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Documento 62014CC0083

Conclusioni dell’avvocato generale J. Kokott, presentate il 12 marzo 2015.
CHEZ Razpredelenie Bulgaria AD contro Komisia za zashtita ot diskriminatsia.
Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall'Administrativen sad Sofia-grad.
Direttiva 2000/43/CE – Principio della parità di trattamento tra le persone senza distinzione di razza o di origine etnica – Quartieri urbani prevalentemente popolati da persone di origine rom – Collocazione dei contatori elettrici sui pali facenti parte della rete della linea elettrica aerea a un’altezza di sei o sette metri – Nozioni di “discriminazione diretta” e di “discriminazione indiretta” – Onere della prova – Eventuale giustificazione – Prevenzione delle manomissioni dei contatori elettrici e degli allacciamenti illegali – Proporzionalità – Carattere generalizzato della misura – Effetto offensivo e stigmatizzante della stessa – Direttive 2006/32/CE e 2009/72/CE – Impossibilità per l’utente finale di controllare il proprio consumo elettrico.
Causa C-83/14.

Raccolta della giurisprudenza - generale

Identificatore ECLI: ECLI:EU:C:2015:170

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

JULIANE KOKOTT

presentate il 12 marzo 2015 ( 1 )

Causa C‑83/14

«CHEZ Razpredelenie Bulgaria» AD

[Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall’Administrativen sad Sofia‑grad (Bulgaria)]

«Direttiva 2000/43/CE — Principio della parità di trattamento fra le persone senza distinzioni di razza o di origine etnica — Discriminazione indiretta — Carattere generale e collettivo di una misura — Effetto stigmatizzante — Persona che non rientra nel gruppo etnico discriminato ma è oggetto di discriminazione (“discrimination par association”, “discrimination par ricochet”) — Quartieri abitati prevalentemente da membri della comunità Rom — Installazione di contatori elettrici a un’altezza non accessibile ai consumatori — Giustificazione — Lotta alle truffe e agli abusi — Direttive 2006/32/CE e 2009/72/CE — Possibilità per l’utente finale di effettuare la lettura del proprio consumo individuale di energia elettrica»

I – Introduzione

1.

Talvolta, nel discutere delle problematiche attinenti alla discriminazione, i destini individuali sono in primo piano. Non è così nel caso di specie, che verte sul divieto di discriminazione in ragione dell’origine etnica sancito dal diritto dell’Unione. È vero che anche la fattispecie in esame va ricondotta in definitiva al ricorso di un singolo, ma l’interesse si concentra sul carattere generale e collettivo di misure che riguardano un intero gruppo e sono idonee a stigmatizzare tutti gli appartenenti ad esso e il loro contesto sociale.

2.

In concreto si discute della prassi diffusa nella città bulgara di Dupnitsa – ma anche altrove – di installare, nei quartieri abitati prevalentemente da Rom, i contatori elettrici degli utenti finali a un’altezza di circa 6 metri rendendoli così inaccessibili al normale controllo visivo, mentre altrove essi sono collocati a un’altezza di circa 1,70 metri in modo da essere facilmente visibili dai consumatori. La prassi in parola è giustificata dagli interventi non autorizzati sui contatori e dai prelievi illegali di corrente che sembra si verifichino con particolare frequenza nei «quartieri Rom».

3.

Nelle mie conclusioni nella causa Belov ( 2 ) mi sono già occupata una prima volta diffusamente di questa problematica, analizzandola alla luce del divieto di discriminazione fondata sull’origine etnica sancito dal diritto dell’Unione. Nel farlo, ho evidenziato il contesto di esclusione sociale dei Rom e le condizioni sociali ed economiche oltremodo precarie in cui tale comunità si trova a vivere in varie zone d’Europa.

4.

Il caso in esame offre la possibilità di precisare su alcuni punti le considerazioni svolte allora. Ciò vale, da un lato, per la distinzione tra discriminazione diretta e indiretta fondata sull’origine etnica. Dall’altro, occorre esaminare se e in che misura persone che non rientrano esse stesse nel gruppo etnico svantaggiato, possano essere discriminate «per associazione» dalla prassi in esame (in francese «discrimination par association» o anche «discrimination par ricochet»). Completerò l’analisi esaminando – come a suo tempo nella causa Belov – le possibili giustificazioni di misure collettive con effetto stigmatizzante.

5.

Diversamente dalla causa Belov ( 3 ), nel caso di specie non si pongono questioni attinenti alla competenza e alla ricevibilità, dal momento che l’autorità bulgara che ha operato il rinvio in questo caso è indubbiamente un organo giurisdizionale ai sensi dell’articolo 267 TFUE.

II – Contesto normativo

A – Il diritto dell’Unione

6.

Il contesto normativo dell’Unione è costituito nel caso di specie dall’articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali e dalla direttiva 2000/43/CE ( 4 ). Per completezza occorre poi richiamare le direttive 2006/32/CE ( 5 ) e 2009/72/CE ( 6 ) contenenti norme in materia di mercato interno dell’energia elettrica e di efficienza degli usi finali dell’energia.

1. La direttiva antidiscriminazione 2000/43

7.

L’obiettivo della direttiva 2000/43, in base al suo articolo 1, è il seguente:

«stabilire un quadro per la lotta alle discriminazioni fondate sulla razza o l’origine etnica, al fine di rendere effettivo negli Stati membri il principio della parità di trattamento».

8.

L’articolo 2 della direttiva 2000/43 contiene in particolare la seguente definizione:

«1.   Ai fini della presente direttiva, il principio della parità di trattamento comporta che non sia praticata alcuna discriminazione diretta o indiretta a causa della razza o dell’origine etnica.

2.   Ai fini del paragrafo 1

a)

sussiste discriminazione diretta quando, a causa della sua razza od origine etnica, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra in una situazione analoga;

b)

sussiste discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono mettere persone di una determinata razza od origine etnica in una posizione di particolare svantaggio rispetto ad altre persone, a meno che tale disposizione, criterio o prassi siano oggettivamente giustificati da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari.

3.   Le molestie sono da considerarsi, ai sensi del paragrafo 1, una discriminazione in caso di comportamento indesiderato adottato per motivi di razza o di origine etnica e avente lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una persona e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante od offensivo. In questo contesto, il concetto di molestia può essere definito conformemente alle leggi e prassi nazionali degli Stati membri.

(…)».

9.

L’articolo 3 della direttiva 2000/43 ne fissa il campo di applicazione:

«1.   Nei limiti dei poteri conferiti alla Comunità, la presente direttiva si applica a tutte le persone sia del settore pubblico che del settore privato, compresi gli organismi di diritto pubblico, per quanto attiene:

(…)

h)

all’accesso a beni e servizi che sono a disposizione del pubblico e alla loro fornitura, incluso l’alloggio.

(…)».

10.

L’articolo 8, paragrafo 1, della direttiva 2000/43 dispone, in merito all’onere della prova, quanto segue:

«Gli Stati membri prendono le misure necessarie, conformemente ai loro sistemi giudiziari nazionali, per assicurare che, allorché persone che si ritengono lese dalla mancata applicazione nei loro riguardi del principio della parità di trattamento espongono, dinanzi a un tribunale o a un’altra autorità competente, fatti dai quali si può presumere che vi sia stata una discriminazione diretta o indiretta, incomba alla parte convenuta provare che non vi è stata violazione del principio della parità di trattamento».

11.

Occorre da ultimo richiamare il considerando 16 della direttiva 2000/43:

«È importante proteggere tutte le persone fisiche contro la discriminazione per motivi di razza o di origine etnica. Gli Stati membri dovrebbero inoltre, se del caso e conformemente alle rispettive tradizioni e prassi nazionali, prevedere una protezione per le persone giuridiche che possono essere discriminate per motivi di razza o origine etnica dei loro membri».

2. Le direttive in materia di mercato interno dell’energia elettrica e di efficienza degli usi finali dell’energia

12.

La direttiva 2006/32 perseguiva un incremento dell’efficienza nell’uso finale dell’energia negli Stati membri attraverso varie misure, tra cui quelle volte al miglioramento dell’efficienza energetica per gli utenti finali. In particolare, il suo considerando 29 era formulato come segue:

«Per consentire agli utenti finali di prendere decisioni più informate per quanto riguarda il loro consumo individuale di energia, essi dovrebbero disporre di una quantità ragionevole di informazioni al riguardo e di altre informazioni pertinenti (…). Inoltre, i consumatori dovrebbero essere attivamente incoraggiati a verificare regolarmente la lettura dei loro contatori».

13.

L’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2006/32 stabiliva inoltre:

«Gli Stati membri provvedono affinché, nella misura in cui sia tecnicamente possibile, finanziariamente ragionevole e proporzionato rispetto ai risparmi energetici potenziali, i clienti finali di energia elettrica, gas naturale, teleriscaldamento e/o raffreddamento e acqua calda per uso domestico, ricevano a prezzi concorrenziali contatori individuali che riflettano con precisione il loro consumo effettivo e forniscano informazioni sul tempo effettivo d’uso.

(…)».

14.

La direttiva 2009/72 contiene norme comuni sulla generazione, trasmissione, distribuzione e fornitura di energia elettrica e disciplina l’organizzazione e il funzionamento del settore dell’elettricità. A norma dell’articolo 3, paragrafo 7, della direttiva in parola, gli Stati membri adottano «misure adeguate per tutelare i clienti finali» che comprendono, per quanto riguarda almeno i clienti civili, quelle che figurano nell’allegato I.

15.

A norma dell’allegato I, punto 1, della direttiva 2009/72, recante il titolo «Misure sulla tutela dei consumatori», «le misure di cui all’articolo 3 [della direttiva] consistono nel garantire che i clienti:

(…)

h)

possano disporre dei propri dati di consumo (...); [e]

i)

siano adeguatamente informati del consumo effettivo di energia elettrica e dei relativi costi, con frequenza tale da consentire loro di regolare il proprio consumo di energia elettrica (...). Si tiene debitamente conto dell’efficienza in termini di costi di tali misure. Per questo servizio il consumatore non deve sostenere alcuna spesa supplementare;

(…)».

B – Il diritto bulgaro

16.

In sede di attuazione di una serie di atti giuridici dell’Unione europea, in particolare la direttiva 2000/43, è stata promulgata in Bulgaria la legge sulla tutela contro le discriminazioni ( 7 ) (in prosieguo: lo «ZZD»), che al suo articolo 4 dispone quanto segue:

«1.   È vietata ogni discriminazione, diretta o indiretta, fondata sul sesso, l’identità razziale, nazionale o etnica, il genoma umano, la cittadinanza, l’origine, la religione o la fede, l’istruzione, le convinzioni personali, l’appartenenza politica, la condizione personale o sociale, gli handicap, l’età, l’orientamento sessuale, lo stato civile, la situazione patrimoniale o qualsiasi altra caratteristica prevista da una legge o da un trattato internazionale di cui la Repubblica di Bulgaria è parte.

2.   Configura una discriminazione diretta qualsiasi trattamento più sfavorevole di una persona sulla base delle caratteristiche di cui al paragrafo 1 rispetto al modo in cui è, è stata o sarebbe trattata un’altra persona in condizioni comparabili o simili.

3.   Una discriminazione indiretta consiste nel collocare una persona, sulla base delle caratteristiche di cui al paragrafo 1, in una situazione più sfavorevole rispetto ad altre persone attraverso una disposizione, un criterio o una prassi in apparenza neutri, salvo che tale disposizione, tale criterio o tale prassi siano giustificati da uno scopo legittimo e che i mezzi utilizzati al fine di raggiungerlo siano adeguati e necessari».

17.

Il punto 1 delle disposizioni complementari dello ZZD prevede inoltre che:

«Ai fini della presente legge

(…)

7)

per “trattamento sfavorevole” si intende qualsiasi atto, azione o omissione che arrechi pregiudizio direttamente o indirettamente a diritti o legittimi interessi;

8)

l’espressione “sulla base delle caratteristiche di cui all’articolo 4, paragrafo 1” significa sulla base dell’effettiva sussistenza, che sia presente, passata о presunta, di una o più di tali caratteristiche nella persona discriminata o in una persona con la quale essa abbia un legame, o con la quale si presume abbia un legame, quando tale legame costituisca il motivo della discriminazione;

(…)».

18.

La domanda di pronuncia pregiudiziale richiama poi altre disposizioni di diritto nazionale dello ZZD e della legge per il settore energetico ( 8 ) (in prosieguo: lo «ZE») che non vengono riportate in questa sede.

III – Fatti e procedimento principale

A – Fatti

19.

La sig. ra Anelia Georgieva Nikolova opera nella città bulgara di Dupnitsa come imprenditrice individuale e gestisce, nel quartiere di «Gizdova Mahala», un negozio di alimentari che viene rifornito di energia elettrica dall’impresa CHEZ Razpredelenie Bulgaria ( 9 ).

20.

Il quartiere di Gizdova Mahala è noto come il più grande quartiere Rom di Dupnitsa. La popolazione di detto quartiere appartiene per la maggior parte al gruppo etnico dei Rom. La sig. ra Nikolova però non appartiene a tale etnia ( 10 ).

21.

Negli anni 1999 e 2000 la CHEZ ha installato, nel suddetto quartiere, i contatori ( 11 ) per tutti i consumatori riforniti, collocandoli sui tralicci delle linee elettriche aeree facenti parte della rete a un’altezza di circa 6 metri, non accessibile per i normali controlli visivi. È pacifico che la prassi in parola ( 12 ) è seguita soltanto nei quartieri con una presenza maggioritaria di Rom e viene ivi applicata a tutti i clienti a prescindere dal fatto che questi ultimi appartengano o meno a loro volta al suddetto gruppo etnico. Essa è giustificata dall’elevato numero di interventi non autorizzati sui contatori e di allacciamenti illegali alla rete di elettricità in tali quartieri. Altrove i contatori sono invece installati, per tutti gli utenti – anche per quelli appartenenti al gruppo etnico dei Rom ‑, a un’altezza facilmente accessibile di circa 1,70 metri, perlopiù nelle abitazioni degli utenti, sulla facciata degli edificio o presso le recinzioni.

22.

Per consentire all’utente di compiere un controllo visivo, quantomeno indiretto, anche nel caso dei contatori elettrici installati ad altezze elevate, la CHEZ si è impegnata nelle sue condizioni generali di contratto a mettere a disposizione su richiesta scritta dell’utente, gratuitamente ed entro tre giorni, un veicolo speciale munito di una piattaforma elevatrice con la quale i dipendenti della CHEZ possono effettuare la lettura dei contatori. Tuttavia, ad oggi, nessun utente si è avvalso di questa possibilità. In alternativa, l’utente può far installare a pagamento un contatore di controllo nel proprio appartamento. In tali quartieri non esistono altre possibilità per gli utenti di effettuare un controllo visivo.

23.

In base all’ordinanza di rinvio, nei mezzi di informazione sono state diffuse notizie su un nuovo tipo di contatori elettrici che consentono di effettuare una lettura a distanza e di segnalare inoltre all’impresa fornitrice di elettricità i tentativi di manomissione.

B – Il procedimento principale

24.

Il 5 dicembre 2008 la sig. ra Nikolova ha presentato un ricorso dinanzi alla commissione bulgara per la lotta alle discriminazioni ( 13 ) (in prosieguo: la «KZD») contestando il carattere discriminatorio della prassi controversa adottata dalla CHEZ. Nel suo ricorso essa lamentava una «discriminazione diretta» sulla base della sua «nazionalità» ( 14 ). Essa affermava inoltre che le sue fatture erano eccessive in relazione ai consumi effettivi e manifestava il dubbio che la CHEZ indicasse un livello dei consumi eccessivo per compensare altre perdite nel quartiere interessato. La sig. ra Nikolova osservava inoltre che l’installazione dei contatori in un luogo non accessibile per un normale controllo visivo le impediva di leggere i dati relativi al suo consumo di corrente e di controllare le relative fatture.

25.

In base a una perizia tecnica giudiziale, nel caso della sig. ra Nikolova non si era verificato né un intervento non autorizzato né un allacciamento illegale alla rete di elettricità.

26.

Con decisione del 6 aprile 2010 la KZD ha accertato che la pratica controversa costituiva una «discriminazione indiretta» in ragione della «nazionalità» che non poteva essere giustificata. Su istanza della CHEZ la decisione in parola è stata però annullata con sentenza del Varhoven administrativen sad ( 15 ) del 19 maggio 2011, in particolare in quanto non era chiaro rispetto a quale altra nazionalità la sig. ra Nikolova sarebbe stata discriminata. La causa veniva rimessa dinanzi alla KZD ai fini del riesame.

27.

Il 30 maggio 2012 la KZD si pronunciava nuovamente sulla causa e accertava una «discriminazione diretta» sulla base della «situazione personale» della sig. ra Nikolova. La KZD motivava affermando che la sig. ra Nikolova aveva ricevuto dalla CHEZ, in ragione del luogo in cui svolge la sua attività, un trattamento più sfavorevole rispetto a quello riservato a tutti gli altri clienti, i cui contatori erano installati in una posizione accessibile ai fini di un controllo visivo. La KZD ingiungeva alla CHEZ di cessare tale violazione, ripristinare la parità di trattamento nei confronti della sig. ra Nikolova e astenersi in futuro da siffatte pratiche discriminatorie.

28.

Avverso la suddetta decisione la CHEZ ha presentato un nuovo ricorso, attualmente pendente dinanzi all’Administrativen sad Sofia-grad ( 16 ), il giudice del rinvio nella presente causa. Nel procedimento principale la CHEZ è sostenuta dalla commissione nazionale bulgara di regolamentazione dell’energia e dell’acqua ( 17 ) (in prosieguo: la «DKEVR»).

29.

Il giudice del rinvio ritiene che la presente causa non debba essere esaminata dal punto di vista della «nazionalità» o della «situazione personale», ma con riferimento alla «caratteristica, tutelata, di “etnia”». Il giudice è propenso a ritenere che la sig. ra Nikolova sia vittima di una discriminazione diretta per motivi etnici. L’appartenenza della sig. ra Nikolova al gruppo etnico dei Rom risulta, secondo il suddetto giudice, dal fatto che la stessa si «identifichi» con i Rom del suo quartiere.

IV – Domanda di pronuncia pregiudiziale e procedimento dinanzi alla Corte

30.

Con ordinanza del 5 febbraio 2014, pervenuta nella cancelleria della Corte il 17 febbraio 2014, l’Administrativen sad Sofia‑grad ha sottoposto alla Corte ben dieci questioni pregiudiziali estremamente dettagliate, del seguente tenore:

1)

Se la nozione di «origine etnica» utilizzata nella direttiva 2000/43/CЕ e nell’articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, debba essere interpretata nel senso che ricomprenda un gruppo compatto di cittadini bulgari di origine Rom, quale quello che vive nel quartiere «Gizdova [Mahala]» della città di Dupnitsa.

2)

Se la nozione di «situazione analoga», di cui all’articolo 2, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2000/43, trovi applicazione nella presente fattispecie, in cui nei quartieri Rom gli strumenti di misura a fini commerciali sono installati a un’altezza di 6-7 metri, mentre in altri quartieri, dove la popolazione non è costituita da un gruppo compatto di popolazione Rom, sono di norma posizionati a un’altezza inferiore a 2 metri.

3)

Se l’articolo 2, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2000/43 debba essere interpretato nel senso che con l’installazione di strumenti di misura a fini commerciali nei quartieri Rom a un’altezza compresa tra 6 e 7 metri la popolazione di origine Rom è trattata meno favorevolmente rispetto alla popolazione di origine etnica diversa.

4)

Se, qualora si riconosca un trattamento meno favorevole, la suddetta disposizione debba essere interpretata nel senso che, nella fattispecie del procedimento principale, tale trattamento dipenda in tutto o in parte dalla circostanza che si tratti del gruppo etnico dei Rom.

5)

Se una norma nazionale quale l’articolo 1, punto 7, delle disposizioni complementari dello Zakon za zashtita ot diskriminatsia (legge sulla tutela contro le discriminazioni), ai sensi del quale qualsiasi atto, azione o omissione che arreca pregiudizio direttamente o indirettamente a diritti o legittimi interessi è un «trattamento sfavorevole», sia compatibile con la direttiva 2000/43.

6)

Se la nozione di «prassi apparentemente neutra» ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2000/43 sia applicabile alla prassi seguita dalla CEZ Razpredelenie Bulgaria AD di installare i contatori a un’altezza compresa tra 6 e 7 metri. Come si debba interpretare la nozione «apparentemente»: se nel senso che la prassi sia manifestamente neutra o nel senso che appaia solo a prima vista neutra, ovvero sia apparentemente neutra.

7)

Se, affinché sussista una discriminazione indiretta ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2000/43, sia necessario che la prassi neutra metta le persone in una posizione di particolare svantaggio a motivo della loro razza o origine etnica, o se sia sufficiente che tale prassi colpisca solo persone con una determinata origine etnica. Se in tale contesto sia ammissibile ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2000/43 una disposizione nazionale quale l’articolo 4, paragrafo 3, dello ZZD, secondo cui si è in presenza di una discriminazione indiretta quando una persona viene posta in una posizione meno favorevole sulla base di caratteristiche menzionate al paragrafo 1 (compresa l’etnia).

8)

Come si debba interpretare la nozione di «posizione di particolare svantaggio» ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2000/43. Se essa corrisponda alla nozione «meno favorevolmente», utilizzata nell’articolo 2, paragrafo 2, lettera a), della medesima direttiva, o se comprenda solo casi particolarmente rilevanti, evidenti e gravi di disparità di trattamento. Se la prassi descritta nella presente fattispecie rappresenti una situazione di particolare svantaggio. Qualora non si tratti di un caso rilevante, evidente e grave di persone poste in una posizione di svantaggio, se ciò sia sufficiente per escludere la presenza di una discriminazione indiretta (senza verificare se la corrispondente prassi risulti giustificata, appropriata e necessaria in relazione al conseguimento di una finalità legittima).

9)

Se, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, lettere a) e b), della direttiva 2000/43 siano ammissibili disposizioni nazionali quali l’articolo 4, paragrafi 2 e 3, dello ZZD, che ai fini della sussistenza di una discriminazione diretta richiedono un «trattamento più sfavorevole» e per considerare una discriminazione come indiretta presuppongono che si debba «collocare una persona (…) in una posizione più sfavorevole», senza differenziare come la direttiva in base alla gravità dello specifico trattamento meno favorevole.

10)

Se l’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2000/43 debba essere interpretato nel senso che la prassi in discussione della CEZ Razpredelenie Bulgaria AD sia oggettivamente giustificata in considerazione della necessità di garantire la sicurezza della rete di elettricità e il corretto rilevamento del consumo di corrente. Se tale prassi sia appropriata anche tenuto conto dell’obbligo della convenuta di consentire agli utenti il libero accesso agli schermi dei contatori. Se tale prassi risulti necessaria qualora, in base a pubblicazioni nei mezzi di informazione, siano noti altri strumenti accessibili tecnicamente e finanziariamente per garantire la sicurezza degli strumenti di misura a fini commerciali.

31.

La CHEZ, la sig. ra Nikolova, la KZD, il governo bulgaro e la Commissione europea hanno presentato osservazioni scritte. Ad eccezione della KZD, le medesime parti erano rappresentate anche all’udienza del 13 gennaio 2015.

V – Analisi

32.

Le autorità e i giudici aditi a livello nazionale hanno analizzato i fatti della controversia oggetto del procedimento principale dai più diversi punti di vista, in particolare con riguardo alla discriminazione in ragione della «nazionalità» e della «situazione personale», vietata dal diritto nazionale. Dal punto di vista del diritto dell’Unione si pone tuttavia soltanto la questione se una prassi come quella controversa nel procedimento principale integri una discriminazione sulla base dell’origine etnica ai sensi della direttiva 2000/43. Anche la domanda di pronuncia pregiudiziale sottoposta dall’Administrativen sad Sofia‑grad alla Corte mira in definitiva a chiarire detta questione.

33.

È opportuno suddividere l’ampio elenco di questioni del giudice del rinvio per temi, distinguendo, nel farlo, tra l’ambito di applicazione del divieto di discriminazione (v. infra, sezione A), la nozione di discriminazione (v., oltre, sul punto, sezione B) e i motivi di un’eventuale giustificazione della prassi controversa (v., sul punto, più oltre, sezione C).

A – L’ambito di applicazione del divieto di discriminazione fondata sull’origine etnica

34.

Occorre anzitutto esaminare se una fattispecie come quella oggetto del procedimento principale ricada nell’ambito di applicazione del divieto di discriminazione fondata sull’origine etnica ai sensi della direttiva 2000/43.

35.

Il giudice del rinvio, come da esso stesso riconosciuto, non ha dedicato a tale problematica una questione specifica, salvo un riferimento piuttosto criptico a un «gruppo compatto di cittadini bulgari di origine Rom» nella prima questione pregiudiziale. Alla luce delle motivazioni della domanda di pronuncia pregiudiziale il giudice del rinvio si attende tuttavia che la Corte si esprima chiaramente sulla questione se una prassi come quella controversa nel procedimento principale rientri nel divieto di discriminazione.

1. Ambito di applicazione ratione materiae

36.

La CHEZ è l’unica delle parti del procedimento a ritenere che la prassi controversa non ricada affatto nell’ambito di applicazione ratione materiae della direttiva 2000/43.

37.

L’argomento in parola, su cui l’impresa si era peraltro già fondata nella causa Belov, non può trovare accoglimento.

38.

In quanto parte della fornitura di beni e servizi a disposizione del pubblico, la fornitura di energia elettrica ricade indubbiamente nei settori in cui, a norma dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera h), della direttiva 2000/43, è vietata ogni discriminazione fondata sulla razza o sull’origine etnica.

39.

Come da me già ampiamente illustrato nella causa Belov ( 18 ), si può parlare di fornitura di energia elettrica non discriminatoria solo se anche le condizioni generali di tale fornitura agli utenti sono strutturate in modo non discriminatorio. La messa a disposizione dei contatori fa parte delle condizioni alle quali la CHEZ fornisce l’elettricità ai suoi clienti.

40.

Inoltre, la disciplina del mercato interno dell’energia elettrica, comprese le informazioni fornite agli utenti finali sul consumo di elettricità mediante contatori, rientra nei settori di competenza del legislatore dell’Unione. Anche la condizione introduttiva di cui all’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2000/43, secondo cui tale direttiva si applica soltanto nell’ambito delle competenze attribuite all’Unione, è quindi soddisfatta ( 19 ).

41.

La prassi controversa ricade di conseguenza nell’ambito di applicazione ratione materiae della direttiva 2000/43.

2. Ambito di applicazione ratione personae

42.

Molto più interessante dell’ambito di applicazione ratione materiae risulta, nel caso di specie, l’ambito di applicazione ratione personae della direttiva 2000/43, al quale ora mi dedico. Il giudice del rinvio accenna a tale problema nella sua prima questione pregiudiziale, quando parla di un «gruppo compatto di cittadini bulgari di origine Rom» e precisa che i Rom in Bulgaria godono dello status di minoranza etnica.

43.

Dal punto di vista europeo occorre osservare che, notoriamente, i Rom devono essere considerati un gruppo etnico autonomo, che necessita inoltre di una particolare tutela. In questo senso si è espressa anche la Corte europea dei diritti dell’uomo (in prosieguo: la «Corte eur. D.U.») ( 20 ). La sua giurisprudenza deve essere presa in considerazione in sede di interpretazione e applicazione del divieto di discriminazione fondata sulla razza e sull’origine etnica previsto dal diritto dell’Unione come oggi sancito a livello di diritto primario nell’articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali ( 21 ).

44.

La mera constatazione che i Rom rappresentano un autonomo gruppo etnico non permette tuttavia, nel caso di specie, di rispondere in modo soddisfacente alla domanda circa l’ambito di applicazione ratione personae della direttiva 2000/43. Resta da esaminare se e in che misura una persona nella situazione della sig. ra Nikolova, in circostanze analoghe a quelle del procedimento principale, possa invocare il divieto di discriminazione fondata sull’origine etnica.

a) La ricorrente può essere considerata una Rom?

45.

Le riflessioni dovrebbero prendere le mosse dalla considerazione che tutti gli appartenenti a un gruppo etnico godono, in base al diritto dell’Unione, di tutela contro qualsiasi forma di discriminazione fondata sull’origine etnica.

46.

Il caso della sig. ra Nikolova, il cui ricorso ha dato origine al procedimento principale, si distingue tuttavia per la peculiarità che la ricorrente ha dichiarato essa stessa dinanzi alla Corte di non appartenere al gruppo etnico dei Rom.

47.

Sebbene la valutazione dei fatti e l’applicazione delle disposizioni di diritto – compreso il diritto dell’Unione – rientrino nella competenza esclusiva del giudice del rinvio, spetta tuttavia alla Corte fornire al giudice nazionale tutte le indicazioni utili al fine di facilitare la soluzione della controversia ( 22 ).

48.

In tale contesto occorre osservare che dal comportamento della sig. ra Nikolova nel procedimento principale e in particolare dall’eccezione della discriminazione etnica da essa sollevata non si può dedurre troppo precipitosamente la sua appartenenza al gruppo etnico dei Rom.

49.

È vero che la sig. ra Nikolova si «identifica» con i Rom di Gizdova Mahala dato che anch’essa – come tutti gli altri abitanti del suddetto quartiere – è interessata dalla prassi controversa e dal suo effetto stigmatizzante. Di per sé ciò non significa necessariamente che la sig. ra Nikolova debba essere considerata appartenente al gruppo etnico dei Rom. Nel procedimento principale la sig. ra Nikolova si limita in effetti a contestare dinanzi alle autorità nazionali competenti la medesima prassi che colpisce anche i Rom nel quartiere di Gizdova Mahala. Tale circostanza non permette però di trarre conclusioni in merito alla sua appartenenza etnica.

50.

Se ella debba essere considerata o meno come appartenente al gruppo etnico in parola è dubbio, e dirimente resta, in definitiva, la valutazione personale dell’interessata ( 23 ).

51.

Fatti salvi gli accertamenti che compete al giudice del rinvio compiere, d’ora innanzi muoverò quindi dal presupposto – sulla base delle informazioni fornite dalla stessa sig. ra Nikolova dinanzi alla Corte – che essa non debba essere inclusa nel gruppo etnico dei Rom.

b) La ricorrente può essere considerata discriminata «per associazione»?

52.

Il solo fatto che la ricorrente non sembrerebbe appartenere al gruppo etnico dei Rom non esclude affatto che essa possa invocare, in una fattispecie come quella oggetto del procedimento principale, il divieto di discriminazione fondata sull’origine etnica.

53.

Occorre infatti ricordare che né l’articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali né molte delle versioni linguistiche della direttiva 2000/43 limitano l’applicazione del principio della parità di trattamento a persone che sono discriminate in ragione della «loro» (qui nel senso di «propria») razza o origine etnica ( 24 ). Le disposizioni applicabili di diritto dell’Unione sono invece formulate in modo generico e vietano ogni discriminazione alla cui base vi siano «la» razza o «l»‘origine etnica.

54.

Questa piccola ma sottile differenza di formulazione non è casuale. Essa ha una portata considerevole ai fini dell’interpretazione e dell’applicazione del divieto di discriminazione il cui ambito di applicazione non può essere interpretato in senso restrittivo ( 25 ). In linea con l’obiettivo generale di stabilire un quadro per la lotta contro le discriminazioni (articolo 1 della direttiva 2000/43) la suddetta formulazione aperta permette anche alle persone discriminate soltanto «per associazione» di invocare il divieto di discriminazione.

55.

La Corte ha già avuto occasione di riconoscere, nella sentenza Coleman, con riguardo a una disabilità ( 26 ), una tutela di fronte a questa particolare forma di discriminazione, indicata in francese, in modo molto appropriato, con l’espressione «discrimination par association» (discriminazione per associazione) o «discrimination par ricochet» (discriminazione di riflesso).

56.

Gli insegnamenti della sentenza Coleman possono essere senz’altro trasposti al caso di specie, anche se all’epoca la normativa applicabile non era la direttiva 2000/43 ma la direttiva 2000/78, ad essa collegata ( 27 ). Nei punti qui decisivi, queste due direttive collegate presentano infatti un medesimo contenuto e sono in definitiva espressione del principio della parità di trattamento che rappresenta uno dei principi fondamentali del diritto dell’Unione ed è sancito nell’articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali ( 28 ).

57.

Discriminato «per associazione» è anzitutto chi si trova in un rapporto personale stretto con una persona che possiede una delle caratteristiche indicate nell’articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali e nelle direttive antidiscriminazione. Nella sentenza Coleman si trattava ad esempio di una lavoratrice vittima di un clima ostile sul luogo di lavoro in ragione della disabilità del figlio ( 29 ).

58.

La sussistenza di un tale legame personale non è però l’unico criterio immaginabile al fine di considerare che una persona sia discriminata «per associazione». Il carattere discriminatorio «per associazione» può anche essere insito alla misura considerata, quando tale misura, in ragione del suo carattere generale e collettivo, non soltanto è idonea a colpire le persone che possiedono una delle caratteristiche indicate nell’articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali e nelle direttive antidiscriminazione, ma ricomprende anche altre persone, come se si trattasse, per così dire, di «danni collaterali».

59.

Ipotizziamo che un gruppo di sei persone voglia andare a pranzo insieme in un ristorante e non riceva un tavolo in ragione del colore della pelle di una di esse. È evidente che questo episodio di razzismo deve essere considerato discriminatorio non soltanto nei confronti della prima persona, colpita direttamente, ma anche, «per associazione», nei confronti delle altre cinque persone. Per il suddetto motivo razzista, nessuno di loro viene infatti servito nel ristorante. In tal caso non fa alcuna differenza sostanziale che si tratti di familiari, di un gruppo di amici o di uomini d’affari che si incontrano magari per la prima volta.

60.

Nel caso di specie accade qualcosa di molto simile: la prassi controversa della CHEZ è diretta in modo generale e collettivo contro tutte le persone che detta impresa rifornisce di energia elettrica a Gizdova Mahala. Qualora emerga che a tale prassi si ricollega una discriminazione contro i Rom che vivono nel quartiere considerato ( 30 ), il carattere generale e collettivo della prassi comporterebbe necessariamente che vengano discriminate «per associazione» anche persone che non sono Rom. Anch’esse infatti sarebbero colpite dall’effetto stigmatizzante di questa misura generale e collettiva, proprio come accade per i Rom. Anch’esse si trovano quindi esposte a un ambiente discriminatorio e degradante, al quale la prassi controversa contribuisce ( 31 ).

61.

Ne consegue che la sig. ra Nikolova, quale ricorrente nel procedimento principale, può invocare il divieto di discriminazione fondata sull’origine etnica anche se non appartiene al gruppo etnico dei Rom ( 32 ).

c) La ricorrente può, quale imprenditrice, invocare il divieto di discriminazione?

62.

Resta infine da esaminare se alla sig. ra Nikolova possa essere precluso di invocare il divieto di discriminazione in ragione del fatto che essa evidentemente non vive nel quartiere di Gizdova Mahala ma vi gestisce soltanto un negozio di alimentari.

63.

Benché né il giudice del rinvio, né le parti del procedimento abbiano attribuito grande rilievo a tale circostanza, mi sia permesso osservare che la tutela dei diritti fondamentali riconosciuta alle imprese non ha necessariamente una portata tanto ampia quanto quella accordata ai singoli individui.

64.

Non è però affatto escluso che anche persone operanti in qualità di imprenditori possano invocare il divieto di discriminazione fondata sull’origine etnica. Né nell’articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali, né nella direttiva 2000/43 si rinviene una regola o anche solo un riferimento al fatto che soltanto i privati che agiscono al di fuori della loro eventuale attività economica debbano essere tutelati contro le discriminazioni.

65.

Al contrario: è evidente che anche le persone economicamente attive sono esposte in diversi modi al rischio di divenire vittime di discriminazione in ragione di determinate caratteristiche personali, in particolare in ragione delle caratteristiche elencate all’articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali e nelle direttive antidiscriminazione. Il divieto di discriminazione, come concretizzato dalla direttiva 2000/43, si applica quindi espressamente anche in materia di occupazione e di lavoro, circostanza questa che può desumersi non da ultimo dalla definizione del suo ambito di applicazione di cui all’articolo 3, paragrafo 1, lettere da a) a d), della direttiva. Anche le persone giuridiche possono, se del caso, godere di tutela contro le discriminazioni ( 33 ).

66.

Nel caso di specie occorre osservare inoltre che la ricorrente gestisce il suo negozio di alimentari a Gizdova Mahala in qualità di imprenditrice individuale. Fatti salvi gli accertamenti di fatto del giudice del rinvio, si deve pertanto ritenere che la sig. ra Nikolova sia solitamente presente di persona nel negozio, che vi lavori e che sia quindi esposta nella sua qualità di persona fisica economicamente attiva alla prassi controversa – e anche al suo effetto stigmatizzante – in modo analogo alle persone che abitano e vivono nel quartiere di cui trattasi.

67.

In tale contesto, la circostanza che la ricorrente sia interessata dalla prassi controversa soltanto nella sua qualità di imprenditrice individuale non è idonea a escludere, nel caso di specie, l’applicazione del divieto di discriminazione.

3. Conclusione intermedia

68.

Nel complesso, una fattispecie come quella oggetto del procedimento principale ricade quindi nell’ambito di applicazione del divieto di discriminazione fondata sull’origine etnica sancito dal diritto dell’Unione a norma della direttiva 2000/43.

B – La nozione di discriminazione

69.

Quale secondo aspetto occorre esaminare se la prassi controversa conduca a una discriminazione – più correttamente, in effetti, a una disparità di trattamento – fondata sull’origine etnica. Alla luce delle questioni pregiudiziali dalla seconda alla nona, il giudice del rinvio si chiede quali siano i presupposti giuridici per l’accertamento di una tale discriminazione e se occorra accertare, se del caso, una discriminazione diretta oppure una discriminazione indiretta.

70.

Le parti in causa sono evidentemente in disaccordo su questo punto. Mentre la sig. ra Nikolova muove dall’esistenza di una discriminazione diretta, il governo bulgaro e la Commissione europea tendono a ravvisare una discriminazione indiretta. La KZD rimanda semplicemente alla sua decisione adottata nel procedimento principale, mentre la CHEZ, secondo cui la direttiva 2000/43 non sarebbe applicabile, si limita a svolgere considerazioni generali sulla nozione di discriminazione.

71.

La distinzione fra discriminazione diretta e indiretta è importante sotto il profilo giuridico soprattutto in quanto le possibilità di giustificazione divergono a seconda che la disparità di trattamento su cui la discriminazione si fonda sia collegata alla razza o all’origine etnica direttamente o indirettamente ( 34 ).

72.

Le possibilità di giustificare una disparità di trattamento indiretta sono formulate nell’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2000/43, in termini molto generici («oggettivamente giustificat[a] da una finalità legittima»), mentre una disparità di trattamento diretta può essere giustificata soltanto «in casi strettamente limitati» ( 35 ), segnatamente mediante «[r]equisiti essenziali e determinanti per lo svolgimento dell’attività lavorativa» ai sensi dell’articolo 4 della direttiva (ipotesi non pertinente per la fattispecie in esame).

73.

Ne consegue che i possibili obiettivi che possono essere presi in considerazione per giustificare una disparità di trattamento diretta fondata sulla razza o sull’origine etnica hanno una minore estensione di quelli che possono giustificare una discriminazione indiretta, per quanto i requisiti inerenti l’esame di proporzionalità siano sostanzialmente gli stessi.

74.

Spetta in effetti soltanto al giudice del rinvio valutare se le circostanze del procedimento principale portino a una discriminazione diretta o indiretta, in quanto solo ad esso compete accertare e valutare le circostanze di fatto e applicare il diritto alla fattispecie concreta ( 36 ). La Corte può però fornire tutte le indicazioni che possano facilitare al giudice nazionale la soluzione della controversia principale ( 37 ). Alla luce dei dubbi sollevati a tal riguardo nell’ordinanza di rinvio e alla luce delle differenze illustrate nella giurisprudenza dei giudici bulgari, la Corte non dovrebbe rinunciare a fornire tali indicazioni.

1. Considerazione preliminare: non è necessario che sussista una violazione di diritti o interessi legittimi

75.

Occorre in via preliminare esaminare brevemente se l’accertamento di una discriminazione fondata sull’origine etnica possa essere subordinato alla lesione diretta o indiretta di diritti o interessi legittimi. Il giudice del rinvio solleva tale problema nella sua quinta questione pregiudiziale. Essa si pone in ragione del fatto che, a norma dell’articolo 1, punto 7, delle disposizioni complementari allo ZZD, un «trattamento sfavorevole» dovrebbe sussistere solo quando «[è] arrec[ato] pregiudizio direttamente o indirettamente a diritti o legittimi interessi».

76.

Tuttavia, come già osservato nella sentenza Belov ( 38 ), né l’accertamento di una discriminazione diretta, né l’accertamento di una discriminazione indiretta presuppongono una tale violazione di diritti o interessi stabiliti dalla legge. Ciò che rileva, invece, è unicamente la sussistenza di un trattamento meno favorevole o di uno svantaggio, a prescindere dall’oggetto del suddetto trattamento o svantaggio, dalla violazione di diritti o interessi ed, eventualmente, quali di essi subiscano tale violazione. Si aggiunga che, secondo la giurisprudenza della Corte, la discriminazione non presuppone neppure una vittima identificabile ( 39 ).

77.

Per ravvisare l’esistenza di una discriminazione è quindi sufficiente che una persona o un gruppo di persone siano trattate meno favorevolmente di quanto sono, sono state o sarebbero trattate altre persone o altri gruppi di persone. La previsione di ulteriori condizioni, non contemplate dalla direttiva 2000/43, non sarebbe compatibile con l’obiettivo dell’elevato grado di tutela perseguito dal legislatore dell’Unione.

78.

Occorre quindi rispondere in senso negativo alla quinta questione.

79.

Solo per esigenze di completezza, aggiungo che, nel caso di specie, si discute evidentemente di diritti o interessi legittimi delle persone residenti a Gizdova Mahala in relazione alla loro fornitura di energia elettrica. Quali clienti finali essi dovrebbero infatti, come previsto dal diritto dell’Unione, poter disporre dei dati relativi ai loro consumi ed essere adeguatamente informati del consumo effettivo di energia elettrica e dei relativi costi, con frequenza tale da consentire loro di regolare il proprio consumo di energia elettrica ( 40 ). Tale interesse dei consumatori, giuridicamente tutelato, è leso a Gizdova Mahala da una prassi come quella di cui trattasi del procedimento principale.

2. Sulla discriminazione diretta

80.

A norma dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2000/43, sussiste discriminazione diretta quando, a causa della sua razza od origine etnica ( 41 ) una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra in una situazione analoga.

81.

Né dall’ordinanza di rinvio, né dalle osservazioni delle parti si evincono elementi concreti indicanti che la prassi controversa sia stata scelta specificamente a causa dell’origine etnica degli abitanti di Gizdova Mahala o sia collegata ad una circostanza indissolubilmente connessa con la loro origine etnica.

82.

Di certo l’accertamento di una discriminazione diretta fondata sull’origine etnica non presuppone necessariamente che la prassi controversa sia motivata dall’origine etnica. Occorre invece riconoscere una discriminazione diretta anche quando la misura, seppur apparentemente neutra, riguarda in realtà o può riguardare soltanto persone che presentano una delle caratteristiche indicate nell’articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali e nelle direttive antidiscriminazione.

83.

In tal senso, la Corte ha avuto già occasione di dichiarare, con riferimento ad altri divieti di discriminazione, che il riferimento a una gravidanza deve essere considerato una discriminazione diretta fondata sul sesso, dal momento che può riguardare soltanto donne ( 42 ), e di qualificare le disposizioni collegate al diritto all’erogazione di una pensione di vecchiaia come discriminazione diretta basata sull’età, in quanto hanno ripercussioni soltanto a favore o a danno di persone di una determinata età ( 43 ). In modo analogo, la Corte riconosce l’esistenza di una discriminazione diretta fondata sull’orientamento sessuale se un vantaggio previsto per i coniugi è negato alle persone dello stesso sesso che hanno contratto un’unione registrata assimilabile al matrimonio, e che non hanno accesso all’istituto del matrimonio ( 44 ).

84.

Circostanze comparabili non sussistono tuttavia nel caso di specie.

85.

È vero che la prassi controversa trova de facto applicazione soltanto nei quartieri come Gizdova Mahala, abitati prevalentemente da un determinato gruppo etnico. Essa non riguarda però assolutamente soltanto persone che appartengono al suddetto gruppo etnico – nel caso di specie i Rom – ma viene invece applicata anche nei confronti di tutti gli altri clienti dell’impresa di energia elettrica – ad esempio la sig. ra Nikolova – che risiedono in tali quartieri a prescindere dalla loro origine etnica. Al contrario, i Rom che vivono in altre parti della città o del paese, abitati prevalentemente da altri gruppi etnici, non sono per nulla interessati dalla prassi controversa.

86.

A quanto consta, la prassi controversa colpisce i consumatori ai quali la CHEZ fornisce energia elettrica nel quartiere di Gizdova Mahala soltanto in ragione della loro qualità di residenti. Tale prassi non è dunque indissolubilmente collegata alla loro origine etnica, come la gravidanza lo è al sesso di una persona, la legittimazione a percepire una pensione di anzianità all’età di detta persona e la convivenza in un’unione registrata all’orientamento sessuale ( 45 ).

87.

In tale contesto, non mi sembra che, nel caso di specie, sussistano elementi sufficienti per ravvisare una discriminazione diretta ( 46 ). La circostanza che la prassi controversa si riscontri de facto soltanto nei quartieri abitati prevalentemente da Rom, con la conseguenza che essa si ripercuote in modo particolare sugli appartenenti a tale gruppo etnico, non è a mio avviso da sola sufficiente a invertire l’onere della prova ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, della direttiva 2000/43, ai fini di ammettere una discriminazione diretta fondata sull’origine etnica.

88.

Resta però da esaminare se tale circostanza possa permettere di ravvisare una discriminazione indiretta.

3. Sulla discriminazione indiretta

a) Definizione di discriminazione indiretta ai sensi della direttiva 2000/43

89.

A norma dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2000/43, sussiste discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono mettere persone di una determinata razza od origine etnica in una posizione di particolare svantaggio rispetto ad altre persone, a meno che tale disposizione, criterio o prassi siano oggettivamente giustificati da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari.

90.

In relazione alle due componenti della suddetta definizione di discriminazione indiretta nel diritto dell’Unione il giudice del rinvio sembra incontrare, alla luce della sua sesta, settima e ottava questione, talune difficoltà di comprensione che potrebbero, almeno in parte, dipendere dalle particolarità della versione linguistica bulgara della direttiva 2000/43: si tratta, da un lato, dell’espressione «apparentemente» e, dall’altro, dalla formulazione «mettere (…) in una posizione di particolare svantaggio».

91.

In linea con l’obiettivo generale della direttiva 2000/43 di garantire la migliore tutela possibile contro le discriminazioni e di raggiungere un più alto livello di protezione ( 47 ), nessuna di queste due parti della frase può essere interpretata come una limitazione della nozione di discriminazione.

92.

Pertanto, il termine «apparentemente» ( 48 ), di cui all’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2000/43, può essere interpretato solo nel senso che si tratta di disposizioni, criteri o prassi apparentemente o prima facie neutrali. Al contrario, tale termine non può semplicemente significare che le disposizioni, i criteri o le prassi controverse debbano essere neutrali in modo particolarmente evidente come sembra considerare il giudice del rinvio. Ciò avrebbe infatti la conseguenza, oltremodo illogica, che si dovrebbe negare la sussistenza di una discriminazione indiretta ogniqualvolta le disposizioni, i criteri o le prassi dovessero risultare «meno neutri» di quanto possa sembrare a prima vista. Ne potrebbe derivare una lacuna nella tutela contro le discriminazioni che non può essere in nessun caso voluta.

93.

Per quanto attiene all’espressione «mettere (…) in una posizione di particolare svantaggio», di cui all’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2000/43, anch’essa non può essere interpretata erroneamente nel senso che solo uno svantaggio particolarmente grave per gli appartenenti a una razza o a un gruppo etnico giustificherebbe una discriminazione indiretta. Con tale formulazione si intende invece che occorre ravvisare sempre una discriminazione indiretta quando disposizioni, criteri o prassi apparentemente neutrali abbiano per determinate persone – gli appartenenti a una determinata razza o gruppo etnico – conseguenze più negative che per altre ( 49 ). In altri termini, la sussistenza di una discriminazione indiretta non dipende dalla particolare gravità dello svantaggio patito dalle persone di una determinata razza o origine etnica. La gravità dello svantaggio può tuttavia assumere rilievo nell’ambito della valutazione della giustificazione della misura in questione: quanto più grave è lo svantaggio, tanto più rigorose sono le condizioni per la giustificazione.

b) Trasposizione della definizione al caso di specie

94.

In base alle indicazioni del giudice del rinvio la prassi controversa è seguita soltanto in quartieri abitati prevalentemente da Rom. Tale circostanza è pacifica tra le parti. È quindi evidente che la prassi controversa pone i membri di tale gruppo etnico in una posizione di particolare svantaggio.

95.

È anche chiaro che una tale prassi si rivela pregiudizievole per i consumatori interessati sotto due punti di vista: da un lato viene loro precluso o, quantomeno, reso eccessivamente difficoltoso il controllo visivo dei loro contatori elettrici. Qualora vogliano informarsi regolarmente e personalmente sul proprio consumo di energia elettrica, l’unica possibilità a loro disposizione è far installare un contatore di controllo nella propria abitazione, con conseguenti costi aggiuntivi a loro carico ( 50 ). Dall’altro, la prassi controversa è idonea ad avere un effetto stigmatizzante, dal momento che può dare l’impressione, all’esterno, che i consumatori interessati abbiano manomesso i propri contatori o che si siano illegalmente allacciati alla rete elettrica.

96.

Il fatto che siano prevalentemente i Rom a subire gli svantaggi derivanti dalla prassi controversa depone nel senso dell’esistenza di una disparità di trattamento dei consumatori del quartiere di Gizdova Mahala rispetto ad altre parti del paese, collegata indirettamente alla loro origine etnica.

97.

Non è possibile negare la sussistenza di una siffatta disparità di trattamento indiretta sostenendo che la CHEZ garantisce la parità di trattamento a tutti i consumatori nel quartiere di Gizdova Mahala.

98.

Certamente, la prassi controversa interessa allo stesso modo tutti i destinatari della fornitura di elettricità residenti nel quartiere in parola, a prescindere dal fatto che appartengano o meno al gruppo etnico dei Rom. Tuttavia, dirimente ai fini della verifica della discriminazione che qui rileva non è il confronto tra persone che subiscono tutte il medesimo svantaggio, ma il confronto tra persone svantaggiate, da un lato, e persone che non lo sono, dall’altro.

99.

Proprio il confronto con i clienti che ricevono la fornitura di elettricità al di fuori del quartiere interessato dimostra che la prassi controversa concernente la fornitura della corrente elettrica comporta una disparità di trattamento a danno dei consumatori residenti a Gizdova Mahala ( 51 ), che sono prevalentemente Rom.

100.

La CHEZ eccepisce che la situazione dei consumatori all’interno e all’esterno del quartiere di Gizdova Mahala non è paragonabile, cosicché la prassi controversa non potrebbe comportare alcuna disparità di trattamento.

101.

Tale obiezione deve essere respinta. È vero che in quel quartiere si sono registrati numerosi casi di interventi illegali sui contatori e di prelievo illegale di corrente, mentre altrove non è così. Tuttavia, l’interesse dei consumatori a poter accedere ai propri contatori ed essere riforniti di energia elettrica senza stigmatizzazioni è il medesimo tanto nel quartiere di cui trattasi, quanto altrove. Almeno sotto questo profilo, tutti i clienti della CHEZ si trovano in una situazione paragonabile. Il fatto che in una determinata zona si verifichino più spesso che altrove interventi illegali sui contatori e sulla rete elettrica deve eventualmente essere preso in considerazione a livello di giustificazione della prassi controversa ( 52 ). Tale circostanza non fa invece venir meno la comparabilità delle situazioni dei consumatori.

c) Una semplice discriminazione indiretta può fondare l’accertamento di una discriminazione «per associazione»?

102.

Resta in conclusione da esaminare brevemente se, nel caso di specie, il fatto che la sig. ra Nikolova, quale ricorrente nel procedimento principale, non appartenga evidentemente al gruppo etnico dei Rom ma sia interessata dalla prassi controversa soltanto in qualità di proprietaria di un negozio di alimentari situato nel quartiere di Gizdova Mahala, osti all’accertamento di una discriminazione indiretta. Si tratta in definitiva di stabilire se il trattamento sfavorevole dei Rom nel quartiere di Gizdova Mahala, sebbene collegato solo indirettamente alla loro origine etnica, costituisca un fondamento ai fini dell’accertamento della discriminazione «per associazione» di cui è vittima la sig. ra Nikolova. In altri termini, si tratta di stabilire se, nel quadro di una discriminazione indiretta, l’accertamento di una discriminazione «per associazione» sia giuridicamente possibile ( 53 ).

103.

La CHEZ sostiene che una discriminazione «per associazione» potrebbe essere riconosciuta soltanto nel quadro di una discriminazione diretta, ma non nell’ambito di una discriminazione indiretta.

104.

Non condivido questa tesi. È vero che la Corte ha avuto sino a oggi l’occasione di analizzare la problematica della discriminazione «per associazione» soltanto in una causa riguardante una discriminazione diretta ( 54 ). Ciò non significa tuttavia che essa abbia completamente escluso l’ammissibilità di una discriminazione «per associazione» nel caso di una discriminazione indiretta.

105.

Nessuna delle parti ha dedotto peculiarità strutturali inerenti alla discriminazione indiretta ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2000/43, che possano escludere la possibilità di considerare che una persona sia discriminata «per associazione», né tali peculiarità sono ravvisabili.

106.

Del resto, ritengo che sia corretto ammettere la nozione di discriminazione «per associazione» nel contesto della discriminazione indiretta nello stesso modo in cui la si ammette nel contesto della discriminazione diretta.

107.

Un esempio riferito a un altro motivo di discriminazione analogo, anch’esso menzionato nell’articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali, può chiarire tale affermazione: quando, all’interno di un’impresa, i figli dei lavoratori maschi hanno diritto a determinati vantaggi sociali, ad esempio l’accesso all’asilo aziendale, mentre i figli delle lavoratrici non ne hanno diritto, sussiste una discriminazione diretta fondata sul sesso del lavoratore. Se, al contrario, i figli dei dipendenti a tempo pieno hanno diritto alla suddetta agevolazione, che non viene concessa ai figli dei dipendenti a tempo parziale, si tratta di una discriminazione indiretta basata sul sesso dei lavoratori, dal momento che i dipendenti a tempo parziale sono, spesso, soprattutto donne, mentre i dipendenti a tempo pieno sono soprattutto uomini. In un caso come nell’altro, i figli del gruppo di lavoratori svantaggiato sono discriminati «per associazione». Il fatto che si tratti, nel primo caso, di una discriminazione diretta, e, nel secondo caso, «soltanto» di una discriminazione indiretta basata sul sesso dei lavoratori non può costituire una differenza fondamentale rispetto ai figli.

108.

Anche la prassi di una compagnia di assicurazione di esigere, di norma, in determinati quartieri premi assicurativi più elevati, può risultare indirettamente discriminatoria ai sensi dell’articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali, se la popolazione in detti quartieri appartiene prevalentemente a un determinato gruppo etnico, a una determinata fascia di reddito o a una determinata comunità religiosa. Anche se alcuni abitanti dei quartieri interessati dovessero non appartenere a loro volta a quel gruppo etnico, a quella classe di reddito o a quella comunità religiosa, essi sarebbero discriminati per associazione dal momento che si vedrebbero applicare premi assicurativi superiori.

109.

In questo e in altri casi le peculiarità della discriminazione indiretta – anche quelle della «discriminazione indiretta per associazione» – sono prese in considerazione a sufficienza, dal momento che i possibili obiettivi che possono essere richiamati a giustificazione di una disparità di trattamento indiretta sono più vari rispetto a quelli che possono giustificare una disparità di trattamento diretta ( 55 ).

4. Conclusione intermedia

110.

Tutto considerato, nel caso di una fattispecie come quella del procedimento principale sussiste una disparità di trattamento indiretta fondata sull’origine etnica. Sussiste quindi una presunzione di discriminazione indiretta ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), in combinato disposto con l’articolo 8, paragrafo 1, della direttiva 2000/43.

C – Motivi per un’eventuale giustificazione della prassi controversa

111.

Quale terzo aspetto resta da esaminare, da ultimo, se possa essere ravvisata una giustificazione oggettiva per una prassi come quella controversa nel procedimento principale.

112.

L’analisi di tale problematica presuppone necessariamente che, nel caso di specie, in linea con le mie considerazioni che precedono ( 56 ), sia accertata una disparità di trattamento indiretta fondata sull’origine etnica. Soltanto in tale ipotesi, peraltro, il giudice del rinvio ha trattato il tema nella sua decima questione, come dimostra, in particolare, il suo riferimento all’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2000/43.

113.

Diversamente dalla discriminazione diretta fondata sulla razza o sull’origine etnica che, per ragioni evidenti ( 57 ), non ammette in linea di principio nessuna giustificazione ( 58 ), l’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2000/43 prevede, riguardo alla discriminazione indiretta, che la disposizione, il criterio o la prassi controversi siano ammissibili se oggettivamente giustificati da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari, quindi in definitiva proporzionati. Tale formulazione corrisponde alle condizioni generalmente ammesse in diritto dell’Unione ai fini della giustificazione di una disparità di trattamento indiretta ( 59 ).

1. Finalità legittima

114.

Dalla domanda di pronuncia pregiudiziale e dalle osservazioni scritte e orali presentate dinanzi alla Corte risulta che la prassi controversa nel quartiere di Gizdova Mahala – come anche in alcune altre zone della Bulgaria – è stata introdotta in seguito a numerosi interventi non autorizzati sui contatori e a prelievi illegali di corrente. In tale contesto la CHEZ si richiama alla necessità di quantificare correttamente il consumo di energia dei suoi clienti e di garantire la sicurezza della rete elettrica. Secondo la CHEZ, si tratta inoltre di tutelare la vita e la salute dei consumatori oltre ai loro interessi economici.

115.

Ovviamente, a norma dell’articolo 8, paragrafo 1, della direttiva 2000/43, l’onere di provare che la prassi controversa mira effettivamente a perseguire i suddetti obiettivi e non si fonda invece su motivi connessi, ad esempio, all’origine etnica della maggior parte della popolazione del quartiere di Gizdova Mahala, grava sul soggetto che, nel procedimento principale, invoca siffatte esigenze. In ogni caso, nei periodi in cui, in base al diritto nazionale, è prevista consuetudine o per legge la conservazione della documentazione aziendale sarà possibile richiedere alla CHEZ, in tale contesto, di dimostrare, sulla base della documentazione interna, i processi decisionali che hanno condotto alla prassi controversa. A prescindere da ciò, sarà anche possibile esigere dalla CHEZ di dimostrare concretamente che, al momento attuale, nel quartiere interessato sussiste ancora il pericolo concreto che si verifichino in misura considerevole interventi illegittimi sui contatori e prelievi illegali di corrente.

116.

Presumendo che la condotta della CHEZ sia corretta alla luce degli obiettivi perseguiti, la prassi controversa risulta allora essenzialmente volta a impedire truffe e abusi futuri e a contribuire a garantire, nell’interesse di tutti i consumatori, una fornitura di elettricità di qualità ed economicamente sostenibile.

117.

La prevenzione di truffe e abusi e il loro contrasto, così come la garanzia della sicurezza e della qualità della fornitura di energia elettrica negli Stati membri, sono finalità legittime riconosciute dal diritto dell’Unione ( 60 ).

2. Verifica della proporzionalità

118.

Resta tuttavia da verificare se l’installazione dei contatori elettrici, nel quartiere interessato, a un’altezza di circa 6 metri sia una misura proporzionata ai fini del raggiungimento di questi obiettivi. Ciò presuppone, in forza dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2000/43, che tale misura sia «appropriata e necessaria» alla realizzazione degli obiettivi legittimi perseguiti.

119.

Quand’anche fosse vero che i motivi per la misura controversa sono «generalmente noti» ( 61 ), ciò non esonera la CHEZ dal provare che il principio della parità di trattamento non è stato leso (articolo 8, paragrafo 1, della direttiva 2000/43). Il grado di notorietà dei motivi di una determinata condotta delle imprese nulla dice, infatti, circa la loro giustificazione e, in particolare, la loro proporzionalità ( 62 ).

120.

Si potrebbe anche esigere dall’impresa di verificare la prassi controversa a intervalli regolari e di valutare nuovamente se essa continui a soddisfare i requisiti del principio di proporzionalità.

a) «Appropriatezza» (idoneità) della prassi controversa

121.

Ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2000/43, una misura è «appropriata» quando è idonea al conseguimento della finalità legittima perseguita ( 63 ), il che significa, in questo caso, che la misura può effettivamente impedire truffe e abusi e contribuire a garantire la qualità della fornitura di energia elettrica.

122.

Senza dubbio le manomissioni e i prelievi illegali di energia elettrica risultano più difficili quando i contatori elettrici e le cassette di distribuzione vengono installati a un’altezza di circa 6 metri, di norma non accessibile al consumatore. Il contrasto agli interventi illegali dei singoli sulla rete elettrica ha inoltre effetti tendenzialmente positivi sull’insieme dei consumatori di energia elettrica, poiché riduce il rischio di incidenti, evita i danni all’infrastruttura e consente di scongiurare i temuti aumenti generalizzati dei prezzi dell’elettricità volti a riparare tali danni.

123.

In tale contesto occorre osservare, a margine, che l’idoneità delle misure deve essere sempre valutata rispetto all’obiettivo da esse perseguito. Se, come nel caso di specie, mediante una misura s’intende reagire a numerosi interventi illegali nella fornitura di energia elettrica in una determinata zona, ben difficilmente l’idoneità di tale misura può essere condizionata dal fatto che, in futuro, non si verificheranno più episodi di truffe e abusi, o non verrà più compromessa la qualità della fornitura di energia elettrica. Una siffatta misura deve essere invece considerata idonea al raggiungimento delle sue finalità legittime quando contribuisca a una sensibile riduzione del numero di interventi illegali nella fornitura di elettricità ( 64 ).

124.

Fermi restando gli accertamenti più dettagliati che spetterà al giudice del rinvio compiere, una prassi come quella controversa nel procedimento principale sembra idonea in linea di principio al raggiungimento degli scopi con essa perseguiti.

b) Necessità della prassi controversa

125.

Ammesso che la prassi controversa sia idonea a prevenire truffe e abusi e a garantire la qualità della fornitura di energia elettrica, occorre ora chiedersi se essa sia anche necessaria a tale scopo.

126.

Una misura è necessaria solo se la finalità legittima perseguita non avrebbe potuto essere realizzata mediante uno strumento ugualmente idoneo, ma meno gravoso. Si tratta quindi di esaminare se sarebbe stato possibile ricorrere ad uno strumento meno invasivo per impedire le manomissioni dei contatori elettrici e il prelievo illegale di energia elettrica nel quartiere interessato.

127.

Come già osservato più in dettaglio nella causa Belov ( 65 ), il semplice ricorso successivo a misure di carattere civile o penale contro il presunto autore delle eventuali manomissioni ai contatori o degli allacciamenti illegali alla rete elettrica non può essere considerato uno strumento ugualmente adatto a raggiungere le finalità legittime perseguite nel caso di specie. Lo stesso vale per la proposta di installare a un’altezza maggiore soltanto quei contatori elettrici che sono stati effettivamente manomessi.

128.

Diversamente dalla causa Belov ( 66 ), nel caso di specie non sembra tuttavia a priori irrealistico installare i contatori a un’altezza normale, proteggendoli da manomissioni illegali mediante particolari soluzioni tecniche. In base all’ordinanza di rinvio, i mezzi di informazione hanno infatti diffuso notizie riguardanti un «nuovo tipo di contatori» che consentono una lettura a distanza e permettono inoltre di segnalare all’impresa interessata i tentativi di manomissione.

129.

Un simile modo di procedere costituirebbe sicuramente una misura meno invasiva nei confronti dei consumatori di energia elettrica nei quartieri come Gizdova Mahala. In tal modo si escluderebbe in particolare ogni possibile stigmatizzazione della popolazione locale e verrebbe garantita la possibilità per tutti i consumatori di continuare a controllare visivamente, in modo regolare, i propri contatori elettrici, come sembra verificarsi solitamente altrove in Bulgaria.

130.

Sarà però in definitiva il giudice del rinvio a doversi formare un’opinione sulla possibilità di impiegare il suddetto «nuovo tipo di contatori» con un dispendio economico sostenibile o se ad esso siano collegati costi aggiuntivi notevoli che verrebbero probabilmente addebitati alla totalità dei consumatori di energia. Solo se l’impiego di questo «nuovo tipo di contatori» costituisce effettivamente una misura realistica sotto il profilo tecnico e finanziario ( 67 ), essa potrà costituire un’alternativa meno invasiva, ma nel contempo altrettanto adeguata rispetto alla prassi controversa di installare i contatori a un’altezza di circa 6 metri.

c) Assenza di un pregiudizio eccessivo per gli interessati a causa della prassi controversa

131.

Qualora la prassi controversa si dimostri idonea e necessaria per raggiungere le finalità legittime perseguite, resta ancora da esaminare infine se essa si ripercuota in modo eccessivo sui residenti dei quartieri di Gizdova Mahala ( 68 ). Infatti, dal principio di proporzionalità si evince che le misure lesive di un diritto garantito dall’Unione – nella fattispecie, il divieto di discriminazione in ragione dell’origine etnica – non devono causare per il singolo inconvenienti sproporzionati rispetto alle finalità perseguite ( 69 ). In altri termini, occorre conciliare, per quanto possibile, la finalità legittima perseguita con le esigenze del principio della parità di trattamento e trovare un giusto equilibrio tra i vari interessi in gioco ( 70 ).

– Il carattere stigmatizzante della prassi controversa

132.

A questo proposito occorre anzitutto considerare che l’installazione dei contatori elettrici a un’altezza di circa 6 metri costituisce una misura relativamente drastica, che interessa genericamente e collettivamente tutti i residenti nel quartiere di Gizdova Mahala anche se non si sono resi responsabili di infrazioni alla fornitura di energia elettrica. In tal modo, può sembrare che tutti o quantomeno molti residenti di Gizdova Mahala siano implicati in truffe, manomissioni o altre irregolarità a danno della loro fornitura di energia elettrica, il che equivale a un sospetto generale e può condurre a una stigmatizzazione della popolazione di questo quartiere ( 71 ).

133.

Come già osservato, una prassi come quella controversa nel procedimento principale porta in definitiva alla creazione di un contesto umiliante di cui sono vittime principalmente le persone appartenenti a un determinato gruppo etnico ( 72 ). Ciò contrasta con i valori fondamentali su cui si fonda l’Unione europea (articolo 2 TUE) oltre a essere contrario alle direttive antidiscriminazione (v., in particolare, il divieto di «molestie» ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 3, della direttiva 2000/43).

134.

Nel bilanciare gli interessi contrastanti in un caso come quello in esame occorre riconoscere un’importanza particolare alla suddetta circostanza. Le considerazioni di carattere puramente economico devono passare in secondo piano, con la conseguenza che al fine della lotta alle truffe e agli abusi e della garanzia della sicurezza e della qualità della fornitura di corrente è necessario ricorrere ove possibile a misure economicamente più onerose rispetto all’installazione dei contatori a un’altezza inaccessibile di circa 6 m.

– Requisiti di diritto dell’Unione in relazione alla tutela dei clienti finali

135.

Occorre altresì ricordare – a prescindere da ogni possibile stigmatizzazione della popolazione locale – che il legislatore dell’Unione ha esplicitamente sottolineato, nelle direttive 2006/32 e 2009/72, l’interesse dei clienti finali a essere regolarmente informati sul loro consumo individuale di energia elettrica. I consumatori dovrebbero in particolare essere attivamente incoraggiati a verificare regolarmente la lettura dei loro contatori ( 73 ). Mettere a disposizione dei consumatori contatori installati a un’altezza di circa 6 metri e, quindi, inaccessibili ai fini del controllo visivo, contrasta con gli obiettivi del diritto dell’Unione ( 74 ).

136.

Di certo il diritto dell’Unione costringe gli Stati membri a mettere a disposizione di ogni consumatore un contatore a titolo gratuito ( 75 ). Proprio nelle zone di erogazione del servizio in cui in passato sono state accertate con frequenza truffe e manomissioni collegate alla fornitura di elettricità, i consumatori hanno però interesse a controllare e monitorare con regolarità il proprio consumo individuale di elettricità ( 76 ).

137.

In tale contesto spetterà al giudice del rinvio verificare se l’offerta della CHEZ di installare a richiesta dei consumatori un contatore di controllo a pagamento nelle loro abitazioni costituisca un’adeguata compensazione a fronte dell’impossibilità di accedere ai loro regolari contatori posti a un’altezza di circa 6 metri. Nel farlo, occorrerà considerare, in particolare, che il carattere oneroso di tali contatori di controllo potrebbe dissuadere i consumatori dal farli installare ( 77 ).

138.

Vero è che la CHEZ offre ai consumatori delle zone interessate la possibilità di compiere, su richiesta individuale, un controllo visivo mediante una piattaforma elevatrice messa a disposizione gratuitamente. Tuttavia è assai improbabile che con questo sistema, piuttosto gravoso e complicato, sia possibile realizzare il citato obiettivo di diritto dell’Unione di incoraggiare i consumatori a verificare regolarmente la lettura dei loro contatori ( 78 ). L’impiego di un veicolo speciale munito di piattaforma elevatrice, che deve essere richiesto appositamente per iscritto prima di ogni utilizzo, non può realisticamente essere preso in considerazione più di una o due volte l’anno ( 79 ).

3. Conclusione intermedia

139.

Riepilogando, una prassi come quella controversa nel caso di specie può essere giustificata ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2000/43, se volta a evitare truffe e abusi e a contribuire a garantire la qualità della fornitura di energia elettrica nell’interesse di tutti i consumatori, a condizione che

a)

non possano essere adottate, con un dispendio economico sostenibile, misure parimenti idonee a conseguire tali obiettivi con effetti meno pregiudizievoli a danno della popolazione residente nel quartiere interessato, e

b)

la misura adottata non comporti un pregiudizio eccessivo a danno degli abitanti del quartiere interessato, fermo restando che:

il rischio di stigmatizzazione di un gruppo etnico ha un peso nettamente maggiore rispetto a considerazioni di carattere meramente economico e

occorre tenere adeguatamente conto dell’interesse del cliente finale della fornitura di energia elettrica a monitorare il proprio consumo individuale di energia elettrica mediante regolari controlli visivi del proprio contatore elettrico.

D – Le conseguenze per il procedimento principale

140.

Qualora, nel verificare la sussistenza di una discriminazione, si pervenga alla conclusione da me proposta, la questione successiva che ne deriva immediatamente è quella delle conseguenze da trarre nel procedimento principale dall’accertamento della discriminazione fondata sull’origine etnica ai sensi della direttiva 2000/43. Tale problematica, già discussa nella causa Belov, è stata anche qui parzialmente analizzata, non da ultimo dalla CHEZ.

141.

A tal proposito basti rinviare alla giurisprudenza costante della Corte: ove possibile, le norme di diritto nazionale devono essere interpretate e applicate nel procedimento principale in conformità della direttiva. I giudici nazionali devono quindi, per quanto possibile, interpretare il diritto nazionale alla luce del testo e dello scopo della direttiva onde conseguire il risultato perseguito da quest’ultima ( 80 ) Essi sono tenuti a fare tutto quanto rientra nella loro competenza, prendendo in considerazione il diritto interno nella sua interezza e applicando i metodi di interpretazione riconosciuti da quest’ultimo, al fine di garantire la piena effettività della direttiva di cui trattasi e pervenire a una soluzione conforme alla finalità perseguita da quest’ultima ( 81 ).

142.

Alla luce delle informazioni messe a disposizione della Corte, nulla porta a ritenere che nel procedimento principale il giudice non possa interpretare e applicare le disposizioni del diritto bulgaro in materia, vale a dire quelle dello ZZD, in conformità della direttiva 2000/43. In tal modo non si pongono qui – a quanto consta – problemi particolari rispetto all’effetto diretto orizzontale dei diritti fondamentali.

143.

A prescindere da quanto esposto finora, occorre osservare che una direttiva non può di per sé creare obblighi a carico di un singolo e non può quindi essere fatta valere in quanto tale nei suoi confronti ( 82 ).

144.

Il divieto di discriminazione fondata sulla razza o sull’origine etnica è però un principio generale del diritto dell’Unione, sancito a livello di diritto primario dall’articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali, a cui la direttiva 2000/43 si limita a dare concreta espressione ( 83 ), alla stregua del divieto di discriminazione fondata sull’età o sull’orientamento sessuale che trova concreta espressione nella direttiva 2000/78 ( 84 ) e, diversamente, ad esempio, dal diritto alle ferie annuali retribuite ( 85 ) o dal diritto all’informazione e alla consultazione dei lavoratori all’interno dell’impresa ( 86 ).

145.

Il principio di parità di trattamento assume particolare rilievo nei rapporti giuridici, come quello in esame, che contrappongono, da un lato, i consumatori o i piccoli imprenditori, e, dall’altro, i fornitori di servizi di interesse generale. Alla stregua di un rapporto di lavoro, questi rapporti giuridici sono infatti caratterizzati da uno squilibrio strutturale tra le parti.

146.

Quantomeno in una situazione siffatta appare giustificato disapplicare, anche tra i privati, le disposizioni di legge nazionali in contrasto con il divieto di discriminazione sancito a livello di diritto fondamentale. Tanto più in un caso come quello in esame, in cui i privati non sono i diretti destinatari del diritto fondamentale, dal momento che il diritto fondamentale opera soltanto come criterio di controllo della legittimità del diritto nazionale ( 87 ).

VI – Conclusione

147.

Alla luce delle considerazioni suesposte, propongo alla Corte di rispondere alle questioni pregiudiziali poste dall’Administrativen sad Sofia-grad come segue:

1)

In una zona abitata prevalentemente da persone che appartengono a un determinato gruppo etnico, anche le altre persone ivi residenti ad esso non appartenenti possono invocare il divieto di discriminazione fondata sull’origine etnica quando sono discriminate per associazione da una misura in ragione del suo carattere generale e collettivo.

2)

Se, di norma, sono messi a disposizione dei consumatori, a titolo gratuito, contatori elettrici installati all’interno dell’edificio o sull’edificio stesso secondo modalità tali da renderli accessibili per i controlli visivi, mentre, nei quartieri in cui risiedono prevalentemente membri della comunità Rom, tali contatori elettrici vengono installati sui pali dell’elettricità a un’altezza inaccessibile di circa 6 metri, sussiste una presunzione di discriminazione indiretta fondata sull’origine etnica ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), in combinato disposto con l’articolo 8, paragrafo 1, della direttiva 2000/43.

3)

Una tale misura può essere giustificata se volta a evitare truffe e abusi e a contribuire a garantire la qualità della fornitura di energia elettrica nell’interesse di tutti i consumatori, a condizione che:

a)

non possano essere adottate, con un dispendio economico sostenibile, misure parimenti idonee a conseguire tali obiettivi con effetti meno pregiudizievoli a danno della popolazione residente nel quartiere interessato, e

b)

la misura adottata non comporti un pregiudizio eccessivo a danno degli abitanti del quartiere interessato, fermo restando che:

il rischio di una stigmatizzazione di un gruppo etnico ha un peso nettamente maggiore delle considerazioni di carattere meramente economico e

occorre tenere adeguatamente conto dell’interesse dei clienti finali della fornitura di energia elettrica a monitorare il proprio consumo individuale di energia elettrica mediante regolari controlli visivi del proprio contatore elettrico.


( 1 ) Lingua originale: il tedesco.

( 2 ) Conclusioni nella causa Belov (C‑394/11, EU:C:2012:585).

( 3 ) Per quanto riguarda la domanda di pronuncia pregiudiziale all’epoca presentata, nella sentenza Belov (C‑394/11, EU:C:2013:48) la Corte ha dichiarato la propria incompetenza, con la motivazione che l’organo che aveva effettuato il rinvio non poteva essere qualificato come organo giurisdizionale ai sensi dell’articolo 267 TFUE.

( 4 ) Direttiva 2000/43/CE del Consiglio, del 29 giugno 2001, che attua il principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica (GU L 180, pag. 22).

( 5 ) Direttiva 2006/32/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 aprile 2006, concernente l’efficienza degli usi finali dell’energia e i servizi energetici e recante abrogazione della direttiva 93/76/CEE del Consiglio (GU L 114, pag. 64). La direttiva, pur essendo stata revocata e sostituita dalla direttiva 2012/27/UE (GU L 315, pag. 1) con decorrenza dal 4 giugno 2014, continua a trovare applicazione ratione temporis nel caso di specie in quanto la decisione del KZD qui controversa è stata adottata prima di tale data.

( 6 ) Direttiva 2009/72/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 luglio 2009, relativa a norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica e che abroga la direttiva 2003/54/CE (GU L 211, pag. 55).

( 7 ) Zakon za zashtita ot diskriminatstia.

( 8 ) Zakon za energetikata.

( 9 ) In prosieguo: la «CHEZ».

( 10 ) In tal senso le informazioni fornite dalla stessa sig. ra Nikolova nelle sue osservazioni scritte nel procedimento dinanzi alla Corte.

( 11 ) Nella domanda di pronuncia pregiudiziale si parla – in linea con la terminologia dell’articolo 120 ZE – di «strumenti di misura a fini commerciali dei consumi di corrente» dell’utente finale. Per ragioni di semplicità, continuerò però in prosieguo a impiegare la nozione, ben più diffusa, di contatore, impiegata anche nel diritto dell’Unione, ad esempio in numerose versioni linguistiche della direttiva 2006/32.

( 12 ) In prosieguo anche: la «prassi controversa».

( 13 ) Komisia za zashtita ot diskriminatsia.

( 14 ) Nella lingua del procedimento: «narodnost» (народност).

( 15 ) Corte suprema amministrativa della Bulgaria.

( 16 ) Tribunale amministrativo per la città di Sofia.

( 17 ) Darzhavna komisia po energiyno i vodno regulirane.

( 18 ) V., sul punto, le mie conclusioni nella causa Belov (C‑394/11, EU:C:2012:585, paragrafi da 59 a 65).

( 19 ) V., al riguardo, le mie conclusioni nella causa Belov (C‑394/11, EU:C:2012:585, paragrafo 66).

( 20 ) Corte eur. D.U., sentenza del 13 novembre 2007, D.H. e a./Repubblica ceca (reclamo n. 57325/00, Recueil des arrêts et décisions 2007-IV, punto 182 in combinato disposto con il punto 175).

( 21 ) L’articolo 21, paragrafo 1, della Carta si ispira all’articolo 14 della CEDU. Nella misura in cui coincide con l’articolo 14 della CEDU, esso «si applica in conformità dello stesso» (Spiegazioni relative alla Carta dei diritti fondamentali, GU 2007, C 303, pag. 17 [24]; le spiegazioni in parola sono state elaborate come orientamenti per l’interpretazione della Carta e vanno tenute nel debito conto dai giudici dell’Unione e da quelli degli Stati membri a norma dell’articolo 6, paragrafo 1, terzo comma, TUE in combinato disposto con l’articolo 52, paragrafo 7, della Carta).

( 22 ) Giurisprudenza costante; v., tra le tante, sentenze Gauchard (C-20/87, EU:C:1987:532, punto 5); Feryn (C‑54/07, EU:C:2008:397, punto 19); MOTOE (C‑49/07, EU:C:2008:376, punto 30), e Asociaţia Accept (C‑81/12, EU:C:2013:275, punti da 41 a 43).

( 23 ) V. in questo senso la raccomandazione generale VIII sull’interpretazione e l’applicazione dell’articolo 1, paragrafi 1 e 4, della Convenzione internazionale sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale (UNTS, vol. 660, pag. 195), pubblicata il 23 agosto 1990 dal Comitato delle Nazioni Unite per l’eliminazione della discriminazione razziale (Committee on the Elimination of Racial Discrimination – «CERD»). Secondo tale raccomandazione la classificazione degli individui come appartenenti a una determinata razza o a un determinato gruppo etnico dovrebbe fondarsi sulla valutazione personale degli interessati, salvo che esistano elementi in senso contrario.

( 24 ) Tra le versioni linguistiche da me comparate dell’articolo 2, paragrafo 2, della direttiva 2000/43 solo la versione tedesca («aufgrund ihrer Rasse oder ethnischen Herkunft»), italiana («a causa della sua razza od origine etnica») e croata («zbog njezina rasnog ili etničkog podrijetla») contengono nella lettera a) l’aggettivo possessivo qui ricordato; diversamente, invece, in particolare, la versione bulgara («въз основа на расов признак или етнически произход»), ceca («z důvodu rasy nebo etnického původu»), spagnola («por motivos de origen racial o étnico»), estone («rassilise või etnilise päritolu tõttu»), greca («για λόγους φυλετικής ή εθνοτικής καταγωγής»), inglese («on grounds of racial or ethnic origin»), francese («pour des raisons de race ou d’origine ethnique»), ungherese («faji vagy etnikai alapon»), neerlandese («op grond van ras of etnische afstamming»), polacca («ze względu na pochodzenie rasowe lub etniczne»), portoghese («em razão da origem racial ou étnica»), slovacca («dôvodu rasy alebo etnického pôvodu») e la versione svedese («på grund av ras eller etniskt ursprung») della suddetta disposizione.

( 25 ) Sentenza Runevič‑Vardyn e Wardyn (C‑391/09, EU:C:2011:291, punto 43).

( 26 ) Sentenza Coleman (C‑303/06, EU:C:2008:415, in particolare, punti 50 e 51); sulla nozione di «discrimination par association» v., a integrazione, le conclusioni dell’avvocato generale Poiares Maduro nella suddetta causa (EU:C:2008:61, in particolare, paragrafi 4 e 5).

( 27 ) Direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro (GU L 303, pag. 16).

( 28 ) V., ancora, sentenza Runevič‑Vardyn e Wardyn (C‑391/09, EU:C:2011:291, punto 43).

( 29 ) Sentenza Coleman (C‑303/06, EU:C:2008:415, punti da 24 a 26 e 59).

( 30 ) V., sul punto, le mie osservazioni ai paragrafi da 69 a 139 delle presenti conclusioni.

( 31 ) Su questo punto – ma solo su questo – il caso di specie è simile al quadro fattuale di cui alle sentenze Feryn (C‑54/07, EU:C:2008:397, punti da 23 a 26) e Asociaţia Accept (C‑81/12, EU:C:2013:275, punto 49), in cui la Corte si è ampiamente fondata su un contesto discriminatorio (si trattava in quel caso della politica di assunzione seguita da potenziali datori di lavoro).

( 32 ) La questione se una mera disparità di trattamento indiretta possa fondare l’accertamento di una discriminazione «per associazione» sarà da me affrontata in appresso, ai paragrafi da 102 a 109 delle presenti conclusioni.

( 33 ) Considerando 16 della direttiva 2000/43.

( 34 ) V., sul punto, anche le mie conclusioni nella causa Andersen (C‑499/08, EU:C:2010:248, paragrafo 31), riferite alla discriminazione in ragione dell’età.

( 35 ) Considerando 18 della direttiva 2000/43.

( 36 ) V. considerando 15 della direttiva 2000/43: «La valutazione dei fatti sulla base dei quali si può argomentare che sussiste discriminazione diretta o indiretta è una questione che spetta alle autorità giudiziarie nazionali o ad altre autorità competenti conformemente alle norme e alle prassi nazionali». Ciò corrisponde alla giurisprudenza costante sui procedimenti pregiudiziali, v., tra le tante, le sentenze MOTOE (C‑49/07, EU:C:2008:376, punto 30); Winner Wetten (C‑409/06, EU:C:2010:503, punto 49); Kelly (C‑104/10, EU:C:2011:506, punto 31), e Asociaţia Accept (C‑81/12, EU:C:2013:275, punti 41 e 42).

( 37 ) Giurisprudenza costante: v. ad esempio, sentenze Gauchard (C-20/87, EU:C:1987:532, punto 5); Feryn (C‑54/07, EU:C:2008:397, punto 19); MOTOE (C‑49/07, EU:C:2008:376, punto 30), e Asociaţia Accept (C‑81/12, EU:C:2013:275, punto 43).

( 38 ) V., sul punto, le mie conclusioni nella causa Belov (C‑394/11, EU:C:2012:585, paragrafi da 70 a 74).

( 39 ) Sentenza Feryn (C‑54/07, EU:C:2008:397, punto 25).

( 40 ) Articolo 3, paragrafo 7, in combinato disposto con l’allegato I, paragrafo 1, lettere h) e i), della direttiva 2009/72, e considerando 29, ultimo periodo, della direttiva 2006/32.

( 41 ) Sul significato dell’aggettivo possessivo «suo», che non è presente in tutte le versioni linguistiche della direttiva 2000/43, v. infra paragrafi 53 e 54 e nota 24 delle presenti conclusioni.

( 42 ) Sentenze Dekker (C‑177/88, EU:C:1990:383, punti 12 e 17); Handels- og Kontorfunktionærernes Forbund (C‑179/88, EU:C:1990:384, punto 13); Busch (C‑320/01, EU:C:2003:114, punto 39), e Kiiski (C‑116/06, EU:C:2007:536, punto 55).

( 43 ) Sentenza Ingeniørforeningen i Danmark (C‑499/08, EU:C:2010:600, punti 23 e 24).

( 44 ) Sentenze Maruko (C‑267/06, EU:C:2008:179, punto 72) e Römer (C‑147/08, EU:C:2011:286, punto 52).

( 45 ) Quest’ultimo riferimento vale ovviamente solo per gli Stati membri nei quali l’unione civile registrata è assimilata al matrimonio ed è riservata alle coppie del medesimo sesso che non possono avere accesso all’istituto del matrimonio.

( 46 ) Nello stesso senso anche le mie conclusioni nella causa Belov (C‑394/11, EU:C:2012:585, paragrafi 97 e 98).

( 47 ) V. soltanto il considerando 28 della direttiva 2000/43; in base ad esso l’obiettivo della direttiva in parola è «(…) garantire un elevato livello di protezione contro la discriminazione in tutti gli Stati membri (…)».

( 48 ) In bulgaro: «vidimo» (видимо).

( 49 ) Nelle mie conclusioni nella causa Hervis Sport- és Divatkereskedelmi (C‑385/12, EU:C:2013:531, paragrafo 41) ho osservato, mutatis mutandis, che si può ravvisare una discriminazione indiretta solo quando una misura ha, nella stragrande maggioranza dei casi (in tedesco: «in den überwiegenden Mehrzahl der Fälle»), effetti negativi a carico dei membri di un determinato gruppo, mentre la Corte ha stabilito che ciò deve accadere nella maggior parte dei casi (in tedesco: «in den meisten Fällen»; sentenza Hervis Sport- és Divatkereskedelmi, C‑385/12, EU:C:2014:47, punto 39). Nel caso di specie non occorre approfondire tale differenza dal momento che il quartiere di Gizdova Mahala, in base alle informazioni del giudice del rinvio, è pacificamente il più grande quartiere Rom di Dupnitsa.

( 50 ) La proposta della CHEZ di mettere a disposizione, su richiesta scritta degli utenti, gratuitamente ed entro tre giorni, un veicolo speciale munito di una piattaforma elevatrice, difficilmente può essere considerata un’alternativa adeguata dal momento che non permette ai consumatori di verificare autonomamente, e soprattutto con continuità, il proprio consumo di corrente; v., sul punto, anche infra paragrafo 138 delle presenti conclusioni.

( 51 ) In merito a tale svantaggio, v., ancora una volta, supra, paragrafo 95 delle presenti conclusioni.

( 52 ) V. sul punto infra paragrafi da 111 a 139 delle presenti conclusioni.

( 53 ) Considerazioni generali sulla «co-discriminazione» sono rinvenibili ai paragrafi da 52 a 61 delle presenti conclusioni.

( 54 ) Sentenza Coleman (C‑303/06, EU:C:2008:415).

( 55 ) V. ancora, sul punto, paragrafi 72 e 73 delle presenti conclusioni.

( 56 ) V. supra, paragrafi da 69 a 110 delle presenti conclusioni.

( 57 ) V., ad esempio, il considerando 6 della direttiva 2000/43, secondo cui l’Unione europea respinge le teorie che tentano di dimostrare l’esistenza di razze umane distinte.

( 58 ) V., sul punto, già supra, paragrafo 72 delle presenti conclusioni. Un diverso trattamento delle persone fondato sulla loro razza o sulla loro origine etnica è possibile soltanto qualora tali persone non si trovino in una situazione analoga [v. articolo 2, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2000/43] o sussistano requisiti essenziali e determinanti per lo svolgimento dell’attività lavorativa (articolo 4 della direttiva in parola).

( 59 ) V., sul punto, le mie conclusioni nella causa Belov (C‑394/11, EU:C:2012:585, paragrafo 100) e in via integrativa – con riferimento alla giustificazione della discriminazione sulla base dell’età ai sensi della direttiva 2000/78 – le mie conclusioni nella causa Andersen (C‑499/08, EU:C:2010:248, paragrafi 46 e 47).

( 60 ) Sulla prevenzione di truffe e abusi da parte delle autorità nazionali v. sentenze Halifax e a. (C‑255/02, EU:C:2006:121, punti 68 e 69); Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas (C‑196/04, EU:C:2006:544, punto 35), e Kofoed (C‑321/05, EU:C:2007:408, punto 38); sulla garanzia della sicurezza e della qualità della fornitura di energia negli Stati membri: v. sentenze Campus Oil e a. (C-72/83, EU:C:1984:256, punti 34 e 35); Commissione/Belgio (C‑503/99, EU:C:2002:328, punto 55) e Commissione/Portogallo (C‑543/08, EU:C:2010:669, punto 84).

( 61 ) V., sul punto, la questione pregiudiziale 5.3, lettera c), nella causa Belov, riportata nelle mie conclusioni in detta causa (C‑394/11, EU:C:2012:585, paragrafo 21).

( 62 ) V. le mie conclusioni nella causa Belov (C‑394/11, EU:C:2012:585, paragrafo 104).

( 63 ) V., sul punto, le mie conclusioni nella causa Belov (C‑394/11, EU:C:2012:585, paragrafo 105) e, ad integrazione, le mie conclusioni nella causa Andersen (C‑499/08, EU:C:2010:248, paragrafo 53), riferite alla giustificazione di una discriminazione in base all’età ai sensi della direttiva 2000/78. La parte finale dell’articolo 6, paragrafo 1, punto 1), della direttiva 2000/78 corrisponde al tenore letterale dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2000/43, cosicché le mie considerazioni nella causa Andersen possono essere riproposte nel presente caso.

( 64 ) V. le mie conclusioni nella causa Belov (C‑394/11, EU:C:2012:585, paragrafi 107 e 108).

( 65 ) V. le mie conclusioni nella causa Belov (C‑394/11, EU:C:2012:585, paragrafi da 113 a 115).

( 66 ) V., sul punto, le mie conclusioni nella causa Belov (C‑394/11, EU:C:2012:585, paragrafi da 110 a 112).

( 67 ) Alla luce della formulazione dell’ultimo periodo della decima questione, il giudice del rinvio sembra ritenere che sia così: ivi si parla, richiamando quanto riportato dai mezzi di informazione, di «strumenti accessibili tecnicamente e finanziariamente».

( 68 ) V. le mie conclusioni nella causa Belov (C‑394/11, EU:C:2012:585, paragrafo 117). Nello stesso senso, sentenza Ingeniørforeningen i Danmark (C‑499/08, EU:C:2010:600, punti da 41 a 48, in particolare punto 47), riferita alla direttiva 2000/78, e le mie conclusioni nella suddetta causa, detta anche causa Andersen (C‑499/08, EU:C:2010:248, paragrafo 67).

( 69 ) Sentenze Schräder HS Kraftfutter (265/87, EU:C:1989:303, punto 21); Tempelman e van Schaijk (C‑96/03 e C‑97/03, EU:C:2005:145, punto 7), ed ERG e a. (C‑379/08 e C‑380/08, EU:C:2010:127, punto 86).

( 70 ) V., sul punto, ancora le mie conclusioni nelle cause Belov (C‑394/11, EU:C:2012:585, paragrafo 117) e Andersen (C‑499/08, EU:C:2010:248, paragrafo 68).

( 71 ) V., sul punto, le mie conclusioni nella causa Belov (C‑394/11, EU:C:2012:585, paragrafo 118).

( 72 ) In relazione a questo aspetto ho rivisto le mie conclusioni nella causa Belov (C‑394/11, EU:C:2012:585, paragrafo 98) e ho proceduto a una nuova analisi.

( 73 ) Considerando 29 della direttiva 2006/32, ultimo periodo.

( 74 ) Così già nelle mie conclusioni nella causa Belov (C‑394/11, EU:C:2012:585, paragrafo 119).

( 75 ) V. in particolare articolo 13, paragrafo 1, primo comma, della direttiva 2006/32.

( 76 ) Così già nelle mie conclusioni nella causa Belov (C‑394/11, EU:C:2012:585, paragrafo 122).

( 77 ) Così già nelle mie conclusioni nella causa Belov (C‑394/11, EU:C:2012:585, paragrafo 121).

( 78 ) Articolo 3, paragrafo 7, in combinato disposto con l’allegato I, paragrafo 1, lettera i), della direttiva 2009/72, e considerando 29 della direttiva 2006/32, ultimo periodo.

( 79 ) Così già nelle mie conclusioni nella causa Belov (C‑394/11, EU:C:2012:585, paragrafo 120).

( 80 ) Giurisprudenza costante; v., tra le altre, sentenze Marleasing (C‑106/89, EU:C:1990:395, punto 8); Pfeiffer e a. (da C‑397/01 a C‑403/01, EU:C:2004:584, punto 113); Dominguez (C‑282/10, EU:C:2012:33, punto 24), e Asociaţia Accept (C‑81/12, EU:C:2013:275, punto 71).

( 81 ) V., sul punto, sentenze Pfeiffer e a. (da C‑397/01 a C‑403/01, EU:C:2004:584, punti da 115 a 119) e Dominguez (C‑282/10, EU:C:2012:33, punto 27); in senso analogo già la sentenza von Colson e Kamann (14/83, EU:C:1984:153, punto 28: «in tutti i casi in cui il diritto nazionale gli attribuisce un margine discrezionale»).

( 82 ) Sentenze Faccini Dori (C‑91/92, EU:C:1994:292, punto 20); Pfeiffer e a. (C‑397/01 bis C‑403/01, EU:C:2004:584, punto 108) e Dominguez (C‑282/10, EU:C:2012:33, punto 37); nello stesso senso sentenza Association de médiation sociale (C‑176/12, EU:C:2014:2, punto 39).

( 83 ) Sentenza Runevič‑Vardyn e Wardyn (C‑391/09, EU:C:2011:291, punto 43); v. anche le mie conclusioni nella causa Belov (C‑394/11, EU:C:2012:585, paragrafi 63 e 80).

( 84 ) La giurisprudenza sulla direttiva 2000/78 può quindi essere automaticamente trasferita sulla direttiva 2000/43; v. sentenze Mangold (C‑144/04, EU:C:2005:709, punti 74 e 75); Kücükdeveci (C‑555/07, EU:C:2010:21, punti 51 e 53) e Römer (C‑147/08, EU:C:2011:286, in particolare, punto 59).

( 85 ) Sentenza Dominguez (C‑282/10, EU:C:2012:33, in particolare punto 42). Nella causa in parola non si discuteva tanto di un’espressione del principio generale della parità di trattamento ai sensi dell’articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali, quanto piuttosto di un diritto che si riflette nell’articolo 31, paragrafo 2, sotto il titolo «Solidarietà».

( 86 ) Sentenza Association de médiation sociale (C‑176/12, EU:C:2014:2, punti da 45 a 49).

( 87 ) Così già nelle mie conclusioni nella causa Belov (C‑394/11, EU:C:2012:585, paragrafi 81 e 82).

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