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Documento 62013CC0083

Conclusioni dell’avvocato generale P. Mengozzi, presentate il 1° aprile 2014.
Fonnship A/S contro Svenska Transportarbetareförbundet e Facket för Service och Kommunikation (SEKO) e Svenska Transportarbetareförbundet contro Fonnship A/S.
Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall’Arbetsdomstolen.
Trasporti marittimi – Libera prestazione dei servizi – Regolamento (CEE) n.°4055/86 – Applicabilità ai trasporti effettuati a partire da o verso Stati parti contraenti dell’accordo sullo Spazio economico europeo (SEE) mediante navi battenti bandiera di un paese terzo – Azioni sindacali intraprese nei porti di un tale Stato a favore di cittadini di paesi terzi impiegati su dette navi – Irrilevanza della nazionalità di tali lavoratori e di tali navi sull’applicabilità del diritto dell’Unione.
Causa C‑83/13.

Identificatore ECLI: ECLI:EU:C:2014:201

Conclusioni dell avvocato generale

Conclusioni dell avvocato generale

I – Introduzione

1. Con la presente domanda di pronuncia pregiudiziale, l’Arbetsdomstolen (Svezia) chiede, in sostanza, se una società avente la propria sede in uno Stato parte dell’Accordo sullo Spazio economico europeo del 2 maggio 1992 (2), in prosieguo l’«Accordo SEE», proprietaria di una nave battente bandiera di uno Stato terzo, rientri nell’ambito di applicazione della libera prestazione di servizi, come applicabile ai trasporti marittimi in forza del regolamento (CEE) n. 4055/86 del Consiglio del 22 dicembre 1986, che applica il principio della libera prestazione dei servizi ai trasporti marittimi tra Stati membri e tra Stati membri e paesi terzi (3), a sua volta integrato nell’Accordo SEE (4) .

2. Tale questione viene sollevata nell’ambito di talune controversie che vedono contrapposte la Fonnship A/S, società norvegese (in prosieguo: la «Fonnship») alla Svenska Transportarbetarförbundet (federazione svedese dei lavoratori nel settore dei trasporti; in prosieguo: la «ST») e alla Facket för Service och Kommunikation (sindacato dei lavoratori del settore dei servizi e delle comunicazioni; in prosieguo: la «SEKO»), delle associazioni svedesi, in merito ad azioni sindacali, intraprese nel 2001 e nel 2003, le quali avevano asseritamente disturbato, all’interno dello Spazio economico europeo (SEE), la prestazione dei servizi forniti tramite una nave appartenente alla Fonnship (la Sava Star), iscritta nel registro navale di Panama e battente pertanto bandiera di tale Stato terzo (5) .

3. Più precisamente, ritenendo che l’equipaggio della Sava Star impiegato dalla Fonnship, composto unicamente, all’epoca dei fatti della controversia di cui al procedimento principale, da cittadini di paesi terzi (6), percepisse una retribuzione insufficiente a un livello considerato adeguato per una nave operante principalmente in Europa, la ST, nel 2001, in occasione di uno scalo di tale nave in un porto svedese, ha messo in atto un’azione sindacale volta ad impedire lo scarico e il carico della Sava Star, non essendo riuscita ad ottenere dalla Fonnship la sottoscrizione di un contratto collettivo approvato dall’International Transport Workers’ Federation (in prosieguo: l’«ITF») (7) . Pur se apparentemente vincolata da un contratto collettivo russo, la Fonnship, successivamente all’azione sindacale, acconsentiva tuttavia a sottoscrivere il contratto collettivo approvato dall’ITF e a pagare i contributi e le somme richieste dalla ST, consentendo in tal modo alla Sava Star di lasciare il porto.

4. A seguito della scadenza del contratto collettivo sottoscritto nel 2001, la SEKO ha messo in atto un’azione analoga in occasione di un nuovo scalo della Sava Star in un porto svedese. Non senza proteste, la Fonnship ha sottoscritto il contratto collettivo, approvato dall’ITF, richiesto dalla SEKO, e ha pagato le spese e i contributi imposti da tale contratto, il che ha consentito alla Sava Star di proseguire il suo tragitto.

5. Con due ricorsi separati, la Fonnship ha citato la ST e la SEKO dinanzi al giudice del rinvio chiedendo, segnatamente, la condanna di tali associazioni al risarcimento del danno asseritamente subito risultante dall’illegittimità delle azioni sindacali messe in atto e dalla nullità dei contratti collettivi che essa è stata costretta a sottoscrivere. Da parte sua, la ST ha citato in giudizio la Fonnship dinanzi al giudice del rinvio chiedendone la condanna a risarcirle i danni, adducendo che tale società non aveva versato la retribuzione prevista dal contratto collettivo sottoscritto nel 2001.

6. Il giudice del rinvio ritiene che la questione della legittimità delle azioni sindacali sia decisiva per dirimere le controversie di cui al procedimento principale, e che esso sarà tenuto, per risolvere tale questione, a stabilire se il diritto svedese in materia di azioni sindacali sia compatibile con le norme del diritto dell’Unione (del SEE) in materia di libera prestazione dei servizi. Tuttavia, avuto riguardo a quanto già stabilito dalla Corte nelle sentenze «Viking Line», cit. e Laval un Partneri (8), il giudice del rinvio ritiene, contrariamente a quanto fatto valere dalla Fonnship dinnanzi allo stesso, che non sia necessario interrogare la Corte in merito a tale problematica.

7. Per contro, l’Arbetsdomstolen è dell’avviso che la questione, del pari discussa dinnanzi allo stesso ma non ancora affrontata dalla Corte, se il diritto del SEE sia applicabile in una situazione analoga a quella del caso di specie, nella quale una nave immatricolata in un paese terzo e nella quale i rapporti a bordo sono disciplinati, in linea di principio, dalla legge dello Stato di bandiera, impone di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se le norme dell’accordo SEE in materia di libera prestazione dei servizi, ossia dei servizi di trasporto marittimo, che trovano corrispondenti norme nel Trattato CE, siano applicabili a una società avente sede in uno Stato dell’Associazione europea di libero scambio (EFTA) allorché le attività da essa esercitate assumano la forma di servizi di trasporto forniti in uno Stato membro della Comunità europea oppure uno Stato EFTA con una nave registrata, ovvero battente bandiera, in un paese terzo non appartenente alla Comunità europea e/o al SEE»

8. Tale questione è stata oggetto di osservazioni scritte da parte delle parti nel procedimento principale, dei governo svedese e greco, dell’Autorità di vigilanza EFTA, nonché della Commissione europea. Queste parti interessate sono state parimenti sentite nell’udienza del 28 gennaio 2014.

II – Valutazione

A – Osservazioni preliminari sulla portata della domanda di pronuncia pregiudiziale

9. Come già rilevato supra al punto 6, il giudice del rinvio si è inequivocabilmente rifiutato di interrogare la Corte in merito alla compatibilità delle azioni sindacali con il diritto del SEE, ritenendo, alla luce delle citate sentenze Viking Line e Laval un Parneri, che, qualora le norme del SEE sulla libera prestazione di servizi siano applicabili a situazioni analoghe a quelle all’origine delle controversie di cui al procedimento principale, spetterà ad esso statuire sulla necessità e sull’adeguatezza di suddette azioni. Lo stesso non indica, tuttavia, in che senso intenda affrontare tale problematica.

10. Dinnanzi alla Corte, la Fonnship ha dedicato un’ampia parte delle sue osservazioni a criticare il giudice del rinvio per avere circoscritto la domanda di pronuncia pregiudiziale alla questione dell’applicabilità del diritto del SEE, rifiutandosi di interrogare la Corte sulla compatibilità con tale diritto delle disposizioni del diritto svedese che autorizzano azioni sindacali del tipo di quelle intraprese dalla ST e dalla SEKO nei confronti della Sava Star.

11. Senza chiedere esplicitamente alla Corte di includere nella sua soluzione della domanda di pronuncia pregiudiziale considerazioni attinenti alla compatibilità e alla proporzionalità delle azioni sindacali rispetto alla libera prestazione dei servizi nel caso in cui essa risolva affermativamente la questione deferita, la Fonnship ritiene che, alla luce del dibattimento dinanzi al giudice del rinvio, quest’ultimo sarebbe stato obbligato a rivolgere alla Corte tutte le questioni di diritto dell’Unione utili alla soluzione della controversia di cui al procedimento principale. Infatti, qualora la Corte constati che la libera prestazione dei servizi sia applicabile in situazioni analoghe a quelle oggetto del procedimento principale, l’inclusione, nella sua domanda, della questione della compatibilità delle azioni sindacali con la libera prestazione dei servizi avrebbe consentito di evitare, secondo la Fonnship, alla luce dell’incertezza del diritto del SEE sul punto, che una controversia pendente da più di dieci anni debba formare nuovamente l’oggetto di un rinvio pregiudiziale alla Corte oppure, ove ciò non avvenga, che la Fonnship sia costretta a proporre un’azione di responsabilità nei confronti del Regno di Svezia.

12. Anche se non sono totalmente insensibile all’invito implicito della Fonnship di includere, sia pur in subordine, nell’esame della problematica sottoposta considerazioni attinenti alla necessità e alla proporzionalità delle azioni sindacali con riguardo alle pertinenti disposizioni del SEE, in particolare, a fini di economia processuale e alla luce del fatto che il giudice del rinvio deve statuire in ultima istanza, una siffatta propensione necessiterebbe, nella presente fattispecie, che la Corte decida di modificare significativamente la sua attuale giurisprudenza concernente l’interpretazione dell’articolo 267 TFUE.

13. Come è noto, tale giurisprudenza riconosce al solo giudice del rinvio la facoltà di determinare le questioni da sottoporre alla Corte (9) e l’esclusività di definire l’oggetto delle questioni che intende sottoporle (10), senza che la Corte debba ritenersi obbligata da una delle parti nel procedimento principale a statuire su una questione (11), o a modificarne il tenore (12) .

14. Tale giurisprudenza si fonda, da un lato, su un argomento testuale, secondo il quale l’articolo 267 TFUE instaura una cooperazione diretta tra la Corte e i giudici nazionali attraverso un procedimento non contenzioso ed estraneo a ogni iniziativa delle parti (13) e, dall’altro, sull’obbligo della Corte di dare ai governi degli Stati membri e alle parti interessate la possibilità di presentare osservazioni ai sensi dell’articolo 23 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, tenuto conto del fatto che, in base alla suddetta disposizione, agli interessati vengono notificate solo le decisioni di rinvio (14) .

15. In tal senso, la Corte si rifiuta, in linea di principio, di risolvere questioni complementari menzionate dalle parti nel procedimento principale o dalle parti interessate, le quali eccedano l’ambito di quella sollevata dal giudice nazionale, (15) oppure, in sede di valutazione della validità di un atto dell’Unione, di estendere tale esame a motivi diversi da quelli presi in considerazione dal giudice del rinvio (16) .

16. Resta cionondimeno il fatto che sembra esistere una certa tensione fra tale giurisprudenza e una corrente giurisprudenziale della Corte che tende a privilegiare la necessità di fornire una risposta utile al giudice del rinvio.

17. Infatti, in numerose sentenze, la Corte, malgrado la delimitazione del rinvio pregiudiziale operata dal giudice nazionale, non esita a verificare, avuto riguardo ai fatti e agli argomenti sollevati nel corso del procedimento, se una disposizione del diritto dell’Unione che non ha formato l’oggetto della domanda di pronuncia pregiudiziale sia cionondimeno suscettibile di essere applicata nella specie (17), oppure, al fine di fornire una risposta utile al giudice nazionale, a pronunciarsi sulla fondatezza della tesi di una delle parti nel procedimento principale in relazione all’applicabilità di una disposizione non contemplata nel rinvio pregiudiziale (18), oppure, ancora, a riformulare le questioni sollevate al fine di includere nell’interpretazione del diritto dell’Unione una o più disposizioni fatte valere da una delle parti, ovvero persino d’ufficio, sempre nella stessa ottica di apportare una risposta utile al giudice nazionale (19) .

18. Sebbene la giurisprudenza della Corte non sembri dunque univoca, ritengo che non sia necessario esaminare più dettagliatamente in questa sede gli eventuali criteri che consentono di elaborare una lettura coerente del complesso di tali sentenze.

19. Infatti, esiste almeno una fattispecie, della quale fa parte, a mio avviso, la presente causa, in cui la Corte si vieta sistematicamente di modificare o di estendere l’oggetto della domanda di pronuncia pregiudiziale al di là dell’ambito definito dal giudice nazionale: si tratta del caso in cui il giudice del rinvio si è rifiutato, esplicitamente o implicitamente, di deferire alla Corte una questione supplementare di interpretazione del diritto dell’Unione sollevata espressamente da una delle parti della controversia di cui al procedimento principale (20) .

20. Nella specie, è vero che, diversamente che nelle cause in cui la Corte si è specificamente pronunciata su tale punto, il giudice del rinvio deve statuire in ultima istanza e ha riconosciuto la pertinenza della questione sollevata dalla Fonnship, nel caso in cui la Corte dovesse risolvere affermativamente la questione deferitale (21) .

21. Inoltre, una lettura obiettiva dell’articolo 267, terzo comma, TFUE potrebbe fare pensare che, se una questione di interpretazione del diritto dell’Unione «è sollevata» in un giudizio pendente dinnanzi ad un organo giurisdizionale che statuisce in ultima istanza, tale organo «è tenuto» a rivolgersi alla Corte.

22. Una siffatta interpretazione dell’articolo 267, terzo comma, TFUE potrebbe essere particolarmente valorizzata nel caso in cui il giudice che statuisce in ultima istanza suggerisca, a sostegno del proprio rifiuto di sottoporre una questione supplementare alla Corte, un’interpretazione manifestamente errata del diritto dell’Unione, oppure formuli la sua questione sulla base di una premessa giuridica chiaramente inesatta, il che consentirebbe allora alla Corte, in seguito alle osservazioni delle parti interessate e alle conclusioni dell’avvocato generale, di riesaminare l’erroneità dell’interpretazione suggerita o della premessa giuridica (22) . Infatti, mi sembra inconcepibile, in particolare con riguardo alla necessità di assicurare l’interpretazione uniforme del diritto dell’Unione, che la Corte possa consapevolmente non rettificare errori di tal genere commessi da un organo giurisdizionale di ultima istanza a scapito delle parti, privandole parimenti, di fatto, della possibilità effettiva di far valere la responsabilità dello Stato membro dal quale dipende tale organo giurisdizionale, per violazione del diritto dell’Unione.

23. Tali considerazioni non valgono, tuttavia, nella presente causa, in particolare sulla base del rilievo che il giudice del rinvio non fornisce alcun elemento che consenta di sapere, segnatamente, in che senso esso risolverà la questione della necessità e della proporzionalità delle azioni sindacali rispetto all’osservanza delle norme dell’accordo SEE sulla libera prestazione dei servizi.

24. Più in generale, nella sentenza, Consiglio nazionale dei geologi e Autorità della concorrenza e del mercato, cit., la Corte – adita da un organo giurisdizionale di ultima istanza, ossia il Consiglio di Stato (Italia), in ordine alla portata della competenza di tale organo di scegliere e riformulare le questioni proposte da una delle parti nel procedimento principale – ha negato l’esistenza di un obbligo incondizionato di rinvio pregiudiziale di una questione di interpretazione del diritto dell’Unione sollevata da una di tali parti(23), rammentando parimenti che la determinazione e la formulazione sottopostele spettano esclusivamente al giudice nazionale (24) .

25. In tali circostanze, ritengo che la Corte debba limitarsi a risolvere la questione sottopostale, concernente l’applicabilità delle norme dell’accordo SEE sulla libera prestazione dei servizi, senza, pertanto, esaminare la questione, sollecitata dalla Fonnship dinanzi al giudice del rinvio ma espressamente respinta da quest’ultimo, relativa all’eventuale compatibilità delle azioni sindacali con la libera prestazione dei servizi.

B – Sulla domanda di pronuncia pregiudiziale e l’interpretazione del regolamento n. 4055/86

26. Anche se, nella sua questione pregiudiziale, il giudice del rinvio si è riferito in maniera generica alle norme dell’accordo SEE sulla libera prestazione dei servizi, la risposta della Corte dovrebbe, a mio avviso, essere circoscritta alle disposizioni del regolamento n. 4055/86, come suggerito anche dalle parti nel procedimento principale, nonché dalle altre parti interessate che hanno depositato osservazioni dinanzi alla Corte.

27. Infatti, è pacifico che la libera prestazione dei servizi di trasporto è disciplinata dalle disposizioni del Trattato relative ai trasporti, e che, per quanto riguarda più in particolare la navigazione marittima, spettava al Consiglio dell’Unione europea decidere, in conformità dell’articolo 84, paragrafo 2, del Trattato CEE, se potessero essere adottate adeguate disposizioni in tale settore, cosa che esso ha effettivamente constatato e realizzato adottando, il 22 dicembre 1986, il regolamento n. 4055/86, nella sua versione iniziale, che applica il principio della libera prestazione dei servizi ai trasporti marittimi, il quale è entrato in vigore il 1° gennaio 1987. Poiché, come già esposto, il regolamento n. 4055/86 è stato integrato nell’Accordo SEE, occorre pertanto riformulare la questione sollevata limitandola all’interpretazione di tale atto.

28. Alla luce degli elementi del fascicolo e delle osservazioni delle parti interessate, la questione sollevata può inoltre essere circoscritta alla precisazione dell’ambito di applicazione ratione personae del regolamento n. 4055/86, definito dall’articolo 1 di tale regolamento, al fine di determinare se una società legalmente stabilita nel SEE, nella specie in Norvegia, proprietaria di una nave che assicura servizi di trasporto marittimo all’interno del SEE ma battente bandiera di uno Stato terzo, nella specie Panama, rientri in tale atto e, se del caso, possa, in linea di principio, avvalersi della libertà da esso accordata.

1. Sull’ambito di applicazione ratione personae del regolamento n. 4055/86

29. Una risposta positiva, prima facie semplice, sembra discendere dalla formulazione stessa dell’articolo 1 del regolamento n. 4055/86 e dalla giurisprudenza della Corte.

30. Infatti, ai sensi del primo paragrafo di tale disposizione, la libera prestazione dei servizi di trasporto marittimo tra Stati membri e tra Stati membri e paesi terzi è applicabile ai cittadini degli Stati membri stabiliti in uno Stato membro diverso da quello del destinatario dei servizi, mentre, tramite il rinvio effettuato dal suo terzo paragrafo all’articolo 58 del Trattato CEE (divenuto articolo 48 CE), le società stabilite all’interno dell’Unione europea (del SEE) sono equiparate alle persone fisiche aventi la cittadinanza degli Stati membri.

31. In tal senso, nel caso di una società stabilita in uno Stato membro, la quale gestisce un servizio di linea regolare verso un altro Stato membro, ma le cui navi erano immatricolate e battevano bandiera panamense, la Corte ha desunto dalla lettera dell’articolo 1, paragrafo 1, del regolamento n. 4055/86 che quest’ultimo «riguarda i cittadini degli Stati membri stabiliti in uno Stato membro diverso da quello del destinatario dei servizi e non fa riferimento all’immatricolazione o alla bandiera delle navi gestite dall’impresa di trasporto » (25) .

32. L’irrilevanza dell’immatricolazione e/o della bandiera delle navi ai fini della determinazione dell’ambito di applicazione dell’articolo 1, paragrafo 1, del regolamento n. 4055/86 è rafforzata, a contrario, dal paragrafo 2 di questa stessa disposizione. Ai sensi di tale paragrafo, infatti, tale atto si applica anche ai cittadini degli Stati membri stabiliti fuori dell’Unione e alle società di navigazione stabilite fuori dell’Unione e controllate da cittadini di uno Stato membro, se le loro navi sono registrate in tale Stato membro conformemente alla sua legislazione.

33. Come rilevato dall’Autorità di vigilanza EFTA nelle sue osservazioni scritte, la precisazione effettuata all’articolo 1, paragrafo 2, del regolamento n. 4055/86 riflette ciò che è comunemente nota come «l’eccezione greca» (26) . Infatti, poiché in base al diritto greco i cittadini greci stabiliti in paesi terzi sono autorizzati ad iscrivere le proprie navi nel registro navale di tale Stato membro, non prendere in considerazione tale situazione avrebbe portato a sottrarre all’ambito di applicazione del regolamento una percentuale considerevole del tonnellaggio totale appartenente a cittadini degli Stati del SEE (27) .

34. È pertanto indubbio che il legislatore dell’Unione non abbia inteso subordinare l’applicazione dell’articolo 1, paragrafo 1, del regolamento n. 4055/86 ad un requisito relativo al luogo di immatricolazione delle navi.

35. Pertanto, contrariamente a quanto dedotto dalla ST e dalla SEKO nelle loro osservazioni scritte, il fatto che i cittadini degli Stati del SEE che rientrano nell’ambito di applicazione di questa stessa disposizione immatricolino le loro navi in un paese terzo non significa che tali cittadini non sono più stabiliti in uno Stato del SEE.

36. Al ragionamento che precede non può neanche essere opposto l’argomento della ST e della SEKO secondo il quale, nei limiti in cui la controversia di cui al procedimento principale riguarda le condizioni di lavoro dell’equipaggio di una nave che rientrano nell’ambito di applicazione del diritto di un paese terzo, le disposizioni del regolamento n. 4055/86 non sarebbero applicabili oppure, quantomeno, sarebbero subordinate all’esistenza di un collegamento sufficiente fra il rapporto di lavoro e il territorio dell’Unione (del SEE), assente nella specie.

37. Tale argomento, infatti, deve essere respinto, anzitutto, sulla base del rilievo che, sotto il profilo processuale, esso, fondandosi su un’elencazione di sentenze della Corte relative alla libera circolazione dei lavoratori (28), mira, in definitiva, a contestare la rilevanza della questione sollevata dal giudice del rinvio nell’ottica della prestazione dei servizi, mentre, secondo la giurisprudenza, a tale giudice spetta, in linea di principio, la competenza esclusiva a definire l’oggetto delle sue questioni e a valutarne sia la necessità sia la rilevanza alla luce delle peculiarità della causa della quale è investito (29) .

38. Inoltre, l’argomento della ST e della SEKO deve parimenti essere respinto sulla base del rilievo che l’ambito di applicazione del regolamento n. 4055/86 è determinato dalle sue stesse disposizioni, e non dipende dal diritto applicabile ai rapporti di lavoro che legano l’equipaggio di una nave al prestatore di servizi di trasporto marittimo suscettibile di rientrare in tale ambito di applicazione. Ciò è attestato dalla circostanza che il regolamento n. 4055/86 non menziona, ad esempio, i criteri di determinazione della legge applicabile ai contratti individuali di lavoro dei membri dell’equipaggio, in particolare con riferimento ai rapporti che dovrebbero intercorrere fra tale atto e l’articolo 6 della Convenzione sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, firmata a Roma il 19 giugno 1980 (in prosieguo: la «Convenzione di Roma») (30) .

39. Infine, l’argomento in questione non può essere accolto neanche in base al rilievo che, sebbene sia possibile ammettere, come sostenuto dalla ST e dalla SEKO, che i rapporti di lavoro a bordo di una nave in alto mare sono disciplinati dal diritto dello Stato di bandiera, in applicazione degli articoli 91 e 94 della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, firmata a Montego Bay il 10 dicembre 1982 (in prosieguo: la «Convenzione di Montego Bay») (31), e come inoltre riconosciuto dalla giurisprudenza della Corte (32), dal regolamento n. 4055/86 non si evince affatto che il legislatore dell’Unione abbia voluto restringere l’ambito di applicazione di quest’ultimo ai cittadini che assicurano servizi di trasporto marittimo mediante navi a bordo delle quali i rapporti di lavoro dell’equipaggio siano disciplinati dal diritto di uno Stato membro (o di quello di uno Stato del SEE) (33) .

40. Subordinare in generale l’ambito di applicazione del regolamento n. 4055/86 ad una siffatta condizione supplementare potrebbe pregiudicare l’obiettivo di quest’ultimo, consistente nell’estensione della libera prestazione dei servizi ai trasporti marittimi fra Stati membri e fra Stati membri e paesi terzi, in modo da abolire gradualmente le restrizioni esistenti e prevenire l’introduzione di nuove restrizioni (34) .

41. Per contro, più delicata è la questione, parimenti discussa dalle parti dinanzi alla Corte, della determinazione della portata esatta dei beneficiari della libera prestazione dei servizi di trasporto marittimo, come contemplati dall’articolo 1, paragrafo 1, del regolamento n. 4055/86, e in particolare la questione se, per il fatto di avere la propria residenza/stabilimento in uno Stato del SEE, il semplice proprietario di una nave rientri nell’ambito di applicazione di tale disposizione.

42. Tale interrogativo nasce da un disaccordo fra le parti nel procedimento principale quanto all’identità e al luogo di stabilimento dell’ente incaricato dell’amministrazione e della gestione della Sava Star, in quanto la ST e la SEKO fanno valere che tali attività sarebbero state trasferite ad una società stabilità a Panama, mentre la Fonnship sostiene che essa assumeva, per il periodo che qui rileva, l’integralità della gestione commerciale della Sava Star a partire dalla Norvegia.

43. Non spetta manifestamente alla Corte, nell’ambito della cooperazione istituita dall’articolo 267 TFUE, risolvere tale «querelle» di natura sostanziale, la quale dovrà essere valutata dal giudice del rinvio, anche se, stando alla formulazione della sua questione pregiudiziale, tale giudice è, pare, partito dalla premessa che la Fonnship esercitasse, durante il periodo dei fatti di cui alla controversia nel procedimento principale, «attività (…) [in] forma di servizi di trasporto», e taluni elementi comunicati da tale società su richiesta della Corte nonché in udienza confortano tale impressione.

44. Tuttavia, se si lascia da parte tale disputa di natura sostanziale e si fa riferimento, al fine di fornire una risposta utile al giudice del rinvio, all’interpretazione dell’articolo 1, paragrafo 1, del regolamento n. 4055/86, occorre anzitutto rammentare che tale disposizione definisce i beneficiari della libera prestazione dei servizi di trasporto marittimo fra Stati membri e fra Stati membri e paesi terzi in termini che sono sostanzialmente gli stessi di quelli di cui all’articolo 49 CE (35), ossia le persone fisiche e giuridiche stabilite nel territorio di uno Stato membro dell’Unione (del SEE) che forniscono o beneficiano, dietro un corrispettivo, di servizi transfrontalieri all’interno del SEE (36) .

45. Sulla base di questa premessa generale, la Corte ha già riconosciuto che rientravano nell’ambito di applicazione ratione personae dell’articolo 1, paragrafo 1, del regolamento n. 4055/86 una società di diritto olandese che armava navi di alto mare (37), un agente marittimo stabilito in uno Stato membro che gestiva una nave della quale non era proprietario e la quale offriva un servizio di linea regolare fra i porti di due Stati membri (38), alcuni armatori greci che noleggiavano interamente le loro imbarcazioni ad agenzie di viaggio per escursioni giornaliere fra uno Stato membro e un paese terzo (39), nonché il capitano di nazionalità italiana di una nave che assicura il trasporto marittimo fra due porti di Stati membri (40) .

46. Tale giurisprudenza denota un’interpretazione flessibile dell’ambito di applicazione ratione personae dell’articolo 1, paragrafo 1, del regolamento n. 4055/86, certamente in sintonia con l’intento di far sì che il maggior numero di attività economiche non ricadenti nell’ambito della libera circolazione dei beni, dei capitali, o delle persone non sia con ciò escluso dall’applicazione del Trattato CE (o dell’accordo SEE) (41) .

47. Resta cionondimeno il fatto che essa non dà esplicitamente indicazioni sulla questione se il semplice proprietario di una nave possa essere considerato un prestatore di servizi di trasporto marittimo.

48. A mio avviso, si possono ricavare informazioni utili, nel senso di una soluzione negativa di tale questione, dalla giurisprudenza della Corte relativa ad altri mezzi di trasporto.

49. Infatti, si evince da tale giurisprudenza, e in particolare dalle sentenze Cura Anlagen (42), Jobra (43) e Waypoint Aviation (44), che se il proprietario di un veicolo può essere facilmente qualificato un prestatore di servizi rientrante nell’ambito di applicazione dell’articolo 49 CE qualora esso offra un siffatto veicolo in locazione (nel quale caso si tratta, in definitiva, di una prestazione di servizi di locazione), la Corte non si è mai spinta, invece, fino al punto di considerarlo un prestatore di servizi di trasporto .

50. Per qualificarlo come tale, occorre dunque che il proprietario eserciti esso stesso delle attività di trasporto, nella specie attività di trasporto marittimo grazie alla gestione delle sue navi.

51. Tale qualificazione è coerente con la definizione dell’espressione «armatori comunitari» di cui all’articolo 2, paragrafo 2, lettera a), del regolamento n. 3577/92, il quale si riferisce ai «cittadini di uno Stato membro (…) che svolgono attività di navigazione » (45) .

52. Essa mi sembra del pari essere in sintonia con la definizione del termine «armatore» che si ritrova, ad esempio, nella clausola 2 dell’allegato alla direttiva 1999/63/CE del Consiglio del 21 giugno 1999 relativa all’accordo sull’organizzazione dell’orario di lavoro della gente di mare, concluso dall’Associazione armatori della Comunità europea (ECSA) e dalla Federazione dei sindacati dei trasportatori dell’Unione europea (FST) (46), con il quale si intende «il proprietario della nave o ogni altro organismo o persona, quali l’imprenditore o il noleggiatore della sola nave, che hanno rilevato dall’armatore la responsabilità per l’esercizio della nave e, ciò facendo, hanno accettato di assumersi i relativi obblighi e responsabilità». Infatti, si evince incontestabilmente da tale definizione che la proprietà di una nave non coincide con la responsabilità della sua gestione.

53. Pertanto, a mio avviso, solo il proprietario di una nave che si assume la responsabilità della sua gestione potrà essere considerato un prestatore di servizi di trasporto marittimo. Per contro, qualora egli affidi tale responsabilità ad altri enti, saranno questi ultimi ad assicurare la prestazione.

54. La questione se il proprietario di una nave possa essere qualificato come prestatore di un servizio di trasporto marittimo qualora esso assuma soltanto una parte delle attività legate alla gestione della nave è tuttavia delicata e dipende senza dubbio dall’insieme delle circostanze di fatto di ciascuna causa.

55. Mi sembra tuttavia possibile svolgere alcune riflessioni generali al riguardo, fermo restando che esse restano estremamente schematiche rispetto alla complessità dell’organizzazione delle attività di trasporto marittimo internazionale.

56. In tal senso, qualora il proprietario di una nave la noleggi per un periodo di tempo determinato (noleggio a tempo) oppure per un determinato viaggio (noleggio a viaggio), è possibile presumere che egli conserverà, in linea di principio, la responsabilità dell’equipaggio della nave. Sebbene sia il noleggiatore ad assicurare il trasporto per i suoi clienti, tale operatore si servirà dell’equipaggio della nave impiegato e messo a disposizione dal proprietario. In una fattispecie del genere, anche se il proprietario della nave resta direttamente responsabile dell’equipaggio della nave, mi sembra ipotizzabile considerare sia il noleggiatore sia il proprietario come soggetti che assicurano una stessa prestazione di servizi di trasporto marittimo. Pertanto, è possibile presumere che entrambi rientrano nell’ambito di applicazione ratione personae del regolamento n. 4055/86 (47) .

57. Per contro, nel caso del noleggio a scafo nudo di una nave, ossia senza equipaggio, sono incline ad escludere il proprietario di tale nave dalla cerchia delle persone, fisiche o giuridiche, idonee a prevalersi della qualità di prestatore di servizi di trasporto marittimo, in quanto la sua posizione non differisce, in definitiva, da quella dei proprietari di altri mezzi di trasporto dati in locazione, i quali, fino ad oggi, non sono mai stati considerati dalla Corte come rientranti nella cerchia dei prestatori di servizi di trasporto.

58. Ciò premesso, spetta al giudice del rinvio, alla luce dell’insieme degli elementi ad esso sottoposti, verificare se la Fonnship, nel periodo delle controversie di cui al procedimento principale, abbia assunto la gestione della Sava Star in modo da assicurare dei servizi di trasporto marittimo ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 1, del regolamento n. 4055/86.

59. Supponendo che sia così, resta da esaminare se l’applicabilità del regolamento n. 4055/86 possa cionondimeno essere esclusa dalla circostanza, dedotta dalla ST e dalla SEKO, nonché dal governo svedese, secondo la quale le norme del SEE non sono intese a tutelare imprese di trasporto marittimo che hanno deciso di distaccarsi dal diritto di uno Stato del SEE, nonché dalle condizioni ragionevoli ammesse a livello internazionale in materia di lavoro e di retribuzione, immatricolando le loro navi in paesi terzi che, come Panama all’epoca dei fatti di cui al procedimento principale, concedono bandiere di comodo.

2. Sulla problematica di un eventuale abuso di diritto

60. In una situazione inedita sulla quale ritornerò in seguito, l’argomento di tali parti interessate rimanda indubbiamente al divieto, elaborato iure praetorio, imposto agli operatori economici di invocare abusivamente le disposizioni del diritto dell’Unione per evadere la loro normativa nazionale o per conseguirne agevolazioni in una maniera che contrasta con gli scopi e le finalità di suddette disposizioni (48) .

61. Alla luce della delimitazione della domanda di pronuncia pregiudiziale, l’esame della questione di un eventuale «abuso di diritto» non è tuttavia esente da difficoltà processuali, tanto è vero che, in udienza, l’Autorità di vigilanza EFTA ha ritenuto che ciò equivarrebbe esattamente ad analizzare la questione che, in definitiva, il giudice del rinvio si è rifiutato di deferire alla Corte.

62. Sebbene l’Autorità di vigilanza EFTA non abbia sviluppato ulteriormente la sua posizione, essa può essere compresa, mi sembra, qualora si concepisca la nozione di abuso di diritto come una regola o un principio (49) che consente di limitare l’esercizio di un diritto (soggettivo) conferito dalle disposizioni del diritto dell’Unione (del SEE) e non come una regola suscettibile di delimitare l’ambito di applicazione di suddette disposizioni.

63. Nella specie, qualificare la nozione di abuso di diritto come una regola che limita l’esercizio di un diritto conferito dal diritto dell’Unione (del SEE) conduce, in effetti, a riconoscere l’applicabilità del regolamento n. 4055/86 e a trasferire l’analisi sul terreno dei rapporti fra il diritto conferito da tale atto alla Fonnship e le azioni sindacali della ST e della SEKO, questione che il giudice del rinvio si è rifiutato di sottoporre alla Corte.

64. Al contrario, ammettere che la nozione di abuso di diritto opera come una regola che consente di delimitare l’ambito di applicazione del diritto dell’Unione (del SEE) autorizzerebbe, nella presente causa, a collegare l’esame di un’eventuale pratica abusiva alla questione pregiudiziale deferita alla Corte, la quale riguarda l’ambito di applicazione ratione personae del regolamento n. 4055/86.

65. Nella sua giurisprudenza, la Corte non sembra avere fermamente optato per l’una o per l’altra di tali qualificazioni dell’abuso di diritto.

66. In tal senso, essa ha affermato che «secondo una costante giurisprudenza l’applicazione dei regolamenti dell’Unione non può estendersi fino alla tutela di pratiche abusive di operatori economici» (50) lasciando intendere, di conseguenza, che la nozione di abuso (di diritto) costituisce una regola di delimitazione dell’ambito di applicazione delle disposizioni del diritto dell’Unione (51), mentre, al contrario, essa ha rilevato «che l’eventuale uso abusivo dei diritti concessi dall’ordinamento giuridico [dell’Unione] in virtù delle disposizioni relative alla libera circolazione dei lavoratori presuppone che il soggetto interessato rientri nell’ambito ratione personae di detto Trattato , soddisfacendo le condizioni per essere qualificato “lavoratore”» (52), e ha inoltre esaminato la lotta contro le pratiche abusive sulla base dei motivi di interesse generale suscettibili di giustificare restrizioni alle libertà di circolazione (53), il che presuppone parimenti che le situazioni di cui trattasi rientrino senz’altro nell’ambito di applicazione di tali libertà.

67. Da parte mia, sarei incline a privilegiare quest’ultimo orientamento della Corte, piuttosto che concepire la nozione di abuso di diritto come un principio di delimitazione dell’ambito di applicazione delle disposizioni del diritto dell’Unione (del SEE).

68. Una serie di ragioni forgia la mia convinzione in tal senso.

69. Anzitutto, un semplice motivo di ordine semantico, il quale può essere riassunto come segue: un diritto può formare l’oggetto di un uso abusivo solo se è stato previamente riconosciuto. Facendo riferimento in modo ricorrente alla necessità di impedire «l’abuso di diritto», i «comportamenti abusivi» o le «pratiche abusive» dei singoli o degli operatori economici, la Corte intende senz’altro, a mio avviso, accordare a queste diverse espressioni una funzione limitativa dei diritti soggettivi che questi ultimi ricavano dalle disposizioni del diritto dell’Unione, e in particolare dalle libertà di circolazione che esso garantisce. Poiché siffatti diritti sono parimenti conferiti dall’accordo SEE (54), nulla osta, sul punto, all’adozione di tale concezione della nozione di abuso di diritto.

70. Inoltre, ritenere il divieto dell’abuso di diritto un principio che delimita l’ambito di applicazione delle disposizioni del diritto dell’Unione, equivarrebbe, a mio avviso, a conferirgli, nei confronti delle libertà fondamentali di circolazione, lo status analogo a quello di una regola di ragionevolezza ( rule of reason ), il che mi sembrerebbe erroneo e poco opportuno. Infatti, un siffatto riconoscimento porterebbe a verificare, in qualsiasi fattispecie, se una determinata situazione non implichi un abuso di diritto prima di ritenere che tale situazione non rientri nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione. Un rapporto del genere fra l’abuso e il diritto, il quale privilegia l’esame dell’abuso su quello del diritto, pregiudicherebbe in maniera significativa, a mio avviso, l’effetto utile delle libertà di circolazione garantite dal Trattato CE e dall’accordo SEE.

71. Inoltre, il fatto che la Corte qualifichi il divieto dell’abuso di diritto come un principio generale del diritto dell’Unione (55) – status che potrebbe essere eventualmente ammesso anche nell’ambito dell’accordo SEE (56) ‑ la cui inosservanza può tradursi nella limitazione o nel diniego del beneficio delle disposizioni del diritto dell’Unione fatte valere, conforta la tesi che la funzione di tale nozione eccede quella di una regola di interpretazione delle norme del diritto dell’Unione (57) .

72. Infine, come illustrato dalla sentenza Halifax e a. cit., pronunciata nell’ambito dell’imposta sul valore aggiunto (IVA), la giurisprudenza mostra che, in ogni caso, le operazioni implicate in un comportamento abusivo non sfuggono all’ambito di applicazione delle disposizioni del diritto dell’Unione, il che, al contrario, sarebbe la conseguenza della constatazione di un abuso di diritti qualora esso mirasse a delimitare l’ambito di applicazione delle norme di tale diritto. Infatti, come si evince da tale sentenza, la circostanza che delle operazioni costitutive di un comportamento abusivo debbano essere ridefinite in maniera tale da ripristinare la situazione quale sarebbe esistita in assenza di suddette operazioni fa in modo che l’abuso di diritto operi come un principio limitativo dei diritti soggettivi dei singoli conferiti dal diritto dell’Unione. Tale approccio, da un lato, autorizza l’operatore di cui trattasi ad usufruire dell’esercizio adeguato dei suoi diritti (58), mentre, dall’altro, opera come un test di proporzionalità dei comportamenti abusivi e delle misure volte a prevenirli.

73. Alla luce della delimitazione della questione pregiudiziale effettuata dal giudice del rinvio, la conseguenza procedurale, nella presente causa, della tesi consistente nell’assimilare la funzione dell’abuso di diritto ad una regola di limitazione dei diritti soggettivi che i singoli ricavano dal diritto dell’Unione potrebbe semplicemente consistere nel non procedere all’esame di un eventuale abuso di diritto, tanto che tale esame rischierebbe di sconfinare nella questione, non deferita intenzionalmente dal giudice del rinvio, concernente l’esercizio del diritto alla libera prestazione dei servizi di trasporto marittimo ai sensi del regolamento n. 4055/86 e i limiti che possono legittimamente essere apportati allo stesso. Propenderei per privilegiare tale orientamento.

74. Qualora tale soluzione non venga condivisa dalla Corte, in particolare in base al rilievo che la nozione di abuso di diritto avrebbe la funzione di delimitare l’ambito di applicazione del diritto dell’Unione, desidererei sottoporre le seguenti osservazioni all’attenzione della Corte, al fine di metterla nelle migliori condizioni per emettere la propria sentenza.

75. Anzitutto, mi preme ricordare che la Corte ha riconosciuto a più riprese che uno Stato membro ha il diritto di adottare misure volte ad impedire che, grazie alle possibilità offerte dal Trattato, taluni dei suoi cittadini tentino di sottrarsi abusivamente all’impero delle leggi nazionali, e che gli interessati non possono avvalersi abusivamente o fraudolentemente di norme del diritto dell’Unione (59) .

76. Il riconoscimento dell’interesse legittimo degli Stati membri a lottare contro l’elusione abusiva della propria legislazione nazionale non corrisponde manifestamente alla situazione all’origine delle controversie di cui al procedimento principale.

77. Infatti, si evince chiaramente dal fascicolo, nonché dalle osservazioni delle parti nel procedimento principale, che le azioni intraprese dai sindacati svedesi nei confronti della Fonnship, ammesso che esse siano equiparate a quelle delle autorità di uno Stato membro (60), non perseguivano l’obiettivo di evitare che tale società, traendo vantaggio dalle disposizioni del regolamento n° 4055/86, applicabili in linea di principio alle navi battenti bandiera di un paese terzo, sottraesse i contratti di lavoro dei membri dell’equipaggio della Sava Star al diritto svedese oppure, quantomeno, alle disposizioni imperative della legge svedese (61) .

78. Secondo le memorie della ST e della SEKO, tali azioni sono state intraprese al fine di evitare che la Fonnship potesse distaccarsi dal diritto del lavoro norvegese o dalle «condizioni ragionevoli ammesse a livello internazionale in materia di lavoro e di retribuzione».

79. Pertanto, per ammettere che nelle controversie di cui al procedimento principale ricorra l’ipotesi della «sottrazione abusiva di taluni cittadini all’impero delle leggi nazionali» ai sensi della giurisprudenza, occorrerebbe dunque non solo assimilare le azioni sindacali a quelle di uno Stato membro, bensì anche riconoscere che uno Stato del SEE possa legittimamente lottare contro l’elusione, da parte degli operatori economici stabiliti in un altro Stato del SEE, della legislazione giuslavoristica di questo altro Stato, ovvero, secondo la ST e la SEKO, delle «condizioni ragionevoli di remunerazione ammesse a livello internazionale», senza che tali condizioni vengano chiarite ulteriormente e senza che esista, a livello del SEE, un riavvicinamento delle normative nazionali in materia di retribuzione minima, in particolare di quella della gente di mare (62) .

80. In ogni caso, anche ammesso che la Corte sia pronta a compiere tale passo, dalla giurisprudenza si evince inoltre che, sebbene i giudici nazionali possano, di volta in volta, tener conto, sulla base di elementi oggettivi, del comportamento abusivo dei soggetti interessati per negare loro la possibilità di fruire delle disposizioni del diritto dell’Unione invocate, tali giudici, nel valutare tale comportamento, devono tener presenti le finalità perseguite dalle disposizioni del diritto dell’Unione di cui trattasi (63) .

81. Inoltre, sempre secondo la Corte, la prova di una pratica abusiva richiede, da un lato, un insieme di circostanze oggettive dalle quali risulti che, nonostante un rispetto formale delle condizioni previste dalla normativa dell’Unione, l’obiettivo perseguito da tale normativa non è stato raggiunto e, dall’altro, un elemento soggettivo consistente nella volontà di ottenere un vantaggio derivante dalla normativa dell’Unione mediante la creazione artificiosa delle condizioni necessarie per il suo ottenimento (64) .

82. Se, ai sensi della giurisprudenza menzionata al paragrafo 80 delle presenti conclusioni, ci si limita ad esaminare l’obiettivo perseguito dalla disposizione di cui trattasi, ossia l’articolo 1, paragrafo 1, del regolamento n. 4055/86, tale obiettivo consiste, come indicato in precedenza, nell’accordare ai cittadini degli Stati del SEE il diritto alla libera prestazione di servizi di trasporto marittimo fra Stati del SEE e fra questi e i paesi terzi, a prescindere dal luogo di immatricolazione o dalla bandiera delle navi gestite da tali cittadini.

83. Pertanto, non può costituire di per sé un abuso della libera prestazione dei servizi sancita dall’articolo 1, paragrafo 1, del regolamento n. 4055/86, il semplice fatto, per un cittadino stabilito in uno Stato del SEE, di gestire a tal fine una nave battente bandiera di un paese terzo.

84. Inoltre, non costituisce un siffatto abuso neanche la gestione, da parte di tale cittadino, di una nave battente bandiera di comodo di uno Stato terzo, vale a dire, sebbene non esista una definizione ufficiale, di una nave priva di un legame effettivo («genuine link») con lo Stato del quale batte bandiera, ai sensi dell’articolo 91, paragrafo 1, della convenzione di Montego Bay (65), essendo stata ivi immatricolata da parte o in nome di un proprietario straniero per ragioni di opportunità, principalmente al fine di trarre vantaggio dalle garanzie di riservatezza, dalla tassazione dei redditi e dall’applicazione delle norme locali in materia sociale e previdenziale, nonché ambientale (66) .

85. Infatti, mentre è pacifico che, quantomeno fino al momento dei fatti delle controversie di cui al procedimento principale, Panama costituiva uno dei principali Stati a livello mondiale che concedono bandiere di comodo, (67), la Corte non ha avuto alcuna remora, nelle summenzionate sentenze Corsica Ferries e Corsica Ferries France, a riconoscere l’applicabilità dell’articolo 1, paragrafo 1, del regolamento n. 4055/86 ad imprese di trasporto che gestiscono navi battenti bandiera di tale paese terzo.

86. Tuttavia, alla luce della giurisprudenza di cui al paragrafo 81 delle presenti conclusioni, la prova di una pratica abusiva esige inoltre che venga preso in considerazione l’obiettivo perseguito non solo dalle disposizioni di cui trattasi, bensì, più in generale, dalla normativa citata, nella specie il regolamento n. 4055/86 stesso.

87. Orbene, occorre rilevare che il sesto e il settimo considerando di suddetto regolamento insistono sulla circostanza che, per quanto riguarda le compagnie che operano nel settore dei trasporti di rinfuse o della navigazione non di linea, l’Unione tende segnatamente a mantenere nel settore di tali attività un «regime di (…) leale concorrenza» e che l’attività di suddette compagnie, in particolare, non dovrebbe essere impedita «fintanto che queste rispettano il principio di una leale concorrenza su una base commerciale».

88. Se è vero che la nozione di «concorrenza leale» non viene definita, mentre essa si ritrova non solo nel preambolo del Trattato CE (68) bensì anche in molteplici atti di diritto derivato dell’Unione, la Corte ha riconosciuto che la «prevenzione della concorrenza sleale» da parte di imprese che retribuiscono i loro dipendenti a un livello inferiore rispetto a quello corrispondente al salario minimo poteva essere considerata un obiettivo legittimo (69) .

89. Il rispetto di una concorrenza leale, perseguito dal regolamento n. 4055/86, verrebbe compromesso, a mio avviso, in particolare qualora venisse dimostrato che un’impresa di trasporto marittimo che opera nel settore dei trasporti di rinfuse o della navigazione non di linea fra gli Stati membri del SEE tramite una nave immatricolata in un paese terzo con il quale tale nave non ha un legame effettivo retribuisce l’equipaggio della sua nave ad un livello significativamente inferiore a quello corrispondente al salario minimo oppure, altrimenti, al salario generalmente ammesso nel settore, il quale sarebbe applicabile, in linea di principio, se la nave fosse stata immatricolata nello Stato del SEE nel quale tale impresa è stabilita (70) .

90. Pertanto, in una fattispecie del genere, nonostante il rispetto formale delle condizioni di applicazione del regolamento n. 4055/86, l’obiettivo di quest’ultimo, consistente nell’assicurare il rispetto della leale concorrenza nel settore dei servizi di navigazione non di linea e di trasporto di rinfuse all’interno del SEE, non verrebbe conseguito.

91. In conformità della giurisprudenza, spetta al giudice del rinvio verificare se tale condizione sia soddisfatta nelle controversie di cui al procedimento principale, in funzione delle regole di prova del diritto nazionale, purché ciò non pregiudichi l’efficacia del diritto dell’Unione (71) .

92. Quanto all’elemento soggettivo costitutivo della prova di una pratica abusiva, condizione la cui avvenuta soddisfazione deve parimenti essere verificata dal giudice del rinvio (72), ritengo, sulla base della giurisprudenza, che due circostanze, non necessariamente cumulative, meritino di essere verificate.

93. Da un lato, potrebbe essere constatato un comportamento abusivo qualora risulti da un insieme di elementi oggettivi che lo «scopo essenziale» perseguito dal cittadino di uno Stato del SEE, proprietario di una nave battente bandiera di comodo di un paese terzo, consisteva nell’evitare l’applicazione delle condizioni di retribuzione dell’equipaggio di tale nave che sarebbero state normalmente applicabili qualora quest’ultima fosse stata immatricolata nello Stato del SEE nel quale il proprietario della nave è stabilito (73), compromettendo, di conseguenza, l’obiettivo del rispetto di una leale concorrenza, quale previsto dal regolamento n. 4055/86 (74) .

94. D’altro lato, il giudice del rinvio potrebbe anche essere tenuto a verificare se il cittadino di uno Stato del SEE, proprietario di una nave battente bandiera di comodo di un paese terzo, abbia «creato artificiosamente» le condizioni di applicazione delle disposizioni del regolamento n. 4055/86 tramite costruzioni mediante le quali egli gestirebbe solo in maniera fittizia, in tutto o in parte, tale nave, a favore di una o più società ad esso legate, stabilite in un paese terzo (75) . Infatti, in quest’ultima fattispecie, tale cittadino dovrebbe essere ritenuto il semplice proprietario di tale nave e, come già illustrato in precedenza, non potrebbe pertanto validamente entrare nella cerchia dei soggetti beneficiari della libera prestazione dei servizi di trasporto marittimo, quale sancita dall’articolo 1, paragrafo 1, del regolamento n. 4055/86 (76) .

III – Conclusione

95. Alla luce delle considerazioni che precedono, suggerisco alla Corte di risolvere nei seguenti termini la questione pregiudiziale deferita dall’Arbetsdomstolen:

«L’articolo 1, paragrafo 1, del regolamento (CEE) n. 4055/86 del Consiglio, del 22 dicembre 1986, che applica il principio della libera prestazione dei servizi ai trasporti marittimi tra Stati membri e tra Stati membri e paesi terzi, come modificato dal regolamento (CEE) n. 3573/90 del Consiglio, del 4 dicembre 1990, integrato a sua volta nell’Accordo sullo Spazio economico europeo, firmato il 2 maggio 1992, deve essere interpretato nel senso che la libera prestazione dei servizi di trasporto marittimo si applica ad una società stabilita in uno Stato dello Spazio economico europeo, (SEE), proprietaria di una nave battente bandiera di un paese terzo e che effettua servizi di trasporto marittimo fra gli Stati del SEE, a condizione che tale società assuma essa stessa la responsabilità della gestione di tale nave, circostanza che deve essere verificata dal giudice del rinvio».

(1) .

(2)  – (GU 1994, L 1, pag. 3).

(3)  – GU L 378, pag. 1, con rettifica in GU 1987, L 93, pag. 17 e come modificato dal regolamento (CEE) n. 3573/90 del Consiglio del 4 dicembre 1990, GU L 353, pag. 16, in prosieguo: il «regolamento n. 4055/86»).

(4)  – V. allegato XIII dell’accordo SEE, GU 1994, L 1, pag. 422.

(5)  – Emerge dal fascicolo e dalle osservazioni della Fonnship che la Sava Star era una nave mercantile per carichi alla rinfusa che effettuava servizi «tramp» [servizi di trasporto con navi da carico non regolari], sostanzialmente all’interno del SEE. Ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 3, lettera a), del regolamento (CEE) n. 4056/86 del Consiglio del 22 dicembre 1986, che determina le modalità di applicazione degli articoli 85 e 86 del trattato ai trasporti marittimi (GU L 378, pag. 4), per servizi (internazionali) di trasporto con navi da carico non regolari (tramps) si intendono «i servizi di trasporto di merci alla rinfusa o di “break-bulk”, mediante una nave totalmente o parzialmente noleggiata ad uno o più caricatori sulla base di un noleggio a viaggio o a tempo o di qualsiasi altro tipo di contratto, su linee non regolari o non pubblicate allorché le tariffe di nolo siano liberamente negoziate caso per caso conformemente alle condizioni dell’offerta e della domanda»., Si tratta quindi essenzialmente del trasporto non regolare di una sola merce che occupa tutta la nave: v. anche punto 11 delle Linee direttrici sull’applicazione dell’articolo 81 del trattato CE ai servizi di trasporto marittimo, GU 2008, C 245, pag. 2.

(6)  – Si trattava, all’epoca dei fatti del procedimento principale, di quattro ufficiali polacchi e di due marinai russi.

(7)  – Come rilevato dalla Corte nella sentenza dell’11 dicembre 2007, International Transport Workers’ Federation e Finnish Seamen’s Union (detta «Viking Line») (C‑438/05, Racc. pag. I‑10779, punti 7 e 8), l’ITF raggruppa taluni sindacati dei lavoratori del settore dei trasporti: una delle principali politiche da essa perseguite è la campagna di lotta contro le «bandiere di comodo». Gli obiettivi principali di tale politica sono, da un lato, la fissazione di un legame sostanziale tra la bandiera di una nave e la nazionalità del suo proprietario e, dall’altro lato, la tutela e il miglioramento delle condizioni di lavoro degli equipaggi delle navi battenti una bandiera di comodo. L’ITF ritiene che una nave sia registrata con una bandiera di comodo qualora la proprietà effettiva e il controllo della nave si collochino in uno Stato diverso da quello della bandiera con la quale la nave è immatricolata.

(8)  – Sentenza del 18 dicembre 2007, Laval un Partneri (C‑341/05, Racc. pag. I‑11767).

(9)  – V., ad esempio, sentenze del 12 novembre 1992, Kerafina - Keramische und Finanz-Holding e Vioktimatiki (C‑134/91 e C‑135/91, Racc. pag. I‑5699, punto 16); del 17 luglio 1997, Affish (C‑183/95, Racc. pag. I‑4315, punto 23), nonché del 21 dicembre 2011, Danske Svineproducenter (C‑316/10, Racc. , pag. I‑13721 punto 32).

(10)  – V., segnatamente, sentenze del 6 luglio 2006, Kersbergen-Lap e Dams-Schipper (C‑154/05, Racc. pag. I‑6249, punto 21 e la giurisprudenza citata), nonché dell’11 luglio 2013, Belgian Electronic Sorting Technology (C‑657/11, punto 28).

(11)  – Sentenza del 9 dicembre 1965, Singer (44/65, Racc. pag. 1191, in particolare pag. 1199).

(12)  – Idem, pag. 1198, nonché, segnatamente, sentenze Kerafina - Keramische und Finanz-Holding e Vioktimatiki, cit., punto 16; del 17 settembre 1998, Kainuun Liikenne e Pohjolan Liikenne (C‑412/96, Racc. pag. I‑5141, punto 23), nonché del 15 ottobre 2009, Hochtief e Linde‑Kca‑Dresden (C‑138/08, Racc. pag. I‑9889, punto 21).

(13)  – V., in particolare, sentenze Singer, cit., pag. 1199; del 19 gennaio 1994, SAT Fluggesellschaft (C‑364/92, Racc. pag. I‑43, punto 9), del 6 luglio 2000, ATB e a. (C‑402/98, Racc. pag. I‑5501, punto 29); del 16 dicembre 2008, Cartesio (C‑210/06, Racc. pag. I‑9641, punto 90); del 15 ottobre 2009, Acoset (C‑196/08, Racc. pag. I‑9913, punto 34), nonché del 18 luglio 2013, Consiglio Nazionale dei Geologi e Autorità garante della concorrenza e del mercato (C‑136/12, punto 28).

(14)  – V., segnatamente, citate sentenze Kainuun Liikenne e Pohjolan Liikenne, punto 24; Hochtief e Linde-Kca-Dresden, punto 22, nonché Danske Svineproducenter, punto 32.

(15)  – V., ad esempio, sentenze Kainuun Liikenne e Pohjolan Liikenne, punto 24; Kersbergen-Lap e Dams-Schipper, punto 22; nonché sentenze del 14 aprile 2011, Vlaamse Dierenartsenvereniging e Janssens (C‑42/10, C‑45/10 e C‑57/10, Racc. pag. I‑2975, punti da 42 a 45), nonché del 13 ottobre 2011, DHL International (C‑148/10, Racc. pag. I‑9543, punti 25, 28 e 30), nonché Danske Svineproducenter, punto 33.

(16)  – V., segnatamente, sentenze ATB e a., cit. (punti 28, 30 e 31); del 26 giugno 2007, Ordre des barreaux francophones et germanophones e a. (C‑305/05, Racc. pag. I‑5305, punto 19), nonché del 15 aprile 2008, Nuovo Agricast (C‑390/06, Racc. pag. I‑2577, punto 44).

(17)  – V., inter alia, sentenze del 12 dicembre 1990, Hennen Olie (C‑302/88, Racc. pag. I‑4625, punto 20, nonché del 17 ottobre 2013, Welte (C‑181/12, punti 16 e 27).

(18)  – V., ad esempio, sentenza del 3 giugno 2010, Internetportal und Marketing (C‑569/08, Racc. pag. I‑4871, punti da 27 a 30).

(19)  – V., ad esempio, sentenze del 29 aprile 2004, Weigel (C‑387/01, Racc. pag. I‑4981, punto 44); del 21 febbraio 2006, Ritter-Coulais (C‑152/03, Racc. pag. I‑1711, punto 39); del 25 gennaio 2007, Dyson (C‑321/03, Racc. pag. I‑687, punto 26); del 30 maggio 2013, Worten (C‑342/12, punti 30 e 31), nonché del 12 dicembre 2013, Hay (C‑267/12, punto 23).

(20)  – V. sentenze del 5 ottobre 1988, Alsatel (247/86, Racc. pag. 5987, punti 7 e 8) nonché DHL International, cit., punti 25 e 30. V. parimenti, in tal senso, sentenze del 2 giugno 1994, AC‑ATEL Electronics (C‑30/93, Racc. pag. I‑2305, punti 19 e 20, nonché del 10 luglio 1997, Palmisani (C‑261/95, Racc. pag. I‑4025, punti 30 e 31). V. anche paragrafo 25 delle conclusioni dell’avvocato generale Lenz nella causa che ha dato luogo alla sentenza AC-ATEL Electronics, cit.; paragrafo 46 delle conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa che ha dato luogo alla sentenza del 21 dicembre 2011, Air Transport Association of America e a. (C‑366/10, Racc. pag. I‑13755), nonché paragrafo 18 delle conclusioni da me presentate nella causa che ha dato luogo alla sentenza Belgian Electronic Sorting Technology, cit.

(21)  – Nella sentenza DHL International, cit., la Corte ha tenuto a precisare, al punto 30 della sua sentenza, che il giudice del rinvio non aveva riconosciuto «né la necessità né la pertinenza» delle questioni supplementari di interpretazione del diritto dell’Unione suggerite dinanzi al medesimo dalla ricorrente nel procedimento principale.

(22)  – È quanto suggerito anche, in pratica, rispettivamente dall’avvocato generale Léger al paragrafo 46 delle conclusioni presentate nella causa che ha dato luogo alla sentenza del 26 settembre 2000, Engelbrecht (C‑262/97, Racc. pag. I‑7321) e dall’avvocato generale Bot ai paragrafi 34 e 35 delle sue conclusioni nella causa che ha dato luogo alla sentenza dell’8 settembre 2010, Winner Wetten (C‑409/06, Racc. pag. I‑8015), nell’ottica di fornire una risposta utile ai giudici nazionali. È del pari quanto ha riconosciuto la Corte nella sua sentenza del 12 febbraio 2009, Vereniging Noordelijke Land- en Tuinbouw Organisatie (C‑515/07, Racc. pag. I‑839, punti 29 e 40), in seguito alle mie conclusioni in tal senso (v. segnatamente paragrafo 56 di tali conclusioni). Le ragioni del rigetto delle due prime proposte e dell’accoglimento della terza non emergono dai motivi delle sentenze. È tuttavia interessante rilevare che solo la causa sfociata nella sentenza Vereniging Noordelijke Land- en Tuinbouw Organisatie, cit., era stata avviata da un giudice nazionale che statuiva in ultima istanza.

(23)  – V. sentenza Consiglio Nazionale dei geologi e Autorità garante della concorrenza e del mercato, cit., punto 34. Si osservi che, al punto 25 di tale sentenza, la Corte afferma che un giudice avverso le cui decisioni non esista alcun ricorso giurisdizionale è « in linea di principio , tenuto a rivolgersi alla Corte ai sensi dell’articolo 267, terzo comma, TFUE quando è chiamato a pronunciarsi su una questione di interpretazione del predetto Trattato» (il corsivo è mio).

(24)  – Idem, punto 29.

(25)  – Sentenza del 17 maggio 1994, Corsica Ferries (C‑18/93, Racc. pag. I‑1783, punto 29) (il corsivo è mio). Il fatto che le navi gestite da tale società fossero immatricolate e battessero bandiera panamense si evince dal punto 8 della sentenza. V. anche sentenza del 18 giugno 1998, Corsica Ferries France (C‑266/96, Racc. pag. I‑3949, punto 3).

(26)  – V. al riguardo, inter alia, Bredima-Savopoulou A. e Tzoannos J., The Common Shipping Policy of the EC , North Holland, Amsterdam, 1990, pag. 176 e Baena Baena P.J., La politica comunitaria de los transportes maritimos , Marcial Pons, Madrid, 1995, pag. 127.

(27)  – Secondo un autore, si trattava dell’85% della flotta battente bandiera greca: v. Martinez Lage S., «El régimen comunitario del transport marítimo y el Real Decreto 990/1986 sobre ordenación del transporte marítimo en España», Gaceta Juridica de la CEE , n. 10, 1988, pag. 408.

(28)  – Ai punti 79 e 80 delle loro osservazioni scritte, la ST e la SEKO menzionano, a sostegno dei loro argomenti, le sentenze del 12 luglio 1984, Prodest (237/83, Racc. pag. 3153, punto 6); del 27 settembre 1989, Lopes da Viega (9/88, Racc. pag. 2989, punto 15); del 29 giugno 1994, Aldewereld (C‑60/93, Racc. pag. I‑2991, punto 14), nonché del 30 aprile 1996, Boukhalfa (C‑214/94, Racc. pag. I‑2253, punto 15), le quali riguardano tutte l’interpretazione delle disposizioni del Trattato o del diritto derivato relative alla libera circolazione dei lavoratori.

(29)  – V., in tal senso, segnatamente, citate sentenze Kersbergen-Lap e Dams-Schipper, punto 21, e Danske Svineproducenter, punto 32.

(30)  – GU L 266, pag. 1. Ricordo che l’articolo 6 della Convenzione di Roma, intitolato «Contratto individuale di lavoro», prevede, in sostanza, che nei contratti di lavoro, la scelta della legge applicabile ad opera delle parti non vale a privare il lavoratore della protezione assicuratagli dalle norme imperative della legge che regolerebbe il contratto, in mancanza di scelta, a norma dell’articolo 6, paragrafo 2. Ai sensi di tale paragrafo, il contratto di lavoro è disciplinato a) dalla legge del paese in cui il lavoratore, in esecuzione del contratto, compie abitualmente il suo lavoro, oppure dalla legge del paese dove si trova la sede che ha proceduto ad assumere il lavoratore, qualora questi non compia abitualmente il suo lavoro in uno stesso paese. Tali criteri si applicano a meno che non risulti dall’insieme delle circostanze che il contratto di lavoro presenta un collegamento più stretto con un altro paese, nel qual caso si applica la legge di quest’altro paese. V. sull’applicazione e sui rapporti fra tali criteri di determinazione della legge applicabile nel caso del licenziamento di un membro dell’equipaggio di una nave: sentenza del 15 dicembre 2011, Voogsgeerd (C‑384/10, Racc. pag. I‑13275).

(31)  – Inclusi nella parte VII della convenzione di Montego Bay, intitolata «Alto mare», gli articoli 91 e 94 prevedono rispettivamente, in particolare, da un lato, che le navi hanno la nazionalità dello Stato di cui sono autorizzate a battere bandiera, e che fra lo Stato e la nave deve esistere un legame effettivo, e, dall’altro, che ogni Stato esercita efficacemente la propria giurisdizione e il proprio controllo su questioni di carattere amministrativo, tecnico e sociale sulle navi che battono la sua bandiera, in particolare, conformemente alla propria legislazione, sul comandante, gli ufficiali e l’equipaggio, in relazione alle questioni di ordine amministrativo, tecnico e sociale di pertinenza della nave.

(32)  – V. sentenza del 24 novembre 1992, Poulsen e Diva Navigation (C‑286/90, Racc. pag. I‑6019, punti 18 e 22).

(33)  – V., in tal senso, per analogia, sentenza del 9 marzo 2006, Commissione/Spagna (C‑323/03, Racc. pag. I‑2161, punto 26), a proposito del rifiuto della Corte di equiparare i termini impiegati nel regolamento (CEE) n. 3577/92 del Consiglio del 7 dicembre 1992, concernente l’applicazione del principio della libera prestazione dei servizi ai trasporti marittimi fra Stati membri (cabotaggio marittimo), (GU L 364, pag. 7) a quelli della convenzione di Montego Bay, il che avrebbe comportato la restrizione dell’ambito di applicazione di suddetto regolamento.

(34)  – V. penultimo considerando del regolamento n. 4055/86. Per un ragionamento analogo, v. sentenza Commissione/Spagna, cit., punto 24.

(35)  – V. sentenze del 14 luglio 1994, Peralta (C‑379/92, Racc. pag. I‑3453, punto 39); del 5 ottobre 1994, Commissione/Francia (C‑381/93, Racc. pag. I‑5145, punto 10), nonché del 13 giugno 2002, Sea-Land Service e Nedlloyd Lijnen (C‑430/99 e C‑431/99, Racc. pag. I‑5235, punto 30).

(36)  – V., per quanto riguarda l’articolo 36 dell’accordo SEE (libera prestazione dei servizi), sentenza della Corte EFTA Granville Establishment (E‑13/11, EFTA Court Rep., pag. 403, punti 38 e 39).

(37)  – V. sentenza Sea-Land Service e Nedlloyd Lijnen, cit., punti 16 e da 26 a 29. Si osservi che anche se la Corte lascia al giudice nazionale il compito di verificare se le situazioni all’origine delle controversie in tale causa rientrassero nell’ambito di applicazione ratione personae del regolamento n. 4055/86, ciò è dovuto con tutta probabilità al fatto che, come emerge dai punti da 63 a 76 delle conclusioni presentate dall’avvocato generale Alber in relazione a tale sentenza, l’altra società di trasporto marittimo coinvolta nel procedimento principale (la Sea-Land Service) era stabilita negli Stati Uniti d’America, e che il giudice del rinvio non aveva fornito sufficienti indicazioni quanto al rispetto delle condizioni previste dall’articolo 1, paragrafo 2, del regolamento.

(38)  – V. sentenza Corsica Ferries, cit., punti 8 e 30, e paragrafo 2 delle conclusioni presentate dall’avvocato generale van Gerven in relazione a tale sentenza; v. parimenti, Corsica Ferries France, cit., punto 3. Come indicato in precedenza, le navi battevano bandiera panamense.

(39)  – V. sentenza del 14 novembre 2002, Geha Naftiliaki e a. (C‑435/00, Racc. pag. I‑10615, punti 5 e 6), nonché i paragrafi 5 e 6 delle conclusioni presentate dall’avvocato generale Alber in relazione a tale sentenza.

(40)  – Sentenza Peralta, cit., punto 42. L’armatore della nave era italiano e la nave batteva bandiera italiana.

(41)  – V., in tal senso, sentenza del 23 aprile 2009, Falco Privatstiftung e Rabitsch (C‑533/07, Racc. pag. I‑3327, punto 35).

(42)  – Sentenza del 21 marzo 2002, (C‑451/99, Racc. pag. I‑3193, punto 18). Tale causa riguardava l’obbligo di immatricolazione nello Stato di utilizzazione di veicoli acquisiti in leasing presso un’impresa stabilita in un altro Stato membro.

(43)  – Sentenza del 4 dicembre 2008, (C‑330/07, Racc. pag. I‑9099, punto 22). Tale causa riguardava il rifiuto opposto dalle autorità di uno Stato membro di accordare un premio per l’investimento ad una società che aveva dato in leasing degli autocarri utilizzati principalmente sul territorio di altri Stati membri.

(44)  – Sentenza del 13 ottobre 2011, (C‑9/11, Racc. pag. I‑9697, punti 17 e 20). La causa riguardava, in sostanza, il divieto di concessione di un diritto d’uso di un aeromobile ad una società non stabilita nello Stato membro che aveva accordato un vantaggio fiscale per il finanziamento del suo acquisto.

(45)  – Il corsivo è mio.

(46)  – GU L 167, pag. 33. Tale direttiva era applicabile all’epoca dei fatti di cui alle controversie nel procedimento principale, e anche nel SEE, in forza della decisione n. 66/2000 del comitato misto SEE del 2 agosto 2000, che modifica l’allegato XI (servizio di telecomunicazioni) dell’accordo SEE (GU L 250, pag.48). I requisiti della direttiva sono stati estesi dalla direttiva 1999/95/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 dicembre 1999, concernente l’applicazione delle disposizioni relative all’orario di lavoro della gente di mare a bordo delle navi che fanno scalo nei porti della Comunità (GU 2000, L 14, pag. 29), a tutte le navi che fanno scalo in un porto dell’Unione [tale direttiva è stata a sua volta integrata nell’accordo SEE dalla decisione n. 94/2000 del comitato misto SEE del 27 ottobre 2000, che modifica l’allegato XIII (Trasporti) dell’accordo SEE (GU 2001, L 7, pag. 19)]. Tuttavia, ai sensi dell’articolo 11 della direttiva 1999/95, i requisiti imposti erano tuttavia applicabili alle navi battenti bandiera di paesi terzi solo a partire dal 10 gennaio 2003, data di entrata in vigore del protocollo del 1996 della convenzione n. 147 dell’Organizzazione Internazionale del lavoro (OIL) concernente le norme minime da osservare sulle navi mercantili, ossia qualche settimana prima dell’azione collettiva intrapresa dalla SEKO. Occorre parimenti osservare che, per quanto riguarda gli strumenti completamente posteriori ai fatti di cui alle controversie nel procedimento principale, una definizione analoga è ravvisabile all’articolo 2, lettera j), della Convenzione sul lavoro marittimo del 2006, stipulata nell’ambito dell’OIL ed entrata in vigore il 20 agosto 2013. Quest’ultima definizione è stata ripresa all’allegato della direttiva 2009/13/CE del Consiglio del 16 febbraio 2009, recante attuazione dell’accordo concluso dall’Associazione armatori della Comunità europea (ECSA) e dalla Federazione europea dei lavoratori dei trasporti (ETF) sulla convenzione sul lavoro marittimo del 2006 e modifica della direttiva 1999/63/CE (GU L 124, pag. 30).

(47)  – È, a quanto risulta, la situazione all’origine della sentenza Geha Naftiliaki e a., cit.

(48)  – V., in tal senso, paragrafo 63 delle conclusioni dell’avvocato generale Poiares Maduro, presentate nella causa che ha dato luogo alla sentenza del 21 febbraio 2006, Halifax e a. (C‑255/02, Racc. pag. I‑1609).

(49)  – Rammento che, nella sua sentenza del 5 luglio 2007, Kofoed (C‑321/05, Racc. pag. I‑5795, punto 38), la Corte ha dichiarato che il divieto dell’abuso di diritto costituiva un principio generale del diritto dell’Unione.

(50)  – Sentenza del 12 settembre 2013, Slancheva sila (C‑434/12, punto 27 e la giurisprudenza citata) (il corsivo è mio). V. parimenti, per una formula analoga, sentenze Halifax e a., cit., punto 69, nonché del 6 aprile 2006, Agip Petroli (C‑456/04, Racc. pag. I‑3395, punto 20 e la giurisprudenza citata).

(51)  – Fondandosi su una serie di precedenti sentenze della Corte, fra le quali, segnatamente, le sentenze del 21 giugno 1988, Lair (39/86, Racc. pag. 3161, punto 43) nonché del 23 settembre 2003, Akrich (C‑109/01, Racc. pag. I‑9607, punto 57 e punto 2 del dispositivo), tale qualificazione della nozione di abuso (di diritto) è stata parimenti sostenuta dall’avvocato generale Poiares Maduro al paragrafo 69 delle sue conclusioni presentate nella causa sfociata nella sentenza Halifax e a.

(52)  – Sentenza del 6 novembre 2003, Ninni-Orasche (C‑413/01, Racc. pag. I‑13187, punto 31) (il corsivo è mio). V. anche, in tal senso, sentenze del 9 marzo 1999, Centros (C‑212/97, Racc. pag. I‑1459, punto 18) e del 21 febbraio 2013, (C‑123/11, punto 27): «[l]a questione dell’applicabilità » degli articoli del Trattato che disciplinano la libertà di stabilimento è « distinta dalla questione se uno Stato membro possa adottare misure atte a impedire che, in presenza delle possibilità offerte dal Trattato, i suoi cittadini tentino di sottrarsi abusivamente all’impero della propria legge nazionale» (il corsivo è mio).

(53)  – V., per quanto riguarda la libertà di stabilimento, senten ze del 12 settembre 2006, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas (C‑196/04, Racc. pag. I‑7995, punto 55); del 13 marzo 2007, Test Claimants in the Thin Cap Group Litigation (C‑524/04, Racc. pag. I‑2107, punti 74 e 80), nonché del 17 gennaio 2008, Lammers & Van Cleeff (C‑105/07, Racc. pag. I‑173, punto 29), nonché sentenza della Corte EFTA, Arcade Drilling (E‑15/11, EFTA Court Report 2012, pag. 676, punto 88). V., per quanto riguarda la prestazione dei servizi, sentenze Jobra, cit., punto 35, e del 5 luglio 2012, SIAT (C‑318/10, punto 50).

(54)  – Ciò è confermato dalla duplice constatazione che «uno degli obiettivi principali dell’accordo SEE è di realizzare nella massima misura possibile la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali nell’intero Spazio Economico Europeo, di modo che il mercato interno realizzato nel territorio della Comunità sia esteso agli Stati dell’[EFTA]» [v. sentenze del 23 settembre 2003, Ospelt e Schlössle Weissenberg (C‑452/01, Racc. pag. I‑9743, punto 29) e del 26 settembre 2013, Regno Unito/Consiglio (C‑431/11, punto 50)] e che le disposizioni degli articoli dell’accordo SEE relative alle libertà di circolazione rivestono la stessa portata giuridica di quella delle disposizioni, sostanzialmente identiche, degli articoli del Trattato CE che garantiscono tali libertà: v., a titolo di esempio, riguardo all’articolo 36 dell’accordo SEE (libera prestazione dei servizi), sentenza del 6 ottobre 2009, Commissione/Spagna (C‑153/08, Racc. pag. I‑9735, punto 48). V. parimenti, sul carattere sui generis dell’accordo SEE e dei diritti conferiti ai singoli e agli operatori economici, sentenza della Corte EFTA, Eva María Sveinbjörnsdóttir (E‑9/97, EFTA Court Report 1998, pag. 95, punti 58 e 59), nonché, segnatamente, su tale tema, Baudenbacher C., «L’individu, principal protagoniste de l’accord EEE», in Le droit à la mesure de l’homme: Mélanges en l’honneur de Philippe Léger , Pedone, Parigi, 2006, pag. 335.

(55)  – V. sentenza Kofoed, cit., punto 38. Il divieto dell’abuso di diritto è ormai sancito anche dall’articolo 54 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, la quale non aveva tuttavia alcuna forza vincolante all’epoca dei fatti di cui alle controversie nel procedimento principale.

(56)  – La natura dell’accordo SEE non osta a che dei principi generali del diritto del SEE («general principles of EEA law») possano, in via esegetica, essere desunti dai suoi obiettivi (come quello dell’interpretazione omogenea delle disposizioni sostanzialmente identiche a quelle del Trattato CE) e dalle sue disposizioni: v., per quanto riguarda il principio della tutela giurisdizionale effettiva, sentenza della Corte EFTA, Posten Norge (E‑15/10, EFTA Court Report 2012, pag. 246, punto 86), nella quale la Corte EFTA fa riferimento sia all’articolo 6 CEDU sia all’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. V. parimenti, per quanto riguarda il rispetto della certezza del diritto, sentenza della Corte EFTA, Autorità di vigilanza EFTA/Norvegia (E‑9/11, EFTA Court Report 2012, pag. 442, punto 99) e, per quanto riguarda la tutela del legittimo affidamento, sentenza della Corte EFTA, DB Schenker/ Autorità di vigilanza EFTA (E‑7/12, EFTA Court Report 2013, punto 117).

(57)  – V. anche, in tal senso, segnatamente, Ionescu R.N., L’abus de droit de l’Union européenne , Bruylant, Bruxelles, 2012, pag. 428.

(58)  – V. sentenza Halifax e a., cit., punti da 94 a 97.

(59)  – V., segnatamente, citate sentenze Centros, punto 24, e Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas, punto 35, nonché del 23 ottobre 2008, Commissione/Spagna (C‑286/06, Racc. pag. I‑8025, punto 69).

(60)  – Ipotesi che ho tuttavia respinto ai paragrafi 136 e 137 delle mie conclusioni presentate nella causa che ha dato luogo alla sentenza Laval un Partneri, cit.

(61)  – Il che sarebbe stato teoricamente concepibile se, da un lato, i sindacati avessero ritenuto, alla luce, ad esempio, dei rapporti, dell’ormeggio e degli scali della Sava Star, che i membri dell’equipaggio svolgessero abitualmente la propria attività lavorativa in Svezia, e, dall’altro, la scelta della legge applicabile effettuata dalle parti valesse a privare tali lavoratori della protezione assicurata loro dalle norme della legge del paese in cui essi compivano abitualmente il proprio lavoro ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 2, lettera a), della Convenzione di Roma. Infatti, si evince dalla sentenza Voogsgeerd, cit., che la Corte privilegia il criterio di collegamento previsto da suddetto articolo 6, paragrafo 2, lettera a), della Convenzione di Roma rispetto al diritto dello Stato di bandiera della nave qualora quest’ultimo valga a privare il lavoratore della protezione assicuratagli dall’applicazione delle norme imperative della legge applicabile in assenza di scelta delle parti.

(62)  – Come indicato in precedenza (v. supra, nota 46), all’epoca dei fatti di cui alle controversie del procedimento principale, era applicabile la direttiva 1999/63, la quale mirava ad attuare l’accordo fra parti sociali europee relativo all’organizzazione dell’orario di lavoro della gente di mare, direttiva estesa dalla direttiva 1999/95 a tutte le navi che fanno scalo nei porti dell’ Unione, a prescindere dalla loro bandiera, a partire dal 10 gennaio 2003. Ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 1999/95, gli Stati membri dovevano adottare misure adeguate affinché le navi che non battono la loro bandiera rispettino le clausole da 1 a 12 dell’accordo che figura nell’allegato della direttiva 1999/63, ossia, in sostanza, le clausole relative all’orario di lavoro e ai periodi di riposo a bordo delle navi, ma non quella relativa alla tutela della salute e della sicurezza della gente di mare (clausola 15) né quella relativa alla durata delle ferie annuali retribuite (clausola 16), le quali comportavano requisiti eccedenti quelli previsti dalla convenzione n. 180 dell’OIL sull’orario di lavoro della gente di mare e sulla composizione dell’equipaggio, adottata il 22 ottobre 1996 ed entrata in vigore l’8 agosto 2002.

(63)  – V., segnatamente, citate sentenze Centros, punto 25; Agip Petroli, punto 21, nonché del 21 luglio 2011, Oguz (C‑186/10, Racc. pag. I‑6957, punto 25).

(64)  – V., in particolare, sentenze del 16 ottobre 2012, Ungheria/Slovacchia (C‑364/10, punto 58, del 12 marzo 2014, O.e B. (C‑456/12, punto 58). Si evince chiaramente da tali sentenze, nonché dalla sentenza del 14 dicembre 2000, Emsland-Stärke (C‑110/99, Racc. pag. I‑11569, punti 52‑53), che suddette condizioni sono rilevanti e incluse in contesti nei quali gli atti di diritto derivato dell’Unione non vi fanno riferimento.

(65)  – Il requisito della sussistenza di un legame effettivo fra una nave e lo Stato del quale batte bandiera, previsto dagli articoli 91 e 94 della Convenzione di Montego Bay, mira ad assicurare un’osservanza più efficace da parte degli Stati di bandiera degli obblighi ad essi incombenti, e segnatamente quelli relativi all’esercizio effettivo della sua giurisdizione e del suo controllo nei settori amministrativo, tecnico e sociale: v. sentenza del Tribunale internazionale per il diritto del mare, sentenza del 1° luglio 1999, Saint-Vincent-et les-Grenadines/Guinea, causa della nave «Saiga» (n. 2), Recueil des arrêts, avis consultatifs et ordonnances, vol. 3, 1999 (punti da 81 a 83), nonché sentenza del 14 ottobre 2004, Commissione/Paesi Bassi, (C‑299/02, Racc. pag. I‑9761, punto 23), la quale rimanda ai paragrafi da 51 a 59 delle conclusioni presentate dall’avvocato generale Léger in tale causa. Si evince inoltre da tali sentenze che l’assenza di un tal legame fra una nave e lo Stato di bandiera non autorizza gli altri Stati a contestare la validità dell’immatricolazione di suddetta nave (v. anche su tale tema e sulle misure che sarebbero autorizzate: Takei, Y., «International legal responses to the flag State in breach of its duties: possibilities for other States to take action against the flag State», Nordic Journal of International Law , n. 2, 2013, pag. 283). È pacifico che Saint-Vincent-et-les-Grenadines, all’origine della causa della nave «Saiga», della quale è stato investito il Tribunale internazionale per il diritto del mare, fa parte degli Stati che concedono bandiere di comodo. V., ad esempio, Mandaraka-Sheppard A., Modern Maritime Law and Risk Management , 2 a ed., Routledge-Cavendish, Londra New-York, 2007, pag. 279.

(66)  – Il primo rinvio ufficiale all’espressione «bandiera ombra» [espressione equivalente a quella di «bandiera di comodo», N.d.T.] si trova nel preambolo della convenzione n. 147 dell’OIL concernente le norme minime da osservare sulle navi mercantili, adottata il 29 ottobre 1976 ed entrata in vigore il 28 novembre 1981, senza che esso ne fornisca tuttavia una definizione. V., segnatamente, sulla definizione e sulle caratteristiche delle bandiere di comodo, Unterm, http://unterm.un.org/DGAACS/unterm.nsf; Mandaraka-Sheppard, op.cit. , pagg. 278 e 279; Masutti A., « Genuine link e bandiere ombra», in Antonini A., Trattato breve di diritto marittimo , vol. I., Giuffrè Milano, 2007, pagg. 430-431, nonché Slim H., «Les pavillons de complaisance», in Le Pavillon , Actes du colloque tenu les 2 et 3 mars 2007 à l’Institut océanographique de Paris, Pedone, Parigi, 2007, pag. 93.

(67)  – Stando allo studio di Slim ( op. cit. , pag. 89), negli anni 2000, Panama divideva con la Liberia la quota più elevata di bandiere di comodo sul numero totale di navi nel mondo. Inoltre, secondo la relazione del senatore francese Marini, nel 1998, quasi il 30% dei marinai navigava sotto bandiere di comodo, la quota più significativa delle quali era costituita dalla bandiera di Panama, con 104 000 marinai: v. Rapport sur les actions menées en faveur de la politique maritime et littorale de la France , n. 345, Parigi, 1998, pag. 29. Nel periodo dal 2001 al 2003, Panama figurava anche sulla lista nera delle bandiere battute da navi «fuori norma», istituita dal protocollo di intesa di Parigi (MOU di Parigi) sul controllo delle navi dello Stato di approdo (v. Paris MoU, 2003 Annual Report on Port State Control , Paris, p. 25), un accordo adottato nel 1982 e la cui struttura organizzativa raggruppa attualmente, all’interno del suo comitato, ventisette amministrazioni marittime nazionali e la Commissione.. L’esperienza acquisita all’interno del protocollo d’intesa di Parigi in materia di ispezione delle navi resta un punto di riferimento per quelle effettuate sulle navi che fanno scalo nell’Unione: v., in primo luogo, i riferimenti fatti al protocollo e ai criteri e alle procedure di ispezione elaborate sotto la sua egida dalla direttiva 95/21/CE del Consiglio del 19 giugno 1995, relativa all’attuazione di norme internazionali per la sicurezza delle navi, la prevenzione dell’inquinamento e le condizioni di vita e di lavoro a bordo, per le navi che approdano nei porti comunitari e che navigano nelle acque sotto la giurisdizione degli Stati membri (controllo dello Stato di approdo) (GU L 157, pag. 1) e, da ultimo, quelli fatti dalla direttiva 2009/16/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 aprile 2009, relativa al controllo da parte dello Stato di approdo (GU L 131, pag. 57), come modificata dalla direttiva 2013/38/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 agosto 2013 (GU L 218, pag. 1).

(68)  – Ai sensi del preambolo, le Alti parti contraenti riconoscono «che l’eliminazione degli ostacoli esistenti impone un’azione concertata intesa a garantire (…) la lealtà nella concorrenza».

(69)  – V. sentenza del 12 ottobre 2004, Wolff & Müller (C‑60/03, Racc. pag. I‑9553, punto 41).

(70)  – Numerosi Stati del SEE non hanno istituito, per l’esattezza, un salario minimo applicabile nel loro territorio, cosicché il livello dei salari è generalmente fissato tramite contratti collettivi. Inoltre, si deve osservare che numerosi Stati del SEE, per contrastare il ricorso degli armatori europei alle bandiere di comodo, hanno introdotto registri detti internazionali, quali, nel caso della Norvegia, il Norwegian International Ship Register (NIS), il quale consente di assumere membri dell’equipaggio fra i cittadini di Stati terzi, ma che garantisce, tramite la conclusione di contratti collettivi approvati dall’ITF, il rispetto delle condizioni salariali reputate adeguate (v. Masutti, op. cit. , pag. 444). In Francia, la legge n. 2005-412 del 3 maggio 2005 che istituisce un registro internazionale francese (JORF, del 4 maggio 2005, pag. 7697), la quale è stata dichiarata compatibile con la Costituzione francese con decisione n. 2005-514 DC del Conseil constitutionnel [Consiglio costituzionale] del 28 aprile 2005, prevede che i naviganti residenti al di fuori della Francia impiegati a bordo delle navi iscritte nel registro internazionale francese beneficiano delle norme di ordine pubblico sociale, nel rispetto dell’articolo 6 della convenzione di Roma e degli impegni internazionali e comunitari della Francia, ed introduce garanzie minime in materia di retribuzione e assistenziale. I registri internazionali tedesco e danese hanno rispettivamente formato l’oggetto, dal punto di vista del diritto degli aiuti di Stato, delle cause che hanno dato luogo alle sentenze del 17 marzo 1993, Sloman Neptun (C‑72/91 e C‑73/91, Racc. pag. I‑887); del 9 luglio 2009, 3F/Commissione (C‑319/07 P, Racc. pag. I‑5963), e del 24 gennaio 2013, Falles Fagligt Forbund (3F)/Commissione (C‑646/11 P,). L’elemento comune a questi registri internazionali, i quali assicurano alle imprese di trasporto marittimo vantaggi fiscali e sociali, risiede nel fatto che, a differenza delle bandiere di comodo, gli Stati conservano il controllo delle navi immatricolate nel loro territorio: v. Masutti, op. cit. , pag. 444.

(71)  – V., in tal senso, segnatamente, sentenze Emsland-Stärke, punto 54, e Agip Petroli, cit., punto 24 e la giurisprudenza citata.

(72)  – I due elementi costitutivi di una pratica abusiva sono infatti cumulativi: v. segnatamente, sentenza Emsland-Stärke, cit., punto 55.

(73)  – V., per analogia, sentenza Agip Petroli, cit., punto 23 e la giurisprudenza citata.

(74)  – Si osservi che, a seguito di un quesito scritto della Corte e in udienza, la Fonnship ha affermato che la Sava Star sarebbe stata immatricolata a Panama per ragioni legate a talune restrizioni in materia di cabotaggio marittimo in Norvegia, senza che siano state fornite e suffragate spiegazioni più precise e più comprensibili. Orbene, occorre ricordare che, in virtù del regolamento n. 3577/92), integrato nell’accordo SEE (v. decisione n. 70/97 del comitato misto SEE del 4 ottobre 1997, che modifica l’allegato XIII (trasporti) dell’accordo SEE (GU 1998, L 30, pag. 42), la libera prestazione dei servizi in materia di cabotaggio marittimo si applica unicamente agli armatori degli Stati del SEE che impiegano navi che sono registrate in uno Stato del SEE e che battono bandiera di suddetto Stato. È pertanto difficile capire l’asserzione secondo la quale l’immatricolazione della Sava Star a Panama avrebbe potuto facilitare il cabotaggio marittimo in Norvegia.

(75)  – V. per analogia, in relazione alla considerazione di vincoli di natura giuridica, economica e/o personale tra le persone coinvolte in un’operazione al fine di accertare il carattere artificioso del beneficio delle condizioni di applicazione della normativa dell’Unione, sentenze citate Emsland‑Stärke, punto 58 e Slancheva sila,, punto 40).

(76)  – Aggiungo, a ogni buon fine, che tale situazione non rientrerebbe nell’ambito di applicazione dell’articolo 1, paragrafo 2, del regolamento n. 4055/86, in quanto, in ogni caso, la nave non soddisferebbe la condizione di immatricolazione nello Stato del SEE del quale è cittadino il proprietario della nave.

In alto

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

PAOLO MENGOZZI

presentate il 1o aprile 2014 ( 1 )

Causa C‑83/13

Fonnship A/S

contro

Svenska Transportarbetareförbundet

Facket för Service och Kommunikation (SEKO)

e

Svenska Transportarbetareförbundet

contro

Fonnship A/S

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall’Arbetsdomstolen (Svezia)]

«Domanda di pronuncia pregiudiziale — Questione supplementare sollevata da una parte ma non sottoposta dal giudice del rinvio — Regolamento (CEE°) n. 4055/86 — Ambito di applicazione — Prestazione di servizi di trasporto marittimo — Trasporti marittimi effettuati verso uno Stato membro da una nave appartenente ad una società stabilita in uno Stato parte dell’Accordo sullo Spazio economico europeo (SEE), battente bandiera di uno Stato terzo non membro del SEE — Abuso di diritto — Azione collettiva intrapresa in un porto di uno Stato membro, la quale ha indotto la società proprietaria della nave a sottoscrivere un contratto collettivo — Concorrenza leale»

I – Introduzione

1.

Con la presente domanda di pronuncia pregiudiziale, l’Arbetsdomstolen (Svezia) chiede, in sostanza, se una società avente la propria sede in uno Stato parte dell’Accordo sullo Spazio economico europeo del 2 maggio 1992 ( 2 ), in prosieguo l’«Accordo SEE», proprietaria di una nave battente bandiera di uno Stato terzo, rientri nell’ambito di applicazione della libera prestazione di servizi, come applicabile ai trasporti marittimi in forza del regolamento (CEE) n. 4055/86 del Consiglio del 22 dicembre 1986, che applica il principio della libera prestazione dei servizi ai trasporti marittimi tra Stati membri e tra Stati membri e paesi terzi ( 3 ), a sua volta integrato nell’Accordo SEE ( 4 ).

2.

Tale questione viene sollevata nell’ambito di talune controversie che vedono contrapposte la Fonnship A/S, società norvegese (in prosieguo: la «Fonnship») alla Svenska Transportarbetarförbundet (federazione svedese dei lavoratori nel settore dei trasporti; in prosieguo: la «ST») e alla Facket för Service och Kommunikation (sindacato dei lavoratori del settore dei servizi e delle comunicazioni; in prosieguo: la «SEKO»), delle associazioni svedesi, in merito ad azioni sindacali, intraprese nel 2001 e nel 2003, le quali avevano asseritamente disturbato, all’interno dello Spazio economico europeo (SEE), la prestazione dei servizi forniti tramite una nave appartenente alla Fonnship (la Sava Star), iscritta nel registro navale di Panama e battente pertanto bandiera di tale Stato terzo ( 5 ).

3.

Più precisamente, ritenendo che l’equipaggio della Sava Star impiegato dalla Fonnship, composto unicamente, all’epoca dei fatti della controversia di cui al procedimento principale, da cittadini di paesi terzi ( 6 ), percepisse una retribuzione insufficiente a un livello considerato adeguato per una nave operante principalmente in Europa, la ST, nel 2001, in occasione di uno scalo di tale nave in un porto svedese, ha messo in atto un’azione sindacale volta ad impedire lo scarico e il carico della Sava Star, non essendo riuscita ad ottenere dalla Fonnship la sottoscrizione di un contratto collettivo approvato dall’International Transport Workers’ Federation (in prosieguo: l’«ITF») ( 7 ). Pur se apparentemente vincolata da un contratto collettivo russo, la Fonnship, successivamente all’azione sindacale, acconsentiva tuttavia a sottoscrivere il contratto collettivo approvato dall’ITF e a pagare i contributi e le somme richieste dalla ST, consentendo in tal modo alla Sava Star di lasciare il porto.

4.

A seguito della scadenza del contratto collettivo sottoscritto nel 2001, la SEKO ha messo in atto un’azione analoga in occasione di un nuovo scalo della Sava Star in un porto svedese. Non senza proteste, la Fonnship ha sottoscritto il contratto collettivo, approvato dall’ITF, richiesto dalla SEKO, e ha pagato le spese e i contributi imposti da tale contratto, il che ha consentito alla Sava Star di proseguire il suo tragitto.

5.

Con due ricorsi separati, la Fonnship ha citato la ST e la SEKO dinanzi al giudice del rinvio chiedendo, segnatamente, la condanna di tali associazioni al risarcimento del danno asseritamente subito risultante dall’illegittimità delle azioni sindacali messe in atto e dalla nullità dei contratti collettivi che essa è stata costretta a sottoscrivere. Da parte sua, la ST ha citato in giudizio la Fonnship dinanzi al giudice del rinvio chiedendone la condanna a risarcirle i danni, adducendo che tale società non aveva versato la retribuzione prevista dal contratto collettivo sottoscritto nel 2001.

6.

Il giudice del rinvio ritiene che la questione della legittimità delle azioni sindacali sia decisiva per dirimere le controversie di cui al procedimento principale, e che esso sarà tenuto, per risolvere tale questione, a stabilire se il diritto svedese in materia di azioni sindacali sia compatibile con le norme del diritto dell’Unione (del SEE) in materia di libera prestazione dei servizi. Tuttavia, avuto riguardo a quanto già stabilito dalla Corte nelle sentenze «Viking Line», cit. e Laval un Partneri ( 8 ), il giudice del rinvio ritiene, contrariamente a quanto fatto valere dalla Fonnship dinnanzi allo stesso, che non sia necessario interrogare la Corte in merito a tale problematica.

7.

Per contro, l’Arbetsdomstolen è dell’avviso che la questione, del pari discussa dinnanzi allo stesso ma non ancora affrontata dalla Corte, se il diritto del SEE sia applicabile in una situazione analoga a quella del caso di specie, nella quale una nave immatricolata in un paese terzo e nella quale i rapporti a bordo sono disciplinati, in linea di principio, dalla legge dello Stato di bandiera, impone di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se le norme dell’accordo SEE in materia di libera prestazione dei servizi, ossia dei servizi di trasporto marittimo, che trovano corrispondenti norme nel Trattato CE, siano applicabili a una società avente sede in uno Stato dell’Associazione europea di libero scambio (EFTA) allorché le attività da essa esercitate assumano la forma di servizi di trasporto forniti in uno Stato membro della Comunità europea oppure uno Stato EFTA con una nave registrata, ovvero battente bandiera, in un paese terzo non appartenente alla Comunità europea e/o al SEE»

8.

Tale questione è stata oggetto di osservazioni scritte da parte delle parti nel procedimento principale, dei governo svedese e greco, dell’Autorità di vigilanza EFTA, nonché della Commissione europea. Queste parti interessate sono state parimenti sentite nell’udienza del 28 gennaio 2014.

II – Valutazione

A – Osservazioni preliminari sulla portata della domanda di pronuncia pregiudiziale

9.

Come già rilevato supra al punto 6, il giudice del rinvio si è inequivocabilmente rifiutato di interrogare la Corte in merito alla compatibilità delle azioni sindacali con il diritto del SEE, ritenendo, alla luce delle citate sentenze Viking Line e Laval un Parneri, che, qualora le norme del SEE sulla libera prestazione di servizi siano applicabili a situazioni analoghe a quelle all’origine delle controversie di cui al procedimento principale, spetterà ad esso statuire sulla necessità e sull’adeguatezza di suddette azioni. Lo stesso non indica, tuttavia, in che senso intenda affrontare tale problematica.

10.

Dinnanzi alla Corte, la Fonnship ha dedicato un’ampia parte delle sue osservazioni a criticare il giudice del rinvio per avere circoscritto la domanda di pronuncia pregiudiziale alla questione dell’applicabilità del diritto del SEE, rifiutandosi di interrogare la Corte sulla compatibilità con tale diritto delle disposizioni del diritto svedese che autorizzano azioni sindacali del tipo di quelle intraprese dalla ST e dalla SEKO nei confronti della Sava Star.

11.

Senza chiedere esplicitamente alla Corte di includere nella sua soluzione della domanda di pronuncia pregiudiziale considerazioni attinenti alla compatibilità e alla proporzionalità delle azioni sindacali rispetto alla libera prestazione dei servizi nel caso in cui essa risolva affermativamente la questione deferita, la Fonnship ritiene che, alla luce del dibattimento dinanzi al giudice del rinvio, quest’ultimo sarebbe stato obbligato a rivolgere alla Corte tutte le questioni di diritto dell’Unione utili alla soluzione della controversia di cui al procedimento principale. Infatti, qualora la Corte constati che la libera prestazione dei servizi sia applicabile in situazioni analoghe a quelle oggetto del procedimento principale, l’inclusione, nella sua domanda, della questione della compatibilità delle azioni sindacali con la libera prestazione dei servizi avrebbe consentito di evitare, secondo la Fonnship, alla luce dell’incertezza del diritto del SEE sul punto, che una controversia pendente da più di dieci anni debba formare nuovamente l’oggetto di un rinvio pregiudiziale alla Corte oppure, ove ciò non avvenga, che la Fonnship sia costretta a proporre un’azione di responsabilità nei confronti del Regno di Svezia.

12.

Anche se non sono totalmente insensibile all’invito implicito della Fonnship di includere, sia pur in subordine, nell’esame della problematica sottoposta considerazioni attinenti alla necessità e alla proporzionalità delle azioni sindacali con riguardo alle pertinenti disposizioni del SEE, in particolare, a fini di economia processuale e alla luce del fatto che il giudice del rinvio deve statuire in ultima istanza, una siffatta propensione necessiterebbe, nella presente fattispecie, che la Corte decida di modificare significativamente la sua attuale giurisprudenza concernente l’interpretazione dell’articolo 267 TFUE.

13.

Come è noto, tale giurisprudenza riconosce al solo giudice del rinvio la facoltà di determinare le questioni da sottoporre alla Corte ( 9 ) e l’esclusività di definire l’oggetto delle questioni che intende sottoporle ( 10 ), senza che la Corte debba ritenersi obbligata da una delle parti nel procedimento principale a statuire su una questione ( 11 ), o a modificarne il tenore ( 12 ).

14.

Tale giurisprudenza si fonda, da un lato, su un argomento testuale, secondo il quale l’articolo 267 TFUE instaura una cooperazione diretta tra la Corte e i giudici nazionali attraverso un procedimento non contenzioso ed estraneo a ogni iniziativa delle parti ( 13 ) e, dall’altro, sull’obbligo della Corte di dare ai governi degli Stati membri e alle parti interessate la possibilità di presentare osservazioni ai sensi dell’articolo 23 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, tenuto conto del fatto che, in base alla suddetta disposizione, agli interessati vengono notificate solo le decisioni di rinvio ( 14 ).

15.

In tal senso, la Corte si rifiuta, in linea di principio, di risolvere questioni complementari menzionate dalle parti nel procedimento principale o dalle parti interessate, le quali eccedano l’ambito di quella sollevata dal giudice nazionale, ( 15 ) oppure, in sede di valutazione della validità di un atto dell’Unione, di estendere tale esame a motivi diversi da quelli presi in considerazione dal giudice del rinvio ( 16 ).

16.

Resta cionondimeno il fatto che sembra esistere una certa tensione fra tale giurisprudenza e una corrente giurisprudenziale della Corte che tende a privilegiare la necessità di fornire una risposta utile al giudice del rinvio.

17.

Infatti, in numerose sentenze, la Corte, malgrado la delimitazione del rinvio pregiudiziale operata dal giudice nazionale, non esita a verificare, avuto riguardo ai fatti e agli argomenti sollevati nel corso del procedimento, se una disposizione del diritto dell’Unione che non ha formato l’oggetto della domanda di pronuncia pregiudiziale sia cionondimeno suscettibile di essere applicata nella specie ( 17 ), oppure, al fine di fornire una risposta utile al giudice nazionale, a pronunciarsi sulla fondatezza della tesi di una delle parti nel procedimento principale in relazione all’applicabilità di una disposizione non contemplata nel rinvio pregiudiziale ( 18 ), oppure, ancora, a riformulare le questioni sollevate al fine di includere nell’interpretazione del diritto dell’Unione una o più disposizioni fatte valere da una delle parti, ovvero persino d’ufficio, sempre nella stessa ottica di apportare una risposta utile al giudice nazionale ( 19 ).

18.

Sebbene la giurisprudenza della Corte non sembri dunque univoca, ritengo che non sia necessario esaminare più dettagliatamente in questa sede gli eventuali criteri che consentono di elaborare una lettura coerente del complesso di tali sentenze.

19.

Infatti, esiste almeno una fattispecie, della quale fa parte, a mio avviso, la presente causa, in cui la Corte si vieta sistematicamente di modificare o di estendere l’oggetto della domanda di pronuncia pregiudiziale al di là dell’ambito definito dal giudice nazionale: si tratta del caso in cui il giudice del rinvio si è rifiutato, esplicitamente o implicitamente, di deferire alla Corte una questione supplementare di interpretazione del diritto dell’Unione sollevata espressamente da una delle parti della controversia di cui al procedimento principale ( 20 ).

20.

Nella specie, è vero che, diversamente che nelle cause in cui la Corte si è specificamente pronunciata su tale punto, il giudice del rinvio deve statuire in ultima istanza e ha riconosciuto la pertinenza della questione sollevata dalla Fonnship, nel caso in cui la Corte dovesse risolvere affermativamente la questione deferitale ( 21 ).

21.

Inoltre, una lettura obiettiva dell’articolo 267, terzo comma, TFUE potrebbe fare pensare che, se una questione di interpretazione del diritto dell’Unione «è sollevata» in un giudizio pendente dinnanzi ad un organo giurisdizionale che statuisce in ultima istanza, tale organo «è tenuto» a rivolgersi alla Corte.

22.

Una siffatta interpretazione dell’articolo 267, terzo comma, TFUE potrebbe essere particolarmente valorizzata nel caso in cui il giudice che statuisce in ultima istanza suggerisca, a sostegno del proprio rifiuto di sottoporre una questione supplementare alla Corte, un’interpretazione manifestamente errata del diritto dell’Unione, oppure formuli la sua questione sulla base di una premessa giuridica chiaramente inesatta, il che consentirebbe allora alla Corte, in seguito alle osservazioni delle parti interessate e alle conclusioni dell’avvocato generale, di riesaminare l’erroneità dell’interpretazione suggerita o della premessa giuridica ( 22 ). Infatti, mi sembra inconcepibile, in particolare con riguardo alla necessità di assicurare l’interpretazione uniforme del diritto dell’Unione, che la Corte possa consapevolmente non rettificare errori di tal genere commessi da un organo giurisdizionale di ultima istanza a scapito delle parti, privandole parimenti, di fatto, della possibilità effettiva di far valere la responsabilità dello Stato membro dal quale dipende tale organo giurisdizionale, per violazione del diritto dell’Unione.

23.

Tali considerazioni non valgono, tuttavia, nella presente causa, in particolare sulla base del rilievo che il giudice del rinvio non fornisce alcun elemento che consenta di sapere, segnatamente, in che senso esso risolverà la questione della necessità e della proporzionalità delle azioni sindacali rispetto all’osservanza delle norme dell’accordo SEE sulla libera prestazione dei servizi.

24.

Più in generale, nella sentenza, Consiglio nazionale dei geologi e Autorità della concorrenza e del mercato, cit., la Corte – adita da un organo giurisdizionale di ultima istanza, ossia il Consiglio di Stato (Italia), in ordine alla portata della competenza di tale organo di scegliere e riformulare le questioni proposte da una delle parti nel procedimento principale – ha negato l’esistenza di un obbligo incondizionato di rinvio pregiudiziale di una questione di interpretazione del diritto dell’Unione sollevata da una di tali parti ( 23 ), rammentando parimenti che la determinazione e la formulazione sottopostele spettano esclusivamente al giudice nazionale ( 24 ).

25.

In tali circostanze, ritengo che la Corte debba limitarsi a risolvere la questione sottopostale, concernente l’applicabilità delle norme dell’accordo SEE sulla libera prestazione dei servizi, senza, pertanto, esaminare la questione, sollecitata dalla Fonnship dinanzi al giudice del rinvio ma espressamente respinta da quest’ultimo, relativa all’eventuale compatibilità delle azioni sindacali con la libera prestazione dei servizi.

B – Sulla domanda di pronuncia pregiudiziale e l’interpretazione del regolamento n. 4055/86

26.

Anche se, nella sua questione pregiudiziale, il giudice del rinvio si è riferito in maniera generica alle norme dell’accordo SEE sulla libera prestazione dei servizi, la risposta della Corte dovrebbe, a mio avviso, essere circoscritta alle disposizioni del regolamento n. 4055/86, come suggerito anche dalle parti nel procedimento principale, nonché dalle altre parti interessate che hanno depositato osservazioni dinanzi alla Corte.

27.

Infatti, è pacifico che la libera prestazione dei servizi di trasporto è disciplinata dalle disposizioni del Trattato relative ai trasporti, e che, per quanto riguarda più in particolare la navigazione marittima, spettava al Consiglio dell’Unione europea decidere, in conformità dell’articolo 84, paragrafo 2, del Trattato CEE, se potessero essere adottate adeguate disposizioni in tale settore, cosa che esso ha effettivamente constatato e realizzato adottando, il 22 dicembre 1986, il regolamento n. 4055/86, nella sua versione iniziale, che applica il principio della libera prestazione dei servizi ai trasporti marittimi, il quale è entrato in vigore il 1o gennaio 1987. Poiché, come già esposto, il regolamento n. 4055/86 è stato integrato nell’Accordo SEE, occorre pertanto riformulare la questione sollevata limitandola all’interpretazione di tale atto.

28.

Alla luce degli elementi del fascicolo e delle osservazioni delle parti interessate, la questione sollevata può inoltre essere circoscritta alla precisazione dell’ambito di applicazione ratione personae del regolamento n. 4055/86, definito dall’articolo 1 di tale regolamento, al fine di determinare se una società legalmente stabilita nel SEE, nella specie in Norvegia, proprietaria di una nave che assicura servizi di trasporto marittimo all’interno del SEE ma battente bandiera di uno Stato terzo, nella specie Panama, rientri in tale atto e, se del caso, possa, in linea di principio, avvalersi della libertà da esso accordata.

1. Sull’ambito di applicazione ratione personae del regolamento n. 4055/86

29.

Una risposta positiva, prima facie semplice, sembra discendere dalla formulazione stessa dell’articolo 1 del regolamento n. 4055/86 e dalla giurisprudenza della Corte.

30.

Infatti, ai sensi del primo paragrafo di tale disposizione, la libera prestazione dei servizi di trasporto marittimo tra Stati membri e tra Stati membri e paesi terzi è applicabile ai cittadini degli Stati membri stabiliti in uno Stato membro diverso da quello del destinatario dei servizi, mentre, tramite il rinvio effettuato dal suo terzo paragrafo all’articolo 58 del Trattato CEE (divenuto articolo 48 CE), le società stabilite all’interno dell’Unione europea (del SEE) sono equiparate alle persone fisiche aventi la cittadinanza degli Stati membri.

31.

In tal senso, nel caso di una società stabilita in uno Stato membro, la quale gestisce un servizio di linea regolare verso un altro Stato membro, ma le cui navi erano immatricolate e battevano bandiera panamense, la Corte ha desunto dalla lettera dell’articolo 1, paragrafo 1, del regolamento n. 4055/86 che quest’ultimo «riguarda i cittadini degli Stati membri stabiliti in uno Stato membro diverso da quello del destinatario dei servizi e non fa riferimento all’immatricolazione o alla bandiera delle navi gestite dall’impresa di trasporto» ( 25 ).

32.

L’irrilevanza dell’immatricolazione e/o della bandiera delle navi ai fini della determinazione dell’ambito di applicazione dell’articolo 1, paragrafo 1, del regolamento n. 4055/86 è rafforzata, a contrario, dal paragrafo 2 di questa stessa disposizione. Ai sensi di tale paragrafo, infatti, tale atto si applica anche ai cittadini degli Stati membri stabiliti fuori dell’Unione e alle società di navigazione stabilite fuori dell’Unione e controllate da cittadini di uno Stato membro, se le loro navi sono registrate in tale Stato membro conformemente alla sua legislazione.

33.

Come rilevato dall’Autorità di vigilanza EFTA nelle sue osservazioni scritte, la precisazione effettuata all’articolo 1, paragrafo 2, del regolamento n. 4055/86 riflette ciò che è comunemente nota come «l’eccezione greca» ( 26 ). Infatti, poiché in base al diritto greco i cittadini greci stabiliti in paesi terzi sono autorizzati ad iscrivere le proprie navi nel registro navale di tale Stato membro, non prendere in considerazione tale situazione avrebbe portato a sottrarre all’ambito di applicazione del regolamento una percentuale considerevole del tonnellaggio totale appartenente a cittadini degli Stati del SEE ( 27 ).

34.

È pertanto indubbio che il legislatore dell’Unione non abbia inteso subordinare l’applicazione dell’articolo 1, paragrafo 1, del regolamento n. 4055/86 ad un requisito relativo al luogo di immatricolazione delle navi.

35.

Pertanto, contrariamente a quanto dedotto dalla ST e dalla SEKO nelle loro osservazioni scritte, il fatto che i cittadini degli Stati del SEE che rientrano nell’ambito di applicazione di questa stessa disposizione immatricolino le loro navi in un paese terzo non significa che tali cittadini non sono più stabiliti in uno Stato del SEE.

36.

Al ragionamento che precede non può neanche essere opposto l’argomento della ST e della SEKO secondo il quale, nei limiti in cui la controversia di cui al procedimento principale riguarda le condizioni di lavoro dell’equipaggio di una nave che rientrano nell’ambito di applicazione del diritto di un paese terzo, le disposizioni del regolamento n. 4055/86 non sarebbero applicabili oppure, quantomeno, sarebbero subordinate all’esistenza di un collegamento sufficiente fra il rapporto di lavoro e il territorio dell’Unione (del SEE), assente nella specie.

37.

Tale argomento, infatti, deve essere respinto, anzitutto, sulla base del rilievo che, sotto il profilo processuale, esso, fondandosi su un’elencazione di sentenze della Corte relative alla libera circolazione dei lavoratori ( 28 ), mira, in definitiva, a contestare la rilevanza della questione sollevata dal giudice del rinvio nell’ottica della prestazione dei servizi, mentre, secondo la giurisprudenza, a tale giudice spetta, in linea di principio, la competenza esclusiva a definire l’oggetto delle sue questioni e a valutarne sia la necessità sia la rilevanza alla luce delle peculiarità della causa della quale è investito ( 29 ).

38.

Inoltre, l’argomento della ST e della SEKO deve parimenti essere respinto sulla base del rilievo che l’ambito di applicazione del regolamento n. 4055/86 è determinato dalle sue stesse disposizioni, e non dipende dal diritto applicabile ai rapporti di lavoro che legano l’equipaggio di una nave al prestatore di servizi di trasporto marittimo suscettibile di rientrare in tale ambito di applicazione. Ciò è attestato dalla circostanza che il regolamento n. 4055/86 non menziona, ad esempio, i criteri di determinazione della legge applicabile ai contratti individuali di lavoro dei membri dell’equipaggio, in particolare con riferimento ai rapporti che dovrebbero intercorrere fra tale atto e l’articolo 6 della Convenzione sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, firmata a Roma il 19 giugno 1980 (in prosieguo: la «Convenzione di Roma») ( 30 ).

39.

Infine, l’argomento in questione non può essere accolto neanche in base al rilievo che, sebbene sia possibile ammettere, come sostenuto dalla ST e dalla SEKO, che i rapporti di lavoro a bordo di una nave in alto mare sono disciplinati dal diritto dello Stato di bandiera, in applicazione degli articoli 91 e 94 della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, firmata a Montego Bay il 10 dicembre 1982 (in prosieguo: la «Convenzione di Montego Bay») ( 31 ), e come inoltre riconosciuto dalla giurisprudenza della Corte ( 32 ), dal regolamento n. 4055/86 non si evince affatto che il legislatore dell’Unione abbia voluto restringere l’ambito di applicazione di quest’ultimo ai cittadini che assicurano servizi di trasporto marittimo mediante navi a bordo delle quali i rapporti di lavoro dell’equipaggio siano disciplinati dal diritto di uno Stato membro (o di quello di uno Stato del SEE) ( 33 ).

40.

Subordinare in generale l’ambito di applicazione del regolamento n. 4055/86 ad una siffatta condizione supplementare potrebbe pregiudicare l’obiettivo di quest’ultimo, consistente nell’estensione della libera prestazione dei servizi ai trasporti marittimi fra Stati membri e fra Stati membri e paesi terzi, in modo da abolire gradualmente le restrizioni esistenti e prevenire l’introduzione di nuove restrizioni ( 34 ).

41.

Per contro, più delicata è la questione, parimenti discussa dalle parti dinanzi alla Corte, della determinazione della portata esatta dei beneficiari della libera prestazione dei servizi di trasporto marittimo, come contemplati dall’articolo 1, paragrafo 1, del regolamento n. 4055/86, e in particolare la questione se, per il fatto di avere la propria residenza/stabilimento in uno Stato del SEE, il semplice proprietario di una nave rientri nell’ambito di applicazione di tale disposizione.

42.

Tale interrogativo nasce da un disaccordo fra le parti nel procedimento principale quanto all’identità e al luogo di stabilimento dell’ente incaricato dell’amministrazione e della gestione della Sava Star, in quanto la ST e la SEKO fanno valere che tali attività sarebbero state trasferite ad una società stabilità a Panama, mentre la Fonnship sostiene che essa assumeva, per il periodo che qui rileva, l’integralità della gestione commerciale della Sava Star a partire dalla Norvegia.

43.

Non spetta manifestamente alla Corte, nell’ambito della cooperazione istituita dall’articolo 267 TFUE, risolvere tale «querelle» di natura sostanziale, la quale dovrà essere valutata dal giudice del rinvio, anche se, stando alla formulazione della sua questione pregiudiziale, tale giudice è, pare, partito dalla premessa che la Fonnship esercitasse, durante il periodo dei fatti di cui alla controversia nel procedimento principale, «attività (…) [in] forma di servizi di trasporto», e taluni elementi comunicati da tale società su richiesta della Corte nonché in udienza confortano tale impressione.

44.

Tuttavia, se si lascia da parte tale disputa di natura sostanziale e si fa riferimento, al fine di fornire una risposta utile al giudice del rinvio, all’interpretazione dell’articolo 1, paragrafo 1, del regolamento n. 4055/86, occorre anzitutto rammentare che tale disposizione definisce i beneficiari della libera prestazione dei servizi di trasporto marittimo fra Stati membri e fra Stati membri e paesi terzi in termini che sono sostanzialmente gli stessi di quelli di cui all’articolo 49 CE ( 35 ), ossia le persone fisiche e giuridiche stabilite nel territorio di uno Stato membro dell’Unione (del SEE) che forniscono o beneficiano, dietro un corrispettivo, di servizi transfrontalieri all’interno del SEE ( 36 ).

45.

Sulla base di questa premessa generale, la Corte ha già riconosciuto che rientravano nell’ambito di applicazione ratione personae dell’articolo 1, paragrafo 1, del regolamento n. 4055/86 una società di diritto olandese che armava navi di alto mare ( 37 ), un agente marittimo stabilito in uno Stato membro che gestiva una nave della quale non era proprietario e la quale offriva un servizio di linea regolare fra i porti di due Stati membri ( 38 ), alcuni armatori greci che noleggiavano interamente le loro imbarcazioni ad agenzie di viaggio per escursioni giornaliere fra uno Stato membro e un paese terzo ( 39 ), nonché il capitano di nazionalità italiana di una nave che assicura il trasporto marittimo fra due porti di Stati membri ( 40 ).

46.

Tale giurisprudenza denota un’interpretazione flessibile dell’ambito di applicazione ratione personae dell’articolo 1, paragrafo 1, del regolamento n. 4055/86, certamente in sintonia con l’intento di far sì che il maggior numero di attività economiche non ricadenti nell’ambito della libera circolazione dei beni, dei capitali, o delle persone non sia con ciò escluso dall’applicazione del Trattato CE (o dell’accordo SEE) ( 41 ).

47.

Resta cionondimeno il fatto che essa non dà esplicitamente indicazioni sulla questione se il semplice proprietario di una nave possa essere considerato un prestatore di servizi di trasporto marittimo.

48.

A mio avviso, si possono ricavare informazioni utili, nel senso di una soluzione negativa di tale questione, dalla giurisprudenza della Corte relativa ad altri mezzi di trasporto.

49.

Infatti, si evince da tale giurisprudenza, e in particolare dalle sentenze Cura Anlagen ( 42 ), Jobra ( 43 ) e Waypoint Aviation ( 44 ), che se il proprietario di un veicolo può essere facilmente qualificato un prestatore di servizi rientrante nell’ambito di applicazione dell’articolo 49 CE qualora esso offra un siffatto veicolo in locazione (nel quale caso si tratta, in definitiva, di una prestazione di servizi di locazione), la Corte non si è mai spinta, invece, fino al punto di considerarlo un prestatore di servizi di trasporto.

50.

Per qualificarlo come tale, occorre dunque che il proprietario eserciti esso stesso delle attività di trasporto, nella specie attività di trasporto marittimo grazie alla gestione delle sue navi.

51.

Tale qualificazione è coerente con la definizione dell’espressione «armatori comunitari» di cui all’articolo 2, paragrafo 2, lettera a), del regolamento n. 3577/92, il quale si riferisce ai «cittadini di uno Stato membro (…) che svolgono attività di navigazione» ( 45 ).

52.

Essa mi sembra del pari essere in sintonia con la definizione del termine «armatore» che si ritrova, ad esempio, nella clausola 2 dell’allegato alla direttiva 1999/63/CE del Consiglio del 21 giugno 1999 relativa all’accordo sull’organizzazione dell’orario di lavoro della gente di mare, concluso dall’Associazione armatori della Comunità europea (ECSA) e dalla Federazione dei sindacati dei trasportatori dell’Unione europea (FST) ( 46 ), con il quale si intende «il proprietario della nave o ogni altro organismo o persona, quali l’imprenditore o il noleggiatore della sola nave, che hanno rilevato dall’armatore la responsabilità per l’esercizio della nave e, ciò facendo, hanno accettato di assumersi i relativi obblighi e responsabilità». Infatti, si evince incontestabilmente da tale definizione che la proprietà di una nave non coincide con la responsabilità della sua gestione.

53.

Pertanto, a mio avviso, solo il proprietario di una nave che si assume la responsabilità della sua gestione potrà essere considerato un prestatore di servizi di trasporto marittimo. Per contro, qualora egli affidi tale responsabilità ad altri enti, saranno questi ultimi ad assicurare la prestazione.

54.

La questione se il proprietario di una nave possa essere qualificato come prestatore di un servizio di trasporto marittimo qualora esso assuma soltanto una parte delle attività legate alla gestione della nave è tuttavia delicata e dipende senza dubbio dall’insieme delle circostanze di fatto di ciascuna causa.

55.

Mi sembra tuttavia possibile svolgere alcune riflessioni generali al riguardo, fermo restando che esse restano estremamente schematiche rispetto alla complessità dell’organizzazione delle attività di trasporto marittimo internazionale.

56.

In tal senso, qualora il proprietario di una nave la noleggi per un periodo di tempo determinato (noleggio a tempo) oppure per un determinato viaggio (noleggio a viaggio), è possibile presumere che egli conserverà, in linea di principio, la responsabilità dell’equipaggio della nave. Sebbene sia il noleggiatore ad assicurare il trasporto per i suoi clienti, tale operatore si servirà dell’equipaggio della nave impiegato e messo a disposizione dal proprietario. In una fattispecie del genere, anche se il proprietario della nave resta direttamente responsabile dell’equipaggio della nave, mi sembra ipotizzabile considerare sia il noleggiatore sia il proprietario come soggetti che assicurano una stessa prestazione di servizi di trasporto marittimo. Pertanto, è possibile presumere che entrambi rientrano nell’ambito di applicazione ratione personae del regolamento n. 4055/86 ( 47 ).

57.

Per contro, nel caso del noleggio a scafo nudo di una nave, ossia senza equipaggio, sono incline ad escludere il proprietario di tale nave dalla cerchia delle persone, fisiche o giuridiche, idonee a prevalersi della qualità di prestatore di servizi di trasporto marittimo, in quanto la sua posizione non differisce, in definitiva, da quella dei proprietari di altri mezzi di trasporto dati in locazione, i quali, fino ad oggi, non sono mai stati considerati dalla Corte come rientranti nella cerchia dei prestatori di servizi di trasporto.

58.

Ciò premesso, spetta al giudice del rinvio, alla luce dell’insieme degli elementi ad esso sottoposti, verificare se la Fonnship, nel periodo delle controversie di cui al procedimento principale, abbia assunto la gestione della Sava Star in modo da assicurare dei servizi di trasporto marittimo ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 1, del regolamento n. 4055/86.

59.

Supponendo che sia così, resta da esaminare se l’applicabilità del regolamento n. 4055/86 possa cionondimeno essere esclusa dalla circostanza, dedotta dalla ST e dalla SEKO, nonché dal governo svedese, secondo la quale le norme del SEE non sono intese a tutelare imprese di trasporto marittimo che hanno deciso di distaccarsi dal diritto di uno Stato del SEE, nonché dalle condizioni ragionevoli ammesse a livello internazionale in materia di lavoro e di retribuzione, immatricolando le loro navi in paesi terzi che, come Panama all’epoca dei fatti di cui al procedimento principale, concedono bandiere di comodo.

2. Sulla problematica di un eventuale abuso di diritto

60.

In una situazione inedita sulla quale ritornerò in seguito, l’argomento di tali parti interessate rimanda indubbiamente al divieto, elaborato iure praetorio, imposto agli operatori economici di invocare abusivamente le disposizioni del diritto dell’Unione per evadere la loro normativa nazionale o per conseguirne agevolazioni in una maniera che contrasta con gli scopi e le finalità di suddette disposizioni ( 48 ).

61.

Alla luce della delimitazione della domanda di pronuncia pregiudiziale, l’esame della questione di un eventuale «abuso di diritto» non è tuttavia esente da difficoltà processuali, tanto è vero che, in udienza, l’Autorità di vigilanza EFTA ha ritenuto che ciò equivarrebbe esattamente ad analizzare la questione che, in definitiva, il giudice del rinvio si è rifiutato di deferire alla Corte.

62.

Sebbene l’Autorità di vigilanza EFTA non abbia sviluppato ulteriormente la sua posizione, essa può essere compresa, mi sembra, qualora si concepisca la nozione di abuso di diritto come una regola o un principio ( 49 ) che consente di limitare l’esercizio di un diritto (soggettivo) conferito dalle disposizioni del diritto dell’Unione (del SEE) e non come una regola suscettibile di delimitare l’ambito di applicazione di suddette disposizioni.

63.

Nella specie, qualificare la nozione di abuso di diritto come una regola che limita l’esercizio di un diritto conferito dal diritto dell’Unione (del SEE) conduce, in effetti, a riconoscere l’applicabilità del regolamento n. 4055/86 e a trasferire l’analisi sul terreno dei rapporti fra il diritto conferito da tale atto alla Fonnship e le azioni sindacali della ST e della SEKO, questione che il giudice del rinvio si è rifiutato di sottoporre alla Corte.

64.

Al contrario, ammettere che la nozione di abuso di diritto opera come una regola che consente di delimitare l’ambito di applicazione del diritto dell’Unione (del SEE) autorizzerebbe, nella presente causa, a collegare l’esame di un’eventuale pratica abusiva alla questione pregiudiziale deferita alla Corte, la quale riguarda l’ambito di applicazione ratione personae del regolamento n. 4055/86.

65.

Nella sua giurisprudenza, la Corte non sembra avere fermamente optato per l’una o per l’altra di tali qualificazioni dell’abuso di diritto.

66.

In tal senso, essa ha affermato che «secondo una costante giurisprudenza l’applicazione dei regolamenti dell’Unione non può estendersi fino alla tutela di pratiche abusive di operatori economici» ( 50 ) lasciando intendere, di conseguenza, che la nozione di abuso (di diritto) costituisce una regola di delimitazione dell’ambito di applicazione delle disposizioni del diritto dell’Unione ( 51 ), mentre, al contrario, essa ha rilevato «che l’eventuale uso abusivo dei diritti concessi dall’ordinamento giuridico [dell’Unione] in virtù delle disposizioni relative alla libera circolazione dei lavoratori presuppone che il soggetto interessato rientri nell’ambito ratione personae di detto Trattato, soddisfacendo le condizioni per essere qualificato “lavoratore”» ( 52 ), e ha inoltre esaminato la lotta contro le pratiche abusive sulla base dei motivi di interesse generale suscettibili di giustificare restrizioni alle libertà di circolazione ( 53 ), il che presuppone parimenti che le situazioni di cui trattasi rientrino senz’altro nell’ambito di applicazione di tali libertà.

67.

Da parte mia, sarei incline a privilegiare quest’ultimo orientamento della Corte, piuttosto che concepire la nozione di abuso di diritto come un principio di delimitazione dell’ambito di applicazione delle disposizioni del diritto dell’Unione (del SEE).

68.

Una serie di ragioni forgia la mia convinzione in tal senso.

69.

Anzitutto, un semplice motivo di ordine semantico, il quale può essere riassunto come segue: un diritto può formare l’oggetto di un uso abusivo solo se è stato previamente riconosciuto. Facendo riferimento in modo ricorrente alla necessità di impedire «l’abuso di diritto», i «comportamenti abusivi» o le «pratiche abusive» dei singoli o degli operatori economici, la Corte intende senz’altro, a mio avviso, accordare a queste diverse espressioni una funzione limitativa dei diritti soggettivi che questi ultimi ricavano dalle disposizioni del diritto dell’Unione, e in particolare dalle libertà di circolazione che esso garantisce. Poiché siffatti diritti sono parimenti conferiti dall’accordo SEE ( 54 ), nulla osta, sul punto, all’adozione di tale concezione della nozione di abuso di diritto.

70.

Inoltre, ritenere il divieto dell’abuso di diritto un principio che delimita l’ambito di applicazione delle disposizioni del diritto dell’Unione, equivarrebbe, a mio avviso, a conferirgli, nei confronti delle libertà fondamentali di circolazione, lo status analogo a quello di una regola di ragionevolezza (rule of reason), il che mi sembrerebbe erroneo e poco opportuno. Infatti, un siffatto riconoscimento porterebbe a verificare, in qualsiasi fattispecie, se una determinata situazione non implichi un abuso di diritto prima di ritenere che tale situazione non rientri nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione. Un rapporto del genere fra l’abuso e il diritto, il quale privilegia l’esame dell’abuso su quello del diritto, pregiudicherebbe in maniera significativa, a mio avviso, l’effetto utile delle libertà di circolazione garantite dal Trattato CE e dall’accordo SEE.

71.

Inoltre, il fatto che la Corte qualifichi il divieto dell’abuso di diritto come un principio generale del diritto dell’Unione ( 55 ) – status che potrebbe essere eventualmente ammesso anche nell’ambito dell’accordo SEE ( 56 ) ‑ la cui inosservanza può tradursi nella limitazione o nel diniego del beneficio delle disposizioni del diritto dell’Unione fatte valere, conforta la tesi che la funzione di tale nozione eccede quella di una regola di interpretazione delle norme del diritto dell’Unione ( 57 ).

72.

Infine, come illustrato dalla sentenza Halifax e a. cit., pronunciata nell’ambito dell’imposta sul valore aggiunto (IVA), la giurisprudenza mostra che, in ogni caso, le operazioni implicate in un comportamento abusivo non sfuggono all’ambito di applicazione delle disposizioni del diritto dell’Unione, il che, al contrario, sarebbe la conseguenza della constatazione di un abuso di diritti qualora esso mirasse a delimitare l’ambito di applicazione delle norme di tale diritto. Infatti, come si evince da tale sentenza, la circostanza che delle operazioni costitutive di un comportamento abusivo debbano essere ridefinite in maniera tale da ripristinare la situazione quale sarebbe esistita in assenza di suddette operazioni fa in modo che l’abuso di diritto operi come un principio limitativo dei diritti soggettivi dei singoli conferiti dal diritto dell’Unione. Tale approccio, da un lato, autorizza l’operatore di cui trattasi ad usufruire dell’esercizio adeguato dei suoi diritti ( 58 ), mentre, dall’altro, opera come un test di proporzionalità dei comportamenti abusivi e delle misure volte a prevenirli.

73.

Alla luce della delimitazione della questione pregiudiziale effettuata dal giudice del rinvio, la conseguenza procedurale, nella presente causa, della tesi consistente nell’assimilare la funzione dell’abuso di diritto ad una regola di limitazione dei diritti soggettivi che i singoli ricavano dal diritto dell’Unione potrebbe semplicemente consistere nel non procedere all’esame di un eventuale abuso di diritto, tanto che tale esame rischierebbe di sconfinare nella questione, non deferita intenzionalmente dal giudice del rinvio, concernente l’esercizio del diritto alla libera prestazione dei servizi di trasporto marittimo ai sensi del regolamento n. 4055/86 e i limiti che possono legittimamente essere apportati allo stesso. Propenderei per privilegiare tale orientamento.

74.

Qualora tale soluzione non venga condivisa dalla Corte, in particolare in base al rilievo che la nozione di abuso di diritto avrebbe la funzione di delimitare l’ambito di applicazione del diritto dell’Unione, desidererei sottoporre le seguenti osservazioni all’attenzione della Corte, al fine di metterla nelle migliori condizioni per emettere la propria sentenza.

75.

Anzitutto, mi preme ricordare che la Corte ha riconosciuto a più riprese che uno Stato membro ha il diritto di adottare misure volte ad impedire che, grazie alle possibilità offerte dal Trattato, taluni dei suoi cittadini tentino di sottrarsi abusivamente all’impero delle leggi nazionali, e che gli interessati non possono avvalersi abusivamente o fraudolentemente di norme del diritto dell’Unione ( 59 ).

76.

Il riconoscimento dell’interesse legittimo degli Stati membri a lottare contro l’elusione abusiva della propria legislazione nazionale non corrisponde manifestamente alla situazione all’origine delle controversie di cui al procedimento principale.

77.

Infatti, si evince chiaramente dal fascicolo, nonché dalle osservazioni delle parti nel procedimento principale, che le azioni intraprese dai sindacati svedesi nei confronti della Fonnship, ammesso che esse siano equiparate a quelle delle autorità di uno Stato membro ( 60 ), non perseguivano l’obiettivo di evitare che tale società, traendo vantaggio dalle disposizioni del regolamento no 4055/86, applicabili in linea di principio alle navi battenti bandiera di un paese terzo, sottraesse i contratti di lavoro dei membri dell’equipaggio della Sava Star al diritto svedese oppure, quantomeno, alle disposizioni imperative della legge svedese ( 61 ).

78.

Secondo le memorie della ST e della SEKO, tali azioni sono state intraprese al fine di evitare che la Fonnship potesse distaccarsi dal diritto del lavoro norvegese o dalle «condizioni ragionevoli ammesse a livello internazionale in materia di lavoro e di retribuzione».

79.

Pertanto, per ammettere che nelle controversie di cui al procedimento principale ricorra l’ipotesi della «sottrazione abusiva di taluni cittadini all’impero delle leggi nazionali» ai sensi della giurisprudenza, occorrerebbe dunque non solo assimilare le azioni sindacali a quelle di uno Stato membro, bensì anche riconoscere che uno Stato del SEE possa legittimamente lottare contro l’elusione, da parte degli operatori economici stabiliti in un altro Stato del SEE, della legislazione giuslavoristica di questo altro Stato, ovvero, secondo la ST e la SEKO, delle «condizioni ragionevoli di remunerazione ammesse a livello internazionale», senza che tali condizioni vengano chiarite ulteriormente e senza che esista, a livello del SEE, un riavvicinamento delle normative nazionali in materia di retribuzione minima, in particolare di quella della gente di mare ( 62 ).

80.

In ogni caso, anche ammesso che la Corte sia pronta a compiere tale passo, dalla giurisprudenza si evince inoltre che, sebbene i giudici nazionali possano, di volta in volta, tener conto, sulla base di elementi oggettivi, del comportamento abusivo dei soggetti interessati per negare loro la possibilità di fruire delle disposizioni del diritto dell’Unione invocate, tali giudici, nel valutare tale comportamento, devono tener presenti le finalità perseguite dalle disposizioni del diritto dell’Unione di cui trattasi ( 63 ).

81.

Inoltre, sempre secondo la Corte, la prova di una pratica abusiva richiede, da un lato, un insieme di circostanze oggettive dalle quali risulti che, nonostante un rispetto formale delle condizioni previste dalla normativa dell’Unione, l’obiettivo perseguito da tale normativa non è stato raggiunto e, dall’altro, un elemento soggettivo consistente nella volontà di ottenere un vantaggio derivante dalla normativa dell’Unione mediante la creazione artificiosa delle condizioni necessarie per il suo ottenimento ( 64 ).

82.

Se, ai sensi della giurisprudenza menzionata al paragrafo 80 delle presenti conclusioni, ci si limita ad esaminare l’obiettivo perseguito dalla disposizione di cui trattasi, ossia l’articolo 1, paragrafo 1, del regolamento n. 4055/86, tale obiettivo consiste, come indicato in precedenza, nell’accordare ai cittadini degli Stati del SEE il diritto alla libera prestazione di servizi di trasporto marittimo fra Stati del SEE e fra questi e i paesi terzi, a prescindere dal luogo di immatricolazione o dalla bandiera delle navi gestite da tali cittadini.

83.

Pertanto, non può costituire di per sé un abuso della libera prestazione dei servizi sancita dall’articolo 1, paragrafo 1, del regolamento n. 4055/86, il semplice fatto, per un cittadino stabilito in uno Stato del SEE, di gestire a tal fine una nave battente bandiera di un paese terzo.

84.

Inoltre, non costituisce un siffatto abuso neanche la gestione, da parte di tale cittadino, di una nave battente bandiera di comodo di uno Stato terzo, vale a dire, sebbene non esista una definizione ufficiale, di una nave priva di un legame effettivo («genuine link») con lo Stato del quale batte bandiera, ai sensi dell’articolo 91, paragrafo 1, della convenzione di Montego Bay ( 65 ), essendo stata ivi immatricolata da parte o in nome di un proprietario straniero per ragioni di opportunità, principalmente al fine di trarre vantaggio dalle garanzie di riservatezza, dalla tassazione dei redditi e dall’applicazione delle norme locali in materia sociale e previdenziale, nonché ambientale ( 66 ).

85.

Infatti, mentre è pacifico che, quantomeno fino al momento dei fatti delle controversie di cui al procedimento principale, Panama costituiva uno dei principali Stati a livello mondiale che concedono bandiere di comodo, ( 67 ), la Corte non ha avuto alcuna remora, nelle summenzionate sentenze Corsica Ferries e Corsica Ferries France, a riconoscere l’applicabilità dell’articolo 1, paragrafo 1, del regolamento n. 4055/86 ad imprese di trasporto che gestiscono navi battenti bandiera di tale paese terzo.

86.

Tuttavia, alla luce della giurisprudenza di cui al paragrafo 81 delle presenti conclusioni, la prova di una pratica abusiva esige inoltre che venga preso in considerazione l’obiettivo perseguito non solo dalle disposizioni di cui trattasi, bensì, più in generale, dalla normativa citata, nella specie il regolamento n. 4055/86 stesso.

87.

Orbene, occorre rilevare che il sesto e il settimo considerando di suddetto regolamento insistono sulla circostanza che, per quanto riguarda le compagnie che operano nel settore dei trasporti di rinfuse o della navigazione non di linea, l’Unione tende segnatamente a mantenere nel settore di tali attività un «regime di (…) leale concorrenza» e che l’attività di suddette compagnie, in particolare, non dovrebbe essere impedita «fintanto che queste rispettano il principio di una leale concorrenza su una base commerciale».

88.

Se è vero che la nozione di «concorrenza leale» non viene definita, mentre essa si ritrova non solo nel preambolo del Trattato CE ( 68 ) bensì anche in molteplici atti di diritto derivato dell’Unione, la Corte ha riconosciuto che la «prevenzione della concorrenza sleale» da parte di imprese che retribuiscono i loro dipendenti a un livello inferiore rispetto a quello corrispondente al salario minimo poteva essere considerata un obiettivo legittimo ( 69 ).

89.

Il rispetto di una concorrenza leale, perseguito dal regolamento n. 4055/86, verrebbe compromesso, a mio avviso, in particolare qualora venisse dimostrato che un’impresa di trasporto marittimo che opera nel settore dei trasporti di rinfuse o della navigazione non di linea fra gli Stati membri del SEE tramite una nave immatricolata in un paese terzo con il quale tale nave non ha un legame effettivo retribuisce l’equipaggio della sua nave ad un livello significativamente inferiore a quello corrispondente al salario minimo oppure, altrimenti, al salario generalmente ammesso nel settore, il quale sarebbe applicabile, in linea di principio, se la nave fosse stata immatricolata nello Stato del SEE nel quale tale impresa è stabilita ( 70 ).

90.

Pertanto, in una fattispecie del genere, nonostante il rispetto formale delle condizioni di applicazione del regolamento n. 4055/86, l’obiettivo di quest’ultimo, consistente nell’assicurare il rispetto della leale concorrenza nel settore dei servizi di navigazione non di linea e di trasporto di rinfuse all’interno del SEE, non verrebbe conseguito.

91.

In conformità della giurisprudenza, spetta al giudice del rinvio verificare se tale condizione sia soddisfatta nelle controversie di cui al procedimento principale, in funzione delle regole di prova del diritto nazionale, purché ciò non pregiudichi l’efficacia del diritto dell’Unione ( 71 ).

92.

Quanto all’elemento soggettivo costitutivo della prova di una pratica abusiva, condizione la cui avvenuta soddisfazione deve parimenti essere verificata dal giudice del rinvio ( 72 ), ritengo, sulla base della giurisprudenza, che due circostanze, non necessariamente cumulative, meritino di essere verificate.

93.

Da un lato, potrebbe essere constatato un comportamento abusivo qualora risulti da un insieme di elementi oggettivi che lo «scopo essenziale» perseguito dal cittadino di uno Stato del SEE, proprietario di una nave battente bandiera di comodo di un paese terzo, consisteva nell’evitare l’applicazione delle condizioni di retribuzione dell’equipaggio di tale nave che sarebbero state normalmente applicabili qualora quest’ultima fosse stata immatricolata nello Stato del SEE nel quale il proprietario della nave è stabilito ( 73 ), compromettendo, di conseguenza, l’obiettivo del rispetto di una leale concorrenza, quale previsto dal regolamento n. 4055/86 ( 74 ).

94.

D’altro lato, il giudice del rinvio potrebbe anche essere tenuto a verificare se il cittadino di uno Stato del SEE, proprietario di una nave battente bandiera di comodo di un paese terzo, abbia «creato artificiosamente» le condizioni di applicazione delle disposizioni del regolamento n. 4055/86 tramite costruzioni mediante le quali egli gestirebbe solo in maniera fittizia, in tutto o in parte, tale nave, a favore di una o più società ad esso legate, stabilite in un paese terzo ( 75 ). Infatti, in quest’ultima fattispecie, tale cittadino dovrebbe essere ritenuto il semplice proprietario di tale nave e, come già illustrato in precedenza, non potrebbe pertanto validamente entrare nella cerchia dei soggetti beneficiari della libera prestazione dei servizi di trasporto marittimo, quale sancita dall’articolo 1, paragrafo 1, del regolamento n. 4055/86 ( 76 ).

III – Conclusione

95.

Alla luce delle considerazioni che precedono, suggerisco alla Corte di risolvere nei seguenti termini la questione pregiudiziale deferita dall’Arbetsdomstolen:

«L’articolo 1, paragrafo 1, del regolamento (CEE) n. 4055/86 del Consiglio, del 22 dicembre 1986, che applica il principio della libera prestazione dei servizi ai trasporti marittimi tra Stati membri e tra Stati membri e paesi terzi, come modificato dal regolamento (CEE) n. 3573/90 del Consiglio, del 4 dicembre 1990, integrato a sua volta nell’Accordo sullo Spazio economico europeo, firmato il 2 maggio 1992, deve essere interpretato nel senso che la libera prestazione dei servizi di trasporto marittimo si applica ad una società stabilita in uno Stato dello Spazio economico europeo, (SEE), proprietaria di una nave battente bandiera di un paese terzo e che effettua servizi di trasporto marittimo fra gli Stati del SEE, a condizione che tale società assuma essa stessa la responsabilità della gestione di tale nave, circostanza che deve essere verificata dal giudice del rinvio».


( 1 ) Lingua originale: il francese.

( 2 ) (GU 1994, L 1, pag. 3).

( 3 ) GU L 378, pag. 1, con rettifica in GU 1987, L 93, pag. 17 e come modificato dal regolamento (CEE) n. 3573/90 del Consiglio del 4 dicembre 1990, GU L 353, pag. 16, in prosieguo: il «regolamento n. 4055/86»).

( 4 ) V. allegato XIII dell’accordo SEE, GU 1994, L 1, pag. 422.

( 5 ) Emerge dal fascicolo e dalle osservazioni della Fonnship che la Sava Star era una nave mercantile per carichi alla rinfusa che effettuava servizi «tramp» [servizi di trasporto con navi da carico non regolari], sostanzialmente all’interno del SEE. Ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 3, lettera a), del regolamento (CEE) n. 4056/86 del Consiglio del 22 dicembre 1986, che determina le modalità di applicazione degli articoli 85 e 86 del trattato ai trasporti marittimi (GU L 378, pag. 4), per servizi (internazionali) di trasporto con navi da carico non regolari (tramps) si intendono «i servizi di trasporto di merci alla rinfusa o di “break-bulk”, mediante una nave totalmente o parzialmente noleggiata ad uno o più caricatori sulla base di un noleggio a viaggio o a tempo o di qualsiasi altro tipo di contratto, su linee non regolari o non pubblicate allorché le tariffe di nolo siano liberamente negoziate caso per caso conformemente alle condizioni dell’offerta e della domanda»., Si tratta quindi essenzialmente del trasporto non regolare di una sola merce che occupa tutta la nave: v. anche punto 11 delle Linee direttrici sull’applicazione dell’articolo 81 del trattato CE ai servizi di trasporto marittimo, GU 2008, C 245, pag. 2.

( 6 ) Si trattava, all’epoca dei fatti del procedimento principale, di quattro ufficiali polacchi e di due marinai russi.

( 7 ) Come rilevato dalla Corte nella sentenza dell’11 dicembre 2007, International Transport Workers’ Federation e Finnish Seamen’s Union (detta «Viking Line») (C-438/05, Racc. pag. I-10779, punti 7 e 8), l’ITF raggruppa taluni sindacati dei lavoratori del settore dei trasporti: una delle principali politiche da essa perseguite è la campagna di lotta contro le «bandiere di comodo». Gli obiettivi principali di tale politica sono, da un lato, la fissazione di un legame sostanziale tra la bandiera di una nave e la nazionalità del suo proprietario e, dall’altro lato, la tutela e il miglioramento delle condizioni di lavoro degli equipaggi delle navi battenti una bandiera di comodo. L’ITF ritiene che una nave sia registrata con una bandiera di comodo qualora la proprietà effettiva e il controllo della nave si collochino in uno Stato diverso da quello della bandiera con la quale la nave è immatricolata.

( 8 ) Sentenza del 18 dicembre 2007, Laval un Partneri (C-341/05, Racc. pag. I-11767).

( 9 ) V., ad esempio, sentenze del 12 novembre 1992, Kerafina - Keramische und Finanz-Holding e Vioktimatiki (C-134/91 e C-135/91, Racc. pag. I-5699, punto 16); del 17 luglio 1997, Affish (C-183/95, Racc. pag. I-4315, punto 23), nonché del 21 dicembre 2011, Danske Svineproducenter (C‑316/10, Racc. , pag. I‑13721 punto 32).

( 10 ) V., segnatamente, sentenze del 6 luglio 2006, Kersbergen-Lap e Dams-Schipper (C-154/05, Racc. pag. I-6249, punto 21 e la giurisprudenza citata), nonché dell’11 luglio 2013, Belgian Electronic Sorting Technology (C‑657/11, punto 28).

( 11 ) Sentenza del 9 dicembre 1965, Singer (44/65, Racc. pag. 1191, in particolare pag. 1199).

( 12 ) Idem, pag. 1198, nonché, segnatamente, sentenze Kerafina - Keramische und Finanz-Holding e Vioktimatiki, cit., punto 16; del 17 settembre 1998, Kainuun Liikenne e Pohjolan Liikenne (C-412/96, Racc. pag. I-5141, punto 23), nonché del 15 ottobre 2009, Hochtief e Linde‑Kca‑Dresden (C-138/08, Racc. pag. I-9889, punto 21).

( 13 ) V., in particolare, sentenze Singer, cit., pag. 1199; del 19 gennaio 1994, SAT Fluggesellschaft (C-364/92, Racc. pag. I-43, punto 9), del 6 luglio 2000, ATB e a. (C-402/98, Racc. pag. I-5501, punto 29); del 16 dicembre 2008, Cartesio (C-210/06, Racc. pag. I-9641, punto 90); del 15 ottobre 2009, Acoset (C-196/08, Racc. pag. I-9913, punto 34), nonché del 18 luglio 2013, Consiglio Nazionale dei Geologi e Autorità garante della concorrenza e del mercato (C‑136/12, punto 28).

( 14 ) V., segnatamente, citate sentenze Kainuun Liikenne e Pohjolan Liikenne, punto 24; Hochtief e Linde-Kca-Dresden, punto 22, nonché Danske Svineproducenter, punto 32.

( 15 ) V., ad esempio, sentenze Kainuun Liikenne e Pohjolan Liikenne, punto 24; Kersbergen-Lap e Dams-Schipper, punto 22; nonché sentenze del 14 aprile 2011, Vlaamse Dierenartsenvereniging e Janssens (C-42/10, C-45/10 e C-57/10, Racc. pag. I-2975, punti da 42 a 45), nonché del 13 ottobre 2011, DHL International (C-148/10, Racc. pag. I-9543, punti 25, 28 e 30), nonché Danske Svineproducenter, punto 33.

( 16 ) V., segnatamente, sentenze ATB e a., cit. (punti 28, 30 e 31); del 26 giugno 2007, Ordre des barreaux francophones et germanophones e a. (C-305/05, Racc. pag. I-5305, punto 19), nonché del 15 aprile 2008, Nuovo Agricast (C-390/06, Racc. pag. I-2577, punto 44).

( 17 ) V., inter alia, sentenze del 12 dicembre 1990, Hennen Olie (C-302/88, Racc. pag. I-4625, punto 20, nonché del 17 ottobre 2013, Welte (C‑181/12, punti 16 e 27).

( 18 ) V., ad esempio, sentenza del 3 giugno 2010, Internetportal und Marketing (C-569/08, Racc. pag. I-4871, punti da 27 a 30).

( 19 ) V., ad esempio, sentenze del 29 aprile 2004, Weigel (C-387/01, Racc. pag. I-4981, punto 44); del 21 febbraio 2006, Ritter-Coulais (C-152/03, Racc. pag. I-1711, punto 39); del 25 gennaio 2007, Dyson (C-321/03, Racc. pag. I-687, punto 26); del 30 maggio 2013, Worten (C‑342/12, punti 30 e 31), nonché del 12 dicembre 2013, Hay (C‑267/12, punto 23).

( 20 ) V. sentenze del 5 ottobre 1988, Alsatel (247/86, Racc. pag. 5987, punti 7 e 8) nonché DHL International, cit., punti 25 e 30. V. parimenti, in tal senso, sentenze del 2 giugno 1994, AC‑ATEL Electronics (C-30/93, Racc. pag. I-2305, punti 19 e 20, nonché del 10 luglio 1997, Palmisani (C-261/95, Racc. pag. I-4025, punti 30 e 31). V. anche paragrafo 25 delle conclusioni dell’avvocato generale Lenz nella causa che ha dato luogo alla sentenza AC-ATEL Electronics, cit.; paragrafo 46 delle conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa che ha dato luogo alla sentenza del 21 dicembre 2011, Air Transport Association of America e a. (C-366/10, Racc. pag. I-13755), nonché paragrafo 18 delle conclusioni da me presentate nella causa che ha dato luogo alla sentenza Belgian Electronic Sorting Technology, cit.

( 21 ) Nella sentenza DHL International, cit., la Corte ha tenuto a precisare, al punto 30 della sua sentenza, che il giudice del rinvio non aveva riconosciuto «né la necessità né la pertinenza» delle questioni supplementari di interpretazione del diritto dell’Unione suggerite dinanzi al medesimo dalla ricorrente nel procedimento principale.

( 22 ) È quanto suggerito anche, in pratica, rispettivamente dall’avvocato generale Léger al paragrafo 46 delle conclusioni presentate nella causa che ha dato luogo alla sentenza del 26 settembre 2000, Engelbrecht (C-262/97, Racc. pag. I-7321) e dall’avvocato generale Bot ai paragrafi 34 e 35 delle sue conclusioni nella causa che ha dato luogo alla sentenza dell’8 settembre 2010, Winner Wetten (C-409/06, Racc. pag. I-8015), nell’ottica di fornire una risposta utile ai giudici nazionali. È del pari quanto ha riconosciuto la Corte nella sua sentenza del 12 febbraio 2009, Vereniging Noordelijke Land- en Tuinbouw Organisatie (C-515/07, Racc. pag. I-839, punti 29 e 40), in seguito alle mie conclusioni in tal senso (v. segnatamente paragrafo 56 di tali conclusioni). Le ragioni del rigetto delle due prime proposte e dell’accoglimento della terza non emergono dai motivi delle sentenze. È tuttavia interessante rilevare che solo la causa sfociata nella sentenza Vereniging Noordelijke Land- en Tuinbouw Organisatie, cit., era stata avviata da un giudice nazionale che statuiva in ultima istanza.

( 23 ) V. sentenza Consiglio Nazionale dei geologi e Autorità garante della concorrenza e del mercato, cit., punto 34. Si osservi che, al punto 25 di tale sentenza, la Corte afferma che un giudice avverso le cui decisioni non esista alcun ricorso giurisdizionale è «in linea di principio, tenuto a rivolgersi alla Corte ai sensi dell’articolo 267, terzo comma, TFUE quando è chiamato a pronunciarsi su una questione di interpretazione del predetto Trattato» (il corsivo è mio).

( 24 ) Idem, punto 29.

( 25 ) Sentenza del 17 maggio 1994, Corsica Ferries (C-18/93, Racc. pag. I-1783, punto 29) (il corsivo è mio). Il fatto che le navi gestite da tale società fossero immatricolate e battessero bandiera panamense si evince dal punto 8 della sentenza. V. anche sentenza del 18 giugno 1998, Corsica Ferries France (C-266/96, Racc. pag. I-3949, punto 3).

( 26 ) V. al riguardo, inter alia, Bredima-Savopoulou A. e Tzoannos J., The Common Shipping Policy of the EC, North Holland, Amsterdam, 1990, pag. 176 e Baena Baena P.J., La politica comunitaria de los transportes maritimos, Marcial Pons, Madrid, 1995, pag. 127.

( 27 ) Secondo un autore, si trattava dell’85% della flotta battente bandiera greca: v. Martinez Lage S., «El régimen comunitario del transport marítimo y el Real Decreto 990/1986 sobre ordenación del transporte marítimo en España», Gaceta Juridica de la CEE, n. 10, 1988, pag. 408.

( 28 ) Ai punti 79 e 80 delle loro osservazioni scritte, la ST e la SEKO menzionano, a sostegno dei loro argomenti, le sentenze del 12 luglio 1984, Prodest (237/83, Racc. pag. 3153, punto 6); del 27 settembre 1989, Lopes da Viega (9/88, Racc. pag. 2989, punto 15); del 29 giugno 1994, Aldewereld (C-60/93, Racc. pag. I-2991, punto 14), nonché del 30 aprile 1996, Boukhalfa (C-214/94, Racc. pag. I-2253, punto 15), le quali riguardano tutte l’interpretazione delle disposizioni del Trattato o del diritto derivato relative alla libera circolazione dei lavoratori.

( 29 ) V., in tal senso, segnatamente, citate sentenze Kersbergen-Lap e Dams-Schipper, punto 21, e Danske Svineproducenter, punto 32.

( 30 ) GU L 266, pag. 1. Ricordo che l’articolo 6 della Convenzione di Roma, intitolato «Contratto individuale di lavoro», prevede, in sostanza, che nei contratti di lavoro, la scelta della legge applicabile ad opera delle parti non vale a privare il lavoratore della protezione assicuratagli dalle norme imperative della legge che regolerebbe il contratto, in mancanza di scelta, a norma dell’articolo 6, paragrafo 2. Ai sensi di tale paragrafo, il contratto di lavoro è disciplinato a) dalla legge del paese in cui il lavoratore, in esecuzione del contratto, compie abitualmente il suo lavoro, oppure dalla legge del paese dove si trova la sede che ha proceduto ad assumere il lavoratore, qualora questi non compia abitualmente il suo lavoro in uno stesso paese. Tali criteri si applicano a meno che non risulti dall’insieme delle circostanze che il contratto di lavoro presenta un collegamento più stretto con un altro paese, nel qual caso si applica la legge di quest’altro paese. V. sull’applicazione e sui rapporti fra tali criteri di determinazione della legge applicabile nel caso del licenziamento di un membro dell’equipaggio di una nave: sentenza del 15 dicembre 2011, Voogsgeerd (C-384/10, Racc. pag. I-13275).

( 31 ) Inclusi nella parte VII della convenzione di Montego Bay, intitolata «Alto mare», gli articoli 91 e 94 prevedono rispettivamente, in particolare, da un lato, che le navi hanno la nazionalità dello Stato di cui sono autorizzate a battere bandiera, e che fra lo Stato e la nave deve esistere un legame effettivo, e, dall’altro, che ogni Stato esercita efficacemente la propria giurisdizione e il proprio controllo su questioni di carattere amministrativo, tecnico e sociale sulle navi che battono la sua bandiera, in particolare, conformemente alla propria legislazione, sul comandante, gli ufficiali e l’equipaggio, in relazione alle questioni di ordine amministrativo, tecnico e sociale di pertinenza della nave.

( 32 ) V. sentenza del 24 novembre 1992, Poulsen e Diva Navigation (C-286/90, Racc. pag. I-6019, punti 18 e 22).

( 33 ) V., in tal senso, per analogia, sentenza del 9 marzo 2006, Commissione/Spagna (C-323/03, Racc. pag. I-2161, punto 26), a proposito del rifiuto della Corte di equiparare i termini impiegati nel regolamento (CEE) n. 3577/92 del Consiglio del 7 dicembre 1992, concernente l’applicazione del principio della libera prestazione dei servizi ai trasporti marittimi fra Stati membri (cabotaggio marittimo), (GU L 364, pag. 7) a quelli della convenzione di Montego Bay, il che avrebbe comportato la restrizione dell’ambito di applicazione di suddetto regolamento.

( 34 ) V. penultimo considerando del regolamento n. 4055/86. Per un ragionamento analogo, v. sentenza Commissione/Spagna, cit., punto 24.

( 35 ) V. sentenze del 14 luglio 1994, Peralta (C-379/92, Racc. pag. I-3453, punto 39); del 5 ottobre 1994, Commissione/Francia (C-381/93, Racc. pag. I-5145, punto 10), nonché del 13 giugno 2002, Sea-Land Service e Nedlloyd Lijnen (C-430/99 e C-431/99, Racc. pag. I-5235, punto 30).

( 36 ) V., per quanto riguarda l’articolo 36 dell’accordo SEE (libera prestazione dei servizi), sentenza della Corte EFTA Granville Establishment (E‑13/11, EFTA Court Rep., pag. 403, punti 38 e 39).

( 37 ) V. sentenza Sea-Land Service e Nedlloyd Lijnen, cit., punti 16 e da 26 a 29. Si osservi che anche se la Corte lascia al giudice nazionale il compito di verificare se le situazioni all’origine delle controversie in tale causa rientrassero nell’ambito di applicazione ratione personae del regolamento n. 4055/86, ciò è dovuto con tutta probabilità al fatto che, come emerge dai punti da 63 a 76 delle conclusioni presentate dall’avvocato generale Alber in relazione a tale sentenza, l’altra società di trasporto marittimo coinvolta nel procedimento principale (la Sea-Land Service) era stabilita negli Stati Uniti d’America, e che il giudice del rinvio non aveva fornito sufficienti indicazioni quanto al rispetto delle condizioni previste dall’articolo 1, paragrafo 2, del regolamento.

( 38 ) V. sentenza Corsica Ferries, cit., punti 8 e 30, e paragrafo 2 delle conclusioni presentate dall’avvocato generale van Gerven in relazione a tale sentenza; v. parimenti, Corsica Ferries France, cit., punto 3. Come indicato in precedenza, le navi battevano bandiera panamense.

( 39 ) V. sentenza del 14 novembre 2002, Geha Naftiliaki e a. (C-435/00, Racc. pag. I-10615, punti 5 e 6), nonché i paragrafi 5 e 6 delle conclusioni presentate dall’avvocato generale Alber in relazione a tale sentenza.

( 40 ) Sentenza Peralta, cit., punto 42. L’armatore della nave era italiano e la nave batteva bandiera italiana.

( 41 ) V., in tal senso, sentenza del 23 aprile 2009, Falco Privatstiftung e Rabitsch (C-533/07, Racc. pag. I-3327, punto 35).

( 42 ) Sentenza del 21 marzo 2002, (C-451/99, Racc. pag. I-3193, punto 18). Tale causa riguardava l’obbligo di immatricolazione nello Stato di utilizzazione di veicoli acquisiti in leasing presso un’impresa stabilita in un altro Stato membro.

( 43 ) Sentenza del 4 dicembre 2008, (C-330/07, Racc. pag. I-9099, punto 22). Tale causa riguardava il rifiuto opposto dalle autorità di uno Stato membro di accordare un premio per l’investimento ad una società che aveva dato in leasing degli autocarri utilizzati principalmente sul territorio di altri Stati membri.

( 44 ) Sentenza del 13 ottobre 2011, (C-9/11, Racc. pag. I-9697, punti 17 e 20). La causa riguardava, in sostanza, il divieto di concessione di un diritto d’uso di un aeromobile ad una società non stabilita nello Stato membro che aveva accordato un vantaggio fiscale per il finanziamento del suo acquisto.

( 45 ) Il corsivo è mio.

( 46 ) GU L 167, pag. 33. Tale direttiva era applicabile all’epoca dei fatti di cui alle controversie nel procedimento principale, e anche nel SEE, in forza della decisione n. 66/2000 del comitato misto SEE del 2 agosto 2000, che modifica l’allegato XI (servizio di telecomunicazioni) dell’accordo SEE (GU L 250, pag.48). I requisiti della direttiva sono stati estesi dalla direttiva 1999/95/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 dicembre 1999, concernente l’applicazione delle disposizioni relative all’orario di lavoro della gente di mare a bordo delle navi che fanno scalo nei porti della Comunità (GU 2000, L 14, pag. 29), a tutte le navi che fanno scalo in un porto dell’Unione [tale direttiva è stata a sua volta integrata nell’accordo SEE dalla decisione n. 94/2000 del comitato misto SEE del 27 ottobre 2000, che modifica l’allegato XIII (Trasporti) dell’accordo SEE (GU 2001, L 7, pag. 19)]. Tuttavia, ai sensi dell’articolo 11 della direttiva 1999/95, i requisiti imposti erano tuttavia applicabili alle navi battenti bandiera di paesi terzi solo a partire dal 10 gennaio 2003, data di entrata in vigore del protocollo del 1996 della convenzione n. 147 dell’Organizzazione Internazionale del lavoro (OIL) concernente le norme minime da osservare sulle navi mercantili, ossia qualche settimana prima dell’azione collettiva intrapresa dalla SEKO. Occorre parimenti osservare che, per quanto riguarda gli strumenti completamente posteriori ai fatti di cui alle controversie nel procedimento principale, una definizione analoga è ravvisabile all’articolo 2, lettera j), della Convenzione sul lavoro marittimo del 2006, stipulata nell’ambito dell’OIL ed entrata in vigore il 20 agosto 2013. Quest’ultima definizione è stata ripresa all’allegato della direttiva 2009/13/CE del Consiglio del 16 febbraio 2009, recante attuazione dell’accordo concluso dall’Associazione armatori della Comunità europea (ECSA) e dalla Federazione europea dei lavoratori dei trasporti (ETF) sulla convenzione sul lavoro marittimo del 2006 e modifica della direttiva 1999/63/CE (GU L 124, pag. 30).

( 47 ) È, a quanto risulta, la situazione all’origine della sentenza Geha Naftiliaki e a., cit.

( 48 ) V., in tal senso, paragrafo 63 delle conclusioni dell’avvocato generale Poiares Maduro, presentate nella causa che ha dato luogo alla sentenza del 21 febbraio 2006, Halifax e a. (C-255/02, Racc. pag. I-1609).

( 49 ) Rammento che, nella sua sentenza del 5 luglio 2007, Kofoed (C-321/05, Racc. pag. I-5795, punto 38), la Corte ha dichiarato che il divieto dell’abuso di diritto costituiva un principio generale del diritto dell’Unione.

( 50 ) Sentenza del 12 settembre 2013, Slancheva sila (C‑434/12, punto 27 e la giurisprudenza citata) (il corsivo è mio). V. parimenti, per una formula analoga, sentenze Halifax e a., cit., punto 69, nonché del 6 aprile 2006, Agip Petroli (C-456/04, Racc. pag. I-3395, punto 20 e la giurisprudenza citata).

( 51 ) Fondandosi su una serie di precedenti sentenze della Corte, fra le quali, segnatamente, le sentenze del 21 giugno 1988, Lair (39/86, Racc. pag. 3161, punto 43) nonché del 23 settembre 2003, Akrich (C-109/01, Racc. pag. I-9607, punto 57 e punto 2 del dispositivo), tale qualificazione della nozione di abuso (di diritto) è stata parimenti sostenuta dall’avvocato generale Poiares Maduro al paragrafo 69 delle sue conclusioni presentate nella causa sfociata nella sentenza Halifax e a.

( 52 ) Sentenza del 6 novembre 2003, Ninni-Orasche (C-413/01, Racc. pag. I-13187, punto 31) (il corsivo è mio). V. anche, in tal senso, sentenze del 9 marzo 1999, Centros (C-212/97, Racc. pag. I-1459, punto 18) e del 21 febbraio 2013, (C‑123/11, punto 27): «[l]a questione dell’applicabilità» degli articoli del Trattato che disciplinano la libertà di stabilimento è «distinta dalla questione se uno Stato membro possa adottare misure atte a impedire che, in presenza delle possibilità offerte dal Trattato, i suoi cittadini tentino di sottrarsi abusivamente all’impero della propria legge nazionale» (il corsivo è mio).

( 53 ) V., per quanto riguarda la libertà di stabilimento, sentenze del 12 settembre 2006, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas (C-196/04, Racc. pag. I-7995, punto 55); del 13 marzo 2007, Test Claimants in the Thin Cap Group Litigation (C-524/04, Racc. pag. I-2107, punti 74 e 80), nonché del 17 gennaio 2008, Lammers & Van Cleeff (C-105/07, Racc. pag. I-173, punto 29), nonché sentenza della Corte EFTA, Arcade Drilling (E‑15/11, EFTA Court Report 2012, pag. 676, punto 88). V., per quanto riguarda la prestazione dei servizi, sentenze Jobra, cit., punto 35, e del 5 luglio 2012, SIAT (C‑318/10, punto 50).

( 54 ) Ciò è confermato dalla duplice constatazione che «uno degli obiettivi principali dell’accordo SEE è di realizzare nella massima misura possibile la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali nell’intero Spazio Economico Europeo, di modo che il mercato interno realizzato nel territorio della Comunità sia esteso agli Stati dell’[EFTA]» [v. sentenze del 23 settembre 2003, Ospelt e Schlössle Weissenberg (C-452/01, Racc. pag. I-9743, punto 29) e del 26 settembre 2013, Regno Unito/Consiglio (C‑431/11, punto 50)] e che le disposizioni degli articoli dell’accordo SEE relative alle libertà di circolazione rivestono la stessa portata giuridica di quella delle disposizioni, sostanzialmente identiche, degli articoli del Trattato CE che garantiscono tali libertà: v., a titolo di esempio, riguardo all’articolo 36 dell’accordo SEE (libera prestazione dei servizi), sentenza del 6 ottobre 2009, Commissione/Spagna (C-153/08, Racc. pag. I-9735, punto 48). V. parimenti, sul carattere sui generis dell’accordo SEE e dei diritti conferiti ai singoli e agli operatori economici, sentenza della Corte EFTA, Eva María Sveinbjörnsdóttir (E‑9/97, EFTA Court Report 1998, pag. 95, punti 58 e 59), nonché, segnatamente, su tale tema, Baudenbacher C., «L’individu, principal protagoniste de l’accord EEE», in Le droit à la mesure de l’homme: Mélanges en l’honneur de Philippe Léger, Pedone, Parigi, 2006, pag. 335.

( 55 ) V. sentenza Kofoed, cit., punto 38. Il divieto dell’abuso di diritto è ormai sancito anche dall’articolo 54 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, la quale non aveva tuttavia alcuna forza vincolante all’epoca dei fatti di cui alle controversie nel procedimento principale.

( 56 ) La natura dell’accordo SEE non osta a che dei principi generali del diritto del SEE («general principles of EEA law») possano, in via esegetica, essere desunti dai suoi obiettivi (come quello dell’interpretazione omogenea delle disposizioni sostanzialmente identiche a quelle del Trattato CE) e dalle sue disposizioni: v., per quanto riguarda il principio della tutela giurisdizionale effettiva, sentenza della Corte EFTA, Posten Norge (E‑15/10, EFTA Court Report 2012, pag. 246, punto 86), nella quale la Corte EFTA fa riferimento sia all’articolo 6 CEDU sia all’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. V. parimenti, per quanto riguarda il rispetto della certezza del diritto, sentenza della Corte EFTA, Autorità di vigilanza EFTA/Norvegia (E‑9/11, EFTA Court Report 2012, pag. 442, punto 99) e, per quanto riguarda la tutela del legittimo affidamento, sentenza della Corte EFTA, DB Schenker/ Autorità di vigilanza EFTA (E‑7/12, EFTA Court Report 2013, punto 117).

( 57 ) V. anche, in tal senso, segnatamente, Ionescu R.N., L’abus de droit de l’Union européenne, Bruylant, Bruxelles, 2012, pag. 428.

( 58 ) V. sentenza Halifax e a., cit., punti da 94 a 97.

( 59 ) V., segnatamente, citate sentenze Centros, punto 24, e Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas, punto 35, nonché del 23 ottobre 2008, Commissione/Spagna (C-286/06, Racc. pag. I-8025, punto 69).

( 60 ) Ipotesi che ho tuttavia respinto ai paragrafi 136 e 137 delle mie conclusioni presentate nella causa che ha dato luogo alla sentenza Laval un Partneri, cit.

( 61 ) Il che sarebbe stato teoricamente concepibile se, da un lato, i sindacati avessero ritenuto, alla luce, ad esempio, dei rapporti, dell’ormeggio e degli scali della Sava Star, che i membri dell’equipaggio svolgessero abitualmente la propria attività lavorativa in Svezia, e, dall’altro, la scelta della legge applicabile effettuata dalle parti valesse a privare tali lavoratori della protezione assicurata loro dalle norme della legge del paese in cui essi compivano abitualmente il proprio lavoro ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 2, lettera a), della Convenzione di Roma. Infatti, si evince dalla sentenza Voogsgeerd, cit., che la Corte privilegia il criterio di collegamento previsto da suddetto articolo 6, paragrafo 2, lettera a), della Convenzione di Roma rispetto al diritto dello Stato di bandiera della nave qualora quest’ultimo valga a privare il lavoratore della protezione assicuratagli dall’applicazione delle norme imperative della legge applicabile in assenza di scelta delle parti.

( 62 ) Come indicato in precedenza (v. supra, nota 46), all’epoca dei fatti di cui alle controversie del procedimento principale, era applicabile la direttiva 1999/63, la quale mirava ad attuare l’accordo fra parti sociali europee relativo all’organizzazione dell’orario di lavoro della gente di mare, direttiva estesa dalla direttiva 1999/95 a tutte le navi che fanno scalo nei porti dell’ Unione, a prescindere dalla loro bandiera, a partire dal 10 gennaio 2003. Ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 1999/95, gli Stati membri dovevano adottare misure adeguate affinché le navi che non battono la loro bandiera rispettino le clausole da 1 a 12 dell’accordo che figura nell’allegato della direttiva 1999/63, ossia, in sostanza, le clausole relative all’orario di lavoro e ai periodi di riposo a bordo delle navi, ma non quella relativa alla tutela della salute e della sicurezza della gente di mare (clausola 15) né quella relativa alla durata delle ferie annuali retribuite (clausola 16), le quali comportavano requisiti eccedenti quelli previsti dalla convenzione n. 180 dell’OIL sull’orario di lavoro della gente di mare e sulla composizione dell’equipaggio, adottata il 22 ottobre 1996 ed entrata in vigore l’8 agosto 2002.

( 63 ) V., segnatamente, citate sentenze Centros, punto 25; Agip Petroli, punto 21, nonché del 21 luglio 2011, Oguz (C-186/10, Racc. pag. I-6957, punto 25).

( 64 ) V., in particolare, sentenze del 16 ottobre 2012, Ungheria/Slovacchia (C‑364/10, punto 58, del 12 marzo 2014, O.e B. (C‑456/12, punto 58). Si evince chiaramente da tali sentenze, nonché dalla sentenza del 14 dicembre 2000, Emsland-Stärke (C-110/99, Racc. pag. I-11569, punti 52‑53), che suddette condizioni sono rilevanti e incluse in contesti nei quali gli atti di diritto derivato dell’Unione non vi fanno riferimento.

( 65 ) Il requisito della sussistenza di un legame effettivo fra una nave e lo Stato del quale batte bandiera, previsto dagli articoli 91 e 94 della Convenzione di Montego Bay, mira ad assicurare un’osservanza più efficace da parte degli Stati di bandiera degli obblighi ad essi incombenti, e segnatamente quelli relativi all’esercizio effettivo della sua giurisdizione e del suo controllo nei settori amministrativo, tecnico e sociale: v. sentenza del Tribunale internazionale per il diritto del mare, sentenza del 1o luglio 1999, Saint-Vincent-et les-Grenadines/Guinea, causa della nave «Saiga» (n. 2), Recueil des arrêts, avis consultatifs et ordonnances, vol. 3, 1999 (punti da 81 a 83), nonché sentenza del 14 ottobre 2004, Commissione/Paesi Bassi, (C-299/02, Racc. pag. I-9761, punto 23), la quale rimanda ai paragrafi da 51 a 59 delle conclusioni presentate dall’avvocato generale Léger in tale causa. Si evince inoltre da tali sentenze che l’assenza di un tal legame fra una nave e lo Stato di bandiera non autorizza gli altri Stati a contestare la validità dell’immatricolazione di suddetta nave (v. anche su tale tema e sulle misure che sarebbero autorizzate: Takei, Y., «International legal responses to the flag State in breach of its duties: possibilities for other States to take action against the flag State», Nordic Journal of International Law, n. 2, 2013, pag. 283). È pacifico che Saint-Vincent-et-les-Grenadines, all’origine della causa della nave «Saiga», della quale è stato investito il Tribunale internazionale per il diritto del mare, fa parte degli Stati che concedono bandiere di comodo. V., ad esempio, Mandaraka-Sheppard A., Modern Maritime Law and Risk Management, 2a ed., Routledge-Cavendish, Londra New-York, 2007, pag. 279.

( 66 ) Il primo rinvio ufficiale all’espressione «bandiera ombra» [espressione equivalente a quella di «bandiera di comodo», N.d.T.] si trova nel preambolo della convenzione n. 147 dell’OIL concernente le norme minime da osservare sulle navi mercantili, adottata il 29 ottobre 1976 ed entrata in vigore il 28 novembre 1981, senza che esso ne fornisca tuttavia una definizione. V., segnatamente, sulla definizione e sulle caratteristiche delle bandiere di comodo, Unterm, http://unterm.un.org/DGAACS/unterm.nsf; Mandaraka-Sheppard, op.cit., pagg. 278 e 279; Masutti A., «Genuine link e bandiere ombra», in Antonini A., Trattato breve di diritto marittimo, vol. I., Giuffrè Milano, 2007, pagg. 430-431, nonché Slim H., «Les pavillons de complaisance», in Le Pavillon, Actes du colloque tenu les 2 et 3 mars 2007 à l’Institut océanographique de Paris, Pedone, Parigi, 2007, pag. 93.

( 67 ) Stando allo studio di Slim (op. cit., pag. 89), negli anni 2000, Panama divideva con la Liberia la quota più elevata di bandiere di comodo sul numero totale di navi nel mondo. Inoltre, secondo la relazione del senatore francese Marini, nel 1998, quasi il 30% dei marinai navigava sotto bandiere di comodo, la quota più significativa delle quali era costituita dalla bandiera di Panama, con 104000 marinai: v. Rapport sur les actions menées en faveur de la politique maritime et littorale de la France, n. 345, Parigi, 1998, pag. 29. Nel periodo dal 2001 al 2003, Panama figurava anche sulla lista nera delle bandiere battute da navi «fuori norma», istituita dal protocollo di intesa di Parigi (MOU di Parigi) sul controllo delle navi dello Stato di approdo (v. Paris MoU, 2003 Annual Report on Port State Control, Paris, p. 25), un accordo adottato nel 1982 e la cui struttura organizzativa raggruppa attualmente, all’interno del suo comitato, ventisette amministrazioni marittime nazionali e la Commissione.. L’esperienza acquisita all’interno del protocollo d’intesa di Parigi in materia di ispezione delle navi resta un punto di riferimento per quelle effettuate sulle navi che fanno scalo nell’Unione: v., in primo luogo, i riferimenti fatti al protocollo e ai criteri e alle procedure di ispezione elaborate sotto la sua egida dalla direttiva 95/21/CE del Consiglio del 19 giugno 1995, relativa all’attuazione di norme internazionali per la sicurezza delle navi, la prevenzione dell’inquinamento e le condizioni di vita e di lavoro a bordo, per le navi che approdano nei porti comunitari e che navigano nelle acque sotto la giurisdizione degli Stati membri (controllo dello Stato di approdo) (GU L 157, pag. 1) e, da ultimo, quelli fatti dalla direttiva 2009/16/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 aprile 2009, relativa al controllo da parte dello Stato di approdo (GU L 131, pag. 57), come modificata dalla direttiva 2013/38/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 agosto 2013 (GU L 218, pag. 1).

( 68 ) Ai sensi del preambolo, le Alti parti contraenti riconoscono «che l’eliminazione degli ostacoli esistenti impone un’azione concertata intesa a garantire (…) la lealtà nella concorrenza».

( 69 ) V. sentenza del 12 ottobre 2004, Wolff & Müller (C-60/03, Racc. pag. I-9553, punto 41).

( 70 ) Numerosi Stati del SEE non hanno istituito, per l’esattezza, un salario minimo applicabile nel loro territorio, cosicché il livello dei salari è generalmente fissato tramite contratti collettivi. Inoltre, si deve osservare che numerosi Stati del SEE, per contrastare il ricorso degli armatori europei alle bandiere di comodo, hanno introdotto registri detti internazionali, quali, nel caso della Norvegia, il Norwegian International Ship Register (NIS), il quale consente di assumere membri dell’equipaggio fra i cittadini di Stati terzi, ma che garantisce, tramite la conclusione di contratti collettivi approvati dall’ITF, il rispetto delle condizioni salariali reputate adeguate (v. Masutti, op. cit., pag. 444). In Francia, la legge n. 2005-412 del 3 maggio 2005 che istituisce un registro internazionale francese (JORF, del 4 maggio 2005, pag. 7697), la quale è stata dichiarata compatibile con la Costituzione francese con decisione n. 2005-514 DC del Conseil constitutionnel [Consiglio costituzionale] del 28 aprile 2005, prevede che i naviganti residenti al di fuori della Francia impiegati a bordo delle navi iscritte nel registro internazionale francese beneficiano delle norme di ordine pubblico sociale, nel rispetto dell’articolo 6 della convenzione di Roma e degli impegni internazionali e comunitari della Francia, ed introduce garanzie minime in materia di retribuzione e assistenziale. I registri internazionali tedesco e danese hanno rispettivamente formato l’oggetto, dal punto di vista del diritto degli aiuti di Stato, delle cause che hanno dato luogo alle sentenze del 17 marzo 1993, Sloman Neptun (C-72/91 e C-73/91, Racc. pag. I-887); del 9 luglio 2009, 3F/Commissione (C-319/07 P, Racc. pag. I-5963), e del 24 gennaio 2013, Falles Fagligt Forbund (3F)/Commissione (C‑646/11 P,). L’elemento comune a questi registri internazionali, i quali assicurano alle imprese di trasporto marittimo vantaggi fiscali e sociali, risiede nel fatto che, a differenza delle bandiere di comodo, gli Stati conservano il controllo delle navi immatricolate nel loro territorio: v. Masutti, op. cit., pag. 444.

( 71 ) V., in tal senso, segnatamente, sentenze Emsland-Stärke, punto 54, e Agip Petroli, cit., punto 24 e la giurisprudenza citata.

( 72 ) I due elementi costitutivi di una pratica abusiva sono infatti cumulativi: v. segnatamente, sentenza Emsland-Stärke, cit., punto 55.

( 73 ) V., per analogia, sentenza Agip Petroli, cit., punto 23 e la giurisprudenza citata.

( 74 ) Si osservi che, a seguito di un quesito scritto della Corte e in udienza, la Fonnship ha affermato che la Sava Star sarebbe stata immatricolata a Panama per ragioni legate a talune restrizioni in materia di cabotaggio marittimo in Norvegia, senza che siano state fornite e suffragate spiegazioni più precise e più comprensibili. Orbene, occorre ricordare che, in virtù del regolamento n. 3577/92), integrato nell’accordo SEE (v. decisione n. 70/97 del comitato misto SEE del 4 ottobre 1997, che modifica l’allegato XIII (trasporti) dell’accordo SEE (GU 1998, L 30, pag. 42), la libera prestazione dei servizi in materia di cabotaggio marittimo si applica unicamente agli armatori degli Stati del SEE che impiegano navi che sono registrate in uno Stato del SEE e che battono bandiera di suddetto Stato. È pertanto difficile capire l’asserzione secondo la quale l’immatricolazione della Sava Star a Panama avrebbe potuto facilitare il cabotaggio marittimo in Norvegia.

( 75 ) V. per analogia, in relazione alla considerazione di vincoli di natura giuridica, economica e/o personale tra le persone coinvolte in un’operazione al fine di accertare il carattere artificioso del beneficio delle condizioni di applicazione della normativa dell’Unione, sentenze citate Emsland‑Stärke, punto 58 e Slancheva sila,, punto 40).

( 76 ) Aggiungo, a ogni buon fine, che tale situazione non rientrerebbe nell’ambito di applicazione dell’articolo 1, paragrafo 2, del regolamento n. 4055/86, in quanto, in ogni caso, la nave non soddisferebbe la condizione di immatricolazione nello Stato del SEE del quale è cittadino il proprietario della nave.

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