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Documento 62013CC0511
Opinion of Advocate General Bot delivered on 26 March 2015.#Philips Lighting Poland S.A. and Philips Lighting BV v Council of the European Union.#Appeal — Dumping — Regulation (EC) No 384/96 — Articles 4(1), 5(4) and 9(1) — Regulation (EC) No 1205/2007 — Imports of integrated electronic compact fluorescent lamps (CFL-i) originating in China, Vietnam, Pakistan and the Philippines — Injury to the Community industry — Major proportion of the total Community production of the like products.#Case C-511/13 P.
Conclusioni dell’avvocato generale Y. Bot, presentate il 26 marzo 2015.
Philips Lighting Poland S.A. e Philips Lighting BV contro Consiglio dell'Unione europea.
Impugnazione – Dumping – Regolamento (CE) n. 384/96 – Articoli 4, paragrafo 1, 5, paragrafo 4, e 9, paragrafo 1 – Regolamento (CE) n. 1205/2007 – Importazioni di lampade elettroniche fluorescenti compatte integrali (CFL-i) originarie della Cina, del Vietnam, del Pakistan e delle Filippine – Pregiudizio causato all’industria comunitaria – Proporzione maggioritaria della produzione comunitaria totale dei prodotti simili.
Causa C-511/13 P.
Conclusioni dell’avvocato generale Y. Bot, presentate il 26 marzo 2015.
Philips Lighting Poland S.A. e Philips Lighting BV contro Consiglio dell'Unione europea.
Impugnazione – Dumping – Regolamento (CE) n. 384/96 – Articoli 4, paragrafo 1, 5, paragrafo 4, e 9, paragrafo 1 – Regolamento (CE) n. 1205/2007 – Importazioni di lampade elettroniche fluorescenti compatte integrali (CFL-i) originarie della Cina, del Vietnam, del Pakistan e delle Filippine – Pregiudizio causato all’industria comunitaria – Proporzione maggioritaria della produzione comunitaria totale dei prodotti simili.
Causa C-511/13 P.
Raccolta della giurisprudenza - generale
Identificatore ECLI: ECLI:EU:C:2015:206
CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE
YVES BOT
presentate il 26 marzo 2015 ( 1 )
Causa C‑511/13 P
Philips Lighting Poland S.A.,
Philips Lighting BV
contro
Consiglio dell’Unione europea
«Impugnazione — Dumping — Importazioni di lampade elettroniche fluorescenti compatte integrali (CFL-i) originarie della Cina, del Vietnam, del Pakistan e delle Filippine — Regolamento (CE) n. 1205/2007 — Pregiudizio causato ad un’industria comunitaria — Definizione dell’industria comunitaria — Nozione di “proporzione maggioritaria” della produzione comunitaria totale»
1. |
Con la loro impugnazione, la Philips Lighting Poland SA ( 2 ) e la Philips Lighting BV ( 3 ) chiedono l’annullamento della sentenza del Tribunale dell’Unione europea Philips Lighting Poland e Philips Lighting/Consiglio ( 4 ), con la quale esso ha respinto il loro ricorso inteso all’annullamento del regolamento (CE) n. 1205/2007 del Consiglio del 15 ottobre 2007, che istituisce dazi antidumping sulle importazioni di lampade elettroniche fluorescenti compatte integrali (CFL-i) originarie della Repubblica popolare cinese in seguito a un riesame in previsione della scadenza a norma dell’articolo 11, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 384/96 e li estende alle importazioni dello stesso prodotto spedite dalla Repubblica socialista del Vietnam, dalla Repubblica islamica del Pakistan e dalla Repubblica delle Filippine ( 5 ) nella misura in cui il regolamento n. 1205/2007 si applica alle ricorrenti. |
2. |
La presente causa offre alla Corte l’occasione di prendere posizione su diverse questioni di diritto delicate e che presentano importanti sfide. Essa esige una decisione, rispettivamente:
|
3. |
Nelle presenti conclusioni, proporrò alla Corte di respingere l’impugnazione. |
4. |
Anzitutto, inviterò la Corte a verificare d’ufficio in che misura le ricorrenti siano legittimate ad agire per ottenere l’annullamento del regolamento controverso. |
5. |
A tal riguardo, dopo aver proposto alla Corte di procedere a tale esame alla luce delle disposizioni di cui all’articolo 263 TFUE, del quale sosterrò l’applicabilità ratione temporis, sebbene il presente ricorso sia stato proposto anteriormente all’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, illustrerò le ragioni per le quali ritengo che la Philips Lighting sia direttamente e individualmente interessata dal regolamento controverso, circostanza dalla quale desumerò la sua legittimazione ad agire per l’annullamento. |
6. |
Quindi, indicherò perché il Tribunale, a mio avviso, statuendo che le istituzioni dell’Unione potevano proseguire la procedura di riesame nonostante il grado di sostegno alla domanda fosse sceso, nel corso dell’inchiesta, al di sotto della soglia di rappresentatività richiesta dalla normativa, non ha commesso alcun errore di diritto. |
7. |
Infine, farò valere che, se il Tribunale è incorso in un errore di diritto statuendo che la nozione di proporzione maggioritaria della produzione comunitaria totale figurante all’articolo 4, paragrafo 1, del regolamento (CE) n. 384/96 del Consiglio, del 22 dicembre 1995, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri della Comunità europea ( 6 ), come modificato da ultimo dal regolamento (CE) n. 2117/2005 del Consiglio, del 21 dicembre 2005 ( 7 ), doveva essere intesa nel senso che essa si riferisce alla soglia minima del 25% di tale produzione, menzionata all’articolo 5, paragrafo 4, del regolamento di base, lo stesso Tribunale, escludendo l’applicazione della soglia del 50% della produzione totale del prodotto simile parimenti menzionata in detta disposizione, non ha tuttavia commesso alcun errore di diritto, dal momento che queste due soglie, fissate esclusivamente per la valutazione della rappresentatività della denuncia, sono estranee alla definizione dell’industria comunitaria ai fini della determinazione del pregiudizio. Poiché le ricorrenti si limitano ad addebitare al Tribunale di non avere proceduto ad un’applicazione cumulativa di dette due soglie, senza contestare inoltre al medesimo la commissione di un manifesto errore di valutazione nello statuire che una proporzione maggioritaria della produzione comunitaria totale poteva essere costituita da un solo produttore comunitario rappresentante il 48% circa di tale produzione, proporrò alla Corte di dichiarare che i motivi sono infondati e, pertanto, di respingere l’impugnazione. |
I – Contesto normativo
A – Il regolamento di base
8. |
Le disposizioni che disciplinano l’applicazione di misure antidumping da parte dell’Unione, in vigore alla data dei fatti di cui al procedimento principale, figuravano nel regolamento di base. |
9. |
L’articolo 3 del regolamento di base, intitolato «Accertamento di un pregiudizio», stabiliva, al suo paragrafo 1, che per «pregiudizio» si intendeva, salvo altrimenti disposto, «un pregiudizio grave, la minaccia di pregiudizio grave a danno dell’industria comunitaria, oppure un grave ritardo nella creazione di tale industria». |
10. |
L’articolo 4 del regolamento di base, intitolato «Definizione di industria comunitaria», prevedeva, al suo paragrafo 1, che la nozione di «industria comunitaria» contemplava «il complesso dei produttori di prodotti simili nella Comunità o quelli tra di essi le cui produzioni, addizionate, costituiscono una proporzione maggioritaria, a norma dell’articolo 5, paragrafo 4, della produzione comunitaria totale di tali prodotti». |
11. |
L’articolo 5 del regolamento di base, che disciplinava l’avvio del procedimento d’inchiesta iniziale diretto ad accertare l’esistenza, il grado e l’effetto del dumping lamentato in una denuncia, disponeva: «1. Salvo il disposto del paragrafo 6, l’inchiesta per determinare l’esistenza, il grado e l’effetto delle pretese pratiche di dumping è aperta in seguito ad una denuncia scritta presentata da qualsiasi persona fisica o giuridica, nonché da qualsiasi associazione non avente personalità giuridica, che agisce per conto dell’industria comunitaria. (...) 4. L’inchiesta può essere avviata a norma del paragrafo 1 unicamente se previo esame del grado di sostegno o di opposizione alla denuncia espresso dai produttori comunitari del prodotto simile, è stato accertato che la denuncia è presentata dall’industria comunitaria o per suo conto. La denuncia si considera presentata dall’industria comunitaria, o per suo conto, se è sostenuta dai produttori comunitari che complessivamente realizzano oltre il 50% della produzione totale del prodotto simile attribuibile a quella parte dell’industria comunitaria che ha espresso sostegno od opposizione alla denuncia. L’inchiesta tuttavia non può essere aperta se i produttori comunitari che hanno espresso un chiaro sostegno alla denuncia effettuano meno del 25% della produzione totale del prodotto simile realizzata dall’industria comunitaria. (...)». |
12. |
L’articolo 9 del regolamento di base, che verteva sulla chiusura del procedimento senza l’istituzione di misure o l’imposizione di dazi definitivi, prevedeva: «1. In caso di ritiro della denuncia i procedimenti possono essere chiusi, a meno che la chiusura sia contraria all’interesse della Comunità. (...) 4. Quando dalla constatazione definitiva dei fatti risulta l’esistenza di dumping e di un conseguente pregiudizio e quando gli interessi della Comunità esigono un intervento a norma dell’articolo 21, il Consiglio, deliberando su una proposta presentata dalla Commissione dopo aver sentito il comitato consultivo, istituisce un dazio antidumping definitivo. (...) (...)». |
13. |
In base all’articolo 11 del regolamento di base: «(...) 2. Le misure di antidumping definitive scadono dopo cinque anni dalla data in cui sono state istituite oppure dopo cinque anni dalla data della conclusione dell’ultimo riesame relativo al dumping e al pregiudizio, salvo che nel corso di un riesame non sia stabilito che la scadenza di dette misure implica il rischio del persistere o della reiterazione del dumping e del pregiudizio. Il riesame in previsione della scadenza è avviato per iniziativa della Commissione oppure su domanda dei produttori comunitari o dei loro rappresentanti e le misure restano in vigore in attesa dell’esito del riesame. (...) 5. Le disposizioni del presente regolamento relative alle procedure e allo svolgimento delle inchieste, escluse quelle relative ai termini, si applicano ai riesami effettuati a norma dei paragrafi 2, 3 e 4. (...) (...)». |
B – I regolamenti relativi alle lampade elettroniche fluorescenti compatte integrali CFL-i
14. |
Al termine di un’inchiesta avviata dopo il deposito, il 4 aprile 2000, di una denuncia da parte della European Lighting Companies Federation, l’Unione ha adottato il regolamento (CE) n. 1470/2001 del Consiglio, del 16 luglio 2001, che istituisce dazi antidumping definitivi e riscuote in via definitiva i dazi provvisori istituiti sulle importazioni di lampade elettroniche fluorescenti compatte integrali (CFL-i) originarie della Repubblica popolare cinese ( 8 ). |
15. |
Dopo l’avvio di un’inchiesta relativa ad un’eventuale elusione di tali dazi, l’Unione si è inoltre dotata del regolamento (CE) n. 866/2005, del Consiglio del 6 giugno 2005, che estende le misure antidumping definitive istituite dal regolamento (CE) n. 1470/2001 sulle importazioni di lampade elettroniche fluorescenti compatte integrali (CFL-i) originarie della Repubblica popolare cinese alle importazioni dello stesso prodotto spedite dalla Repubblica socialista del Vietnam, dalla Repubblica islamica del Pakistan e dalla Repubblica delle Filippine ( 9 ). |
16. |
I regolamenti nn. 1470/2001 e 866/2005 sono stati modificati successivamente dal regolamento (CE) n. 1322/2006 del Consiglio, del 1o settembre 2006 ( 10 ). |
II – Fatti
17. |
A seguito della pubblicazione di un avviso di prossima scadenza delle misure adottate dal regolamento n. 1470/2001, la Commissione ha ricevuto una richiesta di riesame presentata dalla Community Federation of Lighting Industry of Compact Fluorescent Lamps Integrated, che agiva in nome della Osram GmbH ( 11 ). |
18. |
Il 12 giugno 2006, la Commissione ha inviato un questionario ai quattro produttori comunitari di lampade elettroniche fluorescenti compatte integrali ( 12 ), ossia la GE Hungary Ipari és Kereskedelmi Zrt ( 13 ), la Osram, la Philips Lighting e la SLI Sylvania Lighting International ( 14 ). La Osram e la GE Hungary hanno indicato di essere favorevoli all’apertura di una procedura di riesame, la Philips Poland ha comunicato di essere contraria ad una siffatta procedura e la Sylvania non ha dato risposta al questionario. |
19. |
La Commissione, ritenendo che sussistessero elementi di prova sufficienti per giustificare l’avvio della procedura di riesame, ha intrapreso un’inchiesta relativa al periodo compreso tra il 1o luglio 2005 e il 30 giugno 2006. |
20. |
Il 26 novembre 2006, la GE Hungary ha indicato alla Commissione di non essere ormai più favorevole al mantenimento delle misure antidumping di cui trattasi, mentre la Sylvania l’ha informata, il 19 dicembre 2006, del fatto che essa riteneva che il mantenimento delle misure antidumping non fosse nell’interesse della Comunità. |
21. |
Il 10 luglio 2007, la Commissione ha comunicato una lettera informativa con la quale essa manifestava la propria intenzione di proporre la chiusura del riesame. In tale lettera, la Commissione ha spiegato, segnatamente, che se, all’atto dell’apertura del riesame, la domanda era sostenuta da una proporzione maggioritaria della produzione comunitaria, la produzione cumulativa dei produttori che si opponevano alla domanda rappresentava ormai un po’ più del 50% della produzione comunitaria totale. Essa concludeva, pertanto, che le misure antidumping dovevano essere abrogate e che la procedura doveva essere chiusa. |
22. |
Il 24 e il 25 luglio 2007, la Philips Poland e la Community Federation of Lighting Industry of Compact Fluorescent Lamps Integrated hanno presentato osservazioni su detta lettera. |
23. |
Con una nuova lettera informativa del 31 agosto 2007, la Commissione ha informato le parti interessate di essere alla fine pervenuta alla conclusione che, nell’interesse della Comunità, occorresse prorogare di un anno il periodo di applicazione delle misure antidumping di cui trattasi. |
24. |
Il 15 ottobre 2007, il Consiglio dell’Unione europea ha adottato il regolamento controverso. |
III – Procedimento dinanzi al Tribunale e sentenza impugnata
25. |
Con atto introduttivo depositato nella cancelleria del Tribunale il 21 dicembre 2007, le ricorrenti hanno chiesto l’annullamento del regolamento controverso. |
26. |
A sostegno del loro ricorso, esse hanno dedotto tre motivi, dei quali i primi due erano attinenti alla violazione degli articoli 3, paragrafo 1, 9, paragrafi 1 e 4, nonché 11, paragrafo 2, del regolamento di base. |
27. |
La Philips Lighting ha sostenuto, in particolare, da un lato, che le istituzioni dell’Unione non potevano proseguire il procedimento antidumping nell’ipotesi di un abbassamento del livello di sostegno alla denuncia e, dall’altro, che il Consiglio non poteva fondarsi sui soli dati della Osram per valutare il pregiudizio causato all’industria comunitaria, nella misura in cui la produzione di tale società, la quale rappresentava soltanto il 48% circa della produzione comunitaria totale, non poteva essere considerata una «proporzione maggioritaria» della stessa. |
28. |
Dopo che il Consiglio aveva manifestato dubbi quanto alla ricevibilità del ricorso, contestando la legittimazione ad agire delle ricorrenti, il Tribunale ha ritenuto che, a fini di economia procedurale, occorresse esaminare immediatamente i motivi, senza statuire preliminarmente sulla ricevibilità del ricorso, considerato che esso era, in ogni caso, destituito di fondamento. |
29. |
Il Tribunale ha respinto i primi due motivi sulla base di un ragionamento articolato in due punti. |
30. |
In primo luogo, il Tribunale ha esaminato la questione se le istituzioni dell’Unione potessero proseguire la procedura di riesame nonostante il livello di sostegno alla denuncia fosse sceso al di sotto della soglia del 50% menzionata all’articolo 5, paragrafo 4, del regolamento di base. |
31. |
Esso ha iniziato ricordando, ai punti da 75 a 78 della sentenza impugnata, che, mentre la domanda di apertura della procedura di riesame era stata inizialmente sostenuta dalla Osram e dalla GE Hungary, le quali rappresentavano insieme più del 50% della produzione comunitaria totale di CFL-i, mentre la Philips Poland aveva espresso la propria opposizione e la Sylvania non aveva preso posizione, la situazione era tuttavia cambiata qualche mese più tardi, quando, mentre l’inchiesta era in corso, la GE Hungary e la Sylvania avevano informato la Commissione che si opponevano ormai al mantenimento delle misure antidumping di cui trattasi, il che produceva la conseguenza che il livello di sostegno della domanda di riesame, anche se era rimasto largamente sopra la soglia del 25% menzionata all’articolo 5, paragrafo 4, del regolamento di base, era tuttavia sceso leggermente al di sotto di quella del 50% menzionata nella stessa disposizione, dal momento che l’unico produttore comunitario che continuava a sostenere tale domanda, cioè la Osram, rappresentava il 48% della produzione comunitaria totale, mentre gli altri tre produttori che vi si opponevano rappresentavano, unitamente, il restante 52%. |
32. |
Il Tribunale ha poi rilevato, al punto 84 della sentenza impugnata, di avere già giudicato che l’articolo 5, paragrafo 4, del regolamento di base non comportava alcun obbligo per la Commissione di porre termine ad un procedimento antidumping in corso qualora il livello di sostegno della denuncia fosse sceso al di sotto della soglia minima del 25% della produzione comunitaria, in quanto «tale articolo riguarda soltanto il grado di sostegno alla denuncia necessario affinché la Commissione sia in grado di intraprendere un procedimento». Esso ha precisato che l’articolo 9, paragrafo 1, del regolamento di base era servito da fondamento per la sentenza Interpipe Niko Tube e Interpipe NTRP/Consiglio (T‑249/06, EU:T:2009:62), sebbene tale sentenza fosse stata pronunciata in una causa in cui la denuncia non era stata oggetto di revoca, ma aveva, come asserito, visto scendere il suo livello di sostegno nel corso del procedimento. Secondo il Tribunale, «[t]ale soluzione è perfettamente logica, in quanto, se, in conformità a tale disposizione, la Commissione non è soggetta all’obbligo di chiudere la procedura in caso di revoca della denuncia, ciò vale, a maggior ragione, in caso di semplice diminuzione del grado di sostegno ad essa». |
33. |
Constatando, al punto 86 della sentenza impugnata, che gli articoli 5, paragrafo 4, e 9, paragrafo 1, del regolamento di base erano applicabili alle procedure di riesame in forza dell’articolo 11, paragrafo 5, di tale regolamento, il Tribunale ne ha desunto che le istituzioni dell’Unione erano legittimate a proseguire la procedura di riesame malgrado fosse possibile che la soglia del 50%, menzionata all’articolo 5, paragrafo 4, del regolamento di base, non fosse più raggiunta. |
34. |
Infine, il Tribunale ha rilevato, al punto 88 della sentenza impugnata, che, con l’interpretazione da esso fornita dell’articolo 9, paragrafo 1, del regolamento di base, il Consiglio non si era arrogato nessuna nuova competenza, in quanto esso «[aveva] deciso di mantenere le misure antidumping di cui trattasi per un periodo supplementare di un anno soltanto dopo aver stabilito, come gli incombeva, che sussisteva sempre un dumping, che la scadenza di tali misure poteva favorire la continuazione del dumping e del pregiudizio e che siffatto mantenimento era nell’interesse della Comunità». Il Tribunale ha aggiunto che tale interpretazione non aveva svuotato maggiormente di contenuto il requisito secondo cui l’esistenza di un pregiudizio per l’«industria comunitaria» doveva essere dimostrata perché potessero essere imposti dazi antidumping, poiché il Consiglio aveva correttamente definito l’industria comunitaria ai fini della determinazione del pregiudizio. |
35. |
Di conseguenza, il Tribunale ne ha concluso che nella specie non era possibile constatare alcuna violazione dell’articolo 9, paragrafo 1, del regolamento di base. |
36. |
In secondo luogo, il Tribunale ha esaminato la questione della definizione dell’industria comunitaria ai fini della determinazione del pregiudizio. |
37. |
Il Tribunale ha ricordato anzitutto, al punto 91 della sentenza impugnata, che ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 2, del regolamento di base una misura antidumping può essere mantenuta oltre il termine di cinque anni menzionato in tale disposizione soltanto se la sua scadenza favorirebbe la prosecuzione o la reiterazione del dumping e del pregiudizio, intendendo con il termine «pregiudizio», in applicazione dell’articolo 3, paragrafo 1, dello stesso regolamento, un pregiudizio notevole causato a un’industria comunitaria, una minaccia di pregiudizio materiale a danno di un’industria comunitaria o un grave ritardo nella creazione di tale industria. |
38. |
Esso ha poi esposto, al punto 92 della sentenza impugnata, che l’articolo 4, paragrafo 1, del regolamento di base definisce l’industria comunitaria vuoi come «il complesso dei produttori di prodotti simili nella Comunità», vuoi come «quelli tra di essi le cui produzioni, addizionate, costituiscono una proporzione maggioritaria, a norma dell’articolo 5, paragrafo 4, [di tale regolamento,] della produzione comunitaria totale di tali prodotti [simili]», e che le istituzioni dell’Unione dispongono di un ampio potere discrezionale con riferimento alla scelta tra i due termini di tale alternativa. |
39. |
Il Tribunale ha proseguito spiegando, al punto 93 della sentenza impugnata, le ragioni per le quali esso riteneva che l’industria comunitaria considerata allo scopo di stabilire l’entità del pregiudizio non dovesse essere necessariamente costituita dagli stessi produttori comunitari che compongono l’industria comunitaria di cui si è tenuto conto al fine di accertare se la denuncia iniziale o la domanda di riesame beneficiassero di un sostegno sufficiente in conformità all’articolo 5, paragrafo 4, del regolamento di base. A suo avviso, «da una parte, nel secondo caso di specie, l’industria comunitaria può, alla luce della formulazione dell’ultima disposizione in parola, comprendere soltanto i produttori comunitari che sostengono la denuncia o la domanda, mentre, nel primo caso di specie, essa può includere l’insieme dei produttori comunitari, indipendentemente dal fatto che essi abbiano o no fornito tale sostegno. D’altra parte, occorre tenere presente che la definizione dell’industria comunitaria ai fini della determinazione del pregiudizio è un esercizio che viene effettuato dalle istituzioni [dell’Unione] dopo l’avvio del procedimento». |
40. |
Al punto 94 della sentenza impugnata, il Tribunale ha constatato che i casi di specie considerati, esplicitamente o implicitamente, all’articolo 9, paragrafo 1, del regolamento di base presuppongono, per definizione, che la soglia del 50% prevista dall’articolo 5, paragrafo 4, di tale regolamento non venga più raggiunta. Da ciò esso ha desunto che «il rinvio effettuato [nell’articolo 4, paragrafo 1, del regolamento di base], all’articolo 5, paragrafo 4, di detto regolamento, in generale, per quanto riguarda l’espressione “proporzione maggioritaria (…) della produzione comunitaria totale” può essere inteso soltanto nel senso in cui si riferisce alla soglia minima del 25%, e non a quella del 50%». Secondo il Tribunale, «[s]iffatta soluzione si impone a maggior ragione in quanto il requisito secondo cui l’industria comunitaria deve costituire una proporzione maggioritaria della produzione comunitaria totale è diretto a garantire che le produzioni addizionate dei produttori inclusi in tale industria siano sufficientemente rappresentative. Orbene, tale ultima caratteristica è più funzione della quota di produzione di tali produttori nella produzione comunitaria totale che della posizione adottata da produttori che non sono inclusi nell’industria comunitaria in applicazione dell’articolo 5, paragrafo 4, del regolamento di base, alla luce della denuncia o della domanda di riesame». |
41. |
Infine, il Tribunale ha menzionato, al punto 95 della sentenza impugnata, che non si poteva esigere dalle istituzioni dell’Unione che, nell’ipotesi di cui al punto 94 di tale sentenza, esse definissero esclusivamente l’industria comunitaria avvalendosi del primo termine dell’alternativa prevista all’articolo 4, paragrafo 1, del regolamento di base, nonostante esse disponessero di un ampio margine discrezionale con riferimento alla scelta tra i due termini di tale alternativa. |
42. |
Il Tribunale ne ha concluso, al punto 96 della sentenza impugnata, che il Consiglio, decidendo di includere soltanto la Osram nella definizione di industria comunitaria ai fini della determinazione del pregiudizio, non aveva commesso alcun errore di diritto. |
IV – Sull’impugnazione
43. |
Le ricorrenti deducono due motivi a sostegno della loro impugnazione. |
44. |
Con il loro primo motivo, esse sono dell’avviso che il Tribunale abbia commesso un errore di diritto, ritenendo, attraverso un’interpretazione a fortiori dell’articolo 9, paragrafo 1, del regolamento di base, la quale eccede sia la lettera sia la struttura di tale disposizione, che la Commissione potesse proseguire la procedura non solo in caso di revoca della denuncia, bensì anche in caso di semplice diminuzione del grado di sostegno alla medesima. |
45. |
Con il loro secondo motivo, le ricorrenti sostengono che il Tribunale ha commesso un errore di diritto, ritenendo, per determinare il pregiudizio subito dall’industria comunitaria, che la nozione di «proporzione maggioritaria della produzione comunitaria totale», ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 4, del regolamento di base, dovesse essere intesa nel senso che essa rinviava alla soglia minima del 25% di tale produzione, senza tenere conto della soglia del 50% parimenti prevista da tale disposizione. |
A – Sulla legittimazione ad agire delle ricorrenti
1. Gli argomenti delle parti
46. |
Il Consiglio, la Osram e la Commissione deducono l’irricevibilità del ricorso di annullamento, adducendo che le ricorrenti non sarebbero individualmente interessate dal regolamento controverso. |
47. |
A sostegno di tale eccezione di irricevibilità, il Consiglio, il quale, senza sollevare formalmente un’eccezione, aveva già espresso dei dubbi, dinanzi al Tribunale, quanto alla legittimazione ad agire delle ricorrenti, fa valere che queste ultime non possono invocare la sentenza Timex/Consiglio e Commissione ( 15 ), in quanto esse non hanno sostenuto la domanda di riesame delle misure antidumping in vigore, e che le stesse non possono neanche avvalersi della giurisprudenza risultante dalla sentenza Nachi Europe ( 16 ), dal momento che i loro prezzi di vendita non sono stati utilizzati per calcolare il margine di dumping. Il Consiglio ritiene che la Philips Lighting non possa neanche invocare la dottrina scaturita dalla sentenza Extramet Industrie/Consiglio ( 17 ), nella misura in cui essa non si troverebbe in una situazione sufficientemente particolare da contraddistinguerla rispetto a qualsiasi altro operatore economico in conseguenza di talune qualità che le sarebbero peculiari. |
48. |
La Philips Lighting, la quale rammenta che il Tribunale ha deciso, per ragioni di economia processuale, di esaminare direttamente la fondatezza del ricorso, senza statuire preliminarmente sulla sua ricevibilità, ritiene che, in conformità degli articoli 173 e 174 del regolamento di procedura della Corte, la comparsa di risposta del Consiglio possa contenere unicamente argomenti relativi all’accoglimento o al rigetto dell’impugnazione, cosicché gli elementi di tale memoria relativi alla ricevibilità del ricorso dovrebbero essere esclusi dall’esame della Corte. Essa sostiene, ad abundantiam, di essere individualmente e direttamente interessata dal regolamento controverso, in quanto la stessa è il principale importatore di CFL-i nell’Unione nonché un importante produttore comunitario di tali prodotti. Essa aggiunge che tale regolamento riconosce l’impatto negativo dei dazi antidumping sulle sue attività. |
2. Valutazione
49. |
Propongo di ritornare in via preliminare sul sindacato giurisdizionale che la Corte, quale giudice dell’impugnazione, è in grado di esercitare sulla questione della ricevibilità del ricorso di annullamento, per poi esaminare, in maniera più specifica, la questione della legittimazione ad agire delle ricorrenti, dedicandosi anzitutto alla determinazione della disposizione applicabile ratione temporis e, quindi, alla questione se esse soddisfacessero i requisiti necessari per potere proporre un ricorso di annullamento. |
a) Il controllo della Corte sulla ricevibilità del ricorso di annullamento
50. |
La sentenza impugnata presenta la peculiarità di aver invertito l’ordine abituale di esame delle questioni, il quale impone di iniziare anzitutto con la ricevibilità di un ricorso, per poi esaminarne la fondatezza. Malgrado i dubbi espressi dal Consiglio quanto alla legittimazione ad agire delle ricorrenti, il Tribunale, «a fini di economia procedurale» ( 18 ), ha preferito respingere nel merito il ricorso di annullamento senza statuire sulla sua ricevibilità. |
51. |
Tale prassi abituale del Tribunale ( 19 ) si inserisce nel solco di una giurisprudenza della Corte risultante, in particolare, dalle sentenze Consiglio/Boehringer ( 20 ) e Francia/Commissione ( 21 ), richiamate dalla sentenza impugnata, e reiterata nella sentenza Cofradía de pescadores «San Pedro» de Bermeo e a./Consiglio ( 22 ). |
52. |
Ritorniamo un istante sulle soluzioni sancite da tali decisioni. |
53. |
Nella sentenza Consiglio/Boehringer (C‑23/00 P, EU:C:2002:118), la Corte, investita di un’impugnazione proposta dal Consiglio avverso la sentenza del Tribunale che non aveva esaminato l’eccezione di irricevibilità da esso sollevata per opporsi ad un ricorso di annullamento di una direttiva ( 23 ), prima di dichiarare l’impugnazione irricevibile sulla base del rilievo che essa non era diretta contro alcuna decisione, ha ritenuto che «[s]petta[sse] al Tribunale valutare, come [aveva] fatto, se una corretta amministrazione della giustizia giustificasse, nelle circostanze del caso di specie, il fatto di respingere nel merito il ricorso in tale causa senza statuire sull’eccezione di irricevibilità sollevata dal Consiglio» ( 24 ). |
54. |
Nella sua sentenza Francia/Commissione (C‑233/02, EU:C:2004:173), la Corte, investita di un ricorso di annullamento di una decisione concernente la conclusione di un accordo relativo a degli orientamenti, ha ritenuto che non occorresse statuire sull’ eccezione di irricevibilità concernente la constatazione dell’assenza di un atto impugnabile, dato che la domanda della Repubblica francese doveva essere respinta nel merito. |
55. |
Infine, nella sua sentenza Cofradía de pescadores «San Pedro» de Bermeo e a./Consiglio (C‑6/06 P, EU:C:2007:702), la Corte, riprendendo la formulazione della sentenza Consiglio/Boehringer (C‑23/00 P, EU:C:2002:118), ha respinto l’impugnazione incidentale del Consiglio, intesa all’annullamento parziale della sentenza del Tribunale che aveva respinto un ricorso per responsabilità extracontrattuale senza esaminare l’eccezione di irricevibilità sollevata da detta istituzione ( 25 ). |
56. |
A fini di coerenza giurisprudenziale, mi sembra necessario confrontare tali soluzioni con l’enunciazione, da parte della Corte, del principio secondo il quale l’irricevibilità di un ricorso di annullamento per difetto di legittimazione ad agire del ricorrente costituisce un motivo di ordine pubblico che può, e anzi deve, essere sollevato d’ufficio dal giudice dell’Unione ( 26 ). Secondo la formulazione impiegata nella sua sentenza Stadtwerke Schwäbisch Hall e a./Commissione ( 27 ), «la Corte, alla quale è stata presentata un’impugnazione ai sensi dell’articolo 56 del suo Statuto, è tenuta a pronunciarsi, anche d’ufficio, sul motivo di ordine pubblico relativo alla violazione della condizione posta dall’articolo 230, quarto comma, CE, secondo cui un ricorrente può chiedere l’annullamento di una decisione di cui non è il destinatario soltanto se quest’ultima lo riguarda direttamente e individualmente» ( 28 ). In altre decisioni, la Corte ha inoltre espressamente qualificato il motivo attinente alla irricevibilità del ricorso proposto da una persona fisica o giuridica avverso una decisione di cui non è destinataria come un «motivo di irricevibilità di ordine pubblico» che i giudici dell’Unione sono tenuti ad esaminare in qualsiasi momento, anche d’ufficio ( 29 ). Orbene, i motivi di irricevibilità di ordine pubblico non sono motivi come gli altri, ma possono essere messi sullo stesso piano dei motivi attinenti al merito. Come si evince sia dall’articolo 150 del regolamento di procedura della Corte sia dalla sua giurisprudenza, essi obbediscono, al contrario, ad un regime procedurale particolare caratterizzato, segnatamente, dal fatto che essi possono essere esaminati in qualsiasi fase del procedimento, anche d’ufficio. |
57. |
Queste due serie giurisprudenziali parallele non danno l’impressione di una coerenza perfetta in un sistema giurisdizionale ben costruito. Si pone infatti la questione di come giustificare che il giudice dell’Unione si imponga l’obbligo di rilevare d’ufficio, anche nell’ambito di un’impugnazione, l’eccezione di irricevibilità attinente al difetto di legittimazione a proporre ricorso di annullamento, e ammetta, al contempo, di potersi esimere dallo statuire su una siffatta eccezione allorché essa viene dedotta dinanzi al medesimo da una parte. Ci si chiede se l’obbligo che incombe segnatamente al giudice dell’impugnazione di verificare sistematicamente la legittimazione ad agire sia compatibile con la facoltà di non procedere a tale verifica qualora il ricorso possa essere respinto nel merito. |
58. |
Muoverò sostanzialmente tre critiche nei confronti della giurisprudenza che autorizza il giudice dell’Unione ad esimersi dall’esaminare l’eccezione di irricevibilità attinente al difetto di legittimazione ad agire qualora risulti che il ricorso può essere rigettato nel merito. |
59. |
In primo luogo, la soluzione non mi sembra compatibile con il riconoscimento della natura di ordine pubblico dell’eccezione di irricevibilità relativa al difetto di legittimazione ad agire. Qualora un’eccezione di irricevibilità rivesta carattere di ordine pubblico, il giudice dell’Unione, se «può» statuire in qualsiasi momento e non necessariamente in limine litis, «deve», cionondimeno, statuire nella sua decisione. In altri termini, la facoltà di cui dispone riguarda esclusivamente la scelta del momento in cui esso intende adempiere al proprio obbligo di verificare d’ufficio la ricevibilità della domanda. |
60. |
In secondo luogo, ritengo che tale giurisprudenza non sia conforme alla natura e al regime giuridico di tale eccezione di irricevibilità. Se i requisiti di ricevibilità del ricorso di annullamento proposto da una persona fisica o giuridica non sono soddisfatti, la Corte, tenuto conto dei limiti imposti ai poteri di cui dispone per statuire su ricorsi del genere, non può più esaminare i motivi attinenti al merito sui quali esso si fonda. In conformità della terminologia impiegata sia all’articolo 230, secondo e terzo comma, CE sia all’articolo 263, secondo e terzo comma, TFUE, essa non è più «competente» per conoscere del medesimo. L’irricevibilità del ricorso di annullamento per difetto di legittimazione ad agire del ricorrente costituisce, di conseguenza, un ostacolo al proseguimento dell’esame della fondatezza di tale ricorso. |
61. |
In terzo luogo, dubito che sia del tutto conforme ad una buona amministrazione della giustizia e ad una buona politica giurisprudenziale rinviare ad un momento successivo la risposta a questioni essenziali che rischiano di porsi in altre controversie. Tale prassi, improntata ad un pragmatismo che ha qualche difficoltà a conciliarsi con l’applicazione rigorosa della norma di diritto, mi sembra a maggior ragione criticabile in quanto non è limitata ad ipotesi nelle quali il ricorso è manifestamente privo di fondamento, mentre la sua irricevibilità non emerge con la stessa evidenza. Al contrario, essa ha ricevuto un’applicazione generalizzata e senza limiti, compresi i casi in cui la valutazione della fondatezza del ricorso sollevava una difficoltà seria. |
62. |
Il presente ricorso offre un’occasione per confermare oppure, al contrario, abbandonare tale giurisprudenza, il cui riesame non è inutile, alla luce del fatto che le sentenze della Corte che si sono pronunciate su tale aspetto sono anteriori a quelle che, da un lato, obbligano il giudice dell’Unione a pronunciarsi, all’occorrenza d’ufficio, sul motivo di irricevibilità del ricorso presentato da una persona fisica o giuridica avverso una decisione della quale essa non è destinataria e, dall’altro, qualificano tale motivo come «motivo di irricevibilità di ordine pubblico». |
63. |
Possono essere prospettate tre soluzioni. |
64. |
Anzitutto, sebbene non ritenga che tale soluzione sia giustificata, non posso escludere che la Corte pensi di confermare la sua giurisprudenza; ciò la porterebbe ad esaminare direttamente i motivi dell’impugnazione senza soffermarsi, in un primo tempo, sulla questione della ricevibilità del ricorso di annullamento esperito dalle ricorrenti, che essa dovrebbe risolvere solo qualora decidesse di non seguire la soluzione del rigetto dell’impugnazione che le suggerirò di adottare nel merito. |
65. |
Una seconda via consisterebbe, come propongo, nell’abbandonare la giurisprudenza o, perlomeno, nel subordinarla all’accertamento del carattere manifestamente privo di fondamento del ricorso di annullamento; ciò porterebbe la Corte, nella presente causa, ad esaminare in via preliminare la ricevibilità dello stesso. |
66. |
Infine, la terza via consisterebbe, senza statuire sui meriti di tale giurisprudenza, nell’astenersi dall’applicarla nella presente causa, posto che essa conferisce al giudice dell’Unione una semplice facoltà di esimersi dallo statuire sulla ricevibilità del ricorso allorché esso ha intenzione di respingerlo, senza imporgliene l’obbligo. |
67. |
Per le ragioni illustrate in precedenza, esprimo la mia preferenza per la seconda via, la quale porta ad interrogarsi anzitutto sulla ricevibilità del ricorso di annullamento e, a tale fine, a determinare le disposizioni applicabili nel tempo. |
b) La determinazione delle disposizioni applicabili ratione temporis
68. |
Prima di verificare in concreto se le ricorrenti erano legittimate a perseguire l’annullamento del regolamento controverso, si pone ancora una questione preliminare, ossia quale disposizione sia applicabile ratione temporis, se l’articolo 230, quarto comma, CE o l’articolo 263, quarto comma, TFUE. |
69. |
La questione riveste, nell’ambito dell’esame della presente impugnazione, una portata pratica inversamente proporzionale al suo interesse teorico. |
70. |
La risposta a tale questione è infatti poco determinante per l’esito della controversia, in quanto ritengo, per le ragioni che illustrerò di seguito, che le ricorrenti siano interessate direttamente ed individualmente dal regolamento controverso. |
71. |
Essa presenta, per contro, un’importanza teorica certa, in quanto il Trattato di Lisbona, lungi dal limitarsi a riprodurre in modo identico i requisiti di ricevibilità dei ricorsi di annullamento di cui possono avvalersi le persone fisiche o giuridiche, li ha al contrario resi meno rigorosi, tramite l’aggiunta, all’articolo 263, quarto comma, TFUE, di un’ultima locuzione che consente di proporre il ricorso di annullamento avverso gli atti regolamentari che non comportano alcuna misura d’esecuzione e che riguardano direttamente un ricorrente. Di conseguenza, una persona fisica o giuridica che non è legittimata ad agire nella vigenza dell’articolo 230 CE, potrebbe, in teoria, vedersi riconoscere la legittimazione ad agire sul fondamento dell’articolo 263 TFUE. |
72. |
Prima di illustrare la mia posizione sull’applicabilità ratione temporis di quest’ultima disposizione, occorre ricordare anzitutto lo stato attuale della giurisprudenza elaborata dal Tribunale in relazione a tale questione. |
73. |
Il Tribunale ha risolto la questione se l’articolo 263, quarto comma, TFUE sia applicabile a procedimenti giurisdizionali in corso alla data del 1o dicembre 2009 nelle sue ordinanze Norilsk Nickel Harjavalta e Umicore/Commissione ( 30 ), nonché Etimine e Etiproducts/Commissione ( 31 ). |
74. |
In queste due decisioni, il Tribunale, dopo aver rammentato che il Trattato di Lisbona non prevede alcuna disposizione transitoria specifica, rileva che «da una costante giurisprudenza risulta che, da un lato, conformemente al detto “tempus regit actum” (...), la questione della ricevibilità di un ricorso va risolta in base alle norme vigenti all’epoca in cui esso è stato proposto (...) e, dall’altro, le condizioni di ricevibilità del ricorso devono essere valutate riferendosi al momento in cui esso viene proposto, ossia quello del deposito dell’atto introduttivo (...), che può essere regolarizzato solo prima della scadenza del termine per ricorrere» ( 32 ). |
75. |
Il Tribunale aggiunge che la «soluzione contraria comporterebbe un rischio di arbitrarietà nell’amministrazione della giustizia, giacché in tal caso la ricevibilità del ricorso dipenderebbe dalla data, peraltro aleatoria, della pronuncia della decisione del Tribunale che conclude il procedimento» ( 33 ) e che, anche ammettendo che, nella specie, l’articolo 263, quarto comma, TFUE, in particolare l’ultima parte del periodo, potesse conferire alle ricorrenti la legittimazione ad agire di cui erano prive in vigenza dell’articolo 230, quarto comma, CE, tale legittimazione non potrebbe essere presa in considerazione per valutare la ricevibilità del presente ricorso, dato che il termine di ricorso, ai sensi sia dell’articolo 230, quinto comma, CE sia dell’articolo 263, sesto comma, TFUE, era già scaduto il 1o dicembre 2009, data in cui è entrato in vigore l’articolo 263 TFUE ( 34 ). |
76. |
Il Tribunale osserva, infine, che «[t]ale valutazione non è inficiata dalla tesi secondo cui l’art[icolo] 263 TFUE farebbe parte delle norme di procedura a proposito delle quali la giurisprudenza ha riconosciuto che, a differenza delle norme di merito o di diritto sostanziale, esse sono generalmente ritenute applicabili a tutte le controversie pendenti all’atto della loro entrata in vigore [in quanto], anche ritenendo che le questioni di competenza giurisdizionale rientrino nell’ambito delle norme di procedura (…), è giocoforza constatare che, (…) per individuare le disposizioni applicabili sulla cui base valutare la ricevibilità di un ricorso di annullamento proposto contro un atto dell’Unione occorre applicare la massima “tempus regit actum”» ( 35 ). |
77. |
Si pone la questione se confermare o confutare questa giurisprudenza. |
78. |
Potrei essere spontaneamente tentato di proporre la sua conferma, in quanto le giustificazioni addotte dal Tribunale a sostegno della soluzione accolta apparivano, a prima vista, convincenti. È logico, infatti, collocarsi alla data della proposizione del ricorso per valutare la legittimazione ad agire di un ricorrente dinanzi ai giudici dell’Unione. È legittimo, inoltre, volere evitare il rischio di generare una disparità nell’esame del ricorso, a seconda della rapidità del giudice dell’Unione. |
79. |
Tuttavia, scorgo, in senso opposto, almeno tre argomenti che mi sembrano avere una portata superiore. |
80. |
Una prima ragione può essere tratta dalle regole tradizionali che governano l’applicazione nel tempo del diritto dell’Unione. L’analisi secondo la quale la massima «tempus regit actum» dovrebbe prevalere sull’applicazione immediata delle leggi processuali mi sembra poggiare, infatti, su una concezione eccessivamente ipertrofica di tale massima, la quale non è conforme, a mio avviso, ai principi applicabili in materia. |
81. |
La risoluzione dei conflitti di legge nel tempo è governata dalla distinzione tradizionale fra le norme sostanziali e le norme di procedura. |
82. |
Le norme di diritto sostanziale sono solitamente interpretate nel senso che si applicano immediatamente, il che significa che esse sono intese a disciplinare le situazioni «che non si sono ancora verificate», nonché gli effetti sia «presenti» ( 36 ) che «futuri» ( 37 ) delle situazioni «che si sono già verificate», ma senza essersi interamente costituite, sotto la vigenza della vecchia norma. Per garantire l’osservanza dei principi della certezza del diritto e del legittimo affidamento, in forza dei quali la normativa dell’Unione dev’essere chiara e prevedibile per gli amministrati, tali normative non possono, per contro, essere applicate retroattivamente, e ciò a prescindere dalle conseguenze favorevoli o sfavorevoli che una siffatta applicazione potrebbe avere per gli interessati, cosicché le nuove norme sono applicabili alle situazioni «createsi» anteriormente alla loro entrata in vigore soltanto qualora dalla lettera, dallo scopo o dallo spirito di tali norme risulti chiaramente che dev’essere loro attribuita tale efficacia ( 38 ). |
83. |
Le norme di procedura obbediscono ad un regime diverso, caratterizzato da un’applicazione ancora più rigorosa del principio dell’effetto immediato delle norme nuove. In tal senso, secondo una giurisprudenza costante, le norme procedurali devono essere applicate «in via generale» a tutte le controversie pendenti nel momento in cui esse entrano in vigore ( 39 ). A tal riguardo, la Corte ha fornito due chiarimenti importanti. Essa ha statuito, anzitutto, che la questione della competenza giurisdizionale rientrava nella materia delle norme di procedura ( 40 ). La stessa ha poi escluso l’applicazione della distinzione fra le norme di diritto sostanziale e le norme di procedura allorché queste ultime, contenute in una normativa dell’Unione, formano un tutt’uno inscindibile con le norme sostanziali e non possono essere considerate isolatamente in ordine alla loro efficacia nel tempo ( 41 ). |
84. |
Occorre rilevare che la giurisprudenza applica in maniera estremamente ampia tale principio, senza distinguere fra gli atti procedurali anteriori o successivi alla legge nuova o fra le leggi che disciplinano l’attività delle parti e quelle che, come le leggi sulla competenza, disciplinano l’attività del giudice ( 42 ). |
85. |
Orbene, le disposizioni dell’articolo 263 TFUE devono essere considerate di natura procedurale, in quanto individuano le persone legittimate a proporre un ricorso di annullamento, sebbene esse fissino requisiti sostanziali e non meramente formali. Il principio dell’effetto immediato delle leggi processuali implica, pertanto, la loro applicazione ai procedimenti in corso al momento della loro entrata in vigore. |
86. |
Anche qualora si voglia ritenere che il principio dell’effetto immediato della norma nuova non si spinga fino a consentire l’applicazione di tale regola ad un atto di procedura, nella specie ad un ricorso di annullamento, anteriore alla sua entrata in vigore, occorre osservare che le disposizioni dell’articolo 263 TFUE presentano, oltre all’aspetto generale di legge sul «procedimento», nella misura in cui esso vertono sulla legittimazione ad agire per l’annullamento, l’aspetto peculiare di legge sulla «competenza», in quanto esse sanciscono il potere del giudice dell’Unione di statuire sui ricorsi di annullamento proposti da persone fisiche o giuridiche. |
87. |
A tal riguardo, come sottolineato in precedenza, la formulazione dell’articolo 263, secondo comma, TFUE, il quale enuncia le condizioni alle quali la Corte «è competente a pronunciarsi sui ricorsi» ( 43 ) e al quale rinvia il quarto comma di tale articolo, mi sembra significativa. Orbene, sotto questo profilo, la massima «tempus regit actum» non può giustificare la disapplicazione della legge nuova, in quanto, fintantoché la controversia non è stata risolta con sentenza, non sussiste un atto di procedura compiuto, per quanto attiene alla legge sulla competenza, bensì una situazione in corso che deve essere disciplinata dalla nuova legge sulla competenza. Pertanto, divenuta competente a partire dal 1o dicembre 2009 a statuire sui ricorsi di annullamento proposti da persone fisiche o giuridiche avverso un atto regolamentare che le riguarda direttamente e che non comporta alcuna misura di esecuzione, la Corte deve poter statuire, a partire da tale data, su siffatti ricorsi, inclusi quelli dinanzi ad essa pendenti. Aggiungo che, anche se rientra in un contesto procedurale diverso, la sentenza Weryński, ( 44 ) che ha applicato, ad una domanda pregiudiziale di interpretazione presentata prima dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, le nuove norme che hanno superato la precedente limitazione del diritto di ricorso di cui all’articolo 68, paragrafo 1, CE ( 45 ), costituisce una esemplificazione della propensione della Corte ad applicare immediatamente le nuove disposizioni sulla sua competenza. |
88. |
Una seconda ragione, a mio avviso imperativa, depone a favore dell’applicazione dell’articolo 263 TFUE ai procedimenti in corso. Le modalità di applicazione nel tempo di tale disposizione devono essere determinate alla luce dell’obiettivo di detta disposizione, consistente nel contribuire ad assicurare ai singoli i rimedi giurisdizionali necessari a garantire loro una tutela giurisdizionale effettiva, evitando, come ha rammentato la Corte, che essi siano costretti a violare la legge per poter accedere al giudice ( 46 ). Nella misura in cui il riconoscimento del diritto di ciascun singolo di contestare la legittimità di ogni atto che incide sulla sua situazione giuridica fa parte del requisito di tutela giurisdizionale effettiva, ribadito all’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, e costituisce, pertanto, uno dei fondamenti di un’Unione fondata sui valori dello Stato di diritto, incombe al giudice dell’Unione, a mio avviso, far cessare immediatamente una situazione che potrebbe sfociare in una limitazione del diritto fondamentale che è il diritto di agire in giudizio e, a tal fine, applicare ai procedimenti in corso la norma nuova. |
89. |
Una terza ragione può essere ricavata dal fatto che né il principio della certezza del diritto né quello del legittimo affidamento ostano all’applicazione dell’articolo 263 TFUE a procedimenti in corso al momento della sua entrata in vigore. Occorre rilevare, a tal riguardo, che l’applicazione della disposizione nuova a procedimenti in corso, la quale è intesa a colmare una lacuna nel sistema di tutela giurisdizionale dell’Unione, non osta alla certezza del diritto. Il contenzioso concernente l’annullamento degli atti delle istituzioni dell’Unione attuato dagli articoli 263 TFUE e 264 TFUE è un contenzioso oggettivo, diretto principalmente a ripristinare la legalità. L’applicazione immediata ai procedimenti in corso di una norma che attenua i requisiti di ricevibilità del ricorso di annullamento non avvantaggia i diritti soggettivi di una parte a scapito dell’altra, come potrebbe avvenire nel caso di un’applicazione retroattiva di una disposizione di diritto sostanziale. Essa non incide neppure sul legittimo affidamento dei soggetti di diritto, dei quali essa rafforza, al contrario, la tutela, facilitando il loro accesso al giudice dell’Unione. |
90. |
Aggiungerò che la circostanza che l’interpretazione restrittiva data dalla Corte alla nozione di atto regolamentare ( 47 ) e, soprattutto, alla condizione attinente all’assenza di misure di esecuzione ( 48 ) abbia limitato la portata dell’alleggerimento delle condizioni di accesso diretto al giudice dell’Unione, non costituisce un argomento che depone a favore della soluzione opposta, dal momento che nulla giustifica che la perdita di contenuto di tale disposizione sotto il profilo sostanziale si accompagni ad una perdita sotto il profilo temporale. |
91. |
Per questi motivi, propongo alla Corte di dichiarare l’applicabilità dell’articolo 263 TFUE al presente ricorso di annullamento, del quale è dunque necessario esaminare la ricevibilità alla luce di tale disposizione. |
c) La legittimazione ad agire delle ricorrenti
92. |
L’articolo 263, quarto comma, TFUE prevede due fattispecie nelle quali una persona fisica o giuridica può proporre un ricorso avverso una decisione della quale non è destinataria. Da un lato, tale ricorso può essere proposto se tale decisione la riguarda direttamente ed individualmente. Dall’altro, tale persona può proporre un ricorso contro un atto regolamentare che non comporti misure di esecuzione se esso la riguarda direttamente. |
93. |
Occorre esaminare, anzitutto, la ricevibilità del ricorso con riferimento alla prima ipotesi. Poiché il requisito attinente all’incidenza diretta non è contestato, occorre verificare subito se sia soddisfatto il requisito attinente all’incidenza individuale delle ricorrenti. |
94. |
Si evince da una giurisprudenza costante, scaturita dalla sentenza Plaumann/Commissione ( 49 ), che chi non sia destinatario di una decisione può sostenere che questa lo riguarda individualmente soltanto qualora tale decisione lo tocchi a causa di determinate qualità personali, ovvero di particolari circostanze atte a distinguerlo dalla generalità, e quindi lo identifichi alla stessa stregua dei destinatari ( 50 ). |
95. |
Per quanto attiene, più in particolare, alle decisioni in materia di misure antidumping, la Corte ha avuto più volte l’occasione di dichiarare che i regolamenti che istituiscono un dazio antidumping, pur avendo carattere normativo, in quanto sono applicabili a tutti gli operatori economici interessati, possono rivestire anche carattere individuale, nella misura in cui essi possono riguardare direttamente ed individualmente taluni di questi operatori ( 51 ), i quali sono pertanto legittimati a proporre un ricorso di annullamento. Sancendo dunque la teoria della natura «ibrida» di tali atti, la giurisprudenza si è mostrata, di norma, relativamente favorevole al riconoscimento della legittimazione ad agire degli operatori interessati. |
96. |
Tale evoluzione si manifesta, a gradi diversi, in relazione a tutti gli operatori interessati, a prescindere da se si tratti di produttori ed esportatori, di importatori, di determinati fornitori o di produttori comunitari. |
97. |
In primo luogo, tenendo conto del fatto che i dazi antidumping sono istituiti in funzione di accertamenti effettuati mediante indagini sui prezzi di produzione e sui prezzi d’esportazione di determinate imprese, la Corte ha ritenuto che i regolamenti che istituiscono un dazio antidumping siano idonei a riguardare direttamente ed individualmente quelle «imprese produttrici ed esportatrici» alle quali vengono attribuite le pratiche di dumping, avvalendosi dei dati derivanti dalla loro attività commerciale, le quali possono così dimostrare di essere state individuate negli atti della Commissione e del Consiglio o prese in considerazione nelle indagini preparatorie ( 52 ). |
98. |
In secondo luogo, la Corte ha parimenti statuito che sono individualmente interessati dagli accertamenti relativi all’esistenza di una pratica di dumping quegli «importatori» associati con esportatori di paesi terzi i cui prodotti sono soggetti a dazi antidumping, allorché il prezzo all’esportazione ( 53 ) o il dazio antidumping stesso ( 54 ) sono stati calcolati a partire dai prezzi di rivendita delle merci di cui trattasi praticati sul mercato dell’Unione da tali importatori. Per contro, la legittimazione ad agire è stata negata ad un importatore indipendente stabilito nell’Unione, che non era preso in considerazione negli atti della Commissione o del Consiglio e che era interessato dal regolamento che istituiva dazi antidumping solo in quanto rientrava oggettivamente nell’ambito di applicazione del medesimo ( 55 ). Un’eccezione a detta eccezione è stata apportata dalla sentenza Extramet Industrie/Consiglio ( 56 ), che ha ammesso la legittimazione ad agire di un importatore indipendente che aveva provato l’esistenza di un insieme di elementi costitutivi di una situazione particolare che lo caratterizzavano, riguardo alla misura di cui trattasi, rispetto ad ogni altro operatore economico ( 57 ). |
99. |
In terzo luogo, la giurisprudenza ha riconosciuto la legittimazione ad agire a coloro fra gli operatori economici – come un fabbricante di prodotti assemblati che fornisce, con il proprio marchio, prodotti fabbricati da un produttore – i quali, in numero ristretto e individuati dalle istituzioni, presentano, per quanto attiene ai loro rapporti commerciali con il produttore dei prodotti di cui trattasi, delle peculiarità delle quali è stato tenuto conto nell’ambito della costruzione del valore normale e del calcolo del margine di dumping ponderato sulla base del quale il dazio antidumping è stato fissato ( 58 ). |
100. |
In quarto luogo, il giudice dell’Unione ha ritenuto sussistente la legittimazione ad agire di un «produttore comunitario» giacché il regolamento che istituiva un dazio antidumping era basato sulla situazione individuale di tale produttore, principale fabbricante del prodotto di cui trattasi nell’Unione. Per pervenire a tale constatazione, la Corte ha considerato che le censure formulate da detto produttore erano all’origine della denuncia che aveva fatto avviare l’inchiesta, che questi aveva presentato osservazioni nel corso di tale procedimento, il cui svolgimento era stato ampiamente determinato da dette osservazioni, e che il dazio antidumping era stato stabilito tenendo conto delle conseguenze che il dumping accertato aveva causato per il medesimo ( 59 ). |
101. |
Secondo una terminologia mutuata dal diritto penale, potrei affermare che la giurisprudenza ha alla fine riconosciuto la legittimazione ad agire sia in capo agli autori delle pratiche di dumping e a taluni dei loro complici sia alle loro vittime, tuttavia a condizioni variabili, che rendono difficile la determinazione dei criteri applicati. Ad eccezione degli importatori e di taluni fornitori, in relazione ai quali è stato elaborato un criterio, contestabile ( 60 ), che poggia sulla considerazione dei loro dati economici in sede di determinazione degli elementi che servono per calcolare il dazio antidumping, il criterio principale poggia sulla partecipazione del ricorrente al procedimento di adozione dell’atto. |
102. |
A mio avviso, l’applicazione di tale criterio conduce a riconoscere, nella specie, che il regolamento controverso interessa le ricorrenti, a causa di determinate qualità che sono loro peculiari. Inoltre, esse possono far valere una situazione di fatto che le contraddistingue rispetto a qualsiasi altro soggetto e, quindi, le identifica alla stessa stregua del destinatario. |
103. |
In primo luogo, la Philips Lighting non è interessata dal regolamento controverso soltanto nella sua qualità sostanziale di produttore comunitario vittima delle pratiche di dumping, che ricadono oggettivamente nell’ambito di applicazione del medesimo. Infatti, essa dispone parimenti di una qualità processuale particolare, essendo pacifico il fatto che, ai punti 13, lettera g), da 47 a 49, 98 e 99 della motivazione del regolamento controverso, viene richiamato questo produttore, il quale è stato individuato come «produttore comunitario», e che esso ha cooperato all’inchiesta. Inoltre, nell’ambito dell’esame effettuato nel corso dell’inchiesta alla luce dell’articolo 5, paragrafo 4, del regolamento di base, la Philips Lightning è stata menzionata nella sua qualità di «oppositore» alla domanda di riesame. Essa può dunque far valere non solo la sua partecipazione al procedimento preliminare all’adozione delle misure antidumping, bensì anche la circostanza che la sua qualità di oppositore alla domanda di riesame è stata presa in considerazione per determinare il grado di sostegno a tale domanda. Immaginiamo che detta domanda sia stata sostenuta, fin dall’inizio, solo da una percentuale di produttori comunitari inferiore alla soglia del 50% richiesta dall’articolo 5, paragrafo 4, del regolamento di base, e che la Commissione abbia cionondimeno deciso di avviare un’inchiesta sulla base di tale denuncia, senza disporre peraltro di sufficienti elementi di prova che le consentissero, ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 6, di tale regolamento, di aprire d’ufficio un’inchiesta. Si pone la questione se i produttori comunitari che hanno cooperato all’inchiesta e manifestato la loro opposizione possano vedersi negare la possibilità di denunciare la violazione del diritto dell’Unione con il pretesto di non essere interessate individualmente dal regolamento adottato al termine di tale procedimento svoltosi in maniera irregolare. A mio avviso, lo status specifico riconosciuto in tal senso alla Philips Lighting nel procedimento ha operato un’identificazione della medesima alla stregua di un destinatario. |
104. |
In secondo luogo, il regolamento controverso prende in considerazione la situazione di fatto particolare che contraddistingue le ricorrenti rispetto agli altri operatori economici interessati. Oltre al fatto che la loro situazione economica specifica ha costituito oggetto di un esame i cui risultati dettagliati figurano nell’allegato del regolamento controverso, il Consiglio, analizzando l’interesse al mantenimento delle misure antidumping per i produttori comunitari diversi dalla Osram, ha rilevato, al punto 98 della motivazione del regolamento controverso, che l’esistenza dei dazi aveva avuto un’incidenza negativa sull’attività complessiva dei fabbricanti comunitari, date le loro attività di importazione e che le misure, oltre a essersi tradotte in costi derivanti dai dazi antidumping sulle importazioni, avevano impedito a tali fabbricanti un’ottimizzazione del loro mix produttivo, del loro portafoglio vendite e quindi della loro redditività, condizionando al contempo gli investimenti, la produzione, la R&S e altre decisioni strategiche. Inoltre, al punto 99 della motivazione del regolamento controverso, il Consiglio ha concluso che, tenuto conto della strategia di approvvigionamento della Philips Lighting, un proseguimento delle misure non era nell’interesse di detto produttore. |
105. |
Si deve pertanto ritenere che il ricorso sia ricevibile nella misura in cui è stato proposto dalle ricorrenti, essendo queste ultime state identificate, nella loro duplice qualità di produttori comunitari e di importatori, negli atti del Consiglio e nella Commissione relativi ai dazi antidumping ed essendo state coinvolte nelle inchieste preliminari e menzionate in qualità di oppositori nel regolamento controverso. |
106. |
Mi sembra, peraltro, legittimo che produttori comunitari che si trovano nella situazione di dette ricorrenti possano contestare, in particolare, il fatto che la loro situazione non sia stata presa in considerazione ai fini della determinazione del pregiudizio causato all’industria comunitaria, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, del regolamento di base. |
107. |
Nella misura in cui ritengo che la Philips Poland sia interessata direttamente e individualmente dal regolamento controverso, non è necessario esaminare la ricevibilità del ricorso di annullamento con riferimento alla seconda ipotesi prevista dall’articolo 263, quarto comma, TFUE, secondo la quale una persona fisica o giuridica può proporre un ricorso contro un atto regolamentare che non comporti misure di esecuzione, a condizione che tale atto la riguardi direttamente. |
B – Sulla fondatezza dell’impugnazione
1. Sul primo motivo, attinente ad un’interpretazione erronea dell’articolo 9, paragrafo 1, del regolamento di base
a) Gli argomenti delle parti
108. |
Le ricorrenti sostengono, in sostanza, che il Tribunale, riconoscendo che la Commissione poteva proseguire l’inchiesta nell’ipotesi di abbassamento del livello di sostegno alla denuncia e non di revoca di quest’ultima, si è fondato su un’interpretazione erronea dell’articolo 9, paragrafo 1, del regolamento di base. |
109. |
Esse fanno valere che tale interpretazione estensiva non può essere validamente fondata sulla sentenza Interpipe Niko Tube e Interpipe NTRP/Consiglio ( 61 ), richiamata dal Tribunale al punto 84 della sentenza impugnata, alla luce delle differenze fra i contesti di fatto che caratterizzano la presente causa e quella sfociata in tale sentenza; che essa non trova fondamento neanche nel dettato o nella struttura dell’articolo 9, paragrafo 1, del regolamento di base, e che la stessa non è neppure suffragata dalla prassi attuata dalle istituzioni dell’Unione nel corso degli ultimi 25 anni. |
110. |
Ricordando che la domanda di apertura della procedura di riesame era stata inizialmente sostenuta dalla Osram e dalla GE Hungary, le quali rappresentavano più del 50% della produzione comunitaria totale di CFL-i, prima che la GE Hungary informasse la Commissione, una volta aperta l’inchiesta, che la stessa si opponeva alle misure antidumping esistenti, il Consiglio, sostenuto dalla Osram e dalla Commissione, fa valere che, se il regolamento di base contiene disposizioni chiare solo in relazione ai requisiti in termini di legittimazione ad agire al momento dell’apertura dell’inchiesta, ciò si spiega con il fatto che la legittimazione ad agire rileva solo in tale fase, mentre il grado di sostegno durante lo svolgimento dell’inchiesta costituisce una questione diversa, che deve essere ricollocata nel contesto delle informazioni che l’industria comunitaria deve comunicare alla Commissione per consentire, segnatamente, di pronunciarsi sul pregiudizio eventualmente subito. |
111. |
Secondo il Consiglio, il ragionamento a fortiori applicato dal Tribunale è coerente, logico, e conforme ai metodi esegetici consueti, ed è supportato dalla giurisprudenza anteriore, risultante sia dalla sentenza Interpipe Niko Tube e Interpipe NTRP/Consiglio (T‑249/06, EU:T:2009:62) sia dalla sentenza Gem-Year e Jinn-Well Auto-Parts (Zhejiang)/Consiglio (T‑172/09, EU:T:2012:532), dalle quali si evincerebbe che i requisiti attinenti alla legittimazione ad agire enunciati all’articolo 5, paragrafo 4, del regolamento di base devono essere soddisfatti solo al momento dell’apertura di un’inchiesta, ma non necessariamente nel corso della medesima. Per tale istituzione, le ricorrenti confondono la questione della nozione di industria comunitaria ai fini della verifica della legittimazione ad agire e quella della definizione di tale industria comunitaria ai fini della determinazione del pregiudizio. |
112. |
Il Consiglio aggiunge che, anche ammesso che sia emerso che le istituzioni dell’Unione – le quali dispongono di un ampio potere discrezionale per decidere se occorra chiudere una procedura a seguito della revoca della denuncia – nella loro precedente prassi, a seguito di una siffatta revoca, hanno optato più frequentemente per la chiusura di una procedura che per la sua prosecuzione, non è possibile dedurne che esse avrebbero dovuto chiudere anche l’inchiesta sfociata nel regolamento controverso in quanto il sostegno dell’industria comunitaria all’inchiesta era diminuito. |
b) Valutazione
113. |
Il primo motivo porta ad interrogarsi sulla pertinenza del ragionamento a fortiori elaborato dal Tribunale sulla base dell’articolo 9, paragrafo 1, del regolamento di base, allorché esso afferma, ai punti 85 e 86 della sentenza impugnata, che, se la Commissione, in conformità di tale disposizione, non è soggetta ad un obbligo di chiudere la procedura di inchiesta o di riesame in caso di revoca della denuncia o della domanda di riesame, ciò deve valere, a maggior ragione, in caso di semplice diminuzione del grado di sostegno all’una o all’altra. |
114. |
Diversi argomenti mi portano a suggerire alla Corte di adottare la soluzione accolta dal Tribunale. |
115. |
Il primo è di ordine letterale. Da un lato, si evince dai termini stessi dell’articolo 5, paragrafo 4, del regolamento di base che il requisito attinente alla rappresentatività della denuncia che deve essere depositata dall’industria comunitaria o in suo nome condiziona unicamente l’«apertura dell’inchiesta» e non la «prosecuzione della procedura» una volta che essa è stata aperta. Dall’altro, come rilevato giustamente dal Tribunale ai punti 139 della sentenza Interpipe Niko Tube e Interpipe NTRP/Consiglio (T‑249/06, EU:T:2009:62) e 42 della sentenza Gem-Year e Jinn-Well Auto-Parts (Zhejiang)/Consiglio (T‑172/09, EU:T:2012:532), nonché al punto 84 della sentenza impugnata, il regolamento di base non comporta alcun obbligo per la Commissione di porre termine ad un procedimento antidumping in corso qualora il livello di sostegno della denuncia sia sceso al di sotto della soglia minima del 25% della produzione comunitaria. Né tantomeno esso contiene una disposizione che obbligherebbe la Commissione a chiudere il procedimento qualora il livello della denuncia scenda al di sotto della soglia del 50% della parte della produzione comunitaria che ha espresso un parere sulla denuncia. La tesi secondo la quale il livello di rappresentatività richiesto dall’articolo 5, paragrafo 4, del regolamento di base dovrebbe persistere per tutta la durata dell’inchiesta ovvero del procedimento antidumping non trova pertanto alcun supporto testuale in tale regolamento, il quale, al contrario, impone manifestamente un siffatto requisito unicamente al momento del deposito della denuncia, e soltanto per l’apertura dell’inchiesta. |
116. |
Il secondo argomento poggia su un’interpretazione contestuale e teleologica dell’articolo 9, paragrafo 1, del regolamento di base. Tale disposizione, la quale conferisce alle istituzioni dell’Unione la facoltà di proseguire la procedura qualora la denuncia venga revocata successivamente all’apertura dell’inchiesta ( 62 ), deve essere messa in relazione, come fatto giustamente valere dal Consiglio e dalla Commissione, con l’articolo 5, paragrafo 6, di detto regolamento, il quale attribuisce alla Commissione un potere di iniziativa che le consente, in circostanze particolari, di aprire d’ufficio un’inchiesta se essa è in possesso di sufficienti elementi di prova dell’esistenza di un dumping e di un pregiudizio che presenta un nesso di causalità con il medesimo. Nello stesso senso, l’articolo 11, paragrafo 2, primo comma, del regolamento di base autorizza la Commissione a procedere, di propria iniziativa, ad un riesame delle misure antidumping in previsione della scadenza. A tali disposizioni procedurali che conferiscono alla Commissione un potere discrezionale, a monte della constatazione dell’esistenza di un dumping e di un pregiudizio, per decidere sull’apertura o sulla prosecuzione di un’inchiesta iniziale o di un riesame a prescindere dal comportamento o dall’inerzia dell’industria comunitaria si aggiungono disposizioni sostanziali che riconoscono, a valle, dopo la constatazione del dumping e del pregiudizio causato all’industria comunitaria, un nuovo margine di manovra alle istituzioni dell’Unione nell’ambito dell’adozione di misure antidumping. In tal senso, in conformità dell’articolo 21, paragrafo 1, del regolamento di base, la considerazione dei «diversi interessi nel loro complesso», compresi quelli degli utenti e dei consumatori, consente alle istituzioni dell’Unione di non adottare misure antidumping sebbene sia stata accertata l’esistenza di un dumping e di un conseguente pregiudizio per l’industria comunitaria. In definitiva, come rilevato dalla Corte nella sua sentenza Fediol/Commissione (191/82, EU:C:1983:259), la Commissione dispone di un «amplissimo potere discrezionale» per stabilire, in funzione degli interessi della Comunità, i provvedimenti da adottare eventualmente per far fronte alla situazione accertata ( 63 ). |
117. |
Queste diverse norme sia procedurali sia sostanziali rispecchiano l’idea secondo la quale l’azione antidumping è destinata a tutelare non solo interessi privati, nella specie gli interessi di categoria dei produttori del prodotto di cui trattasi, bensì anche l’interesse generale dell’Unione. Se il modo di svolgimento normale dell’inchiesta consiste nel deposito della denuncia da parte dell’industria comunitaria, il «diritto di presentare denuncia» ( 64 ) riconosciuto ai denuncianti non significa che essi siano parimenti titolari del diritto di porre fine all’inchiesta, tramite la revoca della loro denuncia o del loro sostegno alla medesima. Se l’esercizio dell’azione antidumping è accompagnato da garanzie procedurali, il procedimento antidumping non è tuttavia «cosa» dei produttori comunitari o di taluni di essi, i quali potrebbero porvi fine a loro piacimento. |
118. |
Un terzo argomento di ordine pratico milita, a mio avviso, a favore della soluzione accolta dal Tribunale. Nel corso del procedimento antidumping, la posizione dei denuncianti e quella dei produttori comunitari che hanno comunicato il loro sostegno o la loro opposizione alla denuncia possono cambiare più volte, in momenti diversi e in direzioni opposte. Un produttore comunitario che sosteneva la denuncia può revocare il suo appoggio e non assumere alcuna posizione oppure divenire un oppositore, mentre un altro, che vi si opponeva, può decidere di sostenere la denuncia, senza che tali mutamenti di posizione siano necessariamente collegati al danno subito ( 65 ). |
119. |
L’insieme di tali argomenti mi porta a suggerire il rigetto del primo motivo, che mi sembra infondato. |
2. Sul secondo motivo, attinente ad un’interpretazione erronea degli articoli 4, paragrafo 1, e 5, paragrafo 4, del regolamento di base
a) Gli argomenti delle parti
120. |
Le ricorrenti sostengono, in sostanza, che il Tribunale ha adottato un’interpretazione erronea degli articoli 4, paragrafo 1, e 5, paragrafo 4, del regolamento di base allorché ha definito l’industria comunitaria, nella misura in cui non ha tenuto conto del secondo criterio cumulativo di determinazione della nozione di proporzione maggioritaria, che esige che la produzione comunitaria che sostiene la domanda rappresenti almeno il 50% dei produttori che hanno preso posizione sulla medesima. Sottolineando che la definizione dell’industria comunitaria costituisce una delle tappe essenziali che deve consentire di valutare il pregiudizio, esse ritengono che la soluzione adottata dal Tribunale sia contraria sia al testo dell’articolo 5, paragrafo 4, del regolamento di base, sia alla prassi seguita finora dalle istituzioni dell’Unione. La Corte dovrebbe pertanto annullare la sentenza impugnata e statuire in via definitiva sulla controversia, annullando il regolamento controverso. |
121. |
Il Consiglio, la Osram e la Commissione fanno valere che le ricorrenti confondono due problematiche distinte, relative, l’una, alla legittimazione ad agire al momento del deposito della denuncia o della domanda di riesame e, l’altra, alla determinazione del pregiudizio nel corso del procedimento. Orbene, la soglia del 50% prevista all’articolo 5, paragrafo 4, del regolamento di base si applicherebbe unicamente alla questione della legittimazione ad agire al momento dell’apertura dell’inchiesta. Secondo il Consiglio e la Commissione, il Tribunale, al punto 93 della sentenza impugnata, ha correttamente proceduto a siffatta distinzione, conforme alla sua giurisprudenza e alla prassi delle istituzioni dell’Unione, e ne ha giustamente dedotto che, per determinare la proporzione maggioritaria dell’industria comunitaria al fine di valutare il pregiudizio, deve essere presa in considerazione unicamente la soglia minima del 25%, che si riferisce alla produzione comunitaria totale, e non la soglia del 50%, corrispondente ad una proporzione diversa, quella dei produttori comunitari che hanno espresso un parere sulla denuncia. |
b) Valutazione
122. |
Ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 1, del regolamento di base, un dazio antidumping può essere imposto su un prodotto oggetto di dumping solo se la sua immissione in libera pratica nell’Unione causi un pregiudizio. Con il termine «pregiudizio» si intende, in applicazione dell’articolo 3, paragrafo 1, del medesimo regolamento, un pregiudizio grave, la minaccia di pregiudizio grave a danno dell’industria comunitaria, oppure un grave ritardo nella creazione di tale industria. |
123. |
Inoltre, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, del regolamento di base, con la nozione di industria comunitaria, segnatamente ai fini della determinazione dell’esistenza di un pregiudizio, si intende il complesso dei produttori comunitari di prodotti simili o quelli tra di essi le cui produzioni, addizionate, costituiscono una proporzione maggioritaria, a norma dell’articolo 5, paragrafo 4, di tale regolamento, della produzione comunitaria totale di tali prodotti. Pertanto, prevedendo al contempo che l’industria comunitaria comprende, in linea di principio, il complesso dei produttori di prodotti simili, detto regolamento, tenendo conto delle difficoltà legate all’individuazione di tutti i produttori, segnatamente nel caso di un’industria estremamente frammentata, la quale comprende un numero molto elevato di piccoli produttori, offre parimenti la possibilità di prendere in considerazione solo una parte di essi, allorché essi costituiscono una «proporzione maggioritaria» della produzione comunitaria. |
124. |
Se ne desume la coesistenza di due opzioni ai fini dell’individuazione della produzione comunitaria in relazione alla quale sarà determinato il pregiudizio, senza peraltro che il regolamento di base stabilisca una gerarchia fra le medesime. |
125. |
La nozione di proporzione maggioritaria costituisce pertanto una nozione fondamentale della normativa antidumping. Infatti, dal momento che il regolamento di base consente di sanzionare il dumping solo a condizione che esso causi un pregiudizio, la possibilità di fondarsi su una «proporzione maggioritaria» facilita tuttavia il compito della Commissione di constatare l’esistenza di un pregiudizio, consentendole di fondare la propria analisi sulla situazione di una parte soltanto dei produttori comunitari. |
126. |
L’articolo 4, paragrafo 1, del regolamento di base, definisce la nozione di proporzione maggioritaria della produzione comunitaria totale unicamente tramite il rinvio all’articolo 5, paragrafo 4, di detto regolamento. Orbene, la portata che occorre attribuire a tale rinvio non mi sembra chiara. |
127. |
Se il legislatore dell’Unione ha apparentemente inteso instaurare, tramite detto rinvio, un collegamento fra la soglia di rappresentatività della denuncia ai fini dell’apertura di un’inchiesta antidumping e la determinazione della produzione nazionale rilevante ai fini della determinazione dell’esistenza di un pregiudizio, ciò non toglie che l’articolo 5, paragrafo 4, del regolamento di base non ha ad oggetto la definizione della nozione di proporzione maggioritaria, la quale, peraltro, non viene ivi neppure menzionata. |
128. |
Inoltre, tale disposizione stabilisce una presunzione di rappresentatività della denuncia riferendosi ad un duplice criterio. Mentre la percentuale del 25% viene calcolata sulla produzione totale del prodotto simile, la percentuale del 50% viene calcolata in funzione della produzione dei soli produttori che hanno espresso un parere, favorevole o sfavorevole, in ordine alla denuncia. Tuttavia, si evince chiaramente dai termini dell’articolo 4, paragrafo 1, del regolamento di base che la proporzione maggioritaria deve essere determinata esclusivamente in funzione della «produzione comunitaria totale» del prodotto simile, senza tenere conto della produzione proveniente dalla parte dell’industria comunitaria che ha espresso il suo sostegno o la sua opposizione alla denuncia. |
129. |
In definitiva, l’assenza di definizione della nozione di proporzione maggioritaria all’articolo 5, paragrafo 4, del regolamento di base e il riferimento ad un duplice criterio di rappresentatività effettuato in tale disposizione, mentre l’articolo 4, paragrafo 1, di detto regolamento si limita a prevederne uno solo, privano l’interpretazione della nozione di «proporzione maggioritaria, a norma dell’articolo 5, paragrafo 4», di un significato evidente, ovvero di qualsiasi significato. |
130. |
Poiché un’interpretazione letterale degli articoli 4, paragrafo 1, e 5, paragrafo 4, del regolamento di base non è idonea a risolvere in maniera univoca la questione posta, occorre interpretare tali disposizioni, da un lato, alla luce degli obiettivi da esse perseguiti, nonché della sistematica e dell’economia generale del regolamento di base e, dall’altro, in conformità dell’accordo relativo all’applicazione dell’articolo VI dell’accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio 1994 (GATT). ( 66 ) |
131. |
In primo luogo, se il regolamento di base contiene una sola definizione dell’industria comunitaria, ciò non toglie che gli articoli 4, paragrafo 1, e 5, paragrafo 4 del regolamento di base sono due disposizioni indipendenti l’una dall’altra, le quali si collocano in due fasi differenti del procedimento di dumping ed obbediscono a logiche distinte. Come fatto giustamente valere dal Consiglio e dalla Commissione, mentre l’articolo 5, paragrafo 4, di tale regolamento riguarda, al momento dell’apertura dell’inchiesta, la determinazione della soglia di rappresentatività della denuncia, al fine di garantire che essa sia sostenuta da un numero sufficientemente significativo di produttori comunitari, l’articolo 4, paragrafo 1, di detto regolamento, in combinato disposto con l’articolo 3, paragrafo 1, del medesimo, attiene, nel corso dell’inchiesta, alla determinazione del pregiudizio causato all’industria comunitaria dalle pratiche antidumping. Queste ultime disposizioni rispondono ad un obiettivo diverso, consistente nel consentire alle istituzioni dell’Unione di analizzare il pregiudizio nonostante la difficoltà, ovvero l’impossibilità di raccogliere elementi obiettivi di valutazione per il complesso dei produttori comunitari, segnatamente qualora il mercato del prodotto in questione sia un mercato estremamente frammentato sul quale intervengono numerosi produttori. |
132. |
In secondo luogo, occorre rammentare che se, secondo una giurisprudenza costante, l’accordo che istituisce l’OMC, nonché gli accordi figuranti agli allegati 1, 2 e 3 di tale accordo non figurano, in linea di principio, tra le normative alla luce delle quali la Corte controlla la legittimità degli atti delle istituzioni dell’Unione ( 67 ), ciò non toglie che, secondo una giurisprudenza anch’essa costante, il primato degli accordi internazionali conclusi dall’Unione sulle norme di diritto derivato impone di interpretare queste ultime in maniera per quanto possibile conforme a detti accordi ( 68 ), in particolare quando tali norme mirano, appunto, ad attuare un accordo internazionale concluso dall’Unione ( 69 ). Pertanto, a prescindere dalla questione se le circostanze del caso di specie corrispondano ad una delle due ipotesi, enunciate dalla Corte nelle sue sentenze Fediol/Commissione (70/87, EU:C:1989:254) e Nakajima/Consiglio (C‑69/89, EU:C:1991:186), nelle quali spetta al giudice dell’Unione controllare la legittimità degli atti dell’Unione alla luce delle norme dell’OMC, il principio di interpretazione conforme, inerente al primato degli accordi internazionali conclusi dall’Unione sulle norme di diritto derivato, impone di tenere conto dell’interpretazione dell’accordo antidumping in sede di interpretazione delle corrispondenti disposizioni del regolamento di base. Ne consegue che l’articolo 4, paragrafo 1, di questo regolamento, il quale, come indicato poc’anzi, è passibile, a causa della sua ambiguità, di più interpretazioni, deve essere interpretato, nella misura del possibile, nel senso della sua conformità alle disposizioni equiparabili dell’articolo 4.1 dell’accordo antidumping, il quale fa parimenti riferimento alla nozione di «quota preponderante» per definire, ai sensi di detto accordo, l’espressione «industria nazionale». |
133. |
A tal riguardo, la relazione del panel dell’OMC del 22 aprile 2003, intitolato «Argentina – Dazi antidumping definitivi aventi ad oggetto carni di pollame provenienti dal Brasile» ( 70 ), e quella dell’Organo d’appello dell’OMC del 15 luglio 2011, intitolato «Comunità europee – Misure antidumping definitive su determinati elementi di fissaggio in ferro o acciaio originari della Cina» ( 71 ), forniscono indicazioni utili sull’interpretazione della nozione di proporzione maggioritaria. |
134. |
Il panel dell’OMC, nella sua relazione del 22 aprile 2003, ha ritenuto che la nozione di proporzione maggioritaria ai fini della definizione dell’industria nazionale dovesse essere intesa come una proporzione «importante, seria o notevole» della produzione nazionale totale, e che l’articolo 4.1 dell’accordo antidumping non esigesse che l’industria nazionale fosse costituita dai produttori nazionali rappresentanti più del 50% della produzione nazionale totale ( 72 ). Nella fattispecie sottopostagli, il panel dell’OMC ha riconosciuto, pertanto, che l’industria nazionale fosse stata definita nel senso che era costituita da produttori nazionali rappresentanti il 46% soltanto della produzione nazionale totale ( 73 ). |
135. |
L’Organo d’appello dell’OMC, nella sua relazione del 15 luglio 2011, dopo aver constatato che l’articolo 4.1 dell’accordo antidumping non indicava proporzioni specifiche che consentivano di valutare se una certa percentuale costituisse una «proporzione maggioritaria» ( 74 ), ha rilevato che, tenuto conto del suo contesto, tale espressione doveva essere interpretata nel senso che essa era una proporzione «relativamente elevata» della produzione nazionale totale, la quale «rispecchierà normalmente, in maniera ampia, la produzione nazionale totale» ( 75 ). |
136. |
Quindi, insistendo sull’importanza di una determinazione esatta del danno, l’Organo d’appello dell’OMC ha precisato che, se il ricorso alla nozione di proporzione maggioritaria consentiva, in particolare nell’ipotesi di un mercato frammentato fra numerosi produttori, di ovviare agli ostacoli pratici all’ottenimento di informazioni concernenti il complesso della produzione, adottando, all’occorrenza, una proporzione inferiore a quanto normalmente ammissibile su un mercato meno frammentato, occorreva cionondimeno fare in modo che la definizione dell’industria nazionale «fosse capace di fornire numerosi dati che garantiscono un’analisi esatta del danno» e non introducesse dunque un rischio significativo di asimmetria dei dati economici e di distorsione nella determinazione dell’esistenza di un danno ( 76 ). |
137. |
Infine, esaminando l’argomento dell’Unione che sosteneva l’opportunità di prendere in considerazione, per definire la «quota preponderante» ai sensi dell’articolo 4.1 dell’accordo antidumping, le soglie figuranti all’articolo 5.4 del medesimo accordo, e che era pertanto ammissibile ritenere che i produttori rappresentanti il 25% o più della produzione nazionale potessero legittimamente rappresentare una proporzione maggioritaria della produzione totale, l’Organo d’appello dell’OMC ha ritenuto che non esistesse «alcun fondamento testuale per una siffatta affermazione» e che, anche se l’Unione affermava che le discussioni sulla proporzione maggioritaria e la rappresentatività erano state condotte di pari passo durante le trattative, ciò non incidesse sul fatto che non era stato raggiunto alcun accordo sulla fissazione di una proporzione specifica che consentisse di determinare ciò che, in astratto, costituisce una «proporzione maggioritaria». A suo avviso, gli articoli 4.1 e 5.4 dell’accordo antidumping riguardano aspetti diversi del procedimento antidumping, in quanto il primo definisce l’industria nazionale rilevante ai fini della determinazione dell’esistenza di un danno, mentre il secondo fissa, a prescindere dalla questione di come l’industria nazionale debba essere definita, una soglia minima concernente il sostegno alla domanda di apertura di un’inchiesta ( 77 ). |
138. |
In definitiva, l’Organo d’appello dell’OMC, pur avendo preso in considerazione la natura frammentata del mercato in questione, ha ritenuto, in tale controversia, che la soglia del 27% adottata dalla Commissione a «seguito [de]ll’applicazione di un punto di riferimento [del 25%] senza alcun legame con l’interpretazione corretta dell’espressione “una quota preponderante”» costituisse una percentuale troppo modesta per rappresentare una siffatta quota ( 78 ). |
139. |
Risulta dall’analisi appena effettuata che una sola interpretazione della nozione di proporzione maggioritaria è ormai possibile. Essa consiste nel ritenere che tale nozione debba essere intesa come diretta a significare una proporzione sufficientemente notevole della produzione comunitaria per rappresentare, in qualche modo, un riflesso relativamente fedele della medesima. In altre parole, il nesso testuale fra gli articoli 4, paragrafo 1, e 9, paragrafo 4, del regolamento di base, che la Commissione all’udienza ha del resto qualificato «infelice», è contrario tanto allo spirito quanto alla logica e agli obiettivi della normativa antidumping dell’Unione, quale interpretata con riguardo all’accordo antidumping e deve, di conseguenza, essere considerato privo di qualsiasi portata normativa. |
140. |
Riconoscere, come dichiarato dal Tribunale, che la proporzione maggioritaria possa essere identica al quarto soltanto della produzione comunitaria totale equivarrebbe ad offrire la possibilità di una vera e propria elusione dei requisiti della normativa antidumping, consentendo l’adozione di misure a vantaggio di una minoranza soltanto dell’industria comunitaria, anche se i tre quarti di tale industria non subivano un pregiudizio. |
141. |
Tuttavia, occorre rilevare che, con il loro motivo, le ricorrenti non addebitano al Tribunale di aver applicato tale soglia del 25%. Esse si limitano a contestare al medesimo di non aver proceduto ad un’applicazione cumulativa di tale soglia e della soglia del 50% prevista all’articolo 5, paragrafo 4, del regolamento di base. |
142. |
Orbene, ravvisare nel rinvio effettuato dall’articolo 4, paragrafo 1, del regolamento di base all’articolo 5, paragrafo 4, del medesimo una necessità incondizionata di applicazione cumulativa delle due soglie menzionate all’articolo 5, paragrafo 4, di detto regolamento ai fini della determinazione della rappresentatività della denuncia mi sembra poggiare su una lettura erronea dell’articolo 4, paragrafo 1, dello stesso regolamento, il quale specifica che la proporzione maggioritaria deve essere determinata rispetto alla «produzione comunitaria totale» e non alla parte della produzione nazionale che ha espresso un parere sulla denuncia. |
143. |
Di conseguenza, ritengo che il secondo motivo di impugnazione, il quale addebita esclusivamente alla sentenza impugnata di non aver applicato cumulativamente le due soglie di cui all’articolo 5, paragrafo 4, del regolamento di base, sia infondato. |
144. |
L’impugnazione può pertanto essere respinta senza che sia necessario esaminare ulteriormente la questione se le istituzioni dell’Unione, ritenendo che l’analisi della persistenza o della reiterazione del pregiudizio potesse essere effettuata sulla base dei dati di un solo produttore, rappresentante il 48% della produzione comunitaria totale, siano incorse in un manifesto errore di valutazione. |
145. |
Mi limiterò ad osservare che, nella configurazione estremamente particolare del mercato in questione, diviso fra quattro produttori comunitari che, parallelamente alla loro attività di produzione nell’Unione, svolgono attività di importazione, non mi sembra contrario alla logica della normativa antidumping la considerazione, da parte delle istituzioni dell’Unione, del pregiudizio causato a quello, fra i produttori, che produceva di più nell’Unione e importava di meno in percentuale di vendite realizzate. |
146. |
Per queste ragioni, ritengo che il secondo motivo debba essere respinto. |
V – Conclusione
147. |
Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di dichiarare e statuire quanto segue:
|
( 1 ) Lingua originale: il francese.
( 2 ) In prosieguo: la «Philips Poland».
( 3 ) In prosieguo, congiuntamente, la «Philips Lighting».
( 4 ) T‑469/07, EU:T:2013:370, in prosieguo: la «sentenza impugnata».
( 5 ) GU L 272, pag. 1; in prosieguo: il «regolamento controverso».
( 6 ) GU 1996, L 56, pag. 1.
( 7 ) GU L 340, pag. 17; in prosieguo: il «regolamento di base».
( 8 ) GU L 195, pag. 8. Regolamento come modificato dal regolamento (CE) n. 1322/2006 del Consiglio del 1o settembre 2006 (GU L 244, pag. 1).
( 9 ) GU L 145, pag. 1.
( 10 ) GU L 244, pag. 1.
( 11 ) In prosieguo: la «Osram».
( 12 ) In prosieguo: i «CFL-i».
( 13 ) In prosieguo: la «GE Hungary».
( 14 ) In prosieguo: la «Sylvania».
( 15 ) 264/82, EU:C:1985:119.
( 16 ) C‑239/99, EU:C:2001:101.
( 17 ) C‑358/89, EU:C:1991:214.
( 18 ) Punto 62 della sentenza impugnata.
( 19 ) V., segnatamente, sentenza Mebrom/Commissione (T‑216/05, EU:T:2007:148); ordinanza Charron Inox e Almet/Commissione e Consiglio (T‑445/11 e T‑88/12, EU:T:2013:4); sentenze Marchiani/Parlamento (T‑479/13, EU:T:2014:866) e Club Hotel Loutraki e a./Commissione (T‑58/13, EU:T:2015:1), nonché ordinanza Istituto di vigilanza dell’urbe/Commissione (T‑579/13, EU:T:2015:27).
( 20 ) C‑23/00 P, EU:C:2002:118.
( 21 ) C‑233/02, EU:C:2004:173.
( 22 ) C‑6/06 P, EU:C:2007:702.
( 23 ) Come si evince dal punto 37 della sentenza Consiglio/Boehringer (C‑23/00 P, EU:C:2002:118), e dal paragrafo 28 delle conclusioni dell’avvocato generale Ruiz‑-Jarabo Colomer nella causa Consiglio/Boehringer (C‑23/00 P, EU:C:2001:511), il motivo di irricevibilità dedotto verteva sul difetto di legittimazione ad agire delle ricorrenti in applicazione dell’articolo 230, quarto comma, CE.
( 24 ) Punto 52 di detta sentenza.
( 25 ) Punto 21 della sentenza Cofradía de pescadores «San Pedro» de Bermeo e a./Consiglio (C‑6/06 P, EU:C:2007:702).
( 26 ) V. sentenza Italia/Commissione (C‑298/00 P, EU:C:2004:240, punto 35), nonché ordinanza Cheminova e a./Commissione [C‑60/08 P(R), EU:C:2009:181, punto 31].
( 27 ) C‑176/06 P, EU:C:2007:730.
( 28 ) Punto 18. V., parimenti, in tal senso, ordinanze Complejo Agrícola/Commissione (C‑415/08 P, EU:C:2009:574, punto 22) e Calebus/Commissione (C‑421/08 P, EU:C:2009:575, punto 22). Queste due decisioni fanno discendere il principio secondo il quale l’esame della legittimazione ad agire del richiedente l’annullamento costituisce un «obbligo» per la Corte quale giudice dell’impugnazione, da un altro principio, ai sensi del quale il requisito fissato dall’articolo 230, quarto comma, CE costituisce un motivo di irricevibilità di ordine pubblico che i giudici dell’Unione «possono» esaminare in qualsiasi momento, anche d’ufficio (v. punto 21 di dette due decisioni). A parte il fatto che quest’ultimo principio è erroneamente attribuito al punto 18 della sentenza Stadtwerke Schwäbisch Hall e a./Commissione (C‑176/06 P, EU:C:2007:730), che non lo menziona, risulta dal raffronto dei punti 21 e 22 di dette due decisioni una qualche incertezza sulla questione se il rilievo del motivo di ordine pubblico risultante dal difetto di legittimazione ad agire costituisca, per il giudice dell’Unione, un obbligo oppure una semplice facoltà.
( 29 ) V. sentenza Stichting Woonlinie e a./Commissione (C‑133/12 P, EU:C:2014:105, punto 32 e la giurisprudenza citata).
( 30 ) T‑532/08, EU:T:2010:353.
( 31 ) T‑539/08, EU:T:2010:354.
( 32 ) Ordinanze Norilsk Nickel Harjavalta e Umicore/Commissione (T‑532/08, EU:T:2010:353, punti 69 e 70), nonché Etimine e Etiproducts/Commissione (T‑539/08, EU:T:2010:354, punti 75 e 76).
( 33 ) Ibidem (rispettivamente punto 71 e punto 77).
( 34 ) Ibidem (rispettivamente punto 72 e punto 78).
( 35 ) Ibidem (rispettivamente punto 73 e punto 79).
( 36 ) V., in tal senso, ai fini dell’applicazione delle disposizioni relative alla cittadinanza dell’Unione, sentenze D’Hoop (C‑224/98, EU:C:2002:432, punto 25); Lassal (C‑162/09, EU:C:2010:592, punto 39); Runevič-Vardyn e Wardyn (C‑391/09, EU:C:2011:291, punto 55), nonché Ziolkowski e Szeja (C‑424/10 e C‑425/10, EU:C:2011:866, punto 58).
( 37 ) V., in tal senso, sentenza Westzucker (1/73, EU:C:1973:78), ai termini della quale «[s]econdo un principio generalmente ammesso, le leggi che modificano una disposizione legislativa si applicano, salvo espressa deroga, agli effetti futuri di situazioni sorte sotto l’impero della vecchia legge» (punto 5). Si tratta, a quanto mi risulta, della prima sentenza con la quale la Corte ha proclamato l’effetto immediato quale «principio generalmente ammesso». V. parimenti, in tal senso, sentenze Gemeinde Altrip e a. (C‑72/12, EU:C:2013:712, punto 22 e la giurisprudenza citata), nonché Balazs e Casa Judeţeană de Pensii Cluj (C‑401/13 e C‑432/13, EU:C:2015:26, punto 30 e la giurisprudenza citata).
( 38 ) V. segnatamente, in tal senso, sentenze Bureau national interprofessionnel du Cognac (C‑4/10 e C‑27/10, EU:C:2011:484, punto 26 e la giurisprudenza citata); Toshiba Corporation e a. (C‑17/10, EU:C:2012:72, punto 51), nonché Kuso (C‑614/11, EU:C:2013:544, punto 24 e la giurisprudenza citata).
( 39 ) V. sentenze Conserchimica (C‑261/96, EU:C:1997:524, punto 17); Beemsterboer Coldstore Services (C‑293/04, EU:C:2006:162, punto 19 e la giurisprudenza citata); Dell’Orto (C‑467/05, EU:C:2007:395, punto 48); Commissione/Italia (C‑334/08, EU:C:2010:414, punto 60 e la giurisprudenza citata); Toshiba Corporation e a. (C‑17/10, EU:C:2012:72, punto 47 e la giurisprudenza citata); Commissione/Spagna (C‑610/10, EU:C:2012:781, punto 45 e la giurisprudenza citata), nonché Melloni (C‑399/11, EU:C:2013:107, punto 32 e la giurisprudenza citata).
( 40 ) Sentenza Dell’Orto (C‑467/05, EU:C:2007:395, punto 49).
( 41 ) Sentenze Meridionale Industria Salumi e a. (da 212/80 a 217/80, EU:C:1981:270, punto 11), nonché Reichelt (113/81, EU:C:1982:206, punto 13). V., parimenti, sentenza Conserchimica (C‑261/96, EU:C:1997:524, punto 17) e, sulla portata di tale eccezione, sentenza Molenbergnatie (C‑201/04, EU:C:2006:136, punti da 31 a 34).
( 42 ) V., su tale distinzione dottrinale, Roubier, P., Le droit transitoire (conflits des lois dans le temps), 2° ed., Dalloz et Sirey, Parigi, 1960, pag. 545 e seg.
( 43 ) Il corsivo è mio.
( 44 ) C‑283/09, EU:C:2011:85.
( 45 ) Punto 28.
( 46 ) V. sentenza Telefónica/Commissione (C‑274/12 P, EU:C:2013:852, punto 27).
( 47 ) V. sentenza Inuit Tapiriit Kanatami e a./Parlamento e Consiglio (C‑583/11 P, EU:C:2013:625).
( 48 ) V. sentenza Telefónica/Commissione (C‑274/12 P, EU:C:2013:852).
( 49 ) 25/62, EU:C:1963:17.
( 50 ) Pag. 223. V., da ultimo, ordinanza Banco Bilbao Vizcaya Argentaria e Telefónica/Commissione (C‑587/13 P e C‑588/13 P, EU:C:2015:18, punto 41 e la giurisprudenza citata).
( 51 ) V. ordinanza Gesamtverband der deutschen Textil- und Modeindustrie e a./Consiglio e a. [C‑3/11 P(I), EU:C:2011:665, punto 13 e la giurisprudenza citata], nonché sentenza Valimar (C‑374/12, EU:C:2014:2231, punto 30 e la giurisprudenza citata).
( 52 ) V. sentenza Valimar (C‑374/12, EU:C:2014:2231, punto 30 e la giurisprudenza citata).
( 53 ) Ibidem (punto 32).
( 54 ) V. sentenza Neotype Techmashexport/Commissione e Consiglio (C‑305/86 e C‑160/87, EU:C:1990:295, punti 19 e 20).
( 55 ) V. segnatamente, in tal senso, sentenza Allied Corporation e a./Commissione (239/82 e 275/82, EU:C:1984:68, punti 15 e 16). V. anche, a tal riguardo, le critiche mosse da Van Ginderachter, E., «Recevabilité des recours en matière de dumping», Cahiers de droit européen, 1987, nn. 1 e 2, pag. 623.
( 56 ) C‑358/89, EU: C:1991:214.
( 57 ) Punto 17.
( 58 ) Sentenza Neotype Techmashexport/Commissione e Consiglio (C‑305/86 e C‑160/87, EU:C:1990:295, punti 19 e 20).
( 59 ) Sentenza Timex/Consiglio e Commissione (264/82, EU:C:1985:119, punti 14 e 15).
( 60 ) V., in particolare, le critiche mosse nei confronti di tale criterio da Van Ginderachter, E., op. cit.
( 61 ) T‑249/06, EU:T:2009:62.
( 62 ) In conformità dell’articolo 5, paragrafo 8, del regolamento di base, se la denuncia viene ritirata prima dell’apertura dell’inchiesta, essa è considerata come non presentata.
( 63 ) Punto 26 di tale sentenza.
( 64 ) Punto 11 di detta sentenza.
( 65 ) V. Didier, P., «Le code anti-dumping du cycle de l’Uruguay: impact dans la Communauté», Cahiers de droit européen, 1994, nn. 3 e 4, pag. 251, che osserva che l’appoggio o l’opposizione ad una denuncia possono essere dovuti a molteplici ragioni e che, ad esempio, numerosi produttori nazionali possono appoggiare una denuncia fintantoché un siffatto appoggio «non implichi da parte loro alcun vincolo finanziario o intellettuale» (pag. 291).
( 66 ) GU L 336, pag. 103; in prosieguo: l’«accordo antidumping». Tale accordo figura all’allegato 1 A dell’Accordo che istituisce l’Organizzazione mondiale del commercio (OMC), firmato a Marrakech il 15 aprile 1994 e approvato con la decisione del Consiglio, del 22 dicembre 1994, 94/800/CE, relativa alla conclusione a nome della Comunità europea, per le materie di sua competenza, degli accordi dei negoziati multilaterali dell’Uruguay Round (1986‑1994), (GU 1994, L 336, pag. 1).
( 67 ) Sentenza LVP (C‑306/13, EU:C:2014:2465, punto 44 e la giurisprudenza citata).
( 68 ) V. sentenze Z. (C‑363/12, EU:C:2014:159, punto 72 e la giurisprudenza citata), nonché Glatzel (C‑356/12, EU:C:2014:350, punto 70 e la giurisprudenza citata).
( 69 ) V. sentenza Petrotub e Republica/Consiglio (C‑76/00 P, EU:C:2003:4, punto 57 e la giurisprudenza citata).
( 70 ) Documento dell’OMC WT/DS241/R.
( 71 ) Documento dell’OMC WT/DS397/AB/R.
( 72 ) Documento WT/DS241/R, (punto 7.341).
( 73 ) Ibidem, (punto 7.344).
( 74 ) Documento WT/DS397/AB/R, (punto 411).
( 75 ) Ibidem, (punto 412).
( 76 ) Ibidem, (punti da 413 a 416).
( 77 ) Ibidem, (punti 417 e 418).
( 78 ) Ibidem, (punto 425).