplice riconoscimento. Occorre tuttavia sottolineare che l’articolo 45 della direttiva 2013/32, il quale determina le garanzie di cui gode l’interessato se l’autorità nazionale competente ipotizza di revocare, a norma dell’articolo 14 della direttiva 2011/95, la protezione internazionale che gli è stata accordata, contiene un paragrafo 5 derogatorio. Quest’ultimo enuncia che gli Stati membri possono decidere che detta protezione decada per legge se il suo beneficiario ha rinunciato espressamente a essere riconosciuto come tale, il che, a mio avviso, potrebbe ricomprendere l’ipotesi della domanda e del successivo ottenimento in un secondo Stato membro della protezione accordata in un primo Stato. Infine, è più che probabile che la situazione del duplice riconoscimento avrà come conseguenza il mancato rinnovo del permesso di soggiorno temporaneo ottenuto automaticamente nel primo Stato membro in forza dell’articolo 24 della direttiva 2011/95, in assenza di una domanda in tal senso dell’interessato o in considerazione dell’assenza di quest’ultimo nel territorio nazionale pe un determinato periodo di tempo, nonché dell’acquisizione di un nuovo permesso di soggiorno nel secondo Stato membro. Orbene, il considerando 40 della direttiva 2011/95 indica che, nei limiti derivanti dagli obblighi internazionali, gli Stati membri possono stabilire che la concessione di prestazioni in materia di accesso all’occupazione, assistenza sociale, assistenza sanitaria e accesso agli strumenti d’integrazione sia subordinata al rilascio di un permesso di soggiorno. Tali elementi sono idonei a relativizzare l’importanza e le conseguenze in pratica di un duplice riconoscimento della protezione internazionale.

70.

Si segnala infine che, poiché una probabilità anche forte non costituisce mai una certezza, non è escluso che la valutazione individuale di una seconda domanda di protezione internazionale, dopo la concessione della medesima da parte di un primo Stato membro, possa sfociare in un rigetto di tale domanda. Pur se il sistema normativo predisposto dalle direttive 2011/95 e 2013/32 costituisce un sicuro passo avanti verso un sistema europeo comune di asilo, esso non traduce un’armonizzazione completa. Come sottolineato dall’avvocato generale Richard de la Tour ( 81 ), talune nozioni che sono fondamentali per l’attuazione della direttiva 2011/95 non sono definite stricto sensu, il che lascia spazio a valutazioni differenziate degli Stati membri e dà luogo a richieste di interpretazione del diritto dell’Unione rivolte alla Corte. Rilevo tuttavia che, nel caso di un rigetto nel merito di detta domanda, il secondo Stato membro potrà far godere, se del caso, l’individuo soccombente dei benefici previsti agli articoli da 24 a 35 della direttiva 2011/95, in conformità all’articolo 23 di quest’ultima.

V. Conclusione

71.

Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di rispondere nei seguenti termini al Conseil d’État (Consiglio di Stato, Belgio):

1)

L’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale, deve essere interpretato nel senso che esso osta a che uno Stato membro eserciti la facoltà offerta da tale disposizione di respingere una domanda di protezione internazionale in quanto inammissibile con la motivazione che al richiedente è già stata attribuita una siffatta protezione da un altro Stato membro, qualora il rinvio di tale richiedente in questo altro Stato membro lo esponga ad un rischio serio di subire un trattamento contrario al diritto al rispetto della vita familiare enunciato all’articolo 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, in combinato disposto con l’articolo 18 e con l’articolo 24, paragrafo 2, della stessa.

La circostanza che il richiedente protezione internazionale sia il genitore di un minore beneficiario di tale protezione nello Stato membro ospitante può configurare un siffatto rischio, fatta salva la verifica, incombente alle autorità nazionali competenti, del fatto che tale richiedente non detenga uno status giuridico che gli garantisce una residenza stabile in tale Stato e del fatto che la separazione del minore dal genitore sarebbe idonea a nuocere ai loro rapporti e all’equilibrio di tale minore.

2)

L’ammissibilità della domanda di protezione internazionale presentata da detto richiedente implica l’esame nel merito della stessa al fine di verificare la compresenza delle condizioni di attribuzione di tale protezione previste agli articoli 13 e 18 della direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta. Tale direttiva non prevede un’estensione dello status di rifugiato o dello status di protezione sussidiaria ai familiari della persona alla quale tale status è concesso.


( 1 ) Lingua originale: il francese.

( 2 ) Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (GU 2013, L 180, pag. 60).

( 3 ) Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta (GU 2011, L 337, pag. 9).

( 4 ) Direttiva del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativa al diritto al ricongiungimento familiare (GU 2003, L 251, pag. 12).

( 5 ) La decisione di rinvio non menziona espressamente l’articolo 7 della Carta ma fa unicamente riferimento al principio dell’unità del nucleo familiare. In ogni caso, nell’ambito della procedura di cooperazione tra i giudici nazionali e la Corte istituita all’articolo 267 TFUE, spetta a quest’ultima fornire al giudice nazionale una risposta utile che gli consenta di dirimere la controversia di cui è investito. In tale ottica, le questioni pregiudiziali devono essere risolte alla luce di tutte le disposizioni del Trattato e del diritto derivato che possano essere pertinenti rispetto al problema posto, incluse le disposizioni alle quali il giudice nazionale non ha fatto riferimento nella decisione di rinvio [sentenze del 29 ottobre 2015, Nagy (C‑583/14, EU:C:2015:737, punto 21) e dell’11 aprile 2019, Repsol Butano e DISA Gas (C‑473/17 e C‑546/17, EU:C:2019:308, punto 38)].

( 6 ) V. sentenza del 6 giugno 2013, MA e a. (C‑648/11, EU:C:2013:367, punto 50 e la giurisprudenza ivi citata).

( 7 ) Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide (GU 2013, L 180, pag. 31).

( 8 ) V. sentenza del 19 marzo 2020, Bevándorlási és Menekültügyi Hivatal (Tompa) (C‑564/18, EU:C:2020:218, punto 29).

( 9 ) V. sentenza del 19 marzo 2019, Ibrahim e a. (C‑297/17, C‑318/17, C‑319/17 e C‑438/17; in prosieguo: la «sentenza Ibrahim e a., EU:C:2019:219, punto 58). Tale carattere facoltativo porta necessariamente a possibili disparità nelle normative nazionali concernenti il meccanismo di inammissibilità delle domande di protezione internazionale.

( 10 ) Ricordo che, secondo una costante giurisprudenza, le eccezioni devono essere oggetto di un’interpretazione restrittiva [sentenze del 29 aprile 2004, Kapper (C‑476/01, EU:C:2004:261, punto 72); del 12 novembre 2009, TeliaSonera Finland (C‑192/08, EU:C:2009:696, punto 40) e del 5 marzo 2015, Copydan Båndkopi (C‑463/12, EU:C:2015:144, punto 87)].

( 11 ) V. sentenza del 17 marzo 2016, Mirza (C‑695/15 PPU, EU:C:2016:188, punto 43).

( 12 ) V. sentenza Ibrahim e a., punto 77.

( 13 ) V., per analogia, per quanto riguarda il regolamento Dublino II, sentenza del 21 dicembre 2011, N.S. e a. (C‑411/10 e C‑493/10, EU:C:2011:865, punto 79).

( 14 ) V. sentenze del 17 marzo 2016, Mirza (C‑695/15 PPU, EU:C:2016:188, punto 52) e del 10 dicembre 2020, Minister for Justice and Equality (Domanda di protezione internazionale in Irlanda) (C‑616/19, EU:C:2020:1010, punti 5152).

( 15 ) V. considerando 13 della direttiva 2011/95 e, per analogia con la direttiva 2005/85/CE del Consiglio del 1o dicembre 2005, recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato (GU 2005, L 326, pag. 13 e rettifica in GU 2006, L 236, pag. 36), sentenza del 10 dicembre 2020, Minister for Justice and Equality (Domanda di protezione internazionale in Irlanda) (C‑616/19, EU:C:2020:1010, punti 5152).

( 16 ) V. considerando 13 della direttiva 2013/32.

( 17 ) Dalla sentenza Ibrahim e a. (punto 98) discende inoltre che, per chiarire se un cittadino di un paese terzo o un apolide soddisfi le condizioni per beneficiare della protezione internazionale, gli Stati membri devono, a norma dell’articolo 4, paragrafo 3, della direttiva 2011/95, esaminare ciascuna domanda di protezione internazionale su base individuale.

( 18 ) V. sentenza del 16 luglio 2020, Addis (C‑517/17, EU:C:2020:579, punti da 46 a 48).

( 19 ) Dalla decisione di rinvio emerge che la controversia di cui al procedimento principale non rientra in una siffatta fattispecie, la quale è prevista all’articolo 33, paragrafo 2, lettera d), e all’articolo 40 della direttiva 2013/32. Nella sentenza del 9 settembre 2020, Commissaire général aux réfugiés et aux apatrides (Rigetto di una domanda ulteriore – Termine di ricorso) (C‑651/19, EU:C:2020:681, punto 58), la Corte ha precisato che ogni domanda reiterata di protezione internazionale è preceduta da una prima domanda che è stata definitivamente respinta, nel contesto della quale l’autorità competente ha effettuato un esame esaustivo al fine di determinare se il richiedente interessato soddisfaceva i requisiti per beneficiare di una protezione internazionale.

( 20 ) V., in tal senso, sentenza del 16 luglio 2020, Addis (C‑517/17, EU:C:2020:579, punti 5559).

( 21 ) V., in tal senso, sentenza del 16 luglio 2020, Addis (C‑517/17, EU:C:2020:579, punto 64).

( 22 ) V. sentenza Ibrahim e a., punto 101, e ordinanza del 13 novembre 2019, Hamed e Omar (C‑540/17 e C‑541/17, non pubblicata, EU:C:2019:964, punto 43).

( 23 ) V., in tal senso, sentenza Ibrahim e a., punti da 83 a 86, e ordinanza del 13 novembre 2019, Hamed e Omar (C‑540/17 e C‑541/17, non pubblicata, EU:C:2019:964, punto 41).

( 24 ) Tale conclusione è confermata dall’impiego del termine «segnatamente» al punto 83 della sentenza Ibrahim e a.

( 25 ) Nella sentenza Ibrahim e a. (punti da 95 a 100), la Corte ha peraltro esaminato un’eventuale violazione di tale disposizione in relazione ad un rifiuto sistematico, senza un esame effettivo, del riconoscimento da parte di uno Stato membro dello status di rifugiato a richiedenti protezione internazionale che presentano i requisiti previsti ai capi II e III della direttiva 2011/95. Pur se essa ha ritenuto che tale trattamento non potesse essere considerato conforme agli obblighi che discendono dall’articolo 18 della Carta, la Corte ha tuttavia dichiarato che gli altri Stati membri possono respingere come inammissibile la nuova domanda, in applicazione dell’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2013/32, considerato congiuntamente al principio di fiducia reciproca, fermo restando che incombe allo Stato membro che ha concesso la protezione sussidiaria riprendere la procedura intesa all’ottenimento dello status di rifugiato.

( 26 ) Il diritto al rispetto della vita familiare è garantito all’articolo 8 della CEDU e, secondo la Corte europea dei diritti dell’uomo (in prosieguo: la «Corte EDU»), l’unità della famiglia è un diritto essenziale del rifugiato (Corte EDU, 10 luglio 2014, Tanda-Munziga c. Francia, CE:ECHR:2014:0710JUD000226010, § 75). La Corte ha precisato, nella sentenza del 27 giugno 2006, Parlamento/Consiglio (C‑540/03, EU:C:2006:429, punto 53), che ancorché la CEDU non garantisca, quale diritto fondamentale a favore di uno straniero, alcun diritto di entrare o risiedere nel territorio di un paese determinato, l’esclusione di una persona da un paese in cui vivono i suoi congiunti può rappresentare un’ingerenza nel diritto al rispetto della vita familiare come tutelato dall’articolo 8, paragrafo 1, di tale convenzione.

( 27 ) V., in tal senso, sentenze Ibrahim e a., punto 97, e del 23 maggio 2019, Bilali (C‑720/17, EU:C:2019:448, punto 54).

( 28 ) V. conclusioni dell’avvocato generale Mengozzi nella causa Ahmedbekova (C‑652/16, EU:C:2018:514, paragrafo 51) e dell’avvocato generale Richard de la Tour nella causa Bundesrepublik Deutschland (Mantenimento dell’unità del nucleo familiare) (C‑91/20, EU:C:2021:384, paragrafo 66).

( 29 ) V. sentenza del 16 luglio 2020, Stato belga (Ricongiungimento familiare – Figlio minorenne) (C‑133/19, C‑136/19 e C‑137/19, EU:C:2020:577, punto 34 e la giurisprudenza ivi citata).

( 30 ) La considerazione dell’interesse superiore del minore costituisce, del resto, una preoccupazione trasversale di tutti gli strumenti giuridici che compongono il sistema europeo comune di asilo.

( 31 ) La Convenzione relativa ai diritti del fanciullo, adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni unite nella sua risoluzione 44/25 del 20 novembre 1989 ed entrata in vigore il 2 settembre 1990, la quale vincola ciascuno degli Stati membri, riconosce parimenti il principio del rispetto della vita familiare. Essa è fondata sul riconoscimento, espresso nel suo considerando 6, che il minore deve poter crescere, ai fini di un armonioso sviluppo della propria personalità, nell’ambiente familiare. L’articolo 9 di tale convenzione prevede in tal senso che gli Stati contraenti provvedano affinché il minore non venga separato dai genitori contro la loro volontà (paragrafo 1) e rispettino il diritto del minore separato dai suoi due genitori o da uno di essi di intrattenere regolarmente relazioni personali e contatti diretti con i due genitori, a meno che ciò non sia contrario all’interesse superiore del minore [v., in tal senso, sentenza del 27 giugno 2006, Parlamento/Consiglio (C‑540/03, EU:C:2006:429, punto 57)].

( 32 ) V., per analogia, sentenza del 5 ottobre 2010, McB. (C‑400/10 PPU, EU:C:2010:582, punto 60 e la giurisprudenza ivi citata).

( 33 ) V. sentenza del 13 marzo 2019, E. (C‑635/17, EU:C:2019:192, punto 54 e la giurisprudenza ivi citata).

( 34 ) A titolo integrativo, è inoltre possibile citare il considerando 17 e l’articolo 17, paragrafo 2, del regolamento n. 604/2013 da cui risulta che uno Stato membro può derogare ai criteri di competenza, in particolare per motivi umanitari e caritatevoli, al fine di consentire il ricongiungimento di familiari, parenti o persone legate da altri vincoli di parentela ed esaminare una domanda di protezione internazionale presentata in quello o in un altro Stato membro, anche se tale esame non è di sua competenza secondo i criteri vincolanti stabiliti in tale regolamento.

( 35 ) V. sentenza Ibrahim e a., punto 84.

( 36 ) V., per analogia, sentenza del 16 luglio 2020, Addis (C‑517/17, EU:C:2020:579, punti 4953).

( 37 ) V., per analogia, sentenza del 24 giugno 2015, T. (C‑373/13, EU:C:2015:413, punto 68).

( 38 ) V., in tal senso, sentenza del 4 ottobre 2018, Ahmedbekova (C‑652/16, EU:C:2018:801, punto 68).

( 39 ) Occorre precisare che la compresenza di queste tre condizioni può rivelarsi insufficiente se la persona in questione rientra in uno dei casi di esclusione della concessione della protezione internazionale previsti nei capi III e V della direttiva 2011/95. Analogamente, l’articolo 23, paragrafo 4, di tale atto indica che gli Stati membri possono sempre rifiutare, ridurre o revocare i benefici menzionati ai paragrafi 1 e 2 di tale articolo per motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico.

( 40 ) La direttiva 2011/95 non mira a proteggere i legami familiari creati successivamente all’ingresso del richiedente asilo nello Stato membro ospitante. Ciò la distingue dalla direttiva 2003/86, la quale si applica anche che ai rapporti familiari costituiti dopo l’arrivo del soggiornante nel territorio dello Stato membro di cui trattasi [v. articolo 2, lettera d), della direttiva 2003/86].

( 41 ) C‑91/20, EU:C:2021:384, punto 55.

( 42 ) Questo secondo requisito costituisce un nuovo elemento di distinzione dal regime relativo al ricongiungimento familiare istituito dalla direttiva 2003/86, poiché quest’ultima prevede, all’articolo 5, paragrafo 3, che la domanda di ricongiungimento sia presentata, salvo deroga, «quando i familiari soggiornano all’esterno del territorio dello Stato membro nel cui territorio risiede il soggiornante».

( 43 ) In altre parole, il familiare interessato non può beneficiare della protezione massima, poiché non si configurerebbe un rischio di persecuzione o di minacce gravi nei suoi confronti, ma può essere ammesso, al fine di garantire la preservazione dell’unità del nucleo familiare con il beneficiario della protezione, a diversi benefici che lo pongono in una situazione simile a quella di tale beneficiario.

( 44 ) V., in tal senso, sentenza Ibrahim e a., punti 84 e 85.

( 45 ) Rilevo che, al punto 39 delle sue osservazioni, la Commissione ha ammesso l’inapplicabilità dell’articolo 23, paragrafo 2, della direttiva 2011/95 in considerazione della qualità di rifugiato del ricorrente nel procedimento principale, al pari del convenuto nel procedimento principale. Al contrario, il governo italiano sostiene (punto 27 delle osservazioni) che, «pur non potendo ottenere lo status di rifugiato già riconosciuto in altro Stato membro, [il ricorrente nel procedimento principale] potrà comunque ottenere un permesso di soggiorno nello Stato in cui la figlia minore ha ottenuto la protezione sussidiaria», nonché gli altri benefici previsti all’articolo 23, paragrafo 2, della direttiva 2011/95. La fondatezza di tale affermazione, insufficientemente motivata, implicherebbe di poter ritenere che la concessione dello status di rifugiato possa essere presa in considerazione dalle autorità competenti belghe al fine, al contempo, di dichiarare inammissibile la seconda domanda di protezione internazionale sul fondamento dell’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2013/32 e di giustificare l’applicazione dell’articolo 23, paragrafo 2, della direttiva 2011/95 con la motivazione che egli non soddisfa le condizioni per ottenere un siffatto status, il che può sembrare intrinsecamente incoerente.

( 46 ) V. sentenza del 12 dicembre 2019, Bevándorlási és Menekültügyi Hivatal (Ricongiungimento familiare – Sorella di rifugiato) (C‑519/18, EU:C:2019:1070, punti 3458).

( 47 ) Direttiva 2004/83/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta (GU 2004, L 304, pag. 12).

( 48 ) V. sentenza del 1o marzo 2016, Alo e Osso (C‑443/14 e C‑444/14, EU:C:2016:127, punto 32) e del 13 settembre 2018, Ahmed (C‑369/17, EU:C:2018:713, punto 42). Occorre sottolineare che, nel 2011, tramite un Libro verde sul diritto al ricongiungimento familiare per i cittadini di paesi terzi che vivono nell’Unione europea (direttiva 2003/86/CE) [COM (2011) 735 definitivo], la Commissione ha avviato un dibattito sulla possibile riforma di tale direttiva. Uno dei punti sottoposti a discussione riguardava appunto la questione dell’esclusione della protezione sussidiaria dall’ambito di applicazione della direttiva. Nonostante il sostegno di numerose organizzazioni internazionali, non è intervenuta alcuna revisione di detta direttiva, la quale includa i beneficiari della protezione sussidiaria nell’ambito di applicazione della stessa.

( 49 ) Dubbi concernenti la compatibilità con la CEDU dell’esclusione dei beneficiari della protezione sussidiaria dal regime previsto dalla direttiva 2003/86 sono stati emessi dal Commissario per i diritti dell’uomo del Consiglio d’Europa («Réaliser le droit au regroupement familial des réfugiés en Europe», Documento tematico, 2017). Chiamata a statuire sulla conformità all’articolo 8 della CEDU dell’imposizione di un tempo di attesa di tre mesi alla concessione del ricongiungimento familiare ai beneficiari di uno status di protezione sussidiaria o temporanea, la Corte EDU ha concluso nel senso della violazione di tale disposizione nella sentenza del 9 luglio 2021, M.A c. Danimarca (CE:ECHR:2021:0709JUD000669718). Tale organo giurisdizionale ha ivi sottolineato, tuttavia, che la situazione dei beneficiari di una protezione sussidiaria non è la stessa dei rifugiati (§ 153) e che gli Stati membri godono di un ampio margine di manovra per quanto riguarda l’accesso al ricongiungimento familiare dei beneficiari di una protezione sussidiaria (§ 155). In tal senso, la distinzione fra i due status protettori non viene rimessa in discussione dalla Corte EDU.

( 50 ) V. sentenze del 7 novembre 2018, K e B (C‑380/17, EU:C:2018:877, punto 33) e del 13 marzo 2019, E. (C‑635/17, EU:C:2019:192, punto 34). Sulla constatazione della dottrina quanto ad un’interpretazione restrittiva della direttiva 2003/86, v. Peers S., EU Justice and Home Affairs Law (Volume 1: Immigration and Asylum Law), 4a ed., OUP, Oxford 2016, pag. 402.

( 51 ) L’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2003/86 prevede che gli Stati membri determinino se la domanda di ingresso e di soggiorno debba essere presentata dal soggiornante o dal familiare o dai familiari.

( 52 ) La situazione risulta particolarmente complessa, poiché, stando al ricorso per cassazione, egli vive con la figlia minorenne, la sua compagna (una rifugiata siriana) presso la quale sua figlia è collocata a titolo di famiglia affidataria, il figlio comune e quelli della sua compagna.

( 53 ) La Corte EDU riconosce che la vita familiare possa esistere all’interno di un rapporto di fratellanza e ha precisato che, nei procedimenti relativi al collocamento di minori, la separazione dei fratelli dovrebbe essere evitata, poiché può essere contraria all’interesse superiore del minore [Corte EDU, 18 febbraio 1991, Moustaquim c. Belgio (CE:ECHR:1991:0218JUD001231386, § 36) e 6 aprile 2010, Mustafa e Armağan Akın c. Turchia (CE:ECHR:2010:0406JUD000469403, § 19)].

( 54 ) La legislazione austriaca che traspone la direttiva 2013/32 prevede che la domanda di asilo venga respinta in quanto inammissibile se la protezione internazionale è stata concessa da un altro Stato membro: articolo 4, lettera a) del Bundesgesetz über die Gewährung von Asyl (Asylgesetz 2005 – AsylG 2005) accessibile al seguente indirizzo (in tedesco): https://www.ris.bka.gv.at/GeltendeFassung.wxe?Abfrage=Bundesnormen&Gesetzesnummer= 20004240.

( 55 ) V. articoli 13 e 15 della direttiva 2003/86. Nella sentenza del 14 marzo 2019, Y.Z. e a. (Frode nel ricongiungimento familiare) (C‑557/17, EU:C:2019:203, punto 47), la Corte ha dichiarato che dall’obiettivo della direttiva 2003/86, come risulta dal considerando 4, nonché da una lettura d’insieme di tale direttiva, in particolare dell’articolo 13, paragrafo 3, e dell’articolo 16, paragrafo 3, della stessa, deriva che, finché i familiari di cui trattasi non abbiano acquisito un diritto di soggiorno autonomo ai sensi dell’articolo 15 di detta direttiva, il loro diritto di soggiorno è un diritto derivato da quello del soggiornante, finalizzato a favorire l’integrazione di quest’ultimo.

( 56 ) Gli articoli 29, 30 e 32 della direttiva 2011/95 prevedono diversi diritti e benefici a favore dei beneficiari della protezione internazionale dei quali non viene fatta menzione nella direttiva 2003/86 per i familiari del soggiornante, ossia l’accesso all’assistenza sociale, all’assistenza sanitaria e all’alloggio. Questi ultimi beneficiano del diritto all’accesso ad un’attività lavorativa dipendente o autonoma in applicazione dell’articolo 14 della direttiva 2003/86 ma gli Stati membri possono fissare un termine di dodici mesi prima di autorizzare l’esercizio di tale attività e limitare tale accesso per i figli adulti non coniugati.

( 57 ) V. sentenza del 13 marzo 2019, E. (C‑635/17, EU:C:2019:192, punti 4656).

( 58 ) COM (2014) 210 final, punto 6.2, pagg. 25 e 26.

( 59 ) Inoltre, facendo fronte alle sfide connesse alla crisi migratoria del 2015, alcuni Stati, come la Repubblica federale di Germania e il Regno di Svezia, hanno temporaneamente limitato la possibilità di ricongiungimento familiare per le persone beneficiarie della protezione sussidiaria [Relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio sull’attuazione della direttiva 2003/86/CE relativa al diritto al ricongiungimento familiare, del 29 marzo 2019, COM(2019) 162 final, pag. 4; UNHCR «The “Essential Right” to Family Unity of Refugees and Others in Need of International Protection in the Context of Family Reunification», pagg. da 142 a 145 e «Réaliser le droit au regroupement familial des réfugiés en Europe», documento tematico pubblicato dal Commissario per i diritti dell’uomo del Consiglio d’Europa, 2017, pagg. da 32 a 34].

( 60 ) Il ricorrente nel procedimento principale è dunque presente nel territorio di uno Stato membro, senza apparentemente soddisfare le condizioni di ingresso, di soggiorno o di residenza nel medesimo e si trova, per questo solo fatto, in una situazione di soggiorno irregolare, anche se è in possesso di un permesso di soggiorno, in corso di validità, in un altro Stato membro, in quanto quest’ultimo ha riconosciuto al medesimo lo status di rifugiato. In tali circostanze, egli deve ritornare immediatamente nel territorio di questo altro Stato membro in forza dell’articolo 6, paragrafo 2, della direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare (GU 2008, L 348, pag. 98), e può essere oggetto, se del caso, di una misura di trasferimento forzato verso il medesimo in conformità alla normativa nazionale dello Stato in cui risiede [sentenza del 24 febbraio 2021, M e a. (Trasferimento verso uno Stato membro) (C‑673/19, EU:C:2021:127, punti 30, 33, da 45 a 48)].

( 61 ) V. sentenze del 9 novembre 2010, B e D (C‑57/09 e C‑101/09, EU:C:2010:661, punti da 116 a 118) e del 23 maggio 2019, Bilali (C‑720/17, EU:C:2019:448, punto 61).

( 62 ) È effettivamente probabile che, nella prassi, il beneficio di un siffatto status sia idoneo a prevenire la presentazione di una domanda di protezione internazionale nello Stato membro ospitante della famiglia o comporti il ritiro della stessa.

( 63 ) Dal 2016, il ricorrente nel procedimento principale risiede in Belgio e convive con la figlia minorenne. Tale situazione caratterizza pacificamente l’esistenza di una «vita familiare», quale richiesta dalla Corte EDU nella sua giurisprudenza relativa all’articolo 8 della CEDU, fermo restando che tale nozione di «vita familiare» può inglobare il rapporto fra un figlio legittimo o naturale e suo padre, indipendentemente dalla presenza o meno della madre nella casa, e che la protezione garantita da tale disposizione si estende a tutti i familiari [Corte EDU, 3 ottobre 2014, Jeunesse c. Paesi Bassi (CE:ECHR:2014:1003JUD001273810, § 117)].

( 64 ) Corte EDU, 3 ottobre 2014, Jeunesse c. Paesi Bassi (CE:ECHR:2014:1003JUD001273810, §§ 109 e 118).

( 65 ) Risulta, inoltre, dal considerando 16 e dall’articolo 16 del regolamento n. 604/2013 che, al fine di garantire il pieno rispetto del principio dell’unità familiare e dell’interesse superiore del minore, il sussistere di una relazione di dipendenza tra il richiedente protezione internazionale e taluni suoi familiari costituisce un criterio di competenza vincolante.

( 66 ) V., in tal senso, sentenza dell’8 maggio 2018, K.A. e a. (Ricongiungimento familiare in Belgio) (C‑82/16, EU:C:2018:308, punto 52).

( 67 ) V., in tal senso, sentenza del 13 marzo 2019, E. (C‑635/17, EU:C:2019:192, punto 59).

( 68 ) Dalla sentenza del 14 marzo 2019, Y.Z. e a. (Frode nel ricongiungimento familiare) (C‑557/17, EU:C:2019:203, punto 54) risulta che possono essere prese in considerazione la durata del soggiorno del minore, nonché del genitore, nello Stato membro ospitante, l’età del minore al momento del suo arrivo in tale Stato membro e l’eventuale circostanza che ivi egli sia stato cresciuto e abbia ricevuto un’istruzione, nonché l’esistenza di legami familiari, economici, culturali e sociali del figlio e del genitore con e nel suddetto Stato membro.

( 69 ) V., per analogia, sentenza dell’8 maggio 2018, K.A. e a. (Ricongiungimento familiare in Belgio) (C‑82/16, EU:C:2018:308, punti da 71 a 73).

( 70 ) V. sentenza del 29 luglio 2019, Torubarov (C‑556/17, EU:C:2019:626, punti 4849).

( 71 ) In conformità all’articolo 32 della direttiva 2013/32, fatto salvo l’articolo 27 di quest’ultima, relativo al ritiro della domanda, gli Stati membri possono ritenere infondata una domanda solo se l’autorità accertante ha stabilito che al richiedente non è attribuibile la qualifica di beneficiario di protezione internazionale a norma della direttiva 2011/95. La domanda può parimenti essere respinta in quanto manifestamente infondata, in conformità al combinato disposto dell’articolo 31, paragrafo 8, lettera b), e dell’articolo 32, paragrafo 2, della direttiva 2013/32, se la circostanza di cui trattasi è così definita dal diritto nazionale, il che può avvenire qualora la domanda di protezione internazionale sia presentata da un cittadino di un paese di origine sicuro.

( 72 ) A tal riguardo, non mi sembrano pertinenti le osservazioni del governo belga (punti 36, 37, 56, 58 e 61) secondo le quali il riconoscimento dello status di protezione internazionale è riservato unicamente alle persone che ne soddisfano le condizioni, il che non avviene nel caso di cittadini di paesi terzi come il ricorrente nel procedimento principale, che beneficia già di un siffatto status concesso in uno Stato membro, il quale lo protegge a fronte di qualsiasi specie di persecuzione o di danno grave.

( 73 ) V. sentenza del 17 dicembre 2020, Commissione/Ungheria (Accoglienza dei richiedenti protezione internazionale) (C‑808/18, EU:C:2020:1029, punto 97).

( 74 ) V. sentenza del 14 maggio 2019, M e a. (Revoca dello status di rifugiato) (C‑391/16, C‑77/17 e C‑78/17, EU:C:2019:403, punto 89).

( 75 ) V., in tal senso, sentenza del 23 maggio 2019, Bilali (C‑720/17, EU:C:2019:448, punto 36).

( 76 ) V. sentenza del 4 ottobre 2018, Ahmedbekova (C‑652/16, EU:C:2018:801, punto 68). In tale sentenza, la Corte ha precisato, infatti, che l’articolo 3 della direttiva 2011/95 consente ad uno Stato membro, in caso di riconoscimento della protezione internazionale a un membro di una famiglia, l’estensione, a certe condizioni, del beneficio di tale protezione ad altri membri di tale famiglia. Essa ha dichiarato inoltre che se una domanda di protezione internazionale non può essere accolta, in quanto tale, per il motivo che un familiare del richiedente ha un timore fondato di persecuzione o corre un rischio effettivo di danni gravi, occorre per contro tener conto di siffatte minacce incombenti su un familiare del richiedente al fine di determinare se il richiedente, a causa del legame familiare con tale persona minacciata, sia a sua volta esposto a minacce di persecuzione o di danni gravi.

( 77 ) V. sentenza del 14 maggio 2019, M e a. (Revoca dello status di rifugiato) (C‑391/16, C‑77/17 e C‑78/17, EU:C:2019:403, punto 79).

( 78 ) V. sentenza del 25 luglio 2018, A (C‑404/17, EU:C:2018:588, punto 30).

( 79 ) V. sentenza Ibrahim e a. e ordinanza del 13 novembre 2019, Hamed e Omar (C‑540/17 e C‑541/17, non pubblicata, EU:C:2019:964).

( 80 ) Manuale sulle procedure e sui criteri per la determinazione dello status di rifugiato ai sensi della convenzione del 1951 e del Protocollo del 1967 relativi allo status dei rifugiati, dicembre 2011, HCR/1P/4/ITA/REV. 3, punto 116.

( 81 ) Conclusioni dell’avvocato generale Richard de la Tour nella causa Bundesrepublik Deutschland (Mantenimento dell’unità del nucleo familiare) (C‑91/20, EU:C:2021:384, paragrafo 108).

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