Scegli le funzioni sperimentali da provare

Questo documento è un estratto del sito web EUR-Lex.

Documento 62016CC0403

Conclusioni dell’avvocato generale M. Bobek, presentate il 7 settembre 2017.
Soufiane El Hassani contro Minister Spraw Zagranicznych.
Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Naczelny Sąd Administracyjny.
Rinvio pregiudiziale – Spazio di libertà, sicurezza e giustizia – Regolamento (CE) n. 810/2009 – Articolo 32, paragrafo 3 – Codice comunitario dei visti – Decisione di diniego di un visto – Diritto del richiedente di proporre ricorso contro tale decisione – Obbligo di uno Stato membro di garantire il diritto a un ricorso giurisdizionale.
Causa C-403/16.

Identificatore ECLI: ECLI:EU:C:2017:659

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

MICHAL BOBEK

presentate il 7 settembre 2017 ( 1 )

Causa C‑403/16

Soufiane El Hassani

contro

Minister Spraw Zagranicznych

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Naczelny Sąd Administracyjny (Corte suprema amministrativa, Polonia)]

«Rinvio pregiudiziale – Spazio di libertà, sicurezza e giustizia – Codice dei visti – Diritto di ricorso – Rifiuto del console di rilasciare un visto Schengen – Ricorso dinanzi alla stessa autorità amministrativa Articolo 47 della Carta – Natura del diritto di ricorso – Amministrativa o giurisdizionale»

I. Introduzione

1.

Il sig. Soufiane El Hassani (in prosieguo: il «ricorrente») ha presentato domanda di rilascio di un visto Schengen per far visita alla moglie e al figlio che vivevano in Polonia. Il console polacco in Rabat (Marocco) ha rifiutato il visto, sia alla prima richiesta sia in seguito, quando si è pronunciato sul ricorso proposto dal ricorrente dinanzi alla stessa autorità. Il ricorrente ha chiesto ai giudici polacchi che tale rifiuto sia sottoposto a controllo giurisdizionale. Tuttavia, il diritto polacco esclude, in via di principio, il controllo giurisdizionale delle decisioni sui visti adottate dai consoli.

2.

In tale contesto di fatto e di diritto, il Naczelny Sąd Administracyjny (Corte suprema amministrativa, Polonia) chiede alla Corte di interpretare l’articolo 32, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 810/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 luglio 2009, che istituisce un codice comunitario dei visti (codice dei visti) ( 2 ) (in prosieguo: il «codice dei visti»), alla luce dell’articolo 47 della Carta de diritti fondamentali dell’Unione europea. Quali sono le implicazioni del diritto di presentare ricorso di cui all’articolo 32, paragrafo 3? Tale norma stabilisce l’obbligo degli Stati membri di prevedere il controllo giurisdizionale delle decisioni sui visti? O è sufficiente un ricorso amministrativo? Inoltre, qual è l’impatto dell’articolo 47 della Carta su tale valutazione?

II. Contesto normativo

A.   Diritto dell’Unione

1. La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»)

3.

L’articolo 47, primo comma, della Carta così recita:

«Ogni persona i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell’Unione siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice, nel rispetto delle condizioni previste nel presente articolo».

2. Il codice dei visti

4.

Ai termini del considerando 18 del codice dei visti:

«La cooperazione locale Schengen è fondamentale per l’applicazione armonizzata della politica comune in materia di visti e per una corretta valutazione dei rischi migratori e/o di sicurezza. Date le differenze nelle situazioni locali, l’applicazione operativa di particolari disposizioni legislative dovrebbe essere valutata fra le rappresentanze diplomatiche e consolari degli Stati membri nei singoli luoghi al fine di assicurare un’applicazione armonizzata delle disposizioni legislative per impedire il “visa shopping” e un trattamento diverso fra i richiedenti il visto».

5.

Il considerando 29 del codice dei visti è così formulato:

«Il presente regolamento rispetta i diritti fondamentali e osserva i principi sanciti in particolare dalla convenzione del Consiglio d’Europa per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea».

6.

L’articolo 1 del codice dei visti ne fissa l’obiettivo e l’ambito di applicazione:

«1.   Il presente regolamento fissa le procedure e le condizioni per il rilascio del visto di transito o per soggiorni previsti di non più di tre mesi su un periodo di sei mesi, nel territorio degli Stati membri.

(…)».

7.

L’articolo 2 del codice dei visti contiene varie definizioni. In particolare, l’articolo 2, paragrafo 2, lettera a), definisce il visto come «autorizzazione rilasciata da uno Stato membro, necessaria ai fini (…) del transito o di un soggiorno previsto nel territorio degli Stati membri, la cui durata non sia superiore a tre mesi su un periodo di sei mesi dalla data di primo ingresso nel territorio degli Stati membri».

8.

L’articolo 32, paragrafo 3, del codice dei visti prevede quanto segue:

«I richiedenti cui sia stato rifiutato il visto hanno il diritto di presentare ricorso. I ricorsi sono proposti nei confronti dello Stato membro che ha adottato la decisione definitiva in merito alla domanda e disciplinati conformemente alla legislazione nazionale di tale Stato membro. Gli Stati membri forniscono ai richiedenti informazioni sulla procedura cui attenersi in caso di ricorso, come precisato nell’allegato VI».

9.

Ai sensi dell’articolo 47, paragrafo 1, del codice dei visti:

«Le autorità centrali e i consolati degli Stati membri forniscono al pubblico tutte le informazioni rilevanti in merito alle domande di visto, in particolare:

(…)

h)

che eventuali decisioni negative relative alle domande devono essere notificate al richiedente, che tali decisioni devono indicare i motivi su cui si basano e che il richiedente la cui domanda è rifiutata ha diritto di proporre ricorso, con le informazioni riguardo alle procedure cui attenersi in caso di ricorso, compresa l’autorità giudiziaria competente, nonché i termini per presentarlo;

(…)».

10.

L’allegato VI del codice dei visti contiene il modulo uniforme per la notificazione e la motivazione del rifiuto, dell’annullamento o della revoca di un visto che ciascun richiedente deve ricevere. Esso prevede inoltre, in calce a tale modulo, che ciascuno Stato membro indichi la procedura nazionale in merito al diritto di ricorso, inclusi l’autorità competente cui può essere presentato ricorso e i termini entro i quali presentarlo.

B.   Diritto polacco

11.

L’articolo 60, paragrafo 1, punto 2, dell’ustawa z dnia 12 grudnia 2013 o cudzoziemcach (legge del 12 dicembre 2013 sugli stranieri; in prosieguo: la «legge sugli stranieri») così recita:

«Un visto Schengen o un visto nazionale è rilasciato per i seguenti motivi:

(…)

2)

visite a familiari o amici».

12.

A sua volta, l’articolo 76, paragrafo 1, di tale legge dispone quanto segue:

«Avverso la decisione di rifiuto di un visto Schengen (…) adottata da:

1)

un console, spetta il diritto di chiederne il riesame dinanzi alla stessa autorità;

2)

un comandante di divisione della guardia di frontiera, spetta un reclamo dinanzi al Comandante generale della guardia di frontiera».

13.

L’articolo 5 dell’ustawa z dnia 30 sierpnia 2002 r. Prawo o postępowaniu przed sądami administracyjnymi (legge del 30 agosto 2002 sui procedimenti dinanzi alla giustizia amministrativa; in prosieguo: la «legge sui procedimenti dinanzi alla giustizia amministrativa») è così formulato:

«Non rientrano nella competenza dei giudici amministrativi le seguenti materie:

(…)

4)

visti rilasciati dai consoli, ad eccezione dei visti rilasciati agli stranieri che sono familiari di un cittadino di uno Stato membro dell’Unione europea, di un paese membro dell’Associazione europea di libero scambio (EFTA) che è parte all’accordo sullo Spazio economico europeo o della Confederazione svizzera, ai sensi dell’articolo 2, punto 4, dell’ustawa z dnia 14 lipca 2006 o wjeździe na terytorium Rzeczypospolitej Polskiej, pobycie oraz wyjeździe z tego terytorium obywateli państw członkowskich Unii Europejskiej i członków ich rodzin (legge del 14 luglio 2006 sull’ingresso, il soggiorno e l’uscita dal territorio della Repubblica di Polonia da parte dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari)».

III. Fatti, procedimento e questione pregiudiziale

14.

Il 24 dicembre 2014, il ricorrente ha presentato al console della Repubblica di Polonia in Rabat (Marocco) domanda di rilascio di un visto Schengen. Il ricorrente intendeva far visita alla moglie e al figlio, entrambi cittadini polacchi, residenti in Polonia. Il 5 gennaio 2015, il console ha rifiutato il visto. Il ricorrente ha presentato al console una domanda di riesame della prima decisione. Il 27 gennaio 2015, il console ha adottato una seconda decisione negativa. Il motivo del rifiuto per entrambe le decisioni era rappresentato dall’incertezza circa l’intenzione del ricorrente di lasciare il territorio della Polonia prima della scadenza del visto.

15.

Il ricorrente ha proposto un ricorso avverso la seconda decisione negativa del console dinanzi al Wojewódzki Sąd Administracyjny w Warszawie (Tribunale amministrativo del voivodato di Varsavia, Polonia; in prosieguo: il «giudice di primo grado»). Egli ha affermato, tra l’altro, che il rifiuto di rilasciare il visto costituiva violazione dell’articolo 60, paragrafo 1, punto 2, della legge sugli stranieri, interpretato alla luce dell’articolo 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la «Convenzione»).

16.

Il ricorrente ha inoltre sostenuto che l’articolo 76, paragrafo 1, punto 1, della legge sugli stranieri non garantiva un livello di tutela conforme all’articolo 13 della Convenzione e che l’articolo 5, paragrafo 4, della legge sui procedimenti dinanzi alla giustizia amministrativa avrebbe violato l’articolo 14 della Convenzione: il ricorrente, che ha moglie e figlio cittadini polacchi residenti in Polonia, non ha diritto di presentare ricorso dinanzi ad un giudice amministrativo, mentre i coniugi di altri cittadini dell’Unione hanno tale possibilità.

17.

Con ordinanza del 24 novembre 2015, il giudice di primo grado ha respinto il ricorso. Detto giudice ha dichiarato la propria incompetenza ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 4, della legge sui procedimenti dinanzi alla giustizia amministrativa.

18.

Il ricorrente ha contestato tale ordinanza dinanzi al Naczelny Sąd Administracyjny (Corte suprema amministrativa, Polonia), giudice del rinvio. Nelle osservazioni presentate a tale giudice egli ha ribadito la sua posizione riguardo alla presunta violazione dell’articolo 8, paragrafo 1, e degli articoli 13 e 14 della Convenzione. Il ricorrente ha inoltre allegato che l’articolo 5, paragrafo 4, della legge sui procedimenti dinanzi alla giustizia amministrativa violava l’articolo 32, paragrafo 3, del codice dei visti e l’articolo 47 della Carta, i quali garantiscono il diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice.

19.

Con ordinanza del 28 aprile 2016, il Naczelny Sąd Administracyjny (Corte suprema amministrativa) ha sospeso il procedimento e ha sottoposto alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se l’articolo 32, paragrafo 3, del regolamento [n. 810/2009] (codice dei visti), tenuto conto del considerando 29 del codice dei visti e dell’articolo 47, primo comma, della [Carta], debba essere interpretato nel senso che esso impone allo Stato membro l’obbligo di garantire un mezzo di impugnazione (ricorso) effettivo dinanzi a un organo giurisdizionale».

20.

Hanno presentato osservazioni scritte il ricorrente, il Minister Spraw Zagranicznych (Ministro per gli Affari esteri polacco; in prosieguo anche: il «convenuto»), la Repubblica ceca, la Repubblica di Estonia, la Repubblica di Polonia e la Commissione europea. Tutte le parti, ad eccezione dell’Estonia, hanno presentato osservazioni orali all’udienza del 17 maggio 2017.

IV. Valutazione

21.

Con la sua questione pregiudiziale il giudice del rinvio chiede l’interpretazione dell’articolo 32, paragrafo 3, del codice dei visti alla luce dell’articolo 47 della Carta. In sostanza, si tratta di accertare se tali disposizioni debbano essere interpretate nel senso che obbligano gli Stati membri ad istituire un ricorso giurisdizionale (ossia, un mezzo di impugnazione dinanzi a un organo giurisdizionale) avverso il rifiuto di un visto oppure se possa essere sufficiente un ricorso amministrativo (un mezzo di impugnazione offerto dalla Pubblica amministrazione) ( 3 ).

22.

Da un lato, l’articolo 32, paragrafo 3, del codice dei visti prevede un generico e indeterminato «diritto di presentare ricorso» avverso il rifiuto di un visto, senza ulteriori specificazioni quanto al tipo di ricorso. Dall’altro lato, l’articolo 47, primo comma, della Carta garantisce il diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice per ogni persona i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell’Unione siano stati violati.

23.

Un modo di interpretare tali disposizioni potrebbe essere di intendere l’articolo 32, paragrafo 3, del codice dei visti alla luce dell’articolo 47, primo comma, della Carta, come è stato sostanzialmente proposto dalla Commissione. Dato che, prima facie, l’articolo 32, paragrafo 3, del codice dei visti è aperto e indeterminato, mentre l’articolo 47, primo comma, della Carta impone chiaramente un ricorso dinanzi a un organo giurisdizionale, intendere l’articolo 32, paragrafo 3, del codice dei visti alla luce dell’articolo 47, primo comma, della Carta significherebbe quindi, semplicemente, che l’articolo 32, paragrafo 3, dovrebbe essere automaticamente «riadeguato» al «livello più elevato» e inteso nel senso che impone un ricorso giurisdizionale.

24.

Non credo che questo sia l’approccio corretto nella fattispecie. A mio avviso, è più appropriato analizzare ognuno di questi due livelli normativi separatamente prima di esaminare quale sia il loro significato se interpretati in combinato disposto. Non si tratta di una mera fantasia accademica, che favorisce la tassonomia analitica dettagliata rispetto al minimalismo giudiziario pragmatico. Come sarà ulteriormente chiarito infra, nella sezione C delle presenti conclusioni, tale approccio presenta notevoli implicazioni pratiche.

25.

Le presenti conclusioni sono quindi strutturate come segue. Anzitutto, valuterò quali sono i requisiti fissati dall’articolo 32, paragrafo 3, del codice dei visti relativamente ai ricorsi (A). Successivamente, esaminerò quali sono specificamente gli effetti dell’articolo 47, primo comma, della Carta (B). Infine, mi soffermerò sulle conseguenze derivanti dall’applicazione del combinato disposto degli articoli 32, paragrafo 3, del codice dei visti e 47, primo comma, della Carta (C).

A.   Requisiti derivanti dall’articolo 32, paragrafo 3, del codice dei visti

1. Ricorso amministrativo o giurisdizionale?

26.

Cosa impone l’articolo 32, paragrafo 3, del codice dei visti? A mio avviso, l’articolo 32, paragrafo 3, non impone agli Stati membri di prevedere un sistema di controllo giurisdizionale per valutare la legittimità del rifiuto di un visto. Il ricorso previsto da uno Stato membro ai sensi dell’articolo 32, paragrafo 3, può essere amministrativo o giurisdizionale. Può anche coinvolgere vari organismi di natura ibrida, che si collocano a metà fra il controllo amministrativo e il controllo giurisdizionale. Prima facie, l’articolo 32, paragrafo 3, è una norma alquanto aperta: deve essere effettuato un controllo, ma la determinazione della sua forma specifica è rimessa alla discrezionalità degli Stati membri.

27.

Tale conclusione deriva da un’interpretazione testuale, contestuale e teleologica dell’articolo 32, paragrafo 3, del codice dei visti.

a) Testo

28.

In primo luogo, nelle sue varie versioni linguistiche, l’articolo 32, paragrafo 3, utilizza prevalentemente una terminologia aperta che non consente di giungere a una conclusione definitiva riguardo alla natura del ricorso previsto da tale disposizione.

29.

La maggior parte delle varie versioni linguistiche fa riferimento a una nozione di ricorso ampia e indeterminata, senza indicare con chiarezza un particolare tipo di ricorso. Ad esempio, il termine utilizzato nel codice dei visti è, in francese, «recours», in italiano, «ricorso» e in spagnolo, «recursos». Si tratta di termini neutri che possono riferirsi al ricorso amministrativo o al ricorso giurisdizionale, oppure a entrambi.

30.

Sfumature presentano altre versioni linguistiche. Mentre «beroep», in neerlandese, o «Rechtsmittel», in tedesco, potrebbe essere inteso in senso favorevole a un ricorso di natura giurisdizionale, i termini utilizzati in alcune lingue slave, come «odvolání» in ceco, «odvolanie» in slovacco o «odwołania» in polacco, potrebbero riferirsi meglio a un ricorso di natura amministrativa.

31.

Ad ogni modo, secondo una giurisprudenza costante, in caso di divergenza tra le versioni linguistiche, la portata della disposizione in questione deve essere valutata non sulla base di una mera interpretazione testuale, bensì in funzione del sistema e della finalità della normativa di cui è parte ( 4 ). Pertanto, l’argomento linguistico comparativo è, di per sé, chiaramente non decisivo.

32.

In secondo luogo, ciò che potrebbe essere più rilevante a livello testuale è la circostanza che la formulazione stessa dell’articolo 32, paragrafo 3, del codice dei visti fa espresso riferimento al diritto nazionale. Infatti, tale disposizione stabilisce chiaramente che i ricorsi sono proposti conformemente alla legislazione nazionale dello Stato membro che ha adottato la decisione definitiva in merito alla domanda di visto.

33.

Pertanto, l’unico chiaro insegnamento che emerge dal testo dell’articolo 32, paragrafo 3, sta nel fatto che il legislatore dell’Unione ha rimesso agli Stati membri il potere di decidere sulla natura e sulla concreta disciplina dei mezzi di impugnazione messi a disposizione dei richiedenti i visti. Spetta principalmente a tali Stati dar forma al diritto di presentare ricorso.

b) Contesto

34.

Tale conclusione provvisoria non cambia quando si esamina il contesto dell’articolo 32, paragrafo 3, vuoi nell’ambito del codice dei visti (argomento sistematico interno) vuoi al di fuori di esso (argomento sistematico esterno).

35.

Per quanto riguarda l’argomento sistematico interno, va osservato che la nozione di «ricorso» è utilizzata anche in altre parti del codice dei visti. Tuttavia, anche in tali parti detta nozione è impiegata in modo aperto e indeterminato.

36.

L’articolo 34, paragrafo 7, formulato in termini assai simili all’articolo 32, paragrafo 3, prevede semplicemente il «diritto di presentare ricorso» avverso annullamenti o revoche di visti. Neppure tale disposizione definisce la nozione di ricorso. Analogamente, l’articolo 47, paragrafo 1, lettera h), impone agli Stati membri di informare il pubblico che i richiedenti i visti le cui domande siano state respinte hanno «diritto di proporre ricorso». Più in particolare, tale disposizione impone agli Stati membri di fornire informazioni riguardo alle procedure cui attenersi in caso di ricorso, «compresa l’autorità giudiziaria competente, nonché i termini per presentarlo».

37.

A tale dovere di informazione da parte degli Stati membri viene data ulteriore espressione nel modulo uniforme contenuto nell’allegato VI del codice dei visti. Tale modulo deve essere utilizzato per notificare e motivare il rifiuto, l’annullamento o la revoca di un visto. Conformemente all’articolo 32, paragrafo 3, tale modulo conferma anche, sostanzialmente, che spetta al legislatore nazionale stabilire le procedure adeguate e quindi informarne il richiedente.

38.

Ancora una volta, omettendo di specificare la natura dell’autorità competente – giurisdizionale o amministrativa – a esaminare ricorsi avverso decisioni negative sui visti, il codice dei visti, nel suo insieme, sembra rimettere intenzionalmente agli Stati membri di prevedere il particolare tipo di ricorso che essi ritengano più adeguato in considerazione delle proprie strutture istituzionali ( 5 ).

39.

Tale interpretazione è chiaramente confermata dal più ampio e contestuale argomento sistematico esterno, quando l’attenzione si sposta al di fuori del codice dei visti, su altri atti di diritto derivato che disciplinano anch’essi l’ingresso di cittadini di paesi terzi nel territorio dell’Unione. Da un lato, in casi sia di soggiorno breve che di soggiorno lungo, tali atti non richiedono in genere un controllo giurisdizionale di decisioni che vietano l’ingresso. Dall’altro lato, e per contro, quando ha ritenuto necessario un ricorso giurisdizionale dinanzi a un giudice, il legislatore dell’Unione lo ha previsto espressamente.

40.

Nell’ambito della prima categoria, vari atti di diritto derivato che disciplinano l’ammissione di cittadini di paesi terzi nel territorio dell’Unione non richiedono espressamente la disponibilità di un sistema di ricorso giurisdizionale. Alcuni atti omettono di specificare la natura del ricorso avverso decisioni negative in materia di ingresso, quali il rifiuto di un singolo permesso per motivi di lavoro ( 6 ), il rigetto della domanda di ricongiungimento familiare ( 7 ) oppure – e forse è il caso che presenta la più stretta analogia con la situazione in esame – la decisione adottata alla frontiera di rifiutare l’ingresso nel territorio degli Stati membri ( 8 ). Altri atti prevedono espressamente la possibilità di presentare un ricorso o dinanzi a un organo giurisdizionale o dinanzi a un’autorità amministrativa. Ciò è quanto avviene, in particolare, in caso di rifiuto di un permesso di soggiorno a uno studente straniero ( 9 ) o di qualsiasi decisione negativa su domande di autorizzazione a svolgere lavoro stagionale ( 10 ).

41.

Nonostante tali differenze, va osservato che i soggiorni lunghi non sono trattati più «favorevolmente» dei soggiorni brevi in relazione al diritto di presentare ricorso avverso decisioni negative in materia di ingresso. Tuttavia, se tali decisioni non garantiscono necessariamente un controllo giurisdizionale, la conclusione deve essere a fortiori la stessa quando si tratta di soggiorni brevi.

42.

Per quanto riguarda la seconda categoria, sembra che altri atti di diritto derivato che riguardano l’ingresso di cittadini di paesi terzi nel territorio degli Stati membri prevedano espressamente il controllo giurisdizionale delle decisioni negative. È quanto avviene nel caso dell’ingresso dei familiari di cittadini dell’Unione ( 11 ) o dei richiedenti asilo ( 12 ). Ciò dimostra che, quando il legislatore dell’Unione intende prevedere il controllo giurisdizionale, può stabilirlo espressamente.

43.

Nel complesso, questa varietà di criteri dimostra che il legislatore dell’Unione può prevedere entrambi i tipi di ricorso e, quando richiede senza meno un ricorso giurisdizionale, tale requisito può essere stabilito espressamente. A parte situazioni specifiche, principalmente collegate alla cittadinanza dell’Unione e all’asilo, risulterebbe la tendenza a non imporre agli Stati membri di garantire il controllo giurisdizionale di decisioni negative sull’ingresso di cittadini di paesi terzi.

c) Scopo

44.

Da quanto è possibile accertare, l’intenzione del legislatore dell’Unione è stata di rimettere la scelta circa la natura del ricorso agli Stati membri. Ciò risulta non solo dall’obiettivo specifico dell’articolo 32, paragrafo 3, del codice dei visti, ma anche dall’obiettivo generale del codice dei visti.

45.

Nel considerare l’obiettivo specifico dell’articolo 32, paragrafo 3, del codice dei visti, i pochi documenti disponibili lasciano intendere che diversi Stati membri erano restii a prevedere espressamente il diritto a un ricorso giurisdizionale. In udienza il governo ceco ha sostenuto che la natura e le caratteristiche specifiche del ricorso sono state lasciate deliberatamente aperte all’interpretazione durante le negoziazioni che hanno portato all’adozione del codice dei visti. Sebbene tali indicazioni trovino un certo sostegno nella genesi normativa di tale disposizione ( 13 ), in mancanza di una chiara enunciazione dell’intenzione del legislatore in materia tale argomento rimane non decisivo.

46.

Per quanto riguarda l’obiettivo generale del codice dei visti, sembra che, nell’adottare il codice comunitario dei visti, il Parlamento e il Consiglio si siano adoperati per porre fine alla disparità delle norme preesistenti, rispetto in particolare alle condizioni sostanziali di ingresso e alle garanzie procedurali, come l’obbligo di motivazione e il diritto di presentare ricorso avverso decisioni negative ( 14 ). È quindi evidente che essi intendevano unificare tali condizioni per evitare il «visa shopping» e garantire parità di trattamento fra i richiedenti il visto, come risulta dal considerando 18.

47.

Tuttavia, anche se ha unificato l’esistenza del ricorso, il legislatore dell’Unione si è fermato a un passo dall’armonizzarne pienamente la natura. Tutto considerato, sembra che gli estensori siano stati volutamente ambigui, lasciando indeterminata l’esatta natura del mezzo di impugnazione.

d) Conclusione provvisoria

48.

L’articolo 32, paragrafo 3, del codice dei visti richiede che sia prevista la possibilità di un ricorso. Esso non impone, tuttavia, come tale e di per sé, la natura specifica di tale ricorso. La questione è demandata agli Stati membri. Pertanto, il ricorso può essere amministrativo o giurisdizionale o una combinazione di entrambi.

2. L’equivalenza e l’effettività del tipo di ricorso prescelto

49.

Poiché la formulazione dell’articolo 32, paragrafo 3, del codice dei visti è rimasta aperta, la Polonia ha optato per un ricorso amministrativo avverso il rifiuto di un visto: un ricorso avverso la prima decisione del console può essere presentato a detto console, che riesaminerà la sua decisione.

50.

Va ricordato che, in questa fase, l’articolo 47, primo comma, della Carta, che sancisce il principio della tutela giurisdizionale effettiva, non entra ancora in scena. La libertà di scelta riguardo alla natura (al livello di tutela) del mezzo di impugnazione non significa, però, che l’attuazione di tale scelta, una volta esercitata, sfugga a qualsiasi controllo da parte del diritto dell’Unione.

51.

Secondo una giurisprudenza costante, in mancanza di armonizzazione delle procedure nazionali, le norme dettagliate che stabiliscono il diritto di presentare ricorso costituiscono materia dell’ordinamento giuridico di ciascuno Stato membro, conformemente al principio dell’autonomia procedurale. Tuttavia, tali norme non dovrebbero essere meno favorevoli rispetto a quelle relative a situazioni analoghe assoggettate al diritto interno (principio di equivalenza) e non dovrebbero rendere eccessivamente difficile o praticamente impossibile l’esercizio dei diritti conferiti dal diritto dell’Unione (principio di effettività) ( 15 ).

52.

Occorre pertanto esaminare se il ricorso amministrativo, valutato in quanto tale e considerato autonomamente, soddisfi il duplice requisito a) dell’equivalenza e b) dell’effettività. È evidente che, al riguardo, questa sottosezione può fornire soltanto alcune indicazioni sulla valutazione che deve essere effettuata, in definitiva, dal giudice del rinvio, con piena cognizione del diritto e della procedura nazionale pertinente.

a) Equivalenza

53.

Valutare l’equivalenza per quanto riguarda il trattamento delle domande di visto non è un’operazione semplice. Attualmente la maggior parte dei visti per soggiorni di breve durata sono «visti Schengen» o visti rilasciati conformemente al codice dei visti. Pertanto, non è un compito facile determinare qual è o quale potrebbe essere il regime parallelo più simile nel diritto nazionale al fine di stabilire un termine di paragone adeguato per la valutazione dell’equivalenza.

54.

In udienza sono stati oggetto di discussione due ambiti di confronto: in primo luogo, le decisioni amministrative discrezionali in materia di ingresso (in particolare, i rifiuti di visto ai sensi del codice dei visti e i rifiuti di ingresso decisi in base al codice frontiere Schengen) e, in secondo luogo, altre decisioni adottate dai consoli (per esempio, eventuali decisioni sullo stato civile, sulla legalizzazione di documenti o sul rilascio di passaporti). Il primo potenziale termine di paragone comprende lo stesso oggetto (decisioni di ingresso nel territorio nazionale), ma gli organi decisionali sono diversi. Il secondo riguarda lo stesso organo decisionale, ma l’oggetto delle decisioni adottate da tale organo è diverso.

55.

In primo luogo, per quanto riguarda le decisioni amministrative discrezionali in materia di ingresso, risulta che ai sensi del diritto polacco la portata del controllo di legittimità delle decisioni sui visti dipende dall’identità dell’autorità amministrativa nazionale competente ad adottare le decisioni e dallo status della persona che presenta la domanda di autorizzazione all’ingresso. In particolare, sembra che il controllo giurisdizionale sia disponibile per le decisioni sui visti adottate dal Ministro per gli Affari esteri, dal Voivoda o dal Comandante generale della guardia di frontiera ( 16 ).

56.

In secondo luogo, per quanto riguarda le decisioni adottate dai consoli, sembra che la procedura di riesame per decisioni adottate da un console si applichi soltanto al rifiuto del visto. Come sembra aver suggerito il governo polacco nel corso dell’udienza, altri tipi di decisioni adottate da un console sono rivedibili con modalità differenti.

57.

La valutazione classica del requisito dell’equivalenza normalmente è svolta secondo questo secondo tipo di confronto: le domande basate sul diritto dell’Unione sono paragonate alle domande non basate sul diritto dell’Unione in quanto trattate dinanzi alla stessa autorità nel corso di procedimenti simili – nella fattispecie, il console.

58.

Tuttavia, poiché le informazioni fornite alla Corte al riguardo non sono molte, è in realtà il giudice del rinvio a dover stabilire quali siano le domande simili trattate dai consoli e se tali domande siano trattate in modo diverso.

b) Effettività

59.

Come già affermato, il requisito dell’effettività indica che i mezzi di impugnazione nazionali non dovrebbero rendere l’applicazione del diritto dell’Unione a livello nazionale praticamente impossibile o eccessivamente difficile.

60.

Ai sensi del diritto polacco, risulta che, salvo verifica da parte del giudice del rinvio, lo stesso console che ha adottato la prima decisione avrà il compito di trattare il ricorso presentato avverso la propria decisione. Tale procedura di riesame può essere ritenuta effettiva?

61.

Secondo il giudice del rinvio, il ricorrente e la Commissione, vi è incertezza riguardo all’effettività del riesame da parte dello stesso console.

62.

Per contro, il Ministro per gli Affari esteri ha sostenuto che il riesame da parte del console è effettivo. Il Ministro ha presentato dati statistici per dimostrare il suo punto di vista: secondo i suoi dati, in media e considerate nel complesso con riferimento a tutti i consolati polacchi, più di un terzo delle decisioni che rifiutano il rilascio di un visto sono riformate. In particolare, per quanto riguarda il Console della Repubblica di Polonia in Marocco, tale dato sembra essere pari addirittura al 60% circa dei casi.

63.

Dal mio punto di vista, la questione dell’effettività di una procedura è principalmente una questione strutturale e giuridica, non già un esercizio di statistica. I dati statistici sono certamente rilevanti, ma solo in via secondaria, nell’ambito dell’analisi giuridica: per confermare o contestare il fatto che un determinato regime giuridico funziona in un determinato modo. Oppure per rafforzare il sospetto che un regime giuridico prima facie applicabile indistintamente abbia in realtà un impatto alquanto differenziato. Separati dall’analisi giuridica, i dati statistici hanno una rilevanza limitata.

64.

Nondimeno, per quel che vale, non sono sicuro che, presentando tali dati, il governo polacco corrobori realmente la sua argomentazione sull’effettività delle sue procedure. Al contrario: una percentuale di decisioni riformate in sede di ricorso del 60% fa sorgere piuttosto seri dubbi sull’intera procedura, in particolare sulla qualità del processo decisionale in primo grado.

65.

Tornando al livello strutturale e giuridico: quando un ricorso amministrativo può essere definito un mezzo di impugnazione effettivo?

66.

Come suggerisce il buon senso, affinché a un procedimento sia attribuita la denominazione di ricorso, deve sussistere in esso qualche elemento di novità. Se alla medesima persona dovesse essere chiesto di riesaminare la medesima serie di informazioni, tale impresa potrebbe essere etichettata con vari nomi ( 17 ), ma difficilmente con quello di «ricorso». Il termine novità significa generalmente che qualcun altro riesamina lo stesso caso quale di norma corredato da ulteriori informazioni, documenti o argomenti. Sono due, pertanto, gli elementi che potrebbero definire il ricorso: un diverso revisore o giudice e una diversa documentazione sottoposta ad esame.

67.

Se e in quale misura tali requisiti siano soddisfatti nel caso del riesame del rifiuto del visto da parte del console ai sensi del diritto polacco è una questione di competenza del giudice del rinvio. Interpellato in udienza su questo punto specifico, il convenuto ha lasciato intendere che i richiedenti le cui domande non siano state accolte possono, nel proporre ricorso, presentare nuovi documenti al console. Il convenuto ha fatto altresì allusione all’esistenza di una circolare interna dei servizi consolari del Ministero per gli Affari esteri che raccomanda ai consoli di assegnare i ricorsi, per quanto possibile, «in senso orizzontale»: ossia, a un diverso funzionario consolare all’interno dello stesso consolato.

68.

Accertare con precisione il diritto e la prassi nazionale a tal riguardo è una questione di competenza del giudice del rinvio. Si potrebbe soltanto aggiungere che, nella fattispecie, ha naturalmente rilevanza il particolare contesto delle missioni diplomatiche. Da un lato, le missioni diplomatiche sono dotate di tutti i mezzi per valutare le domande di visto, data la profonda conoscenza dei fatti concreti relativi al richiedente il visto. Pertanto, esse sono anche particolarmente idonee a esaminare i ricorsi presentati avverso il rifiuto di un visto, sebbene si debba garantire l’effettività del tipo di ricorso amministrativo previsto dal diritto nazionale. Dall’altro lato, è anche piuttosto evidente che non tutte le missioni diplomatiche e le rappresentanze consolari possono disporre di personale sufficiente e di personale di grado superiore rispetto alla persona che ha adottato la prima decisione. Anche in tali casi, però, lo Stato membro può disporre ancora di varie opzioni per garantire che, nonostante tali limitazioni, il ricorso amministrativo sia effettivo nel senso sopra delineato, per esempio affidare l’esame dei ricorsi a un’altra persona nell’ambito della stessa amministrazione consolare (delega orizzontale).

c) Conclusione provvisoria

69.

Alla luce di quanto precede, ritengo che l’articolo 32, paragrafo 3, del codice dei visti debba essere interpretato nel senso che esso rimette a ciascuno Stato membro la decisione sulla natura del ricorso avverso il rifiuto del visto, purché il ricorso sia conforme ai principi di equivalenza e di effettività.

B.   Requisiti derivanti dall’articolo 47, primo comma, della Carta

70.

L’articolo 47 della Carta, intitolato «Diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale», ha codificato il principio generale della tutela giurisdizionale effettiva stabilito in precedenza dalla Corte ( 18 ). Di recente la Corte ha altresì dichiarato che «[a] tale diritto corrisponde l’obbligo imposto agli Stati membri dall’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE di stabilire i rimedi giurisdizionali necessari per assicurare una tutela giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione» ( 19 ).

71.

Ai sensi dell’articolo 47, primo comma, della Carta, ogni persona i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell’Unione siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice.

72.

Quale obbligo viene imposto dall’articolo 47, primo comma, della Carta nel contesto del codice dei visti in generale e dell’articolo 32 in particolare? A mio avviso, l’articolo 47, primo comma, impone agli Stati membri di prevedere il riesame del rifiuto di un visto dinanzi a un giudice, ossia dinanzi a un organo giurisdizionale.

73.

Dopo aver esaminato l’applicabilità dell’articolo 47, primo comma, al caso di specie, segnatamente per quanto riguarda il diritto/i diritti o la libertà/le libertà dell’Unione oggetto di violazione (1), valuterò l’esatto significato dell’espressione «ricorso effettivo dinanzi a un giudice» (2).

1. Quali sono «i diritti e le libertà» garantiti dal diritto dell’Unione?

74.

Affinché l’articolo 47, primo comma, della Carta sia applicabile, devono essere soddisfatte due condizioni cumulative. In primo luogo, la situazione in esame deve rientrare nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione perché la Carta possa essere interamente applicata (articolo 51, paragrafo 1, della Carta come interpretato dalla Corte nella sentenza Åkerberg Fransson ( 20 )). In secondo luogo, come deriva espressamente della formulazione letterale dell’articolo 47, primo comma, il ricorrente deve disporre concretamente di «un diritto o una libertà» garantiti dal diritto dell’Unione che possano determinare l’applicazione, in particolare, del disposto dell’articolo 47, primo comma.

75.

Avrei forti esitazioni a sottoscrivere l’affermazione secondo la quale il diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice deriva dalla mera applicabilità della Carta ( 21 ), per almeno quattro ragioni.

76.

In primo luogo, esiste il testo dell’articolo 47, primo comma, della Carta. Questo fa chiaramente riferimento al fatto che «i diritti o le libertà garantiti dal diritto dell’Unione» siano stati violati al fine di rendere tale disposizione applicabile. Se avessero inteso l’articolo 47, primo comma, come una norma universalmente applicabile, per effetto dell’articolo 51, paragrafo 1, indipendentemente da diritti o libertà concreti, gli estensori avrebbero semplicemente previsto che «ogni persona ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice», omettendo ulteriori specificazioni o limiti.

77.

In secondo luogo, la giurisprudenza della Corte, salvo alcune eccezioni ( 22 ), mostra come la Corte tenda a subordinare il ricorso all’esistenza di un diritto o di una libertà dell’Unione di cui il ricorrente possa asserire la violazione. Tale nesso istituito dalla Corte tra diritto e ricorso non costituisce in ogni caso una novità ( 23 ).

78.

In terzo luogo, l’affermazione secondo la quale la mera applicabilità della Carta determina anche l’applicazione dell’articolo 47, primo comma, imporrebbe, di conseguenza, agli Stati membri l’obbligo di prevedere un ricorso giurisdizionale in ogni questione disciplinata dal diritto dell’Unione. Ritengo che siffatta conseguenza possa difficilmente conciliarsi con l’articolo 51, paragrafo 2, della Carta, in cui si prevede che la Carta non estende l’ambito di applicazione del diritto dell’Unione al di là delle competenze dell’Unione europea, nonché con l’intento degli Stati membri, più volte espresso ( 24 ), secondo il quale la Carta non deve creare autonomamente obblighi nuovi e indipendenti ( 25 ).

79.

In quarto luogo, esiste anche il più ampio contesto dell’autonomia procedurale degli Stati membri. Subordinare l’applicabilità dell’articolo 47, primo comma, della Carta effettivamente alla presunta violazione di semplici interessi giuridici che potrebbero trovarsi sospesi da qualche parte nelle penombre dell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione, contrariamente ai diritti e alle libertà concreti, riconoscibili e individuali, garantiti dal diritto dell’Unione, richiederebbe, in termini di attuazione, notevoli adeguamenti nelle tradizioni giuridiche di tali Stati membri in cui il fatto di stare in giudizio (legittimazione attiva a presentare un ricorso) dipende dalla violazione di un diritto soggettivo ( 26 ).

80.

Pertanto, l’applicabilità dell’articolo 47, primo comma, della Carta dipende sia dall’applicabilità generale della Carta sia dall’esistenza in concreto di un diritto o di una libertà garantiti dal diritto dell’Unione.

81.

D’altro canto, è giusto ammettere che, in termini pratici, la differenza tra le due posizioni non è probabilmente così significativa. Nella maggior parte dei casi, una controversia rientra nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione e quindi dell’articolo 51, paragrafo 1, della Carta proprio perché il singolo tenta di affermare i suoi diritti basati sul diritto dell’Unione nel procedimento nazionale. Detto in altri termini: se esistono diritti o libertà chiaramente identificabili, garantiti dal diritto dell’Unione, sufficientemente concreti per determinare l’applicazione dell’articolo 47, primo comma, della Carta, è evidente che anche tale questione rientra nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione ai sensi dell’articolo 51, paragrafo 1, della Carta (argomento a maiore ad minus). Tuttavia, come ho tentato di spiegare nei paragrafi precedenti, la logica inversa non trova applicazione.

82.

Peraltro, richiedere un diritto o una libertà concretamente identificabile, che sia a vantaggio della specifica parte in causa, ai fini dell’applicabilità dell’articolo 47, primo comma, oltre che dell’articolo 51, paragrafo 1, non integra soltanto un dibattito accademico, bensì presenta conseguenze pratiche come, per esempio, l’eliminazione dell’actio popularis. Deve esistere un diritto concreto previsto dal diritto dell’Unione e che sia a vantaggio della specifica parte in causa.

83.

Nella causa in esame, per quanto riguarda la prima condizione, l’applicabilità generale della Carta non è stata contestata da nessuna delle parti del procedimento. Ai sensi dell’articolo 51, paragrafo 1, la Carta è applicabile quando gli Stati membri danno attuazione al diritto dell’Unione. L’applicabilità del diritto dell’Unione implica quella dei diritti fondamentali garantiti dalla Carta. Pertanto, la Carta si applica naturalmente quando le autorità degli Stati membri applicano le disposizioni del codice dei visti, intendendosi le disposizioni relative alle condizioni di ingresso, alla procedura di domanda o alle garanzie processuali. In particolare, essa si applica quando uno Stato membro adotta decisioni in base al codice dei visti, come una decisione di rifiuto di rilasciare un visto ai sensi dell’articolo 32, paragrafo 1.

84.

La valutazione della seconda condizione è un po’ più complessa. Quali sono il diritto/i diritti o la libertà/le libertà concreti, garantiti dal diritto dell’Unione al richiedente il visto, che determinano l’applicazione dell’articolo 47, primo comma, nel caso di specie? Nel corso del presente procedimento sono stati oggetto di discussione tre diversi potenziali diritti: il diritto alla vita familiare, il diritto di visto e il diritto a che la propria domanda di visto sia trattata in modo equo.

85.

Esaminerò questi tre diritti in successione. Il diritto alla vita familiare, come presentato dal ricorrente, sembra essere di scarsa rilevanza ai fini dell’applicazione, nella fattispecie, dell’articolo 47, primo comma, della Carta (a). Inoltre, a mio avviso, non esiste alcun «diritto di visto» ai sensi del diritto dell’Unione (b). Esiste, invece, il diritto a che la propria domanda di visto sia trattata in modo equo e adeguato, diritto che, nella fattispecie, può determinare l’applicazione dell’articolo 47, primo comma (c).

a) Diritto alla vita familiare

86.

Per quanto riguarda il diritto alla vita familiare, il ricorrente ha sostenuto nelle sue osservazioni scritte che il rifiuto del visto ha pregiudicato il suo diritto a coltivare un rapporto personale regolare con la moglie e il figlio.

87.

Il diritto alla vita familiare è certamente rilevante nell’applicazione del codice dei visti e nella successiva valutazione della causa nel merito. Tuttavia, è il codice dei visti, ossia le disposizioni sostanziali e procedurali di diritto derivato dell’Unione applicabili nella fattispecie, a determinare l’applicazione dell’articolo 47, primo comma, della Carta.

88.

È chiaro che le considerazioni di carattere familiare non mancano nel codice dei visti. In particolare, l’articolo 24, paragrafo 2, prevede il rilascio di visti per ingressi multipli quando il richiedente dimostra la necessità o giustifica l’intenzione di viaggiare regolarmente a motivo della sua situazione familiare ( 27 ). Pertanto, a parte i motivi d’affari o turistici, i visti possono anche essere richiesti per far visita ai familiari. La vita familiare è dunque una delle dimensioni sottese al codice dei visti.

89.

D’altro canto, la vita familiare implica stabilità e un impegno a lungo termine. È quindi probabile che sia meno rilevante in caso di visti per soggiorni brevi che in caso di visti per soggiorni lunghi o di permessi di soggiorno ( 28 ). Inoltre, diversamente da altri atti di diritto dell’Unione come la direttiva sui cittadini ( 29 ) o la direttiva sul ricongiungimento familiare ( 30 ), che non sono applicabili nella fattispecie ( 31 ), il codice dei visti è inteso a facilitare i viaggi internazionali legittimi e a combattere l’immigrazione clandestina, non a creare o a rafforzare i vincoli familiari ( 32 ).

90.

Pertanto, il diritto alla vita familiare, come previsto nel codice dei visti e come diritto fondamentale garantito dalla Carta, attiene certamente alla potenziale valutazione successiva della causa nel merito. Considerato in sé e per sé, tuttavia, ossia separatamente dal codice dei visti, il riferimento a un diritto alla vita familiare sancito dalla Carta non può determinare l’applicazione dell’articolo 47, primo comma, della Carta ( 33 ).

b) Esiste un diritto di visto?

91.

Il ricorrente e la Commissione (principalmente nelle sue osservazioni scritte, in quanto in udienza ha adottato una posizione meno netta) hanno sostenuto che esiste un diritto soggettivo, benché non automatico, al visto. A loro avviso, tale affermazione deriva dalla sentenza Koushkaki ( 34 ).

92.

Tutte le altre parti del procedimento sostengono che il codice dei visti non può essere interpretato nel senso che stabilisce un diritto (soggettivo), per il cittadino di un paese terzo, al rilascio di un visto Schengen.

93.

Condivido quest’ultima affermazione. Non esiste alcun diritto di visto ai sensi del diritto dell’Unione.

94.

In primo luogo, interpreto la sentenza Koushkaki in modo alquanto diverso rispetto al ricorrente e alla Commissione. È vero che, al punto 55 di tale sentenza, la Grande Sezione di questa Corte ha dichiarato che le autorità competenti non possono opporre un rifiuto a una domanda di visto uniforme se non nei casi in cui al richiedente può essere contestato uno dei motivi di rifiuto elencati agli articoli 32, paragrafo 1, e 35, paragrafo 6, del codice dei visti ( 35 ).

95.

Tuttavia, tale dichiarazione non significa, a mio avviso, che «il singolo ha un diritto soggettivo al visto, tutelato dal diritto dell’Unione». Ciò che conta è il contesto. Nella sezione della sentenza che porta al punto 55, la Corte non si è occupata dei diritti individuali, ma dello scopo generale del codice dei visti e dell’ammissibile discrezionalità delle autorità degli Stati membri che applicano tale codice. Ai punti da 50 a 54, immediatamente precedenti la statuizione in parola, la Corte ha ricordato che lo scopo del codice dei visti è di armonizzare le condizioni per il rilascio del visto, prevedendo così un visto realmente uniforme e impedendo il visa shopping. I criteri stabiliti nel codice dei visti devono essere rispettati. Gli Stati membri devono applicarli in modo uniforme.

96.

Letto in quest’ottica, il punto 55 della sentenza riassume, in sostanza, l’obbligo di legalità uniforme imposto agli Stati membri dalle disposizioni pertinenti del codice dei visti. Ad ogni modo, dalla dichiarazione secondo la quale le autorità amministrative nazionali devono adempiere i loro obblighi ai sensi del codice dei visti certamente non deriva che un individuo abbia un diritto soggettivo di visto. In altri termini, dalla dichiarazione secondo la quale un arbitro deve applicare rigorosamente le regole del gioco e non può rifiutarsi di chiamare il time out o di punire un fallo, quando ciò sia imposto dalle regole, non deriva che qualsiasi concorrente abbia il diritto soggettivo di vincere la partita.

97.

In secondo luogo, e aspetto forse ancor più importante, riconoscere l’esistenza di un diritto soggettivo al visto presupporrebbe, a mio avviso, l’esistenza di un diritto di ingresso nel territorio dell’Unione. Tuttavia, siffatto diritto non esiste.

98.

Il semplice fatto che esista il requisito del visto già preclude, di per sé, l’idea di un diritto soggettivo di ingresso nel territorio degli Stati membri. Come stabilito all’articolo 2, paragrafo 2, lettera a), del codice dei visti, il visto è un’«autorizzazione rilasciata da uno Stato membro, necessaria ai fini (…) del transito o di un soggiorno previsto nel territorio degli Stati membri, la cui durata non sia superiore a tre mesi (…)».

99.

Se si considera la logica alla base dei visti, essi sono espressione della sovranità dello Stato nel suo territorio, «uno strumento di controllo degli ingressi e quindi dei flussi migratori, così come [possono] anche rivelarsi (…) uno strumento di politica estera e di sicurezza» ( 36 ). Spetta quindi agli Stati membri esercitare il loro potere discrezionale per decidere chi possa entrare nel loro territorio, anche in circostanze eccezionali ( 37 ). A fortiori, in circostanze normali, spetta agli Stati membri valutare in definitiva se, ad esempio, il richiedente il visto possa costituire una minaccia per l’ordine pubblico, se questi disponga dei mezzi di sussistenza necessari o se esistano ragionevoli dubbi che il richiedente intenda lasciare il territorio degli Stati membri prima della scadenza del visto per il quale viene presentata la domanda.

100.

Infine, non tutti gli stranieri sono uguali per quanto riguarda il requisito del visto. Proprio il fatto che taluni individui (come i cittadini dell’Unione e i loro familiari o i cittadini di paesi terzi esenti dall’obbligo di visto ( 38 )) non debbano ottenere un visto per entrare nel territorio dell’Unione dimostra che coloro che devono esibire un visto valido alla frontiera non beneficiano di un diritto di visto né di un diritto di ingresso ( 39 ), contrariamente ad alcuni fra i «privilegiati» summenzionati che ne beneficiano.

101.

Al riguardo, condivido i dubbi dell’avvocato generale Mengozzi, espressi nelle conclusioni presentate nella causa Koushkaki, riguardo all’adozione del codice dei visti sotto forma di regolamento e al fatto che ciò possa significare che «gli Stati membri abbiano di fatto acconsentito a un salto qualitativo di tale importanza quale il passaggio da un obbligo gravante sugli Stati membri di rifiutare il visto (…) alla previsione di un diritto soggettivo al rilascio di cui i cittadini di paesi terzi potrebbero avvalersi» ( 40 ).

102.

In sintesi, non esiste alcun diritto soggettivo di visto che possa determinare l’applicazione dell’articolo 47, primo comma, della Carta.

c) Diritto a che la propria domanda sia trattata in modo equo e adeguato

103.

In ogni caso, nonostante la mancanza di un diritto soggettivo di visto che possa essere invocato a sostegno dell’applicazione dell’articolo 47, primo comma, della Carta, è evidente che la succitata dichiarazione della Corte, contenuta nella sentenza Koushkaki, rimane rilevante a un diverso livello. Se esiste un obbligo in capo all’amministrazione di applicare il codice dei visti e le sue disposizioni in un determinato modo, deve esistere un diritto correlato, corrispondente a tale obbligo di legalità. Tale diritto non è un diritto soggettivo al rilascio di un visto, piuttosto un diritto di natura procedurale. Non è un diritto di visto, bensì il diritto a che la propria domanda sia trattata ed esaminata in modo equo e adeguato.

104.

Pertanto, tornando alla metafora dello sport, sebbene non abbia diritto al risultato sostanziale della gara, il concorrente ha diritto, per il solo fatto di parteciparvi, a un gioco leale.

105.

Si potrebbe aggiungere che tale interpretazione non è affatto insolita in altri settori del diritto dell’Unione: è possibile fare un confronto con materie quali l’appalto pubblico e le domande di sovvenzione o di permesso di soggiorno ( 41 ). In tutti questi casi non sussiste alcun diritto in quanto tale al risultato, ossia a ottenere l’appalto, la sovvenzione o il permesso. Sussiste invece il diritto a che la propria domanda sia trattata in modo appropriato e conforme alla legge, e tale diritto può costituire il fondamento del controllo giurisdizionale della decisione sulla domanda.

106.

Applicato alla fattispecie, tale ragionamento significa che il ricorrente beneficia di un diritto procedurale tutelato dal diritto dell’Unione, ossia il diritto a che la propria domanda di visto sia esaminata secondo la legge. Pertanto, poiché il ricorrente ha un diritto garantito dal diritto dell’Unione, va riconosciuto il suo diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice conformemente all’articolo 47, primo comma, della Carta.

2. Il «ricorso effettivo dinanzi a un giudice» nel contesto del rifiuto di visto

107.

Saranno formulate tre osservazioni conclusive riguardo alla natura del ricorso giurisdizionale effettivo richiesto nel contesto di un rifiuto di visto ai sensi dell’articolo 47, primo comma.

108.

In primo luogo, secondo la sentenza Koushkaki, gli Stati membri devono rilasciare i visti quando sono state soddisfatte le condizioni previste nel codice dei visti. Ciò in quanto è presente, in tale codice, un elenco esaustivo di motivi per rifiutare, annullare o revocare un visto ( 42 ). Tuttavia, anche nella sentenza Koushkaki, la Corte ha insistito sull’«ampio margine discrezionale» di cui godono gli Stati membri allorché esaminano domande di visto ( 43 ). In particolare, essa ha sottolineato che la valutazione della posizione individuale del richiedente un visto comporta valutazioni complesse. Tali valutazioni implicano l’elaborazione di previsioni sull’eventuale comportamento del richiedente e devono basarsi, in particolare, su un’ampia conoscenza del paese di residenza di quest’ultimo ( 44 ).

109.

In secondo luogo, l’ampio margine di discrezionalità delle autorità degli Stati membri si traduce logicamente in un controllo giurisdizionale meno intenso da parte dei giudici degli Stati membri ( 45 ). Pertanto, in situazioni come quella di cui trattasi nel procedimento principale, è sufficiente che i giudici nazionali garantiscano che il rifiuto del visto non sia stato deciso in modo arbitrario, ma sia corrisposto ai fatti quali accertati dall’autorità amministrativa e quindi deliberato entro i limiti del potere discrezionale dell’amministrazione.

110.

In terzo luogo, il dovere degli Stati membri ai sensi dell’articolo 47, primo comma, della Carta è di garantire il nucleo essenziale o la sostanza del diritto ivi sancito, ossia l’accesso alla giustizia ( 46 ). Per preservare tale nucleo, il controllo giurisdizionale delle decisioni non può essere escluso se un diritto o una libertà dell’Unione è stato violato ( 47 ). Ciò non implica, però, nello specifico contesto delle fattispecie analoghe a quella in esame, ulteriori obblighi positivi da parte degli Stati membri di agevolare attivamente tale accesso.

111.

In definitiva, tale diritto di accesso a un giudice in materia di visti, ragionevolmente inteso, rispetta non soltanto i diritti dei richiedenti di essere trattati equamente e correttamente, per dignità umana, ma anche il particolare interesse dell’Unione e dei suoi Stati membri a difendere e a controllare l’esercizio del potere pubblico e della legalità (europea). Tale esigenza potrebbe essere ancor più pressante in luoghi geograficamente distanti, come i consolati degli Stati membri diffusi nel mondo, in cui le direttive e gli orientamenti provenienti dall’autorità centrale potrebbero essere interpretati e attuati in vari modi. Una singola azione potrebbe quindi aiutare ugualmente a far luce sulla prassi concretamente seguita in tali luoghi ( 48 ). Pertanto, che luce sia.

C.   Articolo 32, paragrafo 3, del codice dei visti applicato in combinato disposto con l’articolo 47, primo comma, della Carta

112.

Ai sensi dell’articolo 32, paragrafo 3, del codice dei visti, il diritto di presentare ricorso è aperto quanto alla natura che può assumere: tale diritto potrebbe essere esercitato, a seconda della scelta operata dallo Stato membro, mediante un ricorso amministrativo, mediante un ricorso giurisdizionale o anche in una forma ibrida di ricorso contenente elementi di entrambi i tipi. Per contro, l’articolo 47, primo comma, della Carta richiede espressamente un ricorso dinanzi a un giudice, ossia un ricorso giurisdizionale.

113.

Nella sua questione pregiudiziale, il giudice del rinvio ha proposto che l’articolo 32, paragrafo 3, del codice dei visti sia interpretato alla luce dell’articolo 47 della Carta. Quale sarebbe in pratica il significato di tale espressione?

114.

«Interpretato alla luce di» ( 49 ), come suggerito dalla Commissione nel caso di specie, significherebbe che il diritto di presentare ricorso previsto dall’articolo 32, paragrafo 3, del codice dei visti si riferisce a un ricorso giurisdizionale. Tuttavia, siffatto adeguamento interpretativo della nozione escluderebbe effettivamente, al contempo, l’opzione del ricorso amministrativo ai sensi del codice dei visti.

115.

Per contro, se l’articolo 32, paragrafo 3, del codice dei visti dovesse essere interpretato e applicato in combinato disposto con l’articolo 47 della Carta, parallelamente, il risultato sarebbe diverso. Gli Stati membri potrebbero chiaramente mantenere la libertà di scegliere il tipo di ricorso ai sensi dell’articolo 32, paragrafo 3, del codice dei visti, ferma restando, in definitiva, la possibilità di un ricorso giurisdizionale ai sensi dell’articolo 47, primo comma, della Carta.

116.

Quest’ultima interpretazione è, a mio avviso, quella corretta. Non vedo perché, nel caso di specie, l’articolo 47, primo comma, della Carta debba privare effettivamente gli Stati membri della possibilità di istituire un sistema di ricorso (amministrativo o ibrido) che essi possano reputare adeguato in considerazione delle loro tradizioni giuridiche e della specificità della materia in questione.

117.

Si potrebbe suggerire che, per analogia con altri settori, il principio della tutela giurisdizionale effettiva non osta a una normativa nazionale che impone la preventiva attuazione di una procedura di composizione extragiudiziale o il ricorso a una procedura di mediazione quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale ( 50 ).

118.

Tuttavia, siffatta analogia, o piuttosto la sua necessità in primo luogo, mi sembra alquanto strana. Essa significherebbe, in effetti, sottrarre agli Stati membri la scelta (specificamente prevista), riducendo la portata dell’articolo 32, paragrafo 3, del codice dei visti attraverso l’articolo 47, primo comma, della Carta, solo per reinserirla attraverso la giurisprudenza (discutibilmente di applicazione generale) relativa ai meccanismi di composizione in via preventiva per loro natura compatibili con l’articolo 47, primo comma, della Carta.

119.

Si potrebbe quindi suggerire che l’articolo 47, primo comma, della Carta non mette in dubbio l’esistenza di altri mezzi di impugnazione, come i ricorsi amministrativi previsti in diversi Stati membri, e neppure modifica il contenuto dell’articolo 32, paragrafo 3, del codice dei visti. L’articolo 47, primo comma, della Carta aggiunge meramente un obbligo per gli Stati membri: in una determinata fase del procedimento deve darsi la possibilità di adire un giudice. Prima di tale fase, è ciascuno Stato membro a decidere se optare per un ricorso puramente amministrativo (dinanzi alla stessa autorità o ad un’autorità diversa) o per un riesame svolto da tribunali misti, composti sia da giudici che da funzionari pubblici, o, naturalmente, qualora lo ritenesse opportuno, se consentire direttamente un riesame dinanzi a un giudice ai sensi dell’articolo 47, primo comma.

120.

Ciò mi porta all’ultimissimo punto, esaminato anche in udienza nella presente causa: quale sarebbe il significato del termine «giudice» di cui all’articolo 47, primo comma, della Carta nel presente contesto ( 51 )?

121.

Ai fini dei requisiti di cui all’articolo 47, primo comma, della Carta, mi sembra alquanto evidente che quello a cui si riferisce tale disposizione è un organo realmente indipendente e imparziale di natura giurisdizionale che soddisfi tutti i criteri definitori di una giurisdizione ai sensi dell’articolo 267 TFUE. Vale a dire, un organo che abbia fondamento legale, carattere permanente, giurisdizione obbligatoria, che amministri un procedimento inter partes – ossia in contraddittorio –, applichi norme giuridiche e sia indipendente ( 52 ). Di contro alla flessibilità dimostrata dalla Corte nell’applicazione di tali criteri ai fini della ricevibilità delle domande di pronuncia pregiudiziale ai sensi dell’articolo 267 TFUE, al fine di garantire la conformità all’articolo 47, primo comma, della Carta questi criteri dovrebbero essere soddisfatti tutti ( 53 ).

122.

Ancora una volta, tuttavia, come ho già affermato, l’articolo 47, primo comma, della Carta richiede che in una determinata fase un giudice che soddisfi tutti questi criteri possa essere investito di cause riguardanti il rifiuto di un visto. Ciò non significa che siffatto organo debba essere immediatamente adito o che gli organi aditi precedentemente debbano anch’essi soddisfare detti criteri.

V. Conclusione

123.

Alla luce delle suesposte considerazioni, propongo alla Corte di rispondere alla questione pregiudiziale ad essa sottoposta dal Naczelny Sąd Administracyjny (Corte suprema amministrativa, Polonia) nel seguente modo:

l’articolo 32, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 810/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 luglio 2009, che istituisce un codice comunitario dei visti (codice dei visti), deve essere interpretato nel senso che esso rimette a ciascuno Stato membro la decisione sulla natura del ricorso avverso il rifiuto del visto, purché il ricorso sia conforme ai principi di equivalenza e di effettività.

L’articolo 47, primo comma, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea deve essere interpretato nel senso che gli Stati membri non possono escludere la possibilità di un controllo giurisdizionale dei rifiuti di visto da parte di un giudice ai sensi dell’articolo 267 TFUE.


( 1 ) Lingua originale: l’inglese.

( 2 ) GU 2009, L 243, pag. 1.

( 3 ) Occorre aggiungere, quale elemento contestuale, che il 16 ottobre e il 26 novembre 2014 la Commissione ha inviato pareri motivati ai sensi dell’articolo 258 TFUE alla Repubblica ceca, all’Estonia, alla Finlandia, alla Polonia e alla Slovacchia sollecitandole «a prevedere un ricorso giurisdizionale effettivo avverso il rifiuto, l’annullamento o la revoca di un visto». V. comunicati stampa della Commissione: MEMO/14/589 del 16 ottobre 2014 e MEMO 14/2130 del 26 novembre 2014. Secondo la Commissione, i cittadini di paesi terzi hanno diritto a un trattamento non arbitrario delle loro domande di visto e tale diritto dovrebbe essere tutelato mediante un procedimento giudiziario di impugnazione. In udienza, la Commissione ha peraltro dichiarato che attualmente tali procedure di infrazione riguardano soltanto la Repubblica ceca, la Polonia e la Slovacchia.

( 4 ) V., ad esempio, sentenze del 1o marzo 2016, Kreis Warendorf e Osso (C‑443/14 e C‑444/14, EU:C:2016:127, punto 27), e del 15 marzo 2017, Al Chodor (C‑528/15, EU:C:2017:213, punto 32).

( 5 ) Si potrebbe aggiungere che anche il manuale (della Commissione) per il trattamento delle domande di visto omette di specificare la natura del ricorso [decisione della Commissione C(2010) 1620 definitivo, del 19 marzo 2010, che istituisce il manuale per il trattamento delle domande di visto e la modifica dei visti già rilasciati, pagg. 84 e 96]. È certamente vero che il manuale non è giuridicamente vincolante. Tuttavia, si potrebbe supporre sicuramente che, se fosse stato chiaro che, ai sensi del codice dei visti, veniva effettivamente imposto un ricorso giurisdizionale, la Commissione non avrebbe certamente omesso un elemento così significativo in un manuale per altri aspetti alquanto dettagliato.

( 6 ) V. articolo 8, paragrafo 2, della direttiva 2011/98/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, relativa a una procedura unica di domanda per il rilascio di un permesso unico che consente ai cittadini di paesi terzi di soggiornare e lavorare nel territorio di uno Stato membro e a un insieme comune di diritti per i lavoratori di paesi terzi che soggiornano regolarmente in uno Stato membro (GU 2011, L 343, pag. 1).

( 7 ) V. articolo 18 della direttiva 2003/86/CE del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativa al diritto al ricongiungimento familiare (GU 2003, L 251, pag. 12; in prosieguo: la «direttiva sul ricongiungimento familiare»).

( 8 ) V. articolo 14, paragrafo 3, del regolamento (UE) 2016/399 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, che istituisce un codice unionale relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone (codice frontiere Schengen) (GU 2016, L 77, pag. 1).

( 9 ) V. articolo 34, paragrafo 5, della direttiva (UE) 2016/801 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2016, relativa alle condizioni di ingresso e soggiorno dei cittadini di paesi terzi per motivi di ricerca, studio, tirocinio, volontariato, programmi di scambio di alunni o progetti educativi, e collocamento alla pari (GU 2016, L 132, pag. 21). Si potrebbe aggiungere che, riguardo all’antecedente normativo di questa direttiva, l’avvocato generale Szpunar ha dubitato che l’esclusione del ricorso giurisdizionale fosse conforme all’articolo 47 della Carta [conclusioni dell’avvocato generale Szpunar nella causa Fahimian (C‑544/15, EU:C:2016:908, paragrafo 75)].

( 10 ) V. articolo 18, paragrafo 5, della direttiva 2014/36/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sulle condizioni di ingresso e di soggiorno dei cittadini di paesi terzi per motivi di impiego in qualità di lavoratori stagionali (GU 2014, L 94, pag. 375).

( 11 ) V. articoli 15 e 31 della direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (GU 2004, L 158, pag. 77; in prosieguo: la «direttiva sui cittadini»).

( 12 ) V. articolo 27, paragrafo 1, del regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide (rifusione) (GU 2013, L 180, pag. 31). Sulla portata del controllo ai sensi di tale regolamento, v. sentenza del 7 giugno 2016, Ghezelbash (C‑63/15, EU:C:2016:409). V. anche articolo 46, paragrafo 1, della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (GU 2013, L 180, pag. 60).

( 13 ) Sembra che durante le negoziazioni sia il Parlamento europeo che la Commissione abbiano fatto pressione a favore del ricorso giurisdizionale, mentre vari Stati membri si sarebbero opposti per timore che i loro giudici fossero sottoposti a un sovraccarico di lavoro – documento del Consiglio n. 14628/08, Progetto di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un Codice comunitario dei visti, del 23 ottobre 2008, pag. 3 (punto 2).

( 14 ) Prima dell’entrata in vigore del codice dei visti, gli Stati membri hanno applicato prassi assai diverse riguardo al trattamento dei visti. In particolare, il diritto di presentare ricorso non era previsto ovunque. Per una panoramica comparativa delle attuali normative degli Stati membri, v. la relazione annuale del 2012 dell’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali, Fundamental rights: challenges and achievements in 2012, Lussemburgo, Ufficio Pubblicazioni, pagg. da 91 a 95.

( 15 ) V., ad esempio, sentenze del 18 marzo 2010, Alassini e a. (da C‑317/08 a C‑320/08, EU:C:2010:146, punto 48); del 17 luglio 2014, Sánchez Morcillo e Abril García (C‑169/14, EU:C:2014:2099, punto 31), e del 17 marzo 2016, Bensada Benallal (C‑161/15, EU:C:2016:175, punto 24).

( 16 ) Rispettivamente, per decisioni sui visti riguardanti i diplomatici (Ministro per gli Affari esteri), proroga dei visti (Voivoda) e rilascio di visti alla frontiera (Comandante generale della guardia di frontiera).

( 17 ) Credevo che fosse Albert Einstein ad aver pronunciato la battuta «La follia sta nel fare sempre la stessa cosa aspettandosi risultati diversi». Tale citazione è in realtà attribuita erroneamente ad Einstein – v. Calaprice, A. (ed.), The Ultimate Quotable Einstein, Princeton University Press, 2011, pag. 474, che rintraccia la citazione nel romanzo Sudden Death di Rita Mae Brown (Bantam Books, New York, 1983, pag. 68).

( 18 ) V., sul principio della tutela giurisdizionale effettiva, sentenze del 15 maggio 1986, Johnston (222/84, EU:C:1986:206, punto 18), e del 15 ottobre 1987, Heylens e a. (222/86, EU:C:1987:442, punto 14); successivamente, in relazione all’articolo 47 della Carta, v. sentenze del 13 marzo 2007, Unibet (C‑432/05, EU:C:2007:163, punto 37); del 22 dicembre 2010, DEB (C‑279/09, EU:C:2010:811, punto 33), e del 18 dicembre 2014, Abdida (C‑562/13, EU:C:2014:2453, punto 45).

( 19 ) V. sentenza del 16 maggio 2017, Berlioz Investment Fund (C‑682/15, EU:C:2017:373, punto 44).

( 20 ) Sentenza del 26 febbraio 2013 (C‑617/10, EU:C:2013:105).

( 21 ) V., ad esempio, conclusioni dell’avvocato generale Wathelet nella causa Berlioz Investment Fund (C‑682/15, EU:C:2017:2, paragrafo 51 e segg.). V. anche Prechal, S., The Court of Justice and Effective Judicial Protection: What has the Charter changed?, in Paulussen, C., e a. (a cura di), Fundamental Rights in International and European Law, 2016, pag. 143.

( 22 ) V., ad esempio, sentenze del 26 settembre 2013, Texdata Software (C‑418/11, EU:C:2013:588), e del 17 settembre 2014, Liivimaa Lihaveis (C‑562/12, EU:C:2014:2229), in cui la Corte non è andata a individuare un diritto o una libertà specifici, tutelati dal diritto dell’Unione.

( 23 ) V., ad esempio, nel contesto del principio generale della tutela giurisdizionale effettiva, sentenza del 15 ottobre 1987, Heylens e a. (222/86, EU:C:1987:442, punto 14), e, nel contesto dell’articolo 47 della Carta, sentenze del 17 luglio 2014, Sánchez Morcillo e Abril García (C‑169/14, EU:C:2014:2099, punto 35); del 23 ottobre 2014, Olainfarm (C‑104/13, EU:C:2014:2316, punti da 33 a 40), e del 16 maggio 2017, Berlioz Investment Fund (C‑682/15, EU:C:2017:373, punti da 51 a 52).

( 24 ) V. articolo 6, paragrafo 1, TUE e dichiarazione allegata all’atto finale della conferenza intergovernativa che ha adottato il Trattato di Lisbona.

( 25 ) Oppure, in termini più poetici, i diritti fondamentali cosituiscono l’«ombra» del diritto dell’Unione [Lenaerts, K., e Gutiérez‑Fons, J.A., The Place of the Charter in the EU Constitutional Edifice, in Peers, S., Hervey, T., Kenner, J., e Ward, A. (edd.), The EU Charter of Fundamental Rights: A Commentary (C.H. Beck, Hart, Nomos, 2014), pag. 1568]. L’«ombra» dei diritti fondamentali segue un’altra disposizione, sostanziale o procedurale, di diritto dell’Unione. Tuttavia, un’ombra non può proiettare la propria ombra.

( 26 ) Lo stesso criterio dovrebbe essere quindi applicabile, naturalmente, al controllo giurisdizionale e allo stare in giudizio dinanzi ai giudici dell’Unione, in quanto l’articolo 47, primo comma, della Carta disciplina qualsiasi attività o decisione delle istituzioni (nonché di organi e organismi) dell’Unione in forza dell’articolo 51, paragrafo 1.

( 27 ) V. anche articolo 14, paragrafo 4, del codice dei visti.

( 28 ) V., ad esempio, sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, del 3 ottobre 2014, Jeunesse c. Paesi Bassi (CE:ECHR:2014:1003JUD001273810), in cui la Corte EDU ha dichiarato che rifiutare un permesso di soggiorno alla madre surinamese di tre figli nati nei Paesi Bassi violava il loro diritto al rispetto della vita familiare.

( 29 ) Direttiva 2004/38.

( 30 ) Direttiva 2003/86.

( 31 ) Il ricorrente non può far valere la direttiva sui cittadini, in quanto la moglie e il figlio sono cittadini dell’Unione che non hanno esercitato il diritto alla libera circolazione nell’Unione europea [v. sentenza del 15 novembre 2011, Dereci e a. (C‑256/11, EU:C:2011:734)]. Non può neppure far valere la direttiva sulla riunificazione familiare, in quanto il suo garante non è un cittadino di un paese terzo.

( 32 ) Come dichiarato di recente dalla Corte in un ambito piuttosto diverso, il codice dei visti non può essere fatto valere quando il vero obiettivo non è un visto di breve durata. V. sentenza del 7 marzo 2017, X e X (C‑638/16 PPU, EU:C:2017:173, punti 4748), pronunciata nel contesto di una domanda di visto con validità territoriale limitata finalizzata alla presentazione di una domanda di protezione internazionale.

( 33 ) V. supra, in generale, paragrafi da 74 a 80 delle presenti conclusioni.

( 34 ) Sentenza del 19 dicembre 2013 (C‑84/12, EU:C:2013:862).

( 35 ) Sentenza del 19 dicembre 2013, C‑84/12, EU:C:2013:862, punto 55. Per un approccio simile nel contesto del diniego di ingresso in base al codice frontiere Schengen e del rifiuto di rilasciare un permesso di soggiorno per motivi di studio, v. sentenze del 4 settembre 2014, Air Baltic Corporation (C‑575/12, EU:C:2014:2155), e del 10 settembre 2014, Ben Alaya (C‑491/13, EU:C:2014:2187).

( 36 ) Conclusioni dell’avvocato generale Mengozzi nella causa Koushkaki (C‑84/12, EU:C:2013:232, paragrafo 51).

( 37 ) Pertanto, ai sensi dell’articolo 25 del codice dei visti, anche i visti umanitari sono rilasciati solo quando lo Stato membro ritiene necessario derogare al principio dell’adempimento delle condizioni di ingresso di cui al codice frontiere Schengen.

( 38 ) V. regolamento (CE) n. 539/2001 del Consiglio, del 15 marzo 2001, che adotta l’elenco dei paesi terzi i cui cittadini devono essere in possesso del visto all’atto dell’attraversamento delle frontiere esterne e l’elenco dei paesi terzi i cui cittadini sono esenti da tale obbligo (GU 2001, L 81, pag. 1).

( 39 ) All’articolo 30, lo stesso codice dei visti esclude il collegamento tra visto e diritto di ingresso stabilendo che «[i]l possesso di un visto uniforme o di un visto con validità territoriale limitata non conferisce un diritto automatico di ingresso».

( 40 ) Conclusioni dell’avvocato generale Mengozzi nella causa Koushkaki (C‑84/12, EU:C:2013:232, paragrafo 54).

( 41 ) V., ad esempio, sentenze del 17 luglio 2014, Tahir (C‑469/13, EU:C:2014:2094); del 17 settembre 2014, Liivimaa Lihaveis (C‑562/12, EU:C:2014:2229), e del 15 settembre 2016, Star Storage e a. (C‑439/14 e C‑488/14, EU:C:2016:688).

( 42 ) V. sentenza del 19 dicembre 2013 (C‑84/12, EU:C:2013:862, punti 3847).

( 43 ) Ibidem (punti da 60 a 63).

( 44 ) Ibidem (punti 56 e 57).

( 45 ) V., a tal fine, conclusioni dell’avvocato generale Szpunar nella causa Fahimian, riguardanti il rifiuto di rilasciare un permesso di soggiorno per studenti (C‑544/15, EU:C:2016:908, paragrafo 72).

( 46 ) V., ad esempio, sentenze del 22 dicembre 2010, DEB (C‑279/09, EU:C:2010:811, punto 59), e del 30 giugno 2016, Toma e Biroul Executorului Judecătoresc Horațiu‑Vasile Cruduleci (C‑205/15, EU:C:2016:499, punto 44).

( 47 ) V., ad esempio, sentenza 17 marzo 2011, Peñarroja Fa (C‑372/09 e C‑373/09, EU:C:2011:156, punto 63). Già prima dell’entrata in vigore della Carta, v., ad esempio, sentenza del 3 dicembre 1992, Oleificio Borelli/Commissione (C‑97/91, EU:C:1992:491, punti 1314).

( 48 ) Si potrebbe fare riferimento, a titolo esemplificativo, a due recenti decisioni della Grande Sezione del Nejvyšší správní soud (Corte suprema amministrativa, Repubblica ceca). Nella sentenza del 30 maggio 2017, causa n. 10 Azs 153/2016‑52, il Nejvyšší správní soud (Corte suprema amministrativa) si è occupato di problemi strutturali presso l’Ambasciata ceca in Hanoi, in cui il trattamento delle domande di permesso di lavoro era sottoposto a una procedura realmente kafkiana, che rendeva concretamente vana la regolare presentazione di una domanda. Facendo riferimento alla sua precedente giurisprudenza in materia e dichiarando che la prassi costante della Pubblica amministrazione ceca era del tutto inaccettabile e vergognosa (punto 56 della decisione), il Nejvyšší správní soud (Corte suprema amministrativa) ha aggiunto che «la Pubblica amministrazione ceca ha previsto per i richiedenti taluni permessi di soggiorno cechi, in particolare in Vietnam e in Ucraina, un sistema completamente oscuro, dipendente dal comportamento arbitrario dei funzionari pubblici preposti che controllavano l’accesso alla presentazione di tali domande, rendendo così vano un sia pur minimo controllo esterno, ma con un forte sentore di corruzione e di abuso» (punto 57 della decisione; v. anche l’analoga sentenza, pronunciata lo stesso giorno, nella causa n. 7 Azs 227/2016‑36).

( 49 ) Per una causa in cui la Corte ha interpretato il diritto derivato dell’Unione «alla luce» dell’articolo 47 della Carta, in materia di pubblico appalto, v. sentenza del 15 settembre 2016, Star Storage e a. (C‑439/14 e C‑488/14, EU:C:2016:688).

( 50 ) V. sentenze del 18 marzo 2010, Alassini e a. (da C‑317/08 a C‑320/08, EU:C:2010:146), e del 14 giugno 2017, Menini e Rampanelli (C‑75/16, EU:C:2017:457).

( 51 ) La Corte si è già trovata di fronte a tale questione nella sentenza Zakaria, nel contesto del codice frontiere Schengen, riguardo alla disposizione equivalente all’articolo 32, paragrafo 3, del codice dei visti. In tale causa la questione, che alla fine non è stata trattata dalla Corte, era se l’articolo 13, paragrafo 3, del codice frontiere Schengen imponesse agli Stati membri di garantire un ricorso effettivo «dinanzi ad un organo giurisdizionale o ad un’istituzione che, dal punto di vista istituzionale e funzionale, offr[isse] le stesse garanzie di un organo giurisdizionale» (sentenza del 17 gennaio 2013, C‑23/12, EU:C:2013:24).

( 52 ) V., ad esempio, sentenze del 17 settembre 1997, Dorsch Consult (C‑54/96, EU:C:1997:413, punto 23); del 19 settembre 2006, Wilson (C‑506/04, EU:C:2006:587, punti 46 e segg.), e del 24 maggio 2016, MT Højgaard e Züblin (C‑396/14, EU:C:2016:347, punto 23). V. anche, riguardo all’Irish Refugee Appeals Tribunal (Tribunale d’appello per i rifugiati, Irlanda), sentenza del 31 gennaio 2013, D. e A. (C‑175/11, EU:C:2013:45, punto 95 e segg.).

( 53 ) V. anche le mie conclusioni nella causa Pula Parking (C‑551/15, EU:C:2016:825, paragrafi da 101 a 107).

In alto