Questo documento è un estratto del sito web EUR-Lex.
Documento 62016CJ0115
Judgment of the Court (Grand Chamber) of 26 February 2019.#N Luxembourg 1 and Others v Skatteministeriet.#Requests for a preliminary ruling from the Østre Landsret and Vestre Landsret.#Reference for a preliminary ruling — Approximation of laws — Common system of taxation applicable to interest and royalty payments made between associated companies of different Member States — Directive 2003/49/EC — Beneficial owner of the interest and royalties — Article 5 — Abuse of rights — Company established in a Member State and paying to an associated company established in another Member State interest all or almost all of which is then transferred outside the European Union — Subsidiary subject to an obligation to withhold tax on the interest at source.#Joined Cases C-115/16, C-118/16, C-119/16 and C-299/16.
Sentenza della Corte (Grande Sezione) del 26 febbraio 2019.
N Luxembourg 1 e a. contro Skatteministeriet.
Domande di pronuncia pregiudiziale proposte dall'Østre Landsret e dal Vestre Landsret.
Rinvio pregiudiziale – Ravvicinamento delle legislazioni – Regime fiscale comune applicabile alla corresponsione di interessi e canoni effettuata tra società collegate di Stati membri diversi – Direttiva 2003/49/CE – Beneficiari effettivi di interessi e royalties – Articolo 5 – Abuso – Società stabilita in uno Stato membro che corrisponde interessi ad una società collegata stabilita in un altro Stato membro, successivamente trasferiti, interamente o quasi, al di fuori del territorio dell’Unione europea – Controllata soggetta all’obbligo di applicazione di ritenuta alla fonte sugli interessi.
Cause riunite C-115/16, C-118/16, C-119/16 e C-299/16.
Sentenza della Corte (Grande Sezione) del 26 febbraio 2019.
N Luxembourg 1 e a. contro Skatteministeriet.
Domande di pronuncia pregiudiziale proposte dall'Østre Landsret e dal Vestre Landsret.
Rinvio pregiudiziale – Ravvicinamento delle legislazioni – Regime fiscale comune applicabile alla corresponsione di interessi e canoni effettuata tra società collegate di Stati membri diversi – Direttiva 2003/49/CE – Beneficiari effettivi di interessi e royalties – Articolo 5 – Abuso – Società stabilita in uno Stato membro che corrisponde interessi ad una società collegata stabilita in un altro Stato membro, successivamente trasferiti, interamente o quasi, al di fuori del territorio dell’Unione europea – Controllata soggetta all’obbligo di applicazione di ritenuta alla fonte sugli interessi.
Cause riunite C-115/16, C-118/16, C-119/16 e C-299/16.
Raccolta della giurisprudenza - generale - Sezione "Informazioni sulle decisioni non pubblicate"
Identificatore ECLI: ECLI:EU:C:2019:134
SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)
26 febbraio 2019 ( *1 )
Indice
Contesto normativo |
|
Il modello di convenzione fiscale dell’OCSE |
|
La direttiva 2003/49 |
|
Convenzioni dirette ad evitare le doppie imposizioni |
|
Diritto danese |
|
La tassazione degli interessi |
|
Ritenuta alla fonte |
|
La normativa applicabile in materia di frode ed abuso |
|
Procedimenti principali e questioni pregiudiziali |
|
1) Causa C‑115/16, N Luxembourg 1 |
|
2) Causa C‑118/16, X Denmark |
|
3) Causa C‑119/16, C Danmark I |
|
4) Causa C‑299/16, Z Denmark |
|
Procedimento dinanzi alla Corte |
|
Sulle questioni pregiudiziali |
|
Sulle questioni pregiudiziali prime, lettere da a) a c), seconde, lettere a) e b), e terze nelle cause C‑115/16, C‑118/16, C‑119/16 e C‑299/16 |
|
Quanto alla nozione di «beneficiario degli interessi» |
|
Quanto alla necessità di una disposizione nazionale o convenzionale specifica di attuazione dell’articolo 5 della direttiva 2003/49 |
|
Sulle prime questioni, lettere da d) a f), nelle cause C‑115/16, C‑118/16 e C‑119/16, sulla prima questione, lettere d) e e), nella causa C‑299/16, sulle quarte questioni nelle cause C‑115/16 e C‑118/16, sulla quinta questione nella causa C‑115/16, sulla sesta questione nella causa C‑118/16, e sulle quarte questioni nelle cause C‑119/16 e C‑299/16 |
|
Sugli elementi costitutivi di un abuso e sulla relativa prova |
|
Sull’onere della prova dell’abuso |
|
Sulla quinta questione, lettere da a) a c), nella causa C‑118/16 |
|
Sulle questioni sesta e settima nella causa C‑115/16, settime e ottava nella causa C‑118/16, quinta e sesta nella causa C‑119/16, nonché quinta, sesta e settima nella causa C‑299/16 |
|
Sulle spese |
«Rinvio pregiudiziale – Ravvicinamento delle legislazioni – Regime fiscale comune applicabile alla corresponsione di interessi e canoni effettuata tra società collegate di Stati membri diversi – Direttiva 2003/49/CE – Beneficiari effettivi di interessi e royalties – Articolo 5 – Abuso – Società stabilita in uno Stato membro che corrisponde interessi ad una società collegata stabilita in un altro Stato membro, successivamente trasferiti, interamente o quasi, al di fuori del territorio dell’Unione europea – Controllata soggetta all’obbligo di applicazione di ritenuta alla fonte sugli interessi»
Nelle cause riunite C‑115/16, C‑118/16, C‑119/16 e C‑299/16,
aventi ad oggetto le domande di pronuncia pregiudiziale proposte alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dall’Østre Landsret (Corte regionale dell’Est, Danimarca) (C‑115/16, C‑118/16 e C‑119/16), con decisioni del 19 febbraio 2016, pervenute in cancelleria il 25 febbraio seguente, nonché dal Vestre Landsret (Corte regionale dell’Ovest, Danimarca) (C‑299/16), con decisione del 24 maggio 2016, pervenuta in cancelleria il 26 maggio seguente, nei procedimenti
N Luxembourg 1 (C‑115/16),
X Denmark A/S (C‑118/16),
C Danmark I (C‑119/16),
Z Denmark ApS (C‑299/16)
contro
Skatteministeriet,
LA CORTE (Grande Sezione),
composta da K. Lenaerts, presidente, J.‑C. Bonichot, A. Arabadjiev, T. von Danwitz, C. Toader e F. Biltgen, presidenti di sezione, A. Rosas (relatore), M. Ilešič, L. Bay Larsen, M. Safjan, C.G. Fernlund, C. Vajda e S. Rodin, giudici,
avvocato generale: J. Kokott
cancelliere: R. Şereş, amministratrice
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 10 ottobre 2017,
considerate le osservazioni presentate:
– |
per la N Luxembourg 1 e la C Danmark I, da A.M. Ottosen e S. Andersen, advokater; |
– |
per la X Denmark A/S e la Z Denmark ApS, da L.E. Christensen e H.S. Hansen, advokater; |
– |
per il governo danese, da C. Thorning, J. Nymann-Lindegren e M.S. Wolff, in qualità di agenti, assistiti da J.S. Horsbøl Jensen, advokat; |
– |
per il governo tedesco, da T. Henze e R. Kanitz, in qualità di agenti; |
– |
per il governo italiano, da G. Palmieri, in qualità di agente, assistita da G. De Socio, avvocato dello Stato; |
– |
per il governo lussemburghese, da D. Holderer, in qualità di agente, assistita da P.-E. Partsch e T. Lesage, avocats; |
– |
per il governo dei Paesi Bassi, da M.K. Bulterman e C.S. Schillemans, in qualità di agenti; |
– |
per il governo austriaco, da G. Eberhard, in qualità di agente; |
– |
per il governo svedese, da A. Falk, C. Meyer-Seitz, H. Shev, U. Persson, N. Otte Widgren e F. Bergius, in qualità di agenti; |
– |
per la Commissione europea, da W. Roels, R. Lyal e L. Grønfeldt, in qualità di agenti, assistiti da H. Peytz, avocat, |
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 1o marzo 2018,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 |
Le domande di pronuncia pregiudiziale vertono sull’interpretazione della direttiva 2003/49/CE del Consiglio, del 3 giugno 2003, concernente il regime fiscale comune applicabile ai pagamenti di interessi e di canoni fra società consociate di Stati membri diversi (GU 2003, L 157, pag. 49), nonché degli articoli 49, 54 e 63 TFUE. |
2 |
Tali domande sono state proposte nell’ambito di controversie sorte tra lo Skatteministeriet (Ministero delle Imposte, Danimarca) e le società N Luxembourg 1, X Denmark A/S, C Danmark I e Z Denmark ApS, in merito all’obbligo, incombente alle società medesime, di applicare un’imposta, trattenuta alla fonte, sugli interessi corrisposti a società non-residenti, non considerate dall’amministrazione finanziaria quali beneficiari effettivi degli interessi stessi, con conseguente esclusione, nei loro confronti, del beneficio dell’esenzione dalla ritenuta alla fonte previsto dalla direttiva 2003/49. |
Contesto normativo
Il modello di convenzione fiscale dell’OCSE
3 |
Il Consiglio dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) ha adottato, in data 30 luglio 1963, una raccomandazione per l’eliminazione delle doppie imposizioni, invitando i governi dei paesi membri a conformarsi, in occasione della conclusione o della revisione di convenzioni bilaterali, ad un «modello di convenzione per evitare le doppie imposizioni in materia di imposta sul reddito e sul patrimonio», elaborato dal Comitato per gli Affari Fiscali dell’OCSE ed allegato alla raccomandazione stessa (in prosieguo: il «modello di convenzione fiscale dell’OCSE»). Detto modello di convenzione fiscale viene regolarmente riesaminato ed aggiornato; esso è oggetto di commenti approvati dal Consiglio dell’OCSE. |
4 |
I punti da 7 a 10 dei commentari relativi all’articolo 1 del modello di convenzione fiscale de l’OCSE, nel testo risultante dalla modifica intervenuta nel corso del 1977 (in prosieguo: il «modello di convenzione fiscale dell’OCSE del 1977»), a termini del quale la Convenzione si applica alle persone residenti di uno o di entrambi gli Stati contraenti, richiamano l’attenzione sulla possibilità di un uso illecito delle convenzioni stesse, ai fini di evasione fiscale, grazie a costruzioni giuridiche artificiose. Il tenore di detti punti dei commentari sottolinea l’importanza della nozione di «beneficiario effettivo» introdotta, segnatamente, agli articoli 10 (tassazione dei dividendi) e 11 (tassazione degli interessi) del modello di convenzione, nonché della necessità della repressione delle frodi fiscali. |
5 |
L’articolo 11, paragrafi 1 e 2, del modello di convenzione fiscale dell’OCSE del 1977 così recita: «1. Gli interessi provenienti da uno Stato contraente e attribuiti a un soggetto residente nell’altro Stato contraente sono soggetti ad imposta in tale altro Stato. 2. Tuttavia, tali interessi possono anche essere tassati nello Stato contraente dal quale provengono e conformemente alla normativa di tale Stato, ma, se la persona che percepisce tali interessi ne è l’effettivo beneficiario, l’imposta così determinata non può eccedere il 10% dell’importo lordo di tali interessi. Le competenti autorità degli Stati contraenti disciplinano di comune accordo le modalità d’applicazione di tale limitazione». |
6 |
In occasione di una revisione dei commentari avvenuta nel 2003, questi ultimi sono stati integrati da osservazioni relative alle c.d. «società relais» (società interposte), vale a dire società che, sebbene formalmente titolari di redditi, dispongono nella pratica soltanto di poteri del tutto limitati, risultando essere semplici fiduciarie o semplici amministratori agenti per conto delle parti interessate, di modo che esse non devono essere considerate quali beneficiari effettivi di tali redditi. Il punto 8 dei commentari relativi all’articolo 11, nel testo risultante dalla revisione operata nel 2003 prevede, in particolare, che il «termine “beneficiario effettivo” non è utilizzato in un’accezione ristretta e tecnica, bensì dev’essere esteso nel suo contesto alla luce dell’oggetto e dell’obiettivo della Convenzione, segnatamente per evitare le doppie imposizioni nonché prevenire la frode e l’evasione fiscali». Quanto al successivo punto 8.1 dei commentari, viene ivi precisato che risulterebbe «contrario all’oggetto ed all’obiettivo della Convenzione il fatto che lo Stato della fonte conceda una riduzione o un’esenzione d’imposta ad un residente di uno Stato contraente che agisca, salvo il caso di un rapporto d’agenzia o di altra forma di mandato, quale semplice relais per conto di altro soggetto che sia il beneficiario effettivo del reddito in questione» e che «una società relais non può essere normalmente considerata quale beneficiario effettivo quando, pur essendo titolare di redditi formalmente, disponga nella pratica soltanto di poteri del tutto limitati tanto da risultare un semplice fiduciario o un semplice amministratore agente per conto delle parti interessate». |
7 |
In occasione di un’ulteriore revisione dei commentari avvenuta 2014, sono state apportate talune precisazioni in ordine alle nozioni di «beneficiario effettivo» nonché di «società relais». Al punto 10.3 di detti commentari si legge che «esistono vari metodi per affrontare il problema delle società relais e, più in generale, i rischi di elusione fiscale, in particolare per mezzo di specifiche disposizioni anti-abuso nelle convenzioni, di regole generali anti-abuso, di regole volte a far prevalere la sostanza sulla forma nonché delle regole di “sostanza economica”». |
La direttiva 2003/49
8 |
I considerando da 1 a 6 della direttiva 2003/49 così recitano:
|
9 |
L’articolo 1 della direttiva 2003/49 così dispone: «1. I pagamenti di interessi o di canoni provenienti da uno Stato membro sono esentati da ogni imposta applicata in tale Stato su detti pagamenti, sia tramite ritenuta alla fonte sia previo accertamento fiscale, a condizione che il beneficiario effettivo degli interessi o dei canoni sia una società di un altro Stato membro o una stabile organizzazione situata in un altro Stato membro, di una società di uno Stato membro. (…) 4. Una società di uno Stato membro è considerata beneficiario effettivo di interessi o canoni soltanto se riceve tali pagamenti in qualità di beneficiaria finale e non di intermediaria, quale agente, delegato o fiduciario di un’altra persona. 5. Una stabile organizzazione è considerata beneficiario effettivo di interessi o canoni: (…)
(…) 7. Il presente articolo si applica soltanto se la società che è il pagatore, o la società la cui stabile organizzazione è considerata pagatore, di interessi o canoni è una società consociata della società che è il beneficiario effettivo, o la cui stabile organizzazione è considerata beneficiario effettivo di tali interessi o canoni. (…) 11. Lo Stato d’origine può esigere che il soddisfacimento dei requisiti previsti nel presente articolo e nell’articolo 3 sia comprovato da un certificato al momento del pagamento di interessi o di canoni. Se il soddisfacimento dei requisiti stabiliti dal presente articolo non è stato comprovato al momento del pagamento, lo Stato membro ha la facoltà di esigere una ritenuta alla fonte. 12. Lo Stato d’origine può subordinare l’esenzione a norma della presente direttiva all’emanazione di una decisione con cui l’esenzione è concessa attualmente sulla scorta di un certificato che attesta il soddisfacimento dei requisiti previsti nel presente articolo e nell’articolo 3. La decisione sull’esenzione è emanata entro tre mesi dalla presentazione del certificato e delle informazioni a sostegno che lo Stato d’origine può ragionevolmente richiedere e resta valida per almeno un anno a partire dall’emanazione. 13. Ai fini dei paragrafi 11 e 12, il certificato da presentare resta valido, per ciascun contratto di pagamento, per un periodo non inferiore ad un anno ma non superiore a tre anni a decorrere dalla data del rilascio e contiene le seguenti informazioni: (…)
|
10 |
I termini utilizzati all’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 2003/49 sono, a seconda della versione linguistica, il «beneficiario» [nelle lingue bulgara (бенефициерът), francese, lettone (beneficiārs) e romena (beneficiarul)], il «beneficiario effettivo» [nelle lingue spagnola (beneficiario efectivo), ceca (skutečný vlastník), estone (tulusaaja), inglese (beneficial owner), italiana (beneficiario effettivo), lituana (tikrasis savininkas), maltese (sid benefiċjarju), portoghese (beneficiário efectivo) e finlandese (tosiasiallinen edunsaaja)], il «proprietario»/«colui che dispone del diritto d’uso» [nelle lingue tedesca (der Nutzungsberechtigte), danese (retmæssige ejer), ellenica (ο δικαιούχος), croata (ovlašteni korisnik), ungherese (haszonhúzó), polacca (właściciel), slovacca (vlastník požitkov), slovena (upravičeni lastnik) e svedese (den som har rätt till)], o ancora «colui che è legittimato da ultimo» [in lingua neerlandese (de uiteindelijk gerechtigde)]. |
11 |
Il successivo articolo 2 prevede quanto segue: «Ai fini della presente direttiva si intende per:
(…)». |
12 |
A termini del successivo articolo 3: «Ai fini della presente direttiva si intendono per:
|
13 |
Tra le società di cui all’articolo 3, lettera a), della direttive 2003/49, il cui elenco figura in allegato alla medesima, sono menzionate «le società di diritto lussemburghese denominate “société anonyme”, “société en commandite par actions” e “société à responsabilité limitée”». |
14 |
Il successivo articolo 4, intitolato «Esclusione di pagamenti a titolo di interessi o canoni», dispone, segnatamente, al paragrafo 1: «Lo Stato d’origine non è tenuto a concedere i benefici della presente direttiva nei casi seguenti:
(…)». |
15 |
Il successivo articolo 5, intitolato «Frodi ed abusi», così recita: «1. La presente direttiva non osta all’applicazione di disposizioni nazionali o convenzionali necessarie per impedire frodi o abusi. 2. Gli Stati membri, nel caso di transazioni aventi come obiettivo principale o come uno degli obiettivi principali l’evasione o l’elusione fiscali, o gli abusi, possono revocare i benefici della presente direttiva o rifiutarne l’applicazione». |
Convenzioni dirette ad evitare le doppie imposizioni
16 |
L’articolo 11, paragrafo 1, della convenzione conclusa tra il governo del Granducato di Lussemburgo ed il governo del Regno di Danimarca volta ad evitare le doppie imposizioni e a stabilire regole di mutua assistenza amministrativa in materia d’imposte sui redditi e sul patrimonio, firmata a Lussemburgo il 17 novembre 1980 (in prosieguo: la «convenzione fiscale tra il Lussemburgo e il Regno di Danimarca»), ripartisce il potere impositivo tra i due Stati membri in materia di interessi disponendo quanto segue: «Gli interessi provenienti da uno Stato contraente e corrisposti ad un residente nell’altro Stato contraente sono imponibili unicamente in quest’altro Stato qualora il residente medesimo ne sia il beneficiario effettivo». |
17 |
L’articolo 11, paragrafo 1, della convenzione conclusa tra i paesi nordici volta ad evitare le doppie imposizioni in materia d’imposte sui redditi e sul patrimonio, firmata a Helsinki il 23 settembre 1996, nel testo pertinente con riguardo ai procedimenti principali (in prosieguo: la «convenzione fiscale tra i paesi nordici»), è di identico tenore. |
18 |
Da tali convenzioni emerge che lo Stato della fonte, vale a dire, nei procedimenti principali, il Regno di Danimarca, può tassare gli interessi corrisposti ad un residente in un altro Stato membro nel caso in cui tale residente non ne sia il beneficiario effettivo. Nessuna di tali convenzioni definisce tuttavia la nozione di «beneficiario effettivo». |
Diritto danese
La tassazione degli interessi
19 |
L’articolo 2, paragrafo 1, lettera d), della Selskabsskattelov (legge in materia di imposta sulle società) così dispone: «Sono (…) soggetti ad imposta ai sensi della presente legge le società e le associazioni, segnatamente ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 1, che abbiano la propria sede all’estero, a condizione che (…)
|
Ritenuta alla fonte
20 |
Nel caso d’imponibilità parziale dei redditi da interessi in uscita dal Regno di Danimarca ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera d), della legge in materia di imposta sulle società, la società danese distributrice degli interessi stessi è tenuta ad applicare, a norma dell’articolo 65 D della Kildeskattelov (legge in materia di ritenuta alla fonte), una ritenuta alla fonte. Il soggetto distributore degli interessi è responsabile, nei confronti dello Stato, per il versamento delle somme trattenute alla fonte. |
21 |
Come emerge, segnatamente, dalla decisione di rinvio pregiudiziale nella causa C‑115/16, per gli anni dal 2006 al 2008, l’aliquota dell’imposta applicata sugli interessi percepiti da una società residente in uno Stato membro diverso dal Regno di Danimarca era più elevata rispetto all’aliquota assolta da una società danese. Il Ministero delle imposte ha tuttavia riconosciuto, nell’ambito del procedimento principale, che tale differenza di aliquota violava le disposizioni del Trattato CE in materia di libertà di stabilimento e che, per gli esercizi in questione, la ritenuta alla fonte reclamata doveva essere ridotta. |
22 |
L’imposta trattenuta alla fonte è esigibile al momento del versamento degli interessi, mentre, quanto all’esigibilità dell’imposta dovuta da una società danese sui propri redditi previsionali, si applica una disciplina più flessibile. In caso di ritardato pagamento dell’imposta trattenuta alla fonte, il tasso degli interessi di mora è peraltro maggiore rispetto a quello dovuto per il ritardato pagamento dell’imposta sulle società da parte di una società danese. |
23 |
Conformemente all’articolo 65 C, paragrafo 1, della legge sulle ritenute alla fonte, chiunque versi royalties provenienti da fonte danese è tenuto, in linea di principio, ad operare una ritenuta alla fonte, a prescindere dal fatto che il relativo beneficiario sia residente o meno in Danimarca. |
La normativa applicabile in materia di frode ed abuso
24 |
Sino al momento dell’adozione della legge n. 540 del 29 aprile 2015, non esistevano in Danimarca disposizioni legislative generali dirette alla repressione degli abusi. Tuttavia, la giurisprudenza ha elaborato il cosiddetto «criterio sostanziale», in base al quale l’imposizione dev’essere effettuata sulla base di una valutazione specifica dei fatti concreti. Ciò significa, in particolare, che, a seconda delle circostanze, può prescindersi dalle costruzioni fiscali artificiose affinché l’imposizione operi sulla realtà, in virtù del principio della prevalenza della sostanza sulla forma (substance-over-form). |
25 |
Dalle decisioni di rinvio emerge che in ognuno dei procedimenti principali le parti concordano sul fatto che il criterio sostanziale non costituisca una giustificazione sufficiente per poter prescindere dalle costruzioni oggetto dei procedimenti medesimi. |
26 |
Come risulta dalle decisioni di rinvio, la giurisprudenza ha parimenti sviluppato il cosiddetto criterio del «legittimo beneficiario dei redditi» (rette indkomstmodtager), criterio che si basa sulle disposizioni fondamentali in materia di imposte sui redditi di cui all’articolo 4 della Statsskatteloven (legge relativa alle imposte statali), per effetto delle quali l’amministrazione finanziaria non è tenuta a riconoscere una separazione artificiale tra l’operazione/attività economica generatrice del reddito e la localizzazione del reddito che ne deriva. Tale criterio mira quindi ad individuare il soggetto che – indipendentemente dalle apparenze formali – costituisce l’effettivo beneficiario di un determinato reddito e, quindi, il soggetto debitore della relativa imposta. |
Procedimenti principali e questioni pregiudiziali
27 |
Nei quattro procedimenti principali, una società lussemburghese subentrata negli obblighi di una società danese (causa C‑115/16) nonché tre società danesi (cause C‑118/16, C‑119/16 e C‑299/16) contestano le decisioni dello SKAT (amministrazione finanziaria, Danimarca) (in prosieguo: lo «SKAT») con cui è stata loro negata l’esenzione dall’imposta sulle società prevista dalla direttiva 2003/49 con riguardo agli interessi versati ad entità stabilite in un altro Stato membro, in base al rilievo che tali entità, costituendo semplici società interposte, non sarebbero i beneficiari effettivi degli interessi versati. |
28 |
Per poter beneficiare dei vantaggi fiscali previsti dalla direttiva 2003/49, l’entità percettrice degli interessi deve rispondere ai requisiti indicati dalla direttiva medesima. Tuttavia, come precisato dal governo danese nelle proprie osservazioni, può accadere che gruppi di società non rispondenti a tali requisiti creino artificiosamente, tra la società distributrice degli interessi e l’entità diretta a disporne effettivamente, una o più società, rispondenti ai requisiti formali dettati dalla direttiva de qua. È su costruzioni finanziarie di tal genere che vertono le questioni pregiudiziali poste dal giudice del rinvio attinenti all’abuso nonché alla nozione di «beneficiario effettivo». |
29 |
I fatti, quali descritti dal giudice a quo, ed illustrati, nelle decisioni di rinvio, da vari schemi relativi alla struttura dei gruppi di società interessati sono particolarmente complessi e dettagliati. Verranno richiamati unicamente gli elementi necessari per rispondere alle questioni pregiudiziali. |
1) Causa C‑115/16, N Luxembourg 1
30 |
Dalla decisione di rinvio emerge che cinque fondi d’investimento, di cui nessuno è una società residente in uno Stato membro ovvero in uno Stato con cui il Regno di Danimarca ha concluso una convenzione contro le doppie imposizioni, costituivano, nel 2005, un gruppo, composto da varie società, ai fini dell’acquisizione della T Danmark, importante prestatore di servizi danese. |
31 |
Nelle proprie osservazioni, il governo danese ha fatto presente che la causa C‑115/16 riguarda lo stesso gruppo di società oggetto nella causa C‑116/16, riguardante la tassazione d’interessi ed oggetto della sentenza pronunciata in data odierna T Danmark e Y Denmark Aps (C‑116/16 e C‑117/16). |
32 |
Come esposto dal giudice del rinvio, i fondi d’investimento hanno creato società in Lussemburgo, segnatamente la A Luxembourg Holding, nonché società in Danimarca, tra cui la N Danmark 1. L’acquisizione della T Danmark veniva finanziata, in particolare, mediante finanziamenti concessi dai fondi d’investimento alla N Danmark 1 nonché mediante aumenti di capitale di quest’ultima società. Nel corso del 2009 la N Danmark 1 si fondeva con un’altra società danese, la quale veniva sciolta nel 2010 in occasione di una fusione transfrontaliera con la C Luxembourg, la quale avrebbe poi cambiato denominazione e sarebbe stata liquidata, con cessione dei crediti in questione alla N Luxembourg 1, subentrando quindi nel procedimento principale alla N Danmark 1. |
33 |
Una delle società danesi creata dai fondi d’investimento, la N Danmark 5, acquisiva la T Danmark. Nella primavera del 2006, la N Danmark 5 cedeva il proprio pacchetto azionario nella T Danmark alla C Luxembourg, che è così divenuta la società madre della T Danmark. |
34 |
In data 27 aprile 2006 i titoli di credito relativi ai finanziamenti concessi dai fondi d’investimento venivano ceduti da questi ultimi alla A Luxembourg Holding, che li ritrasferiva in pari data alla C Luxembourg, società madre della T Danmark. |
35 |
A decorrere da tale data la C Luxembourg si trovava in tal modo debitrice della A Luxembourg Holding per un importo pari a quello dovuto dalla N Danmark 1 alla C Luxembourg. Secondo il giudice del rinvio, il debito della N Danmark veniva remunerato al tasso del 10%, mentre quello della C Luxembourg e della A Luxembourg era pari al 9,96875%. Il 9 luglio 2008, il rendimento dei finanziamenti conclusi tra la C Luxembourg e la A Luxembourg Holding passava al 10%. Per contro, il rendimento dei finanziamenti conclusi tra la A Luxembourg Holding ed i fondi d’investimento veniva mantenuto al 9,96875%. |
36 |
Nel 2006 la C Luxembourg sopportava oneri per «altri costi esterni» pari a 8701 EUR, di cui 7810 EUR per retribuzioni, oltre ad oneri per «altri costi operativi» pari a 209349 EUR. |
37 |
Nello stesso anno 2006 la A Luxembourg Holding sopportava oneri per «altri costi esterni» pari a 3337 EUR, di cui 2996 EUR per retribuzioni, oltre ad oneri per «altri costi operativi» pari a 127031 EUR. |
38 |
A parere del giudice del rinvio, dai rendiconti annuali della C Luxembourg relativi agli esercizi 2007 e 2008 emerge che detta società ha impiegato, nei due detti esercizi, mediamente due persone a tempo parziale. Quanto ai rendiconti annuali della A Luxembourg Holding relativi al medesimo periodo, emerge che la società medesima ha impiegato, nei due detti esercizi, mediamente una persona a tempo parziale |
39 |
Oltre al possesso di partecipazioni nella N Danmark 1, l’attività della C Luxembourg si sarebbe limitata alla detenzione di crediti costituiti dalla società medesima. |
40 |
La C Luxembourg e la A Luxembourg Holding sono entrambe domiciliate presso lo stesso recapito, il quale è utilizzato anche dalle società direttamente collegate a uno dei fondi di investimento. |
41 |
Il giudice del rinvio fa presente che, nel 2011, lo SKAT ha emesso un avviso di accertamento per interessi relativi agli esercizi 2006, 2007 e 2008 per un importo complessivo di 925764961 corone danesi (DKK) (pari a circa 124 milioni di EUR). Lo SKAT riteneva, infatti, che la C Luxembourg e la A Luxembourg Holding non fossero i beneficiari effettivi degli interessi bensì agissero quali mere società interposte e che, tramite queste due società lussemburghesi, gli interessi venissero trasferiti dalla parte danese del gruppo ai fondi d’investimento. Lo SKAT riteneva, in conclusione, che la ricorrente nel procedimento principale fosse soggetta all’obbligo di ritenuta d’imposta alla fonte sugli interessi versati e contabilizzati essendo inoltre responsabile per il pagamento della ritenuta alla fonte non applicata. |
42 |
L’avviso di accertamento veniva contestato dalla ricorrente principale dinanzi ai giudici danesi. |
43 |
La N Luxembourg 1 contesta l’assunto che la fattispecie oggetto del procedimento principale presenterebbe natura di frode o abuso. Essa sostiene che, comunque, anche in caso di frode o di abuso, il beneficio previsto dalla direttiva 2003/49, di cui all’articolo 5, paragrafo 1, della medesima, possa essere negato unicamente a fronte di un corrispondente fondamento normativo nella legge nazionale. Orbene, tale fondamento normativo mancherebbe nel diritto danese. |
44 |
Nell’ipotesi in cui la C Luxembourg non dovesse essere considerata quale beneficiario effettivo degli interessi, la ricorrente nel procedimento principale deduce che la disciplina danese in materia di ritenuta d’imposta alla fonte nonché di prelievo della medesima nonché in materia di relativa responsabilità violano la libertà di stabilimento garantita dal diritto dell’Unione e, in via di subordine, la libera circolazione dei capitali, segnatamente per i motivi seguenti: in primo luogo, il prelievo della ritenuta d’imposta alla fonte avverrebbe in un momento anteriore rispetto al versamento dell’analoga imposta sulle società in secondo luogo, gli interessi di mora sulla ritenuta d’imposta alla fonte sarebbero ben più elevati rispetto a quelli relativi all’imposta sulle società; in terzo luogo, incomberebbe al debitore del mutuo procedere alla ritenuta alla fonte e, infine, conformemente alla legge in materia di ritenute alla fonte, questi dovrebbe assumere la responsabilità per il pagamento della ritenuta alla fonte stessa. |
45 |
In tale contesto, l’Østre Landsret (Corte regionale dell’Est, Danimarca) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
|
2) Causa C‑118/16, X Denmark
46 |
Dalla decisione di rinvio risulta che il gruppo X è un gruppo d’imprese mondiale di cui la ricorrente nel procedimento principale fa parte. Nel corso del 2005 tale gruppo veniva acquisito da fondi d’investimento che la ricorrente nel procedimento principale aveva costituito nello stesso anno. |
47 |
Tali fondi sono azionisti diretti della società capogruppo, vale a dire la X SCA, SICAR, con sede in Lussemburgo, ove quest’ultima è gestita quale società in accomandita per azioni (SCA) ed ha lo status di società d’investimento di capitali a rischio (SICAR). |
48 |
L’amministrazione finanziaria danese riteneva che la X SCA, SICAR, costituisse, per la legge danese, un’entità trasparente, vale a dire non costituisse un contribuente distinto secondo il diritto danese. |
49 |
A parere del giudice del rinvio, il portafoglio della X SCA, SICAR era costituito da una partecipazione del 100% nel capitale della X Sweden Holding AB e di un finanziamento concesso alla società medesima. Oltre a tale partecipazione e a tale finanziamento, la X SCA, SICAR non avrebbe esercitato alcuna attività. |
50 |
L’unica attività della X Sweden Holding consiste nell’essere società holding della X Sweden, con sede in Svezia, a sua volta società madre della X Denmark, ricorrente nel procedimento principale. In data 27 dicembre 2006, la X Sweden Holding otteneva dalla propria società madre, X SCA, SICAR, il finanziamento menzionato al punto precedente, dell’importo di 498500000 EUR. Nel calcolo del proprio reddito imponibile la X Sweden Holding portava in deduzione gli interessi versati alla X, SCA, SICAR. |
51 |
La X Sweden è controllata dalla X Sweden Holding al 97,5% ed al 2,5% dalla direzione del gruppo X. Nel corso del periodo oggetto del procedimento principale, la X Sweden era diretta dallo stesso consiglio di amministrazione della X Sweden Holding e non possedeva altre partecipazioni societarie se non nella X Denmark. |
52 |
Il giudice del rinvio fa presente che, agli inizi del 2007, la X Sweden ha ripreso l’attività di un’altra società, nella specie la X AB, stabilita in Svezia, consistente nella registrazione di prodotti presso le competenti autorità nonché in varie attività amministrative concernenti test clinici. La X Sweden ha allora assunto una dozzina di dipendenti, prendendo in locazione parte degli uffici della sede della X AB, in cui il personale interessato dalla cessione ha continuato a lavorare. |
53 |
Secondo quanto esposto nella decisione di rinvio, dai bilanci annuali relativi agli esercizi 2007-2009 emerge che la X Sweden disponeva di due voci di introiti, vale a dire la voce «Interessi e risultanze analoghe» e «Altri introiti». Gli unici introiti percepiti dalla X Sweden a titolo di interessi sono stati quelli percepiti dalla X Denmark in esecuzione del finanziamento di 501 milioni di EUR concluso, al pari di quello menzionato supra al punto 50, in data 27 dicembre 2006. Nel corso degli anni 2007, 2008 e 2009 gli interessi hanno rappresentato, rispettivamente, il 98,1%, il 97,8% ed il 98% degli introiti complessivi della X Sweden, ove gli introiti restanti sono stati pari, rispettivamente all’1,9%, al 2,2% ed al 2%. Gli interessi contabilizzati sulla base del finanziamento concesso alla X Denmark sono stati imputati nel calcolo del reddito imponibile della X Sweden per gli esercizi in questione, nel corso dei quali la X Sweden ha proceduto – conformemente alla particolare disciplina di riequilibrio fiscale degli utili vigente in Svezia, di cui al capo 35 delle legge relativa alle imposte sui redditi – a trasferimenti di fondi verso la propria società madre, la X Sweden Holding, di importo pari, rispettivamente, a 60468000 EUR, 75621000 EUR e 60353294 EUR. Per effetto di tale trasferimento infragruppo, la X Sweden ha potuto portare in deduzione i relativi importi, i quali sono divenuti imponibili in capo alla X Sweden Holding. |
54 |
La X Denmark, dal canto suo, ha proceduto, nel calcolo del proprio reddito imponibile, alla deduzione degli interessi versati alla X Sweden in esecuzione del finanziamento di 501 milioni di EUR concluso con quest’ultima società il 27 dicembre 2006. Ritenendo che la X Sweden ne fosse il beneficiario effettivo, la X Denmark non procedeva alla ritenuto d’imposta alla fonte sugli interessi corrisposti. |
55 |
Nella propria decisione del 13 dicembre 2010 lo SKAT ha ritenuto che la X Sweden, la X Sweden Holding e la X SCA, SICAR, non potessero essere qualificati come beneficiari effettivi, ai sensi della direttiva 2003/49 nonché della convenzione fiscale tra il Lussemburgo e la Danimarca e della convenzione fiscale tra i paesi nordici, e che i beneficiari effettivi fossero i proprietari della X SCA, SICAR. A parere del Ministero delle imposte, la X SCA, SICAR è costituita sotto una forma societaria non ricompresa nell’elenco delle società rientranti nella sfera d’applicazione della direttiva 2003/49, di cui all’articolo 3, lettera a), i), della medesima, e non risponde, inoltre, al requisito di cui alla lettera a), iii) del medesimo articolo 3, secondo cui la società non può beneficiare dell’esenzione dall’imposta. La società stessa sarebbe, infatti, esentata dall’imposta sui redditi da interessi, utili e dividendi. In ogni caso, la X SCA, SICAR, non potrebbe essere il beneficiario effettivo degli interessi, essendo un’entità trasparente per il diritto danese. Ciò detto, il Ministero delle imposte riteneva che la X Denmark non avesse prodotto la documentazione attestante che la maggior parte degli investitori nei fondi d’investimento detentori della X SCA, SICAR fosse residente in altri paesi dell’Unione europea, o in paesi con cui il regno di Danimarca abbia concluso una convenzione preventiva contro le doppie imposizioni. Lo SKAT riteneva, pertanto, che la X Denmark fosse tenuta ad operare la ritenuta d’imposta alla fonte sugli interessi corrisposti alla X Sweden. |
56 |
La decisione dello SKAT del 13 dicembre 2010 veniva impugnata dalla X Denmark dinanzi ai giudici danesi. |
57 |
Ciò premesso, l’Østre Landsret (Corte regionale dell’Est, Danimarca) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre la Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
|
3) Causa C‑119/16, C Danmark I
58 |
Come emerge dalla decisione di rinvio, la C USA, con sede negli Stati Uniti, detiene la C Cayman Islands, con sede nelle Isole Cayman, la quale era proprietaria, sino alla fine del 2004, della C Danmark II, ultima società madre di un gruppo societario. Alla fine dello stesso anno 2004, il gruppo procedeva ad una ristrutturazione nell’ambito della quale due società svedesi, la C Sverige I e la C Sverige II, nonché una società danese, la C Danmark I, venivano inserite tra la C Cayman Islands e la C Danmark II. Dal 1o gennaio 2005, la C Danmark I è divenuta ultima società madre della parte danese del gruppo societario americano, di cui ultima società madre è la C USA. |
59 |
I motivi che hanno condotto alla ristrutturazione della parte europea del gruppo sono stati descritti dalla C Danmark I in una nota intitolata 2004 European Restructuring Process (processo di ristrutturazione europea del 2004), in cui si legge, segnatamente: «Nel 2004, il Gruppo (…) rivedeva la propria struttura organizzativa, decidendo di inserire delle ulteriori società holding creando un effetto di leva finanziaria nella propria struttura europea. Le nuove società holding consentono alla società di accedere più liberamente ai capitali in Europa e di trasferire i capitali in seno alla famiglia di società del Gruppo in modo più efficace. Inoltre, i conti delle nuove società holding riflettono eque valorizzazioni di mercato per il gruppo europeo, il che, in una prospettiva futura, potrebbe agevolare la società ad ottenere finanziamenti da terzi. Infine, ed è questo probabilmente il punto più importante, la creazione di un effetto di leva finanziaria nella struttura consente di minimizzare i rischi commerciali dell’impresa, riducendo l’entità di capitali propri in gioco nelle operazioni commerciali. Tenuto conto dell’attuale favorevole regime per le società holding vigente in Svezia, il Gruppo (…) ha deciso di costituire le proprie nuove società holding europee in tale paese al fine di beneficiare di detto regime». |
60 |
Il Ministero delle imposte riteneva che l’inserimento di due società svedesi al di sopra della parte danese del gruppo fosse motivata da considerazioni fiscali. Il 30 ottobre 2009, lo SKAT decideva che la C Sverige II e la C Sverige I non potessero essere considerate quali beneficiarie effettive degli interessi corrisposti dalla C Danmark I, ai sensi della direttiva 2003/49 nonché della convenzione fiscale tra i paesi nordici. |
61 |
Con ordinanza del 25 maggio 2011, il Landskatteretten (Commissione tributaria nazionale, Danimarca) confermava la decisione dello SKAT rilevando che le società svedesi costituivano delle mere società interposte. In tale ordinanza si legge, in particolare, quanto segue: «Sino alla ristrutturazione attuata alla fine del 2004/inizi del 2005, la società ultima nella parte danese del gruppo, [C Danmark II], era detenuta direttamente dalla [C Cayman Islands]. La ristrutturazione ha prodotto l’effetto di inserire tra la [C Cayman Islands] e la [C Danmark II] tre società di nuova costituzione e la [C Cayman Islands] è successivamente divenuta detentrice di una società holding svedese la quale, a sua volta, deteneva un’altra società svedese, detentrice della [C Danmark I], divenuta società madre ultima della parte danese del gruppo. La struttura del gruppo è stata realizzata, in particolare, mediante una serie di vendite infragruppo, nell’ambito delle quali due finanziamenti, rispettivamente pari a 75 milioni di EUR e 825 milioni di EUR venivano concessi dalla [C Cayman Islands] alla [C Sverige I] nonché due finanziamenti, rispettivamente pari a 75 milioni di EUR e 825 milioni di EUR venivano concessi dalla [C Sverige II] alla [C Danmark I]. Il titolo all’ordine di 75 milioni di EUR tra la [C Cayman Islands] e la [C Sverige I] veniva costituito a condizioni assolutamente identiche a quelle del titolo all’ordine di 75 milioni di EUR tra la [C Sverige II] e la [C Danmark I], al pari di quanto avvenuto per i titoli all’ordine di 825 milioni di EUR [...]. Per effetto della ristrutturazione realizzata e del rapporto di credito creato in tale contesto e che trova espressione nelle operazioni concluse tra le parti aventi interessi comuni, la [C Sverige II] trasferiva alla [C Sverige I], avvalendosi della disciplina svedese sui trasferimenti infragruppo, gli interessi percepiti dalla [C Danmark I], mentre la [C Sverige I] ritrasferiva i fondi alla [C Cayman Islands] a titolo di oneri finanziari. Considerato che in Svezia, in base alla normativa fiscale nazionale allora in vigore, non vi era alcuna tassazione dei redditi netti imponibili, i versamenti di interessi dovuti dalla [C Danmark I] venivano quindi trasferiti integralmente alla [C Cayman Islands] tramite le società svedesi. Nessuna delle società create nell’ambito della ristrutturazione esercitava altra attività se non attività di holding e, per tale motivo, i loro prevedibili introiti erano costituiti unicamente da quelli attinenti alla loro attività di holding. Nella creazione dei rapporti di credito connessi alla ristrutturazione ciò doveva necessariamente presupporre, laddove le società debitrici fossero in grado di assolvere i propri obblighi, che le società stesse ottenessero fondi da altre società del gruppo, dovendo ciò costituire ab initio una condizione preliminare. La [C Sverige II] veniva quindi considerata quale società interposta munita di poteri dispositivi sulle somme percepite talmente ridotti da non poter essere ritenuta quale beneficiaria effettiva degli interessi percepiti dalla [C Danmark I], né sulla base della [convenzione fiscale tra i paesi nordici] né in virtù della direttiva 2003/49. È irrilevante a tal riguardo che i trasferimenti tra le società svedesi abbiano assunto la forma di trasferimenti infragruppo e non di versamento di interessi». |
62 |
La ricorrente nel procedimento principale, la C Danmark I, ritiene che la C Sverige II e la C Sverige I siano state costituite in Svezia in connessione con la ristrutturazione del gruppo in Europa, la quale sarebbe stata dettata da considerazioni commerciali e generali. A parere della ricorrente nel procedimento principale, la C Sverige II sarebbe il «beneficiario effettivo», ai sensi della direttiva 2003/49, degli interessi che essa le ha corrisposto. |
63 |
In tale contesto, l’Østre Landsret (Corte regionale dell’Est) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
|
4) Causa C‑299/16, Z Denmark
64 |
Come emerge dalla decisione di rinvio, la Z Denmark è un’impresa industriale danese. |
65 |
Nell’agosto del 2005, il fondo d’investimenti A Fund acquisiva il 66% circa delle azioni di tipo A di detta società (che rappresentano approssimativamente il 64% dei diritti di voto) dai precedenti proprietari, vale a dire il fondo d’investimenti B e l’istituto finanziario danese C, mentre D conservava la restante quota di azioni di tipo A. Taluni dirigenti superiori della Z Denmark erano, inoltre, titolari di azioni di tipo B. |
66 |
La A Fund è composta da 5 fondi, di cui quattro costituiti a Jersey sotto forma di società in accomandita (Limited Partnership), vale a dire sotto una forma fiscalmente trasparente per il diritto tributario danese. L’ultimo fondo, l’A Fund (No. 5) Limited, Jersey, possiede una forma societaria fiscalmente opaca e detiene una quota dello 0,5% circa nell’A Fund. Secondo le informazioni fornite dal giudice del rinvio, gli investitori nei primi quattro fondi sarebbero fiscalmente residenti in un gran numero di paesi, appartenenti o meno all’Unione. |
67 |
Nell’ambito dell’acquisizione descritta supra al punto 65, l’A Fund concedeva alla Z Denmark, in data 27 settembre 2005, un finanziamento pari a 146010341 DKK (circa 19,6 milioni di EUR). L’interesse gravante su tale finanziamento era del 9% annuo. |
68 |
In data 28 aprile 2006, l’A Fund cedeva l’intero proprio credito nei confronti della Z Denmark pari a 146010341 DKK (circa 19,6 milioni di EUR) alla Z Luxembourg, società dalla stessa costituita in pari data a Lussemburgo. |
69 |
L’operazione di cessione veniva completata dalla concessione da parte dell’A Fund alla Z Luxembourg di un finanziamento anch’esso pari a 146010341 DKK (circa 19,6 milioni di EUR). L’interesse gravante su tale finanziamento era del 9,875%, con contabilizzazione degli interessi a fine anno. |
70 |
Il 21 giugno 2006, la A Fund cedeva il proprio pacchetto azionario nella Z Denmark alla Z Luxembourg. |
71 |
Come risulta dal bilancio della Z Luxembourg relativo al 2007 (il bilancio del 2006 evidenzia voci analoghe), detta società non svolgeva altra attività se non quella di detenere azioni nella Z Denmark. Dal suddetto bilancio si evince che il risultato d’esercizio della Z Luxembourg, nel 2006 da negativo per 23588 EUR, è divenuto positivo nel 2007 per 15587 EUR. Dal bilancio medesimo emerge inoltre che i redditi da interessi si sono elevati, in tali anni, rispettivamente a 1497208 EUR e a 1192881 EUR, mentre gli oneri finanziari sono stati pari, rispettivamente, a 1473675 EUR ed a 1195124 EUR. La voce «Imposte sugli utili» (Tax on profit) evidenzia, per l’esercizio 2006, un importo di 3733 EUR e, per l’esercizio 2007, un importo pari a zero. |
72 |
Il 1o novembre 2007, la Z Denmark procedeva al rimborso del finanziamento concessole dall’A Fund, ove gli interessi a tale data ammontavano a 21241619 DKK (corrispondenti a circa 2,85 milioni di EUR). In pari data la Z Luxembourg rifondeva all’A Fund il proprio debito, costituito da capitale ed interessi. |
73 |
Con decisione del 10 dicembre 2010, lo SKAT negava alla Z Luxembourg il riconoscimento quale beneficiarie effettivo degli interessi corrispostile dalla Z Denmark, ai sensi della direttiva 2003/49 nonché della convenzione fiscale tra il Lussemburgo e la Danimarca. |
74 |
Con decisione del 31 gennaio 2012, la Commissione tributaria nazionale confermava il provvedimento dello SKAT. Nella decisione si legge quanto segue: «La [Z Luxembourg] non è qui considerata quale “beneficiario effettivo” [beneficial owner] né con riguardo alla [convenzione fiscale tra il Lussemburgo e la Danimarca] né con riguardo alla direttiva [2003/49]. Occorre tener conto, a tal proposito, della costruzione realizzata, de facto, tra le parti della stessa comunità d’interessi con cui la [Z Luxembourg] ha trasferito gli interessi percepiti dalla Z Denmark ai fondi d’investimento che li ha ritrasferiti ai propri investitori. Con la cessione alla [Z Luxembourg] del credito del fondo d’investimento nei confronti della [Z Denmark] e simultanea acquisizione, da parte della società medesima, del pacchetto azionario nella [Z Denmark] per mezzo di un finanziamento, concesso dal fondo stesso, d’importo pressoché equivalente a quello del credito vantato nei confronti della società, ed a condizioni pressoché identiche, la tassazione della [Z Luxembourg] quanto agli interessi versati dalla società danese avrebbe dovuto essere neutralizzata per effetto del versamento di interessi dalla società al fondo, in modo tale che il complesso delle operazioni non producesse un reddito netto imponibile, con riguardo al quale la società sarebbe stata tassata. La società lussemburghese è quindi considerata quale società interposta priva di reali poteri ovvero della possibilità di disporre in merito agli importi trasferiti. Alla [Z Luxembourg] è stato quindi negato il beneficio dell’esenzione dall’imposta alla fonte danese, quale prevista dalla [convenzione fiscale tra il Lussemburgo e la Danimarca] e/o dalla direttiva [2003/49]. È stato dichiarato che gli interessi trasferiti dalla [Z Luxembourg] al fondo d’investimento, il quale dovrebbe essere considerato fiscalmente trasparente, sono stati ritrasferiti agli investitori del fondo. Sorge quindi la questione se occorra eventualmente rinunciare all’imposta sugli interessi sulla base di una convenzione contro le doppie imposizioni applicabile agli investitori. Alla luce delle modalità con cui la controversia è stata presentata, non appare necessario procedere alla soluzione della questione, e ciò per il semplice motivo che gli elenchi prodotti non costituiscono documentazione sufficiente per poter ritenere che si sarebbe verificata una doppia imposizione.» |
75 |
Tale decisione della Commissione tributaria nazionale veniva impugnata dalla Z Denmark dinanzi ai giudici danesi. |
76 |
Dinanzi al giudice del rinvio la Z Denmark sostiene, in particolare, che la nozione di «beneficiario effettivo» ai sensi della direttiva 2003/46 è una nozione di diritto dell’Unione che dev’essere oggetto di propria interpretazione e non di un’interpretazione alla luce del modello di convenzione fiscale dell’OCSE. In ogni caso, l’interpretazione potrebbe essere condotta unicamente sulla base del modello di convenzione fiscale dell’OCSE del 1977 e dei relativi commentari. Un’interpretazione dinamica sarebbe in contrasto con il principio della certezza del diritto. La Z Denmark contesta la sussistenza, nella specie, di un abuso ai sensi della direttiva 2003/49. |
77 |
La Z Denmark censura, infine, la differenza di trattamento operata nella specie, contraria all’articolo 43 CE, segnatamente l’impossibilità, per la Z Luxembourg, di portare in deduzione gli interessi versati relativi ad un finanziamento concluso con il proprio azionista al fine di poter concedere il finanziamento stesso alla Z Denmark. Infatti, se la Z Luxembourg fosse stata una società danese, avrebbe potuto portare tali costi in deduzione e non avrebbe avuto redditi da interessi imponibili. |
78 |
Per quanto attiene alla tassazione alla fonte, la Z Denmark fa valere l’esistenza di talune differenze di trattamento fondamentali rispetto alla tassazione delle società residenti. In primo luogo, l’imposta alla fonte è esigibile in un momento anteriore rispetto all’imposta sulle società. In secondo luogo, gli interessi di mora dovuti sulle ritenute alla fonte sono notevolmente più elevati rispetto all’imposta sulle società. In terzo luogo, incombe al mutuatario provvedere alla trattenuta dell’imposta alla fonte e, in quarto luogo, spetta al medesimo procedere al suo versamento. |
79 |
Ciò premesso, il Vestre Landsret (Corte regionale dell’Ovest, Danimarca) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
Si chiede alla Corte di giustizia di tener conto, nella risposta alla presente questione, della risposta data alla sesta questione». |
Procedimento dinanzi alla Corte
80 |
Alla luce della connessione esistente tra i quattro procedimenti principali, tutti vertenti sull’interpretazione della direttiva 2003/49 e delle libertà fondamentali sancite dai Trattati, ne va disposta la riunione ai fini della sentenza. |
81 |
Con lettera del 2 marzo 2017, il governo danese chiedeva, ai sensi dell’articolo 16, terzo comma, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, la rimessione delle cause alla Grande Sezione della Corte. A fronte dell’analogia tra dette cause e le cause C‑116/16 e C‑117/16, oggetto della sentenza pronunciata in data odierna, T Danmark e Y Denmark Aps (C‑116/16 e C‑117/16), il governo danese ha peraltro parimenti suggerito alla Corte di disporre, ai sensi dell’articolo 77 del proprio regolamento di procedura, un’udienza di discussione congiunta. La Corte ha accolto la richiesta del governo danese. |
Sulle questioni pregiudiziali
82 |
Le questioni sollevate dal giudice a quo vertono su tre temi. Il primo attiene alla nozione di «beneficiario effettivo» ai sensi della direttiva 2003/49 nonché all’esistenza di un fondamento normativo che consenta ad uno Stato membro di negare, a fronte della realizzazione di un abuso, il beneficio dell’esenzione dall’imposta, previsto dall’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 2003/49, ad una società che abbia corrisposto interessi ad un’entità stabilita in un altro Stato membro. Nell’assunto dell’esistenza di tale fondamento normativo, il secondo tema oggetto dei quesiti pregiudiziali verte sugli elementi costitutivi di un eventuale abuso e dei relativi mezzi di prova. Il terzo tema delle questioni, infine, parimenti sollevato nell’ipotesi dell’esistenza della possibilità per uno Stato membro di negare ad una società di tal genere i benefici di cui alla direttiva 2003/49, concerne l’interpretazione delle disposizioni del Trattato FUE relative alla libertà di stabilimento ed alla libera circolazione dei capitali, onde consentire al giudice del rinvio di verificare se la normativa danese violi tali libertà. |
Sulle questioni pregiudiziali prime, lettere da a) a c), seconde, lettere a) e b), e terze nelle cause C‑115/16, C‑118/16, C‑119/16 e C‑299/16
83 |
In primo luogo, con la prima questione, lettere da a) a c), nelle cause C‑115/16, C‑118/16, C‑119/16 e C‑299/16, i giudici del rinvio s’interrogano sulla questione dell’interpretazione della nozione di «beneficiario degli interessi», ai sensi dell’articolo 1, paragrafi 1 e 4, della direttiva 2003/49. In secondo luogo, con le seconde questioni, lettere a) e b), e con la terza questione nelle cause C‑115/16, C‑118/16, C‑119/16 e C‑299/16, i giudici del rinvio chiedono, sostanzialmente, se la repressione delle frodi o degli abusi, consentita dall’articolo 5 della direttiva 2003/49, presupponga l’esistenza di una disposizione nazionale o convenzionale anti-abuso ai sensi del paragrafo 1 del menzionato articolo. I giudici medesimi chiedono, segnatamente, se si possa ritenere che una disposizione nazionale o convenzionale contenente la nozione di «beneficiario effettivo» costituisca il fondamento normativo che consenta la repressione delle frodi o degli abusi. |
Quanto alla nozione di «beneficiario degli interessi»
84 |
Si deve rilevare, in limine, che la nozione di «beneficiario degli interessi», di cui all’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 2003/49, non può fare riferimento a nozioni di diritto nazionale di portata differente. |
85 |
A tal riguardo è stato affermato che, come risulta dai considerando da 2 a 4 della direttiva 2003/49, quest’ultima è diretta all’eliminazione delle doppie imposizioni per quanto riguarda i pagamenti d’interessi e di canoni, effettuati tra società consociate di Stati membri diversi, e a stabilire che tali pagamenti siano assoggettati una sola volta ad imposizione in un unico Stato membro, ove la soppressione di ogni imposizione su tali pagamenti nello Stato membro d’origine costituisce la soluzione più appropriata per realizzare la parità di trattamento tributario tra operazioni nazionali e operazioni transfrontaliere (sentenza del 21 luglio 2011, Scheuten Solar Technology, C‑397/09, EU:C:2011:499, punto 24). |
86 |
L’ambito d’applicazione della direttiva 2003/49, quale definito all’articolo 1, paragrafo 1, della stessa, ha quindi ad oggetto l’esenzione dei pagamenti di interessi e di canoni maturati nello Stato membro d’origine di questi ultimi, a condizione che il loro beneficiario sia una società avente sede in un altro Stato membro oppure una stabile organizzazione situata in un altro Stato membro, di una società di uno Stato membro (sentenza del 21 luglio 2011, Scheuten Solar Technology, C‑397/09, EU:C:2011:499, punto 25). |
87 |
La Corte ha peraltro precisato che, considerato che l’articolo 2, lettera a), della direttiva 2003/49 definisce detti interessi come «i redditi da crediti di qualsiasi natura», soltanto il beneficiario effettivo può percepire interessi che costituiscono redditi da tali crediti (v., in tal senso, sentenza del 21 luglio 2011, Scheuten Solar Technology, C‑397/09, EU:C:2011:499, punto 27). |
88 |
La nozione di «beneficiario degli interessi», ai sensi della direttiva de qua dev’essere quindi interpretata nel senso che designa un’entità che benefici realmente degli interessi corrispostile. Il successivo articolo 1, paragrafo 4, avvalora tale riferimento alla realtà economica, precisando che una società di uno Stato membro è considerata quale beneficiario di interessi o di canoni unicamente nel caso in cui li percepisca per conto proprio e non quale rappresentante, ad esempio quale amministratore fiduciario o firmatario autorizzato, di un altro soggetto. |
89 |
Come rilevato supra al punto 10, se talune versioni linguistiche dell’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 2003/49, ossia quelle in lingua bulgara, francese, lettone e rumena utilizzano il termine «beneficiario», la maggior parte delle altre versioni ricorre a termini quali «beneficiario effettivo» (versioni nelle lingue estone, ceca, finlandese, inglese, italiana, lituana, maltese, portoghese e spagnola) o «proprietario» / «colui che ha il diritto di disporre» (versioni nelle lingue danese, croata, greca, polacca, slovacca, slovena, svedese, tedesca ed ungherese) o ancora «colui che ha il diritto di disporre da ultimo» (versione in lingua neerlandese). L’utilizzazione di tali differenti termini evidenzia che il termine «beneficiario» riguarda non un beneficiario individuato formalmente, bensì l’entità che benefici economicamente degli interessi percepiti e disponga, pertanto, della facoltà di disporne liberamente la destinazione. Conformemente a quanto rammentato supra al punto 86, solamente un’entità stabilita nell’Unione può costituire un beneficiario effettivo degli interessi, idoneo a godere dell’esenzione prevista dall’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 2003/49. |
90 |
Inoltre, come risulta dalla proposta di direttiva del Consiglio, concernente il regime fiscale comune applicabile ai pagamenti di interessi e di canoni fra società consociate di Stati membri diversi, presentata il 6 marzo 1998 [documento COM (1998) 67 def.], da cui è scaturita la direttiva 2003/49/CE, quest’ultima s’ispira all’articolo 11 del modello di convenzione fiscale dell’OCSE del 1996, perseguendone lo stesso obiettivo, vale a dire evitare le doppie imposizioni internazionali. La nozione di «beneficiario effettivo», che figura nelle convenzioni bilaterali fondate su tale modello nonché nelle successive modifiche ivi apportate e nei relativi commentari sono pertanto pertinenti ai fini dell’interpretazione della direttiva 2003/49. |
91 |
Le ricorrenti nel procedimento principale deducono che un’interpretazione della nozione di «beneficiario di interessi o canoni» di cui dall’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 2003/49, alla luce del modello di convenzione fiscale dell’OCSE e dei relativi commentari, sarebbe inammissibile in quanto destituita di qualsiasi legittimità democratica. Tale argomento non può, tuttavia, essere accolto, in quanto tale interpretazione, per quanto ispirata ai lavori dell’OCSE, trova il proprio fondamento, come emerge dai punti da 85 a 90 supra, nella direttiva medesima nonché nella sua storia legislativa che riflette il processo democratico dell’Unione. |
92 |
Orbene, dall’evoluzione del modello di convenzione fiscale dell’OCSE e dei relativi commentari, quale richiamata supra ai punti da 4 a 6, risulta che la nozione di «beneficiario effettivo» esclude le società interposte e dev’essere intesa non in un’accezione restrittiva, bensì nel senso di evitare le doppie imposizioni nonché di prevenire la frode e l’evasione fiscale. |
93 |
Le convenzioni bilaterali concluse tra Stati membri sulla base del modello di convenzione fiscale dell’OCSE, quale la convenzione tra i paesi nordici, sono parimenti testimoni di tale evoluzione. Si deve, infatti, rilevare che tali convenzioni, richiamate supra ai punti da 16 a 18, contengono tutte il termine «beneficiario effettivo» ai sensi di detto modello. |
94 |
Occorre ancora precisare che la sola circostanza che la società percettrice degli interessi in uno Stato membro non ne sia il «beneficiario effettivo» non esclude necessariamente l’applicabilità dell’esenzione prevista dall’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 2003/49. È, infatti, concepibile che gli interessi medesimi siano esentati a tal titolo, nello Stato della fonte, nel caso in cui la società percettrice ne trasferisca l’importo ad un beneficiario effettivo stabilito nell’Unione che risponda peraltro a tutti requisiti indicati dalla direttiva 2003/49 ai fini del beneficio dell’esenzione. |
Quanto alla necessità di una disposizione nazionale o convenzionale specifica di attuazione dell’articolo 5 della direttiva 2003/49
95 |
I giudici del rinvio chiedono, inoltre, se, ai fini della repressione degli abusi nell’ambito dell’applicazione della direttiva 2003/49, uno Stato membro debba aver adottato una specifica disposizione nazionale di trasposizione della direttiva medesima ovvero se possa, invece, far riferimento a principi o disposizioni anti-abuso nazionali o convenzionali. |
96 |
A tal riguardo, secondo costante giurisprudenza, nel diritto dell’Unione vige il principio generale di diritto secondo cui i singoli non possono avvalersi abusivamente o fraudolentemente delle norme del diritto dell’Unione (sentenze del 9 marzo 1999, Centros, C‑212/97, EU:C:1999:126, punto 24 e giurisprudenza citata; del 21 febbraio 2006, Halifax e a., C‑255/02, EU:C:2006:121, punto 68; del 12 settembre 2006, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas, C‑196/04, EU:C:2006:544, punto 35; del 22 novembre 2017, Cussens e a., C‑251/16, EU:C:2017:881, punto 27, nonché dell’11 luglio 2018, Commissione/Belgio, C‑356/15, EU:C:2018:555, punto 99). |
97 |
Il rispetto di tale principio generale s’impone ai singoli, Infatti, l’applicazione delle norme dell’Unione non può essere estesa sino a comprendere pratiche abusive, ossia operazioni effettuate non nell’ambito di normali operazioni commerciali, ma unicamente allo scopo di beneficiare abusivamente dei vantaggi previsti dal diritto dell’Unione (v., in tal senso, sentenze del 5 luglio 2007, Kofoed, C‑321/05, EU:C:2007:408, punto 38; del 22 novembre 2017, Cussens e a., C‑251/16, EU:C:2017:881, punto 27, nonché dell’11 luglio 2018, Commissione/Belgio, C‑356/15, EU:C:2018:555, punto 99). |
98 |
Da tale principio discende che uno Stato membro deve negare il beneficio di disposizioni di diritto dell’Unione laddove queste vengano invocate non al fine di realizzare le finalità delle disposizioni medesime, bensì al fine di godere di un vantaggio derivante dal diritto dell’Unione sebbene le condizioni per poterne godere siano rispettate solo formalmente. |
99 |
Ciò si verifica, ad esempio, nel caso in cui il compimento di formalità doganali non si collochi nel contesto di normali operazioni commerciali, bensì sia puramente formale e sia volto unicamente ad ottenere abusivamente la concessione di importi compensativi (v., in tal senso, sentenze del 27 ottobre 1981, Schumacher e a., 250/80, EU:C:1981:246, punto 16, nonché del 3 marzo 1993, General Milk Products, C‑8/92, EU:C:1993:82, punto 21) o di restituzioni all’esportazione (v., in tal senso, sentenza del 14 dicembre 2000, Emsland-Stärke, C‑110/99, EU:C:2000:695, punto 59). |
100 |
Il principio del divieto dell’abuso trova peraltro applicazione in svariate materie, quali la libera circolazione delle merci (sentenza del 10 gennaio 1985, Association des Centres distributeurs Leclerc e Thouars Distribution, 229/83, EU:C:1985:1, punto 27), la libera prestazione di servizi (sentenza del 3 febbraio 1993, Veronica Omroep Organisatie, C‑148/91, EU:C:1993:45, punto 13), gli appalti pubblici di servizi (sentenza dell’11 dicembre 2014, Azienda sanitaria locale n. 5 Spezzino e a., C‑113/13, EU:C:2014:2440, punto 62), la libertà di stabilimento (sentenza del 9 marzo 1999, Centros, C‑212/97, EU:C:1999:126, punto 24), il diritto societario (sentenza del 23 marzo 2000, Diamantis, C‑373/97, EU:C:2000:150, punto 33), la previdenza sociale (sentenze del 2 maggio 1996, Paletta, C‑206/94, EU:C:1996:182, punto 24; del 6 febbraio 2018, Altun e a., C‑359/16, EU:C:2018:63, punto 48, nonché dell’11 luglio 2018, Commissione/Belgio, C‑356/15, EU:C:2018:555, punto 99), i trasporti (sentenza del 6 aprile 2006, Agip Petroli, C‑456/04, EU:C:2006:241, punti da 19 a 25), la politica sociale (sentenza del 28 luglio 2016, Kratzer, C‑423/15, EU:C:2016:604, punti da 37 a 41), le misure restrittive (sentenza del 21 dicembre 2011, Afrasiabi e a., C‑72/11, EU:C:2011:874, punto 62) o, ancora, l’imposta sul valore aggiunto (IVA) (sentenza del 21 febbraio 2006, Halifax e a., C‑255/02, EU:C:2006:121, punto 74). |
101 |
Quanto a quest’ultima materia, la Corte ha avuto più volte modo di rilevare che, se la repressione delle frodi, dell’evasione fiscale e degli eventuali abusi rappresenta un obiettivo riconosciuto e promosso dalla Sesta direttiva 77/388 del Consiglio, del 17 maggio 1977, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari: Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme (GU 1977, L 145, pag. 1), il principio del divieto delle pratiche abusive costituisce parimenti un principio generale del diritto dell’Unione che trova applicazione indipendentemente dalla questione se i diritti ed i vantaggi oggetto dell’abuso trovino il loro fondamento nei Trattati, in un regolamento o in una direttiva (v., in tal senso, sentenza del 22 novembre 2017, Cussens e a., C‑251/16, EU:C:2017:881, punti 30 e 31). |
102 |
Ne consegue che il principio generale del divieto di pratiche abusive osta a che una persona fisica si avvalga di norme del diritto dell’Unione, che concedano vantaggi, in modo non coerente con le finalità previste dalle norme medesime. La Corte ha così affermato che tale principio può essere opposto ad un soggetto passivo per negargli il beneficio, in particolare, del diritto all’esenzione dall’IVA, anche in assenza di disposizioni di diritto nazionale che prevedano tale diniego (v., in tal senso, sentenze del 18 dicembre 2014, Schoenimport Italmoda Mariano Previti e a., C‑131/13, C‑163/13 e C‑164/13, EU:C:2014:2455, punto 62, nonché del 22 novembre 2017, Cussens e a., C‑251/16, EU:C:2017:881, punto 33). |
103 |
Nei procedimenti principali le norme con riguardo alle quali lo SKAT sostiene l’abuso sono le disposizioni della direttiva 2003/49, adottata al fine di favorire lo sviluppo di un mercato unico avente le caratteristiche di un mercato interno prevedendo, nello Stato membro d’origine, l’esenzione dall’imposta per gli interessi versati ad una società collegata stabilita in un altro Stato membro. Come emerge dalla proposta di direttiva ricordata supra al punto 90, talune definizioni enunciate nella direttiva 2003/49 s’ispirano a quelle contenute nell’articolo 11 del modello di convenzione fiscale dell’OCSE del 1996. |
104 |
Se l’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2003/49 prevede che la direttiva stessa non osta all’applicazione di disposizioni nazionali o convenzionali necessarie al fine di evitare le frodi e gli abusi, detta disposizione non può essere interpretata nel senso di escludere l’applicazione del principio generale del diritto dell’Unione del divieto delle pratiche abusive, richiamato supra ai punti da 96 a 98. Infatti, le operazioni che, secondo lo SKAT, costituiscono abusi ricadono nella sfera del diritto dell’Unione (v., in tal senso, sentenza del 22 dicembre 2010, Weald Leasing, C‑103/09, EU:C:2010:804, punto 42) potendo risultare incompatibili con la finalità perseguita dalla direttiva medesima. |
105 |
Inoltre, se l’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva 2003/49 prevede che gli Stati membri possono revocare, a fronte di frodi, evasioni o abusi, il beneficio previsto dalla direttiva medesima o negarne l’applicazione, tale disposizione non può essere interpretata nel senso di escludere l’applicazione del principio di divieto di pratiche abusive sancito dal diritto dell’Unione, considerato che l’applicazione di tale principio non è subordinata all’esigenza di trasposizione, come invece le disposizioni della direttiva medesima (v., in tal senso, sentenza del 22 novembre 2017, Cussens e a., C‑251/16, EU:C:2017:881, punti 28 e 31). |
106 |
Come rammentato supra al punto 85, dai considerando da 2 a 4 della direttiva 2003/49 emerge che questa è volta all’eliminazione delle doppie imposizioni degli interessi e dei canoni versati tra società collegate di Stati membri differenti o tra stabili organizzazioni delle società medesime al fine, da un lato, di evitare loro formalità amministrative troppo gravose ed oneri di tesoreria e, dall’altro, di realizzare la parità di trattamento fiscale tra operazioni nazionali ed operazioni transfrontaliere. |
107 |
Orbene, autorizzare la realizzazione di costruzioni finanziarie finalizzate unicamente al conseguimento dei vantaggi fiscali risultanti dalla direttiva 2003/49 non sarebbe coerente con tali obiettivi e, al contrario, falsando le condizioni di concorrenza, pregiudicherebbe il buon funzionamento del mercato interno. Come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 63 delle proprie conclusioni nella causa C‑115/16, lo stesso ragionamento varrebbe anche nel caso in cui le operazioni in questione non perseguissero unicamente tale obiettivo, avendo la Corte affermato che il principio del divieto delle pratiche abusive trova applicazione, in materia fiscale, qualora il perseguimento di un vantaggio fiscale costituisca lo scopo essenziale delle operazioni medesime (v., in tal senso, sentenze del 21 febbraio 2008, Part Service, C‑425/06, EU:C:2008:108, punto 45, nonché del 22 novembre 2017, Cussens e a., C‑251/16, EU:C:2017:881, punto 53). |
108 |
All’applicazione del principio generale di divieto delle pratiche abusive non può essere d’altronde opposto il diritto dei singoli di trarre vantaggio dalla concorrenza che s’instaura tra gli Stati membri per effetto della mancata armonizzazione della tassazione dei redditi. A tal riguardo va ricordato che la direttiva 2003/49 è volta a realizzare un’armonizzazione in materia d’imposte sui redditi al fine di consentire agli operatori economici di beneficiare del mercato interno eliminando le doppie imposizioni e che, più in particolare, il considerando 6 della direttiva medesima precisa che non si deve privare gli Stati membri della facoltà di adottare le misure necessarie alla repressione delle frodi e degli abusi |
109 |
Se è pur vero che la ricerca, da parte di un contribuente, del regime fiscale più vantaggioso per il medesimo non può, di per sé, legittimare una presunzione generale di frode o di abuso (v., in tal senso, sentenze del 12 settembre 2006, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas, C‑196/04, EU:C:2006:544, punto 50; del 29 novembre 2011, National Grid Indus, C‑371/10, EU:C:2011:785, punto 84, nonché del 24 novembre 2016, SECIL, C‑464/14, EU:C:2016:896, punto 60), resta il fatto che il contribuente stesso non può beneficiare di un diritto o di un vantaggio riconosciuto dal diritto dell’Unione quando l’operazione de qua sia puramente artificiosa sul piano economico e sia diretta a sottrarre l’impresa in questione alla normativa dello Stato membro interessato (v., in tal senso, sentenze del 12 settembre 2006, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas, C‑196/04, EU:C:2006:544, punto 51; del 7 novembre 2013, K, C‑322/11, EU:C:2013:716, punto 61, nonché del 25 ottobre 2017, Polbud – Wykonawstwo, C‑106/16, EU:C:2017:804, punti da 61 a 63). |
110 |
Da tutti i suesposti rilievi discende che le autorità e i giudici nazionali sono tenuti a negare il beneficio dei diritti previsti dalla direttiva 2003/49 qualora siano invocati fraudolentemente o abusivamente. |
111 |
Alla luce del principio generale del diritto dell’Unione di divieto di pratiche abusive e della necessità di far rispettare tale principio nell’ambito dell’attuazione del diritto dell’Unione, l’assenza di disposizioni anti-abuso, nazionali o convenzionali, è irrilevante rispetto all’obbligo, per le autorità nazionali, di negare il beneficio dei diritti previsti dalla direttiva 2003/49, invocati fraudolentemente o abusivamente. |
112 |
Le ricorrenti nei procedimenti principali si richiamano alla sentenza del 5 luglio 2007, Kofoed (C‑321/05, EU:C:2007:408), riguardante il beneficio di un’esenzione concessa dalla direttiva 90/434/CEE del Consiglio, del 23 luglio 1990, relativa al regime fiscale comune da applicare alle fusioni, alle scissioni, ai conferimenti d’attivo ed agli scambi d’azioni concernenti società di Stati membri diversi (GU 1990, L 225, pag. 1), per sostenere che, per effetto dell’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2003/49, il beneficio dei vantaggi previsti dalla direttiva medesima non può essere negato dallo Stato membro interessato se non nel caso in cui la normativa nazionale contenga un fondamento normativo distinto e specifico a tal riguardo. |
113 |
Tale argomento non può trovare tuttavia accoglimento. |
114 |
È ben vero che la Corte ha rammentato, al punto 42 della sentenza del 5 luglio 2007, Kofoed (C‑321/05, EU:C:2007:408), che il principio della certezza del diritto osta a che le direttive possano, di per sé, istituire obblighi a carico dei singoli ed essere conseguentemente invocate in tal senso dagli Stati membri nei confronti dei singoli. |
115 |
La Corte ha parimenti ricordato che tale affermazione non incide sull’esigenza, per tutte le autorità di uno Stato membro, laddove applichino il diritto nazionale, di interpretarlo, quanto più possibile, alla luce della lettera e delle finalità delle direttive medesime, al fine di conseguire il risultato da queste perseguito, potendo quindi le autorità medesime opporre ai singoli un’interpretazione conforme del diritto nazionale (v., in tal senso, sentenza del 5 luglio 2007, Kofoed, C‑321/05, EU:C:2007:408, punto 45 e giurisprudenza citata). |
116 |
Alla luce di tali considerazioni la Corte ha quindi invitato il giudice del rinvio ad esaminare se esistesse, nel diritto danese, una disposizione o un principio generale di divieto dell’abuso ovvero di altre disposizioni attinenti alla frode e all’evasione fiscale che possano essere interpretate in senso conforme alla direttiva 90/434 secondo cui, sostanzialmente, uno Stato membro può negare il diritto alla detrazione previsto dalla direttiva medesima a fronte di un’operazione essenzialmente diretta alla frode o all’evasione, verificando poi, eventualmente, se nella specie dei procedimenti principali ricorrano le condizioni necessarie ai fini dell’applicazione di tali disposizioni interne (v., in tal senso, sentenza del 5 luglio 2007, Kofoed, C‑321/05, EU:C:2007:408, punti 46 e 47). |
117 |
Tuttavia, anche qualora dovesse emergere, nei procedimenti principali, che il diritto nazionale non preveda norme suscettibili di un’interpretazione conforme all’articolo 5, della direttiva 2003/49, non si potrà dedurne, nonostante quanto affermato dalla Corte nella sentenza del 5 luglio 2007, Kofoed (C‑321/05, EU:C:2007:408), che alle autorità ed ai giudici nazionali sia impedito, in caso di frodi o abusi, di negare il beneficio del diritto all’esenzione previsto dall’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva stessa (v., per analogia, sentenza del 18 dicembre 2014, Schoenimport Italmoda Mariano Previti e a., C‑131/13, C‑163/13 e C‑164/13, EU:C:2014:2455, punto 54). |
118 |
Il diniego opposto ad un contribuente in circostanze di tal genere non ricade, infatti, nella fattispecie richiamata supra al punto 114, rispondendo al principio generale del diritto dell’Unione secondo cui è vietato a chiunque di avvalersi fraudolentemente o abusivamente di norme del diritto dell’Unione (v., per analogia, sentenza del 18 dicembre 2014, Schoenimport Italmoda Mariano Previti e a., C‑131/13, C‑163/13 e C‑164/13, EU:C:2014:2455, punti 55 e 56, nonché la giurisprudenza ivi citata). |
119 |
Considerato quindi che, come ricordato supra al punto 96, un diritto previsto dall’ordinamento giuridico dell’Unione non può essere fondato su fatti fraudolenti o abusivi, il diniego di un beneficio previsto da una direttiva, quale nella specie la direttiva 2003/49, non si risolve nell’imporre un obbligo al singolo interessato in base alla direttiva medesima, bensì costituisce la semplice conseguenza derivante dalla constatazione che le condizioni necessarie ai fini dell’ottenimento del beneficio richiesto, previsto dalla direttiva con riguardo a quel diritto, ricorrono solo formalmente (v., in tal senso e per analogia, sentenza del 18 dicembre 2014, Schoenimport Italmoda Mariano Previti e a., C‑131/13, C‑163/13 e C‑164/13, EU:C:2014:2455, punto 57 nonché la giurisprudenza ivi richiamata). |
120 |
In tale contesto, gli Stati membri sono pertanto tenuti a negare il beneficio derivante dalla direttiva 2003/49, conformemente al principio generale di divieto delle pratiche abusive secondo cui il diritto dell’Unione non può tutelare le pratiche abusive realizzate dagli operatori economici (v., in tal senso, sentenza dell’11 luglio 2018, Commissione/Belgio, C‑356/15, EU:C:2018:555, punto 99 e la giurisprudenza citata). |
121 |
Alla luce dei rilievi operati supra al punto 111, non occorre procedere alla soluzione delle terze questioni poste dai giudici del rinvio con cui si chiede, sostanzialmente, se una disposizione di una convenzione bilaterale diretta ad evitare le doppie imposizioni e che si richiami alla nozione di «beneficiario effettivo» sia idonea a costituire il fondamento normativo, nell’ambito della direttiva 2003/49, per la repressione delle pratiche abusive e fraudolente. |
122 |
Alla luce di tutti i suesposti elementi, si deve rispondere alle prime questioni, lettere da a) a c), ed alle seconde questioni, lettere a) e b), nelle cause C‑115/16, C‑118/16, C‑119/16 e C‑299/16 nei seguenti termini:
|
Sulle prime questioni, lettere da d) a f), nelle cause C‑115/16, C‑118/16 e C‑119/16, sulla prima questione, lettere d) e e), nella causa C‑299/16, sulle quarte questioni nelle cause C‑115/16 e C‑118/16, sulla quinta questione nella causa C‑115/16, sulla sesta questione nella causa C‑118/16, e sulle quarte questioni nelle cause C‑119/16 e C‑299/16
123 |
Con le prime questioni, lettere da d) a f), nelle cause C‑115/16, C‑118/16 e C‑119/16, con la prima questione, lettere d) e e), nella causa C‑299/16, nonché con le quarte questioni nelle cause C‑115/16 e C‑118/16 i giudici del rinvio chiedono, sostanzialmente, quali siano gli elementi costitutivi di un abuso e come tali elementi, possano essere accertati. A tal riguardo, i giudici medesimi si chiedono, in particolare, se possa ritenersi sussistente un abuso nel caso in cui beneficiario effettivo di interessi trasferiti da società interposte sia in definitiva una società con sede in uno Stato terzo con cui lo Stato interessato abbia concluso una convenzione contro le doppie imposizioni. Con la quinta questione nella causa C‑115/16, con la sesta questione nella causa C‑118/16, e con le quarte questioni nelle cause C‑119/16 e C‑299/16, i giudici medesimi chiedono poi, sostanzialmente, se uno Stato membro che neghi ad una società di un altro Stato membro il riconoscimento dello status di beneficiario degli interessi sia tenuto ad individuare la società che esso eventualmente consideri quale beneficiario effettivo. |
Sugli elementi costitutivi di un abuso e sulla relativa prova
124 |
Come emerge dalla giurisprudenza della Corte, la prova di una pratica abusiva richiede, da una parte, un insieme di circostanze oggettive dalle quali risulti che, nonostante il rispetto formale delle condizioni previste dalla normativa dell’Unione, l’obiettivo perseguito da tale normativa non sia stato conseguito e, dall’altra, un elemento soggettivo consistente nella volontà di ottenere un vantaggio derivante dalla normativa dell’Unione per mezzo della creazione artificiosa delle condizioni necessarie per il suo ottenimento (sentenze del 14 dicembre 2000, Emsland-Stärke, C‑110/99, EU:C:2000:695, punti 52 e 53, nonché del 12 marzo 2014, O. e B., C‑456/12, EU:C:2014:135, punto 58). |
125 |
È quindi l’esame di un complesso di fatti che consente di verificare la sussistenza degli elementi costitutivi di una pratica abusiva e, in particolare, se taluni operatori economici abbiano realizzato operazioni puramente formali o artificiose prive di qualsiasi giustificazione economica e commerciale essenzialmente al fine di beneficiare di un indebito vantaggio (v., in tal senso, sentenze del 20 giugno 2013, Newey, C‑653/11, EU:C:2013:409, punti da 47 a 49; del 13 marzo 2014, SICES e a., C‑155/13, EU:C:2014:145, punto 33, nonché del 14 aprile 2016, Cervati e Malvi, C‑131/14, EU:C:2016:255, punto 47). |
126 |
Non spetta alla Corte procedere alla valutazione dei fatti del procedimento principale. Tuttavia, pronunciandosi sul rinvio pregiudiziale, la Corte può eventualmente fornire indicazioni al giudice nazionale al fine di guidarlo nella valutazione del caso di specie sottoposto al suo esame. Nei procedimenti principali, sebbene la presenza di una serie d’indizi possa far presumere la sussistenza di un abuso, spetta tuttavia al giudice del rinvio verificare se tali indizi siano obiettivi e concordanti e se le ricorrenti nel procedimento principale abbiano avuto la possibilità di fornire la prova contraria. |
127 |
Può essere considerato quale costruzione artificiosa un gruppo di società costituito non per motivi che riflettono la realtà economica bensì caratterizzato da una struttura puramente formale ed avente quale obiettivo principale ovvero uno degli obiettivi principali il conseguimento di un vantaggio fiscale in contrasto con l’oggetto o la ratio della normativa tributaria applicabile. Ciò si verifica, in particolare, quando, grazie ad un’entità interposta inserita all’interno della struttura del gruppo tra la società erogatrice degli interessi e la società del gruppo che ne è la beneficiaria effettiva, viene evitato il versamento di imposte sugli interessi stessi. |
128 |
In tal senso, costituisce un indizio dell’esistenza di una costruzione volta a beneficiare indebitamente dell’esenzione prevista dall’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 2003/49 il fatto che gli interessi vengano ritrasferiti, integralmente o quasi ed entro un lasso di tempo molto breve successivo al loro percepimento, dalla società percettrice ad entità non rispondenti ai requisiti d’applicazione della direttiva 2003/49 vuoi perché non stabilite in alcuno Stato membro, vuoi perché non costituite in alcuna delle forme contemplate dalla direttiva de qua, vuoi perché non soggette ad alcuna delle imposte elencate all’articolo 3, lettera a), iii), della direttiva medesima senza beneficiare di un’esenzione, vuoi, ancora, in quanto prive dello status di società collegata ai sensi del successivo articolo 3, lettera b). |
129 |
Orbene, non rispondono ai requisiti d’applicazione della direttiva 2003/49 entità con residenza fiscale situata al di fuori dell’Unione, quali le società di cui alle cause C‑119/16 e C‑299/16 o i fondi d’investimento di cui alle cause C‑115/16 e C‑299/16. In tali cause, se gli interessi fossero stati versati direttamente dalla società danese debitrice alle entità beneficiarie le quali, secondo il Ministero delle imposte, ne costituiscono i beneficiari effettivi, il Regno di Danimarca avrebbe percepito l’imposta ritenuta alla fonte. |
130 |
Parimenti, la natura artificiosa di una costruzione può risultare avvalorata dalla circostanza che il gruppo di società in questione sia strutturato in modo tale che la società percettrice degli interessi versati dalla società debitrice debba essa stessa ritrasferire gli interessi medesimi ad una terza società, non rispondente ai requisiti d’applicazione della direttiva 2003/49, con la conseguenza che essa realizza unicamente un utile imponibile insignificante, agendo da società interposta al fine di consentire il flusso finanziario dalla società debitrice verso l’entità effettiva beneficiaria delle somme versate. |
131 |
La circostanza che una società agisca come società interposta può essere accertata quando l’unica attività della medesima sia costituita dal percepimento degli interessi e dal loro successivo trasferimento al beneficiario effettivo o ad altre società interposte. L’assenza di un’effettiva attività economica dev’essere al riguardo dedotta, alla luce delle peculiarità che caratterizzano l’attività economica in questione, da un’analisi complessiva dei pertinenti elementi attinenti, in particolare, alla gestione della società, al suo bilancio d’esercizio, alla struttura dei suoi costi ed ai costi realmente sostenuti, al personale impiegato nonché ai locali ad alle attrezzature di cui dispone. |
132 |
Può parimenti costituire indizio di una costruzione artificiosa la sussistenza dei vari contratti tra le società interessate dalle operazioni finanziarie de quibus, generatori di flussi finanziari infragruppo i quali, come menzionato all’articolo 4 della direttiva 2003/49, possono avere ad oggetto il trasferimento di utili da una società commerciale beneficiaria verso entità azioniste al fine di evitare o di ridurre al massimo gli oneri fiscali. Possono essere parimenti assunti ad indizi della sussistenza di costruzioni di tal genere le modalità di finanziamento delle operazioni, la valutazione dei fondi propri delle società intermediarie nonché l’assenza, nelle società interposte, del potere di disporre economicamente dei dividendi percepiti. A tal riguardo, sono idonei a costituire indizi di tal genere non solo obblighi contrattuali o legali, per la società percettrice degli interessi, di ritrasferirli a terzi bensì parimenti il fatto che «fondamentalmente», come rilevato dal giudice del rinvio nelle cause C‑115/16, C‑118/16 e C‑119/16, la società medesima, pur in assenza di un obbligo contrattuale o legale di tal genere, non disponga del diritto di utilizzare dette somme e di goderne. |
133 |
Indizi di tale genere possono esser d’altronde avvalorati da coincidenze o da contiguità temporali tra, da un lato, l’entrata in vigore di nuove importanti normative tributarie, quale la disciplina danese oggetto dei procedimenti principali che taluni gruppi di società tentano di eludere e, dall’altro, l’attuazione di operazioni finanziarie complesse nonché la concessione di finanziamenti all’interno di uno stesso gruppo. |
134 |
I giudici del rinvio si pongono parimenti la questione se possa, sostanzialmente, sussistere un abuso nel caso in cui interessi trasferiti da società interposte abbiano come beneficiario finale effettivo una società con sede in uno Stato terzo con cui lo Stato membro d’origine abbia concluso una convenzione tributaria per effetto della quale gli interessi non sarebbero stati soggetti ad alcuna ritenuta nel caso in cui fossero stati direttamente versati alla società con sede nello Stato terzo medesimo. |
135 |
A tal riguardo, nell’ambito dell’esame della struttura del gruppo, resta irrilevante il fatto che taluni beneficiari effettivi degli interessi versati dalla società interposta siano fiscalmente residenti in uno Stato terzo che abbia concluso con lo Stato membro d’origine una convenzione volta ad evitare le doppie imposizioni. Si deve, infatti, necessariamente rilevare che l’esistenza di una convenzione di tal genere non può, di per sé, escludere un abuso. Così, una convenzione di tal genere non può rimettere in discussione l’esistenza di un abuso debitamente accertata sulla base di una serie di fatti comprovanti che taluni operatori economici abbiano effettuato operazioni puramente formali o artificiose, prive di qualsivoglia giustificazione economica o commerciale, essenzialmente al fine di beneficiare indebitamente dell’esenzione dalla ritenuta alla fonte prevista dall’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 2003/49. |
136 |
Si deve aggiungere che, mentre la tassazione deve corrispondere alla realtà economica, l’esistenza di una convenzione volta ad evitare le doppie imposizioni non è di per sé idonea a dimostrare l’effettività di un pagamento operato a favore di beneficiari residenti nello Stato terzo con cui tale convenzione sia stata conclusa. Qualora la società debitrice degli interessi intenda beneficiare dei vantaggi risultanti dalla convenzione stessa, potrà ben versare gli interessi stessi direttamente alle entità fiscalmente residenti in uno Stato che abbia concluso con lo Stato d’origine una convenzione diretta ad evitare le doppie imposizioni. |
137 |
Ciò detto, non può essere nemmeno escluso, a fronte di una situazione in cui gli interessi sarebbero stati esentati in caso di versamento diretto alla società con sede in uno Stato terzo, che la finalità della struttura di gruppo sia estranea a qualsiasi abuso. In tal caso, non potrà essere contestato al gruppo di aver optato per una struttura siffatta piuttosto che per un versamento diretto degli interessi alla società medesima. |
138 |
Inoltre, si deve precisare che, laddove il beneficiario effettivo di un versamento di interessi sia fiscalmente residente in uno Stato terzo, il diniego dell’esenzione di cui all’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 2003/49 non è minimamente subordinato all’accertamento di una frode o di un abuso. Infatti, come ricordato al punto 86 supra, tale disposizione è volta ad esentare i versamenti di interessi maturati nello Stato membro d’origine unicamente nel caso in cui il beneficiario effettivo degli interessi stessi sia una società stabilita in un altro Stato membro o una stabile organizzazione, situata in un altro Stato membro, appartenente ad una società di uno Stato membro. |
139 |
Alla luce di tutti i suesposti rilievi, si deve rispondere alle prime questioni, lettere da d) a f), nelle cause C‑115/16, C‑118/16 e C‑119/16, alla prima questione, lettere d) ed e), nella causa C‑299/16, nonché alle quarte questioni nelle cause C‑115/16 e C‑118/16 dichiarando che la prova di una pratica abusiva richiede, da un lato, un insieme di circostanze oggettive dalle quali risulti che, nonostante il rispetto formale delle condizioni previste dalla normativa dell’Unione, l’obiettivo perseguito dalla normativa medesima non sia stato conseguito e, dall’altro, un elemento soggettivo, consistente nella volontà di ottenere un vantaggio derivante dalla normativa dell’Unione mediante la creazione artificiosa delle condizioni necessarie per il suo ottenimento. La sussistenza di taluni indizi può dimostrare la sussistenza di un abuso, sempreché si tratti di indizi oggettivi e concordanti. Possono costituire indizi di tal genere, segnatamente, l’esistenza di società interposte priva di giustificazione economica nonché la natura puramente formale della struttura del gruppo societario, della costruzione finanziaria e dei finanziamenti. La circostanza che lo Stato membro da cui provengono gli interessi abbia concluso una convenzione con lo Stato terzo in cui risiede la società che ne è beneficiaria effettiva è irrilevante sull’eventuale accertamento di un abuso. |
Sull’onere della prova dell’abuso
140 |
Si deve rilevare, come risulta dall’articolo, paragrafi 11 e 12, nonché dal successivo paragrafo 13, lettera b), della direttiva 2003/49, che lo Stato d’origine può imporre alla società percettrice degli interessi di dimostrare di esserne il beneficiario effettivo, nel senso di tale nozione quale precisato supra, al punto 122, primo trattino. |
141 |
La Corte ha d’altronde affermato, più in generale, che nulla impedisce alle amministrazioni finanziarie interessate di esigere dal contribuente le prove che esse reputino necessarie per la corretta determinazione delle imposte e delle tasse di cui trattasi e, se del caso, di negare l’esenzione richiesta qualora tali prove non vengano fornite (sentenza del 28 febbraio 2013, Petersen e Petersen, C‑544/11, EU:C:2013:124, punto 51 nonché la giurisprudenza ivi richiamata). |
142 |
Per contro, nel caso in cui l’amministrazione finanziaria dello Stato membro d’origine intendesse, per un motivo attinente all’esistenza di una pratica abusiva, negare l’esenzione prevista all’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 2003/49 ad una società che abbia versato interessi ad una società stabilita in un altro Stato membro, spetterà alla medesima dimostrare la sussistenza di elementi costitutivi di una pratica di tal genere, tenendo conto di tutti gli elementi pertinenti, in particolare del fatto che la società destinataria degli interessi versati non ne sia la beneficiaria effettiva. |
143 |
A tal riguardo spetta alla medesima amministrazione non di individuare i beneficiari effettivi degli interessi in questione, bensì di accertare che il preteso beneficiario non è altro che una società interposta tramite la quale è stato realizzato un abuso. Tale individuazione può, infatti, risultare impossibile, soprattutto in quanto i potenziali beneficiari effettivi sono sconosciuti. L’amministrazione finanziaria nazionale non dispone necessariamente, alla luce della complessità di talune costruzioni finanziarie e della possibilità che le società interposte ivi coinvolte siano stabilite al di fuori dell’Unione, delle informazioni che le consentano di procedere all’identificazione dei beneficiari stessi. Orbene, non può pretendersi dall’amministrazione medesima di produrre prove che essa sia impossibilitata a fornire. |
144 |
Peraltro, anche qualora i beneficiari potenziali effettivi siano conosciuti, non è necessariamente dimostrato quali di essi siano o saranno i reali beneficiari effettivi. Così, nel caso di una società che versi interessi alla società madre la quale, a sua volta, abbia una società madre, l’amministrazione finanziaria e i giudici dello Stato membro d’origine dei dividendi si troveranno verosimilmente, nell’impossibilità di determinare quale delle due società sia o sarà il beneficiario effettivo degli interessi. In particolare, l’attribuzione degli interessi potrebbe essere decisa successivamente agli accertamenti dell’amministrazione finanziaria relativi alla società interposta. |
145 |
Conseguentemente, si deve rispondere alla quinta questione nella causa C‑115/16, alla sesta questione nella causa C‑118/16, ed alle quarte questioni nelle cause C‑119/16 e C‑299/16, dichiarando che, al fine di negare ad una società il riconoscimento dello status di beneficiario effettivo di interessi ovvero di accertare la sussistenza di un abuso, un’autorità nazionale non è tenuta ad individuare la o le entità che essa consideri beneficiari effettivi degli interessi medesimi. |
Sulla quinta questione, lettere da a) a c), nella causa C‑118/16
146 |
Con la quinta questione, lettere da a) a c), nella causa C‑118/16, il giudice del rinvio chiede, sostanzialmente, se una SCA omologata quale SICAR di diritto lussemburghese possa beneficiare delle disposizioni della direttiva 2003/49. Si deve rilevare che tale questione presenta interesse unicamente nell’ipotesi in cui la X SCA, SICAR dovesse essere considerata quale beneficiario effettivo degli interessi corrispostile dalla X Denmark, cosa che spetta solo al giudice del rinvio verificare. |
147 |
Premessa tale precisazione, si deve sottolineare, al pari della Commissione e di vari governi che hanno presentato osservazioni, che l’articolo 3, lettera a), della direttiva 2003/49 subordina lo status di «società di uno Stato membro» per poter beneficiare dei vantaggi previsti dalla direttiva medesima ad un triplice ordine di condizioni. In primo luogo, la società deve rivestire una delle forme elencate nell’allegato della direttiva stessa. In secondo luogo, essa dev’essere considerata, in base alla normativa fiscale di uno Stato membro, come se fosse ivi fiscalmente residente e non essere considerata, in base ad una convenzione contro le doppie imposizioni, come fiscalmente residente al di fuori dell’Unione europea. In terzo luogo, essa dev’essere soggetta ad una delle imposte elencate all’articolo 3, lettera a), iii), della direttiva 2003/49 senza beneficiare di un’esenzione, o a qualsiasi altra imposta di natura identica o analoga, istituita successivamente all’entrata in vigore della direttiva medesima e volta a sostituire o ad aggiungersi ad una delle imposte esistenti. |
148 |
Quanto alla prima condizione, essa deve ritenersi, salvo verifica da parte del giudice del rinvio, soddisfatta per quanto attiene alla X SCA, SICAR, atteso che, come precisato dal governo lussemburghese all’udienza, una SCA omologata quale SICAR risponde ad una delle forme societarie elencate nell’allegato della direttiva 2003/49. |
149 |
Quanto alla seconda condizione, essa sembra essere parimenti soddisfatta, fatta salva la stessa verifica, in quanto la X SCA, SICAR è fiscalmente residente in Lussemburgo. |
150 |
Quanto alla terza condizione, è pacifico che la X SCA, SICAR sia soggetta all’imposta sui redditi degli enti associativi in Lussemburgo, che rappresenta una delle imposte elencate all’articolo 3, lettera a), iii), della direttiva 2003/49. |
151 |
Tuttavia, nell’ipotesi in cui dovesse ritenersi che, come affermato dallo SKAT nel procedimento principale di cui alla causa C‑118/16, gli interessi percepiti dalla X SCA, SICAR siano effettivamente esenti, a tal titolo, dall’imposta sui redditi degli enti associativi in Lussemburgo, si dovrebbe allora rilevare che la società stessa non risponderebbe più alla terza condizione ricordata supra al punto 147, e che essa non potrebbe essere pertanto più considerata quale «società di uno Stato membro» ai sensi della direttiva 2003/49. Spetta tuttavia unicamente al giudice del rinvio procedere, eventualmente, a tutte le necessarie verifiche in merito. |
152 |
Tale interpretazione della portata della terza condizione richiamata supra al punto 147 è avvalorata, da un lato, dall’articolo 1, paragrafo 5, lettera b), della direttiva 2003/49, da cui risulta che una stabile organizzazione può essere considerata quale beneficiario effettivo degli interessi, ai sensi della direttiva medesima, unicamente nel caso in cui «i pagamenti di interessi [da essa percepiti] rappresentano redditi per i quali essa è assoggettata nello Stato membro in cui è situata ad una delle imposte enumerate nel [successivo] articolo 3, lettera a), punto iii), (…)» e, dall’altro, dall’obiettivo della stessa direttiva 2003/49 che, come sostanzialmente rammentato supra al punto 85, consiste nel garantire che i versamenti di interessi siano assoggettati ad imposta una sola volta in un solo Stato membro. |
153 |
Si deve pertanto rispondere alla quinta questione, lettere da a) a c), nella causa C‑118/16 dichiarando che l’articolo 3, lettera a), della direttiva 2003/49 dev’essere interpretato nel senso che una SCA, omologata come SICAR, di diritto lussemburghese non può essere qualificata come «società di uno Stato membro», ai sensi, di detta direttiva idonea a beneficiare dell’esenzione prevista all’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva medesima qualora, cosa che spetta al giudice del rinvio verificare, gli interessi percepiti dalla stessa SICAR, in una fattispecie come quella oggetto del procedimento principale, siano esenti dall’imposta sui redditi degli enti associativi in Lussemburgo. |
Sulle questioni sesta e settima nella causa C‑115/16, settime e ottava nella causa C‑118/16, quinta e sesta nella causa C‑119/16, nonché quinta, sesta e settima nella causa C‑299/16
154 |
Con le questioni sesta e settima nella causa C‑115/16, settime e ottava nella causa C‑118/16, quinta e sesta nella causa C‑119/16, nonché quinta, sesta e settima nella causa C‑299/16, i giudici del rinvio chiedono, nell’ipotesi in cui il regime, previsto dall’articolo 1 della direttiva 2003/49, di esenzione dalla ritenuta d’imposta alla fonte per gli interessi versati da una società residente di uno Stato membro ad una società residente in un altro Stato membro non dovesse essere applicabile, se gli articoli 49 e 54 TFUE ovvero l’articolo 63 TFUE debbano essere interpretati nel senso che ostino a taluni aspetti della normativa del primo Stato membro, come quella oggetto del procedimento principale, relativa alla tassazione di detti interessi. |
155 |
A tal riguardo, occorre distinguere, in limine, due ipotesi. La prima ipotesi è quella in cui l’inapplicabilità del regime di esenzione dalla ritenuta d’imposta alla fonte prevista dalla direttiva 2003/49 discenderebbe dall’accertamento della sussistenza di una frode o di un abuso, ai sensi dell’articolo 5 della direttiva medesima. In tale ipotesi, alla luce della giurisprudenza richiamata supra al punto 96, una società residente in uno Stato membro non potrebbe rivendicare il beneficio delle libertà sancite dal Trattato FUE al fine di contestare la normativa nazionale posta a disciplina della tassazione degli interessi versati ad una società residente in un altro Stato membro. |
156 |
La seconda ipotesi è quella in cui l’inapplicabilità del regime di esenzione della ritenuta d’imposta alla fonte prevista dalla direttiva 2003/49 discenderebbe dall’insussistenza delle condizioni d’applicazione del regime di esenzione medesimo, senza peraltro essere accompagnata dall’accertamento di una frode o di un abuso ex articolo 5 della direttiva medesima. In tale ipotesi, occorre verificare se gli articoli del Trattato FUE menzionati supra al punto 154 debbano essere interpretati nel senso che ostino ad una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, relativa alla tassazione degli interessi in questione. |
157 |
A tal riguardo, in primo luogo, con le questioni settima nella causa C‑115/16, ottava nella causa C‑118/16, sesta nella causa C‑119/16, nonché settima nella causa C‑299/16 i giudici del rinvio chiedono, sostanzialmente, se gli articolo 49 e 54 TFUE ovvero 63 TFUE debbano essere interpretati nel senso che ostino ad una normativa nazionale per effetto della quale una società residente che corrisponda interessi ad una società non-residente sia tenuta ad effettuare, su detti interessi, le ritenute d’imposta alla fonte, laddove un obbligo del genere non gravi sulla società medesima nell’ipotesi in cui la società percettrice degli interessi stessi sia una società parimenti residente. I giudici medesimi chiedono peraltro se detti articoli debbano essere interpretati nel senso che ostino ad una normativa nazionale per effetto della quale una società residente percettrice di interessi da un’altra società residente non sia soggetta all’obbligo di versamento di un acconto d’imposta sulle società nei primi due anni d’imposizione e sia quindi tenuta al versamento dell’imposta sugli interessi medesimi solamente ad una scadenza sensibilmente più lontana rispetto a quella prevista per l’adempimento della ritenuta alla fonte in caso di corresponsione d’interessi da parte di una società residente ad una società non-residente. |
158 |
Si deve rilevare, in limine, come sottolineato dalla Commissione, che il versamento d’interessi collegati ad un finanziamento concluso tra due società residenti in Stati membri differenti ricade nella sfera della libera circolazione dei capitali, ai sensi dell’articolo 63 TFUE (v., in tal senso, sentenze del 3 ottobre 2006, Fidium Finanz, C‑452/04, EU:C:2006:631, punti 41 e 42, nonché del 3 ottobre 2013, Itelcar, C‑282/12, EU:C:2013:629, punto 14). Tali questioni devono essere quindi esaminate alla luce di questo articolo. |
159 |
A tal riguardo, e a prescindere dai possibili effetti derivanti dalla ritenuta alla fonte sulla situazione fiscale della società percettrice degli interessi stessi, l’obbligo, per la società erogatrice, di effettuare la ritenuta alla fonte laddove il versamento abbia luogo a favore di una società non residente, comportando oneri amministrativi supplementari e rischi in materia di responsabilità che non sussisterebbero qualora il finanziamento fosse stato concluso con una società residente, può rendere i finanziamenti transfrontalieri meno attraenti rispetto ai finanziamenti nazionali (v., in tal senso, sentenza del 18 ottobre 2012, X, C‑498/10, EU:C:2012:635, punti 28 e 32). Un obbligo di tal genere costituisce, quindi, una restrizione alla libera circolazione dei capitali, ai sensi dell’articolo 63 TFUE. |
160 |
Tuttavia, la necessità di garantire l’efficacia della riscossione dell’imposta costituisce un motivo imperativo d’interesse generale idoneo a giustificare una restrizione di tal genere. Infatti, il meccanismo della ritenuta alla fonte ed il regime di responsabilità che ne costituisce garanzia costituiscono uno strumento legittimo ed adeguato per assicurare la tassazione dei redditi di una società residente al di fuori dello Stato d’imposizione. Tale misura non deve peraltro eccedere quanto necessario per conseguire l’obiettivo perseguito (v., in tal senso, sentenze del 18 ottobre 2012, X, C‑498/10, EU:C:2012:635, punti 39 e da 43 a 52, nonché del 13 luglio 2016, Brisal e KBC Finance Ireland, C‑18/15, EU:C:2016:549, punti 21 e 22). |
161 |
Quanto al fatto che la normativa nazionale oggetto del procedimento principale preveda che la società residente percettrice d’interessi da un’altra società residente non sia soggetta all’obbligo di versamento di un acconto d’imposta sulle società nei primi due anni d’imposizione e sia quindi tenuta al versamento dell’imposta sugli interessi medesimi solamente ad una scadenza sensibilmente più lontana rispetto a quella prevista per l’adempimento della ritenuta alla fonte in caso di corresponsione d’interessi da parte di una società residente ad una società non-residente, ne consegue che, mentre gli interessi corrisposti da una società residente ad una società non-residente sono assoggettati ad imposizione immediata e definitiva, gli interessi versati da una società residente ad altra società residente non sono soggetti al versamento di alcun acconto d’imposta, il che procura così alla società residente un vantaggio di tesoreria (v., in tal senso, sentenza del 22 novembre 2018, Sofina e a., EU:C:2018:943, C‑575/17, punto 28). |
162 |
Orbene, l’esclusione di un vantaggio di tesoreria in una situazione transfrontaliera, vantaggio invece concesso in una situazione equivalente sul territorio nazionale, costituisce una restrizione alla libera circolazione dei capitali (sentenza del 22 novembre 2018, Sofina e a., C‑575/17, EU:C:2018:943, punto 29 nonché la giurisprudenza ivi citata). |
163 |
Richiamandosi alla sentenza del 22 dicembre 2008, Truck Center (C‑282/07, EU:C:2008:762), il governo danese deduce, tuttavia, che una normativa nazionale che preveda unicamente modalità di riscossione dell’imposta diverse in funzione della sede della società percettrice di interessi attiene a situazioni che non sono oggettivamente comparabili. |
164 |
A tal riguardo, si deve tuttavia sottolineare che, se è pur vero che dai punti 41 e 46 della sentenza del 22 dicembre 2008, Truck Center (C‑282/07, EU:C:2008:762) risulta che una disparità di trattamento consistente nell’applicazione di tecniche o modalità di riscossione dell’imposta diverse in funzione della sede della società percettrice degli interessi in questione concerne situazioni che non sono oggettivamente analoghe, la Corte ha tuttavia precisato, ai successivi punti 43 e 44, che i redditi in questione nella causa sfociata nella sentenza medesima erano, in ogni caso, redditi assoggettati ad imposta a prescindere dalla circostanza di essere stati percepiti da un soggetto residente o da un soggetto non residente (v., in tal senso, sentenza del 22 novembre 2018, Sofina e a., EU:C:2018:943, C‑575/17, punto 51). La Corte ha sottolineato, in particolare, al punto 49 della sentenza del 22 dicembre 2008, Truck Center (C‑282/07, EU:C:2008:762), che le società residenti erano tenute a versare acconti dell’imposta sulle società sugli interessi percepiti da altra società residente. |
165 |
Orbene, nella specie, la normativa nazionale oggetto del procedimento principale non si limita a prevedere modalità di riscossione dell’imposta differenti a seconda del luogo di residenza della società percettrice degli interessi corrisposti da una società residente, bensì esenta la società residente, percettrice di interessi versati da un’altra società residente, dall’obbligo di versamento di un acconto d’imposta sugli interessi stessi per i primi due anni d’imposizione, ragion per cui la società percettrice è tenuta al versamento dell’imposta afferente gli interessi in questione solamente ad una scadenza ben più lontana rispetto a quella prevista per la ritenuta alla fonte, operata in caso di corresponsione d’interessi da parte di una società residente ad una società non residente. Orbene, la valutazione dell’esistenza di un’eventuale disparità di trattamento degli interessi corrisposti a società non residenti dev’essere effettuata per ciascun esercizio fiscale, singolarmente considerato (v., in tal senso, sentenze del 2 giugno 2016, Pensioenfonds Metaal en Techniek, C‑252/14, EU:C:2016:402, punto 41, e del 22 novembre 2018, Sofina e a., EU:C:2018:943, C‑575/17, punti 30 e 52). |
166 |
Pertanto, e non avendo il governo danese dedotto alcun motivo imperativo d’interesse generale idoneo a giustificare la restrizione alla libera circolazione dei capitali rilevata supra al punto 162, si deve ritenere che tale normativa è in contrasto con l’articolo 63 TFUE. |
167 |
Alla luce delle considerazioni esposte supra ai punti da 158 a 166, l’articolo 63 TFUE dev’essere interpretato nel senso che non osta, in linea di principio ad una normativa nazionale per effetto della quale una società residente che corrisponda interessi ad una società non residente è tenuta ad operare, sugli interessi medesimi, una ritenuta d’imposta alla fonte, mentre tale obbligo non grava sulla società stessa nel caso in cui la società percettrice degli interessi sia una società parimenti residente. Tale articolo osta, tuttavia, ad una normativa nazionale che preveda l’effettuazione di tale ritenuta alla fonte in caso di versamento d’interessi da parte di una società residente ad altra società non-residente, laddove una società residente che percepisca interessi da un’altra società residente non sia soggetta all’obbligo di versamento di un acconto dell’imposta sulle società nei primi due anni d’imposizione e non sia quindi tenuta al versamento di detta imposta sugli interessi de quibus se non ad una scadenza sensibilmente più lontana rispetto a quella afferente la ritenuta alla fonte. |
168 |
In secondo luogo, con la sesta questione nella causa C‑115/16, la settima nella causa C‑118/16, la quinta nella causa C‑119/16, nonché con la sesta questione nella causa C‑299/16, i giudici del rinvio chiedono, sostanzialmente, se gli articoli 49 e 54 TFUE debbano essere interpretati nel senso che ostino ad una normativa nazionale che imponga alla società residente, tenuta all’effettuazione della ritenuta d’imposta alla fonte sugli interessi da essa versati ad una società non-residente, l’obbligo di corrispondere, in caso di ritardato versamento della ritenuta stessa, interessi moratori di tasso più elevato rispetto a quello applicabile in caso di tardivo pagamento dell’imposta sulle società gravante, segnatamente, sugli interessi percepiti da una società residente provenienti da altra società residente. |
169 |
Come precisato supra al punto 158, tale questione dev’essere risolta alla luce dell’articolo 63 TFUE. |
170 |
A tal riguardo, si deve rilevare che una normativa nazionale, come quella esposta supra al punto 168, crea una disparità di trattamento in termini di tasso d’interessi di mora, per effetto della quale il tardivo versamento dell’imposta dovuta sugli interessi corrisposti da una società residente è in funzione del finanziamento concesso da una società residente ovvero da una società non-residente. L’applicazione di un tasso d’interessi di mora più elevato in caso di ritardato pagamento della ritenuta alla fonte dovuta sugli interessi versati da una società residente ad una società non-residente rispetto al tasso applicabile in caso di ritardato pagamento dell’imposta sulle società dovuta sugli interessi percepiti da una società residente da parte di altra società residente rende, conseguentemente, finanziamenti transfrontalieri meno attraenti di quelli nazionali. Ne deriva una restrizione alla libera circolazione dei capitali. |
171 |
Orbene, come rilevato dalla Commissione, tale restrizione non può essere giustificata dalla circostanza, dedotta dal governo danese, secondo cui la tassazione degli interessi relativi ad un finanziamento concesso ad una società residente e quella relativa ad un finanziamento ottenuto da una società non-residente presentano tecniche e modalità di riscossione differenti. Ciò premesso, e considerato che il governo danese non ha dedotto alcun motivo imperativo d’interesse generale idoneo a giustificare tale restrizione, essa dev’essere considerata contraria all’articolo 63 TFUE. |
172 |
Alla luce delle considerazioni esposte supra ai punti da 169 a 171, l’articolo 63 TFUE dev’essere interpretato nel senso che osta ad una normativa nazionale che impone alla società residente, tenuta a procedere alla ritenuta d’imposta alla fonte sugli interessi dalla medesima corrisposti ad una società non-residente, in caso di tardivo assolvimento di tale ritenuta, interessi di mora ad un tasso più elevato rispetto a quello applicabile in caso di ritardato pagamento dell’imposta sulle società, gravante, segnatamente, sugli interessi percepiti da una società residente da parte di altra società residente. |
173 |
In terzo luogo, con la quinta questione nella causa C‑299/16 il giudice del rinvio chiede, sostanzialmente, se gli articoli 49 e 54 TFUE debbano essere interpretati nel senso che ostino ad una normativa nazionale per effetto della quale, nel caso in cui una società residente sia soggetta all’obbligo di ritenuta alla fonte sugli interessi da essa corrisposti ad una società non-residente, resta esclusa per la medesima la deducibilità di tali oneri finanziari, mentre, secondo la stessa normativa, gli oneri finanziari sono deducibili, ai fini della determinazione del reddito imponibile, in caso di corresponsione di interessi da una società residente ad altra società residente. |
174 |
Come precisato supra al punto 158, tale questione dev’essere parimenti risolta alla luce dell’articolo 63 TFUE. |
175 |
A tal riguardo, come rilevato dalla Commissione e come riconosciuto, secondo quanto dichiarato dal governo danese, dal Ministero delle imposte a seguito della proposizione della causa C‑299/16 dinanzi alla Corte, dalla sentenza del 13 luglio 2016, Brisal e KBC Finance Ireland (C‑18/15, EU:C:2016:549, punti da 23 a 55) risulta che una normativa nazionale, ai sensi della quale una società non residente viene tassata, per effetto della ritenuta alla fonte operata da una società residente sugli interessi corrispostile da quest’ultima, restando esclusa la deducibilità fiscale dei costi d’esercizio, quali gli oneri finanziari, direttamente connessi all’operazione di finanziamento de qua, laddove la deducibilità è invece riconosciuta nel caso di corresponsione di interessi da una società residente ad altra società residente, costituisce una restrizione alla libera circolazione dei capitali, vietata, in linea di principio, dal Trattato FUE. |
176 |
Secondo il governo danese, tuttavia, tale restrizione sarebbe giustificata dall’obiettivo della repressione degli abusi, consistente nel fatto che la società non-residente percettrice degli interessi, se è pur vero che essa è soggetta ad imposta sui medesimi nel proprio Stato membro di residenza, in definitiva non risulterà mai tassata, in quanto tali interessi percepiti saranno neutralizzati da corrispondenti oneri finanziari o da trasferimenti infragruppo fiscalmente deducibili. |
177 |
A tal riguardo, si deve sottolineare che, come emerge dal punto 155 supra, dall’accertamento di un’eventuale costruzione abusiva o fraudolenta che giustifichi l’inapplicabilità della direttiva 2003/49 deriverebbe parimenti la conseguenza dell’inapplicabilità delle libertà fondamentali garantite dal Trattato FUE. |
178 |
Per contro, in assenza di tale accertamento, la restrizione menzionata supra al punto 175 non può essere giustificata dei rilievi fatti valere dal governo danese, ragion per cui dev’essere considerata contraria all’articolo 63 TFUE. Infatti, oneri finanziari o trasferimenti infragruppo possono parimenti determinare una riduzione se non la neutralizzazione dell’imposta dovuta nel caso in cui una società residente percepisca interessi da altra società residente. |
179 |
Ne consegue che, al di là dell’accertamento di una frode o di un abuso, tale articolo dev’essere interpretato nel senso che osta ad una normativa nazionale per effetto della quale, nel caso in cui una società residente sia tenuta ad operare una ritenuta d’imposta alla fonte sugli interessi corrisposti ad una società non-residente, è esclusa la deducibilità, a titolo di costi d’esercizio, degli oneri finanziari sostenuti dalla medesima e direttamente connessi all’operazione di finanziamento de qua, mentre, in base alla normativa stessa, tali oneri finanziari sono deducibili, ai fini della determinazione del reddito imponibile, in caso di corresponsione di interessi da una società residente ad altra società residente. |
180 |
Alla luce di tutte le suesposte considerazioni, si deve rispondere alle questioni sesta e settima nella causa C‑115/16, settima e ottava nella causa C‑118/16, quinta e sesta nella causa C‑119/16, nonché quinta, sesta e settima nella causa C‑299/16 nei termini seguenti:
|
Sulle spese
181 |
Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione. |
Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara: |
|
|
|
|
|
|
Firme |
( *1 ) Lingua processuale: il danese.