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Documento 62015CC0134

    Conclusioni dell’avvocato generale M. Bobek, presentate il 16 marzo 2016.

    Raccolta della giurisprudenza - generale

    Identificatore ECLI: ECLI:EU:C:2016:169

    CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

    MICHAL BOBEK

    presentate il 16 marzo 2016 ( 1 )

    Causa C‑134/15

    Lidl GmbH & Co. KG

    contro

    Freistaat Sachsen

    [Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Sächsisches Oberverwaltungsgericht (Tribunale amministrativo superiore della Sassonia, Germania)]

    «Regolamento (CE) n. 543/2008 della Commissione — Norme di commercializzazione per le carni di pollame — Validità dell’articolo 5, paragrafo 4, lettera b) — Carni di pollame fresche preconfezionate — Obbligo di indicare il prezzo totale e il prezzo per unità di peso sull’involucro o su etichetta apposta sull’involucro medesimo in sede di vendita al dettaglio — Articoli 15, paragrafo 1, e 16 della Carta dei diritti fondamentali — Libero esercizio di una professione liberamente scelta — Libertà d’impresa — Proporzionalità — Articolo 40, paragrafo 2, TFUE — Non discriminazione»

    1. 

    La domanda di pronuncia pregiudiziale in esame riguarda la validità dell’articolo 5, paragrafo 4, lettera b), del regolamento (CE) n. 543/2008 della Commissione ( 2 ), che stabilisce l’obbligo di etichettatura per le carni di pollame fresche. Tale disposizione prevede che, in sede di vendita al dettaglio, le carni di pollame fresche rechino l’indicazione del prezzo totale e del prezzo per unità di peso sull’involucro o su di un’etichetta apposta su tale involucro (in prosieguo: l’«obbligo di etichettatura»).

    2. 

    Il giudice del rinvio chiede alla Corte di giustizia se l’obbligo di etichettatura sia compatibile con gli articoli 15, paragrafo 1, e 16 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»). Inoltre, poiché l’obbligo di etichettatura è imposto unicamente per le carni di pollame fresche ma non anche per le carni di altro tipo, si chiede alla Corte di verificare altresì se l’articolo 5, paragrafo 4, lettera b), del regolamento n. 543/2008 sia compatibile con il principio di non discriminazione sancito dall’articolo 40, paragrafo 2, TFUE.

    I – Contesto normativo

    A – Diritto dell’Unione europea

    3.

    L’articolo 121, lettera e), punto iv), del regolamento (CE) n. 1234/2007 del Consiglio ( 3 ) stabilisce che, per quanto riguarda la commercializzazione delle carni di pollame, la Commissione può stabilire norme dettagliate che includono le «norme concernenti le indicazioni supplementari che devono figurare sui documenti commerciali di accompagnamento, l’etichettatura, la presentazione e la pubblicità delle carni di pollame destinate al consumatore finale e la denominazione di vendita ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, punto 1, della direttiva 2000/13/CE».

    4.

    Il regolamento n. 543/2008, emanato sulla base degli articoli 121, lettera e), e 4, del regolamento n. 1234/2007, detta norme dettagliate recanti le modalità di applicazione del regolamento n. 1234/2007 per quanto riguarda le norme di commercializzazione per le carni di pollame.

    5.

    A termini del considerando 10 del regolamento n. 543/2008: «[p]er fornire al consumatore informazioni adeguate, chiare e oggettive sui prodotti posti in vendita e per garantire la libera circolazione degli stessi nella Comunità, è necessario che le norme di commercializzazione delle carni di pollame tengano conto, per quanto possibile, delle disposizioni della direttiva 76/211/CEE del Consiglio, del 20 gennaio 1976, per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al precondizionamento in massa o in volume di alcuni prodotti in imballaggi preconfezionati».

    6.

    L’articolo 5, paragrafo 2, del regolamento n. 543/2008 così dispone: «[o]ltre al rispetto delle regole nazionali adottate in conformità della direttiva 2000/13/CE, l’etichettatura, la presentazione e la pubblicità delle carni di pollame destinate al consumatore finale devono essere conformi ai requisiti supplementari di cui ai paragrafi 3 e 4 del presente articolo».

    7.

    L’articolo 5, paragrafo 4, lettera b), del regolamento n. 543/2008, che riprende il contenuto dell’articolo 5, paragrafo 3, lettera b), del regolamento (CEE) n. 1906/90 del Consiglio ( 4 ), prevede che: «per le carni di pollame preconfezionate, sull’involucro o su di un’etichetta apposta su tale involucro devono figurare anche le seguenti indicazioni: (...) per le carni di pollame fresche, il prezzo totale e il prezzo per unità di peso a livello della vendita al dettaglio» ( 5 ).

    8.

    La direttiva 2000/13/CE, relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernenti l’etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari, nonché la relativa pubblicità, non conteneva disposizioni riguardanti gli obblighi di etichettatura in relazione al prezzo.

    9.

    Ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 98/6/CE, relativa alla protezione dei consumatori in materia di indicazione dei prezzi dei prodotti offerti ai consumatori ( 6 )«[i]l prezzo di vendita e il prezzo per unità di misura sono indicati per tutti i prodotti di cui all’articolo 1, fatte salve, per l’indicazione del prezzo per unità di misura, le disposizioni dell’articolo 5. Il prezzo per unità di misura non dev’essere indicato quando è identico al prezzo di vendita».

    II – Fatti, procedimento e questioni pregiudiziali

    10.

    La Lidl GmbH & Co. KG (ricorrente) è un’impresa che si occupa di commercio al dettaglio e gestisce, su tutto il territorio federale, discount di prodotti alimentari. In alcune delle proprie filiali nella regione di Lamperswalde, la ricorrente vende, tra gli altri prodotti, carne di pollame fresca preconfezionata. Il prezzo della carne di pollame fresca non viene indicato direttamente sull’etichetta apposta sul prodotto, ma compare sulle etichette applicate sugli scaffali.

    11.

    Avendo riscontrato tale prassi di etichettatura dei prezzi in occasione di una serie di controlli, l’allora Sächsische Landesanstalt für Landwirtschaft [Ente della Sassonia per l’agricoltura, oggi Sächsische Landesamt für Umwelt, Landwirtschaft und Geologie (Autorità per l’ambiente, l’agricoltura e le risorse geologiche del Land Sassonia)], contestava, relativamente a tale prassi, la violazione dell’articolo 5, paragrafo 3, lettera b), del regolamento n. 1906/90, vigente all’epoca dei controlli, corrispondente all’attuale articolo 5, paragrafo 4, lettera b), del regolamento n. 543/2008.

    12.

    Nel 2007 la ricorrente proponeva ricorso giurisdizionale volto a far dichiarare la compatibilità del metodo di indicazione dei prezzi della carne di pollame fresca preconfezionata da essa seguito con l’obbligo di etichettatura imposto dall’articolo 5, paragrafo 3, lettera b), del regolamento n. 1906/90 e, quindi, dall’articolo 5, paragrafo 4, lettera b), del regolamento n. 543/2008. A suo avviso, l’articolo 5, paragrafo 4, lettera b), del regolamento n. 543/2008 era invalido in quanto lesivo dell’articolo 6, paragrafo 1, TUE, in combinato disposto con l’articolo 15, paragrafo 1, della Carta. Secondo la ricorrente, l’obbligo di etichettatura costituirebbe un’ingerenza sproporzionata nel libero esercizio di un’attività lavorativa. Il Verwaltungsgericht Dresden (Tribunale amministrativo di Dresda) respingeva il ricorso con sentenza del 2010.

    13.

    La ricorrente reiterava la domanda interponendo appello dinanzi al giudice del rinvio, il Sächsisches Oberverwaltungsgericht (Tribunale amministrativo superiore della Sassonia). Nell’ordinanza di rinvio il giudice a quo mette in dubbio la validità dell’articolo 5, paragrafo 4, lettera b), del regolamento n. 543/2008 ciò per due motivi.

    14.

    In primo luogo, il giudice del rinvio si chiede se l’ingerenza risultante dall’obbligo di etichettatura sia giustificata con riferimento agli articoli 15, paragrafo 1, e 16, della Carta. A suo parere, l’obbligo di etichettatura non inciderebbe sulle libertà e sui diritti in parola nella loro essenza e risponderebbe effettivamente all’obiettivo di rafforzare la tutela del consumatore quale interesse generale riconosciuto dall’Unione, e che tale obbligo risulti idoneo e necessario al conseguimento degli scopi perseguiti. Tuttavia, il giudice a quo esprime dubbi quanto alla corretta ponderazione tra gli interessi in gioco.

    15.

    In secondo luogo, il giudice a quo mette in discussione la validità dell’obbligo di etichettatura per le carni di pollame alla luce del principio di non discriminazione di cui all’articolo 40, paragrafo 2, TFUE. Nell’ordinanza di rinvio si evidenzia che per altri tipi di prodotti preconfezionati a base di carne, ad esempio, carne bovina, carne di vitello, di maiale, di pecora e di capra, per le quali il regolamento n. 1308/2013 prevede altresì regole sull’organizzazione comune dei mercati, non sussiste un obbligo di etichettatura analogo. Pertanto, a parere del giudice medesimo, l’obbligo di etichettatura imposto sulle carni di pollame fresche implica una disparità di trattamento, in quanto situazioni comparabili sono trattate in maniera differente. In particolare, il giudice del rinvio nutre dubbi sul fatto che tale disparità di trattamento sia oggettivamente giustificata sulla base dell’interesse generale alla tutela del consumatore.

    16.

    Ciò premesso, il Sächsisches Oberverwaltungsgericht (Tribunale amministrativo superiore della Sassonia) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

    «1)

    Se l’articolo 5, paragrafo 4, lettera b), del regolamento (CE) n. 543/2008 sia compatibile con l’articolo 6, paragrafo 1, primo comma, TUE, in combinato di sposto con gli articoli 15, paragrafo 1 e 16 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

    2)

    Se l’articolo 5, paragrafo 4, lettera b), del regolamento (CE) n. 543/2008 sia compatibile con l’articolo 40, paragrafo 2, secondo comma, TFUE».

    17.

    Hanno presentato osservazioni scritte la Lidl GmbH & Co. KG, il Freistaat Sachsen (Libero Stato della Sassonia, resistente nel procedimento principale) e la Commissione; tutte le suddette parti hanno svolto osservazioni orali all’udienza del 13 gennaio 2016.

    III – Esame delle questioni pregiudiziali

    A – Prima questione: compatibilità dell’obbligo di etichettatura con gli articoli 15, paragrafo 1, e 16 della Carta

    18.

    Al fine di proporre una risposta alla prima questione pregiudiziale procederò anzitutto ad individuare la pertinente disposizione della Carta in base alla quale dovrà essere esaminata la validità dell’articolo 5, paragrafo 4, lettera b), del regolamento n. 543/2008 (sezione 1). In seguito valuterò la compatibilità dell’obbligo di etichettatura con tale disposizione specifica della Carta (sezione 2), verificando se siffatta limitazione sia prevista dalla legge e rispetti l’essenza del diritto di cui trattasi [sottosezione a)] e, infine, se detto obbligo sia conforme al principio di proporzionalità [sottosezione b)].

    1. Disposizione applicabile: articolo 15, paragrafo 1, ovvero articolo 16 della Carta?

    19.

    Il giudice del rinvio ritiene che la validità dell’obbligo di etichettatura debba essere esaminata sia alla luce dell’articolo 15, paragrafo 1, sia alla luce dell’articolo 16 della Carta. A suo giudizio, l’obbligo di etichettatura pregiudicherebbe i diritti della ricorrente al libero esercizio di un’attività professionale e al libero esercizio di un’attività economica. Sulla stessa linea, anche la ricorrente ritiene che l’obbligo di etichettatura realizzi una restrizione alle libertà e ai diritti garantiti dagli articoli 15, paragrafo 1, e 16, della Carta. Nelle proprie osservazioni, lo stesso Libero Stato della Sassonia ha fatto riferimento ad entrambe le disposizioni. Al contrario, la Commissione ritiene che unicamente l’articolo 16 della Carta sia pertinente ai fini della presente controversia.

    20.

    Come emerge dalla giurisprudenza della Corte, i diritti e le libertà sanciti dagli articoli 15, paragrafo 1, e 16 della Carta sono strettamente collegati. Ciò risulta manifestamente dalla giurisprudenza precedente all’entrata in vigore del Trattato di Lisbona. All’epoca, la Corte utilizzava diverse formulazioni per riferirsi, rispettivamente, al libero esercizio del commercio e del lavoro, al libero esercizio dell’attività professionale, al diritto di costituire e condurre un’impresa o alla libertà di esercitare un’attività economica ( 7 ), quali principi generali del diritto. La Corte ha riconosciuto che tali nozioni si sovrappongono, affermando che la libera iniziativa privata «si confonde con il libero esercizio di un’attività lavorativa» ( 8 ).

    21.

    Tale coincidenza resta evidente nella giurisprudenza successiva all’entrata in vigore del Trattato di Lisbona. Gli articoli 15, paragrafo 1, e 16 della Carta sono stati spesso invocati e interpretati congiuntamente, assieme all’articolo 17 della stessa (diritto di proprietà) ( 9 ). Si può affermare che tutte le suddette disposizioni tutelano gli interessi economici dei singoli.

    22.

    Tuttavia, il fatto che, oggigiorno, la Carta contenga due disposizioni separate, rivela la necessità di operare una distinzione tra il «diritto di lavorare e di esercitare una professione liberamente scelta o accettata» – articolo 15, paragrafo 1 – e la «libertà d’impresa» – articolo 16.

    23.

    Sul piano strutturale, la distinzione tra le due disposizioni non è priva di conseguenze. Come hanno osservato la Commissione e il Libero Stato della Sassonia, l’articolo 16 della Carta concede maggiore discrezionalità laddove si tratti di provvedimenti atti ad incidere sulla libertà d’impresa. Ciò si evince dal tenore di tale disposizione che, a differenza delle altre libertà sancite nel titolo II della Carta, si riferisce al diritto dell’Unione e alle legislazioni e prassi nazionali. Inoltre, la Corte ha dichiarato che «la libertà d’impresa può essere soggetta ad un ampio ventaglio di interventi dei poteri pubblici suscettibili di stabilire, nell’interesse generale, limiti all’esercizio dell’attività economica» ( 10 ).

    24.

    Tale discrezionalità relativamente ampia di cui dispongono gli Stati nella disciplina delle attività economiche si riflette parimenti nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’Uomo. Nell’ambito dell’interpretazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, la Corte europea dei diritti dell’Uomo ha riconosciuto che gli Stati dispongono di ampia discrezionalità «per disciplinare l’uso della proprietà in modo conforme all’interesse generale (...)» ( 11 ).

    25.

    Non vi sono dubbi, quindi, quanto al fatto che, in termini di restrizioni ammissibili, l’articolo 16 della Carta consente un grado di ingerenza dello Stato maggiore rispetto all’articolo 15, paragrafo 1. Per quanto esista una netta distinzione rispetto alle restrizioni applicabili alle singole libertà, tale circostanza non consente di far luce sulla definizione iniziale della portata del diritto stesso. Entrambe le disposizioni in parola proteggono la sfera dell’autonomia individuale nei settori strettamente correlati dell’attività professionale e imprenditoriale. Entrambe sono intrinsecamente collegate allo svolgimento di un’attività economica. Pertanto, non esistono criteri precisi che siano astrattamente configurabili per distinguere le sfere di applicazione delle due disposizioni, ad esempio, in base alla natura giuridica o fisica delle persone interessate oppure al carattere autonomo o dipendente dell’attività economica di cui trattasi ( 12 ).

    26.

    Anche in assenza di criteri precisi che definiscano la portata degli articoli 15, paragrafo 1, e 16 della Carta, è possibile individuare quantomeno talune linee di orientamento generali. Da un lato, l’articolo 15, paragrafo 1 si concentra sugli elementi della scelta e dell’autonomia personale, che sono strettamente connessi ai diritti della personalità e al loro sviluppo. Il riferimento al «lavoro» evidenzia un impatto più significativo, benché non esclusivo, sulle persone fisiche e sui rapporti di lavoro ( 13 ). Dall’altra, la libertà di impresa ai sensi dell’articolo 16 presenta un collegamento più stretto con l’attività imprenditoriale e legami più forti con il diritto di proprietà ( 14 ). Ne consegue che la portata materiale dell’articolo 16 della Carta, come si è venuta delineando attraverso la giurisprudenza della Corte, si incentra maggiormente sull’aspetto economico dell’attività imprenditoriale. Essa implica la libertà di esercitare un’attività economica o commerciale, compresa la libertà contrattuale, la libera concorrenza, la libertà di scegliere i propri partner commerciali e di stabilire il prezzo del servizio prestato ( 15 ). Inoltre, la libertà d’impresa comprende altresì il diritto di utilizzare gratuitamente le risorse economiche, finanziarie e tecniche disponibili ( 16 ).

    27.

    In sintesi, l’applicazione dell’articolo 15, paragrafo 1, della Carta risulterebbe più adatta qualora la fattispecie in esame riguardasse persone fisiche e questioni come l’accesso al lavoro e la scelta dell’attività professionale, laddove l’applicazione dell’articolo 16 della Carta risulta più pertinente per le persone giuridiche e per le modalità di esercizio e di regolamentazione di un’impresa già costituita o della professione già scelta ( 17 ).

    28.

    Tuttavia, gli orientamenti generali che delineano i parametri, rispettivamente, dell’articolo 15, paragrafo 1, e 16, della Carta, non escludono la presenza di sovrapposizioni in corso d’opera né, all’occorrenza, la possibilità che detti articoli vengano presi in considerazione congiuntamente. Un esame congiunto di dette disposizioni potrebbe risultare opportuno, ad esempio, in presenza di una regolamentazione che limiti l’accesso ad una professione mediante requisiti di licenza o di autorizzazione ovvero a fronte di requisiti che comportino oneri eccessivi a carico delle imprese.

    29.

    Nella fattispecie in esame la Lidl GmbH & Co. KG sostiene che i requisiti relativi all’etichettatura della sua merce interferiscano sulle modalità con cui tale impresa intende svolgere le proprie attività commerciali. L’obbligo di etichettatura non limita in alcun modo il diritto della ricorrente di intraprendere o esercitare una professione liberamente scelta, ma incide semplicemente sulle modalità con cui un’impresa può gestire un ramo (già scelto) della propria attività.

    30.

    In base all’applicazione dei menzionati orientamenti generali ritengo pertanto opportuno esaminare la presente fattispecie ai sensi dell’articolo 16 della Carta.

    2. Compatibilità dell’obbligo di etichettatura con l’articolo 16 della Carta

    31.

    Come correttamente rilevato dalla Commissione e dal Libero Stato della Sassonia, la libertà d’impresa non costituisce una prerogativa assoluta, ma deve essere presa in considerazione rispetto alla sua funzione nella società ( 18 ). L’articolo 52, paragrafo 1, della Carta consente di apportare limitazioni all’esercizio dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla Carta qualora esse siano previste dalla legge, rispettino il contenuto essenziale dei diritti e delle libertà di cui trattasi e, nel rispetto del principio di proporzionalità, «solo laddove siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui» ( 19 ).

    32.

    Esaminerò, in ordine successivo, la compatibilità dell’obbligo di etichettatura con tali requisiti.

    a) Restrizioni consentite al diritto relativo alla libertà d’impresa

    33.

    Come riconosciuto dalla ricorrente nelle proprie osservazioni scritte, è indubbio che l’obbligo di etichettatura sia previsto ex lege.

    34.

    Inoltre, la Corte ha già avuto modo di dichiarare che la disciplina dell’Unione in materia di etichettatura, sebbene ponga, in un settore ben delimitato, talune limitazioni all’attività professionale degli operatori economici interessati «non lede affatto la sostanza vera e propria del diritto al libero esercizio di detta attività» ( 20 ). La situazione di cui alla presente causa non è diversa. Pertanto, concordo con la Commissione e con il Libero Stato della Sassonia nel ritenere che l’obbligo di etichettatura non leda l’essenza della liberta d’impresa.

    b) Proporzionalità

    35.

    A questo punto rimane da chiarire se l’obbligo di etichettatura sia conforme al principio di proporzionalità.

    i) Considerazioni di carattere generale

    36.

    La Corte ha dichiarato che «la portata del potere discrezionale del legislatore dell’Unione può risultare limitata in funzione di un certo numero di elementi, tra i quali figurano, in particolare, il settore interessato, la natura del diritto di cui trattasi garantito dalla Carta, la natura e la gravità dell’ingerenza nonché la finalità di quest’ultima» ( 21 ).

    37.

    Ciò significa che il rigore del controllo giurisdizionale della Corte e, in particolare, il livello di approfondimento dell’esame della proporzionalità, possono differire a seconda dei casi. Due fattori rivestono particolare importanza per determinare l’approccio da adottare nella fattispecie, ossia: il settore del diritto sostanziale dell’Unione interessato e la natura dei diritti in questione.

    38.

    Rispetto al settore del diritto sostanziale interessato, la Corte ha costantemente riconosciuto che, in materia di politica agricola, il legislatore dell’Unione dispone di un ampio potere discrezionale corrispondente alle responsabilità politiche ad esso attribuite dagli articoli da 40 a 43 TFUE ( 22 ). Di conseguenza, il controllo giurisdizionale della Corte si limita ad accertare se il legislatore non abbia manifestamente ecceduto i limiti del suo ampio potere discrezionale ( 23 ).

    39.

    L’ampio potere discrezionale di cui dispone la Commissione risulta parimenti confermato, nella specie, dalla natura del diritto in questione. Come affermato dalla Corte, la libertà d’impresa «può essere soggetta ad un ampio ventaglio di interventi dei poteri pubblici suscettibili di stabilire, nell’interesse generale, limiti all’esercizio dell’attività economica» ( 24 ).

    40.

    In linea generale, il controllo di proporzionalità consiste nell’esaminare la corrispondenza tra gli obiettivi prefissi e le misure scelte per conseguirli. Per poter rispondere al principio di proporzionalità, le misure adottate devono essere idonee al conseguimento degli obiettivi legittimi prefissi, non devono superare i limiti di quanto risulti necessario per conseguire tali obiettivi (qualora esistano diverse alternative sul piano regolamentare si deve ricorrere a quella meno restrittiva) e gli inconvenienti causati non devono essere sproporzionati rispetto agli scopi perseguiti (bilanciamento interno o proporzionalità strictu sensu) ( 25 ).

    41.

    L’esame della proporzionalità, che si articola su tre fasi, è, in larga misura, internamente flessibile. Esso può essere svolto con diversi livelli di rigore e, quindi, con diversi gradi di deferenza al legislatore. Nel contempo, tuttavia, la proporzionalità deve comprendere tutte e tre le suddette fasi. Il fatto che una misura sia stata adottata nell’ambito di un settore in cui la Commissione gode di un ampio potere discrezionale, come nel caso del settore relativo all’agricoltura, non significa, a mio avviso, che il controllo di proporzionalità da parte della Corte debba limitarsi al livello di idoneità, ma piuttosto che si richiede un maggior grado di deferenza all’interno dell’esame stesso. Detto controllo si limita quindi ad individuare i vizi manifesti ( 26 ), ma implica un esame accurato di ognuna delle tre fasi.

    42.

    Pertanto, in piena concordanza con una linea di argomentazione già lucidamente esplorata da altri avvocati generali ( 27 ), la formula standard della «inidoneità manifesta» si estende a tutte e tre le fasi dell’esame della proporzionalità. Come recentemente indicato dall’avvocato generale Kokott ( 28 ), in tali casi il controllo giurisdizionale si limita ad accertare se un atto giuridico non sia manifestamente inidoneo a realizzare gli obiettivi perseguiti, non vada manifestamente oltre quanto necessario per raggiungere i suddetti obiettivi oppure non comporti inconvenienti manifestamente sproporzionati rispetto a detti obiettivi.

    43.

    Inoltre, esistono due argomenti costituzionali di maggiore portata che giustificano la necessità di esercitare un controllo più attivo sugli atti delle istituzioni dell’Unione europea, il quale comprenda un esame di proporzionalità completo, articolato in tre fasi. In primo luogo, il Trattato di Lisbona ha elevato la Carta dei diritti fondamentali al rango di diritto primario giuridicamente vincolante. Così facendo, il Trattato ha portato alla ribalta il controllo giurisdizionale degli atti delle istituzioni dell’Unione alla luce dei diritti fondamentali.

    44.

    In secondo luogo, in assenza di controllo esterno ( 29 ), il compito di controllare la compatibilità degli atti delle istituzioni dell’Unione con i diritti fondamentali ricade esclusivamente sulla Corte di giustizia. Nell’esercizio di tale mandato, l’elevato livello di tutela che la Carta si prefigge comporta la necessità di effettuare un controllo interno pieno ed efficace del diritto, nonché degli atti delle istituzioni dell’Unione.

    45.

    Alla luce suesposti rilievi, passo ora ad esaminare l’eventuale compatibilità dell’obbligo di etichettatura con le tre componenti del principio di proporzionalità.

    ii) Proporzionalità applicata alla fattispecie

    46.

    La Commissione e il Libero Stato della Sassonia ritengono che l’obbligo di etichettatura sia idoneo e proporzionato rispetto all’obiettivo legittimo della tutela dei consumatori.

    47.

    La tutela dei consumatori costituisce indubbiamente un obiettivo di interesse generale riconosciuto dall’Unione e, in particolare, dagli articoli 114, paragrafo 3, e 169 TFUE, nonché dall’articolo 38 della Carta. Tuttavia, a differenza di una serie di altri obiettivi e valori, non si tratta di un obiettivo assoluto. L’esigenza di raggiungere un giusto equilibrio tra la tutela dei consumatori e altri valori, come la libertà d’impresa, è stata spesso riconosciuta dalla Corte ( 30 ).

    48.

    Nelle proprie osservazioni scritte la Commissione si è richiamata al considerando 10 del regolamento n. 543/2008 il quale prevede la necessità di garantire che le norme di commercializzazione delle carni di pollame tengano conto, «per quanto possibile», delle disposizioni della direttiva 76/211/CEE del Consiglio ( 31 ), allo scopo di fornire al consumatore «informazioni adeguate, chiare e oggettive sui prodotti posti in vendita (...)». Pertanto, convengo che, sebbene non sia direttamente collegato all’obbligo di etichettatura di cui si discute nella fattispecie, questo e altri considerando indicano che l’obiettivo di fornire una migliore informazione ai consumatori è espressamente riconosciuto dal regolamento n. 543/2008 ( 32 ).

    49.

    Tuttavia la ricorrente sostiene che l’obbligo di etichettatura non promuove in pratica l’obiettivo della tutela del consumatore. Esso rende più difficile l’adeguamento spontaneo dei prezzi riducendo, quindi, la possibilità di una concorrenza sui prezzi nel breve periodo, il che potrebbe non rispondere, in definitiva, al miglior interesse dei consumatori.

    50.

    Benché gli argomenti della ricorrente possano risultare rilevanti al momento di valutare la conformità dell’obbligo di etichettatura al principio di non discriminazione, è fuori dubbio che il fatto di fornire informazioni sui prezzi mediante l’etichettatura promuova l’obiettivo della tutela del consumatore. L’obbligo di etichettatura esige l’indicazione del prezzo per unità di peso e del prezzo totale sull’involucro o su di un’etichetta apposta sull’involucro. Pertanto tale obbligo, attraverso l’indicazione chiara e precisa del prezzo, aumenta l’informazione a disposizione dei consumatori, consentendo a questi ultimi di operare scelte informate. Da questo punto di vista è evidente che l’obbligo di etichettatura non è manifestamente inadeguato per conseguire l’obiettivo legittimo di fornire ai consumatori una migliore informazione.

    51.

    In relazione all’elemento della necessità, come emerge chiaramente dalla giurisprudenza della Corte, l’etichettatura è considerata, in generale, una delle forme di intervento regolamentare meno intrusive ( 33 ).

    52.

    Tuttavia, la ricorrente sostiene che la prassi consistente nell’apposizione delle indicazioni dei prezzi sugli scaffali costituisce un’opzione normativa meno onerosa, ma idonea a conseguire l’obiettivo della tutela del consumatore. A suo avviso, l’obbligo generale sancito dall’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 98/6, che esige di indicare il prezzo di vendita e il prezzo per unità di misura del prodotto (senza specificare dove), sarebbe già in grado di soddisfare l’obiettivo di fornire ai consumatori un’informazione sufficiente.

    53.

    A mio parere, sebbene la prassi della ricorrente possa sembrare un metodo idoneo per fornire informazioni sui prezzi, non è altrettanto efficace come l’obbligo di etichettatura. È immaginabile una serie di situazioni in cui l’indicazione del prezzo per unità di peso e del prezzo totale su un’etichetta direttamente apposta sull’involucro rappresenti un metodo più efficiente per informare il consumatore.

    54.

    In primo luogo, l’obbligo di etichettatura garantisce la continua disponibilità dell’informazione sui prezzi lungo tutto il processo di acquisto. Esso consente un confronto dei prezzi dopo la rimozione del prodotto dallo scaffale e tutela il consumatore in caso di collocamento errato della merce.

    55.

    In secondo luogo, l’indicazione del prezzo totale e del prezzo per unità di peso è ancora più rilevante quando riguarda imballaggi preconfezionati con peso non standardizzato. In tale contesto, l’obbligo di etichettatura contribuisce sicuramente all’obiettivo di tutela del consumatore. Esso garantisce l’accuratezza dell’informazione sul prezzo e assicura che il consumatore operi una scelta informata.

    56.

    Va detto che, quando si tratta di imballaggi con peso non standardizzato, il rispetto delle disposizioni della direttiva 98/6 implica già un’indicazione del prezzo totale e del prezzo per unità di peso sul contenitore preimballato.

    57.

    Ciononostante, come ho indicato in precedenza, la Commissione gode di un ampio potere discrezionale in questo ambito. Ciò premesso, ritengo che la Commissione non si sia manifestamente spinta oltre quanto risultasse necessario per conseguire l’obiettivo di garantire una tutela dei consumatori più elevata.

    58.

    Occorre infine accertare se l’obbligo di etichettatura non arrechi svantaggi manifestamente sproporzionati all’operatore sul quale tale obbligo incombe.

    59.

    La ricorrente sottolinea gli oneri finanziari e organizzativi derivanti dall’obbligo di etichettatura e asserisce che non è stato raggiunto un giusto equilibrio tra gli interessi contrastanti.

    60.

    Tuttavia, come emerge dalle spiegazioni fornite oralmente alla Corte dal Libero Stato della Sassonia, l’obbligo di etichettatura non comporta, in pratica, oneri supplementari significativi in termini di costi a carico dei produttori. Il contenuto e i dettagli dell’informazione figurante sull’etichetta possono essere modificati in maniera flessibile tramite computer al momento della produzione, senza comportare costi materiali supplementari.

    61.

    Inoltre, i costi supplementari di una potenziale rietichettatura nel negozio al dettaglio in occasione di successivi adattamenti dei prezzi o di campagne promozionali, sono moderati. In primis, come hanno osservato all’udienza la Commissione ed il Libero Stato della Sassonia, i quantitativi di merci interessate da tali operazioni sono relativamente scarsi. In secondo luogo, la rietichettatura effettuata in caso di una modifica dei prezzi, sicuramente comporterebbe un carico di lavoro supplementare per i rivenditori. Tuttavia, come rilevato all’udienza dal Libero Stato della Sassonia, un adesivo apposto sull’etichetta originale soddisferebbe i requisiti dell’obbligo di etichettatura. Non si può sostenere che tale operazione comporti costi sproporzionati rispetto all’obiettivo di informare il consumatore in merito ad un cambiamento di prezzo.

    62.

    Per tali ragioni, ritengo che l’obbligo di etichettatura non comporti oneri manifestamente sproporzionati in relazione agli interessi della ricorrente e che non risulti sproporzionato rispetto all’obiettivo di tutela de consumatore. Di conseguenza, tale obbligo non comporta una restrizione inammissibile alla libertà d’impresa sancita dall’articolo 16 della Carta.

    63.

    Considerato quanto sopra, propongo alla Corte di rispondere alla prima questione pregiudiziale nei seguenti termini: l’esame della questione sottoposta non ha rivelato alcun elemento che infici la validità dell’articolo 5, paragrafo 4, lettera b), del regolamento n. 543/2008 alla luce dell’articolo 16 della Carta.

    B – Seconda questione: compatibilità dell’obbligo di etichettatura con l’articolo 40, paragrafo 2, TFUE

    64.

    Secondo una giurisprudenza costante della Corte, l’articolo 40, paragrafo 2, TFUE incarna il principio generale di non discriminazione nel settore dell’agricoltura ( 34 ). Esso si applica a tutti gli operatori economici soggetti ad un’organizzazione comune dei mercati ( 35 ). Tale disposizione costituisce l’espressione specifica del principio generale di non discriminazione, il quale impone che situazioni analoghe non siano trattate in modo dissimile e che situazioni diverse non siano trattate nello stesso modo, a meno che tale trattamento non sia obiettivamente giustificato ( 36 ).

    65.

    Occorre sottolineare in limine che la risposta alla prima questione pregiudiziale non pregiudica l’analisi della compatibilità dell’obbligo di etichettatura con il principio di non discriminazione. L’esame della compatibilità dell’obbligo di etichettatura con la libertà d’impresa sancita dall’articolo 16 della Carta implica un controllo di tipo «verticale»: l’obiettivo prefisso della tutela del consumatore viene esaminato in rapporto al mezzo, costituito dall’obbligo di etichettatura, ma soltanto con riferimento al prodotto in questione, ossia alle carni di pollame fresche. Tale esame è, in larga misura, compiuto separatamente dagli altri prodotti e settori. Al contrario, il principio di non discriminazione ai sensi dell’articolo 40, paragrafo 2, TFUE richiede un diverso tipo di esame, che è, per sua stessa natura, «orizzontale»: si può affermare che l’obbligo di etichettatura applicabile solo ed esclusivamente alle carni di pollame fresche equivalga al trattamento differenziato di situazioni paragonabili? In caso di risposta affermativa, tale trattamento può risultare oggettivamente giustificato?

    1. Comparabilità

    66.

    La questione preliminare riguarda la comparabilità: quali produttori, consumatori e tramite loro, quali prodotti, si possono considerare nella stessa situazione ai sensi dell’articolo 40, paragrafo 2, TFUE? In proposito esistono opinioni divergenti.

    67.

    Da un lato, il giudice del rinvio e la ricorrente condividono un’accezione estensiva della comparabilità. Essi suggeriscono che l’articolo 5, paragrafo 4, lettera b), del regolamento n. 543/2008 determina una disparità di trattamento rispetto ad altri tipi di carne che non sono soggetti al medesimo obbligo di etichettatura, come ad esempio le carni suine, bovine, caprine o di agnello. A loro avviso, tutti questi tipi di carni fresche risultano, ai fini dell’etichettatura, comparabili.

    68.

    Per contro, la Commissione adotta un concetto più riduttivo di comparabilità e sostiene che le carni di pollame fresche non si trovano nella stessa situazione degli altri prodotti a base di carne. A sostegno di tale tesi, la Commissione deduce principalmente un argomento di carattere storico, offrendo una presentazione dettagliata dell’evoluzione dei diversi quadri normativi cui sono stati sottoposti i settori delle carni. La Commissione sostiene che il legislatore dell’Unione è intervenuto meno nel settore delle carni di pollame rispetto agli altri settori delle carni. Tra le poche misure adottate dall’Unione per sostenere il settore delle carni di pollame figurano le norme di commercializzazione come l’obbligo di etichettatura. La Commissione afferma che tale obbligo, tutelando i consumatori, incentiva le vendite e quindi promuove l’obiettivo di aumentare i ricavi degli agricoltori.

    69.

    Intravedo una serie di problemi in relazione ai suggerimenti della Commissione. Il problema maggiore, tuttavia, è il fatto che la questione della comparabilità implica, per sua natura, una valutazione oggettiva. Si tratta di esaminare se, rispetto a una determinata qualità (ossia, il tertium comparationis, che può essere un valore, un obiettivo, un’azione, ecc.) gli elementi di paragone (persone, prodotti, ecc.) dimostrino più analogie o più differenze. È ben vero che, nel compiere tale valutazione, le scelte normative soggettive adottate in passato sono rilevanti, soprattutto nel definire il tertium comparationis ( 37 ). Tuttavia, esse non sono necessariamente concludenti.

    70.

    Ciononostante, le questioni piuttosto complesse legate alla comparabilità tra i diversi settori agricoli non devono essere affrontate in questa sede, e ciò per una semplice ragione: anche se dovessimo accogliere gli argomenti della Commissione circa la non-comparabilità dei prodotti a base di carne appartenenti a settori diversi, resta il fatto che l’articolo 5, paragrafo 4, lettera b), del regolamento n. 543/2008 assoggetta all’obbligo di etichettatura un solo prodotto, ossia le carni di pollame fresche. Come segnala la ricorrente, altre carni di pollame parimenti contemplate dal regolamento n. 543/2008, come quelle congelate o surgelate ( 38 ), non sono soggette all’obbligo di etichettatura ( 39 ).

    71.

    Pertanto, anche accogliendo il concetto ristretto di comparabilità proposto dalla Commissione, limitato alle sole carni di pollame, esiste pur sempre una disparità di trattamento all’interno del solo settore delle carni di pollame.

    2. Giustificazione oggettiva

    72.

    Una volta accertata la sussistenza di una disparità di trattamento, esaminerò ora se tale disparità possa essere oggettivamente giustificata.

    73.

    La Commissione ha invocato il proprio potere discrezionale in relazione al conseguimento degli obiettivi della politica agricola comune. Invero, come ho già osservato supra al paragrafo 38 delle presenti conclusioni, la Corte ha costantemente riconosciuto l’ampio margine discrezionale di cui dispongono le istituzioni dell’Unione nelle questioni riguardanti l’agricoltura. Di conseguenza, nell’esaminare asserite violazioni del principio di non discriminazione in materia agricola, la Corte si limita ad accertare che la misura in questione non sia viziata da errore manifesto o da sviamento di potere e che l’istituzione interessata non abbia manifestamente ecceduto i limiti del suo potere discrezionale ( 40 ).

    74.

    Ciò detto, affinché una disparità di trattamento in tale ambito non risulti discriminatoria, deve pur sempre essere giustificata da motivi obiettivi che non siano manifestamente inappropriati ( 41 ). Spetta, in particolare, all’istituzione che ha adottato il provvedimento contestato dimostrare l’esistenza di tali criteri oggettivi e fornire alla Corte gli elementi necessari per valutarli ( 42 ).

    75.

    Nonostante le reiterate domande rivolte alla Commissione all’udienza, permane una chiara assenza di motivi oggettivi che possano giustificare l’introduzione dell’obbligo di etichettatura per le sole carni di pollame fresche, e non anche per le altre carni di pollame. La Commissione ha indicato due potenziali motivi oggettivi: il primo consiste nella tutela del consumatore stesso e il secondo nella migliore tutela del consumatore come traguardo intermedio per promuovere l’obiettivo di aumentare i redditi degli agricoltori.

    76.

    Mi risulta difficile accettare tali argomenti quali valide giustificazioni della disparità di trattamento di cui si discute.

    77.

    Sebbene si possa sostenere che l’obbligo di etichettatura costituisca di per sé un mezzo appropriato per raggiungere un elevato livello di informazione del consumatore, non sono state addotte ragioni oggettive per spiegare perché tale obbligo dovrebbe applicarsi unicamente alle carni di pollame fresche e non anche alle carni di pollame di altro tipo contemplate dal regolamento in questione.

    78.

    In generale, nel caso dei prodotti freschi, il rischio di deperibilità può ipoteticamente giustificare determinate differenze con riguardo alle informazioni da includere nelle etichette apposte sull’imballaggio dei prodotti di carne preconfezionati ( 43 ). Tuttavia, non è stata invocata alcuna caratteristica specifica a fine di giustificare i diversi requisiti in materia di etichettatura con riguardo all’indicazione del prezzo ( 44 ). Al contrario, all’udienza, la ricorrente e il Libero Stato della Sassonia hanno confermato che le presunte caratteristiche specifiche della carne di pollame fresca relative alle operazioni di conservazione, trasporto, macellazione, taglio, commercializzazione e alla dimensione dei pezzi di carne, non hanno alcun impatto sulla produzione delle confezioni con peso standardizzato. In ogni caso, tali eventuali caratteristiche specifiche non sarebbero esclusive delle carni di pollame fresche ma si applicherebbero anche ad altri tipi di carni di pollame non soggetti all’obbligo di etichettatura.

    79.

    Inoltre, la Commissione ha dichiarato che l’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 98/6 riduce le differenze tra i regimi giuridici applicabili alla carne di pollame e alle carni di altro genere, poiché, specialmente per quanto concernei prodotti di peso non standardizzato, tale disposizione stabilisce l’obbligo di indicare il prezzo sull’involucro. Secondo la Commissione, il fatto che tale regime generale esista non significa che il livello di tutela per il settore della carne di pollame debba essere ridotto. Seguendo lo stesso ragionamento, il Libero Stato della Sassonia aggiunge che l’applicazione del principio di non discriminazione non dovrebbe avere l’effetto di portare la tutela ad un livello minimo, riferendosi, per analogia, alla giurisprudenza della Corte sui requisiti in materia di sanità pubblica e animale ( 45 ).

    80.

    A mio parere, nemmeno tali argomenti forniscono una valida giustificazione per la disparità di trattamento de qua.

    81.

    In primo luogo, l’argomento della Commissione secondo cui la disparità di trattamento sarebbe «ridotta» per l’esistenza dell’obbligo generale sancito dall’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 98/6 non è pertinente. Tanto per cominciare, esso non giustifica in alcun modo la «restante» disparità di trattamento e sicuramente non giustifica la disparità di trattamento di per sé.

    82.

    In secondo luogo, il caso di specie dovrebbe essere distinto da quello all’origine della sentenza ABNA e a., invocata dal Libero Stato della Sassonia. In tale sentenza la Corte ha esaminato la compatibilità con il principio di non discriminazione di un requisito previsto dalla direttiva 2002/2/CE ( 46 ) che, in particolare, assoggettava i produttori di mangimi per animali ad un regime di informazione non previsto per gli alimenti destinati al consumo umano. In tale contesto, la Corte ha affermato che il fatto che misure altrettanto restrittive potessero essere giustificate anche in altri settori non ancora regolamentati, non rappresentava una ragione sufficiente per considerare che le misure in questione non fossero legittime a causa della loro natura discriminatoria. La Corte ha dichiarato che «[i]n caso contrario, ciò avrebbe l’effetto di portare la protezione della sanità pubblica al livello della normativa esistente che fornisce la protezione meno elevata» ( 47 ).

    83.

    La fattispecie in esame è chiaramente diversa da quella oggetto della causa ABNA e a. Anzitutto, tale causa non riguardava una disparità di trattamento tra prodotti coperti da un’organizzazione dei mercati comune nel settore della politica agricola comune. Piuttosto, la direttiva 2002/2 aveva come fondamento normativo l’articolo 152, paragrafo 4, lettera b), CE [divenuto ora articolo 168, paragrafo 4, lettera b), TFUE] – che riguardava l’adozione di misure volte ad assicurare un livello elevato di tutela della salute umana. Contrariamente a quanto accaduto nella causa ABNA e a., l’obbligo di etichettatura ora in questione introduce una disparità di trattamento tra prodotti agricoli che appartengono a uno stesso settore, ossia il settore delle carni di pollame come viene definito dal regolamento n. 1234/2007 e dal regolamento di esecuzione n. 543/2008. In secondo luogo, come rilevato dall’avvocato generale in tale causa, una disciplina più restrittiva per i mangimi poteva trovare una giustificazione oggettiva nello stretto legame tra il settore dei mangimi per animali e le crisi della BSE e della diossina, cui si collegava l’adozione della direttiva 2002/2 ( 48 ).

    84.

    La seconda serie di potenziali motivi di giustificazione addotti dalla Commissione si riferisce all’obiettivo della tutela del consumatore che, tuttavia, stavolta non è considerato come obiettivo a sé stante bensì quale valore intermedio per conseguire l’obiettivo finale di aumentare i redditi degli agricoltori. Tale argomento si sviluppa nel seguente modo: offrendo al consumatore informazioni supplementari, l’indicazione relativa al prezzo apposta sull’imballaggio aumenta la fiducia nel prodotto. La maggior fiducia del consumatore induce a un incremento delle vendite, determinando quindi un aumento del reddito degli agricoltori.

    85.

    Tale argomento non risulta convincente. Il buon senso suggerisce di presupporre che anche la ricorrente e altri rivenditori siano interessati ad incoraggiare tali vendite in particolare. Tuttavia, come ampiamente sottolineato dalla ricorrente, i costi aggiuntivi connessi all’obbligo di etichettatura possono comportare maggiori oneri per i rivenditori al momento di procedere all’adeguamento dei prezzi e di lanciare iniziative promozionali per le carni di pollame fresche, con l’effetto di scoraggiare le vendite di tale categoria di prodotti. È pertanto difficile vedere come un obbligo di etichettatura supplementare possa contribuire a un aumento delle vendite in tal senso.

    86.

    Tuttavia, tralasciando le speculazioni sulla realtà sociale e le percezioni del consumatore, resta il fatto che la Commissione non è riuscita a fornire una giustificazione oggettiva che spieghi perché, anche volendo assumere che l’obbligo di etichettatura contribuisca ad aumentare i ricavi degli agricoltori, tale misura debba essere limitata soltanto alla carne di pollame fresca, e non sia applicabile anche ad altri tipi di carne di pollame.

    87.

    Ritengo pertanto che né il primo, né il secondo argomento addotto dalla Commissione possano giustificare oggettivamente l’imposizione di requisiti di etichettatura diversi nel settore della carne di pollame.

    88.

    Infine, la Commissione invoca la giurisprudenza della Corte secondo cui la legittimità di un atto dell’Unione europea deve essere valutata sulla base degli elementi di fatto e di diritto esistenti alla data in cui l’atto è stato adottato ( 49 ). All’udienza, la Commissione ha lasciato intendere che, se avesse dovuto adottare disposizioni simili oggi, queste sarebbero state probabilmente diverse. Pertanto, una parte del potere discrezionale di cui gode la Commissione comprenderebbe anche una dimensione storica: la Commissione dovrebbe essere autorizzata ad apportare cambiamenti in maniera graduale. In tale contesto, il ruolo della Corte non dovrebbe essere quello di intervenire e iniziare ad invalidare tali disposizioni.

    89.

    A tale argomento si può ribattere con una duplice risposta: l’una concreta, basata sul caso specifico e l’altra, più ampia, di carattere costituzionale. Sul piano specifico del caso che ci occupa, è sufficiente rilevare che l’obbligo di etichettatura, inizialmente previsto dall’articolo 5, paragrafo 3, lettera b), del regolamento n. 1906/90 ( 50 ), è stato ripristinato con il regolamento di esecuzione controverso, adottato nel 2008. Perciò, in un certo senso, sembrerebbe che, nel 2008, il legislatore abbia operato la stessa scelta normativa. La Corte non dispone di elementi che consentano di accertare se, all’epoca, fossero presenti ragioni tecniche o ragioni oggettive di altra natura, tali da giustificare la disparità di trattamento contestata nel presente procedimento.

    90.

    Su un piano più generale, ritengo che l’ampio potere discrezionale di cui godono le istituzioni dell’Unione in determinati ambiti non possa essere inteso come un «assegno in bianco», temporalmente illimitato, in virtù del quale le scelte normative sull’organizzazione dei mercati adottate in passato debbano essere percepite come una giustificazione permanente e adeguata della loro costante applicazione in contesti sociali e di mercato notevolmente cambiati. Per usare una metafora, il legislatore, al pari di una guardia forestale, deve regolarmente prestare attenzione allo stato della «foresta legislativa». Non solo egli deve continuare a piantare nuovi alberi, ma deve anche, ad intervalli regolari, sfoltire la foresta e tagliare i rami secchi. In caso contrario, il legislatore non potrebbe sorprendersi se qualcun altro si vedesse obbligato a intervenire.

    91.

    Per tutte le suesposte ragioni, pur avendo riconosciuto l’ampio margine discrezionale di cui gode la Commissione ed applicato criteri di riesame relativamente blandi, ritengo di dover concludere nel senso che la Commissione non ha fornito alcun criterio oggettivo idoneo a giustificare la disparità di trattamento tra i vari tipi di carni di pollame, relativamente ai requisiti di etichettatura.

    92.

    Ritengo pertanto che la Corte debba rispondere alla seconda questione pregiudiziale sottopostale dichiarando che l’articolo 5, paragrafo 4, lettera b), del regolamento n. 543/2008 è invalido, in quanto introduce una discriminazione tra i diversi tipi di carni di pollame, in violazione dell’articolo 40, paragrafo 2, TFUE.

    IV – Conclusione

    93.

    Alla luce delle suesposte considerazioni propongo alla Corte di rispondere alle questioni sottopostele dal Sächsisches Oberverwaltungsgericht (Tribunale amministrativo superiore della Sassonia) nei seguenti termini:

    1)

    L’esame della prima questione pregiudiziale non ha rivelato la presenza di alcun elemento atto ad inficiare la validità dell’articolo 5, paragrafo 4, lettera b), del regolamento (CE) n. 543/2008 della Commissione, del 16 giugno 2008, recante modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 1234/2007 del Consiglio per quanto riguarda le norme di commercializzazione per le carni di pollame, alla luce dell’articolo 16 della Carta.

    2)

    L’articolo 5, paragrafo 4, lettera b), del regolamento n. 543/2008 è invalido, nella parte in cui introduce una discriminazione tra i diversi tipi di carni di pollame, in violazione dell’articolo 40, paragrafo 2, TFUE.


    ( 1 ) Lingua originale: l’inglese.

    ( 2 ) Regolamento del 16 giugno 2008, recante modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 1234/2007 del Consiglio per quanto riguarda le norme di commercializzazione per le carni di pollame (GU L 157, pag. 46).

    ( 3 ) Regolamento del 22 ottobre 2007, recante organizzazione comune dei mercati agricoli e disposizioni specifiche per taluni prodotti agricoli (regolamento unico OCM) (GU L 299, pag. 1). Il regolamento è stato abrogato dal regolamento (UE) n. 1308/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 dicembre 2013, recante organizzazione comune dei mercati dei prodotti agricoli (GU L 347, pag. 671). Tuttavia, la disposizione su cui si basa il regolamento n. 543/2008, l’articolo 121, lettera e), punto iv), del regolamento n. 1234/2007, figura tra le disposizioni che continuano ad applicarsi conformemente all’articolo 230, paragrafo 1, lettera c), del regolamento n. 1308/2013. Ai sensi dell’articolo 230, paragrafo 2, del regolamento n. 1308/2013, i riferimenti al regolamento n. 1234/2007 si intendono operati al regolamento n. 1308/2013 e al regolamento (UE) n. 1306/2013 e vanno letti secondo la tavola di concordanza contenuta nell’allegato XIV del regolamento n. 1308/2013.

    ( 4 ) Regolamento del 26 giugno 1990, che stabilisce talune norme di commercializzazione per le carni di pollame (GU L 173, pag. 1), abrogato dal regolamento n. 1234/2007.

    ( 5 ) A norma dell’articolo 2, lettera c), del regolamento n. 543/2008, per «carni di pollame preconfezionate» si intendono le carni di pollame presentate in conformità all’articolo 1, paragrafo 3, lettera b), della direttiva 2000/13/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 marzo 2000 (GU L 109, pag. 29). Ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 3, lettera b), della direttiva 2000/13, s’intende per «prodotto alimentare in imballaggio preconfezionato: l’unità di vendita destinata ad essere presentata come tale al consumatore finale ed alle collettività, costituita da un prodotto alimentare e dall’imballaggio in cui è stato confezionato prima di essere messo in vendita, avvolta interamente o in parte da tale imballaggio, ma comunque in modo che il contenuto non possa essere modificato senza che l’imballaggio sia aperto o alterato». La direttiva 2000/13 è stata abrogata dal regolamento (UE) n. 1169/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori (GU L 304, pag. 18). Tuttavia, l’articolo 2, paragrafo 2, lettera e), del regolamento n. 1169/2011 ha mantenuto la precedente definizione, aggiungendo che la nozione di alimento preimballato «non comprende gli alimenti imballati nei luoghi di vendita su richiesta del consumatore o preimballati per la vendita diretta».

    ( 6 ) Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 febbraio 1998 (GU L 80, pag. 27).

    ( 7 ) V., inter alia, con riguardo alle differenti formulazioni, sentenze Nold/Commissione (4/73, EU:C:1974:51, punto 14); Hauer (44/79, EU:C:1979:290, punto 32); Eridania (230/78, EU:C:1979:216, punto 21); Biovilac/CEE (59/83, EU:C:1984:380, punto 21); Keller (234/85, EU:C:1986:377, punto 8); Finsider/Commissione (63/84 e 147/84, EU:C:1985:358, punto 24); Rau Lebensmittelwerke e a. (da 133/85 a 136/85, EU:C:1987:244, punto 19); Schräder HS Kraftfutter (265/87, EU:C:1989:303, punto 15); Zuckerfabrik Süderdithmarschen e Zuckerfabrik Soest (C‑143/88 e C‑92/89, EU:C:1991:65, punto 76); Kühn (C‑177/90, EU:C:1992:2, punto 16); Germania/Consiglio (C‑280/93, EU:C:1994:367, punto 81), e Bosphorus (C‑84/95, EU:C:1996:312, punto 22).

    ( 8 ) Sentenza Spagna e Finlandia/Parlamento e Consiglio (C‑184/02 e C‑223/02, EU:C:2004:497, punto 51).

    ( 9 ) V., per esempio, sentenze Deutsches Weintor (C‑544/10, EU:C:2012:526, punti 44 e segg.); Interseroh Scrap e Metals Trading (C‑1/11, EU:C:2012:194, punto 43), e Pfleger e a. (C‑390/12, EU:C:2014:281, punti 57 e segg.).

    ( 10 ) Sentenze Sky Österreich (C‑283/11, EU:C:2013:28, punto 46), e Consiglio/Manufacturing Support & Procurement Kala Naft (C‑348/12 P, EU:C:2013:776, punto 123).

    ( 11 ) V. sentenze del 23 settembre 1982, Sporrong e Lönnroth Serie A n. 52, punto 61; del 24 ottobre 1986, AGOSI c. Regno Unito, Serie A n. 108, pag. 18, punto 52; del 25 ottobre 1989 Allan Jacobsson c. Svezia (N. 1) ricorso n. 10842/84 A163, punto 55, e del 20 agosto 2007 J.A. Pye (Oxford) LTD e J.A. Pye (Oxford) Land LTD c. Regno Unito, ricorso n. 44302/02 2007-III, punto 55. V., inoltre, la decisione della Commissione europea per i diritti dell’uomo nella causa Pinnacle Meat Processors Company e a. c. Regno Unito, ricorso n. 33298/96, dec. 21 ottobre 1998.

    ( 12 ) Invero, come indicato dall’avvocato generale Wahl nelle conclusioni relative alla causa Gullotta e Farmacia di Gullotta Davide & C. (C‑497/12, EU:C:2015:168, paragrafo 69), le imprese godono del diritto sancito nell’articolo 15 della Carta.

    ( 13 ) Al riguardo, v. conclusioni dell’avvocato generale Wahl nella causa Schaible (C‑101/12, EU:C:2013:334, paragrafo 24).

    ( 14 ) V., per tutte, sentenza Hauer (44/79, EU:C:1979:290, punto 32). Tuttavia, come ha rilevato l’avvocato generale Cruz Villalón nelle sue conclusioni relative alla causa Alemo-Herron e a. (C‑426/11, EU:C:2013:82, paragrafo 51), nonostante lo stretto legame che li unisce, il diritto fondamentale di proprietà e la libertà d’impresa tutelano situazioni giuridiche differenti.

    ( 15 ) V. per tutte, sentenze Sky Österreich (C‑283/11, EU:C:2013:28, punti 42 e segg.); Alemo‑Herron e a. (C‑426/11, EU:C:2013:521, punto 32 e segg.), e Schaible (C‑101/12, EU:C:2013:661, punto 25).

    ( 16 ) Sentenza UPC Telekabel Wien (C‑314/12, EU:C:2014:192, punti 4950).

    ( 17 ) V. l’impostazione adottata nelle sentenze Scarlet Extended (C‑70/10, EU:C:2011:771); McDonagh (C‑12/11, EU:C:2013:43); Sky Österreich (C‑283/11, EU:C:2013:28); Schaible (C‑101/12, EU:C:2013:661), o Neptune Distribution (C‑157/14, EU:C:2015:823).

    ( 18 ) V., per tutte, sentenze Sky Österreich (C‑283/11, EU:C:2013:28, punto 45), e Deutsches Weintor (C‑544/10, EU:C:2012:526, punto 54).

    ( 19 ) V., per tutte, sentenza Volker und Markus Schecke e Eifert (C‑92/09 e C‑93/09, EU:C:2010:662, punto 65).

    ( 20 ) Sentenza Keller (234/85, EU:C:1986:377, punto 9). V., inoltre, sentenze Deutsches Weintor (C‑544/10, EU:C:2012:526, punti 5758), e Neptune Distribution (C‑157/14, EU:C:2015:823, punto 71).

    ( 21 ) Sentenza Digital Rights Ireland (C‑293/12 e C‑594/12, EU:C:2014:238, punto 47).

    ( 22 ) V., per tutte, sentenze Fédesa e a. (C‑331/88, EU:C:1990:391, punto 14); Schräder HS Kraftfutter (265/87, EU:C:1989:303, punto 22), o Spagna/Consiglio (C‑310/04, EU:C:2006:521, punti 96 e segg.).

    ( 23 ) V., inter alia, sentenze Schaible (C‑101/12, EU:C:2013:661, punto 48), e AJD Tuna (C‑221/09, EU:C:2011:153, punto 80).

    ( 24 ) V., inter alia, sentenza Schaible (C‑101/12, EU:C:2013:661, punto 28).

    ( 25 ) V., inter alia, sentenze Jippes e a. (C‑189/01, EU:C:2001:420, punto 81); Agrana Zucker (C‑309/10, EU:C:2011:531, punto 42); Schaible (C‑101/12, EU:C:2013:661, punto 29), o Léger (C‑528/13, EU:C:2015:288, punto 58).

    ( 26 ) V., al riguardo, le conclusioni dell’avvocato generale Tizzano nella causa ABNA e a. (C‑453/03, EU:C:2005:202, paragrafo 57).

    ( 27 ) V., per tutte, le conclusioni dell’avvocato generale Kokott nelle cause S.P.C.M. e a. (C‑558/07, EU:C:2009:142, paragrafi 74 e segg.), e Association Kokopelli (C‑59/11, EU:C:2012:28, paragrafo 61), e le conclusioni dell’avvocato generale Wahl nella causa Schaible (C‑101/12, EU:C:2013:334, paragrafo 40).

    ( 28 ) Conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa Polonia/Parlamento e Consiglio (C‑358/14, EU:C:2015:848, paragrafo 89); Pillbox 38 (C‑477/14, EU:C:2015:854 paragrafo 58), e Philip Morris Brands e a. (C‑547/14, EU:C:2015:853, paragrafo 150). In tal senso, v., inoltre, le conclusioni dell’avvocato generale Trstenjak nella causa Chabo (C‑213/09, EU:C:2010:372, paragrafi 80 e segg.).

    ( 29 ) V., al riguardo, il parere 2/13 (EU:C:2014:2454).

    ( 30 ) V., per tutte, sentenze McDonagh (C‑12/11, EU:C:2013:43, punto 63), e Neptune Distribution (C‑157/14, EU:C:2015:823, punto 74).

    ( 31 ) Direttiva del 20 gennaio 1976 per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati Membri relative al precondizionamento in massa o in volume di alcuni prodotti in imballaggi preconfezionati (GU L 46, pag. 1).

    ( 32 ) V., in particolare, i considerando 6, 11 e 12.

    ( 33 ) V., per tutte, nell’ambito della libera circolazione delle merci, sentenza Rau Lebensmittelwerke (261/81, EU:C:1982:382, punto 17).

    ( 34 ) V., inter alia, sentenza Agrargenossenschaft Neuzelle (C‑545/11, EU:C:2013:169, punto 41 e giurisprudenza ivi citata).

    ( 35 ) Al riguardo, v. la sentenza Germania/Consiglio (C‑280/93, EU:C:1994:367, punto 68).

    ( 36 ) V., inter alia, sentenze Ruckdeschel e a. (117/76 e 16/77, EU:C:1977:160, punto 10); Moulins et huileries de Pont-à-Mousson e Providence agricole de la Champagne (124/76 e 20/77, EU:C:1977:161, punto 22); Niemann (C‑14/01, EU:C:2003:128, punto 51), o Franz Egenberger (C‑313/04, EU:C:2006:454, punto 33 e giurisprudenza ivi citata).

    ( 37 ) Invero, gli elementi della comparabilità «devono, in particolare, essere determinati e valutati alla luce dell’oggetto e dello scopo dell’atto comunitario che stabilisce la distinzione di cui trattasi» [v. sentenza Arcelor Atlantique et Lorraine e a. (C‑127/07, EU:C:2008:728, punto 26 e giurisprudenza ivi citata)]. In merito alle particolarità dell’applicazione del principio di non discriminazione tra i diversi settori nell’ambito della politica agricola comune, v. Barents, R., «The Significance of the Non-Discrimination Principle for the Common Agricultural Policy: Between Competition and Intervention», Mélanges a cura di H. G. Schermers, Vol. 2, Martinus Nijhoff Publishers 1994, pag. 527, in particolare pag. 538.

    ( 38 ) Ai sensi del punto III, paragrafo 2, parte B, dell’allegato XIV al regolamento n. 1234/2007, le carni di pollame e le preparazioni alimentari a base di carne di pollame possono essere commercializzate in tre forme: fresche, congelate o surgelate. Tale disposizione è attualmente contenuta nel punto III della parte V dell’allegato VII al regolamento n. 1308/2013.

    ( 39 ) Si deve inoltre rilevare che il regolamento (CE) n. 1047/2009 del Consiglio, del 19 ottobre 2009, che modifica il regolamento (CE) n. 1234/2007 recante organizzazione comune dei mercati agricoli, per quanto riguarda le norme di commercializzazione per le carni di pollame (GU L 290, pag. 1) ha esteso l’ambito di applicazione delle norme di commercializzazione delle carni di pollame alle «preparazioni» e ai «prodotti» a base di carne di pollame.

    ( 40 ) V., inter alia, sentenze Agrargenossenschaft Neuzelle (C‑545/11, EU:C:2013:169, punto 43), e AJD Tuna (C‑221/09, EU:C:2011:153, punto 80).

    ( 41 ) V., per tutte, sentenze Arcelor Atlantique et Lorraine e a. (C‑127/07, EU:C:2008:728, punto 58), e Agrargenossenschaft Neuzelle (C‑545/11, EU:C:2013:169, punti 44 e segg.).

    ( 42 ) Al riguardo, v., per tutte, sentenze Schaible (C‑101/12, EU:C:2013:661, punto 78), e Arcelor Atlantique et Lorraine e a. (C‑127/07, EU:C:2008:728, punto 48 e giurisprudenza ivi citata).

    ( 43 ) Ad esempio, come previsto dal regolamento n. 1169/2011, cit. alla nota 5.

    ( 44 ) Pertanto, la fattispecie si distingue dalle situazioni discusse, ad esempio, nelle cause Niemann (C‑14/01, EU:C:2003:128, punti 51 e segg.), o Association Kokopelli (C‑59/11, EU:C:2012:447, punto 73).

    ( 45 ) Sentenza ABNA e a. (C‑453/03, C‑11/04, C‑12/04 e C‑194/04, EU:C:2005:741, punto 65).

    ( 46 ) Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 gennaio 2002, che modifica la direttiva 79/373/CEE del Consiglio relativa alla circolazione dei mangimi composti per animali e che abroga la direttiva 91/357/CEE della Commissione (GU L 63, pag. 23).

    ( 47 ) Sentenza ABNA e a. (C‑453/03, C‑11/04, C‑12/04 e C‑194/04, EU:C:2005:741, punto 65).

    ( 48 ) Conclusioni dell’avvocato generale Tizzano nella causa ABNA e a. (C‑453/03, EU:C:2005:202, paragrafo 138).

    ( 49 ) V., per esempio, sentenza Agrana Zucker (C‑309/10, EU:C:2011:531, punto 45 e giurisprudenza ivi citata).

    ( 50 ) Occorre notare che la proposta della Commissione di regolamento (CEE) del Consiglio che stabilisce talune norme di commercializzazione per le carni di pollame [COM (89)580 def., del 23 novembre 1989], stabiliva l’obbligo di etichettatura, all’articolo 5, paragrafo 3, per le «carni di pollame preconfezionate» in generale. Gli unici obblighi specifici relativamente all’etichettatura delle carni di pollame fresche riguardavano la data limite di consumo.

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