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Documento 62016CC0465
Opinion of Advocate General Mengozzi delivered on 3 October 2018.#Council of the European Union v Growth Energy and Renewable Fuels Association.#Appeal – Dumping – Implementing Regulation (EU) No 157/2013 – Imports of bioethanol originating in the United States of America – Definitive anti-dumping duty – Country-wide dumping margin – Actions for annulment – Associations representing non-exporting producers and traders/blenders – Locus standi – Direct concern – Individual concern.#Case C-465/16 P.
Conclusioni dell’avvocato generale P. Mengozzi, presentate il 3 ottobre 2018.
Consiglio dell'Unione europea contro Growth Energy e Renewable Fuels Association.
Impugnazione – Dumping – Regolamento di esecuzione (UE) n. 157/2013 – Importazioni di bioetanolo originario degli Stati Uniti d’America – Dazio antidumping definitivo – Margine di dumping stabilito a livello nazionale – Ricorso di annullamento – Associazioni rappresentative dei produttori non esportatori e degli operatori commerciali/miscelatori – Legittimazione ad agire – Incidenza diretta – Incidenza individuale.
Causa C-465/16 P.
Conclusioni dell’avvocato generale P. Mengozzi, presentate il 3 ottobre 2018.
Consiglio dell'Unione europea contro Growth Energy e Renewable Fuels Association.
Impugnazione – Dumping – Regolamento di esecuzione (UE) n. 157/2013 – Importazioni di bioetanolo originario degli Stati Uniti d’America – Dazio antidumping definitivo – Margine di dumping stabilito a livello nazionale – Ricorso di annullamento – Associazioni rappresentative dei produttori non esportatori e degli operatori commerciali/miscelatori – Legittimazione ad agire – Incidenza diretta – Incidenza individuale.
Causa C-465/16 P.
Raccolta della giurisprudenza - generale - Sezione "Informazioni sulle decisioni non pubblicate"
Identificatore ECLI: ECLI:EU:C:2018:794
CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE
PAOLO MENGOZZI
presentate il 3 ottobre 2018 ( 1 )
Causa C‑465/16 P
Consiglio dell’Unione europea
contro
Growth Energy,
Renewable Fuels Association
«Impugnazione – Dumping – Importazioni di bioetanolo originario degli Stati Uniti d’America – Dazio antidumping definitivo – Regolamento (CE) n. 1225/2009 – Legittimazione ad agire di associazioni che rappresentano produttori non esportatori – Soggetto direttamente interessato – Articolo 9, paragrafo 5 – Impossibilità di imporre un dazio antidumping a ciascun fornitore – Istituzione di un dazio antidumping a livello del paese fornitore – Articoli 6.10 e 9.2 dell’accordo antidumping dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) – Interpretazione conforme»
I. Introduzione
1. |
Nella causa in esame, il Consiglio dell’Unione Europea, sostenuto dalla Commissione europea, chiede l’annullamento della sentenza del Tribunale dell’Unione europea del 9 giugno 2016, Growth Energy e Renewable Fuels Association/Consiglio (T‑276/13, EU:T:2016:340), con cui è stato disposto l’annullamento del regolamento di esecuzione (UE) n. 157/2013 del Consiglio del 18 febbraio 2013, che istituisce un dazio antidumping definitivo sulle importazioni di bioetanolo originario degli Stati Uniti d’America ( 2 ) nei limiti in cui riguarda quattro produttori di bioetanolo rappresentati dalle associazioni Growth Energy e Renewable Fuels Association. |
2. |
Da parte loro, la Growth Energy (in prosieguo: la «GE») e la Renewable Fuels Association (in prosieguo: la «RFA») hanno proposto impugnazione incidentale con riguardo alle valutazioni del Tribunale in cui è stata rilevata l’irricevibilità parziale del loro ricorso. |
3. |
Come illustrerò nell’analisi del primo capo del primo motivo dell’impugnazione principale, ritengo che il Tribunale abbia erroneamente dichiarato la ricevibilità del ricorso di primo grado della GE e della RFA, nella parte in cui è stato proposto in nome di quattro produttori americani di bioetanolo inclusi nel campione. Pertanto, la sentenza impugnata dovrà, a mio avviso, essere annullata e il ricorso in primo grado respinto in tale parte. |
4. |
Tale soluzione non esenta tuttavia la Corte dall’esaminare l’impugnazione incidentale. A tal riguardo, come dimostrerò, ritengo che il Tribunale abbia erroneamente dichiarato che la GE e la RFA non erano legittimate ad agire in nome di due operatori commerciali/miscelatori americani di bioetanolo, ossia le società Murex e CHS. La sentenza impugnata dev’essere annullata anche sotto questo profilo. |
5. |
Infine, mi preme precisare che, qualora la Corte non dovesse condividere le mie tesi e dovesse pertanto ritenere che il ricorso in primo grado sia perfettamente e integralmente ricevibile, occorrerà statuire sui motivi riguardanti il merito dedotti dal Consiglio a sostegno dell’impugnazione principale, relativi all’erronea interpretazione e all’erronea applicazione dell’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento (CE) n. 1225/2009 del Consiglio del 30 novembre 2009, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri della Comunità europea ( 3 ) (in prosieguo: il «regolamento di base»), in combinato disposto con le disposizioni dell’accordo relativo all’applicazione dell’articolo VI dell’accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio 1994 (GATT) ( 4 ) (in prosieguo: l’«accordo antidumping dell’OMC»). Sebbene, a tal riguardo, la sentenza impugnata lasci piuttosto perplessi quanto ai rapporti fra «intenzione del legislatore dell’Unione di dare esecuzione ad un obbligo particolare assunto nell’ambito» dell’accordo antidumping dell’OMC e «interpretazione conforme» a detto accordo del regolamento di base, ritengo cionondimeno che, in sostanza, il Tribunale abbia correttamente interpretato l’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base. |
II. Fatti di causa e sentenza del Tribunale
6. |
Il Tribunale ha illustrato i fatti di causa ai punti da 1 a 18 della sentenza impugnata: nelle osservazioni che seguono verranno richiamati unicamente gli elementi indispensabili alla comprensione degli argomenti dedotti dalle parti nell’ambito dell’impugnazione proposta dal Consiglio e dell’impugnazione incidentale proposta dalla GE e dalla RFA. |
7. |
A seguito di una denuncia, la Commissione pubblicava, in data 25 novembre 2011, un avviso di apertura di un procedimento antidumping riguardante le importazioni di bioetanolo originario degli Stati Uniti d’America ( 5 ), in cui annunciava il proprio intendimento di ricorrere al metodo del campionamento al fine di selezionare i produttori esportatori degli Stati Uniti oggetto dell’inchiesta. |
8. |
Il 16 gennaio 2012, la Commissione notificava a cinque società membri della GE e della RFA, ossia la Marquis Energy LLC ( 6 ), la Patriot Renewable Fuels LLC, la Plymouth Energy Company LLC, la POET LLC e la Platinum Ethanol LLC, il loro inserimento nel campione dei produttori esportatori. |
9. |
Il 24 agosto 2012, la Commissione comunicava alla GE e alla RFA il documento di informazione provvisorio in cui annunciava il proseguimento dell’inchiesta, senza l’adozione di misure provvisorie, e la sua estensione agli operatori commerciali/miscelatori. Tale documento rilevava l’impossibilità, in tale fase, di valutare se le esportazioni di bioetanolo originario degli Stati Uniti fossero state effettuate a prezzi di dumping, in quanto i produttori inclusi nel campione non distinguevano fra le vendite interne e le vendite all’esportazione, e vendevano i loro prodotti, senza eccezioni, a operatori commerciali/miscelatori indipendenti stabiliti negli Stati Uniti, i quali miscelavano successivamente il bioetanolo con la benzina e lo rivendevano. |
10. |
Il 6 dicembre 2012, la Commissione inviava alla GE e alla RFA il documento di informazione definitivo, in cui esaminava, sulla base dei dati degli operatori commerciali/miscelatori indipendenti, l’esistenza di un dumping che avrebbe causato un pregiudizio all’industria dell’Unione europea e prevedeva l’imposizione di misure definitive, ad un tasso del 9,6% a livello nazionale, per un periodo di tre anni. |
11. |
In data 18 febbraio 2013, sul fondamento del regolamento di base, il Consiglio adottava il regolamento controverso, il quale istituisce un dazio antidumping sul bioetanolo, denominato «etanolo combustibile», ad un tasso del 9,5% a livello nazionale, per un periodo di cinque anni. |
12. |
Il Tribunale ha parimenti osservato, da un lato, che, ai considerando da 12 a 16 del regolamento controverso, il Consiglio aveva rilevato che in base a quanto emerso dall’inchiesta nessuno dei produttori inclusi nel campione aveva esportato bioetanolo nel mercato dell’Unione, e che gli esportatori del prodotto di cui trattasi verso l’Unione non erano i produttori americani di bioetanolo, bensì gli operatori commerciali/miscelatori, ragion per cui, al fine di completare l’inchiesta relativa al dumping, esso si era basato sui dati dei due operatori commerciali/miscelatori che avevano accettato di collaborare (punto 16 della sentenza impugnata). Il Tribunale ha rilevato, dall’altro, che il Consiglio aveva indicato, ai considerando da 62 a 64 del regolamento controverso, di ritenere opportuna la fissazione di un margine di dumping a livello nazionale, in quanto la struttura dell’industria del bioetanolo e il modo in cui il prodotto in esame era fabbricato e venduto nel mercato degli Stati Uniti ed esportato verso l’Unione rendevano impraticabile la determinazione di margini di dumping individuali per i produttori degli Stati Uniti (punto 17 della sentenza impugnata). |
13. |
Il Tribunale si è poi pronunciato in merito alla ricevibilità del ricorso della GE e della RFA in quanto associazioni di categoria. In sostanza, il Tribunale ha distinto tre ipotesi nelle quali il ricorso di annullamento di un’associazione incaricata di promuovere gli interessi collettivi dei suoi membri è ricevibile, ossia, in primo luogo, quando una disposizione di legge lo riconosce espressamente, in secondo luogo, quando le imprese che essa rappresenta o alcune di esse sono legittimate ad agire individualmente oppure, in terzo luogo, se essa può vantare un proprio interesse ad agire (punto 45 della sentenza impugnata). |
14. |
Dopo aver rilevato che la GE e la RFA non avevano individuato alcuna disposizione di legge specifica che le autorizzava ad agire, il Tribunale, passando alla seconda ipotesi, ha verificato se la GE e la RFA fossero ammesse ad agire in forza della legittimazione ad agire a titolo individuale dei loro membri. |
15. |
A conclusione del ragionamento sviluppato ai punti da 51 a 62 della sentenza impugnata, il Tribunale ha sostanzialmente osservato, da un lato, che il ricorso di annullamento della GE e della RFA era irricevibile per aver esse rappresentato la Marquis Energy, dal momento che quest’ultima aveva proposto un ricorso di annullamento autonomo (punto 51 della sentenza impugnata) ( 7 ) e, dall’altro, che le associazioni non potevano validamente rappresentare la Murex e la CHS, due operatori commerciali/miscelatori esportatori di bioetanolo, essendo tali società semplicemente, l’una, un membro «associato» della GE e, l’altra, un membro «associato» della RFA, senza diritto di voto e, pertanto, nell’impossibilità di far valere i loro interessi nel caso in cui venissero rappresentate dall’associazione medesima (v. punti da 53 a 55 della sentenza impugnata). Il Tribunale ha peraltro parimenti escluso che la GE e la RFA possano essere legittimate ad agire in nome di tutti i loro membri diversi dai quattro produttori americani oggetto di campionamento nel regolamento controverso. Il Tribunale ha infatti ritenuto non dimostrato che tali membri fossero direttamente interessati dal dazio antidumping istituito dal regolamento de quo (v. punti da 151 a 153 della sentenza impugnata). |
16. |
Per contro, in esito al ragionamento svolto ai punti da 90 a 149 della sentenza impugnata, il Tribunale ha concluso, al successivo punto 150, che, in base alla seconda ipotesi prevista all’articolo 263, quarto comma, TFUE, la GE e la RFA erano legittimate a proporre il ricorso in primo grado nei limiti in cui il ricorso stesso era diretto all’annullamento del regolamento controverso nella parte riguardante i quattro produttori americani inclusi nel campione. Il Tribunale ha ritenuto, infatti, da un lato, sulla base dell’analisi svolta ai punti da 92 a 117 della sentenza impugnata, che i quattro produttori inclusi nel campione fossero direttamente interessati dal regolamento controverso, rilevando parimenti, dall’altro, che questi stessi produttori erano individualmente interessati da detto regolamento (v. punti da 123 a 145 della sentenza impugnata). |
17. |
Quanto alla terza ipotesi, menzionata al paragrafo 13 delle presenti conclusioni, secondo la quale un’associazione è legittimata ad agire qualora possa vantare un proprio interesse, il Tribunale, esaminando la questione ai punti da 77 a 86 della sentenza impugnata, ha dichiarato che la GE e la RFA erano legittimate ad agire individualmente unicamente nei limiti in cui il loro ricorso, quanto al suo decimo motivo, era fondato sulla tutela delle garanzie procedurali accordate loro dalle disposizioni rilevanti del regolamento di base (v. punti 85, 87 e 162, secondo trattino, della sentenza impugnata). |
18. |
In sintesi, il Tribunale ha dunque dichiarato ricevibile il ricorso di annullamento della GE e della RFA soltanto nei limiti in cui esso era proposto a) in nome dei quattro produttori americani inclusi nel campione, i quali erano interessati direttamente e individualmente dal regolamento controverso e b) a titolo individuale, nei limiti del decimo motivo, relativo ad una violazione dei loro diritti procedurali nel corso del procedimento antidumping. |
19. |
Quanto al merito, il Tribunale, se ha respinto il decimo motivo dedotto dalla GE e dalla RFA (v. punti da 250 a 343 della sentenza impugnata), ha, per contro, accolto il secondo capo del primo motivo dedotto dalla GE e dalla RFA in nome dei quattro produttori inclusi nel campione annullando il regolamento controverso, senza esaminare né gli altri capi del motivo medesimo né gli altri otto motivi dedotti a sostegno del ricorso (v. punto 246 della sentenza impugnata). |
20. |
In sostanza, il Tribunale ha dichiarato che il Consiglio aveva erroneamente ritenuto di essere autorizzato, in forza dell’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base, ad adottare un margine di dumping a livello nazionale e di non essere quindi tenuto alla determinazione di margini di dumping individuali per ciascun produttore americano incluso nel campione del regolamento controverso. |
21. |
Per concludere in tal senso, il Tribunale ha rilevato, in primo luogo, che con l’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base, il legislatore dell’Unione aveva inteso dare esecuzione ad un obbligo particolare assunto nel contesto dell’OMC, contenuto nella specie agli articoli 6.10 e 9.2 dell’accordo antidumping dell’OMC; l’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base doveva pertanto essere interpretato conformemente agli articoli medesimi (v. punti 180 e 184 della sentenza impugnata). |
22. |
In secondo luogo, il Tribunale ha ritenuto che il Consiglio fosse tenuto, in linea di principio, in forza dell’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base, a calcolare un margine di dumping individuale, nonché ad istituire dazi antidumping individuali per ciascuno dei quattro produttori inclusi nel campione, dal momento che, mantenendo questi ultimi come membri del campione dei produttori ed esportatori americani, le istituzioni avevano riconosciuto che essi erano «fornitori» del prodotto oggetto del dumping, ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base (v. punti 194 e 201 della sentenza impugnata). |
23. |
In terzo e ultimo luogo, il Tribunale ha rilevato che, per quanto l’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base contempli effettivamente un’eccezione al calcolo individuale dell’importo del dazio imposto nel caso in cui il calcolo stesso «non sia possibile», il che autorizza ad indicare semplicemente il nome del paese fornitore, vale a dire l’imposizione di un dazio antidumping a livello nazionale, il termine «[non] possibile» dev’essere interpretato conformemente all’analogo termine impiegato negli articoli 6.10 e 9.2 dell’accordo antidumping dell’OMC (v., in tal senso, punti 228 e 232 della sentenza impugnata). Orbene, alla luce di quest’ultime disposizioni, il Tribunale ha dichiarato che l’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base non consente alcuna eccezione all’obbligo di applicare un dazio antidumping individuale ad un produttore incluso nel campione che abbia collaborato all’inchiesta, qualora le istituzioni ritengano di non essere in grado di stabilire per il medesimo un prezzo all’esportazione individuale (v. punto 232, ultimo periodo, della sentenza impugnata). Il Tribunale ha pertanto concluso che, alla luce delle spiegazioni fornite dalle istituzioni, il Consiglio ha erroneamente concluso che l’istituzione dei dazi antidumping individuali per i membri del campione degli esportatori americani «[non era] possibile» ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base (punto 241 della sentenza impugnata), senza che il fatto che le istituzioni reputassero di avere difficoltà a ricostituire il percorso delle vendite individuali o a confrontare i valori normali con i prezzi all’esportazione corrispondenti, per i produttori inclusi nel campione, potesse essere sufficiente a giustificare il ricorso a tale eccezione (v., in tal senso, punti da 242 a 244 della sentenza impugnata). Il Tribunale ha dunque annullato il regolamento controverso per violazione dell’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base e nei limiti in cui riguardava i quattro produttori americani inclusi nel campione rappresentati dalla GE e dalla RFA. |
III. Conclusioni delle parti
A. Conclusioni delle parti nell’ambito dell’impugnazione principale
24. |
Nell’ambito dell’impugnazione principale, il Consiglio chiede in via principale che la Corte voglia:
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25. |
In subordine, il Consiglio chiede che la Corte voglia:
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26. |
La Commissione chiede in via principale che la Corte voglia:
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27. |
In subordine, la Commissione chiede che la Corte voglia:
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28. |
La GE e la RFA chiedono che la Corte voglia:
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B. Conclusioni delle parti nell’ambito dell’impugnazione incidentale
29. |
Nell’ambito della loro impugnazione incidentale, la GE e la RFA chiedono, in via principale, che la Corte voglia:
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30. |
In subordine, e nel caso in cui la Corte dovesse ritenere che la controversia non sia matura per la decisione, la GE e la RFA chiedono che la Corte voglia:
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31. |
Il Consiglio chiede che la Corte voglia:
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32. |
La Commissione chiede che la Corte voglia:
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IV. Analisi
33. |
Come ho già osservato nelle mie osservazioni introduttive, le due impugnazioni, principale e incidentale, sottoposte all’esame della Corte, sollevano una serie di difficoltà attinenti sia alla ricevibilità sia al merito. È piuttosto sorprendente, al riguardo, che, alla luce della complessità delle questioni sollevate e delle soluzioni accolte, il Tribunale non abbia deciso di pronunciarsi in merito a tali controversie in una formazione ampliata. |
34. |
Ciò detto, come dimostreranno le considerazioni dedicate all’esame dell’impugnazione principale, ritengo che gli argomenti esposti dal Consiglio e dalla Commissione a sostegno del primo motivo, relativo, in sostanza, all’erronea interpretazione dell’articolo 263, quarto comma, TFUE, e, pertanto, all’irricevibilità del ricorso della GE e della RFA in primo grado, siano a tal punto fondati da imporre l’annullamento della sentenza impugnata. |
35. |
Il Consiglio, sostenuto dalla Commissione, articola tre motivi a sostegno dell’impugnazione principale. Il primo, come già precisato, attiene alla ricevibilità del ricorso di primo grado proposto dalla GE e dalla RFA in nome dei quattro produttori americani inclusi nel campione, mentre gli altri due motivi riguardano il merito della controversia, ossia l’interpretazione e l’applicazione dell’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base accolte dal Tribunale. La Commissione aggiunge tuttavia, nella propria comparsa di risposta, che il Tribunale avrebbe dovuto dichiarare il ricorso di primo grado irricevibile in quanto la GE e la RFA, avuto riguardo al loro oggetto statutario, non avrebbero potuto validamente rappresentare i loro membri. |
36. |
Nella loro impugnazione incidentale, la GE e la RFA deducono due motivi di natura procedurale, con cui viene contestato al Tribunale di aver, da un lato, limitato il perimetro della loro legittimazione ad agire, in nome proprio, alla tutela delle garanzie procedurali accordate dal regolamento di base e, dall’altro, di aver negato la legittimazione ad agire della GE e della RFA in nome dei loro membri diversi dai quattro produttori americani inclusi nel campione. |
37. |
L’ordine di esame delle questioni sollevate da tali impugnazioni sarà il seguente. Analizzerò, in primo luogo, la censura formulata dalla Commissione nei confronti del Tribunale, secondo cui quest’ultimo avrebbe erroneamente omesso di rilevare il difetto di rappresentatività della GE e della RFA, che avrebbe inciso sulla ricevibilità del loro ricorso in primo grado (sezione A). In secondo luogo, verrà esaminato il primo capo del primo motivo dedotto dal Consiglio a sostegno dell’impugnazione principale, relativo all’erronea interpretazione dell’articolo 263, quarto comma, TFUE e alla violazione dell’obbligo di motivazione (sezione B), la quale deve, a mio avviso, essere accolta. In terzo luogo, dopo aver respinto succintamente l’eccezione sollevata dalla Commissione in relazione all’irricevibilità dell’impugnazione incidentale della GE e della RFA, esaminerò i due motivi ivi articolati (sezione C), di cui uno dei capi dev’essere, a mio avviso, parimenti accolto. Infine, in quarto luogo, e in subordine, verranno analizzati, in ordine successivo, i due motivi dell’impugnazione principale relativi all’erronea interpretazione e all’erronea applicazione dell’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base (sezioni D e E). |
A. Sull’eccezione della Commissione concernente la ricevibilità del ricorso di primo grado della GE e della RFA, relativa alla mancata dichiarazione, da parte del Tribunale, del difetto di rappresentatività o del diritto ad agire di tali associazioni
1. Argomenti delle parti
38. |
La Commissione sostiene che il ricorso di primo grado avrebbe dovuto essere dichiarato irricevibile, in quanto gli statuti della GE e della RFA non avrebbero consentito loro di difendere gli interessi commerciali di un determinato settore e/o dei loro membri, motivo di irricevibilità che la Corte sarebbe peraltro tenuta ad esaminare d’ufficio. |
39. |
A tal riguardo, la Commissione deduce che, descrivendo la GE e la RFA come «associazioni che rappresentano i produttori americani di bioetanolo» (punto 1 della sentenza impugnata) e successivamente come «associazioni che rappresentano gli interessi dell’industria americana del bioetanolo» (punto 42 della sentenza impugnata), il Tribunale ha snaturato i fatti. Le due associazioni, in quanto associazioni senza scopo di lucro secondo il District of Columbia Non‑Profit Corporation Act (legge sulle associazioni senza scopo di lucro del District della Columbia), non potrebbero infatti svolgere attività di difesa degli interessi commerciali di un determinato settore e/o dei loro membri. |
40. |
Un’attività di tal genere sarebbe inoltre incompatibile, secondo la Commissione, con l’obiettivo specifico della GE, consistente nel «promuovere l’etanolo come fonte di energia rinnovabile, autonoma e durevole» nonché con l’oggetto sociale della RFA, il quale consiste nel «promuovere e accompagnare lo sviluppo di un’industria nazionale dei carburanti rinnovabili sostenibile e competitiva» ed escluderebbe, pertanto, la difesa degli interessi commerciali dei suoi membri nel territorio di entità o paesi terzi. Del resto, la GE e la RFA non avrebbero minimamente cercato di far valere che il loro ricorso in primo grado si sarebbe collocato nell’ambito dei loro obiettivi statutari, avendo il Tribunale rilevato, al contrario, al punto 75 della sentenza impugnata, che la finalità della loro azione giudiziaria consisteva nel «proteggere l’industria americana dell’etanolo». |
41. |
La GE e la RFA replicano che la Commissione, in quanto «altra parte» nell’impugnazione, non potrebbe validamente sostenere, in tale fase, lo snaturamento degli elementi di prova, non invocato al riguardo dal Consiglio. Le associazioni medesime aggiungono che il fatto di essere senza scopo di lucro non implica affatto che esse non possano difendere gli interessi commerciali di un determinato settore e/o dei loro membri. Per quanto riguarda la RFA, esse precisano che la Commissione ha arbitrariamente concluso che l’oggetto sociale di tale associazione sarebbe stato circoscritto a considerazioni nazionali escludendo la difesa degli interessi commerciali dei suoi membri nei paesi terzi. Orbene, la promozione di un’industria nazionale sarebbe parimenti connessa alla sua crescita, inclusa l’esportazione, il che rientrerebbe certamente nella missione della RFA. |
2. Valutazione
42. |
Ricordo che, ai sensi dell’articolo 174 del regolamento di procedura della Corte, le conclusioni della comparsa di risposta tendono all’accoglimento o al rigetto, totale o parziale, dell’impugnazione. Inoltre, a norma degli articoli 172 e 176 del regolamento medesimo, le parti autorizzate a depositare una comparsa di risposta possono presentare, mediante atto separato e distinto dalla comparsa di risposta, un’impugnazione incidentale, la quale, in forza del successivo articolo 178, paragrafi 1 e 3, secondo periodo, deve tendere all’annullamento, totale o parziale, della sentenza impugnata, sulla base di motivi e argomenti di diritto distinti da quelli dedotti nella comparsa di risposta. |
43. |
Come già dichiarato dalla Corte, risulta pertanto dal combinato disposto di tali disposizioni che la comparsa di risposta non può essere intesa all’annullamento della sentenza impugnata per motivi distinti e autonomi da quelli dedotti nell’impugnazione, in quanto motivi di tal genere possono essere fatti valere solo nell’ambito di un’impugnazione incidentale ( 8 ). |
44. |
Nella propria comparsa di risposta, la Commissione contesta al Tribunale di avere riconosciuto, al punto 45 della sentenza impugnata, che la GE e la RFA erano titolari del diritto di agire in nome dei produttori americani di bioetanolo in violazione manifesta degli statuti delle due associazioni stesse. |
45. |
Per quanto il Consiglio contesti effettivamente la legittimazione della GE e della RFA ad agire in nome dei quattro produttori americani di bioetanolo inclusi nel campione, le sue censure vertono sul riconoscimento, da parte del Tribunale, del fatto che questi quattro produttori sarebbero direttamente ed individualmente interessati, ai sensi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE, e non, come sostenuto dalla Commissione nella propria comparsa di risposta, sulla capacità della GE e della RFA di rappresentare l’industria americana del bioetanolo. |
46. |
Nella propria comparsa di risposta, la Commissione deduce dunque chiaramente un motivo distinto e autonomo di annullamento parziale della sentenza impugnata rispetto a quello dedotto nell’impugnazione principale ( 9 ). Di conseguenza, tale motivo di annullamento parziale della sentenza impugnata avrebbe dovuto essere dedotto, con atto separato, nell’ambito di un’impugnazione incidentale, ai sensi degli articoli 176 e 178 del regolamento di procedura della Corte. |
47. |
Tuttavia, il motivo relativo all’irricevibilità del ricorso in primo grado delle due associazioni, dedotto dalla Commissione, è innegabilmente un motivo di ordine pubblico. Esso può, anzi deve, essere sollevato d’ufficio dal giudice dell’Unione ( 10 ). |
48. |
Pertanto, ritengo che la Corte non possa dichiarare irricevibile la censura mossa dalla Commissione nei confronti della sentenza impugnata, secondo cui il Tribunale avrebbe snaturato gli statuti della GE e della RFA riconoscendo, in sostanza, che la difesa degli interessi collettivi dei produttori americani di bioetanolo sarebbe rientrato nell’oggetto sociale delle associazioni medesime. |
49. |
Ciò premesso, ritengo che la Commissione non abbia dimostrato che il Tribunale abbia snaturato i fatti, nella specie l’oggetto sociale della GE e della RFA. |
50. |
Da un lato, la mera circostanza, menzionata dalla Commissione, che delle associazioni, in forza dei loro statuti, non abbiano uno scopo di lucro, non significa che sia vietato loro di rappresentare gli interessi di un’industria, anche in giudizio, come riconosciuto dal Tribunale. L’assenza di scopo di lucro delle associazioni si riferisce generalmente al divieto di realizzare e/o distribuire profitti ai loro membri, e la Commissione non ha dimostrato che la situazione sarebbe diversa nel caso della GE e della RFA, come osservato dalle medesime nella loro replica depositata nell’ambito dell’impugnazione incidentale. |
51. |
Dall’altro, non posso condividere l’argomento della Commissione, secondo cui sarebbe «manifesto che la protezione dell’industria americana dell’etanolo a fronte delle misure di difesa commerciale adottate dal[l’Unione] non rientra nell’oggetto [sociale delle due associazioni]» in quanto il loro oggetto sociale sarebbe circoscritto a considerazioni nazionali. Infatti, l’oggetto sociale di ciascuna delle associazioni, riprodotto parzialmente dalla Commissione nella propria comparsa di risposta, è enunciato in maniera sufficientemente ampia da inglobare un’azione giudiziaria in nome dei produttori di bioetanolo americani, come quella proposta dalle medesime dinanzi al Tribunale. Ciò vale sicuramente per lo statuto della GE, il quale precisa che tale associazione effettua qualsiasi azione necessaria, adeguata, raccomandata e opportuna per la realizzazione del suo scopo e qualsiasi altra azione accessoria e connessa ai suoi obiettivi. Quanto alla RFA, ritengo che lo snaturamento dei fatti addotto dalla Commissione non possa essere dimostrato dal fatto che l’oggetto sociale di tale associazione consiste nel promuovere e nell’accompagnare lo sviluppo di un’industria nazionale dei carburanti rinnovabili competitiva. Al contrario, a mio avviso, la protezione di tale industria nei confronti di misure antidumping adottate da un’entità terza, come l’Unione, idonee ad incidere sulla medesima, può, con ogni probabilità, contribuire ad assicurare lo sviluppo competitivo dell’industria americana dei carburanti rinnovabili, come il bioetanolo, ed essere conforme all’oggetto sociale di tale associazione. |
52. |
Suggerisco pertanto di dichiarare in ogni caso infondata l’eccezione della Commissione concernente il difetto di rappresentatività e della legittimazione ad agire della GE e della RFA in nome dei produttori americani di bioetanolo, sollevata nella sua comparsa di risposta. |
B. Sul primo motivo dell’impugnazione principale, relativo all’erronea interpretazione dell’articolo 263, quarto comma, TFUE e alla violazione dell’obbligo di motivazione
53. |
In sostanza, tale motivo si articola su due capi. Con il primo capo del primo motivo, il Consiglio sostiene che, concludendo nel senso che i quattro produttori inclusi nel campione, rappresentati dalla GE e dalla RFA, sarebbero stati direttamente interessati dal regolamento controverso, il Tribunale avrebbe travisato l’interpretazione di tale requisito imposto dall’articolo 263, quarto comma, TFUE. Con il secondo capo, il Consiglio contesta al Tribunale di avere erroneamente interpretato il requisito di essere individualmente interessati, ai sensi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE, senza spiegare né dimostrare il motivo per il quale i quattro produttori inclusi nel campione possedessero qualità che li avrebbero distinti da altri produttori americani di bioetanolo. |
54. |
Come già osservato, ritengo che il primo capo dedotto dal Consiglio debba essere accolto, il che, alla luce del carattere cumulativo delle due condizioni di ricevibilità enunciate all’articolo 263, quarto comma, TFUE, rende necessariamente superfluo l’esame del secondo capo. |
1. Sintesi del ragionamento delle parti relativo al primo capo del primo motivo, inerente ad errori di diritto insiti nella conclusione secondo cui i quattro produttori inclusi nel campione, rappresentati dalla GE e dalla RFA, sarebbero stati direttamente interessati dal regolamento controverso
55. |
Il Consiglio, sostenuto dalla Commissione, afferma che il Tribunale, rilevando non che il regolamento controverso producesse direttamente effetti sulla situazione giuridica dei quattro produttori inclusi nel campione, rappresentati dalla GE e dalla RFA, bensì mettendo in evidenza, tutt’al più, un effetto indiretto sulla situazione economica di quegli operatori che non esportano i loro prodotti sul mercato dell’Unione, avrebbe violato il requisito di essere direttamente riguardati ai sensi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE, come interpretato dalla Corte. Orbene, secondo le istituzioni, la Corte avrebbe già respinto, segnatamente nella sentenza del 28 aprile 2015, T & L Sugars e Sidul Açúcares/Commissione (C‑456/13 P, EU:C:2015:284), la tesi secondo cui, per rispondere al requisito di essere direttamente riguardati, sarebbe sufficiente dimostrare che la misura controversa comporti conseguenze meramente economiche oppure uno svantaggio concorrenziale. Nella specie, gli errori di diritto commessi dal Tribunale risulterebbero, in particolare, dai punti 110, 111, 114, 116 e 117 della sentenza impugnata. La Commissione aggiunge che, nell’applicare la giurisprudenza relativa al requisito di essere direttamente interessati, il Tribunale, ai punti da 93 a 104 della sentenza impugnata, avrebbe erroneamente ritenuto sufficiente, al fine di dimostrare l’interesse diretto, che i quattro produttori inclusi nel campione avessero fabbricato un prodotto che, in caso di esportazione da parte di un terzo nell’Unione, sarebbe stato soggetto ad un dazio antidumping. Tale impostazione equivocherebbe ciò che è diretto da ciò che è indiretto e ciò che giuridico da ciò che è economico. Secondo la Commissione, il tentativo della GE e della RFA, nelle proprie memorie dinanzi alla Corte, di confondere il contenuto in punto di fatto della sentenza impugnata non modificherebbe affatto tale giudizio. |
56. |
La GE e la RFA replicano, in primo luogo, che il Consiglio invita la Corte a procedere ad una nuova valutazione degli accertamenti di fatto compiuti dal Tribunale, il che non rientra nella competenza del giudice dell’impugnazione. Tali censure, concernenti le valutazioni in punto di fatto operate dal Tribunale ai punti 103 e 114 della sentenza impugnata, sarebbero pertanto irricevibili. In secondo luogo, la GE e la RFA ritengono che il fatto che considerevoli quantità di bioetanolo prodotte dai quattro produttori inclusi nel campione siano state esportate nell’Unione e il fatto che essi siano stati identificati come produttori/esportatori nel regolamento controverso, fossero sufficienti affinché il Tribunale dichiarasse tali operatori direttamente interessati dal regolamento de quo. Il Tribunale avrebbe correttamente rilevato che i quattro produttori inclusi nel campione erano produttori americani di bioetanolo che esportavano la loro produzione verso l’Unione e che, dal momento che i dazi antidumping hanno gravato tale produzione, essi hanno inciso sulla situazione giuridica delle società medesime. In ogni caso, nella misura in cui i produttori inclusi nel campione sapevano che le loro vendite erano destinate all’Unione e avevano dunque un prezzo all’esportazione, l’assenza di vendita diretta non sarebbe rilevante. Secondo la GE e la RFA, un esportatore potenziale del prodotto in esame nell’Unione sarebbe riguardato in modo altrettanto diretto. Inoltre, la giurisprudenza della Corte richiamata dalle istituzioni a sostegno della loro tesi non sarebbe rilevante, in quanto essa non avrebbe ad oggetto il criterio di essere direttamente riguardati o atterrebbe a situazioni di fatto non paragonabili. |
2. Valutazione
57. |
Come ricordato correttamente dal Tribunale al punto 67 della sentenza impugnata, punto che è peraltro pacifico nella specie, la nozione di essere direttamente interessati ai sensi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE, richiede la compresenza di due criteri cumulativi. Da un lato, l’atto controverso deve produrre effetti direttamente sulla situazione giuridica del soggetto che chiede l’annullamento. Dall’altro, tale atto non deve lasciare ai destinatari di tale misura, incaricati della sua applicazione, alcun potere discrezionale, avendo carattere meramente automatico e derivando dalla sola normativa dell’Unione, senza intervento di altre norme intermedie ( 11 ). |
58. |
Nella specie, soltanto l’applicazione del primo criterio, ossia gli effetti diretti del regolamento controverso sulla situazione giuridica dei quattro produttori inclusi nel campione, è oggetto delle censure formulate dal Consiglio e dalla Commissione nei confronti della sentenza impugnata. |
59. |
A tal riguardo, devono anzitutto essere respinte le affermazioni della GE e della RFA secondo cui il primo capo del primo motivo dell’impugnazione del Consiglio sarebbe inteso a rimettere in discussione dinanzi alla Corte i rilievi e le valutazioni in fatto operati dal Tribunale. |
60. |
Infatti, come illustrerò più dettagliatamente in prosieguo, il Consiglio sembra compiere una lettura del tutto corretta delle premesse in punto di fatto sulle quali il Tribunale ha fondato il proprio ragionamento giuridico secondo cui i quattro produttori inclusi nel campione sarebbero stati direttamente interessati dal regolamento controverso, conclusione che viene contestata dalle istituzioni. Piuttosto, sono, al contrario, la GE e la RFA che, in vari passi nelle loro memorie, tentano di deformare i rilievi e le valutazioni in fatto operati dal Tribunale nella sentenza impugnata. |
61. |
Mi spiego. |
62. |
Le parti nella controversia dinanzi al Tribunale hanno dibattuto a lungo la questione se i quattro produttori inclusi nel campione durante l’inchiesta esportassero la loro produzione di bioetanolo nell’Unione, oppure se, al contrario, tali esportazioni fossero effettuate dagli operatori commerciali/miscelatori indipendenti. |
63. |
Come rammentato dal Tribunale al punto 94 della sentenza impugnata, il regolamento controverso precisava che, dal momento che nessuno dei quattro produttori inclusi nel campione ha esportato direttamente bioetanolo nel mercato dell’Unione, le loro vendite vengono effettuate nel mercato interno (americano) ad operatori commerciali/miscelatori indipendenti che hanno successivamente miscelato il bioetanolo con la benzina per rivenderlo nel mercato interno o esportarlo, in particolare verso l’Unione. |
64. |
Il Tribunale, in esito ad una serie di rilievi compiuti ai punti da 95 a 102 della sentenza impugnata, i quali non vengono rimessi in discussione nella presente impugnazione, ha tratto la conclusione, al successivo punto 103, che «è stato accertato in maniera sufficiente che i volumi estremamente considerevoli di bioetanolo acquistati durante il periodo di inchiesta dagli otto operatori commerciali/miscelatori indagati presso i [quattro] produttori americani di bioetanolo inclusi nel campione sono stati in gran parte esportati verso l’Unione (…)». |
65. |
Utilizzando una forma impersonale e indiretta, che compare peraltro già al precedente punto 97 [«(…) un volume significativo di bioetanolo proveniente dai quattro produttori inclusi nel campione era stato esportato in maniera regolare nell’Unione durante il periodo d’inchiesta»], il Tribunale non ha dichiarato, neanche implicitamente, e contrariamente a quanto sostenuto dalla GE e dalla RFA dinanzi alla Corte, che tali società esportassero direttamente la propria produzione nell’Unione. |
66. |
Infatti, dal punto 103 richiamato supra risulta necessariamente che il Tribunale ha riconosciuto che il bioetanolo prodotto dai quattro produttori inclusi nel campione era stato «acquistato» dagli operatori commerciali/miscelatori indipendenti indagati prima di essere esportato in gran parte verso l’Unione da questi ultimi. Come osservato dalla Commissione, il Tribunale si è dunque limitato a rilevare che del bioetanolo prodotto dai quattro produttori inclusi nel campione era stato indirettamente acquistato sul mercato dell’Unione, vale a dire tramite gli operatori commerciali/miscelatori, dopo che essi l’avevano miscelato con la benzina. |
67. |
Nessun passo della sentenza impugnata suggerisce che il Tribunale avrebbe riconosciuto ai produttori americani di bioetanolo lo status di esportatore. La mancanza di riconoscimento di tale status risulta espressamente dal punto 110 della sentenza impugnata, in cui il Tribunale ha osservato che un produttore può risultare «sostanzialmente pregiudicato» dall’imposizione di dazi antidumping su prodotti importati nell’Unione, «anche se non ha la qualità di esportatore di detti prodotti». Essa è inoltre confermata dal punto 111 di detta sentenza, secondo il quale i quattro produttori inclusi nel campione «producevano il bioetanolo allo stato puro durante periodo di inchiesta e che sono i loro prodotti ad essere stati miscelati con la benzina e esportati verso l’Unione dagli operatori commerciali/miscelatori». |
68. |
Ne consegue che, contrariamente a quanto asserito dalla GE e dalla RFA, il Consiglio, come la Commissione, non invita affatto la Corte ad effettuare una nuova valutazione dei fatti. Tali istituzioni procedono, al contrario, ad una lettura fedele dei punti rilevanti della sentenza impugnata. |
69. |
Le censure del Consiglio, al pari di quelle della Commissione, si limitano a contestare la deduzione giuridica effettuata dal Tribunale, secondo la quale, in sostanza, l’istituzione dei dazi antidumping prevista dal regolamento controverso ha riguardato direttamente la situazione giuridica dei quattro produttori inclusi nel campione a causa del loro status di produttore americano di bioetanolo, una parte della cui produzione è stata in esportata nell’Unione. |
70. |
Orbene, ritengo che tali censure siano fondate, in quanto i motivi dedotti dal Tribunale per concludere che il regolamento controverso riguardasse direttamente la situazione giuridica di questi quattro operatori sono, a mio avviso, insufficienti ed erronei. |
71. |
Rammento anzitutto che il Tribunale, al punto 104 della sentenza impugnata, ha desunto dalle valutazioni contenute ai precedenti punti da 97 a 103 che i quattro produttori inclusi nel campione fossero direttamente interessati, ai sensi segnatamente della giurisprudenza menzionata al punto 67 della sentenza medesima, mentre, ai successivi punti da 106 a 117 di questa stessa sentenza, esso ha respinto una ad una le obiezioni dedotte dal Consiglio e dalla Commissione avverso tale conclusione. |
72. |
I punti da 97 a 102 della sentenza impugnata si limitano a considerazioni relative alla destinazione, al volume e alle caratteristiche della produzione di bioetanolo dei quattro produttori americani inclusi nel campione. Come menzionato supra, al successivo punto 103 il Tribunale ha desunto da tali considerazioni che sarebbe stato accertato in maniera sufficiente che volumi estremamente considerevoli di bioetanolo acquistati dagli operatori commerciali/miscelatori indipendenti presso i produttori inclusi nel campione sarebbero stati in gran parte esportati verso l’Unione. |
73. |
Anche se tali valutazioni di ordine economico non sono inesatte e in ogni caso non vengono contestate dal Consiglio, esse sono tuttavia insufficienti a dimostrare, come rilevato sostanzialmente dal Tribunale al punto 104 della sentenza impugnata, che i dazi antidumping istituiti dal regolamento controverso riguardassero direttamente la situazione giuridica dei quattro produttori inclusi nel campione. |
74. |
Infatti, il rilievo secondo cui, prima dell’introduzione dei dazi antidumping, la produzione di bioetanolo dei produttori inclusi nel campione avrebbe raggiunto il mercato dell’Unione tramite gli operatori commerciali/miscelatori indipendenti, dopo essere stata miscelata con la benzina, non significa ancora che sia stato dimostrato che la situazione giuridica dei quattro produttori inclusi nel campione sia stata modificata dall’istituzione di tali dazi. |
75. |
Un’affermazione in tal senso fa supporre che qualsiasi produttore di un paese terzo, i cui prodotti raggiungano il mercato dell’Unione, sia direttamente interessato, ai sensi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE, come interpretato dalla Corte, dall’istituzione di dazi antidumping che gravino su detti prodotti. |
76. |
Orbene, si deve rammentare che, secondo la giurisprudenza della Corte, i regolamenti che istituiscono un dazio antidumping hanno, per natura e per portata, carattere normativo, nella misura in cui si applicano alla generalità degli operatori economici, e che è dunque solo a causa di determinate circostanze particolari che le disposizioni di tali regolamenti possono riguardare direttamente (ed individualmente) quelli tra i produttori e gli esportatori del prodotto in parola ai quali vengano attribuite le pratiche di dumping sulla scorta dei dati della loro attività commerciale ( 12 ). |
77. |
La mera circostanza che un prodotto raggiunga il mercato dell’Unione, fosse anche con un volume significativo, non è sufficiente a ritenere che, una volta che tale prodotto venga colpito dall’istituzione di un dazio antidumping, il dazio stesso incida direttamente sulla situazione giuridica del suo produttore. |
78. |
Se così fosse, il carattere normativo dei regolamenti antidumping sarebbe privato di qualsiasi fondamento. In altri termini, ciascun produttore di un prodotto oggetto di un dazio antidumping verrebbe automaticamente considerato, per definizione, a causa della sua qualità oggettiva di produttore di detto prodotto, direttamente interessato dal regolamento che ha istituito tale dazio. |
79. |
Il fatto che tale produttore abbia partecipato all’inchiesta venendo incluso nel campione utilizzato nell’ambito del procedimento sfociato nell’adozione del regolamento controverso non modifica tale valutazione. Infatti, l’inclusione di un’impresa in un campione rappresentativo nell’ambito dell’inchiesta condotta dalla Commissione può tutt’al più costituire un indizio del fatto che l’operatore sia individualmente interessato ( 13 ). Ciò non implica che tale produttore veda la propria situazione giuridica direttamente pregiudicata dall’istituzione di dazi antidumping definitivi in esito a tale inchiesta. |
80. |
La conclusione cui il Tribunale è prematuramente pervenuto al punto 104 della sentenza impugnata mi sembra tanto più censurabile in quanto, al contempo, il Tribunale non ha mai contraddetto l’affermazione contenuta nel regolamento controverso, e richiamata al punto 94 della sentenza impugnata, secondo la quale i produttori in questione avrebbero effettuato le loro vendite nel mercato interno (americano) agli operatori commerciali/miscelatori indipendenti ai fini sia della rivendita nel mercato interno americano da parte di questi ultimi sia dell’esportazione, né quella, parimenti richiamata al punto 102 della sentenza impugnata, secondo la quale non sarebbe stato possibile confrontare i valori normali con i prezzi all’esportazione corrispondenti, rilievi che avvalorano la tesi delle istituzioni, secondo la quale i produttori inclusi nel campione avrebbero venduto la loro produzione sul mercato interno americano a detti operatori commerciali/miscelatori senza avere alcuna influenza sulla destinazione e determinazione dei prezzi delle vendite all’esportazione. |
81. |
Non persuadono neanche le valutazioni effettuate ai punti da 107 a 110 e da 114 a 117 della sentenza impugnata, sotto forma di rigetto degli argomenti esposti dal Consiglio e dalla Commissione sulla conclusione cui è pervenuto il Tribunale al precedente punto 104. |
82. |
In primis, le considerazioni del Tribunale, svolte ai punti da 107 a 110 della sentenza stessa, secondo le quali, in sostanza, l’incidenza diretta nei confronti di un operatore in forza di un regolamento che impone dazi antidumping non dipenderebbe dal suo status di produttore o di esportatore, in quanto un produttore privo della qualità di esportatore dei prodotti esportati gravati da un dazio antidumping potrebbe risultare «sostanzialmente pregiudicato» dall’imposizione di un dazio di tal genere sul prodotto de quo, non rispondono, in definitiva, alla questione se la situazione giuridica dei quattro produttori inclusi nel campione fosse direttamente interessata per effetto dell’imposizione dei dazi antidumping da parte del regolamento controverso. |
83. |
Sono effettivamente incline a riconoscere che il mero status di produttore di un operatore non sia sufficiente ad escludere ipso iure la sussistenza del requisito che l’operatore stesso sia direttamente interessato, ai sensi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE. |
84. |
Tuttavia, il Tribunale ha omesso di spiegare le ragioni per le quali un produttore di un paese terzo, che venda unicamente i propri prodotti nel mercato interno di detto paese ad altri operatori i quali, dopo avere aggiunto un’altra sostanza, rivendano direttamente il prodotto in tale mercato interno, o lo esportino, possa vedere la sua situazione giuridica direttamente modificata dall’istituzione di dazi antidumping sul prodotto medesimo, applicabile nel mercato dell’Unione. A tal riguardo, il fatto che, al punto 110 della sentenza impugnata, il Tribunale abbia utilizzato la locuzione «sostanzialmente pregiudicato», la quale si riferisce al requisito di essere individualmente interessati, e non a quello di essere direttamente interessati, sembra denotare non solo un’approssimazione di natura terminologica, bensì, molto più fondamentalmente, l’assenza di un esame vero e proprio dell’impatto dell’imposizione dei dazi antidumping sulla situazione giuridica dei produttori americani di bioetanolo inclusi nel campione, il quale è relativo al requisito degli effetti diretti ai sensi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE, nonché dell’argomento delle istituzioni, secondo il quale il regolamento controverso si limiterebbe ad esplicare effetti indiretti, di ordine economico, sulla situazione di tali produttori. |
85. |
In secundis, considerazioni dello stesso tipo valgono per le valutazioni del Tribunale contenute ai punti da 114 a 116 della sentenza impugnata. |
86. |
In primo luogo, al punto 114 di tale sentenza, il quale merita di essere riprodotto integralmente, il Tribunale precisa che «(…) anche ammesso che gli operatori commerciali/miscelatori sopportino il dazio antidumping e che sia accertato che la catena commerciale del bioetanolo venga interrotta in modo tale che essi non siano in grado di ripercuotere il dazio antidumping sui produttori, occorre cionondimeno ricordare che l’istituzione di un dazio antidumping muta le condizioni, previste dalla legge, alle quali la commercializzazione del bioetanolo prodotto dai quattro produttori inclusi nel campione avrà luogo sul mercato dell’Unione. Di conseguenza, la posizione legale dei produttori in questione sul mercato dell’Unione sarà, in ogni caso, pregiudicata direttamente e sostanzialmente». Inoltre, al successivo punto 115, il Tribunale ha parimenti respinto l’argomento, dedotto dalla Commissione, concernente l’effetto unicamente indiretto dell’imposizione dei dazi antidumping sulla situazione dei quattro produttori inclusi nel campione, rilevando che la Commissione è incorsa in errore nel «negare che un’impresa della catena commerciale diversa dall’esportatore il quale, secondo quanto è stato accertato, pratica il dumping possa opporsi a un dazio antidumping. (…)». |
87. |
Detti punti della sentenza impugnata mi sembrano contenere due errori di diritto. |
88. |
Da un lato, il Tribunale omette di spiegare in qual modo un produttore di un paese terzo, come ciascuno dei quattro produttori inclusi nel campione, il quale venda unicamente il proprio prodotto nel mercato interno di detto paese ad operatori indipendenti, i quali, secondo quanto è stato accertato, praticano il dumping, possa essere pregiudicato nella sua posizione giuridica dall’imposizione di dazi antidumping che gravano sul prodotto esportato dagli operatori indipendenti stessi, sebbene questi ultimi non possano ripercuotere i dazi antidumping su tale produttore. |
89. |
In altri termini, se, nell’ipotesi esaminata dal Tribunale ai punti 114 e 115 della sentenza impugnata, è pur vero che gli operatori commerciali/miscelatori praticano il dumping e sopportano integralmente i dazi antidumping imposti dal regolamento controverso sul mercato dell’Unione, non vedo come l’applicazione di tali dazi possa riguardare direttamente la situazione giuridica dei produttori del prodotto in questione, i quali vendono il prodotto stesso esclusivamente sul mercato interno americano. |
90. |
È ben vero che, in un’ipotesi del genere, è possibile, come sostenuto dalla Commissione, che l’imposizione dei dazi antidumping si ripercuota sul volume delle vendite realizzate dai produttori di bioetanolo sul mercato interno americano presso operatori commerciali/miscelatori indipendenti; infatti, questi ultimi possono ridurre i loro acquisti destinati all’esportazione nell’Unione senza essere in grado di compensare tale riduzione con l’aumento dei loro approvvigionamenti destinati al mercato interno americano o a mercati d’esportazione diversi da quello dell’Unione. Tuttavia, tali conseguenze rivestono carattere economico e sono pertanto insufficienti, a mio avviso, a dimostrare che l’imposizione dei dazi antidumping modifichi direttamente la situazione giuridica dei produttori in questione sul mercato dell’Unione. In realtà, in tale fattispecie, e contrariamente a quanto indicato dal Tribunale al punto 76, secondo periodo, della sentenza impugnata, i produttori americani di bioetanolo non hanno una «posizione legale» sul mercato dell’Unione. |
91. |
Dall’altro, il Tribunale, perlomeno implicitamente, sembra dare importanza al fatto che i produttori in questione hanno partecipato all’inchiesta condotta dalla Commissione. Orbene, come già menzionato supra al paragrafo 84, una partecipazione di tal genere può essere rilevante, tutt’al più, nell’ambito della verifica della sussistenza del requisito che l’operatore sia individualmente interessato, ma non nel contesto dell’esame del requisito relativo al fatto di essere direttamente interessati, ai sensi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE. |
92. |
In secondo luogo, neanche le valutazioni effettuate dal Tribunale al punto 116 della sentenza impugnata portano ad invalidare quanto appena detto e a dover dichiarare che il Tribunale avrebbe correttamente concluso che i quattro produttori inclusi nel campione fossero direttamente interessati dal regolamento controverso. |
93. |
Da un lato, è errato asserire, a mio avviso, che «la struttura degli accordi contrattuali fra operatori commerciali all’interno della catena commerciale del bioetanolo non incide affatto sulla questione se il regolamento [controverso] riguardi direttamente un produttore di bioetanolo» e che sostenere il contrario «equivarrebbe a ritenere che solo un produttore che vende direttamente il proprio prodotto all’importatore nell’Unione possa essere direttamente interessato (…), il che non risulta affatto dal regolamento di base». |
94. |
Infatti, la giurisprudenza della Corte, peraltro correttamente richiamata dal Tribunale ai punti 70 e 71 della sentenza impugnata, dimostra che le fattispecie in cui la Corte ha concluso per la ricevibilità dei ricorsi introdotti da operatori economici nei confronti di regolamenti che istituivano dazi antidumping si basavano, segnatamente, sulla considerazione delle peculiarità dei rapporti commerciali con altri operatori, segnatamente ai fini della costruzione del prezzo all’esportazione verso l’Unione. |
95. |
Non comprendo dunque per quale motivo le peculiarità della struttura degli accordi contrattuali fra i produttori americani di bioetanolo e gli operatori commerciali/miscelatori dovrebbero sottrarsi a tale logica, quand’anche tale considerazione comportasse la negazione degli effetti diretti nei confronti di detti produttori. |
96. |
D’altronde, non posso condividere l’affermazione secondo cui tale conclusione equivarrebbe ad ammettere che un produttore sarebbe direttamente interessato soltanto qualora quest’ultimo venda direttamente la propria produzione sul mercato dell’Unione. Sono, infatti, prospettabili altre ipotesi, in funzione, appunto, degli accordi commerciali, come la vendita ad intermediari/esportatori legati al produttore de quo. In ogni caso, il fatto che, come rilevato dal Tribunale, il regolamento di base taccia in proposito è irrilevante, in quanto le condizioni di ricevibilità di un ricorso di annullamento, come quello di specie, sono disciplinate dall’articolo 263, quarto comma, TFUE. |
97. |
Dall’altro, contrariamente a quanto affermato dal Tribunale al punto 116, ultimo periodo, della sentenza impugnata, l’approccio delle istituzioni, al quale aderisco, non ha l’«effetto di restringere la tutela giuridica dei produttori di prodotti gravati da dazi antidumping in funzione della mera struttura commerciale delle esportazioni». |
98. |
Tale approccio si fonda, come ho già detto, sull’esame dei requisiti relativi al fatto che tali produttori siano direttamente interessati, i quali sono disciplinati dall’articolo 263, quarto comma, TFUE. |
99. |
Inoltre, qualora dovesse rilevarsi, come suggerisco, che il Tribunale sia incorso in un errore di diritto nel dichiarare i quattro produttori inclusi nel campione direttamente interessati dal regolamento controverso, ciò non significherebbe che tali produttori siano privati di tutela giuridica. |
100. |
Infatti, ad un operatore, il quale, secondo quanto accertato, non sia stato, senza dubbio alcuno, interessato direttamente e individualmente da un regolamento istitutivo di dazi antidumping, non può essere impedito – neanche, a mio avviso, nell’ambito di un intervento volontario – di eccepire l’invalidità del regolamento stesso dinanzi ad un giudice di uno Stato membro investito di una controversia vertente sui dazi dovuti all’amministrazione doganale o finanziaria competente ( 14 ). |
101. |
Pertanto, il Tribunale, concludendo che il regolamento controverso incideva direttamente sui quattro produttori inclusi nel campione, ha inficiato, a mio avviso, la sentenza impugnata di diversi errori di diritto. |
102. |
Di conseguenza, propongo alla Corte di accogliere il primo capo del primo motivo dell’impugnazione del Consiglio, e di annullare la sentenza impugnata, senza che sia necessario esaminare il secondo capo del motivo medesimo. Analizzerò le conseguenze che devono essere tratte da tale annullamento in relazione alla controversia di primo grado infra al paragrafo 251. |
103. |
Mi preme tuttavia precisare che l’annullamento proposto della sentenza impugnata è soltanto parziale. Esso riguarda, infatti, soltanto la ricevibilità del ricorso di primo grado proposto dalla GE e dalla RFA in nome dei quattro produttori americani di bioetanolo inclusi nel campione e non in nome proprio o in nome dei membri di tali associazioni diversi da detti produttori inclusi nel campione. |
104. |
Occorre pertanto esaminare, a questo punto, la fondatezza delle considerazioni svolte dal Tribunale in merito a tali altri aspetti della ricevibilità del ricorso della GE e della RFA oggetto dell’impugnazione incidentale proposta da queste ultime. |
C. Sull’impugnazione incidentale
105. |
Prima di esaminare i motivi a sostegno dell’impugnazione incidentale depositata dalla GE e dalla RFA, occorre analizzare le eccezioni sollevate dalla Commissione in ordine alla sua ricevibilità. |
1. Sulla ricevibilità dell’impugnazione incidentale
a) Sintesi degli argomenti delle parti
106. |
Nella propria comparsa di risposta e nella propria controreplica all’impugnazione incidentale, la Commissione sostiene, in primo luogo, che l’impugnazione sarebbe irricevibile in quanto presentata da un avvocato subdelegato dall’avvocato incaricato dalla GE e dalla RFA in violazione dell’articolo 44, paragrafo 1, lettera b), del regolamento di procedura della Corte. Secondo la Commissione, la sottodelega non sarebbe autorizzata dal menzionato articolo del regolamento di procedura e, in ogni caso, non sarebbe coperta dal mandato conferito alla sig.ra Vander Schueren dalla GE e dalla RFA per rappresentarle nell’ambito della presente controversia. |
107. |
In secondo luogo, la Commissione afferma che l’impugnazione incidentale proposta dalla GE e dalla RFA sarebbe irricevibile in quanto tali associazioni non sarebbero validamente autorizzate, alla luce dei loro rispettivi statuti, a rappresentare gli interessi commerciali dei loro membri. |
108. |
La GE e la RFA contestano questi due argomenti. |
b) Valutazione
109. |
Indipendentemente dalla questione se la Commissione – la quale, nella specie, non è né la parte che ha depositato l’impugnazione principale né l’istituzione che ha adottato il regolamento controverso, e la quale non è pertanto, diversamente dal Consiglio, «convenuto» nell’ambito dell’impugnazione incidentale – sia legittimata, in via autonoma, a sollevare un’eccezione di irricevibilità non formulata dal Consiglio, le sue eccezioni in merito alla ricevibilità dell’impugnazione incidentale devono essere, a mio avviso, respinte. |
110. |
Quanto al primo argomento, ricordo che, ai sensi dell’articolo 119, paragrafo 2, del regolamento di procedura della Corte, applicabile all’impugnazione incidentale in forza dell’articolo 177, paragrafo 2, del regolamento medesimo, gli avvocati sono tenuti a depositare in cancelleria un atto ufficiale oppure una procura rilasciata dalla parte che essi rappresentano. Analogamente, l’articolo 173, paragrafo 2, del regolamento di procedura medesimo, specifica che il precedente articolo 119, paragrafo 2, si applica anche alla comparsa di risposta nell’ambito di un’impugnazione. Inoltre, risulta dall’articolo 44, paragrafo 1, del regolamento di procedura medesimo, che, per beneficiare dei privilegi, immunità e agevolazioni menzionati al precedente articolo 43, gli avvocati devono previamente comprovare la loro qualità mediante una procura rilasciata dalla parte che rappresentano, qualora quest’ultima sia una persona giuridica di diritto privato. |
111. |
Ne consegue che, per rappresentare validamente una parte dinanzi alla Corte, anche nel contesto di un’impugnazione e di un’impugnazione incidentale, un avvocato deve disporre di un documento ufficiale o di una procura rilasciata da detta parte. |
112. |
Senza rimettere in discussione la validità della procura rilasciata dalla GE e dalla RFA alla sig.ra Vander Schueren per rappresentare tali associazioni nell’ambito della presente controversia, la Commissione sostiene che tale avvocato abbia subdelegato la rappresentanza di queste due parti alla sig.ra Peristeraki. |
113. |
Orbene, tale argomento si basa su una lettura erronea dei documenti prodotti dinnanzi alla Corte. Infatti, se è vero che la sig.ra Peristeraki ha depositato, per via elettronica, l’atto introduttivo dell’impugnazione incidentale, utilizzando un conto che le consentiva di accedere all’applicazione informatica denominata «e-Curia» ( 15 ), ciò non toglie che la sig.ra Vander Schueren abbia firmato l’originale dell’impugnazione incidentale, così come, peraltro, la comparsa di risposta all’impugnazione principale. Detto avvocato non ha pertanto subdelegato la procura rilasciatale dalla GE e dalla RFA per rappresentare tali associazioni dinanzi alla Corte. |
114. |
Quanto al secondo argomento dedotto dalla Commissione, neanch’esso può, a mio avviso, trovare accoglimento, in quanto esso potrebbe, tutt’al più, comportare l’irricevibilità del secondo motivo dedotto a sostegno dell’impugnazione incidentale, ma non l’irricivebilità in toto. Infatti, la censura della Commissione è manifestamente inoperante nella parte relativa al primo motivo dell’impugnazione incidentale, concernente le valutazioni del Tribunale relative alla legittimazione ad agire della GE e della RFA non in nome dei loro membri bensì in nome proprio. Per quanto riguarda l’eccezione di irricevibilità del secondo motivo dell’impugnazione incidentale, essa combacia con l’eccezione di irricevibilità, esposta nella comparsa di risposta della Commissione, relativa al difetto di rappresentatività e del diritto ad agire della GE e della RFA in nome dei produttori americani di bioetanolo dinanzi al Tribunale, e della quale ho proposto il rigetto supra, ai paragrafi 50 e 51. Poiché tali considerazioni sono altrettanto valide con riferimento alla ricevibilità dell’impugnazione incidentale depositata dalla GE e dalla RFA, mi permetto dunque di rinviarvi. |
115. |
Di conseguenza, suggerisco alla Corte di respingere l’eccezione sollevata dalla Commissione in merito alla ricevibilità dell’impugnazione incidentale. |
116. |
Occorre dunque esaminare i due motivi dell’impugnazione incidentale. Poiché il secondo di tali motivi interessa, al pari del primo motivo dell’impugnazione principale del Consiglio, la ricevibilità del ricorso di primo grado in nome dei membri della GE e della RFA (nella misura in cui riguarda, in tal caso, i membri di tali associazioni diversi dai quattro produttori americani di bioetanolo inclusi nel campione), propongo di invertire l’ordine di analisi di questi motivi e di iniziare, pertanto, dal secondo. |
2. Sul secondo motivo dell’impugnazione incidentale, relativo ad errori di diritto concernenti il diniego di riconoscere la legittimazione ad agire della GE e della RFA in nome dei loro membri diversi dai quattro produttori americani inclusi nel campione
a) Sintesi degli argomenti delle parti
117. |
La GE e la RFA affermano che il Tribunale, negando loro la legittimazione ad agire in nome dei loro membri diversi dai produttori americani di bioetanolo inclusi nel campione, ossia, in primo luogo, gli operatori commerciali/miscelatori Murex e CHS e, in secondo luogo, gli altri membri non inclusi nel campione, sarebbe incorso in un errore di diritto. |
118. |
Il Tribunale avrebbe anzitutto erroneamente dichiarato, ai punti da 52 a 55 della sentenza impugnata, che la difesa degli interessi della Murex e della CHS non poteva giustificare la ricevibilità del ricorso, dal momento che esse rivestivano meramente la qualità di membro «associato» della GE e della RFA e non avevano dunque diritto di voto. Infatti, secondo la GE e la RFA, la giurisprudenza della Corte che riconosce la legittimazione ad agire delle associazioni non opererebbe alcuna distinzione fra i membri associati e gli altri, affermando al contrario chiaramente la ricevibilità del ricorso proposto da un’associazione agente in nome e per conto di uno o più dei suoi membri, i quali avrebbero potuto presentare essi stessi un ricorso ricevibile. |
119. |
Il Tribunale avrebbe parimenti erroneamente affermato, ai punti da 152 a 154 della sentenza impugnata, che gli altri membri della GE e della RFA non inclusi nel campione dei produttori/esportatori non erano direttamente interessati dal regolamento controverso. |
120. |
La GE e la RFA aggiungono che il Tribunale ha parimenti omesso di esaminare la questione relativa al fatto che fossero individualmente interessate. Orbene, esse sarebbero intervenute nel corso del procedimento in qualità di rappresentanti di tutti i loro membri. |
121. |
Il Consiglio sostiene che il secondo motivo dell’impugnazione incidentale è irricevibile e, in ogni caso, infondato in diritto. Esso sottolinea, anzitutto, che l’esame inteso a stabilire, da un lato, se i membri associati della GE e della RFA abbiano un grado di affiliazione sufficiente affinché le due associazioni possano rappresentarli e, dall’altro, se il regolamento controverso esplichi effetti sui membri delle associazioni non inseriti nel campione dei produttori esportatori, rientra nelle questioni di fatto e non di diritto. Orbene, le due associazioni non avrebbero dimostrato che le valutazioni svolte dal Tribunale, ai punti da 52 a 55 della sentenza impugnata, in ordine ai legami da esse intrattenuti con i loro membri associati, scaturiscano da uno snaturamento degli elementi di prova. Analogamente, il Tribunale si sarebbe limitato, ai punti da 152 a 154 della sentenza impugnata, ad esaminare i fatti, senza affrontare questioni di diritto. |
122. |
In ogni caso, secondo il Consiglio, il Tribunale non sarebbe incorso in un errore di diritto negando la legittimazione ad agire delle due associazioni in nome della Murex e della CHS, sottolineando, a tal riguardo, che la GE e la RFA non hanno menzionato alcun elemento idoneo a dimostrare che la distinzione fra i membri «associati» e gli altri membri di un’associazione era priva di rilevanza ai fini della determinazione della sua legittimazione ad agire. Il Tribunale osserva che, diversamente ragionando, un membro associato di un’associazione che non sarebbe in grado di influire sulle decisioni di quest’ultima potrebbe vedersi coinvolto in un procedimento idoneo a nuocere ai suoi interessi. Analogamente, il Tribunale non avrebbe commesso un errore di diritto neanche negando la legittimazione ad agire delle due associazioni in nome di altri loro membri non inclusi del campione. |
123. |
La Commissione aderisce alla tesi del Consiglio. |
b) Valutazione
124. |
Per quanto riguarda il secondo capo di tale motivo dell’impugnazione incidentale, con il quale la GE e la RFA contestano la conclusione del Tribunale relativa all’irricevibilità del ricorso di primo grado in nome dei produttori americani non inclusi nel campione, esso dev’essere, a mio avviso, logicamente respinto, senza che sia necessario pronunciarsi sulla sua ricevibilità. |
125. |
Infatti, se, come suggerisco alla Corte di dichiarare, il Tribunale, riconoscendo che i quattro produttori americani di bioetanolo inclusi nel campione erano direttamente pregiudicati dal regolamento controverso, è incorso in un errore di diritto, e, come penso e come suggerisco infra al paragrafo 251, il Tribunale avrebbe dovuto constatare l’irricevibilità del ricorso di primo grado, tale rilievo vale, a fortiori, per quanto riguarda il ricorso della GE e della RFA depositato in nome dei produttori americani di bioetanolo non inclusi nel campione. Pertanto, le censure dirette avverso i punti da 151 a 154 della sentenza impugnata non possono trovare accoglimento. |
126. |
Per contro, il primo capo del secondo motivo dell’impugnazione incidentale, con cui viene contestato al Tribunale di avere dichiarato, ai punti da 52 a 55 della sentenza impugnata, l’irricevibilità del ricorso di primo grado proposto dalla GE e dalla RFA in nome dei due operatori commerciali/miscelatori che avevano partecipato all’inchiesta, ossia la Murex e la CHS, appare di meno agevole soluzione e mi sembra, in fin dei conti, fondato. |
127. |
Anzitutto, con buona pace del Consiglio, tale capo è, a mio avviso, ricevibile. |
128. |
Infatti, contrariamente a quanto sostenuto dal Consiglio, la GE e la RFA non contestano affatto il rilievo in punto di fatto compiuto dal Tribunale, secondo cui la Murex e la CHS sarebbero state unicamente membri associati senza diritto di voto all’interno di dette associazioni. Tali associazioni contestano, per contro, al Tribunale di avere introdotto, ai fini della verifica della ricevibilità del ricorso di annullamento di un’associazione rappresentante gli interessi dei suoi membri, un criterio di distinzione fondato, in sostanza, sull’esistenza o meno di un diritto di voto dei suoi membri all’interno degli organi dell’associazione, il quale sarebbe arbitrario e, pertanto, erroneo. Tale questione, che interessa anche la portata del controllo del giudice di primo grado sulla ricevibilità dei ricorsi sottoposti al suo esame, è indubbiamente una questione di diritto, la quale rientra nella competenza della Corte allorché si pronuncia nell’ambito dell’impugnazione. |
129. |
Ciò premesso, il punto di partenza dell’esame del merito della presente parte deve consistere, a mio avviso, nel ricordare che, secondo l’ipotesi in esame, la ricevibilità di un ricorso di un’associazione di categoria incaricata della difesa degli interessi collettivi dei suoi membri dipende dalla legittimazione ad agire individualmente delle imprese che essa rappresenta o di alcune di esse ( 16 ). |
130. |
È pertanto ricevibile, ai sensi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE, il ricorso proposto da un’associazione agente in nome e per conto di uno o più dei suoi membri che avrebbero potuto essi stessi proporre un ricorso ricevibile ( 17 ) e non avendo questi ultimi proposto essi stessi un ricorso, al fine di difendere il/i loro proprio/i interesse/i ( 18 ). |
131. |
La GE e la RFA non rimettono in discussione tale giurisprudenza, cui correttamente anche il Tribunale fa riferimento ai punti 45 e 51 della sentenza impugnata. Tali associazioni si richiamano peraltro a tale giurisprudenza per desumerne che, poiché la qualità di membri, anche «associati», della Murex e della CHS, delle associazioni non era contestata, il Tribunale avrebbe unicamente dovuto verificare se la Murex e la CHS fossero interessate direttamente e individualmente dal regolamento controverso al fine di accertare la ricevibilità del ricorso proposto, in nome proprio, dalla GE e dalla RFA. |
132. |
Alla luce dei vari rilievi compiuti dal Tribunale, sono incline a ritenere che la GE e la RFA abbiano ragione. |
133. |
Ricordo anzitutto che, ai punti 42 e 78 della sentenza impugnata, il Tribunale ha dichiarato correttamente che la GE e la RFA rappresentavano «gli interessi dell’industria americana del bioetanolo». In altre parole, come ho già precisato supra ai paragrafi 50 e 51, il Tribunale ha correttamente ritenuto che l’oggetto statutario di ciascuna di tali associazioni le autorizzasse ad agire per difendere gli interessi collettivi dei loro membri. |
134. |
Inoltre, è pacifico che tanto la Murex quanto la CHS, sebbene possiedano lo status di membro «associato», appartengano, rispettivamente, alla categoria dei «membri» della GE e della RFA e partecipano alle riunioni di tali associazioni. |
135. |
Infine, nessun punto della sentenza impugnata menziona il fatto che la GE e la RFA, le quali hanno partecipato all’inchiesta condotta dalla Commissione, e i cui compiti statutari comprendono la difesa degli interessi collettivi dei loro membri, abbiano dovuto ottenere dai medesimi una procura specifica, a seguito di un voto di questi ultimi, per rappresentarli in giudizio. |
136. |
Al punto 55 della sentenza impugnata, il Tribunale ha tuttavia rilevato che «senza diritto di voto, la CHS e la Murex non hanno la possibilità di far valere i loro interessi nel caso in cui vengano rappresentate dall’associazione di cui trattasi. Considerato tale contesto e in assenza di altri elementi che possano dimostrare che un membro “associato” abbia una siffatta possibilità di far valere i suoi interessi, si deve concludere che, nella specie, [la RFA] non è legittimata ad agire nella misura in cui essa fa valere di rappresentare la CHS e che la [GE] non è legittimata ad agire nei limiti in cui essa fa valere di rappresentare la Murex» ( 19 ). |
137. |
Pervenendo a tale conclusione, il Tribunale ha dunque introdotto, in definitiva, un criterio supplementare rispetto alle condizioni richieste dalla giurisprudenza richiamata supra ai paragrafi 129 e 130, ossia che la GE e la RFA dovevano non solo dimostrare, per agire rispettivamente in nome della Murex e della CHS, che quest’ultime erano interessate direttamente e individualmente dal regolamento controverso, bensì anche, e in via preliminare, che tali operatori, pena l’irricevibilità dell’azione giudiziaria della GE e della RFA, dovevano poter «far valere», all’interno degli organi di dette associazioni, i loro interessi individuali, prima di qualsiasi azione intesa a promuovere gli interessi collettivi che dette associazioni erano incaricate di difendere. |
138. |
Orbene, l’aggiunta, in via giurisprudenziale, di tale criterio ai requisiti di ricevibilità, già sufficientemente rigorosi, previsti all’articolo 263, quarto comma, TFUE, costituisce, a mio avviso, una violazione di tale disposizione, per di più insufficientemente motivata. |
139. |
Inoltre, l’approccio adottato dal Tribunale è tale introdurre una fonte di incertezza giuridica per le persone giuridiche interessate, ovvero di arbitrarietà, come sostenuto dalla GE e dalla RFA. |
140. |
Infatti, tale approccio solleva inevitabilmente la questione dell’individuazione dei suoi limiti e di come dovrebbero essere trattate situazioni analoghe. Quale sarebbe il destino della ricevibilità di un’azione proposta da un’associazione di categoria legittimata a difendere gli interessi collettivi dei suoi membri, uno dei quali, eventualmente, non partecipi alla decisione di proporre un ricorso di annullamento dinanzi al giudice dell’Unione, non vi aderisca o se ne distanzi? Quid parimenti della ricevibilità di un ricorso proposto da un’associazione in nome di suoi membri in grado di esercitare solo parzialmente diritti di voto, su talune decisioni dell’associazione? |
141. |
Inoltre, nel contesto di associazioni i cui statuti sono disciplinati dal diritto di paesi terzi, come nella specie, non è escluso che, qualora l’approccio del Tribunale dovesse essere accolto, considerazioni di ordine pratico, come la mancata conoscenza del diritto di tale paese o le difficoltà di comprensione della lingua o delle lingue ivi parlate, inducono a trattare situazioni identiche in maniera diversa. Si pone pertanto la questione se le istituzioni, e successivamente il Tribunale, sarebbero state semplicemente in grado di valutare nella stessa maniera lo statuto di un’associazione di categoria rappresentante, ad esempio, un’industria tailandese disciplinata dal diritto tailandese. |
142. |
Di conseguenza, alla luce di tali considerazioni, ritengo che, subordinando la ricevibilità del ricorso della GE e della RFA in nome della Murex e della CHS ad un criterio preliminare e supplementare rispetto ai requisiti previsti dall’articolo 263, quarto comma, TFUE, il Tribunale sia incorso in un errore di diritto, il che deve comportare, sul punto, l’annullamento della sentenza impugnata. |
143. |
Esaminerò le conseguenze da trarre da tale annullamento per la controversia in primo grado infra al paragrafo 252. |
3. Sul primo motivo dell’impugnazione incidentale, relativo ad una limitazione erronea del perimetro della legittimazione ad agire in nome proprio delle associazioni GE e RFA
a) Sintesi degli argomenti delle parti
144. |
In primo luogo, la GE e la RFA contestano il rilievo effettuato dal Tribunale al punto 79 della sentenza impugnata, secondo cui il regolamento controverso non avrebbe modificato la loro situazione giuridica, i loro diritti e i loro obblighi. Esse ritengono che un regolamento istitutivo di un dazio antidumping possa incidere sulla situazione giuridica di un singolo diversamente che attraverso il mero pagamento di un dazio antidumping. Esse sottolineano, inoltre, di avere partecipato attivamente al procedimento amministrativo al fine di rappresentare in maniera adeguata i propri membri dinanzi alle istituzioni dell’Unione. La GE e la RFA fanno inoltre valere che il Tribunale avrebbe commesso un errore di diritto nell’escludere, al punto 86 della sentenza impugnata, la rilevanza della sentenza del 24 marzo 1993, CIRFS e a./Commissione (C‑313/90, EU:C:1993:111), sulla base del rilievo che la posizione delle ricorrenti quali associazioni rappresentative non sarebbe stata paragonabile a quella di un negoziatore che agisca formalmente in nome dei suoi membri, come in tale causa. |
145. |
In secondo luogo, la GE e la RFA contestano la conclusione del Tribunale, esposta ai punti 85 e 87 della sentenza impugnata, secondo cui esse potevano essere considerate interessate direttamente e individualmente dal regolamento impugnato soltanto con riguardo al loro decimo motivo di ricorso, inteso alla tutela delle garanzie procedurali loro accordate dall’articolo 6, paragrafo 4, dall’articolo 19, paragrafi 1 e 2, nonché dall’articolo 20, paragrafi 2, 4 e 5, del regolamento di base. |
146. |
Tali associazioni sottolineano che le due sentenze sulle quali il Tribunale si è basato al riguardo, ossia le sentenze del 4 ottobre 1983, Fediol/Commissione (191/82, EU:C:1983:259, punto 31), e del 17 gennaio 2002, Rica Foods/Commissione (T‑47/00, EU:T:2002:7, punto 55), non consentono di dimostrarne la fondatezza. Sebbene sia possibile desumere da tali sentenze che un singolo non può essere interessato individualmente da un atto «a meno che la normativa dell’Unione applicabile non [gli] accordi determinate garanzie procedurali», esse non avvalorano, per contro, la tesi secondo cui tale qualità dovrebbe essere limitata ai soli motivi con cui venga dedotta una violazione dei diritti procedurali. |
147. |
La GE e la RFA ritengono che, una volta accertato che un singolo sia direttamente ed individualmente interessato, il ricorso di quest’ultimo debba essere considerato ricevibile in toto. Tutte le parti interessate ai sensi del regolamento di base, siano esse produttori, esportatori, importatori o loro associazioni rappresentative, godrebbero degli stessi diritti in forza di tale regolamento. |
148. |
Il Consiglio, al quale la Commissione si associa, deduce che il Tribunale, limitando la legittimazione ad agire individualmente delle due associazioni al loro decimo motivo, relativo alla violazione delle loro garanzie procedurali, non è incorso in un errore di diritto. |
b) Valutazione
149. |
In limine, ricordo che, statuendo sull’interesse proprio della GE e della RFA, il Tribunale ha riconosciuto, ai punti 85 e 87 della sentenza impugnata, che tali associazioni erano interessate direttamente e individualmente dal regolamento controverso, nei limiti in cui esse, in quanto parti interessate nel procedimento, beneficiavano delle garanzie procedurali accordate dall’articolo 6, paragrafo 7, dall’articolo 19, paragrafi 1 e 2, nonché dall’articolo 20, paragrafi 2, 4 e 5, del regolamento di base. Il Tribunale ne ha desunto che la GE e la RFA potessero dunque far valere in modo ricevibile solo il decimo motivo del ricorso di primo grado, essendo l’unico motivo inteso alla salvaguardia dei loro diritti procedurali. |
150. |
Occorre rilevare che nessuna delle parti presenti contesta che il Tribunale abbia correttamente ammesso la ricevibilità del decimo motivo del ricorso di primo grado, e neppure la valutazione del Tribunale, secondo la quale soltanto detto motivo era inteso alla salvaguardia dei diritti procedurali riconosciuti nella specie alla GE e alla RFA, conformemente alle menzionate disposizioni del regolamento di base. |
151. |
Per contro, la GE e la RFA contestano al Tribunale di aver limitato il perimetro della ricevibilità della loro azione in nome proprio a detto motivo, mentre, a loro avviso, una volta riconosciuto il loro diritto di ricorso, esse sarebbero autorizzate a contestare la legittimità nel merito del regolamento controverso. |
152. |
A sostegno di tale argomento, la GE e la RFA deducono, in sostanza, tre censure nei confronti della valutazione del Tribunale contenuta ai punti 79, 81 e da 85 a 87 della sentenza impugnata, nessuna delle quali mi sembra fondata. |
153. |
In primo luogo, dev’essere manifestamente respinta, a mio avviso, la censura rivolta al punto 79 della sentenza impugnata, secondo cui il Tribunale avrebbe erroneamente concluso che la GE e la RFA non sarebbero state interessate direttamente dal regolamento controverso nella parte in cui impone dazi antidumping. Infatti, indipendentemente dagli errori di diritto rilevati supra, è evidente, a mio avviso, che, come affermato dal Tribunale, l’imposizione dei dazi antidumping non ha modificato la situazione giuridica della GE e della RFA individualmente, poiché, segnatamente, essa non imporrebbe alcun obbligo a loro carico, non essendo tali associazioni tenute a versare il dazio stesso a titolo individuale. |
154. |
In secondo luogo, per quanto riguarda la censura rivolta ai punti 81 e da 85 a 87 della sentenza impugnata, occorre anzitutto sottolineare che, in conformità alla giurisprudenza richiamata correttamente dal Tribunale al punto 81 della sentenza impugnata, il fatto che una persona sia intervenuta nel processo di adozione di un atto dell’Unione è idoneo a contraddistinguerla rispetto all’atto in questione soltanto nel caso in cui siano state previste garanzie procedurali a favore di tale persona da parte della normativa dell’Unione ( 20 ). |
155. |
È ben vero che, come sostenuto dalla GE e dalla RFA, dalla sentenza del 4 ottobre 1983, Fediol/Commissione (191/82, EU:C:1983:259, punto 31) non si evince espressamente che il fatto di riconoscere tali garanzie procedurali a vantaggio di associazioni, come la GE e la RFA, implichi soltanto la ricevibilità del motivo relativo all’asserita violazione di dette garanzie. |
156. |
Tuttavia, la Corte ha già avuto modo di dichiarare, richiamando detta sentenza e dichiarando manifestamente infondata un’impugnazione, che una persona o un’entità titolare di tale diritto procedurale non può vedersi riconoscere per principio, in presenza di una qualsivoglia garanzia procedurale, la legittimazione ad agire nei confronti di un atto dell’Unione al fine di contestarne la legittimità nel merito ( 21 ). Infatti, come si evince segnatamente dalla sentenza del 4 ottobre 1983, Fediol/Commissione (191/82, EU:C:1983:259, punto 31), la portata esatta del diritto di ricorso di un singolo contro un atto dell’Unione dipende dalla posizione giuridica definita a suo favore dal diritto dell’Unione mirante a tutelare i legittimi interessi così riconosciuti. |
157. |
Ne consegue che il mero fatto di far valere l’esistenza di garanzie procedurali, e sebbene le ricorrenti nell’impugnazione incidentale possano beneficiare a titolo personale di tali garanzie procedurali, non può comportare la ricevibilità del ricorso nella parte in cui esso è fondato su motivi relativi alla violazione di norme sostanziali ( 22 ). |
158. |
Orbene, nella specie, né la GE né la RFA hanno affermato, né a maggior ragione dimostrato, a sostegno della loro impugnazione incidentale, che il regolamento di base conferirebbe alle associazioni rappresentative, in nome proprio, diritti di natura sostanziale, o imporrebbe loro, in nome proprio, obblighi di natura sostanziale, eccedenti le garanzie procedurali loro riconosciute dal regolamento medesimo, e che avrebbero giustificato l’esame, da parte del Tribunale, degli altri motivi del ricorso di primo grado fatti valere da dette associazioni, a titolo individuale, nei confronti della validità nel merito del regolamento controverso. |
159. |
Di conseguenza, la seconda censura sollevata dalla GE e dalla RFA non può, a mio avviso, trovare accoglimento. |
160. |
In terzo luogo, la GE e la RFA contestano al Tribunale di essersi discostato, nella specie, dalla soluzione accolta nella sentenza del 24 marzo 1993, CIRFS e a./Commissione (C‑313/90, EU:C:1993:111, punti da 28 a 30), respingendo la tesi di tali associazioni, secondo la quale esse avrebbero goduto di uno status comparabile a quello di un negoziatore, ai sensi di detta sentenza, il quale le avrebbe pertanto fatto beneficiare della legittimazione ad agire. |
161. |
È ben vero che il ruolo svolto da un’associazione in un procedimento sfociato nell’emanazione di un atto ai sensi dell’articolo 263 TFUE può giustificare la ricevibilità di un ricorso presentato dall’associazione stessa, anche qualora i suoi membri non siano direttamente e individualmente interessati da tale atto, segnatamente quando quest’ultimo abbia inciso sulla sua posizione di negoziatrice ( 23 ). |
162. |
Tuttavia, considerando che la sentenza del 24 marzo 1993, CIRFS e a./Commissione (C‑313/90, EU:C:1993:111) non era applicabile nella specie, ritengo che il Tribunale non abbia commesso alcun errore di diritto. |
163. |
Infatti, occorre ricordare che, nella causa sfociata in tale sentenza, il CIRFS era stato l’interlocutore della Commissione per quanto riguardava l’istituzione di una «disciplina» in materia di aiuti nel settore delle fibre sintetiche, nonché per la proroga e l’adeguamento della stessa e aveva attivamente trattato con la Commissione, durante il procedimento precedente la lite, in particolare presentandole osservazioni scritte e tenendosi in stretto contatto con gli uffici competenti di detta istituzione ( 24 ). |
164. |
Secondo la giurisprudenza della Corte, la causa sfociata nella sentenza del 24 marzo 1993, CIRFS e a./Commissione (C‑313/90, EU:C:1993:111) riguardava quindi una situazione particolare, nella quale il ricorrente occupava una posizione di negoziatore chiaramente circoscritta e intrinsecamente collegata allo scopo stesso della decisione, tale da posizionarlo in una situazione di fatto che lo caratterizzava rispetto a qualsiasi altra persona ( 25 ), situazione di fatto, contemplata nell’ambito dei procedimenti di cui all’articolo 108, paragrafo 2, TFUE, che essa stessa ha qualificato come del tutto particolare, di fatto eccezionale ( 26 ). |
165. |
Orbene, la GE e la RFA non hanno minimamente dimostrato che, in quanto rappresentanti di categoria di un’industria idonea ad essere oggetto di misure antidumping adottate dal Consiglio, la loro situazione sarebbe stata analoga alla situazione eccezionale di negoziatore all’origine della causa sfociata nella sentenza del 24 marzo 1993, CIRFS e a./Commissione (C‑313/90, EU:C:1993:111), come dichiarato correttamente dal Tribunale al punto 86 della sentenza impugnata. |
166. |
Propongo pertanto di respingere la terza censura, nonché il primo motivo dell’impugnazione incidentale in toto. |
167. |
A questo punto, nel caso in cui la Corte, contrariamente a quanto da me suggerito, dovesse decidere di respingere il primo motivo dell’impugnazione principale del Consiglio, occorre esaminare, in subordine, il secondo e il terzo motivo d’impugnazione, entrambi relativi al merito della controversia risolta dal Tribunale. |
D. Sul secondo motivo dell’impugnazione principale, relativo all’erronea interpretazione dell’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base
168. |
In limine, il Consiglio rileva che il Tribunale ha concluso, in esito all’esame compiuto ai punti da 174 a 246 della sentenza impugnata, che le istituzioni erano obbligate, senza alcuna eccezione, a calcolare un tasso del dazio antidumping individuale per ciascun produttore ricompreso nel campione. A suo avviso, né l’accordo antidumping dell’OMC, né l’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base esigono dalle istituzioni che esse facciano l’impossibile, poiché la struttura e le modalità di funzionamento dell’industria del bioetanolo semplicemente non offrono alcuno strumento per calcolare un margine individuale per i quattro produttori inclusi nel campione, rappresentati dalla GE e dalla RFA. |
169. |
Il secondo motivo di impugnazione si articola, in sostanza, su tre capi. Il primo capo attiene ad un errore di diritto, in quanto il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto che l’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base attui gli articoli 6.10 e 9.2 dell’accordo antidumping dell’OMC e debba essere oggetto di un’interpretazione conforme a tali disposizioni, la quale sarebbe contra legem. Con il secondo capo del secondo motivo, il Consiglio contesta al Tribunale di avere snaturato la nozione di «fornitore», figurante all’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base, estendendola ai quattro produttori americani di bioetanolo inclusi nel campione. Infine, con il terzo capo, il Consiglio contesta al Tribunale di avere erroneamente interpretato la locuzione «non sia possibile», di cui all’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base. |
1. Sul primo capo del secondo motivo dell’impugnazione, relativo ad un errore di diritto insito nel rilievo secondo cui l’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base costituirebbe attuazione degli articoli 6.10 e 9.2 dell’accordo antidumping dell’OMC e dovrebbe essere oggetto di un’interpretazione conforme a tali disposizioni
a) Argomenti delle parti
170. |
Secondo il Consiglio, il Tribunale, interpretando l’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base alla luce degli articoli 6.10 e 9.2 dell’accordo antidumping dell’OMC, e fondandosi a tal riguardo sull’intenzione espressa dal legislatore dell’Unione all’atto della modifica del regolamento medesimo nel 2012 al fine di dare attuazione alla decisione dell’organo d’appello dell’organo di conciliazione dell’OMC del 15 luglio 2011 nella causa CE‑elementi di fissaggio (WT/DS397/AB/R) (in prosieguo: la «relazione “elementi di fissaggio”»), sarebbe incorso in diversi errori di diritto. |
171. |
Anzitutto, il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto, ai punti da 174 a 184 della sentenza impugnata, che l’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base costituisca attuazione tanto dell’articolo 9.2 quanto dell’articolo 6.10 dell’accordo antidumping dell’OMC. Orbene, sarebbero le disposizioni dell’articolo 9, paragrafo 6, e dell’articolo 17 del regolamento di base che perseguirebbero l’obiettivo di attuare l’articolo 6.10 dell’accordo antidumping dell’OMC, e non quelle del suo articolo 9, paragrafo 5. Il Consiglio sottolinea che il Tribunale si è basato, a tal riguardo, ai punti 178 e 179 della sentenza impugnata, sul fatto che il regolamento (UE) n. 765/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 giugno 2012, che modifica il regolamento (CE) n. 1225/2009 del Consiglio relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri della Comunità europea ( 27 ) aveva emendato l’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base a causa della sua contrarietà agli articoli 6.10, 9.2 e 18.4 dell’accordo antidumping dell’OMC, rilevata dalla relazione «Elementi di fissaggio». Tuttavia, secondo il Consiglio, la modifica marginale dell’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base da parte del regolamento n. 765/2012 non può far concludere nel senso che la versione originale di tale disposizione traducesse l’impegno dell’Unione a trasporre nel proprio ordinamento giuridico gli articoli 6.10, 9.2 e 18.4 dell’accordo antidumping dell’OMC. |
172. |
Il Consiglio sostiene, poi, che sussisterebbe una differenza fra il testo dell’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base e l’articolo 9.2 dell’accordo antidumping dell’OMC, in quanto quest’ultima disposizione si limita a prevedere l’obbligo di «nominar[e]» i fornitori e non di «indicare l’importo del dazio imposto». La violazione dell’accordo antidumping dell’OMC rilevata nella relazione «Elementi di fissaggio», riguardante unicamente le importazioni provenienti da paesi non retti da un’economia di mercato, non potrebbe, pertanto, essere fatta valere sul fondamento della sentenza del 7 maggio 1991, Nakajima/Consiglio (C‑69/89, EU:C:1991:186, punti da 26 a 31). |
173. |
Infine, il Consiglio deduce che l’interpretazione dell’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base in conformità agli articoli 9.2 e 6.10 dell’accordo antidumping dell’OMC, effettuata dal Tribunale ai punti da 227 a 233 della sentenza impugnata, sarebbe contra legem. Infatti, l’economia, la genesi e il dettato dell’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base evidenzierebbero chiaramente che il legislatore dell’Unione intendeva consentire all’autorità incarica dell’inchiesta di determinare un’aliquota del dazio a livello nazionale, invece di aliquote di dazi individuali, nei casi in cui la determinazione di aliquote di dazi individuali «non [fosse] possibile», e non soltanto in caso di campionamento. Dichiarando, ai punti da 227 a 233 della sentenza impugnata, che nessun elemento nel testo dell’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base ostasse ad un’interpretazione del termine «[non] possibile» in conformità agli articoli 6.10 e 9.2 dell’accordo antidumping dell’OMC, il Tribunale avrebbe dunque ecceduto, secondo il Consiglio, i limiti di un’interpretazione conforme. |
174. |
La Commissione aderisce alla tesi del Consiglio, pur riconoscendo una «stretta somiglianza» fra il testo dell’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base e dell’articolo 9.2 dell’accordo antidumping dell’OMC. Essa aggiunge, nella propria replica, che la Corte ha dichiarato, nella sentenza del 4 febbraio 2016, C & J Clark International e Puma (C‑659/13 e C‑34/14, EU:C:2016:74, punti da 85 a 92), che l’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base non è inteso a dare esecuzione alle norme dell’OMC, cosicché l’argomentazione delle associazioni sarebbe votata all’insuccesso nel suo complesso. |
175. |
La GE e la RFA replicano, in primo luogo, che il Tribunale, dichiarando che il legislatore dell’Unione, con l’adozione dell’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base, aveva manifestato il proprio intendimento di dare esecuzione ad un obbligo particolare assunto nell’ambito dell’accordo antidumping dell’OMC, avrebbe effettuato un accertamento di fatto, la cui contestazione da parte del Consiglio sarebbe irricevibile in sede d’impugnazione. |
176. |
In secondo luogo, le associazioni medesime sostengono che correttamente il Tribunale ha affermato che l’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base dava attuazione agli articoli 6.10 e 9.2 dell’accordo antidumping dell’OMC, alla luce del regolamento n. 765/2012. Se così non fosse, sarebbe ammissibile soltanto un rinvio esplicito. |
177. |
La GE e la RFA contestano, inoltre, che l’interpretazione dell’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base conformemente agli articoli 6.10 e 9.2 dell’accordo antidumping dell’OMC sia contra legem. Emergerebbe chiaramente dal punto 339 della relazione «Elementi di fissaggio» che le eccezioni all’obbligo di istituire margini di dumping individuali si riferirebbero all’ipotesi in cui l’autorità incaricata dell’inchiesta ricorra ad un campione. |
b) Valutazione
178. |
Occorre anzitutto rammentare che l’articolo 9, paragrafo 5, primo comma, del regolamento di base, nel testo applicabile nella specie, enuncia che il «dazio antidumping viene istituito per l’importo adeguato a ciascun caso e senza discriminazione sulle importazioni di prodotti per le quali è stato accertato che sono oggetto di dumping e che causano pregiudizio, indipendentemente dalla fonte, salvo quelle effettuate dagli esportatori i cui impegni sono stati accettati a norma del presente regolamento. Il regolamento che impone i dazi indica i nomi dei fornitori oppure, qualora non sia possibile e, come regola generale, nei casi citati nell’articolo 2, paragrafo 7, lettera a), il nome del paese fornitore interessato» ( 28 ). |
179. |
L’articolo 6.10 dell’accordo antidumping dell’OMC prevede che «[d]i norma, le autorità devono determinare il margine di dumping caso per caso per ogni esportatore o produttore del prodotto oggetto dell’inchiesta. Nei casi in cui il numero degli esportatori, produttori, importatori o tipi di prodotto interessati è talmente elevato da rendere impossibile tale determinazione, le autorità possono limitare l’esame ad un numero adeguato di parti o di prodotti interessati facendo ricorso a campioni (…)». |
180. |
L’articolo 9.2 di questo stesso accordo enuncia che «[u]na volta applicato ad un qualsiasi prodotto, il dazio antidumping viene riscosso, per l’importo adeguato al caso e senza discriminazione, su tutte le importazioni di quel prodotto ritenute in regime di dumping e causa di pregiudizio, qualunque ne sia la provenienza, salvo per quelle provenienti da soggetti dei quali sia stata accettata l’assunzione di impegni in materia di prezzi ai sensi del presente accordo. Le autorità indicano il nome del fornitore o dei fornitori del prodotto interessato. Tuttavia, ove si tratti di più fornitori dello stesso paese e risulti impossibile nominarli tutti, le autorità possono limitarsi ad indicare il nome del paese interessato». |
181. |
Nel primo capo del presente motivo, il Consiglio, sostenuto dalla Commissione, contesta al Tribunale di avere dichiarato, al punto 180 della sentenza impugnata, che, adottando l’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base, il legislatore dell’Unione avrebbe inteso dare esecuzione ad un obbligo particolare assunto nel contesto dell’OMC, nella specie agli articoli 6.10 e 9.2 dell’accordo antidumping dell’OMC, ai sensi della giurisprudenza cosiddetta Nakajima (sentenza del 7 maggio 1991, Nakajima/Consiglio, C‑69/89, EU:C:1991:186). In sostanza, secondo il ragionamento svolto dal Tribunale – e contestato dalle istituzioni – l’intenzione (iniziale) del legislatore dell’Unione sarebbe desumibile dalla modifica apportata all’articolo 9, paragrafo 5, primo e secondo comma, dal regolamento (UE) n. 765/2012 che modifica il regolamento di base, a seguito della relazione «Elementi di fissaggio». |
182. |
Le istituzioni contestano inoltre al Tribunale di avere ritenuto, sul fondamento del ragionamento precedente, segnatamente al punto 184 della sentenza impugnata, che occorresse interpretare l’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base conformemente agli articoli 6.10 e 9.2 dell’accordo antidumping dell’OMC, sebbene riconoscano l’esistenza di un’evidente analogia o una «stretta somiglianza», per riprendere l’espressione utilizzata dalla Commissione, fra le disposizioni rilevanti dell’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base e quelle dell’articolo 9.2 dell’accordo antidumping dell’OMC. |
183. |
Condivido solo parzialmente la tesi del Consiglio e della Commissione. |
184. |
È ben vero che il mero raffronto fra il testo dell’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base, relativo all’imposizione di un dazio antidumping, e dell’articolo 6.10 dell’accordo antidumping dell’OMC, concernente il ricorso alla procedura di campionamento ai fini della determinazione del margine di dumping nel caso, segnatamente, di un numero eccessivamente elevato di produttori ed esportatori, mette chiaramente in evidenza che il primo di questi articoli non mira affatto a trasporre l’obbligo particolare contenuto nel secondo. |
185. |
La circostanza che l’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base, nella parte in cui le sue disposizioni riguardano i paesi non retti da un’economia di mercato, sia stato considerato incompatibile segnatamente con l’articolo 6.10 e con l’articolo 9.2 dell’accordo antidumping dell’OMC nella relazione «Elementi di fissaggio», non significa affatto che il legislatore dell’Unione avesse l’intenzione di dare esecuzione ad un obbligo particolare assunto ai sensi dell’articolo 6.10 dell’accordo antidumping dell’OMC. |
186. |
Un ragionamento analogo risulta peraltro dalla sentenza della Corte del 4 febbraio 2016, C & J Clark International e Puma (C‑659/13 e C‑34/14, EU:C:2016:74), pronunciata qualche mese prima della sentenza impugnata, ma ivi non menzionata. Infatti, sebbene la Corte, in tale sentenza, abbia segnatamente esaminato la relazione «Elementi di fissaggio» ricordando che l’Organo di conciliazione dell’OMC aveva constatato che una parte delle disposizioni dell’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base, applicabile all’epoca, era incompatibile con talune norme dell’OMC, ciò non le ha impedito di ritenere che l’accordo antidumping dell’OMC non potesse essere invocato da un singolo per contestare la legittimità di un regolamento istitutivo di un dazio antidumping definitivo. In sostanza, la Corte ha ritenuto che le disposizioni dell’articolo 9, paragrafo 5, primo e secondo comma, del regolamento di base, laddove rinviano all’articolo 2, paragrafo 7, del regolamento stesso, che introduce un regime speciale di norme dettagliate in materia di calcolo del valore normale relativamente alle importazioni provenienti da paesi non retti da un’economia di mercato, costituiscono parte integrante di detto regime ed esprimono pertanto la volontà del legislatore dell’Unione di adottare un approccio proprio dell’ordinamento giuridico di quest’ultima nei confronti di detti paesi distinto dalle norme dell’accordo antidumping dell’OMC ( 29 ). |
187. |
Ciò premesso, non posso condividere l’argomento della Commissione, secondo cui la sentenza del 4 febbraio 2016, C & J Clark International e Puma (C‑659/13 e C‑34/14, EU:C:2016:74) costituirebbe, di per sé, un motivo di annullamento della sentenza impugnata per aver la Corte dichiarato che l’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base non darebbe esecuzione a nessun obbligo particolare assunto nel contesto dell’accordo antidumping dell’OMC. Infatti, da un lato, la Corte si è pronunciata, in tale sentenza, soltanto sulle disposizioni dell’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base dell’epoca, le quali rimandavano al regime speciale, menzionato in precedenza, relativo ai paesi non retti da un’economia di mercato istituito dall’articolo 2, paragrafo 7, di detto regolamento. La sentenza C & J Clark International e Puma (C‑659/13 e C‑34/14, EU:C:2016:74) non riguarda pertanto le altre disposizioni dell’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base tuttora in vigore, in particolare la parte essenziale del suo primo comma, secondo cui un regolamento istitutivo di un dazio antidumping indica l’importo del medesimo per ciascun fornitore oppure, qualora non sia possibile, il nome del paese fornitore interessato, nel contesto di paesi terzi retti da un’economia di mercato, disposizioni controverse nella presente causa. |
188. |
Di conseguenza, anche se il Tribunale ha erroneamente dichiarato, a mio avviso, che l’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base costituiva l’esecuzione di un obbligo particolare assunto ai sensi dell’articolo 6.10 dell’accordo antidumping dell’OMC, la valutazione effettuata dalla Corte nella sentenza del 4 febbraio 2016, C & J Clark International e Puma (C‑659/13 e C‑34/14, EU:C:2016:74), non implica tuttavia che il Tribunale sia incorso in un errore di diritto nel considerare che, con l’adozione dell’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base, il legislatore dell’Unione intendeva dare esecuzione all’obbligo particolare assunto ai sensi dell’articolo 9.2 di detto accordo. |
189. |
Tuttavia, tale errore risulta, a mio avviso, dal ragionamento illustrato ai punti da 178 a 183 della sentenza impugnata, dai quali si evince, infatti, che il Tribunale ha desunto dalla modifica apportata all’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base da parte del regolamento n. 765/2012, a seguito, segnatamente, dell’adozione della relazione «Elementi di fissaggio», che il legislatore dell’Unione aveva inteso dare esecuzione all’obbligo particolare contenuto all’articolo 9.2 dell’accordo antidumping dell’OMC adottando l’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base, nella sua versione originale. |
190. |
Orbene, in primo luogo, mi sembra giuridicamente difficile determinare retroattivamente l’intento del legislatore dell’Unione di dare esecuzione ad un obbligo particolare assunto nell’ambito dell’accordo antidumping dell’OMC al momento dell’adozione del regolamento di base nel 2009 sulla sola base di modifiche ivi apportate nel 2012. È necessario, al contrario, che si possa desumere dalla disposizione specifica del diritto dell’Unione interessata che la stessa è volta ad attuare nel diritto dell’Unione tale particolare obbligo scaturito dagli accordi dell’OMC ( 30 ). |
191. |
In secondo luogo, le modifiche apportate nel 2012 all’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base hanno riguardato, come ho già indicato, il primo e il secondo comma di detto articolo nelle loro disposizioni relative al regime speciale applicabile al dumping proveniente da paesi non retti da un’economia di mercato, in forza dell’articolo 2, paragrafo 7, del regolamento medesimo. Pertanto, tali modifiche non riguardavano le disposizioni dell’articolo 9, paragrafo 5, primo comma, oggetto della presente causa. |
192. |
La circostanza, menzionata dal Tribunale ai punti 182 e 183 della sentenza impugnata a sostegno della propria tesi, che tali modifiche non riguardavano appunto le disposizioni dell’articolo 9, paragrafo 5, primo comma, del regolamento di base, non dimostra affatto che l’intento del legislatore dell’Unione, al momento dell’adozione di detto articolo, fosse quella di eseguire un obbligo particolare assunto nell’ambito dell’accordo antidumping dell’OMC. Piuttosto, cono convinto che tale circostanza suffraghi la tesi opposta. |
193. |
Ritengo pertanto che il Tribunale abbia erroneamente dichiarato, ai punti da 178 a 183, che l’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base dava esecuzione ai particolari obblighi assunti nell’ambito degli articoli 6.10 e 9.2 dell’accordo antidumping dell’OMC. |
194. |
Tale errore non è tuttavia sufficiente, a mio avviso, a determinare l’annullamento della sentenza impugnata. |
195. |
Infatti, come si evince dalla successiva motivazione della sentenza impugnata, segnatamente dai suoi punti 184, 193 e 227, il Tribunale ha correttamente ritenuto, a mio avviso, che le disposizioni rilevanti dell’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base dovessero essere interpretate in maniera conforme agli articoli 6.10 e 9.2 dell’accordo antidumping dell’OMC, in particolare alla luce del testo sostanzialmente analogo dell’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base e dell’articolo 9.2 dell’accordo antidumping dell’OMC. |
196. |
Sul piano dei principi, occorre ricordare che l’assenza di efficacia diretta di una disposizione di un accordo internazionale non osta alla sua invocazione ai fini dell’interpretazione conforme del diritto derivato dell’Unione. La Corte ha, infatti, già avuto modo di dichiarare che la prevalenza degli accordi internazionali conclusi dall’Unione sugli atti di diritto derivato di quest’ultima impone di interpretare questi ultimi in maniera per quanto possibile conforme a tali accordi ( 31 ), anche qualora le disposizioni di questi ultimi siano prive di efficacia diretta ( 32 ). Sia il Consiglio che la Commissione concordano al riguardo. |
197. |
Il ricorso all’interpretazione conforme di un atto di diritto derivato dell’Unione alla luce di un accordo internazionale presuppone cionondimeno una coerenza ermeneutica fra le diverse norme, «in maniera per quanto possibile». |
198. |
Ciò significa che la norma di diritto derivato dell’Unione da interpretare deve lasciare spazio a più interpretazioni possibili. Laddove, invece, il suo significato sia inequivocabile e contrastante con la portata della disposizione, di rango superiore, dell’accordo internazionale, essa non sarà suscettibile di interpretazione conforme a quest’ultima, in quanto solo interpretandola contra legem – il che equivale a rendere il precetto lettera morta – è possibile pervenire ad un risultato conforme a detto accordo ( 33 ). In un caso del genere, l’interpretazione della norma di diritto derivato dell’Unione dovrà essere determinata senza tenere conto della norma di diritto internazionale. |
199. |
Aggiungo, inoltre, che, nel caso dell’interpretazione di talune disposizioni degli accordi dell’OMC alla luce della quale l’interpretazione del diritto dell’Unione deve, per quanto possibile, essere effettuata, la Corte ha fatto riferimento a più riprese a relazioni di un gruppo speciale o dell’organo d’appello dell’OMC a sostegno di detta interpretazione ( 34 ). |
200. |
Nella specie, da un lato, senza approfondire, in tale fase dell’analisi, l’esame del tenore dell’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base e di quello dell’articolo 9.2 dell’accordo antidumping dell’OMC, è giocoforza rilevare che, a sostegno della censura, secondo cui il Tribunale avrebbe interpretato contra legem l’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base, né il Consiglio né la Commissione mettono in evidenza il fatto che le disposizioni e i termini rilevanti dell’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base dovevano necessariamente ricevere un’interpretazione contraria alle stesse disposizioni e termini impiegati all’articolo 9.2 dell’accordo antidumping dell’OMC. Al contrario, affermando, in sostanza, che tali disposizioni e termini dell’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base dovevano ricevere un’interpretazione differente, talvolta più restrittiva, nel caso del termine «fornitori», talvolta più ampia, per quanto riguarda l’aggettivo «[non] possibile», rispetto a quella adottata dal Tribunale, le istituzioni hanno ammesso, in definitiva, che tale articolo poteva prestarsi a più interpretazioni possibili ( 35 ). Orbene, in una fattispecie di tal genere, il primato degli accordi internazionali sulle norme di diritto derivato dell’Unione impone che sia l’interpretazione conforme alle disposizioni dell’accordo internazionale in questione a prevalere. |
201. |
Dall’altro, occorre sottolineare che, al punto 222 della sentenza impugnata, il Tribunale ha richiamato il «forte parallelismo» evidenziato al punto 344 della relazione «Elementi di fissaggio» fra l’articolo 9.2 e l’articolo 6.10 dell’accordo antidumping dell’OMC, nella parte in cui quest’ultimo prescrive la determinazione di margini di dumping individuali; ciò comporta l’obbligo, per le autorità in questione, di imporre dazi antidumping su una base individuale come prevista dall’articolo 9.2 di detto accordo. |
202. |
Senza sostenere minimamente che il Tribunale avrebbe snaturato la relazione dell’organo d’appello nella causa «Elementi di fissaggio», le istituzioni e, in particolare, la Commissione sembrano contestare il ragionamento tratto dal testo delle disposizioni in questione sulla base, complessivamente, del loro contesto storico, della loro ratio e della loro finalità. |
203. |
A tal riguardo, occorre rilevare che, a sostegno di tale argomento, la Commissione ha richiamato lunghi passi del proprio memorandum depositato dinanzi all’organo d’appello nella relazione «Elementi di fissaggio», il quale richiama l’interpretazione dell’articolo 9.2 dell’accordo antidumping dell’OMC stesso, precisando, in sostanza, che il fatto che tale articolo sia rimasto immutato, anche dopo l’aggiunta, a seguito dell’Uruguay Round, dello «scenario» del campionamento, previsto all’articolo 6.10 di detto accordo, significava che il senso delle sue disposizioni, in particolare il termine «impossibile», non aveva potuto essere alterato dall’adozione del menzionato articolo 6.10. |
204. |
Orbene, tale ragionamento, tratto dall’interpretazione delle disposizioni degli articoli 9.2 e 6.10 dell’accordo antidumping dell’OMC, non dimostra affatto, a mio avviso, che le disposizioni rilevanti dell’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base, nonostante l’analogia testuale con le disposizioni dell’articolo 9.2, avrebbero necessariamente dovuto ricevere un’interpretazione a tal punto diversa rispetto a quelle dello stesso articolo 9.2 da imporre soltanto un’interpretazione inconciliabile della norma di diritto dell’Unione derivato con quella della norma di diritto internazionale. |
205. |
Inoltre, come esaminerò più dettagliatamente infra al paragrafo 231, sebbene l’organo d’appello sia rimasto prudente, nella relazione «Elementi di fissaggio», sul significato da dare alle disposizioni degli articoli 6.10 e 9.2 dell’accordo antidumping dell’l’OMC, ciò non toglie che esso ha respinto la tesi delle istituzioni. In particolare, come messo correttamente in evidenza al punto 223 della sentenza impugnata, l’organo di appello ha specificato, al punto 354 della relazione «Elementi di fissaggio», che l’articolo 9.2 dell’accordo antidumping dell’OMC obbliga le autorità a precisare i dazi imposti a ciascun fornitore, a meno che ciò non sia possibile, qualora diversi fornitori siano coinvolti. Così come dinanzi al Tribunale, il Consiglio e la Commissione tentano dunque nuovamente di rimettere in discussione l’interpretazione di tale accordo adottata dall’organo d’appello. Orbene, tale ragionamento non avvalora minimamente la loro tesi secondo cui, interpretando l’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base in maniera conforme agli articoli 9.2 e 6.10 dell’accordo antidumping dell’OMC, il Tribunale sarebbe incorso in un errore, adottando un’interpretazione contra legem della norma di diritto derivato dell’Unione. |
206. |
Ciò premesso, si deve riconoscere che, malgrado gli errori di diritto rilevati supra ai paragrafi da 184 a 193, il Tribunale ha correttamente ritenuto che le disposizioni rilevanti dell’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base dovessero essere interpretate in maniera conforme agli articoli 9.2 e 6.10 dell’accordo antidumping dell’OMC. |
207. |
Propongo, dunque, di respingere il primo capo del secondo motivo dell’impugnazione principale. |
2. Sul secondo capo del secondo motivo d’impugnazione, relativa ad uno snaturamento della nozione di «fornitore», di cui all’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base, estesa ai quattro produttori americani inclusi nel campione
a) Argomenti delle parti
208. |
Il Consiglio riconosce che, al punto 187 della sentenza impugnata, il Tribunale ha applicato il criterio giuridico adeguato ritenendo che, in conformità all’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base e all’articolo 9.2 dell’accordo antidumping dell’OMC, in linea di principio, un dazio antidumping dovesse essere riscosso individualmente presso ciascun «fornitore». Tuttavia, il Consiglio ritiene erronea sotto il profilo giuridico la conclusione del Tribunale, contenuta al punto 201 della sentenza impugnata, secondo cui i produttori americani inclusi nel campione dovevano essere riconosciuti come fornitori, essendo stati mantenuti nel campione dei produttori/esportatori dalle istituzioni. Da un lato, il Consiglio ribadisce la propria posizione, elaborata nell’ambito del primo capo del presente motivo, secondo la quale l’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base non potrebbe essere interpretato alla luce dell’articolo 6.10 dell’accordo antidumping dell’OMC. Dall’altro, esso sostiene che, ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base, soltanto una fonte di importazioni «per le quali [sia] stato accertato che sono oggetto di dumping e che causano pregiudizio» può essere considerata un «fornitore». Orbene, i produttori americani inclusi nel campione, ai quali il dumping non è stato imputato in quanto essi non decidevano quale parte della loro produzione sarebbe stata esportata e non disponevano di prezzi all’esportazione, non potevano essere considerati fornitori. Il Consiglio ricorda che se tali produttori sono stati inizialmente inclusi nel campione dei produttori/esportatori dall’autorità incaricata dell’inchiesta, è soltanto perché essi avevano erroneamente indicato nel loro questionario di campionamento di esportare bioetanolo. |
209. |
La Commissione condivide la posizione del Consiglio. Essa aggiunge che la valutazione del Tribunale, riportata ai punti da 207 a 210 della sentenza impugnata, secondo cui le istituzioni avrebbero potuto fondarsi sull’articolo 2, paragrafo 9, del regolamento di base, è erronea in diritto. Tale disposizione, infatti, prende in considerazione l’ipotesi dell’«esistenza di un rapporto d’associazione o di un accordo di compensazione tra l’esportatore e l’importatore o un terzo», la quale comporta l’assenza di un prezzo all’esportazione o la sua inattendibilità, e dunque una situazione nella quale il produttore esporta effettivamente il prodotto. Tale rilievo risulterebbe avvalorato dall’articolo 9.5 dell’accordo antidumping dell’OMC e dall’articolo 11, paragrafo 4, del regolamento di base, i quali riguardano i diritti individuali per «ogni singolo (…) produttore del paese esportatore in questione che non abbia esportato il prodotto nell’importatore membro nel periodo dell’inchiesta», situazione in cui si trovavano i quattro produttori americani inclusi nel campione. |
210. |
La GE e la RFA sostengono che gli argomenti del Consiglio concernenti l’interpretazione della nozione di «fornitore» sono irricevibili, nella misura in cui rimettono in discussione la constatazione del Tribunale, secondo cui, mantenendo i quattro produttori americani nel campione dei «produttori/esportatori», l’istituzione ne avrebbe fatto essa stessa dei «fornitori del prodotto oggetto del dumping». Nel merito, la GE e la RFA ritengono che, contrariamente a quanto affermato dal Consiglio, il quale tenterebbe deliberatamente di occultare il vero significato dell’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base, tale disposizione non possa essere interpretata nel senso che «solo una fonte [di importazioni] per le quali è stato accertato che sono oggetto di dumping e che causano pregiudizio può essere considerata un fornitore». |
b) Valutazione
211. |
Occorre anzitutto respingere l’eccezione di irricevibilità del capo in esame del secondo motivo dell’impugnazione sollevata dalla GE e dalla RFA in quanto il Consiglio mirerebbe a rimettere in discussione la valutazione dei fatti effettuata dal Tribunale. Infatti, lungi dall’invitare la Corte a procedere ad una nuova valutazione dei fatti della controversia, il Consiglio contesta al Tribunale di avere erroneamente qualificato i quattro produttori americani di bioetanolo come «fornitori» ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base, come interpretato alla luce degli articoli 6.10 e 9.2 dell’accordo antidumping dell’OMC. Tale questione, attinente alla qualificazione giuridica dei fatti rientra, pacificamente, nella competenza della Corte nell’ambito dell’impugnazione. |
212. |
Occorre poi rilevare che il Consiglio non contesta che, in forza tanto dell’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base quanto dell’articolo 9, paragrafo 2, dell’accordo antidumping dell’OMC, in linea di principio, un dazio antidumping dev’essere riscosso individualmente presso ciascun «fornitore» su tutte le importazioni di un prodotto ritenute in regime di dumping e causa di pregiudizio, qualunque ne sia la provenienza, come rilevato dal Tribunale al punto 187 della sentenza impugnata. |
213. |
Soltanto la qualità di «fornitore» dei quattro produttori americani inclusi nel campione, ritenuta sussistente dal Tribunale, viene messa in discussione dalle istituzioni. Queste ultime ritengono infatti che, contrariamente a quanto concluso dal Tribunale, una siffatta qualità non possa discendere unicamente dal fatto che un produttore sia stato inserito in un campione ai fini dell’inchiesta e abbia collaborato alla medesima. |
214. |
In sostanza, secondo le istituzioni, gli operatori che non esportano la loro produzione e che non dispongono di un prezzo all’esportazione, non possono essere considerati «fornitori», ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base. |
215. |
Tale argomento è strettamente connesso a quello sviluppato dalle istituzioni nell’ambito dell’esame della questione se i quattro produttori americani in questione siano direttamente interessati. Del resto, al punto 198 della sentenza impugnata, lo stesso Tribunale ha rinviato alla sua valutazione, esposta ai precedenti punti da 93 a 104 nell’ambito dell’esame della questione se tali produttori siano direttamente interessati, in esito alla quale esso ha concluso, in sostanza, nel senso dell’esistenza di importazioni di bioetanolo nell’Unione provenienti in parte dalla produzione di tali produttori assoggettate al dazio antidumping istituito dal regolamento controverso. |
216. |
Ne consegue che, qualora la Corte dovesse confermare il giudizio del Tribunale relativo alla ricevibilità del ricorso in primo grado depositato in nome dei quattro produttori americani inclusi nel campione rigettando il primo motivo dell’impugnazione del Consiglio, essa dovrebbe essere parimenti indotta a suffragare la conclusione del Tribunale, secondo la quale questi quattro produttori dovevano essere qualificati come «fornitori» delle importazioni di bioetanolo oggetto del dumping, ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base, e per i quali il Consiglio era tenuto, in linea di principio, a calcolare un margine individuale, nonché ad istituire dazi antidumping individuali per ciascuno di essi. Infatti, in tale ipotesi, è evidente, a mio avviso, che tali produttori sarebbero «fonti» delle importazioni del prodotto gravato dal dazio antidumping istituito dal regolamento controverso, come constatato dal Tribunale al punto 198 della sentenza impugnata. |
217. |
Quanto alle censure della Commissione relative all’interpretazione dell’articolo 2, paragrafo 9, del regolamento di base accolta dal Tribunale (v. punti 207 e 210 della sentenza impugnata), esse devono, a mio avviso, essere respinte. Contrariamente a quanto asserito dalla Commissione, tale disposizione non è limitata all’ipotesi dell’«esistenza di un rapporto d’associazione o di un accordo di compensazione tra l’esportatore e l’importatore o un terzo», la quale comporta l’assenza di un prezzo all’esportazione o la sua inattendibilità, e dunque una situazione nella quale il produttore esporta effettivamente il prodotto. Come sottolineato dal Tribunale ai punti 207 e 210 della sentenza impugnata, l’articolo 2, paragrafo 9, del regolamento di base disciplina anche l’ipotesi dell’assenza di un prezzo all’esportazione consentendo la ricostituzione di un siffatto prezzo ( 36 ). In ogni caso, come dichiarato dal Tribunale al punto 210 della sentenza impugnata, una difficoltà nella determinazione del prezzo all’esportazione non ha alcuna incidenza sulla questione dell’esistenza di un obbligo di applicare un dazio antidumping individuale a taluni operatori. |
218. |
Ciò detto, qualora la Corte dovesse respingere il primo motivo dell’impugnazione principale nella parte in cui il Consiglio ha eccepito l’irricevibilità del ricorso in primo grado proposto dalla GE e dalla RFA in nome dei quattro produttori americani inclusi nel campione, dovrà parimenti essere respinto, a mio avviso, il secondo capo del secondo motivo dell’impugnazione principale. |
3. Sul terzo capo del secondo motivo d’impugnazione, relativo ad un’interpretazione erronea del termine «[non] possibile» ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base
a) Argomenti delle parti
219. |
Secondo il Consiglio, il Tribunale avrebbe interpretato erroneamente il termine «[non] possibile» ovvero «impossibile» figurante rispettivamente all’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base e all’articolo 9.2 dell’accordo antidumping dell’OMC. |
220. |
Il Tribunale sarebbe incorso in un errore di diritto dichiarando, al punto 225 della sentenza impugnata, che «non risulta dall’accordo antidumping dell’OMC che esiste un’eccezione all’obbligo di imporre un dazio antidumping individuale ad un produttore incluso nel campione che ha collaborato all’inchiesta qualora le istituzioni ritengano di non essere in grado di stabilire per il medesimo un prezzo all’esportazione individuale». Infatti, l’analisi compiuta dal Tribunale a tal riguardo si baserebbe sull’interpretazione dell’articolo 6.10 dell’accordo antidumping dell’OMC adottata nella relazione «Elementi di fissaggio». Orbene, tale interpretazione sarebbe irrilevante, dal momento che l’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base non costituirebbe trasposizione di tale disposizione. |
221. |
Lo stesso varrebbe per la conclusione del Tribunale contenuta al punto 233 della sentenza impugnata. |
222. |
La Commissione osserva che il Tribunale non ha risposto all’argomento di merito dedotto dalle istituzioni, secondo cui non sarebbe stato possibile stabilire un prezzo all’esportazione in una situazione nella quale il produttore non esporti, ritenendo, al contrario, che tale interpretazione sarebbe incompatibile con gli articoli 9.2 e 6.10 dell’accordo antidumping dell’OMC. Orbene, detta interpretazione sarebbe incompatibile con le disposizioni dell’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base. La Commissione, la quale ricorda che il Consiglio ha già spiegato i motivi per i quali l’interpretazione del termine «[non] possibile», adottata dal Tribunale ai punti da 213 a 244 della sentenza impugnata, sarebbe contraria all’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base, si prodiga nell’illustrare i motivi per i quali essa è parimenti contraria all’articolo 9.2 dell’accordo antidumping dell’OMC. Qualora il termine «[non] possibile» dovesse essere circoscritto ai fornitori non inclusi nel campione, tale disposizione verrebbe privata del suo effetto utile, come già osservato dalla Commissione nella propria comunicazione prodotta nell’ambito del procedimento sfociato nell’adozione della relazione «Elementi di fissaggio». Orbene, in tale relazione gli argomenti dedotti non sarebbero stati respinti. La tesi di senso opposto, sostenuta dal Tribunale, ai punti da 222 a 225 della sentenza impugnata, sarebbe infondata in diritto. |
223. |
La GE e la RFA ritengono che il Tribunale non abbia commesso un errore di interpretazione del termine «[non] possibile» ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base. |
b) Valutazione
224. |
Come si è già evidenziato, l’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base prevede che il regolamento istitutivo di un dazio antidumping indichi l’importo del medesimo per ciascun fornitore, a meno che ciò «non sia possibile», nel qual caso viene richiesto soltanto il nome del paese fornitore interessato. |
225. |
A termini dell’articolo 9.2 dell’accordo antidumping dell’OMC, una volta applicato un dazio antidumping, le autorità (incaricate dell’inchiesta) devono indicare il nome del fornitore o dei fornitori del prodotto interessato, a meno che non siano coinvolti più fornitori dello stesso paese e risulti «impossibile» nominarli tutti, nel qual caso le autorità potranno indicare il nome del paese fornitore interessato. |
226. |
Inoltre, l’articolo 6.10 dell’accordo antidumping dell’OMC richiede, in linea di principio, che le autorità determinino il margine di dumping caso per caso per ogni esportatore noto o produttore interessato, a meno che il numero segnatamente di esportatori o di produttori sia talmente elevato da rendere «impossibile» tale determinazione, nel qual caso le autorità possono limitare il loro esame ad un numero adeguato di parti o di prodotti interessati facendo ricorso al campionamento. |
227. |
Con il capo in esame, il Consiglio e la Commissione contestano, in sostanza, al Tribunale a) di avere ritenuto che il termine «impossibile» («impracticable» in lingua inglese) utilizzato nell’articolo 6.10 dell’accordo antidumping dell’OMC incidesse sulla portata dello stesso termine impiegato nell’articolo 9.2 di detto accordo e b) di avere interpretato il termine «[non] possibile» figurante all’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base in senso analogo allo stesso termine utilizzato nei menzionati articoli dell’accordo antidumping dell’OMC. Così facendo, il Tribunale, a parere delle istituzioni, avrebbe privato di effetto utile l’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base, limitando i casi in cui non è possibile determinare un dazio antidumping e un margine di dumping individuali alla sola situazione dei produttori non inclusi nel campione. |
228. |
Le censure formulate dalle istituzioni nei confronti del ragionamento svolto dal Tribunale in relazione all’interpretazione e alla portata dell’aggettivo «[non] possibile» non convincono. |
229. |
Per quanto riguarda, in primo luogo, l’esame delle disposizioni degli articoli 6.10 e 9.2 dell’accordo antidumping dell’OMC, ricordo, anzitutto, che, ai punti da 217 a 224 della sentenza impugnata, il Tribunale si è limitato a riportare i punti rilevanti della relazione dell’organo d’appello nella causa «Elementi di fissaggio». Né il Consiglio né la Commissione contestano al Tribunale di avere snaturato tali punti di detta relazione, ossia di avere effettuato una lettura manifestamente contraria al contenuto di tale documento ( 37 ) o di avere omesso o selezionato taluni passaggi di siffatta relazione che portano a dare un’impressione manifestamente fuorviante ed errata del suo contenuto ( 38 ). |
230. |
Peraltro, osservo che il Tribunale ha riassunto fedelmente tali punti della relazione «Elementi di fissaggio». In particolare, è del tutto correttamente che il Tribunale ha rilevato, al punto 220 della sentenza impugnata, che ogni eccezione alla regola generale enunciata nel primo periodo dell’articolo 6.10 dell’accordo antidumping dell’OMC doveva essere prevista negli accordi contemplati. Analogamente, al punto 222 della sentenza impugnata, il Tribunale ha ricordato che l’organo di appello aveva spiegato che esiste un «forte parallelismo» fra gli articoli 6.10 e 9.2 dell’accordo antidumping dell’OMC e che, impiegando al contempo lo stesso termine «impossibile» per descrivere i casi in cui l’eccezione si applica, tale termine indica che le due eccezioni si riferiscono alla situazione in cui un’autorità determini i margini di dumping utilizzando un campione. |
231. |
È ben vero che, come rilevato ancora dal Tribunale al punto 222 della sentenza impugnata, l’organo d’appello dell’OMC ha parimenti osservato che la questione della quale era investito non riguardava né la portata dell’eccezione prevista all’articolo 9.2 dell’accordo antidumping dell’OMC, né la questione se tale eccezione e quella prevista all’articolo 6.10 del medesimo accordo fossero perfettamente sovrapponibili ( 39 ). Tuttavia, come parimenti evidenziato dal Tribunale al punto 223 della sentenza impugnata, l’organo d’appello ha concluso, al punto 354 della relazione «Elementi di fissaggio», che l’articolo 9.2 dell’accordo antidumping dell’OMC obbliga le autorità a precisare i dazi imposti a ciascun fornitore, a meno che ciò non sia possibile, qualora diversi fornitori siano coinvolti. Il Tribunale ha parimenti ricordato, correttamente, che, al punto 376 della relazione «Elementi di fissaggio», l’organo d’appello aveva precisato che gli articoli 6.10 e 9.2 dell’accordo antidumping dell’OMC non impediscono che l’autorità incaricata dell’inchiesta determini un margine di dumping unico e un dazio di dumping unico per un certo numero di esportatori qualora essa accerti che essi costituiscono un’unica entità ai fini dell’applicazione degli articoli medesimi. |
232. |
Al punto 225 della sentenza impugnata, il Tribunale ha infine tratto la conseguenza giuridica dall’interpretazione degli articoli 6.10 e 9.2 dell’accordo antidumping dell’OMC, accolta dall’organo di appello nella relazione «Elementi di fissaggio». Così, il Tribunale ha rilevato che da detta relazione si evince che, «qualora l’autorità [incaricata dell’inchiesta] sia ricorsa al campionamento, come nel caso di specie, l’accordo antidumping [dell’OMC] fissa l’obbligo di determinare margini di dumping individuali e di istituire dazi antidumping individuali per ciascun fornitore che collabora all’inchiesta e che le eccezioni a tale obbligo sono, in linea di principio, in primo luogo, il caso dei produttori o esportatori non inclusi nel campione (…) e, in secondo luogo, il caso degli operatori che costituiscono un’unica entità. Tuttavia, non risulta dall’accordo antidumping dell’OMC che esiste un’eccezione all’obbligo di imporre un dazio antidumping individuale ad un produttore incluso nel campione che ha collaborato all’inchiesta qualora le istituzioni ritengano di non essere in grado di stabilire per il medesimo un prezzo all’esportazione individuale». |
233. |
Per quanto le istituzioni affermino effettivamente di non condividere tale giudizio, esse non dimostrano in alcun modo che la conclusione cui è pervenuto il Tribunale nella lettura dell’interpretazione accolta dall’organo d’appello nella relazione «Elementi di fissaggio» avrebbe snaturato la sua analisi o, quantomeno, sfocerebbe in un’interpretazione erronea degli articoli 6.10 e 9.2 dell’accordo antidumping dell’OMC. L’argomento richiamato dal Consiglio, secondo cui l’articolo 6.10 dell’accordo antidumping dell’OMC non sarebbe rilevante, dev’essere chiaramente respinto, in quanto si limita a rimettere in discussione la valutazione operata dall’organo d’appello nella relazione «Elementi di fissaggio» con riferimento al rapporto fra tale articolo e l’articolo 9.2 dell’accordo antidumping dell’OMC. Lo stesso vale per la censura della Commissione, con la quale quest’ultima contesta al Tribunale non di non avere preso in considerazione l’analisi dell’articolo 9.2 dell’accordo antidumping dell’OMC, in particolare del termine «impossibile», da essa illustrata nel proprio memorandum presentato dinanzi all’organo d’appello nella causa «Elementi di fissaggio». Infatti, in particolare, come si evince segnatamente dai punti da 346 a 348 della relazione dell’organo d’appello, la tesi della Commissione, secondo cui «impossibile» («impracticable» in lingua inglese) significherebbe «inefficace» («ineffective» in lingua inglese) è stata chiaramente respinta dall’organo d’appello ( 40 ). Come ricordato dal Tribunale al punto 222 della sentenza impugnata, l’organo d’appello ha rilevato un forte parallelismo fra l’articolo 9.2 e l’articolo 6.10 dell’accordo antidumping dell’OMC, il che può perfettamente giustificare, a mio avviso, la conclusione cui è pervenuto il Tribunale al punto 225 della sentenza impugnata. |
234. |
In secondo luogo, quanto all’interpretazione dell’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base, il Tribunale ha respinto, in sostanza, la tesi sostenuta dal Consiglio, secondo la quale l’aggettivo «impossibile» dovrebbe essere interpretato in maniera ampia, in modo da conferire un conseguente potere discrezionale alle istituzioni per quanto riguarda le possibilità di rinunciare all’istituzione di dazi antidumping individuali. Il Tribunale ha ricordato che l’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base doveva essere interpretato in maniera conforme agli articoli 6.10 e 9.2 dell’accordo antidumping dell’OMC, implicando, pertanto, che l’aggettivo «[non] possibile» (ovvero «impossibile»), impiegato in questi tre articoli possedesse un significato analogo, e che l’eccezione alla determinazione dei margini di dumping individuali nonché all’istituzione di dazi antidumping individuali coperta da tale termine, qualora le istituzioni abbiano fatto ricorso al campionamento, come nella specie, sia possibile unicamente per le imprese non facenti parte del campione e non aventi altrimenti diritto all’attribuzione di un dazio antidumping individuale (v. punti da 227 a 232 della sentenza impugnata). |
235. |
Orbene, alla luce del fatto che, da un lato, come ho già avuto modo di rilevare con riguardo al primo capo del secondo motivo dell’impugnazione principale, correttamente il Tribunale ha dichiarato che l’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base doveva essere interpretato conformemente agli articoli 6.10 e 9.2 dell’accordo antidumping dell’OMC e, dall’altro, che le istituzioni non hanno minimamente dimostrato che l’aggettivo «[non] possibile» figurante all’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base poteva unicamente rivestire un significato e una portata diametralmente opposti al significato e alla portata dati allo stesso aggettivo che figura negli articoli 9.2 e 6.10 dell’accordo antidumping dell’OMC, cosicché il Tribunale avrebbe effettuato un’interpretazione contra legem della norma di diritto derivato dell’Unione, ritengo che l’argomentazione delle istituzioni debba essere respinta. |
236. |
Aggiungo che, contrariamente a quanto parimenti sostenuto dalla Commissione, il Tribunale, accogliendo un’interpretazione restrittiva dell’eccezione coperta dall’impiego del termine «[non] possibile», non ha affatto privato di ogni effetto utile l’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base. Infatti, come rilevato dal Tribunale stesso al punto 232 della sentenza impugnata, l’eccezione, per impossibilità, alla determinazione di principio di un margine di dumping e di un dazio antidumping individuali si applica non solo ai produttori o agli esportatori non inclusi in un campione, ma anche a quelli che costituiscono un’unica entità. Del resto, interpretare in maniera restrittiva un’eccezione ad una regola fissata da una norma di diritto dell’Unione che attribuisce diritti a persone fisiche o giuridiche è conforme al metodo di interpretazione delle eccezioni adottato dal giudice dell’Unione. A tal riguardo, sono in particolare sensibile all’argomento del Tribunale, illustrato al punto 228 della sentenza impugnata, e che non è stato oggetto di censure specifiche da parte delle istituzioni, secondo il quale avallare un’interpretazione «più generale» del termine «[non] possibile», come sostenuto dal Consiglio, porterebbe a conferire a quest’ultimo un potere discrezionale estremamente ampio per quanto riguarda le possibilità di rinunciare all’istituzione di dazi antidumping individuali. |
237. |
Pertanto, ritengo che le istituzioni non abbiano dimostrato che, accogliendo un’interpretazione del termine «[non] possibile» di cui all’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base, analoga a quella dello stesso termine figurante agli articoli 6.10 e 9.2 dell’accordo antidumping dell’OMC, il Tribunale avrebbe viziato la sentenza impugnata per errore di diritto. |
238. |
Ciò detto, propongo di respingere il terzo capo del secondo motivo dell’impugnazione principale, nonché, di conseguenza, detto motivo in toto. |
E. Sul terzo motivo dell’impugnazione principale, relativo ad uno snaturamento dei fatti che ha indotto il Tribunale a concludere che il calcolo di dazi individuali era «possibile»
1. Sintesi degli argomenti delle parti
239. |
Il Consiglio sottolinea che, ai punti da 202 a 211 e da 242 a 245 della sentenza impugnata, il Tribunale ha affermato che non era impossibile applicare dazi antidumping individuali, considerato che la Commissione avrebbe potuto ricostruire i prezzi praticati dai produttori americani inseriti nel campione. Così facendo, il Tribunale avrebbe effettuato accertamenti di fatto inesatti sotto il profilo sostanziale e avrebbe snaturato gli elementi che gli erano stati sottoposti. Infatti, poiché il bioetanolo proveniente da diversi produttori era miscelato dagli operatori commerciali/miscelatori indipendenti prima di essere esportato, non era possibile risalire né fino al valore normale né fino al prezzo all’esportazione di ciascun produttore, il che sarebbe stato dimostrato dalle istituzioni. Poiché i dati forniti dai produttori erano inutilizzabili ai fini del calcolo del margine di dumping, il Tribunale, ignorando tale prova del carattere manifestamente impossibile di un siffatto calcolo, sarebbe dunque incorso in un errore di diritto. |
240. |
La Commissione ritiene che il Consiglio abbia definito in modo chiaro e preciso in qual modo il Tribunale avrebbe snaturato i fatti. Poiché gli operatori commerciali/miscelatori indipendenti miscelavano del bioetanolo proveniente da diversi produttori nazionali per ottenere un’unica miscela, sarebbe stato impossibile determinare prezzi individuali all’esportazione. Inoltre, non avrebbe avuto alcun senso, dal punto di vista pratico, determinare un prezzo all’esportazione e un margine di dumping individuale, in quanto le autorità doganali non avrebbero avuto alcun mezzo per applicare un siffatto margine. |
241. |
La GE e la RFA affermano che il terzo motivo del Consiglio è irricevibile, non fornendo un’esposizione comprensibile degli elementi di fatto e di diritto sulla quale esso si basa, in violazione dell’articolo 21, primo comma, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea. Il Consiglio, infatti, si limiterebbe a reiterare che il calcolo di margini individuali di dumping per i produttori americani inclusi nel campione era impossibile, senza tuttavia spiegare in che modo il Tribunale avrebbe snaturato gli elementi di prova pervenendo ad una conclusione diversa. Il mero fatto che il bioetanolo venga miscelato prima della sua esportazione non dimostrerebbe di per sé che un siffatto calcolo sia manifestamente impraticabile o impossibile. |
242. |
Esse fanno poi valere che il Tribunale ha spiegato in modo chiaro e semplice, ai punti 242 e 243 della sentenza impugnata, come calcolare concretamente i margini di dumping in caso di difficoltà nel determinare il valore normale o il prezzo all’esportazione per taluni produttori o esportatori. Poiché il Consiglio non ha contestato tali considerazioni né ha spiegato in qual modo il Tribunale avrebbe snaturato gli elementi di prova, esse chiedono che il motivo venga respinto in quanto infondato. |
2. Valutazione
243. |
Il Consiglio, sostenuto dalla Commissione, contesta al Tribunale di avere snaturato i fatti laddove ha dichiarato, ai punti da 242 a 245 della sentenza impugnata, che il Consiglio aveva concluso erroneamente che l’istituzione dei dazi antidumping individuali per i produttori americani di bioetanolo inclusi nel campione «non [era] possibile» ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base. |
244. |
Tale censura non mi convince. |
245. |
Occorre anzitutto ricordare che il ragionamento che ha indotto il Tribunale a concludere nel senso dell’errore del Consiglio si articola su due fasi. In una prima fase, il Tribunale ha precisato, ai punti 239 e 240 della sentenza impugnata, che il Consiglio, da un lato, aveva fondato l’eccezione alla regola consistente nel determinare i margini di dumping individuali e nell’istituire i dazi antidumping individuali su ragioni diverse dall’eccezione concernente i produttori o gli esportatori non inclusi nel campione oppure da quella concernente gli operatori che costituiscono un’unica entità e, dall’altro, che il Consiglio non ha fatto valere che l’eccezione da esso applicata si fondasse su un’altra eccezione risultante dagli accordi dell’OMC. Nella seconda fase, concretizzata nelle valutazioni esposte ai punti da 242 a 245 della sentenza impugnata, il Tribunale ha nuovamente spiegato, segnatamente tramite un rinvio ai punti da 202 a 211 della sentenza impugnata, i motivi per i quali gli argomenti delle istituzioni concernenti le difficoltà connesse alla determinazione del valore normale e del prezzo all’esportazione di taluni produttori, nonché quelle relative alla possibilità di ricostituire il percorso dei prodotti dei quattro produttori americani inclusi nel campione, non avrebbero consentito di esentare tali istituzioni dall’obbligo di calcolare un margine di dumping e un dazio antidumping individuali per tali produttori. Alla luce di tali considerazioni, il Tribunale ha dunque concluso che nulla consentiva alle istituzioni di ritenere che, nella specie, l’istituzione di dazi antidumping individuali «non [fosse] possibile», ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base. |
246. |
Poiché la prima fase del ragionamento del Tribunale, illustrata ai punti da 239 a 240 della sentenza impugnata, non forma oggetto di censure da parte del Consiglio, ovvero dette censure, ampiamente coincidenti con quelle già esposte nell’ambito del secondo motivo dell’impugnazione principale, devono, a mio avviso, essere respinte, le valutazioni contenute in questi due punti della sentenza impugnata sono sufficienti, a mio avviso, a respingere il terzo motivo d’impugnazione. |
247. |
In ogni caso, oltre al fatto che il terzo motivo dell’impugnazione principale è diretto a far accertare un errore di ragionamento e/o di interpretazione delle disposizioni del regolamento di base, piuttosto che uno snaturamento dei fatti in cui sarebbe incorso il Tribunale, ritengo che le considerazioni del Tribunale, svolte al punto 242 della sentenza impugnata, relative alle difficoltà nel determinare il valore normale e il prezzo all’esportazione, non siano inficiate da un errore di tal genere, come già rilevato supra al paragrafo 217. Di conseguenza, le valutazioni esposte ai punti da 239 a 242 della sentenza impugnata implicano necessariamente, a mio avviso, il rigetto dell’asserito snaturamento dei fatti dedotto dal Consiglio con il terzo motivo dell’impugnazione principale. |
248. |
Propongo pertanto di respingere detto motivo. |
V. Sul ricorso dinanzi al Tribunale
249. |
Come ho già precisato supra, rispettivamente, ai paragrafi 102 e 142, ritengo che il primo capo del primo motivo dell’impugnazione principale nonché il secondo capo del secondo motivo dell’impugnazione incidentale debbano essere accolti. A mio avviso, la sentenza impugnata dev’essere conseguentemente annullata entro tali limiti. |
250. |
Conformemente all’articolo 61, primo comma, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, quest’ultima, in caso di annullamento della decisione del Tribunale, può statuire definitivamente sulla controversia, qualora lo stato degli atti lo consenta, o rinviare la causa dinanzi al Tribunale affinché sia decisa da quest’ultimo. |
251. |
Ritengo che la Corte sia in grado di statuire sulla ricevibilità del ricorso in primo grado proposto dalla GE e dalla RFA in nome dei quattro produttori americani di bioetanolo, contestata dal Consiglio. A tal riguardo, è sufficiente rilevare, a mio avviso, che il ricorso della GE e della RFA è irricevibile, in quanto tali associazioni non hanno dimostrato che i dazi antidumping imposti dal regolamento controverso riguardassero direttamente detti produttori, ai sensi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE. |
252. |
Per contro, per quanto riguarda la legittimazione ad agire della GE e della RFA in nome della Murex e della CHS, poiché le parti non hanno preso posizione in maniera esauriente su tale questione in occasione del procedimento di primo grado, in particolare sulla problematica se questi due operatori commerciali/miscelatori indipendenti fossero direttamente e individualmente interessati dal regolamento controverso, la lite non è matura per la decisione in relazione a siffatta questione. |
253. |
Di conseguenza, ritengo che la causa debba essere rinviata al Tribunale affinché quest’ultimo statuisca sulla ricevibilità del ricorso della GE e della RFA in nome della Murex e della CHS e, se del caso, su tutti i motivi attinenti al merito rilevanti. |
254. |
Ciò detto, le spese devono essere riservate. |
VI. Conclusione
255. |
Alla luce delle suesposte considerazioni, suggerisco alla Corte di dichiarare quanto segue:
|
( 1 ) Lingua originale: il francese.
( 2 ) GU 2013, L 49, pag. 10 (in prosieguo: il «regolamento controverso»).
( 3 ) GU 2009, L 343, pag. 51.
( 4 ) GU 1994, L 336, pag. 103.
( 5 ) GU 2011, C 345, pag. 7.
( 6 ) Diversamente dagli altri quattro produttori rappresentati dalla GE e dalla RFA dinanzi al Tribunale, la Marquis Energy ha proposto autonomamente un ricorso di annullamento avverso il regolamento n. 157/2013, il quale è stato accolto dal Tribunale nella sentenza del 9 giugno 2016, Marquis Energy/Consiglio (T‑277/13, non pubblicata, EU:T:2016:343). Tale sentenza costituisce l’oggetto dell’impugnazione esaminata nelle mie conclusioni in data odierna nella causa C‑466/16 P Consiglio/Marquis Energy.
( 7 ) V. nota precedente.
( 8 ) Sentenze del 10 novembre 2016, DTS Distribuidora de Televisión Digital/Commissione (C‑449/14 P, EU:C:2016:848, punti da 99 a 101), e del 30 maggio 2017, Safa Nicu Sepahan/Consiglio (C‑45/15 P, EU:C:2017:402, punto 20).
( 9 ) Come riconosciuto dalla Commissione nella propria comparsa di risposta, tale motivo di annullamento non riguarda le parti della sentenza impugnata e il suo dispositivo concernenti la ricevibilità del ricorso della GE e della RFA in nome proprio.
( 10 ) V., in tal senso, sentenze del 29 aprile 2004, Italia/Commissione (C‑298/00 P, EU:C:2004:240, punto 35), e del 27 febbraio 2014, Stichting Woonlinie e a./Commissione (C‑133/12 P, EU:C:2014:105, punto 32 e la giurisprudenza ivi citata). Ricordo, inoltre, che la Corte, ai sensi dell’articolo 150 del proprio regolamento di procedura, può decidere d’ufficio, in qualsiasi momento, di statuire sui motivi di irricevibilità’ di ordine pubblico.
( 11 ) V. in tal senso, segnatamente, sentenza del 13 ottobre 2011, Deutsche Post e Germania/Commissione (C‑463/10 P e C‑475/10 P, EU:C:2011:656, punto 66), e ordinanza del 10 marzo 2016, SolarWorld/Commissione (C‑142/15 P, non pubblicata, EU:C:2016:163, punto 22 e la giurisprudenza ivi citata).
( 12 ) V. segnatamente, in tal senso, sentenze del 14 marzo 1990, Gestetner Holdings/Consiglio e Commissione (C‑156/87, EU:C:1990:116, punto 17), e del 16 aprile 2015, TMK Europe (C‑143/14, EU:C:2015:236, punto 19 e la giurisprudenza ivi citata).
( 13 ) V., in tal senso, sentenza del 28 febbraio 2002, BSC Footwear Supplies e a./Consiglio (T‑598/97, EU:T:2002:52, punto 61), e ordinanza del 7 marzo 2014, FESI/Consiglio (T‑134/10, non pubblicata, EU:T:2014:143, punto 58).
( 14 ) V. segnatamente, in tal senso, sentenza del 17 marzo 2016, Portmeirion Group (C‑232/14, EU:C:2016:180, punti da 23 a 32 e la giurisprudenza ivi citata). Si ricorda che, in tale contesto, la Corte è la sola competente a dichiarare l’invalidità di un atto dell’Unione, e che un giudice avverso le cui decisioni non sono esperibili ricorsi giurisdizionali di diritto interno deve sospendere la decisione e investire la Corte di un procedimento pregiudiziale per accertamento di validità, qualora tale giudice ritenga che uno o più motivi di invalidità dedotti dinanzi al medesimo siano fondati: v. segnatamente, in tal senso, sentenze del 10 gennaio 2006, IATA e ELFAA (C‑344/04, EU:C:2006:10, punti da 27 a 32); del 28 aprile 2015, T & L Sugars e Sidul Açúcares/Commissione (C‑456/13 P, EU:C:2015:284, punti da 44 a 48), e del 13 marzo 2018, European Union Copper Task Force/Commissione (C‑384/16 P, EU:C:2018:176, punto 115).
( 15 ) In applicazione, segnatamente, della decisione della Corte di giustizia del 13 settembre 2011 relativa al deposito e alla notifica di atti di procedura mediante l’applicazione e‑Curia (GU 2011, C 289, pag. 7).
( 16 ) V. segnatamente, in tal senso, sentenze del 22 giugno 2006, Belgio e Forum 187/Commissione (C‑182/03 e C‑217/03, EU:C:2006:416, punto 56), e del 13 marzo 2018, European Union Copper Task Force/Commissione (C‑384/16 P, EU:C:2018:176, punto 87).
( 17 ) V. sentenza del 22 dicembre 2008, British Aggregates/Commissione (C‑487/06 P, EU:C:2008:757, punto 39 e la giurisprudenza ivi citata).
( 18 ) V., in tal senso, sentenza dell’11 giugno 2009, Confservizi/Commissione (T‑292/02, EU:T:2009:188, punto 55), e ordinanza del 29 marzo 2012, Asociación Española de Banca/Commissione (T‑236/10, EU:T:2012:176, punto 25).
( 19 ) Il corsivo è mio.
( 20 ) V. sentenze del 4 ottobre 1983, Fediol/Commissione (191/82, EU:C:1983:259, punto 31), e del 1o aprile 2004, Commissione/Jégo-Quéré (C‑263/02 P, EU:C:2004:210, punto 47); v., parimenti, ordinanze del 17 febbraio 2009, Galileo Lebensmittel/Commissione (C‑483/07 P, EU:C:2009:95, punto 53), e del 5 maggio 2009, WWF-UK/Consiglio (C‑355/08 P, non pubblicata, EU:C:2009:286, punto 43 e la giurisprudenza ivi citata).
( 21 ) Ordinanza del 5 maggio 2009, WWF-UK/Consiglio (C‑355/08 P, non pubblicata, EU:C:2009:286, punto 44).
( 22 ) V., in tal senso, ordinanza del 5 maggio 2009, WWF-UK/Consiglio (C‑355/08 P, non pubblicata, EU:C:2009:286, punti 47 e 48).
( 23 ) V. in tal senso, segnatamente, sentenza del 13 marzo 2018, European Union Copper Task Force/Commissione (C‑384/16 P, EU:C:2018:176, punto 88 e la giurisprudenza ivi citata).
( 24 ) Come riassunto dalla Corte nella sentenza del 9 luglio 2009, 3F/Commissione (C‑319/07 P, EU:C:2009:435, punto 86).
( 25 ) V. sentenza del 9 luglio 2009, 3F/Commissione (C‑319/07 P, EU:C:2009:435, punto 87 e la giurisprudenza ivi citata).
( 26 ) Sentenza del 9 luglio 2009, 3F/Commissione (C‑319/07 P, EU:C:2009:435, punti da 88 a 92).
( 27 ) GU 2012, L 237, pag. 1.
( 28 ) Il corsivo è mio.
( 29 ) V., in tal senso, sentenza del 4 febbraio 2016, C & J Clark International e Puma (C‑659/13 e C‑34/14, EU:C:2016:74, punti 91 e 92, nonché 97 e 98).
( 30 ) V., in tal senso, sentenza del 16 luglio 2015, Commissione/Rusal Armenal (C‑21/14 P, EU:C:2015:494, punto 46).
( 31 ) V., segnatamente, sentenze del 7 giugno 2007, Řízení Letového Provozu (C‑335/05, EU:C:2007:321, punto 16), e del 10 novembre 2011, X e X BV (C‑319/10 e C‑320/10, non pubblicata, EU:C:2011:720, punto 44).
( 32 ) V. segnatamente, in relazione al GATS, sentenza del 7 giugno 2007, Řízení Letového Provozu (C‑335/05, EU:C:2007:321, punto 16 e la giurisprudenza ivi citata), e in relazione alla convenzione di Aarhus, sentenza dell’8 marzo 2011, Lesoochranárske zoskupenie (C‑240/09, EU:C:2011:125, punti 45 e 51). V. parimenti le mie conclusioni nella causa Řízení Letového Provozu (C‑335/05, EU:C:2007:103, paragrafo 57).
( 33 ) V., in tal senso, le mie conclusioni nella causa Řízení Letového Provozu (C‑335/05, EU:C:2007:103, paragrafo 58). Il principio, secondo il quale l’interpretazione conforme di una norma ad una disposizione di rango superiore non può servire da fondamento per un’interpretazione contra legem è stata oggetto di una giurisprudenza abbondante, elaborata nel contesto dei rapporti fra il diritto dell’Unione e il diritto nazionale: v., segnatamente, sentenze del 15 gennaio 2014, Association de médiation sociale (C‑176/12, EU:C:2014:2, punto 39), e dell’8 novembre 2016, Ognyanov (C‑554/14, EU:C:2016:835, punto 66).
( 34 ) V., segnatamente, sentenza del 10 novembre 2011, X e X BV (C‑319/10 e C‑320/10, non pubblicata, EU:C:2011:720, punto 45 e la giurisprudenza ivi citata).
( 35 ) A tal riguardo, ricordo che la Commissione ha riconosciuto che esisteva una «stretta somiglianza» fra il testo delle disposizioni rilevanti dell’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base (in particolare il suo primo comma) e quello dell’articolo 9.2 dell’accordo antidumping dell’OMC. Per quanto riguarda il termine «[non] possibile», si evince chiaramente dalla sintesi dell’esposizione della linea argomentativa del Consiglio dinanzi al Tribunale che il Consiglio sosteneva un’interpretazione «più generale» di tale termine impiegato all’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base rispetto a quello che poteva risultare dall’interpretazione di questo stesso termine utilizzato negli articoli 9.2 e 6.10 dell’accordo antidumping dell’OMC, alla luce della relazione «Elementi di fissaggio» e che è stata infine adottata dal Tribunale (v. segnatamente punti 215 e 227 della sentenza impugnata).
( 36 ) V., in tal senso, sentenza del 4 maggio 2017, RFA International/Commissione (C‑239/15 P, non pubblicata, EU:C:2017:337, punti 5 e 35).
( 37 ) V., in tal senso, sentenza dell’11 luglio 2013, Francia/Commissione (C‑601/11 P, EU:C:2013:465, punto 106).
( 38 ) V., in tal senso, le mie conclusioni nelle cause riunite ArcelorMittal Tubular Products Ostrava e a./Consiglio e Consiglio/Hubei Xinyegang Steel (C‑186/14 P e C‑193/14 P, EU:C:2015:767, paragrafo 72).
( 39 ) La causa «Elementi di fissaggio» verteva effettivamente sull’esclusione di principio di qualsiasi calcolo di margine e di dazio individuali per gli esportatori e i produttori di paesi non retti da un’economia di mercato, come era previsto dall’articolo 9, paragrafo 5, secondo comma, del regolamento di base, il quale rinviava all’articolo 2, paragrafo 7, di tale regolamento, prima della sua modifica da parte del regolamento n. 765/2012.
( 40 ) Al punto 347 della relazione «Elementi di fissaggio», l’organo d’appello ha precisato che «the notion of ’ineffective’ is not included in the notion of ’impracticable’. In particular, we observe that the notion of ’ineffective’ is concerned with bring about or producing an effect or result, which is absent from the notion of ’impracticable’, which describes the action itself». Al punto 348 della medesima relazione, l’organo d’appello ha indicato che «Article 9.2., third sentence, allows Members to name the supplying country concerned only when it is impracticable to name individual suppliers; it does not permit naming the supplying country when the imposition of individual duties is ineffective because it may result in circumvention of the anti-dumping duties».