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Documento 62018CJ0222

    Sentenza della Corte (Quinta Sezione) del 18 settembre 2019.
    VIPA Kereskedelmi és Szolgáltató Kft. contro Országos Gyógyszerészeti és Élelmezés-egészségügyi Intézet.
    Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Fővárosi Közigazgatási és Munkaügyi Bíróság.
    Rinvio pregiudiziale – Assistenza sanitaria transfrontaliera – Direttiva 2011/24/UE – Articolo 3, lettera k), e articolo 11, paragrafo 1 – Prescrizione – Nozione – Riconoscimento di una prescrizione rilasciata in un altro Stato membro da una persona abilitata – Presupposti – Libera circolazione delle merci – Divieto di misure di effetto equivalente a restrizioni quantitative all’esportazione – Articoli 35 e 36 TFUE – Restrizione alla fornitura da parte di una farmacia di medicinali soggetti a prescrizione medica – Buono d’ordine emesso in un altro Stato membro – Giustificazione – Tutela della salute e della vita delle persone – Direttiva 2001/83/CE – Articolo 81, secondo comma – Fornitura di medicinali alla popolazione di uno Stato membro.
    Causa C-222/18.

    Identificatore ECLI: ECLI:EU:C:2019:751

    SENTENZA DELLA CORTE (Quinta Sezione)

    18 settembre 2019 ( *1 )

    «Rinvio pregiudiziale – Assistenza sanitaria transfrontaliera – Direttiva 2011/24/UE – Articolo 3, lettera k), e articolo 11, paragrafo 1 – Prescrizione – Nozione – Riconoscimento di una prescrizione rilasciata in un altro Stato membro da una persona abilitata – Presupposti – Libera circolazione delle merci – Divieto di misure di effetto equivalente a restrizioni quantitative all’esportazione – Articoli 35 e 36 TFUE – Restrizione alla fornitura da parte di una farmacia di medicinali soggetti a prescrizione medica – Buono d’ordine emesso in un altro Stato membro – Giustificazione – Tutela della salute e della vita delle persone – Direttiva 2001/83/CE – Articolo 81, secondo comma – Fornitura di medicinali alla popolazione di uno Stato membro»

    Nella causa C‑222/18,

    avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Fővárosi Közigazgatási és Munkaügyi Bíróság (Tribunale amministrativo e del lavoro di Budapest, Ungheria), con decisione dell’8 marzo 2018, pervenuta in cancelleria il 28 marzo 2018, nel procedimento

    VIPA Kereskedelmi és Szolgáltató Kft.

    contro

    Országos Gyógyszerészeti és Élelmezés-egészségügyi Intézet,

    LA CORTE (Quinta Sezione),

    composta da E. Regan, presidente di sezione, C. Lycourgos, E. Juhász, M. Ilešič e I. Jarukaitis (relatore), giudici,

    avvocato generale: Y. Bot

    cancelliere: C. Strömholm, amministratrice

    vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 27 febbraio 2019,

    considerate le osservazioni presentate:

    per la VIPA Kereskedelmi és Szolgáltató Kft., da Z.P. Horváth, N. Neizer e V. Vajna, ügyvédek;

    per l’Országos Gyógyszerészeti és Élelmezés-egészségügyi Intézet, da B. Pál, ügyvéd;

    per il governo ungherese, da M.Z. Fehér, G. Koós, V. Kiss e M. Tátrai, in qualità di agenti;

    per il governo spagnolo, da L. Aguilera Ruiz, in qualità di agente;

    per il governo polacco, da B. Majczyna e M. Malczewska, in qualità di agenti;

    per la Commissione europea, da L. Armati, A. Szmytkowska, A. Sipos e L. Malferrari, in qualità di agenti,

    sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 12 giugno 2019,

    ha pronunciato la seguente

    Sentenza

    1

    La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 3, lettera k), e dell’articolo 11, paragrafo 1, della direttiva 2011/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2011, concernente l’applicazione dei diritti dei pazienti relativi all’assistenza sanitaria transfrontaliera (GU 2011, L 88, pag. 45).

    2

    Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la VIPA Kereskedelmi és Szolgáltató Kft. (in prosieguo: la «VIPA») e l’Országos Gyógyszerészeti és Élelmezés-egészségügyi Intézet (Istituto nazionale di Farmacia e Nutrizione, Ungheria; in prosieguo l’«Istituto») in ordine a una decisione amministrativa con cui l’Istituto ha sanzionato la VIPA per aver fornito in maniera irregolare medicinali soggetti a prescrizione medica.

    Contesto normativo

    Diritto dell’Unione

    Direttiva 2001/83

    3

    L’articolo 1, punto 17, della direttiva 2001/83/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 novembre 2001, recante un codice comunitario relativo ai medicinali per uso umano (GU 2001, L 311, pag. 67), come modificata dalla direttiva 2011/62/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’8 giugno 2011 (GU 2011, L 174, pag. 74) (in prosieguo: la «direttiva 2001/83»), prevede quanto segue:

    «Ai fini della presente direttiva, valgono le seguenti definizioni:

    (…)

    17)

    distribuzione all’ingrosso di medicinali:

    qualsiasi attività consistente nel procurarsi, detenere, fornire o esportare medicinali, salvo la fornitura di medicinali al pubblico; queste attività sono svolte con fabbricanti o loro depositari, con importatori, altri distributori all’ingrosso o con i farmacisti e le persone autorizzate, nello Stato membro interessato, a fornire medicinali al pubblico».

    4

    Il titolo VI di tale direttiva, rubricato «Classificazione dei medicinali», comprende gli articoli da 70 a 75 della medesima. L’articolo 70 così dispone:

    «1.   Quando autorizzano l’immissione in commercio di un medicinale, le autorità competenti precisano come segue la classificazione del medicinale:

    medicinale soggetto a prescrizione medica,

    medicinale non soggetto a prescrizione.

    (…)

    2.   Le autorità competenti possono fissare sottocategorie per i medicinali che possono essere forniti soltanto su prescrizione medica. In tal caso, si riferiscono alla classificazione seguente:

    a)

    medicinali soggetti a prescrizione medica, a fornitura rinnovabile o non rinnovabile;

    b)

    medicinali sottoposti a prescrizione medica speciale;

    c)

    medicinali, riservati a taluni ambienti specializzati, soggetti a prescrizione medica detta prescrizione medica limitativa».

    5

    L’articolo 71 di detta direttiva precisa i criteri da prendere in considerazione per sottoporre medicinali a prescrizione medica. Ai sensi del paragrafo 3 di tale articolo:

    «Gli Stati membri che prevedano la sottocategoria dei medicinali soggetti a prescrizione medica limitativa, tengono conto di uno degli elementi seguenti:

    (…)

    il medicinale è destinato a pazienti in ambulatorio ma la sua utilizzazione può produrre gravissimi effetti collaterali negativi, il che richiede una prescrizione compilata, se del caso, da uno specialista ed una sorveglianza particolare durante il trattamento».

    6

    Il titolo VII della direttiva 2001/83, che comprende gli articoli da 76 a 85 ter di quest’ultima, riguarda la distribuzione all’ingrosso e il brokeraggio di medicinali. L’articolo 77 così dispone:

    «1.   Gli Stati membri adottano tutte le misure idonee a garantire che la distribuzione all’ingrosso dei medicinali sia subordinata al possesso di un’autorizzazione a esercitare l’attività di grossista di medicinali, in cui si precisi per quali locali situati sul proprio territorio è valida.

    2.   Quando le persone autorizzate a fornire medicinali al pubblico possono esercitare, in forza della legislazione nazionale, anche un’attività di grossista, esse sono soggette all’autorizzazione di cui al paragrafo 1.

    (…)».

    7

    L’articolo 81, secondo comma, di detta direttiva prevede quanto segue:

    «Il titolare di un’autorizzazione all’immissione in commercio di un medicinale e i distributori di tale prodotto immesso attualmente sul mercato in uno Stato membro assicurano, nei limiti delle loro responsabilità, forniture appropriate e continue di tale medicinale alle farmacie e alle persone autorizzate a consegnare medicinali in modo da soddisfare le esigenze dei pazienti nello Stato membro in questione».

    Direttiva 2011/24

    8

    I considerando 10, 11, 16, 36 e 53 della direttiva 2011/24 enunciano quanto segue:

    «(10)

    La presente direttiva mira a istituire norme volte ad agevolare l’accesso a un’assistenza sanitaria transfrontaliera sicura e di qualità nell’Unione e a garantire la mobilità dei pazienti (…)

    (11)

    La presente direttiva si dovrebbe applicare ai singoli pazienti che decidono di ricorrere all’assistenza sanitaria in uno Stato membro diverso dallo Stato membro di affiliazione. (…)

    (…)

    (16)

    (…) La definizione di assistenza sanitaria transfrontaliera dovrebbe comprendere (…) la situazione in cui un paziente acquista tali medicinali e dispositivi medici in un altro Stato membro diverso da quello in cui è stata rilasciata la prescrizione.

    (…)

    (36)

    La presente direttiva dovrebbe prevedere che un paziente abbia il diritto di ricevere ogni medicinale la cui immissione in commercio sia autorizzata nello Stato membro di cura, anche qualora tale medicinale non sia autorizzato nello Stato membro di affiliazione, (…)

    (…)

    (53)

    Qualora dei medicinali autorizzati in uno Stato membro siano stati prescritti a un determinato paziente in tale Stato membro da un membro di una professione del settore sanitario regolamentata ai sensi della direttiva 2005/36/CE [del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 settembre 2005, relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali (GU 2005, L 255, pag. 22),] le relative prescrizioni dovrebbero, in linea di massima, poter essere riconosciute in ambito medico e i medicinali dispensati in un altro Stato membro in cui i medicinali sono autorizzati. (…) L’attuazione del principio del riconoscimento dovrebbe essere agevolata dall’adozione delle misure necessarie a tutelare la sicurezza del paziente e ad evitare un cattivo uso o la confusione dei medicinali. Tali misure dovrebbero comprendere l’adozione di un elenco non esaustivo di elementi da inserire nelle prescrizioni. (…)».

    9

    L’articolo 1, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2011/24 recita:

    «1.   La presente direttiva stabilisce norme volte ad agevolare l’accesso a un’assistenza sanitaria transfrontaliera sicura e di qualità (…)

    2.   La presente direttiva si applica alla prestazione di assistenza sanitaria ai pazienti, (…)».

    10

    L’articolo 3, lettera k), di tale direttiva prevede quanto segue:

    «Ai fini della presente direttiva si intende per:

    (…)

    k)

    “prescrizione”: la prescrizione di un medicinale o di un dispositivo medico rilasciata da un membro di una professione del settore sanitario regolamentata ai sensi [de]ll’articolo 3, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2005/36/CE, che è legalmente abilitato in tal senso nello Stato membro in cui è rilasciata la prescrizione».

    11

    L’articolo 11 della direttiva 2011/24, intitolato «Riconoscimento delle prescrizioni rilasciate in un altro Stato membro», così dispone:

    «1.   Gli Stati membri, per un medicinale la cui immissione in commercio è autorizzata sul loro territorio (…), garantiscono che le prescrizioni rilasciate in un altro Stato membro a un determinato paziente possano essere dispensate sul loro territorio conformemente alla legislazione nazionale in vigore. Essi garantiscono altresì il divieto di qualsiasi limitazione del riconoscimento di singole prescrizioni, salvo laddove tali restrizioni siano:

    a)

    circoscritte a quanto necessario e proporzionate a tutelare la salute umana e non discriminatorie; o

    b)

    fondate su dubbi legittimi e giustificati circa l’autenticità, il contenuto o la comprensibilità di una singola prescrizione.

    Il riconoscimento di tali prescrizioni non pregiudica le norme nazionali che regolano la prescrizione e la fornitura di medicinali, se tali norme sono compatibili con il diritto dell’Unione, compresa la sostituzione con medicinali generici o di altro tipo. (…)

    (…)

    2.   Per agevolare l’attuazione del paragrafo 1, la Commissione adotta:

    a)

    misure che consentano a un professionista sanitario di verificare se la prescrizione sia autentica e se sia stata rilasciata in un altro Stato membro da un membro di una professione sanitaria regolamentata, legalmente abilitato in tal senso, mediante l’elaborazione di un elenco non esaustivo di elementi da inserire nelle prescrizioni (…)

    (…)

    c)

    misure che garantiscano la corretta identificazione dei medicinali o dei dispositivi medici prescritti in uno Stato membro e dispensati in un altro, (…)

    d)

    misure volte a facilitare la comprensibilità da parte del paziente delle informazioni relative alla prescrizione (…);

    (…)

    6.   Il paragrafo 1 non si applica ai medicinali soggetti a prescrizione medica speciale di cui all’articolo 71, paragrafo 2, della direttiva [2001/83]».

    Direttiva di esecuzione 2012/52

    12

    La direttiva di esecuzione 2012/52/UE della Commissione, del 20 dicembre 2012, comportante misure destinate ad agevolare il riconoscimento delle ricette mediche emesse in un altro Stato membro (GU 2012, L 356, pag. 68), precisa, al suo articolo 1, che essa «stabilisce misure volte a dare attuazione uniforme all’articolo 11, paragrafo 1 della direttiva 2011/24/UE relativa al riconoscimento delle ricette mediche rilasciate in un altro Stato membro».

    13

    Ai sensi dell’articolo 2 di tale direttiva di esecuzione:

    «La presente direttiva si applica alle ricette mediche quali definite nell’articolo 3, lettera k) della direttiva 2011/24/UE, rilasciate in base a una richiesta proveniente da un paziente il quale intenda utilizzarle in un altro Stato membro».

    14

    L’articolo 3 della suddetta direttiva di esecuzione prevede che «[g]li Stati membri provved[a]no a che le ricette contengano almeno i dati stabiliti dall’allegato». Tale allegato contiene un elenco non esauriente dei dati da includere nelle ricette mediche, tra i quali figurano, in particolare, per quanto riguarda l’«[i]dentificazione del paziente», i dati seguenti:

    «Cognomi

    Nomi (scritti per esteso, vale a dire non solo le iniziali)

    Data di nascita».

    Diritto ungherese

    15

    L’emberi felhasználásra kerülő gyógyszerek rendeléséről és kiadásáról szóló 44/2004 ESzCsM rendelet (regolamento n. 44/2004 del Ministro della Sanità, degli Affari sociali e della Famiglia, relativo alla prescrizione e alla fornitura di medicinali per uso umano), del 28 aprile 2004 [Magyar Közlöny 2004/58. (IV.28.)], applicabile al procedimento principale (in prosieguo: il «regolamento del Ministro responsabile per la sanità»), al suo articolo 1, paragrafo 1, prevede quanto segue:

    «Ai fini del presente regolamento, per prescrizione medica si intende la comunicazione del medico che prescrive il medicinale diretta al farmacista che lo fornisce o prepara, oppure nei casi previsti dalla normativa speciale, all’ausiliario di farmacia. Sono considerate prescrizioni mediche:

    a)

    la ricetta medica, e

    b)

    il buono d’ordine».

    16

    L’articolo 9/A, paragrafi da 1 a 3, di tale regolamento precisa:

    «1.   I medici possono utilizzare il buono d’ordine per ordinare i medicinali utilizzati per il trattamento dei pazienti nell’esercizio della loro attività di assistenza sanitaria.

    2.   Mediante il buono d’ordine è possibile ordinare medicinali o formule magistrali la cui immissione in commercio sia autorizzata. (…)

    3.   Attraverso un buono d’ordine è possibile ordinare simultaneamente vari tipi di medicinali. Il buono deve recare il nome del medico che ordina i medicinali, il suo numero identificativo e la sua firma autografa, nonché il numero delle persone che verranno sottoposte a trattamento con il medicinale oggetto dell’ordine, la denominazione e l’indirizzo dello stabilimento o impresa che utilizza il medicinale nonché la data dell’ordine. Il buono d’ordine deve riportare il nome del medicinale ordinato, compresa la forma farmaceutica, e qualora il prodotto sia commercializzato in dosaggi diversi, il dosaggio, e il quantitativo totale del medicinale».

    17

    L’articolo 12 di detto regolamento dispone quanto segue:

    «1.   I medicinali soggetti a prescrizione medica possono essere forniti solo mediante una ricetta o un buono d’ordine che soddisfi i requisiti stabiliti dal presente regolamento o dalla normativa speciale.

    2.   Mediante la ricetta può essere fornito un solo tipo di medicinale.

    3.   Mediante il buono d’ordine possono essere forniti vari tipi di medicinali. (…)».

    18

    Ai sensi dell’articolo 20 del medesimo regolamento:

    «1.   (…) può essere fornito un medicinale soggetto a prescrizione medica che sia stato prescritto da una persona non iscritta all’albo dei medici esercenti, ma che sia abilitata a prescrivere medicinali in un altro Stato membro, soltanto qualora sia possibile determinare esattamente l’identità, il quantitativo e la posologia del medicinale prescritto.

    (…)

    3.   I medicinali soggetti a prescrizione medica che siano stati prescritti conformemente al paragrafo 1 possono essere forniti unicamente dietro presentazione di una ricetta in cui figurino:

    a)

    il nome e l’indirizzo della persona che prescrive il medicinale, o i suoi dati identificativi, nonché la data in cui viene prescritto il medicinale e la firma della persona legalmente abilitata a prescriverlo, e

    b)

    il nome e la data di nascita del paziente.

    (…)».

    Procedimento principale e questione pregiudiziale

    19

    La VIPA è una società commerciale di diritto ungherese che gestisce una farmacia. In occasione di un’ispezione, l’Istituto ha accertato che, tra il 1o gennaio 2014 e il 15 settembre 2015, la VIPA, per 25 volte, aveva fornito in maniera irregolare medicinali soggetti a prescrizione medica, onorando buoni d’ordine emessi da soggetti privi di abilitazione a esercitare un’attività in materia di assistenza sanitaria rilasciata dall’amministrazione sanitaria ungherese. Erano controversi 21 buoni d’ordine emessi da una società esercente attività medica con sede nel Regno Unito e 4 buoni d’ordine emessi da un medico esercente la professione in Austria. Di conseguenza, con decisione del 31 agosto 2016, l’Istituto ha inflitto alla VIPA un’ammenda di 45000000 fiorini ungheresi (HUF) (circa EUR 140000), le ha vietato di proseguire l’attività di fornitura illegale di medicinali nella farmacia in questione e ne ha revocato l’autorizzazione alla gestione.

    20

    La VIPA ha proposto ricorso avverso tale decisione dinanzi al Fővárosi Közigazgatási és Munkaügyi Bíróság (Tribunale amministrativo e del lavoro di Budapest, Ungheria), giudice del rinvio. A sostegno del proprio ricorso, la VIPA rileva, in particolare, che la direttiva 2011/24 contempla unicamente la nozione di «prescrizione» e che, secondo il diritto ungherese, sia le ricette mediche che i buoni d’ordine costituiscono prescrizioni. Pertanto, tali due categorie di documenti, provenendo da un soggetto abilitato a rilasciare prescrizioni in uno Stato membro diverso dall’Ungheria – il che non è contestato nel caso di specie –, dovrebbero essere riconosciute in Ungheria. La posizione dell’Istituto equivarrebbe a riconoscere i diplomi di professionisti sanitari di uno Stato membro diverso dall’Ungheria solo quando tali professionisti emettono ricette e non buoni d’ordine, il che non potrebbe essere giustificato. La VIPA fa valere anche la giurisprudenza della Corte relativa al divieto di misure di effetto equivalente a restrizioni quantitative.

    21

    L’Istituto sostiene, invece, che la fornitura di medicinali sulla base di un buono d’ordine è legale solo qualora tale buono provenga da un prestatore che disponga di un’abilitazione a esercitare un’attività di assistenza sanitaria rilasciata dall’amministrazione sanitaria ungherese. L’articolo 11, paragrafo 1, della direttiva 2011/24 riguarderebbe soltanto le prescrizioni rilasciate per un determinato paziente. Inoltre, se, nel caso di una ricetta, l’utilizzazione finale del medicinale è garantita dall’indicazione del nominativo del paziente sulla stessa, ciò non avverrebbe nel caso del buono d’ordine. La questione dell’utilizzazione finale del medicinale sarebbe tuttavia essenziale, dato che sono in questione medicinali soggetti a prescrizione medica e che la direttiva 2011/24 ha come obiettivo la tutela della salute. Di conseguenza, il buono d’ordine, sia esso rilasciato da un prestatore di assistenza sanitaria esercente in Ungheria o da un prestatore esercente in un altro Stato membro, non rientrerebbe nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione.

    22

    Il giudice del rinvio precisa che il diritto ungherese prevede due categorie di prescrizioni, ossia le ricette mediche e i buoni d’ordine, potendo questi ultimi essere utilizzati dai medici per ordinare medicinali che serviranno per le cure prestate ai pazienti nell’esercizio della loro attività, ma che il medesimo diritto non contempla la nozione di «buono d’ordine straniero». Pertanto, le forniture di medicinali in questione sono state qualificate come illegali in quanto effettuate sulla base di buoni d’ordine provenienti da professionisti sanitari non abilitati a esercitare in Ungheria.

    23

    Tale giudice afferma di avere difficoltà nel determinare se la normativa ungherese sia compatibile con la nozione di «prescrizione» quale definita nel diritto dell’Unione e con la norma sul riconoscimento delle prescrizioni mediche sancita all’articolo 11, paragrafo 1, della direttiva 2011/24. Esso ritiene che, nell’ambito della trasposizione della direttiva 2011/24, il legislatore ungherese abbia introdotto disposizioni in materia di prescrizione e di fornitura di medicinali che sono incompatibili con il diritto dell’Unione, in quanto la fornitura di medicinali non può essere effettuata alle stesse condizioni per le due categorie di prescrizioni previste dal diritto ungherese, a seconda che la persona che le ha rilasciate sia o meno abilitata a dispensare assistenza sanitaria in Ungheria.

    24

    Esso reputa pertanto necessario stabilire se le prescrizioni nominative di cui all’articolo 11, paragrafo 1, della direttiva 2011/24 si riferiscano unicamente alle prescrizioni rilasciate a un determinato paziente o se, conformemente all’articolo 71, paragrafo 3, della direttiva 2001/83, rientrino in tale categoria anche le prescrizioni mediante le quali la preparazione è ordinata da uno specialista.

    25

    Il giudice del rinvio precisa che la giurisprudenza ungherese relativa a tale materia non è costante. Così, il Fővárosi Közigazgatási és Munkaügyi Bíróság (Tribunale amministrativo e del lavoro di Budapest) ha dichiarato che l’articolo 20, paragrafo 1, del regolamento del Ministro responsabile per la sanità non prevede alcun divieto nel senso che i medici non abilitati a esercitare in Ungheria possano ordinare medicinali soggetti a prescrizione unicamente sulla base di una ricetta. Per contro, la Kúria (Corte suprema, Ungheria) ha dichiarato che tale disposizione prevede che i medicinali soggetti a prescrizione possono essere ordinati da persone che non figurano nell’albo professionale ungherese, ma abilitate a prescrivere medicinali in un altro Stato membro, solo mediante una ricetta. Il giudice del rinvio aggiunge che, secondo la Kúria (Corte suprema), i buoni d’ordine non rientrerebbero nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione.

    26

    In tali circostanze, il Fővárosi Közigazgatási és Munkaügyi Bíróság (Tribunale amministrativo e del lavoro di Budapest) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

    «Se gli articoli 3, lettera k), e 11, paragrafo 1, della direttiva [2011/24] debbano essere interpretati nel senso che risulta contraria al riconoscimento reciproco delle prescrizioni e alla libera prestazione dei servizi – e sia, pertanto, incompatibile con i suddetti articoli – una normativa nazionale che suddivide le prescrizioni mediche in due categorie e unicamente in relazione ad una di esse permette la fornitura di medicinali a un medico che eserciti la propria attività sanitaria in uno Stato membro diverso da quello di cui trattasi».

    Sulla questione pregiudiziale

    27

    Con la sua questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 3, lettera k), e l’articolo 11, paragrafo 1, della direttiva 2011/24 debbano essere interpretati nel senso che ostano a una normativa di uno Stato membro in forza della quale non è consentito a una farmacia di tale Stato membro fornire medicinali soggetti a prescrizione medica sulla base di un buono d’ordine qualora tale buono sia stato emesso da un professionista sanitario abilitato a prescrivere medicinali e a esercitare la propria attività in un altro Stato membro, mentre una siffatta fornitura è consentita qualora detto buono d’ordine sia stato emesso da un professionista sanitario abilitato a esercitare la propria attività nel suddetto primo Stato membro, fermo restando che, conformemente a tale normativa, siffatti buoni d’ordine non contengono il nominativo del paziente interessato.

    28

    Poiché l’Istituto contesta la competenza della Corte a conoscere di tale questione per il motivo che, con quest’ultima, il giudice del rinvio non intenderebbe ottenere l’interpretazione del diritto dell’Unione da parte della Corte, bensì una pronuncia di quest’ultima sulla conformità del diritto ungherese con il diritto dell’Unione, occorre, in via preliminare, ricordare che, sebbene non spetti alla Corte, nell’ambito del procedimento di cui all’articolo 267 TFUE, pronunciarsi sulla conformità di norme di diritto interno con il diritto dell’Unione, né interpretare disposizioni legislative o regolamentari nazionali (sentenze del 1o marzo 2012, Ascafor e Asidac, C‑484/10, EU:C:2012:113, punto 33 nonché giurisprudenza ivi citata, e del 6 ottobre 2015, Consorci Sanitari del Maresme, C‑203/14, EU:C:2015:664, punto 43), la Corte è tuttavia competente a fornire al giudice del rinvio tutti gli elementi interpretativi attinenti al diritto dell’Unione che possano consentirgli di pronunciarsi su tale conformità in vista della soluzione della lite sottoposta alla sua cognizione (sentenze del 1o marzo 2012, Ascafor e Asidac, C‑484/10, EU:C:2012:113, punto 34 nonché giurisprudenza ivi citata, e del 26 luglio 2017, Europa Way e Persidera, C‑560/15, EU:C:2017:593, punto 35).

    29

    Nel caso di specie, con la sua questione, il giudice del rinvio interroga espressamente la Corte in merito all’interpretazione del diritto dell’Unione e, in particolare, all’interpretazione dell’articolo 3, lettera k), e dell’articolo 11, paragrafo 1, della direttiva 2011/24. Inoltre, dalla motivazione della decisione di rinvio risulta che detto giudice chiede l’interpretazione di disposizioni del diritto dell’Unione al fine di poter dirimere la controversia di cui è investito, relativa alla legittimità della decisione amministrativa con cui la VIPA è stata sanzionata per aver effettuato le vendite di medicinali oggetto della controversia dinanzi ad esso pendente.

    30

    La Corte non è pertanto chiamata a statuire sulla conformità del diritto ungherese con il diritto dell’Unione, ma a fornire al giudice del rinvio elementi di interpretazione di quest’ultimo, per consentirgli di valutare se, in forza del diritto dell’Unione, esso debba o meno accogliere il ricorso con cui la VIPA l’ha adito. Di conseguenza, la Corte è competente a conoscere tale questione.

    31

    Inoltre, l’Istituto afferma che la questione sollevata non soddisfa i requisiti di cui all’articolo 267 TFUE, in quanto essa conterrebbe un’inesattezza materiale quanto alla persona o all’entità alla quale vengono forniti i medicinali di cui trattasi. A tal riguardo, è sufficiente ricordare che, quando risponde a questioni pregiudiziali, la Corte deve prendere in considerazione, nell’ambito della ripartizione delle competenze tra essa e i giudici nazionali, il contesto fattuale e normativo nel quale si inseriscono le questioni pregiudiziali come definito dal giudice del rinvio (sentenze del 21 ottobre 2010, Padawan, C‑467/08, EU:C:2010:620, punto 22 e giurisprudenza ivi citata, nonché del 6 dicembre 2018, Preindl, C‑675/17, EU:C:2018:990, punto 24 e giurisprudenza ivi citata). L’asserita inesattezza materiale, del resto, e come emerge dal punto 27 della presente sentenza, non incide sulla sostanza della questione sollevata dal giudice del rinvio.

    32

    Per quanto riguarda tale questione, occorre ricordare che l’articolo 3, lettera k), della direttiva 2011/24 definisce il concetto di «prescrizione», ai sensi della detta direttiva, come prescrizione di un medicinale o di un dispositivo medico rilasciata da un membro di una professione del settore sanitario regolamentata, che è legalmente abilitato in tal senso nello Stato membro in cui è rilasciata la prescrizione. Per quanto riguarda l’articolo 11, paragrafo 1, primo comma, della direttiva 2011/24, esso prevede che gli Stati membri, per un medicinale la cui immissione in commercio è autorizzata sul loro territorio, garantiscono, da un lato, che le prescrizioni rilasciate per tale medicinale in un altro Stato membro a un determinato paziente possano essere dispensate sul loro territorio conformemente alla legislazione nazionale in vigore, e, dall’altro, che sia vietata qualsiasi limitazione del riconoscimento di singole prescrizioni, salvo laddove talune condizioni precisate da detta disposizione siano rispettate.

    33

    Dato che solo la condizione relativa al carattere nominativo della prescrizione è controversa nel procedimento principale, si deve unicamente determinare se l’obbligo di riconoscimento delle prescrizioni di cui all’articolo 11, paragrafo 1, della direttiva 2011/24 debba essere interpretato nel senso che esso si applica a buoni d’ordine come quelli di cui trattasi nel procedimento principale, che non contengono il nominativo del paziente al quale il medicinale o i medicinali ordinati sono destinati.

    34

    Secondo la giurisprudenza costante della Corte, ai fini dell’interpretazione di una norma del diritto dell’Unione, si deve tener conto non soltanto della lettera della stessa, ma anche del suo contesto e degli scopi perseguiti dalla normativa di cui essa fa parte (sentenze del 17 novembre 1983, Merck, 292/82, EU:C:1983:335, punto 12, nonché del 4 ottobre 2018, ING-DiBa Direktbank Austria, C‑191/17, EU:C:2018:809, punto 19 e giurisprudenza ivi citata).

    35

    Per quanto riguarda il tenore letterale delle disposizioni di cui trattasi, occorre constatare che l’articolo 3, lettera k), della direttiva 2011/24, così come è formulato, non precisa se una prescrizione, ai sensi di tale disposizione, debba o meno contenere il nominativo del paziente al quale è destinato il medicinale o il dispositivo medico prescritto. Per contro, dal testo dell’articolo 11, paragrafo 1, della direttiva 2011/24 risulta che, in sostanza, tale disposizione impone agli Stati membri, per un medicinale la cui immissione in commercio è autorizzata sul loro territorio, di garantire che le prescrizioni rilasciate per tale medicinale in un altro Stato membro a un determinato paziente possano, in linea di principio, essere dispensate sul loro territorio.

    36

    Come rilevato dalla Commissione europea, quest’ultima disposizione, nella sua versione in lingua ungherese, fa riferimento a «prescrizioni nominative» (nevre szóló rendelvény). I dubbi espressi dal giudice del rinvio quanto alla portata della suddetta disposizione, esposti al punto 24 della presente sentenza, sembrano dunque derivare dalla formulazione di quest’ultima in lingua ungherese e dalla sua vicinanza al testo dell’articolo 71, paragrafo 3, terzo trattino, della direttiva 2001/83, che fa riferimento, nella stessa versione linguistica, al fatto che uno specialista ordini la preparazione (hogy a készítményt szakorvos rendelje meg).

    37

    Tuttavia, la Corte ha ripetutamente dichiarato che la formulazione utilizzata in una delle versioni linguistiche di una disposizione del diritto dell’Unione non può essere l’unico elemento a sostegno dell’interpretazione di questa disposizione né si può attribuire ad essa, a tal riguardo, un carattere prioritario rispetto alle altre versioni linguistiche. Le norme dell’Unione devono infatti essere interpretate ed applicate in modo uniforme, alla luce delle versioni vigenti in tutte le lingue dell’Unione. In caso di disparità tra le differenti versioni linguistiche di un testo del diritto dell’Unione, la disposizione di cui trattasi deve essere interpretata in funzione del suo contesto e degli scopi perseguiti dalla normativa di cui essa fa parte (sentenza del 5 febbraio 2015, M. e a., C‑627/13 e C‑2/14, EU:C:2015:59, punti 4849 e giurisprudenza ivi citata).

    38

    Nel caso di specie, eccezion fatta per le versioni in lingua ungherese e portoghese dell’articolo 11, paragrafo 1, della direttiva 2011/24, tutte le altre versioni linguistiche di tale disposizione fanno espresso riferimento a una prescrizione riguardante un paziente identificato con il suo nominativo, designato, particolare, preciso, determinato, specifico o concreto.

    39

    Tuttavia, sebbene la formulazione di tale disposizione in lingua ungherese possa sembrare meno precisa rispetto a quella utilizzata nella quasi totalità delle altre versioni linguistiche della suddetta disposizione, dal suo contesto nonché dagli scopi perseguiti dalla direttiva 2011/24 risulta che una tale formulazione non è in contrasto con le altre versioni linguistiche, dalle quali discende che l’obbligo di riconoscimento delle prescrizioni di cui a tale articolo 11, paragrafo 1, non si applica a buoni d’ordine come quelli di cui trattasi nel procedimento principale, che non contengono il nominativo del paziente al quale il medicinale o i medicinali ordinati sono destinati.

    40

    Infatti, conformemente all’articolo 11, paragrafo 2, di detta direttiva, il paragrafo 1 di tale articolo 11 è stato oggetto di misure volte a facilitarne l’applicazione uniforme, che figurano nella direttiva di esecuzione 2012/52. Tale direttiva precisa, al suo articolo 2, che essa si applica alle prescrizioni, definite nell’articolo 3, lettera k), della direttiva 2011/24, rilasciate in base a una richiesta proveniente da un paziente che intenda utilizzarle in un altro Stato membro. L’articolo 3 della stessa specifica che gli Stati membri provvedono a che le prescrizioni contengano almeno i dati stabiliti dall’allegato della detta direttiva di esecuzione, tra i quali figurano i dati identificativi del paziente, vale a dire i suoi cognomi, i suoi nomi scritti per esteso, nonché la sua data di nascita.

    41

    La direttiva di esecuzione 2012/52 stabilisce, pertanto, che l’obbligo di riconoscimento delle prescrizioni di cui all’articolo 11, paragrafo 1, della direttiva 2011/24 non si applica a buoni d’ordine come quelli di cui trattasi nel procedimento principale, che non contengono il nominativo del paziente al quale il o i medicinali ordinati sono destinati.

    42

    Detta interpretazione, che risulta dal contesto in cui si colloca l’articolo 11, paragrafo 1, è avvalorata dagli scopi perseguiti dalla direttiva 2011/24. Secondo l’articolo 1, paragrafi 1 e 2, di tale direttiva, letto alla luce dei suoi considerando 10 e 11, essa ha lo scopo di prevedere norme volte ad agevolare l’accesso dei singoli pazienti a un’assistenza sanitaria transfrontaliera sicura e di qualità. In tal senso, il considerando 16 della suddetta direttiva riguarda, segnatamente, la situazione in cui un paziente acquista medicinali in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata rilasciata la prescrizione. Per quanto riguarda il considerando 36 della medesima direttiva, esso fa riferimento al diritto di un paziente di ricevere ogni medicinale la cui immissione in commercio sia autorizzata nello Stato membro di cura.

    43

    Allo stesso modo, il considerando 53 della direttiva 2011/24, che riguarda specificamente il riconoscimento, in uno Stato membro, delle prescrizioni mediche rilasciate in un altro Stato membro, fa riferimento, in quasi tutte le sue versioni linguistiche, al fatto che, qualora medicinali autorizzati in uno Stato membro siano stati prescritti a un determinato paziente in tale Stato membro da un membro di una professione del settore sanitario regolamentata, le relative prescrizioni dovrebbero, in linea di massima, poter essere riconosciute in ambito medico e i medicinali dispensati in un altro Stato membro in cui i medicinali sono autorizzati.

    44

    Tale considerando 53 precisa altresì che l’attuazione di detto principio del riconoscimento dovrebbe essere agevolata dall’adozione delle misure necessarie a tutelare la sicurezza del paziente, tra le quali dovrebbe figurare l’adozione di un elenco non esaustivo di dati da inserire nelle prescrizioni. È proprio al fine di tutelare la sicurezza dei pazienti che è stata adottata la direttiva di esecuzione 2012/52, dalla quale, come è stato rilevato ai punti 40 e 41 della presente sentenza, emerge in modo univoco che possono beneficiare del riconoscimento delle prescrizioni di cui all’articolo 11, paragrafo 1, della direttiva 2011/24 solo se prescrizioni sulle quali figurino, in particolare, i cognomi e i nomi del paziente interessato.

    45

    Orbene, da un lato, buoni d’ordine come quelli di cui trattasi nel procedimento principale, poiché non contengono i dati identificativi del paziente al quale il medicinale o i medicinali ordinati sono destinati, non consentono di garantire la sicurezza e la salute del paziente al quale saranno in definitiva somministrati detto medicinale o detti medicinali, essendo tale paziente, al momento dell’emissione di tali buoni d’ordine, ancora ignoto. Dall’altro lato, come risulta dalla decisione di rinvio, buoni d’ordine come quelli di cui trattasi nel procedimento principale non hanno lo scopo di consentire ad un paziente di procurarsi medicinali, bensì quello di permettere ad un professionista sanitario di rifornirsi, o di rifornire un istituto che dispensa assistenza sanitaria, di medicinali, in vista del loro successivo utilizzo nell’ambito della loro attività di assistenza sanitaria.

    46

    Alla luce di tali elementi, sarebbe in contrasto con gli obiettivi perseguiti dalla direttiva 2011/24, ricordati ai punti da 42 a 44 della presente sentenza, ritenere che i buoni d’ordine come quelli di cui trattasi nel procedimento principale rientrino nell’obbligo di riconoscimento delle prescrizioni di cui all’articolo 11, paragrafo 1, della direttiva 2011/24.

    47

    Dal momento che tale disposizione non è, di conseguenza, applicabile a detti buoni d’ordine, occorre interpretare l’articolo 3, lettera k), e l’articolo 11, paragrafo 1, della direttiva 2011/24 nel senso che non ostano a una normativa di uno Stato membro in forza della quale non è consentito a una farmacia di tale Stato membro fornire medicinali soggetti a prescrizione medica sulla base di un buono d’ordine qualora tale buono sia stato emesso da un professionista sanitario abilitato a prescrivere medicinali e a esercitare la propria attività in un altro Stato membro, mentre una siffatta fornitura è consentita qualora tale buono d’ordine sia stato emesso da un professionista sanitario abilitato a esercitare la propria attività nel suddetto primo Stato membro, fermo restando che, conformemente a tale normativa, siffatti buoni d’ordine non contengono il nominativo del paziente interessato.

    48

    Tuttavia, da tale interpretazione non risulta che, in circostanze come quelle di cui al procedimento principale, una siffatta normativa nazionale esuli, ipso facto, dal diritto dell’Unione, come sostenuto dall’Istituto dinanzi al giudice del rinvio, oppure sia sic et simpliciter conforme a tale diritto, come sostenuto, in sostanza, dal governo ungherese nelle sue osservazioni scritte.

    49

    Infatti, come emerge dalla decisione di rinvio, tali circostanze sono caratterizzate da una situazione che presenta un collegamento con gli scambi tra gli Stati membri, dato che la VIPA è stata sanzionata dall’autorità competente dello Stato membro nel cui territorio essa è stabilita per aver fornito medicinali sulla base di buoni d’ordine emessi da professionisti sanitari abilitati a prescrivere medicinali e a esercitare la loro attività in Stati membri diversi da quello in cui tale farmacia è stabilita. Orbene, quando la normativa nazionale oggetto di una controversia si applica a fattispecie che presentano un siffatto collegamento, la questione insita in tale controversia può ricadere nell’ambito delle disposizioni del Trattato FUE relative alle libertà fondamentali (v., in tal senso, sentenze del 15 dicembre 1982, Oosthoek’s Uitgeversmaatschappij, 286/81, EU:C:1982:438, punto 9, e del 23 febbraio 2006, Keller Holding, C‑471/04, EU:C:2006:143, punto 24).

    50

    In proposito, occorre ricordare che, nell’ambito della procedura di cooperazione tra i giudici nazionali e la Corte, istituita dall’articolo 267 TFUE, spetta a quest’ultima fornire al giudice nazionale una risposta utile che gli consenta di dirimere la controversia sottopostagli. Di conseguenza, benché formalmente il giudice del rinvio abbia limitato la sua questione all’interpretazione di una disposizione specifica del diritto dell’Unione, tale circostanza non osta a che la Corte gli fornisca tutti gli elementi interpretativi del diritto dell’Unione che possano essere utili per definire la controversia di cui è investito, a prescindere dal fatto che detto giudice vi abbia fatto riferimento o no nel formulare le proprie questioni. A tal proposito, spetta alla Corte ricavare dall’insieme degli elementi forniti dal giudice nazionale, e segnatamente dalla motivazione della decisione di rinvio, gli elementi del diritto dell’Unione che richiedono un’interpretazione in considerazione dell’oggetto della controversia (v., in tal senso, sentenze del 13 giugno 2013, Hadj Ahmed, C‑45/12, EU:C:2013:390, punto 42 e giurisprudenza ivi citata, nonché del 21 giugno 2016, New Valmar, C‑15/15, EU:C:2016:464, punti 2829).

    51

    Nel caso di specie, come risulta dal punto 49 della presente sentenza, gli elementi forniti nella decisione fanno giustamente emergere che, tenuto conto dell’oggetto del procedimento principale, la Corte deve, al fine di fornire una risposta utile al giudice del rinvio, interpretare altre disposizioni del diritto dell’Unione.

    52

    Al riguardo, occorre ricordare che ogni misura nazionale relativa a un settore che sia stato oggetto di armonizzazione esaustiva al livello dell’Unione, deve essere valutata alla luce delle disposizioni di tale misura d’armonizzazione e non di quelle del diritto primario (sentenze del 1o luglio 2014, Ålands Vindkraft, C‑573/12, EU:C:2014:2037, punto 57 e giurisprudenza ivi citata, nonché del 12 novembre 2015, Visnapuu, C‑198/14, EU:C:2015:751, punto 40 e giurisprudenza ivi citata).

    53

    Nella specie, sebbene la direttiva 2011/24 abbia in particolare armonizzato le condizioni a cui devono essere riconosciute in uno Stato membro le prescrizioni mediche rilasciate in un altro Stato membro, essa non ha proceduto a un’armonizzazione esaustiva delle condizioni di fornitura dei medicinali da parte delle farmacie.

    54

    Inoltre, sebbene gli articoli da 70 a 75 della direttiva 2001/83 vertano sulla classificazione dei medicinali e precisino, in particolare, le diverse categorie di prescrizioni mediche che gli Stati membri possono prevedere, occorre constatare, come ha altresì rilevato l’avvocato generale al paragrafo 61 delle sue conclusioni, che la nozione di «buono d’ordine» di medicinali emesso da un professionista sanitario ai fini della propria attività o dell’attività di un istituto che dispensa assistenza sanitaria come quelli di cui trattasi nel procedimento principale, non costituisce oggetto di disposizioni specifiche nella direttiva 2001/83, anche quando, con tale mezzo, venga ordinata la fornitura di medicinali.

    55

    Inoltre, anche se la direttiva 2001/83, e in particolare i suoi articoli da 79 a 82, ha proceduto all’armonizzazione dei requisiti minimi che devono essere soddisfatti dai richiedenti e dai titolari di autorizzazione di distribuzione all’ingrosso di medicinali (v., in tal senso, sentenza del 28 giugno 2012, Caronna, C‑7/11, EU:C:2012:396, punto 44), non risulta dal fascicolo sottoposto alla Corte né dai dibattiti svoltisi dinanzi ad essa che la VIPA sia stata sanzionata in virtù della normativa ungherese relativa alla distribuzione all’ingrosso di medicinali, ai sensi dell’articolo 1, punto 17, della direttiva 2001/83, circostanza che spetta tuttavia al giudice del rinvio verificare. A tal proposito, occorre rammentare che una società che gestisce una farmacia, quale la VIPA, può, se del caso, esercitare una siffatta attività di distribuzione all’ingrosso di medicinali solo se soddisfa tutte le condizioni stabilite a tal riguardo dalla direttiva 2001/83 e, in particolare, solo se essa dispone di un’autorizzazione a esercitare l’attività di grossista di medicinali, ai sensi dell’articolo 77 di tale direttiva (v. altresì, in tal senso, sentenza del 28 giugno 2012, Caronna, C‑7/11, EU:C:2012:396, punti 28, 29, 37, 41 e da 44 a 50).

    56

    In tali circostanze, la Corte deve basare la sua analisi sulla considerazione secondo cui sono controverse nel procedimento principale non attività di distribuzione all’ingrosso di medicinali, ma le condizioni applicabili alla fornitura, da parte delle farmacie, di medicinali soggetti a prescrizione, quando questi sono ordinati da professionisti sanitari per il loro uso nell’ambito della loro attività in materia di assistenza sanitaria, e constatare che la normativa nazionale relativa a tali condizioni di fornitura di medicinali non rientra in un settore armonizzato del diritto dell’Unione. Di conseguenza, la determinazione delle norme in materia resta di competenza degli Stati membri, a condizione che siano osservate le disposizioni del Trattato FUE e, in particolare, quelle relative alle libertà fondamentali (v., per analogia, sentenze dell’11 settembre 2008, Commissione/Germania, C‑141/07, EU:C:2008:492, punto 25 e giurisprudenza ivi citata, nonché del 28 giugno 2012, Caronna,C‑7/11, EU:C:2012:396, punto 43).

    57

    Una normativa nazionale come quella di cui trattasi nel procedimento principale può collegarsi sia alla libera prestazione di servizi, menzionata dal giudice del rinvio nella sua questione, in quanto essa si applica a farmacie che esercitano, in particolare, un’attività di vendita al dettaglio di medicinali, che alla libera circolazione delle merci, dal momento che essa disciplina le condizioni alle quali taluni tipi di medicinali possono essere forniti, da farmacie, a professionisti sanitari abilitati a prescrivere medicinali e a esercitare la loro attività in uno Stato membro diverso da quello in cui tali farmacie sono stabilite.

    58

    Quando un provvedimento nazionale è collegato sia alla libera circolazione delle merci che alla libera prestazione dei servizi, la Corte procede al suo esame, in linea di principio, solamente con riguardo ad una delle due dette libertà fondamentali qualora risulti che una delle due sia del tutto secondaria rispetto all’altra e possa essere a questa ricollegata (sentenze del 22 gennaio 2002, Canal Satélite Digital, C‑390/99, EU:C:2002:34, punto 31 e giurisprudenza ivi citata, nonché del 4 ottobre 2011, Football Association Premier League e a., C‑403/08 e C‑429/08, EU:C:2011:631, punto 78).

    59

    La normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale non riguarda tuttavia l’esercizio dell’attività di farmacista in quanto tale e non ha neppure lo scopo di disciplinare le condizioni in cui è riconosciuta, in Ungheria, la qualità di esercente una professione sanitaria regolamentata legalmente abilitato a rilasciare prescrizioni in un altro Stato membro, come ha sostenuto la VIPA dinanzi al giudice del rinvio. Non è neppure in discussione nel procedimento principale l’esercizio transfrontaliero di un’attività di assistenza sanitaria da parte di professionisti abilitati a esercitare in altri Stati membri, come suggerito, in sostanza, dal governo spagnolo, non essendo tali professionisti chiamati in causa dinanzi al giudice del rinvio.

    60

    Per contro, tale normativa nazionale, che definisce le condizioni in cui le farmacie possono fornire medicinali soggetti a prescrizione, impedisce, in determinate circostanze, la vendita da parte delle farmacie di taluni medicinali, che è pacifico che rientrino nella nozione di «merci», ai sensi delle disposizioni del Trattato FUE relative alla libera circolazione delle merci (v., in tal senso, sentenza dell’8 giugno 2017, Medisanus, C‑296/15, EU:C:2017:431, punto 53 e giurisprudenza ivi citata). L’elemento transfrontaliero che rende le disposizioni del Trattato FUE applicabili nel procedimento principale risiede d’altronde nella vendita, a partire da uno Stato membro e a destinazione di altri Stati membri, di medicinali soggetti a prescrizione e, pertanto, in uno spostamento transfrontaliero di merci. Di conseguenza, l’aspetto della libera circolazione delle merci prevale, nel caso di specie, su quello della libera prestazione dei servizi e, dunque, occorre fare riferimento alle disposizioni del Trattato FUE relative alla prima di tali libertà.

    61

    Inoltre, dal momento che il procedimento principale riguarda non l’importazione, bensì l’esportazione di medicinali soggetti a prescrizione dall’Ungheria verso altri Stati membri, solamente l’articolo 35 TFUE, che vieta le misure di effetto equivalente alle restrizioni quantitative all’esportazione fra gli Stati membri, può trovare applicazione.

    62

    In conformità alla giurisprudenza della Corte, rientra nel divieto sancito dall’articolo 35 TFUE una misura nazionale applicabile a tutti gli operatori attivi sul territorio nazionale che, di fatto, incida maggiormente sull’uscita dei prodotti dal mercato dello Stato membro di esportazione che sulla commercializzazione degli stessi sul mercato nazionale di detto Stato membro (sentenze del 21 giugno 2016, New Valmar, C‑15/15, EU:C:2016:464, punto 36 e giurisprudenza ivi citata, nonché del 28 febbraio 2018, ZPT, C‑518/16, EU:C:2018:126, punto 43).

    63

    Inoltre, qualsiasi limitazione degli scambi commerciali, anche se di minore importanza, è vietata dall’articolo 35 TFUE, purché non sia né troppo aleatoria né troppo indiretta, nel qual caso essa sfugge a tale qualificazione (v., in tal senso, sentenze del 21 giugno 2016, New Valmar, C‑15/15, EU:C:2016:464, punti 3745 nonché giurisprudenza ivi citata, e del 28 febbraio 2018, ZPT, C‑518/16, EU:C:2018:126, punto 44).

    64

    Nel caso di specie, la normativa nazionale in questione prevede che la fornitura da parte di una farmacia, sulla base di buoni d’ordine, di medicinali soggetti a prescrizione medica, sia possibile qualora tale buono sia stato emesso da un professionista sanitario che è abilitato a esercitare in Ungheria. Per contro, qualora un buono d’ordine per medicinali soggetti a prescrizione sia stato emesso da un professionista sanitario abilitato a prescrivere medicinali e a esercitare la propria attività in un altro Stato membro, ma non in Ungheria, tale normativa ha per effetto che una siffatta fornitura non è legalmente consentita. Risulta, peraltro, dalla decisione di rinvio che detti buoni d’ordine hanno lo scopo di consentire a professionisti sanitari di ordinare medicinali al fine di utilizzarli per il trattamento dei pazienti nell’ambito della loro attività di assistenza sanitaria.

    65

    Di conseguenza, qualora medicinali soggetti a prescrizione siano ordinati mediante tali buoni da professionisti sanitari non abilitati a esercitare in Ungheria, ma abilitati a prescrivere medicinali e a esercitare in altri Stati membri, detti medicinali sono con tutta probabilità destinati a essere utilizzati ai fini del trattamento di pazienti sul territorio di un altro Stato membro e, di conseguenza, sono con ogni probabilità destinati a lasciare il territorio di tale primo Stato membro.

    66

    Una siffatta normativa nazionale, poiché ha, in tal modo, l’effetto di impedire l’esportazione da parte di una farmacia di uno Stato membro di medicinali soggetti a prescrizione sulla base di buoni d’ordine, mentre la vendita da parte di una farmacia degli stessi medicinali mediante i medesimi buoni d’ordine è consentita sul territorio nazionale, incide dunque maggiormente sull’uscita di tali medicinali dal mercato dello Stato membro di esportazione, vale a dire l’Ungheria, che sulla commercializzazione di questi stessi medicinali sul mercato nazionale di detto Stato membro. Essa rientra quindi nel divieto sancito dall’articolo 35 TFUE. Inoltre, gli effetti restrittivi di tale normativa non possono essere ritenuti troppo aleatori o troppo indiretti perché questa possa essere considerata, conformemente alla giurisprudenza della Corte richiamata al punto 63 della presente sentenza, come non costitutiva di una restrizione ai sensi di tale articolo.

    67

    Una misura nazionale che limiti la libera circolazione delle merci può essere tuttavia giustificata, segnatamente dall’articolo 36 TFUE, in particolare per ragioni di tutela della salute e della vita delle persone (v., in tal senso, sentenze del 2 dicembre 2010, Ker-Optika, C‑108/09, EU:C:2010:725, punto 57, e del 12 novembre 2015, Visnapuu, C‑198/14, EU:C:2015:751, punto 110).

    68

    Poiché il governo ungherese fa valere precisamente la necessità di garantire la tutela della salute della popolazione ungherese, e in particolare la necessità di garantire una fornitura di medicinali stabile, sicura e di qualità a tale popolazione, occorre ricordare che la Corte ha già riconosciuto che la necessità di garantire l’approvvigionamento stabile del paese a fini medici essenziali, in particolare la fornitura di medicinali sicura e di qualità alla popolazione, può giustificare, alla luce dell’articolo 36 TFUE, una restrizione agli scambi tra gli Stati membri, laddove tale scopo sia riconducibile alla tutela della salute e della vita delle persone (v., in tal senso, sentenze del 28 marzo 1995, Evans Medical e Macfarlan Smith, C‑324/93, EU:C:1995:84, punto 37, e del 19 ottobre 2016, Deutsche Parkinson Vereinigung, C‑148/15, EU:C:2016:776, punto 31).

    69

    Una normativa atta a restringere una libertà fondamentale garantita dal Trattato FUE, come la libera circolazione delle merci, può tuttavia essere validamente giustificata solo qualora sia idonea a garantire la realizzazione dell’obiettivo perseguito e non ecceda quanto necessario per il suo raggiungimento (sentenze dell’11 settembre 2008, Commissione/Germania, C‑141/07, EU:C:2008:492, punto 48 e giurisprudenza ivi citata, nonché del 19 ottobre 2016, Deutsche Parkinson Vereinigung, C‑148/15, EU:C:2016:776, punto 34).

    70

    Spetta alle autorità nazionali, in relazione a ciascun caso specifico, fornire le prove necessarie a tal fine. Quando analizza una normativa nazionale con riferimento alla giustificazione relativa alla tutela della salute e della vita delle persone ai sensi dell’articolo 36 TFUE, il giudice nazionale deve esaminare in modo obiettivo se gli elementi di prova forniti dallo Stato membro interessato consentano di ritenere ragionevolmente che gli strumenti prescelti siano idonei a realizzare gli obiettivi perseguiti, nonché se sia possibile conseguire questi ultimi attraverso misure meno restrittive della libera circolazione delle merci (v., in tal senso, sentenze dell’11 settembre 2008, Commissione/Germania, C‑141/07, EU:C:2008:492, punto 50, nonché del 19 ottobre 2016, Deutsche Parkinson Vereinigung, C‑148/15, EU:C:2016:776, punti 3536 nonché giurisprudenza ivi citata).

    71

    Ciò precisato, occorre ricordare che, in sede di valutazione del rispetto del principio di proporzionalità nell’ambito della sanità pubblica, si deve tener conto del fatto che la salute e la vita delle persone occupano una posizione preminente tra i beni e gli interessi protetti dal Trattato TFUE e che spetta agli Stati membri stabilire il livello al quale essi intendono garantire la protezione della sanità pubblica ed il modo in cui tale livello deve essere raggiunto. Poiché detto livello può variare da uno Stato membro all’altro, si deve riconoscere agli Stati membri un margine di discrezionalità (sentenze del 19 maggio 2009, Apothekerkammer des Saarlandes e a., C‑171/07 e C‑172/07, EU:C:2009:316, punto 19 nonché giurisprudenza ivi citata, e dell’8 giugno 2017, Medisanus, C‑296/15, EU:C:2017:431, punto 82 nonché giurisprudenza ivi citata). Di conseguenza, il fatto che uno Stato membro imponga norme meno severe di quelle imposte da un altro Stato membro non significa che queste ultime siano sproporzionate (v., in tal senso, sentenze dell’11 settembre 2008, Commissione/Germania, C‑141/07, EU:C:2008:492, punto 51 e giurisprudenza ivi citata, nonché del 9 dicembre 2010, Humanplasma, C‑421/09, EU:C:2010:760, punto 40).

    72

    Per quanto riguarda l’idoneità di una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, a conseguire l’obiettivo invocato, occorre ricordare che, qualora sussistano incertezze sull’esistenza o la portata di rischi per la salute delle persone, lo Stato membro deve poter adottare misure di protezione senza dover attendere che l’esistenza di tali rischi sia pienamente dimostrata. Inoltre, lo Stato membro può adottare le misure che riducono, per quanto possibile, un rischio per la sanità pubblica, ivi compreso, in particolare, un rischio per la fornitura di medicinali sicura e di qualità alla popolazione (sentenza del 19 maggio 2009, Apothekerkammer des Saarlandes e a., C‑171/07 e C‑172/07, EU:C:2009:316, punto 30 nonché giurisprudenza ivi citata).

    73

    In tale contesto, occorre sottolineare il carattere del tutto particolare dei medicinali, e segnatamente di quelli soggetti a prescrizione, che sono i soli in questione nel procedimento principale, che si distinguono sostanzialmente dalle altre merci per via dei loro effetti terapeutici (v., in tal senso, sentenze dell’11 dicembre 2003, Deutscher Apothekerverband, C‑322/01, EU:C:2003:664, punto 117, e del 19 maggio 2009, Apothekerkammer des Saarlandes e a., C‑171/07 e C‑172/07, EU:C:2009:316, punto 31 e giurisprudenza ivi citata).

    74

    Nel caso di specie, si deve constatare che la normativa di cui trattasi nel procedimento principale, non consentendo la fornitura di medicinali soggetti a prescrizione sulla base di buoni d’ordine allorché questi ultimi sono stati emessi da un professionista sanitario non abilitato a esercitare nel territorio dello Stato membro in cui è stabilita la farmacia che fornisce il medicinale, limita di fatto l’uscita di detti medicinali dal territorio di tale primo Stato membro. Una siffatta normativa è pertanto idonea a garantire che di tali medicinali benefici la popolazione di detto primo Stato membro, contribuendo così a garantire una fornitura stabile, sicura e di qualità di medicinali soggetti a prescrizione alla popolazione di tale Stato membro.

    75

    A tale riguardo, è inoltre opportuno sottolineare che, ai sensi dell’articolo 81, secondo comma, della direttiva 2001/83, il titolare di un’autorizzazione all’immissione in commercio di un medicinale e i distributori di tale prodotto immesso attualmente sul mercato in uno Stato membro assicurano, nei limiti delle loro responsabilità, forniture appropriate e continue di tale medicinale alle farmacie e alle persone autorizzate a consegnare medicinali in modo da soddisfare le esigenze dei pazienti nello Stato membro in questione.

    76

    Orbene, se mediante buoni d’ordine come quelli di cui trattasi nel procedimento principale fosse possibile esportare medicinali soggetti a prescrizione in una quantità che può essere rilevante ai fini del trattamento dei pazienti nel territorio di un altro Stato membro, potrebbe risultarne, in virtù dell’obbligo previsto all’articolo 81, secondo comma, una fornitura insufficiente alle farmacie e, di conseguenza, una copertura insufficiente del fabbisogno dei pazienti dello Stato membro interessato di medicinali soggetti a prescrizione.

    77

    Alla luce di tali elementi, una siffatta normativa appare idonea a conseguire l’obiettivo, invocato dal governo ungherese, consistente nel garantire una fornitura di medicinali stabile, sicura e di qualità alla popolazione di detto Stato membro.

    78

    Per quanto riguarda il carattere proporzionato della summenzionata normativa, occorre rilevare che una normativa del genere non sembra avere l’effetto di impedire qualsiasi fornitura di medicinali, da parte di una farmacia, sulla base di una prescrizione rilasciata da un professionista sanitario abilitato a tal fine in un altro Stato membro, né di impedire qualsiasi forma di esportazione di medicinali dall’Ungheria verso altri Stati membri. Da un lato, non è stato sostenuto che le ricette nominative che soddisfano le condizioni di cui all’articolo 11, paragrafo 1, della direttiva 2011/24 rilasciate in uno Stato membro diverso dall’Ungheria non sono riconosciute in Ungheria. Dall’altro lato, il governo ungherese ha affermato in udienza che la fornitura a professionisti sanitari di altri Stati membri di medicinali soggetti a prescrizione in Ungheria, sebbene non sia effettivamente consentita sulla base di buoni d’ordine come quelli di cui trattasi nel procedimento principale, è nondimeno possibile per altre vie, quali la distribuzione all’ingrosso di medicinali, prevista dalla direttiva 2001/83, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.

    79

    Contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione in udienza, non risulta che misure meno restrittive, quali una limitazione della quantità di medicinali che possono essere ordinati mediante tali buoni d’ordine, o della possibilità, per le farmacie, di onorare tali buoni d’ordine in funzione delle scorte del medicinale di cui trattasi da esse possedute, siano idonee a garantire con la stessa efficacia il conseguimento dell’obiettivo perseguito dalla normativa nazionale in questione. A tal riguardo, occorre constatare che siffatte limitazioni non escluderebbero necessariamente gli effetti sulle scorte di medicinali soggetti a prescrizione, disponibili nelle farmacie, risultanti dall’uso cumulativo di tali buoni d’ordine, né consentirebbero di porre rimedio al fatto che, come rilevato al punto 75 della presente sentenza, le farmacie degli Stati membri sono, in linea di principio, rifornite in funzione delle esigenze della popolazione che si trova nel territorio dello Stato membro interessato.

    80

    Inoltre, e soprattutto, come in sostanza rilevato anche dall’avvocato generale ai paragrafi 110 e 111 delle sue conclusioni, si deve constatare che, al momento della loro esportazione mediante tali buoni d’ordine, i medicinali soggetti a prescrizione, la cui fornitura al pubblico richiede un controllo rigoroso (v., in tal senso, sentenza dell’11 dicembre 2003, Deutscher Apothekerverband, C‑322/01, EU:C:2003:664, punto 117), escono dal sistema di distribuzione di detti medicinali istituito da tale Stato membro. Orbene, nessuna delle misure previste dalla Commissione consente di assicurare che l’Ungheria possa garantire, altrettanto efficacemente quanto mediante la normativa in questione, ma in modo meno restrittivo, un controllo delle condizioni alle quali sono distribuiti siffatti medicinali nel territorio di sua competenza.

    81

    Alla luce di tali elementi, nonché del margine di discrezionalità riconosciuto agli Stati membri per quanto riguarda la determinazione del livello al quale essi intendono garantire la tutela della sanità pubblica nonché del modo in cui questo livello deve essere raggiunto, ricordato al punto 71 della presente sentenza, una siffatta normativa risulta dunque parimenti proporzionata all’obiettivo perseguito.

    82

    Da tali considerazioni discende che, fatte salve le verifiche che devono essere effettuate dal giudice del rinvio, gli articoli 35 e 36 TFUE devono essere interpretati nel senso che non ostano a una normativa nazionale come quella di cui trattasi nel procedimento principale, qualora questa sia giustificata da un obiettivo di tutela della salute e della vita delle persone, sia idonea a garantire la realizzazione di tale obiettivo e non vada oltre quanto necessario per conseguirlo.

    83

    Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre rispondere alla questione sollevata dichiarando che:

    l’articolo 3, lettera k), e l’articolo 11, paragrafo 1, della direttiva 2011/24 devono essere interpretati nel senso che non ostano a una normativa di uno Stato membro in forza della quale non è consentito a una farmacia di tale Stato membro fornire medicinali soggetti a prescrizione medica sulla base di un buono d’ordine qualora tale buono sia stato emesso da un professionista sanitario abilitato a prescrivere medicinali e a esercitare la propria attività in un altro Stato membro, mentre una siffatta fornitura è consentita qualora tale buono d’ordine sia stato emesso da un professionista sanitario abilitato a esercitare la propria attività nel suddetto primo Stato membro, fermo restando che, conformemente a tale normativa, siffatti buoni d’ordine non contengono il nominativo del paziente interessato;

    gli articoli 35 e 36 TFUE devono essere interpretati nel senso che non ostano a una siffatta normativa di uno Stato membro, qualora questa sia giustificata da un obiettivo di tutela della salute e della vita delle persone, sia idonea a garantire la realizzazione di tale obiettivo e non vada oltre quanto necessario per conseguirlo, circostanze che spetta al giudice del rinvio verificare.

    Sulle spese

    84

    Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

     

    Per questi motivi, la Corte (Quinta Sezione) dichiara:

     

    L’articolo 3, lettera k), e l’articolo 11, paragrafo 1, della direttiva 2011/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2011, concernente l’applicazione dei diritti dei pazienti relativi all’assistenza sanitaria transfrontaliera, devono essere interpretati nel senso che non ostano a una normativa di uno Stato membro in forza della quale non è consentito a una farmacia di tale Stato membro fornire medicinali soggetti a prescrizione medica sulla base di un buono d’ordine qualora tale buono sia stato emesso da un professionista sanitario abilitato a prescrivere medicinali e a esercitare la sua attività in un altro Stato membro, mentre una siffatta fornitura è consentita qualora tale buono d’ordine sia stato emesso da un professionista sanitario abilitato a esercitare la propria attività nel suddetto primo Stato membro, fermo restando che, conformemente a tale normativa, siffatti buoni d’ordine non contengono il nominativo del paziente interessato.

     

    Gli articoli 35 e 36 TFUE devono essere interpretati nel senso che non ostano a una siffatta normativa di uno Stato membro, qualora questa sia giustificata da un obiettivo di tutela della salute e della vita delle persone, sia idonea a garantire la realizzazione di tale obiettivo e non vada oltre quanto necessario per conseguirlo, circostanze che spetta al giudice del rinvio verificare.

     

    Firme


    ( *1 ) Lingua processuale: l’ungherese.

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