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Documento 62012CC0159

    Conclusioni dell’avvocato generale N. Wahl, presentate il 5 settembre 2013.
    Alessandra Venturini contro ASL Varese e altri Maria Rosa Gramegna contro ASL Lodi e altri e Anna Muzzio contro ASL Pavia e altri.
    Domande di pronuncia pregiudiziale proposte dal Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia.
    Libertà di stabilimento – Articolo 49 TFUE – Sanità pubblica – Normativa nazionale che vieta alle parafarmacie la vendita di medicinali soggetti a prescrizione medica a carico del paziente.
    Cause riunite da C‑159/12 a C‑161/12.

    Raccolta della giurisprudenza - generale

    Identificatore ECLI: ECLI:EU:C:2013:529

    CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

    NILS WAHL

    presentate il 5 settembre 2013 ( 1 )

    Cause riunite C‑159/12, C‑160/12 e C‑161/12

    Alessandra Venturini

    contro

    A.S.L. Varese e altri

    Maria Rosa Gramegna

    contro

    A.S.L. Lodi e altri

    Anna Muzzio

    contro

    A.S.L. Pavia e altri

    [domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale Amministrativo Regionale della Lombardia, (Italia)]

    «Libertà di stabilimento — Ricevibilità — Elementi di fatto del procedimento principale circoscritti all’interno di un solo Stato membro — Sanità pubblica — Normativa nazionale che limita la vendita di medicinali soggetti a prescrizione medica i cui costi sono interamente a carico del cliente — Parafarmacie»

    1. 

    La sig. ra Venturini, la sig.ra Gramegna e la sig.ra Muzzio — ricorrenti nei procedimenti principali (in prosieguo: le «ricorrenti») — sono farmaciste abilitate iscritte all’Ordine dei Farmacisti di Milano nonché titolari di esercizi di vendita al pubblico noti come «parafarmacie».

    2. 

    In sostanza, le ricorrenti sostengono dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale della Lombardia (in prosieguo: il «TAR della Lombardia») che, vietando loro di vendere medicinali soggetti a ricetta medica, che tuttavia non sono posti a carico del sistema sanitario nazionale, bensì del cliente, la normativa nazionale (in prosieguo: la «normativa controversa») comporta un’inammissibile restrizione della libertà di stabilimento ai sensi dell’articolo 49 TFUE.

    3. 

    Le ricorrenti sono tutte cittadine italiane, che sono già stabilite in Italia ed i loro ricorsi sono diretti contro la normativa italiana. Nessuna di loro sembra aver esercitato alcuna delle libertà garantite dal Trattato in relazione alla situazione di cui si discute nei procedimenti principali.

    4. 

    Dal punto di vista dei fatti, quindi, la situazione delle ricorrenti sembra esaurirsi all’interno di un unico Stato membro. Non sono invero riscontrabili elementi transfrontalieri nei procedimenti pendenti dinanzi al giudice del rinvio.

    5. 

    In tali circostanze, ci si chiede se la Corte di giustizia sia competente a rispondere alla questione pregiudiziale che le viene rivolta dal TAR della Lombardia vertente sull’interpretazione dell’articolo 49 TFUE.

    6. 

    Questa è a mio parere la questione fondamentale sollevata nel presente procedimento e, di conseguenza, costituisce il primo punto che analizzerò nelle presenti conclusioni. Nella seconda parte di queste conclusioni, dopo aver proposto a titolo di conclusione intermedia di considerare la questione pregiudiziale ricevibile, illustrerò le ragioni per cui non condivido l’argomento delle ricorrenti circa un’asserita incompatibilità della normativa controversa con l’articolo 49 TFUE.

    I – Contesto normativo

    7.

    In Italia, la legge n. 468/1913 definiva la prestazione di servizi farmaceutici come un’«attività primaria dello Stato», che poteva essere esercitata solo attraverso le farmacie comunali oppure a mezzo di concessione governativa ai privati farmacisti. Veniva messo a punto un apposito strumento amministrativo allo scopo di controllare l’offerta: la «pianta organica», una sorta di griglia territoriale, mirante a garantire un’equa distribuzione di medicinali su tutto il territorio nazionale. È importante precisare che il successivo Regio decreto n. 1265/1934 ha limitato la vendita di medicinali esclusivamente alle farmacie (articolo 122).

    8.

    La successiva legge n. 537/1993 ha proceduto alla riclassificazione delle specialità medicinali in base alle seguenti classi: A) farmaci essenziali e farmaci per malattie croniche; B) farmaci, diversi da quelli di cui alla lettera A), di rilevante interesse terapeutico; e C), farmaci diversi da quelli rientranti nelle classi A) e B). Ai sensi dell’articolo 8, comma 14, della legge n. 537/1993 i farmaci collocati nelle classi A) e B) sono a totale carico del Servizio sanitario nazionale (in prosieguo: il «SSN»); mentre, i farmaci collocati nella classe C) sono a totale carico del cliente.

    9.

    Successivamente, l’articolo 85, primo comma, della legge n. 388/2000 ha abolito la «classe B)» mentre l’articolo 1 della legge n. 311/2004 ha istituito una nuova categoria di medicinali, la classe C bis), che comprende i medicinali non soggetti a ricetta medica e che, a differenza dei prodotti rientranti nelle altre categorie, hanno accesso alla pubblicità al pubblico (comunemente detti «farmaci da banco»). Come nel caso dei medicinali appartenenti alla classe C) il costo dei prodotti inclusi nella classe C bis) è interamente a carico del cliente.

    10.

    Il decreto legge n. 223/2006, successivamente convertito nella legge n. 248/2006 (il «decreto Bersani») ha autorizzato l’apertura di nuovi esercizi commerciali diversi dalle farmacie. Essi sono comunemente denominati «parafarmacie» e sono autorizzati alla vendita di farmaci da banco («classe C bis)». Più recentemente, il decreto legge n. 201/2011, ora convertito nella legge n. 214/2011, ha ulteriormente ampliato le categorie di medicinali che possono essere venduti nelle parafarmacie, sicché queste ultime possono attualmente offrire al pubblico alcuni medicinali appartenenti alla classe C) per i quali non è richiesta la prescrizione medica.

    II – Fatti, procedimento e questione pregiudiziale

    11.

    Il 30 giugno 2012 ognuna delle ricorrenti presentava domanda presso la competente Azienda sanitaria locale (ASL) nonché presso le amministrazioni comunali competenti, il Ministero della Salute e l’Agenzia italiana del Farmaco, chiedendo l’autorizzazione a vendere al pubblico medicinali soggetti a ricetta medica ma a totale carico dell’acquirente, nonché tutte le specialità medicinali per uso veterinario soggette a ricetta medica, anch’esse totalmente a carico del cliente.

    12.

    Le ASL competenti respingevano tutte le dette domande, rispettivamente, il 15 ed il 17 agosto 2011, adducendo il motivo che, ai sensi della normativa nazionale vigente, i medicinali in questione potevano essere venduti esclusivamente all’interno delle farmacie. Analoghe decisioni di rigetto venivano emesse dal Ministero della Salute, rispettivamente, il 16 ed il 18 agosto 2011. Mi riferirò cumulativamente a tutte le suddette decisioni come alle «decisioni controverse».

    13.

    Le ricorrenti impugnavano le decisioni controverse dinanzi al TAR della Lombardia, sostenendo che la normativa italiana sulla quale erano state fondate era incompatibile con il diritto dell’Unione.

    14.

    Nell’ambito di tali procedimenti, il giudice italiano, nutrendo dubbi circa la compatibilità della normativa in questione con il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (in prosieguo: il «Trattato»), ha deciso di sospendere i procedimenti e di sottoporre alla Corte di giustizia la seguente questione pregiudiziale:

    «Se i principi di libertà di stabilimento, di non discriminazione e di tutela della concorrenza di cui agli articoli 49 e ss. TFUE ostano ad una normativa nazionale che non consente al farmacista, abilitato ed iscritto al relativo ordine professionale ma non titolare di esercizio commerciale ricompreso nella pianta organica [griglia territoriale], di poter distribuire al dettaglio, nella parafarmacia di cui è titolare, anche quei farmaci soggetti a prescrizione medica su “ricetta bianca”, cioè non posti a carico del SSN ed a totale carico del cittadino, stabilendo anche in questo settore un divieto di vendita di determinate categorie di prodotti farmaceutici ed un contingentamento numerico degli esercizi commerciali insediabili sul territorio nazionale».

    15.

    Hanno presentato osservazioni scritte nel presente procedimento la sig. ra Venturini, la Federfarma, i governi italiano, spagnolo e portoghese, nonché la Commissione. All’udienza del 15 maggio 2013 hanno svolto difese orali la sig.ra Venturini, la Federfarma, il governo spagnolo e la Commissione. Purtroppo, il governo italiano non ha partecipato all’udienza, nonostante la complessità della normativa nazionale in questione e malgrado il fatto che le sue osservazioni scritte siano particolarmente succinte.

    III – Analisi

    A – Ricevibilità

    16.

    Sia nelle osservazioni scritte che all’udienza, la Federfarma ha messo in dubbio la ricevibilità della presente questione pregiudiziale. Tale organismo ha sostenuto essenzialmente che, in mancanza di un qualsiasi elemento transfrontaliero, la questione sottoposta dal TAR della Lombardia non presenta alcun nesso con il diritto dell’Unione e risulta quindi ipotetica. In particolare, la Federfarma ha invocato le conclusioni cui è prevenuta la Corte nella sentenza Sbarigia ( 2 ).

    17.

    All’udienza, la sig.ra Venturini ha posto in evidenza che, sebbene la causa pendente dinanzi al giudice del rinvio non presenti effettivamente elementi transfrontalieri, la normativa in questione può potenzialmente ridurre in misura significativa le possibilità per gli operatori stabiliti in altri Stati membri di stabilirsi in Italia. La questione pregiudiziale dovrebbe quindi essere considerata ricevibile. Anche la Commissione ha confutato l’argomento della Federfarma, riferendosi principalmente alla sentenza Blanco Pérez ( 3 ), in cui le circostanze di fatto erano sostanzialmente identiche a quelle del procedimento ora pendente dinanzi al TAR della Lombardia e in cui la Corte di giustizia ha riconosciuto la propria competenza.

    18.

    Concordo con la Commissione e con le ricorrenti circa il fatto che, alla luce della costante giurisprudenza della Corte, l’eccezione sollevata dalla Federfarma dovrebbe essere respinta.

    19.

    Tuttavia, si deve ricordare altresì che la giurisprudenza della Corte circa la ricevibilità delle questioni poste dai giudici nazionali nell’ambito di cause i cui elementi di fatto siano circoscritti all’interno di un unico Stato membro è stata criticata da numerosi avvocati generali ( 4 ) e dalla dottrina ( 5 ).

    20.

    Ammetto che, in parte, le critiche sollevate nei confronti di tale giurisprudenza non sono infondate. Se la interpretiamo in maniera eccessivamente estensiva, tale particolare giurisprudenza potrebbe comportare che, potenzialmente, ogniqualvolta un operatore invochi le disposizioni del diritto dell’Unione sul mercato interno dinanzi ai giudici nazionali per contestare la validità della normativa nazionale, la Corte sia obbligata a pronunciarsi — anche nel caso in cui la normativa in questione sia stata adottata per conseguire scopi perfettamente legittimi ed il suo impatto sugli scambi intracomunitari possa essere soltanto marginale, trascurabile o puramente ipotetico.

    21.

    Siffatta interpretazione estensiva non è né utile né sostenibile. Di fatto, essa comporterebbe il rischio che la Corte interpreti le disposizioni dell’Unione europea anche qualora non esista una reale minaccia all’applicazione uniforme del diritto dell’Unione ( 6 ), pronunciando una sentenza che potrebbe essere totalmente avulsa dal contesto fattuale e giuridico del procedimento pendente dinanzi al giudice del rinvio ( 7 ), con l’effetto di estendere la portata del diritto dell’Unione oltre i limiti stabiliti dal Trattato ( 8 ).

    22.

    Inoltre, l’estensione della competenza della Corte per effetto dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, insieme al significativo aumento delle adesioni all’Unione europea nell’ultimo decennio, culminato nella recente adesione della Croazia, potrebbe avere un impatto importante sulla capacità della Corte di trattare le cause con la dovuta celerità, pur mantenendo inalterata la qualità delle decisioni ( 9 ). Le statistiche sulla giurisprudenza della Corte degli ultimi anni mostrano infatti un aumento netto e costante del numero delle domande di pronuncia pregiudiziale ( 10 ).

    23.

    Sono pertanto del parere che una riflessione più approfondita, da parte di questa Corte, relativamente alle questioni riguardanti la ricevibilità delle domande di pronuncia pregiudiziale, risulterebbe al momento tempestiva e opportuna. A tal fine, prima di spiegare più in dettaglio perché considero ricevibile la questione pregiudiziale sottoposta nel presente procedimento dal TAR della Lombardia, offrirò qualche spunto di carattere generale con l’intenzione di contribuire a detta riflessione.

    24.

    Anche se ritengo che non si debba smentire la giurisprudenza della Corte su questo punto, né limitarne radicalmente la portata, sono convinto della necessità di interpretare restrittivamente tale giurisprudenza al fine di evitare i rischi connessi ad un’espansione eccessiva della competenza della Corte.

    25.

    Tuttavia i miei suggerimenti non devono essere considerati pertinenti unicamente in relazione alla ricevibilità delle domande di pronuncia pregiudiziale vertenti su una normativa nazionale con effetti presumibilmente restrittivi sugli scambi intracomunitari. Al contrario. Esiste un problema più generale che va oltre le circa 100 cause presentate annualmente dinanzi alla Corte e che riguardano le libertà fondamentali — e si tratta di un problema che può benissimo incidere su tutte le domande di pronuncia pregiudiziale.

    1. La giurisprudenza della Corte

    26.

    Innanzi tutto, occorre tenere presente il fatto che, conformemente ad un principio consolidato del diritto materiale dell’Unione europea, le disposizioni del Trattato sulle libertà fondamentali «non sono applicabili ad attività che in tutti i loro elementi rilevanti si collocano all’interno di un solo Stato membro» ( 11 ).

    27.

    La condizione dell’elemento transfrontaliero affinché le disposizioni del Trattato sulle libertà fondamentali siano applicabili è coerente con lo scopo stesso di tali disposizioni. Per parafrasare l’avvocato generale Tesauro nella causa Hünermund, tale scopo «è (…) di liberalizza[re] [gli] scambi [nell’Unione] [e non di] promuovere il libero esercizio dell’attività commerciale nei singoli Stati membri» ( 12 ). Sulla stessa linea, nella causa CaixaBank France, l’avvocato generale Tizzano ha sottolineato che un’interpretazione delle disposizioni del Trattato sulle libertà fondamentali che estenda la portata delle stesse oltre i loro limiti «equivarrebbe a piegare il Trattato ad un fine che non gli è proprio: non già cioè di instaurare un mercato interno in cui vigano condizioni simili a quelle di un unico mercato e nel quale gli operatori possano liberamente circolare, ma di instaurare un mercato senza regole. O meglio: un mercato in cui le regole sono in linea di principio vietate, salvo che siano necessarie e proporzionate al soddisfacimento di esigenze imperative di interesse generale» ( 13 ).

    28.

    Perciò, qualora la situazione di fatto all’origine del procedimento pendente dinanzi al giudice del rinvio non presenti alcun nesso con l’esercizio di una libertà fondamentale, un esame della compatibilità della normativa nazionale applicabile con le disposizioni del diritto dell’Unione invocate non è necessario, in linea di principio, affinché il giudice nazionale possa emettere la propria sentenza. Nei limiti in cui le disposizioni del Trattato non si applicano alla causa dinanzi al giudice nazionale, una risposta alle questioni sollevate sarebbe ininfluente per la soluzione della controversia e, di conseguenza, tali questioni dovrebbero essere considerate ipotetiche.

    29.

    Tuttavia, detto principio del diritto sostanziale deve essere conciliato con alcuni principi generali di natura procedurale. Non credo di dover ricordare che un approccio abbastanza «generoso» della Corte in merito alla ricevibilità delle questioni pregiudiziali trova chiaramente le sue radici proprio nel testo dell’articolo 267 TFUE, che, infatti, richiede solamente che una questione relativa all’interpretazione delle disposizioni dell’Unione sia «sollevata dinanzi ad un organo giurisdizionale di uno degli Stati membri». Spetta quindi, in linea di principio, a detto giudice o organo giurisdizionale decidere se «reputi necessaria per emanare la sua sentenza una decisione su questo punto».

    30.

    L’ampia portata della giurisdizione della Corte ai sensi dell’articolo 267 TFUE è altresì coerente con lo spirito di collaborazione tra la Corte di giustizia e i giudici nazionali, che deve «presiedere allo svolgimento del procedimento pregiudiziale» ( 14 ).

    31.

    Infatti, secondo una costante giurisprudenza della Corte, spetta esclusivamente al giudice nazionale, cui è stata sottoposta la controversia, e che deve assumersi la responsabilità dell’emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolari circostanze della causa, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale per essere in grado di emettere la propria sentenza, sia la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte. Di conseguenza, se le questioni sollevate riguardano l’interpretazione del diritto dell’Unione, la Corte, in via di principio, è tenuta a pronunciarsi ( 15 ). Il rifiuto di pronunciarsi su una questione pregiudiziale sollevata da un giudice nazionale è possibile solo qualora risulti manifestamente che l’interpretazione del diritto dell’Unione richiesta non ha alcuna relazione con l’effettività o con l’oggetto del procedimento principale oppure qualora il problema sia di natura ipotetica o la Corte non disponga degli elementi di fatto o di diritto necessari per fornire una soluzione utile alle questioni che le vengono sottoposte ( 16 ).

    32.

    L’esigenza di conciliare i summenzionati principi di diritto sostanziale con i principi procedurali appena ricordati ha indotto la Corte, in molti casi, a considerare ricevibili le questioni che le erano state sottoposte, nonostante che tutti gli elementi di fatto del procedimento principale fossero circoscritti in un unico Stato membro. Sebbene tali decisioni della Corte non possano essere classificate in categorie ben definite, possiamo comunque, secondo me, identificare tre principali filoni giurisprudenziali.

    33.

    Nel primo filone, presumibilmente avviato con la sentenza Oosthoek ( 17 ), e recentemente confermato dalla sentenza Blanco Pérez (in prosieguo: la «giurisprudenza Oosthoek»), la Corte ha posto in rilievo che, sebbene i fatti di causa fossero limitati al territorio di un unico Stato membro, non si potevano escludere determinati effetti transfrontalieri della normativa nazionale contestata ( 18 ). Le questioni sottoposte erano pertanto ricevibili.

    34.

    Il ragionamento della Corte mi sembra corretto, sempreché non venga interpretato nel senso che introduce la presunzione — o la quasi-presunzione — che la Corte debba statuire in ogni singolo caso, qualora gli effetti sugli scambi all’interno dell’Unione non possano essere esclusi a priori.

    35.

    Non vi è in realtà alcun motivo per limitare la competenza della Corte, nel contesto dei rinvii pregiudiziali, ai casi che presentino un elemento transfrontaliero reale e diretto. Nella misura in cui sussistano motivi sufficienti per ritenere che una normativa nazionale sia idonea a produrre effetti transfrontalieri rilevanti, per esempio, ai sensi degli articoli 34, 35, 45, 49, 56 oppure 63 TFUE, tale normativa rientrerà perfettamente nell’ambito di applicazione di dette disposizioni.

    36.

    Ritengo inoltre che non sarebbe ragionevole muovere dalla premessa che, per poter essere ammesse all’esame della Corte, tutte le potenziali violazioni delle libertà fondamentali debbano necessariamente essere invocate nell’ambito di procedimenti avviati da un attore che abbia già esercitato (o che stia cercando di esercitare) una di dette libertà. Siffatta interpretazione restrittiva dei principi che regolano la ricevibilità delle questioni pregiudiziali impedirebbe alla Corte di statuire su normative nazionali che possono pregiudicare seriamente l’accesso ai mercati nazionali e che, proprio per tale ragione, hanno dissuaso gli operatori stranieri dal tentativo di accedere a detti mercati. Spesso è più facile per i cittadini dello Stato membro interessato contestare la normativa nazionale che risulti incompatibile con le disposizioni sul mercato interno — poiché l’investimento richiesto da parte loro è minore, essi non devono fronteggiare barriere linguistiche e conoscono meglio degli altri il sistema giuridico nazionale e la prassi amministrativa locale. Si potrebbe sostenere, per esempio, che, nella causa pendente dinanzi al TAR della Lombardia, sia puramente casuale il fatto che tutti gli elementi siano limitati ad un unico Stato membro. I ricorrenti avrebbero potuto benissimo essere cittadini di un altro Stato membro.

    37.

    Concordo pertanto con l’avvocato generale Geelhoed il quale, nell’ambito della causa Reisch, ha sostenuto che «sono la natura e il contenuto della misura nazionale e non i fatti all’origine del procedimento principale, a determinare se la Corte risolverà le questioni pregiudiziali sottopostele» ( 19 ).

    38.

    Evidentemente, quando il procedimento principale contiene un effettivo elemento transfrontaliero, la rilevanza, per il giudice a quo, di ottenere dalla Corte un’interpretazione del Trattato è palese. Quando, invece, gli elementi di fatto sono interamente circoscritti in un solo Stato membro, gli effetti transfrontalieri non possono essere presunti. Pertanto, a meno che tale aspetto non emerga chiaramente dal fascicolo di causa, è compito del giudice del rinvio spiegare alla Corte perché l’applicazione della misura in esame sia potenzialmente capace di ostacolare l’esercizio di una libertà fondamentale da parte di operatori economici stranieri. In mancanza di qualsiasi spiegazione dettagliata su tale punto, a mio avviso, la Corte ha il diritto di decidere che si tratta di un caso ipotetico, ovvero che essa non dispone di informazioni sufficienti per poter fornire un’utile interpretazione delle disposizioni del Trattato.

    39.

    In un secondo filone giurisprudenziale, avviato con la sentenza Guimont ( 20 ), e recentemente confermato con la sentenza Blanco Pérez (in prosieguo: la «giurisprudenza Guimont»), la Corte ha considerato ricevibili le questioni che le erano state sottoposte, nonostante il fatto che gli elementi del procedimento principale fossero tutti circoscritti all’interno di uno Stato membro, in quanto l’interpretazione del diritto dell’Unione richiesta poteva risultare utile al giudice del rinvio «nell’ipotesi in cui il diritto nazionale gli imponga di far beneficiare un cittadino [di quello Stato membro] degli stessi diritti di cui godrebbe, in base al diritto dell’Unione, un cittadino di uno Stato membro diverso (…) nella medesima situazione» ( 21 ).

    40.

    Secondo me, siffatta linea giurisprudenziale, se correttamente interpretata, è valida. Tuttavia, oserei dire che si è spinta un po’ troppo oltre.

    41.

    Mi sembra corretta la ratio che sottende a tali decisioni: nella misura in cui esiste una norma o un principio nazionale che vieta la discriminazione alla rovescia e le disposizioni nazionali impugnate sono applicabili anche agli operatori stranieri, il giudice nazionale può aver bisogno dell’assistenza dei giudici dell’Unione per interpretare correttamente le pertinenti disposizioni dell’Unione. E ciò vale nonostante il fatto che — in senso stretto — dette disposizioni dell’Unione non sono direttamente applicabili al caso in esame, ma vi si applicano presumibilmente solo in maniera indiretta ( 22 ), attraverso un rinvio operato dal diritto nazionale. In tali circostanze, la competenza della Corte risulta quindi giustificata, poiché, in mancanza di una sua pronuncia, il giudice del rinvio non sarebbe effettivamente in grado di definire la controversia di cui è investito.

    42.

    Tuttavia, l’esistenza di tale norma sulla discriminazione alla rovescia e la sua applicabilità al procedimento principale non possono, a mio modo di vedere, essere date per scontate, come sembra invece aver fatto la Corte in alcune decisioni precedenti in merito a tale punto ( 23 ). Altrimenti, in sostanza, tutte le domande di pronuncia pregiudiziale vertenti sulla compatibilità di una normativa nazionale con le libertà fondamentali dovrebbero essere considerate ricevibili, a prescindere dal fatto che l’impatto di tale normativa sugli scambi all’interno dell’Unione costituisca una mera possibilità astratta e che il suo collegamento con le situazioni disciplinate dalle rilevanti disposizioni del diritto dell’Unione sia remoto.

    43.

    Inoltre, la Corte dovrebbe altresì assicurare che la normativa nazionale di cui trattasi si applichi anche a situazioni transfrontaliere e non solo a quelle disciplinate dal diritto nazionale ( 24 ). È superfluo rilevare che non vi può essere discriminazione alla rovescia ove la normativa nazionale contestata non sia, in nessun caso, applicabile a operatori o merci di altri Stati membri.

    44.

    Alla luce delle precedenti considerazioni, sono del parere che il giudice del rinvio debba espressamente indicare l’esistenza, nel suo ordinamento nazionale, di siffatta regola o principio che vieta la discriminazione alla rovescia. Il giudice del rinvio dovrebbe inoltre confermare che la norma nazionale controversa è applicabile a situazioni transfrontaliere, a meno che ciò non risulti manifestamente dal fascicolo di causa.

    45.

    Credo che, qualora l’ordinanza di rinvio non faccia menzione di tali aspetti o, a fortiori, ove emerga chiaramente che detta regola o principio che vieta la discriminazione alla rovescia non è presente nell’ordinamento nazionale ( 25 ), o ancora che la misura in questione si applica solamente a situazioni interne, la Corte dovrebbe dichiararsi incompetente a decidere, tranne nel caso in cui esistano ragioni imperative che le impediscano di farlo.

    46.

    Infine esiste un terzo filone giurisprudenziale, avviato con la sentenza Thomasdünger ( 26 ), e recentemente confermato dalla sentenza Allianz (in prosieguo: la «giurisprudenza Thomasdünger»), in cui la Corte ha dichiarato di essere competente a statuire in via pregiudiziale sulle questioni riguardanti il diritto dell’Unione in situazioni in cui i fatti all’origine dei procedimenti dinanzi ai giudici del rinvio non rientrano direttamente nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione, ma in cui tali disposizioni sono applicabili in virtù del diritto nazionale, che ha adottato, per le situazioni di carattere interno, un approccio identico a quello del diritto dell’Unione ( 27 ).

    47.

    Questo terzo filone giurisprudenziale rappresenta, secondo me, il corollario della giurisprudenza Guimont: in tali cause, l’applicazione delle pertinenti disposizioni UE nei procedimenti dinanzi ai giudici nazionali era indiretta e dipendeva da un rinvio (esplicito o implicito) a tali disposizioni da parte delle rilevanti norme nazionali.

    48.

    Come la Corte ha ripetutamente sottolineato, né la lettera dell’articolo 267 TFUE né la finalità delle procedure ivi stabilite indicano una volontà degli autori dei Trattati nel senso di escludere tali situazioni dalla giurisdizione della Corte. ( 28 ). Inoltre, la Corte ha ritenuto che esista un chiaro interesse di tutta l’Unione europea a che, per evitare future divergenze d’interpretazione, le disposizioni o le nozioni riprese dal diritto dell’Unione ricevano un’interpretazione uniforme, a prescindere dalle condizioni in cui verranno applicate ( 29 ).

    49.

    Pertanto, la Corte ha riconosciuto la propria competenza in casi, per esempio, in cui le regole nazionali di concorrenza ricalcavano apertamente gli articoli 101 e 102 TFUE ed un’interpretazione di tali disposizioni era stata richiesta al fine di applicare le corrispondenti norme nazionali in modo uniforme ( 30 ). Un analogo ragionamento è stato applicato in casi riguardanti norme tributarie che davano attuazione ad una disposizione contenuta in una direttiva UE estendendone la portata a situazioni analoghe di carattere puramente interno ( 31 ), e anche nel caso di norme tributarie che prendevano a modello il codice doganale comunitario, al fine di stabilire un’unica procedura per le situazioni analoghe ( 32 ).

    50.

    Considero accettabile anche tale filone giurisprudenziale, purché i principi che lo sottendono siano applicati nel rispetto di condizioni assai rigorose: pur non essendo necessario che il rinvio alle rilevanti disposizioni del diritto dell’Unione sia contenuto precisamente nel testo del diritto nazionale da applicare ( 33 ), tale rinvio deve comunque essere abbastanza esplicito ovvero, come ha ripetutamente dichiarato la Corte, deve essere «diretto ed incondizionato» ( 34 ). Ancora più importante è osservare che la Corte è competente a conoscere solamente di quei casi in cui sia chiaro che la sua interpretazione vincolerà il giudice nazionale; altrimenti la causa sarebbe ipotetica ( 35 ), e quindi comporterebbe un uso improprio della procedura di cui all’articolo 267 TFUE ( 36 ).

    51.

    Infine, poiché la Corte è competente a vagliare unicamente le disposizioni di diritto dell’Unione invocate e non le norme nazionali che vi fanno rinvio, il suo ruolo interpretativo deve rimanere circoscritto entro limiti particolarmente stretti. Per esempio, spetta al giudice del rinvio valutare i limiti che le norme di diritto interno possono apportare alle disposizioni UE invocate ( 37 ). Analogamente, in linea di principio spetterà al giudice del rinvio applicare l’interpretazione data dalla Corte alle circostanze della causa dinanzi ad esso pendente ( 38 ).

    52.

    È quindi compito del giudice nazionale che effettua un rinvio indicare chiaramente, nella propria ordinanza di rinvio, tutte le norme ed i principi del diritto nazionale che permettano a questa Corte di stabilire se sia necessario fornire una risposta al giudice nazionale e se tale risposta sia vincolante per quest’ultimo.

    53.

    Sarei incline a concludere che nei tre suddetti filoni giurisprudenziali la Corte ha correttamente riconosciuto la propria competenza a statuire, poiché, sebbene tutti gli elementi di fatto rilevanti fossero circoscritti all’interno di un unico Stato membro, gli elementi giuridici rilevanti non lo erano.

    54.

    Tuttavia, devo aggiungere che, come è stato dimostrato nei precedenti paragrafi, in alcuni casi la Corte sembra aver riconosciuto la propria competenza in base a mere presunzioni senza avere effettivamente verificato se le condizioni rilevanti fossero soddisfatte.

    55.

    Ritengo che tale approccio sia piuttosto problematico. La competenza della Corte a pronunciarsi relativamente a situazioni puramente interne ad uno Stato membro costituisce un’eccezione ad un principio generale e, di conseguenza, deve essere interpretata restrittivamente.

    56.

    Vorrei sottolineare che lo «spirito di collaborazione» che deve presiedere nell’ambito dei procedimenti di rinvio pregiudiziale si impone in entrambi i sensi ( 39 ): la Corte deve fare tutto il possibile per aiutare i giudici nazionali ad interpretare ed applicare correttamente il diritto dell’Unione ma, a loro volta, detti giudici devono sforzarsi di fornire alla Corte tutte le informazioni e le evidenze richieste per garantire che essa sia in grado di esercitare la propria funzione interpretativa conformemente all’obiettivo dell’articolo 267 TFUE ( 40 ). Ciò risulta particolarmente importante quando le informazioni e le prove che devono essere prodotte dal giudice nazionale sono necessarie affinché la Corte possa stabilire se è effettivamente competente.

    57.

    Più in generale, i problemi causati da un’inadeguata descrizione del contesto fattuale e giuridico delle questioni sottoposte non si limitano ovviamente ai casi riguardanti il mercato interno. Tali problemi possono infatti sorgere relativamente a qualsiasi rinvio pregiudiziale, a prescindere dal campo del diritto dell’Unione interessato.

    58.

    Mi sembra che l’omissione, da parte del giudice nazionale, di fornire tutte le informazioni e prove rilevanti in merito agli aspetti chiave di una controversia non risponda al requisito di cui all’articolo 94 del regolamento di procedura ( 41 ), e che, di conseguenza, debba portare la Corte — di norma — a dichiarare la propria incompetenza; se del caso, la Corte può anche statuire in tal senso con ordinanza motivata, conformemente all’articolo 53, paragrafo 2, del regolamento di procedura ( 42 ).

    59.

    È certamente vero che la Corte può decidere di provare a colmare le lacune di un’ordinanza di rinvio chiedendo chiarimenti al giudice del rinvio — conformemente all’articolo 101 del regolamento di procedura — oppure, quando possibile, estrapolando l’informazione necessaria dai documenti allegati all’ordinanza ( 43 ) ovvero dalle memorie delle parti ( 44 ).

    60.

    Tuttavia, tali «rimedi», secondo me, dovrebbero essere considerati piuttosto eccezionali ed applicabili solamente nei casi in cui le lacune di un’ordinanza siano di portata limitata e/o riguardino aspetti non essenziali per una comprensione completa e inequivocabile delle questioni fondamentali. A mio parere, l’ordinanza di rinvio dovrebbe essere un documento autosufficiente, e dovrebbe contenere tutte le informazioni rilevanti. Qualsiasi altro documento dovrebbe servire soltanto come fonte supplementare di informazioni ( 45 ), e oserei dire che tali fonti supplementari non possono sanare situazioni in cui in un’ordinanza di rinvio manchi della maggior parte delle informazioni di base.

    61.

    Nei limiti in cui un’ordinanza di rinvio risulti incompleta o poco chiara, il diritto di uno Stato membro (e, se del caso, delle altre parti interessate) ( 46 ), di presentare osservazioni nei procedimenti in cui possono avere un interesse, rischia di venire compromesso. Per esempio, malgrado il fatto che la normativa uno Stato membro sia redatta in termini analoghi o che questioni equivalenti possano sorgere nell’ordinamento nazionale, il governo di tale Stato membro potrebbe decidere di non intervenire per il semplice motivo che non si trovava nella condizione di valutare appieno la portata dell’oggetto del procedimento ( 47 ). Tale circostanza, non soltanto potrebbe rivelarsi pregiudizievole per dette parti, ma potrebbe inoltre impedire alla Corte di esercitare la sua funzione giurisdizionale, ossia di statuire ai sensi dell’articolo 267 TFUE, sulla base delle memorie prodotte con cognizione di causa dalle parti interessate ( 48 ).

    62.

    Inoltre, qualsiasi tentativo da parte della Corte di raccogliere le informazioni e le prove mancanti nell’ordinanza di rinvio implica necessariamente un uso più o meno intensivo delle risorse limitate della Corte. Di conseguenza, gli sforzi supplementari compiuti dalla Corte non soltanto interferiscono con il corretto e rapido trattamento di dette cause, ma inoltre, indirettamente, hanno un certo impatto sulla tempestiva risoluzione delle altre cause pendenti dinanzi alla Corte.

    63.

    Dopo aver esposto tali considerazioni di carattere generale, passo ora ad esaminare la ricevibilità della questione posta dal TAR della Lombardia.

    2. Ricevibilità della questione pregiudiziale

    64.

    È pacifico che tutti gli aspetti del procedimento principale sono circoscritti all’interno di un unico Stato membro.

    65.

    Dalle informazioni contenute nel fascicolo risulta che, mentre le giurisprudenze Guimont e Thomasdünger non rilevano per la causa in esame, la giurisprudenza Oosthoek è invece utile.

    66.

    Come ho accennato in precedenza, è anche in virtù dell’applicazione della giurisprudenza Oosthoek che la Corte ha considerato ricevibili le questioni pregiudiziali sottopostele dal giudice nazionale nella causa Blanco Pérez e vertenti sulla compatibilità delle disposizioni che limitavano l’apertura di nuove farmacie nelle Asturie, nonostante il fatto che la questione dell’incompatibilità fosse stata sollevata da due cittadini spagnoli che non avevano esercitato le libertà garantite dal Trattato. La Corte ha infatti osservato, tra l’altro, che «non si può (…) escludere che cittadini di Stati membri diversi dal Regno di Spagna siano stati o siano interessati ad aprire una farmacia nella Comunità autonoma delle Asturie» ( 49 ).

    67.

    Ritengo che ciò significhi che, sebbene tutti i fatti fossero circoscritti all’interno della Spagna, gli effetti potenzialmente restrittivi della normativa controversa in tale causa sulle situazioni transfrontaliere erano talmente evidenti che la Corte ha potuto immediatamente e senza alcuna difficoltà affermare la propria competenza ( 50 ).

    68.

    È pur vero che, come ha rilevato la Commissione, il contesto di fatto e di diritto in tale causa è piuttosto simile a quello che fa da sfondo alla causa attualmente pendente dinanzi al TAR della Lombardia. Sono quindi dell’opinione che le considerazioni svolte dalla Corte nella causa Blanco Pérez siano, mutatis mutandis, ugualmente valide nel presente caso. Nell’ordinanza di rinvio, il TAR della Lombardia suggerisce che la normativa controversa può produrre effetti restrittivi che non si limitano all’Italia, in quanto può dissuadere i cittadini stabiliti in altri Stati membri dal costituire un’impresa in Italia.

    69.

    Al contrario della Federfarma, ritengo quindi che le circostanze della presente causa siano diverse da quelle alla base della sentenza Sbarigia. La controversia nella causa Sbarigia riguardava la possibilità di concedere un’esenzione in relazione all’orario di apertura di una particolare farmacia, situata in un’area specifica del Comune di Roma. Non era chiaro come la decisione emessa in tale causa avrebbe potuto produrre effetti, diretti o indiretti, reali o potenziali, su qualsiasi altro operatore stabilito in un altro Stato membro ( 51 ). Di conseguenza, la Corte ha correttamente ritenuto che la questione ivi proposta fosse irricevibile.

    70.

    Vorrei inoltre aggiungere che la sentenza Sbarigia è in linea con una giurisprudenza consolidata. Per esempio, una conclusione simile è stata raggiunta dalla Corte nella causa Woningstichting Sint Servatius ( 52 ), in cui la restrizione dei movimenti di capitale controversa riguardava unicamente un’impresa specifica, disciplinata dalle leggi di tale Stato membro e non era idonea a produrre effetti sul mercato interno ( 53 ). Analogamente, nella sentenza van Buynder, la Corte non ha statuito sulla questione se il diritto belga, che assoggettava ad una serie di condizioni l’esercizio della professione di veterinario (tra cui il possesso di un diploma legale di medicina veterinaria nonché l’iscrizione all’albo dell’ordine dei medici veterinari) fosse compatibile con l’articolo 49 TFUE, in quanto tale questione era stata sollevata nell’ambito di un procedimento penale a carico di un cittadino belga, accusato di aver svolto, in Belgio, attività veterinaria non autorizzata, senza essere in possesso dei requisiti stabiliti dalla menzionata legge.

    71.

    In tutti i suddetti casi, la Corte ha avuto ragione nel concludere che la legittimità delle misure contestate dai ricorrenti nei procedimenti principali non dipendeva da un’interpretazione delle disposizioni del Trattato sulla libertà di circolazione, in quanto non era possibile identificare con chiarezza un qualsivoglia effetto transfrontaliero. Nel caso di specie la situazione è tuttavia diversa. Per le ragioni esposte nel precedente paragrafo 68, la normativa controversa rientra nell’ambito dell’articolo 49 TFUE. Di conseguenza, esaminerò dettagliatamente le questioni sostanziali che sono state sollevate nella causa pendente dinanzi al TAR della Lombardia.

    B – Esame della questione pregiudiziale

    72.

    Con la sua domanda di pronuncia pregiudiziale, il TAR della Lombardia chiede alla Corte di chiarire se una normativa nazionale che riserva alle farmacie la vendita di prodotti farmaceutici soggetti a ricetta medica, ma che sono posti a carico non già del SSN bensì dell’acquirente, sia compatibile con le disposizioni del diritto dell’Unione sulla libertà di stabilimento.

    1. Esistenza di una restrizione

    73.

    Secondo una giurisprudenza costante, ogni provvedimento nazionale che, pure se applicabile senza discriminazioni in base alla cittadinanza, possa ostacolare o scoraggiare l’esercizio, da parte dei cittadini dell’Unione, della libertà di stabilimento garantita dal Trattato costituisce una restrizione ai sensi dell’articolo 49 TFUE ( 54 ).

    74.

    Mi sembra che, nella presente causa, come condizione preliminare di qualsiasi interpretazione si debba identificare il mercato sul quale presumibilmente la normativa in questione produrrebbe effetti restrittivi, ostacolando lo stabilimento degli operatori stranieri.

    75.

    Tale elemento non è manifesto. L’ordinanza di rinvio non esamina esplicitamente tale punto e la sig.ra Venturini si riferisce genericamente soltanto ad effetti restrittivi nei confronti delle attività professionali del farmacista.

    76.

    Al riguardo, osservo che le decisioni amministrative impugnate dalle ricorrenti nel procedimento principale concernono il rigetto non di domande di apertura di una farmacia, ma di domande unicamente dirette ad ottenere l’autorizzazione alla vendita di determinate specialità medicinali.

    77.

    Difatti, le ricorrenti non mettono in questione la compatibilità con il Trattato della normativa nazionale che limita il numero delle farmacie conformemente alla pianta organica o della normativa che riserva alle farmacie la vendita dei prodotti farmaceutici appartenenti alla classe A. L’unica disposizione che viene contestata è quella che vieta alle ricorrenti di vendere prodotti farmaceutici soggetti a ricetta medica, ma posti a carico dell’acquirente.

    78.

    Ciò mi porta a ritenere che gli effetti restrittivi potenzialmente prodotti dalla normativa italiana sulle libertà fondamentali che rilevano nella presente causa non sono quelli relativi all’apertura delle farmacie in Italia, ma piuttosto quelli relativi all’apertura di esercizi di vendita al pubblico come le parafarmacie.

    79.

    Una volta identificato il mercato interessato, mi sembra che, come prossimo passo, dovremmo esaminare se gli effetti restrittivi prodotti dalla normativa italiana in questione siano quelli rilevanti ai sensi dell’articolo 49 TFUE. In altri termini, è necessario verificare se la normativa controversa possa ostacolare l’inserimento di operatori stranieri nel mercato italiano delle parafarmacie.

    80.

    Nelle sue osservazioni la Federfarma sottolinea che le parafarmacie sono sostanzialmente ordinari esercizi commerciali in cui viene venduta una varietà di prodotti, e che il divieto di vendere determinati medicinali non produrrebbe l’effetto di scoraggiare l’apertura di nuove parafarmacie in Italia da parte degli operatori stranieri.

    81.

    Tuttavia, a mio parere, se le parafarmacie fossero effettivamente negozi la cui principale attività economica è completamente avulsa dalla vendita di medicinali (come i supermercati, le stazioni di servizio e così via), non esiterei a condividere l’opinione della Federfarma e a concludere nel senso che qualsiasi effetto restrittivo presumibilmente prodotto dalla normativa controversa dovrebbe essere considerato «troppo aleatorio ed indiretto» ( 55 ), «meramente ipotetic[o]» ( 56 ), ovvero «troppo insignificante e aleatori[o]» ( 57 ) e quindi inidoneo ad ostacolare l’accesso al mercato.

    82.

    Tuttavia, osservo che le parafarmacie — pur non essendo completamente paragonabili alle farmacie — presentano una serie di caratteristiche in comune con queste ultime. Per esempio: i) sono soggette a numerosi controlli specifici di carattere sanitario e farmaceutico effettuati dalle autorità italiane competenti; ii) devono possedere attrezzature e locali adeguati per garantire una conservazione e una distribuzione ottimali delle specialità medicinali; iii) acquistano i prodotti farmaceutici tramite gli stessi canali di distribuzione delle farmacie; e iv), devono assicurare la tracciabilità dei medicinali venduti utilizzando un codice specifico che è attribuito dal Ministero della Sanità. Inoltre, tanto nelle farmacie quanto nelle parafarmacie la vendita di medicinali deve sempre avvenire in presenza di un farmacista abilitato. Per di più, è chiaro che l’attività principale delle parafarmacie implica la vendita di prodotti che riguardano il benessere e, più in generale, le cure mediche.

    83.

    All’udienza, rispondendo ad un quesito diretto, la sig.ra Venturini e la Federfarma hanno fornito dati piuttosto divergenti circa il quantitativo ed il valore dei prodotti farmaceutici per la cui vendita le ricorrenti hanno chiesto un’autorizzazione. Tuttavia, mi sembra che nessuno di tali dati ci permetta di considerare che detta attività rivesta un’importanza trascurabile

    84.

    In tali circostanze non vedo perché si dovrebbe dubitare dell’analisi effettuata dal giudice del rinvio, secondo il quale la normativa controversa effettivamente produce effetti restrittivi che potrebbero ostacolare lo stabilimento in Italia di operatori interessati alla vendita dei medicinali in questione.

    85.

    Alla luce delle suddette considerazioni, sono incline a ritenere che la normativa controversa costituisca una restrizione alla libertà di stabilimento ai sensi dell’articolo 49 TFUE. Ma in ogni caso tale aspetto non è rilevante al fine di rispondere al giudice nazionale, giacché, come mi accingo ad illustrare, la normativa in questione è giustificata da motivi imperativi di interesse generale.

    2. Giustificazione della restrizione in parola

    86.

    La Corte ha costantemente statuito che le restrizioni alla libertà di stabilimento, che siano applicabili senza discriminazioni basate sulla nazionalità, possono essere giustificate da motivi imperativi di interesse generale, a condizione che esse siano atte a garantire la realizzazione dell’obiettivo perseguito e non vadano oltre quanto necessario al raggiungimento di tale obiettivo ( 58 ).

    87.

    Poiché è pacifico che la normativa controversa si applica senza discriminazioni basate sulla nazionalità, il nostro esame deve essere piuttosto diretto, anzitutto, ad identificare gli obiettivi perseguiti da detta normativa e, in secondo luogo, a stabilire se detta restrizione sia conforme al principio di proporzionalità.

    88.

    Sul primo punto, osservo, in via preliminare, che la pertinente normativa italiana appare piuttosto voluminosa e complessa, e non permette all’interprete di identificare facilmente il vero obiettivo o i veri obiettivi perseguiti dal legislatore. Inoltre, le osservazioni scritte del governo italiano sono, purtroppo, particolarmente laconiche e contengono solo una serie di vaghe affermazioni circa gli obiettivi di tutelare la salute pubblica, evitando un consumo eccessivo di medicinali, e di salvaguardare l’erario evitando lo spreco delle limitate risorse finanziarie che possono essere messe a disposizione dei servizi sanitari.

    89.

    Se, da un lato, tali obiettivi possono certamente costituire giustificazioni accettabili ( 59 ), la loro rilevanza nella causa pendente dinanzi al giudice del rinvio sembra piuttosto dubbiosa. È sicuramente opportuno ricordare, ancora una volta, che la normativa controversa riguarda unicamente medicinali che sono venduti dietro presentazione di ricetta medica e sono a carico del cliente e non del SSN, e quindi sia la domanda sia l’offerta di tali medicinali sono fisse. Pertanto, non vedo come gli obiettivi legittimi invocati dal governo italiano possano effettivamente essere perseguiti dalla normativa in questione.

    90.

    Tuttavia, gli argomenti addotti dalle parti su tale punto non sono decisivi. È sicuramente più importante, secondo me, che la Corte sia in grado di identificare le finalità oggettive perseguite dal legislatore in base al testo stesso delle disposizioni nazionali, come interpretato ed applicato dai giudici nazionali ( 60 ).

    91.

    Nella presente causa, la Corte è aiutata in tale compito dalle informazioni contenute nell’ordinanza di rinvio, nonché da alcune pronunce della Corte costituzionale italiana cui le parti si sono abbondantemente riferite nelle loro argomentazioni scritte e orali.

    92.

    Nell’ordinanza di rinvio, il TAR della Lombardia afferma che la finalità perseguita dalla normativa italiana in questione è quella di tutelare la salute assicurando la distribuzione di medicinali su tutto il territorio nazionale, ed evitando che le farmacie si concentrino unicamente nelle zone considerate più attraenti dal punto di vista commerciale.

    93.

    Tali affermazioni sono confermate da una serie di decisioni della Corte costituzionale italiana, la quale ha costantemente ritenuto che la complessa regolamentazione pubblicistica dell’attività economica di rivendita dei farmaci è preordinata al fine di assicurare e controllare l’accesso dei cittadini ai prodotti medicinali ed in tal senso a garantire la tutela del fondamentale diritto alla salute ( 61 ). La Corte costituzionale italiana ha altresì affermato che la disciplina dei servizi farmaceutici è preordinata ad assicurare un’adeguata distribuzione dei medicinali ( 62 ). È altrettanto importante ricordare che, sempre secondo la Corte costituzionale, la finalità concreta perseguita dal legislatore è quella di assicurare un’adeguata distribuzione di servizi farmaceutici in termini di territorio e di orario, e al contempo di assicurare ai farmacisti un bacino di utenza, in modo tale da evitare la scomparsa degli esercizi minori, fatto che, a sua volta, avrebbe ripercussioni negative sull’esigenza di garantire un’equa distribuzione delle farmacie su tutto il territorio nazionale ( 63 ).

    94.

    Al riguardo, vorrei ribadire che, come la Corte ha ripetutamente dichiarato, in forza dell’articolo 52, paragrafo 1, TFUE, la tutela della sanità pubblica figura tra le ragioni imperative di interesse generale che possono giustificare restrizioni alla libertà di stabilimento ( 64 ). Più precisamente, restrizioni alla libertà di stabilimento possono essere giustificate dallo scopo di garantire un rifornimento di medicinali alla popolazione sicuro e di qualità ( 65 ).

    95.

    In tale contesto, nella sentenza Blanco Pérez, la Corte ha riconosciuto che lo scopo di assicurare che la distribuzione dei medicinali nel territorio nazionale risponda alle necessità della popolazione, mediante una rete di farmacie diffusa e adeguatamente equilibrata, che assicuri una presenza anche nelle zone economicamente meno vantaggiose, può costituire un motivo imperativo d’interesse generale ( 66 ).

    96.

    Non vedo la ragione per cui le conclusioni cui è pervenuta la Corte nella sentenza Blanco Pérez in merito a tale punto non debbano essere parimenti applicate alla causa in esame. È pur vero che il governo italiano non ha espressamente invocato tale argomento. Tuttavia, mi sembrerebbe inaccettabile che, in due casi sostanzialmente identici, la Corte pervenisse a conclusioni diverse semplicemente perché in un caso il legale ha addotto argomenti giuridici dettagliati e cogenti mentre nell’altro tale argomento era sostanzialmente assente. Sono pertanto convinto che lo scopo perseguito dalla normativa controversa possa costituire una valida giustificazione per una restrizione alla libertà di stabilimento ai sensi dell’articolo 49 TFUE.

    97.

    La seconda e ultima questione giuridica che dobbiamo esaminare è, pertanto, se la restrizione apportata dalla normativa controversa sia conforme al principio di proporzionalità. In effetti, come ho accennato in precedenza, contrariamente a quanto accadeva nella causa Blanco Pérez, le ricorrenti non chiedono di aprire nuove farmacie ma soltanto un’autorizzazione alla vendita, all’interno delle loro parafarmacie, di determinati medicinali che la legge riserva alle farmacie.

    98.

    Tuttavia, la differenza tra le due cause non mi sembra sostanziale. È evidente che il regime speciale stabilito dal legislatore italiano per le farmacie correrebbe il rischio di venire compromesso, almeno parzialmente, qualora altri tipi di esercizi di vendita al pubblico fossero autorizzati ad offrire prodotti medicinali la cui vendita è attualmente riservata alle farmacie.

    99.

    Il sistema italiano affida alle farmacie la prestazione di un servizio pubblico e, a tal fine, le sottopone ad una serie di obblighi specifici nonché al rispetto di determinati limiti riguardo alle modalità di gestione delle loro attività. Le ricorrenti non negano che alcuni di tali obblighi e limiti non colpiscono altri tipi di esercizi di vendita al pubblico: in particolare, non gravano sulle parafarmacie.

    100.

    Tali obblighi e limiti implicano costi supplementari importanti per le farmacie. Non si può escludere che una riduzione sostanziale del monopolio sulla vendita di determinati medicinali esporrebbe alcune farmacie al rischio di perdere la propria redditività, poiché le priverebbe di introiti adeguati. Come accadeva nella causa Blanco Pérez con l’apertura di nuove farmacie, l’estensione della gamma di medicinali offerti dalle parafarmacie potrebbe sottrarre alle prime un quantitativo considerevole di risorse.

    101.

    La questione di decidere se — ed eventualmente in che misura ed a quali condizioni — le parafarmacie possano essere autorizzate a vendere altre categorie di medicinali senza pregiudicare il sistema di distribuzione territoriale delle farmacie istituito dal legislatore italiano, non spetta certamente alla Corte.

    102.

    In tale contesto si deve ricordare che la Corte ha costantemente statuito che i Trattati UE non restringono la competenza degli Stati membri ad impostare i loro sistemi di previdenza sociale e ad adottare, in particolare, norme miranti a organizzare ed erogare i servizi sanitari, come le farmacie ( 67 ). Tuttavia, nell’esercizio di tale competenza gli Stati membri devono rispettare il diritto dell’Unione, in particolare le disposizioni del Trattato relative alle libertà fondamentali, compresa la libertà di stabilimento. Dette disposizioni comportano il divieto per gli Stati membri di introdurre o mantenere ingiustificate restrizioni all’esercizio di queste libertà nell’ambito delle cure sanitarie ( 68 ).

    103.

    Nel contesto dell’interpretazione di tali principi, la Corte ha sottolineato che, nel valutare il rispetto di tale obbligo, è necessario tener conto del fatto che la salute e la vita delle persone occupano una posizione preminente tra i beni e gli interessi protetti dal Trattato e che spetta agli Stati membri stabilire il livello al quale intendono garantire la tutela della sanità pubblica e il modo in cui tale livello deve essere raggiunto. Poiché tale livello può variare da uno Stato membro all’altro, si deve riconoscere agli Stati membri un margine di discrezionalità ( 69 ).

    104.

    Infine, la Corte ha anche sottolineato che, qualora sussistano incertezze sull’esistenza o sulla portata di rischi per la salute delle persone, lo Stato membro può adottare misure di protezione senza dover attendere che la realtà di tali rischi sia pienamente dimostrata ( 70 ).

    105.

    Ciò significa che, in una situazione di incertezza, uno Stato membro può adottare misure idonee ad evitare o a minimizzare il rischio che talune parti del suo territorio siano servite da un numero insufficiente di farmacie e, di conseguenza, che non sia possibile garantire ovunque un approvvigionamento di medicinali adeguato e di qualità ( 71 ).

    106.

    La garanzia che tutti i medicinali soggetti a ricetta medica (a prescindere da chi si faccia carico dei relativi costi) siano dispensati soltanto dalle farmacie sembra proprio preordinata a scongiurare qualsiasi rischio di tal genere. Nell’ambito del presente procedimento non è emerso alcun elemento che possa suggerire l’esistenza di un’altra misura, in alternativa a quella prevista dalla normativa controversa, che offra allo Stato lo stesso livello di sicurezza, quanto al conseguimento degli obiettivi perseguiti, ma con minori restrizioni per gli operatori economici.

    107.

    Sono quindi dell’opinione che la normativa controversa rispetti il principio di proporzionalità.

    IV – Conclusioni

    108.

    Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo di rispondere nel modo seguente alla questione pregiudiziale sollevata dal Tribunale amministrativo regionale della Lombardia (Italia):

    «L’articolo 49 TFUE deve essere interpretato nel senso che non osta ad una normativa nazionale, come quella in discussione nel procedimento principale, che riserva alle farmacie la vendita di medicinali soggetti a ricetta medica, ma posti a carico dell’acquirente».


    ( 1 ) Lingua originale: l’inglese.

    ( 2 ) Sentenza del 1o luglio 2010, Sbarigia (C-393/08, Racc. pag. I-6337).

    ( 3 ) Sentenza del 1o giugno 2010, Blanco Pérez e Chao Gomez (C-570/07 e C-571/07, Racc. pag. I-4629).

    ( 4 ) V., in particolare, le conclusioni dell’avvocato generale Darmon del 3 luglio 1990, nelle cause C‑297/88 e C‑197/89, Dzodzi, (Racc.pag. I‑3763); le conclusioni dell’avvocato generale Tesauro, del 31 gennaio 1995, nella causa C-346/93, Kleinwort Benson (Racc. pag. I-615); le conclusioni dell’avvocato generale Jacobs del 3 ottobre 1996, nella causa C-28/95, Leur-Bloem (Racc. pag. I-4161), e le conclusioni dell’avvocato generale Saggio del 9 maggio 2000, nella causa C-448/98, Guimont (Racc. pag. I-10663).

    ( 5 ) Hatzopoulos, V., «De l’arrêt “Foglia-Novello” à l’arrêt “TWD Textilwerke” — La jurisprudence de la Cour de justice relative à la recevabilité des renvois préjudiciels», in Revue du Marché Unique Européen (3) 1994, pagg. da 195 a 219, a pag. 217; Simon D, «Questions préjudicielles», in Journal de droit international 118(2) 1991, pagg. da 455 a 457, a pag. 457; e Fenger, N., «Article 177», in Smit, H. and Herzog, P. (a cura di), The Law of the European Community: a commentary to the EEC Treaty, Matthew Bender & Co., New York: 1997, pagg. da 5-443 a 5-470, in particolare a pag. 5-466.

    ( 6 ) Conclusioni dell’avvocato generale Jacobs nella causa Leur‑Bloem, cit. (paragrafo 47).

    ( 7 ) Conclusioni dell’avvocato generale Tizzano del 29 marzo 2001, nella causa Adam, C-267/99 (Racc. pag. I-7467, paragrafo 34).

    ( 8 ) Conclusioni dell’avvocato generale Darmon nella causa Dzodzi, cit. (paragrafi 10 e 11).

    ( 9 ) V., per esempio, l’analisi della House of Lords, European Union Committee, 16a relazione della sessione 2012-13, «Workload of the Court of Justice of the European Union: Follow-Up Report», 29 aprile 2013, pagg. 9 e 24.

    ( 10 ) Dalle relazioni annuali della Corte (v., per esempio, la relazione del 2004, a pag. 183, e quella dell’anno 2012, a pag. 90), risulta che sono state depositate 224 domande di pronuncia pregiudiziale nel 2000, 249 nel 2004, 385 nel 2010 e 404 nel 2012.

    ( 11 ) V., in particolare, le sentenze del 16 gennaio 1997, USSL n. 47 di Biella (C-134/95, Racc. pag. I-195, punto 19); del 9 settembre 1999, RI.SAN (C-108/98, Racc. pag. I-5219, punto 23); del 21 ottobre 1999, Jägerskiöld (C-97/98, Racc. pag. I-7319, punto 42), e del 22 dicembre 2010, Omalet (C-245/09, Racc. pag. I-13771, punto 12).

    ( 12 ) Conclusioni dell’avvocato generale Tesauro del 27 ottobre 1993, Hünermund e a. (C-292/92, Racc. pag. I-6787, paragrafi 1 e 28).

    ( 13 ) Conclusioni dell’avvocato generale Tizzano del 25 marzo 2004 nella causa CaixaBank France (C-442/02, Racc. pag. I-8961, paragrafo 63). Anche se le conclusioni dell’avvocato generale Tizzano — come nel caso delle conclusioni dell’avvocato generale Tesauro ricordate nella precedente nota — riguardavano la nozione di «restrizione» ai sensi delle disposizioni del Trattato sulle libertà fondamentali, ritengo che le riflessioni dei miei colleghi in proposito siano mutatis mutandis rilevanti anche in merito alla ricevibilità delle cause che riguardano la compatibilità di provvedimenti nazionali con dette disposizioni.

    ( 14 ) Sentenze del 22 ottobre 2009, Zurito Garcia e Choque Cabrera (C-261/08 e C-348/08, Racc. pag. I-10143, punto 36) e del 24 aprile 2012, Kamberaj (C‑571/10, punto 41).

    ( 15 ) V., tra le altre, le sentenze del 18 luglio 2007, Lucchini (C-119/05, Racc. pag. 6199, punto 43 e giurisprudenza ivi citata) e del 25 ottobre 2011, eDate Advertising e Martinez (C-509/09 e C-161/10, Racc. pag. I-10269, punto 32 e giurisprudenza ivi citata).

    ( 16 ) V., a titolo di esempio, sentenze cit. Lucchini (punto 44 e giurisprudenza ivi citata) e eDate Advertising and Martinez (punto 33 e giurisprudenza ivi citata).

    ( 17 ) Sentenza del 15 dicembre 1982, Oosthoek’s Uitgeversmaatschappij (286/81, Racc. pag. 4575).

    ( 18 ) V., inoltre, sentenze del 7 maggio 1997, Pistre e a. (da C-321/94 a C-324/94, Racc. pag. I-2343, punto 45) e del 14 luglio 1988, Smanor (298/87, Racc. pag. 4489, punti da 8 a 10).

    ( 19 ) Conclusioni dell’avvocato generale Geelhoed del 20 novembre 2001, nelle cause Reisch e a. (C‑515/99, da C‑519/99 a C‑524/99, e da C-526/99 a C-540/99, Racc. pag. I-2157, punto 88).

    ( 20 ) Sentenza del 5 dicembre 2000 (C-448/98, Racc. pag. I-10663).

    ( 21 ) Sentenza Blanco Pérez, cit. (punto 39); v., inoltre, sentenze del 30 marzo 2003, Servizi Ausiliari Dottori Commercialisti (C-451/03, Racc. pag. I-2941, punto 29), e del 5 dicembre 2006, Cipolla e a., Racc. pag. I‑11421, punto 30. V., infine, sentenza Guimont, cit. (punto 23).

    ( 22 ) V. il riferimento all’applicazione indiretta delle disposizioni dell’Unione nella causa Leur‑Bloem, cit. (punto 26), e nelle sentenze del 17 luglio 1997, Giloy (C-130/95, Racc. pag. I-4291, punto 22). V., inoltre, le conclusioni dell’avvocato generale Kokott dell’11 dicembre 2007, ETI e a. (C-280/06, Racc. pag. I-10893, punti 54 e 55).

    ( 23 ) V., tra le altre, le citate sentenze Reisch e a. (punto 26); Servizi Ausiliari Dottori Commercialisti (punto 29); e dell’11 settembre 2003, Anomar e a. (C-6/01, Racc. pag. I-8621, punto 41).

    ( 24 ) V. le conclusioni dell’avvocato generale Jacobs del 24 ottobre 1996, Pistre e a. (paragrafi 37 e 38) e le conclusioni dell’avvocato generale Cosmas, del 23 marzo 1995, Belgapom (Racc. pag. I‑2467, punto 14).

    ( 25 ) Sentenze del 21 giugno 2012, Susisalo e a. (C‑84/11, punto 21) e Omalet, cit. (punti 16 e 17).

    ( 26 ) Sentenza del 26 settembre 1985 (Racc. pag. 3001).

    ( 27 ) V. sentenze citate Dzodzi, (punti 36 e 37), Leur-Bloem (punto 25); v., inoltre, sentenze del 14 dicembre 2006, Confederación Española de Empresarios de Estaciones de Servicio (C-217/05, Racc. pag. I-11987, punto 19); del 14 marzo 2013, Allianz Hungária Biztosító e a. (C‑32/11, punti da 17 a 23), e del 17 dicembre 1998, IP (C-2/97, Racc. pag. I-8597, punto 59).

    ( 28 ) Sentenza ETI e a., cit. (punto 22 e giurisprudenza ivi citata).

    ( 29 ) Sentenza Allianz Hungária Biztosító e a., cit. (punti da 17 a 23). Nel dibattito dottrinale si è osservato che le decisioni della Corte in tali cause contribuiscono a creare uno «ius communae europeum»; v. Tridimas, T., «Knocking on heaven’s door: Fragmentation, efficiency and defiance in the preliminary reference procedure», in Common Market Law Review (40) 2003, pagg. da 9 a 50, in particolare a pag. 47.

    ( 30 ) Sentenze cit. ETI e a., (punti da 19 a 29) e Allianz Hungária Biztosító e a.

    ( 31 ) Sentenza Leur-Bloem, cit. (punto 25).

    ( 32 ) Sentenza dell’11 gennaio 2001, Kofisa Italia (C-1/99, Racc. pag. I-207, punti da 30 a 32).

    ( 33 ) Sentenza Allianz Hungária Biztosíto e a., cit. V., inoltre, le conclusioni dell’avvocato generale Kokott del 3 luglio 2007 nella causa ETI e a. (paragrafo 39).

    ( 34 ) Sentenze del 21 dicembre 2011, Cicala (C-482/10, Racc. pag. I-14139, punto 19 e giurisprudenza ivi citata) e 18 ottobre 2012, Nolan (C‑583/10, punto 47).

    ( 35 ) V. sentenze cit. Kleinwort Benson (punti da 16 a 25); Allianz Hungárian Biztozíto e a., (punti 22 e 23), ETI e a. (punti da 24 a 26); Leur‑Bloem (punto 31), Kofisa Italia (punti 30 e 31); Adam (punti da 30 a 32) e sentenza del 7 gennaio 2003, BIAO (C‑306/99, Racc. pag, I‑1, punto 92).

    ( 36 ) Al riguardo, v. il parere n. 1/91 del 14 dicembre 1991 (Racc. pag. I-6079, punto 61). V., inoltre, le conclusioni dell’avvocato generale Tesauro nella causa Kleinwort Benson (punto 27).

    ( 37 ) Sentenza del 25 giugno 1992, Federconsorzi (C-88/91, Racc. pag. I-4035, punto 10) e sentenza Dzodzi, cit., punti 41 e 42.

    ( 38 ) V., per esempio, sentenze cit. Allianz Hungária Biztosíto e a. (punto 29) e ETI e a. (punto 51).

    ( 39 ) Sentenza del 16 dicembre 1981, Foglia (244/80, Racc. pag. 3045, punto 20).

    ( 40 ) Fino dal 1974 la Corte ha dichiarato che il procedimento pregiudiziale «è essenziale per la salvaguardia dell’indole comunitaria del diritto istituito dal Trattato ed ha lo scopo di garantire in ogni caso a questo diritto la stessa efficacia nell’ambito degli ordinamenti degli Stati membri [dell’Unione europea]»; v. sentenza del 16 gennaio 1974, Rheinmühlen-Düsseldorf (166/73, Racc. pag. 33, punto 2).

    ( 41 ) Sentenza Foglia, cit. (punti 17 e 18).

    ( 42 ) Sentenza del 9 ottobre 1997, Grado e Bashir (C-291/96, Racc. pag. I-5531, punto 14); ordinanze del 23 marzo 1995, Saddik (C-458/93, Racc. pag. I-511, punti 18 e 19), e del 25 maggio 1998, Nour (C-361/97, Racc. pag. I-3101, punti 19 e 20).

    ( 43 ) Sentenze del 3 marzo 1994, Vaneetveld (C-316/93, Racc. pag. I-763, punto 14) e del 7 dicembre 1995, Gervais e a. (C-17/94, Racc. pag. I-4353, punto 21).

    ( 44 ) Sentenze del 17 maggio 1994, Corsica Ferries (C-18/93, Racc. pag. I-1783, punto 13) e Vaneetveld, cit. (punto 14).

    ( 45 ) V. Barnard, C. and Sharpston, E., «The changing face of Article 177 references», (34)1997 Common Market Law Review, pagg. da 1113 a 1171, in particolare pag. 1153.

    ( 46 ) Gli interessati potrebbero infatti non conoscere il contenuto dei documenti allegati all’ordinanza di rinvio, che normalmente non vengono tradotti in altre lingue. Inoltre, gli interessati non hanno accesso alle memorie delle parti nel procedimento principale, a meno che non abbiano già deciso di presentare osservazioni nel procedimento.

    ( 47 ) La Corte ha già avuto l’opportunità di rilevare che «le informazioni fornite nei provvedimenti di rinvio servono non solo a consentire alla Corte di fornire utili soluzioni, ma anche a dare ai governi degli Stati membri e agli altri interessati la possibilità di presentare osservazioni ai sensi dell’articolo 20 dello Statuto CE della Corte di giustizia» e che «[t]occa alla Corte vigilare affinché tale possibilità sia salvaguardata, tenuto conto del fatto che, a norma dell’[articolo 20 dello Statuto CE della Corte di giustizia], agli interessati vengono notificati solo i provvedimenti di rinvio». V., ex multis, l’ordinanza della Corte dell’8 ottobre 2002, Viacom (C-190/02, Racc. pag. I-8287, punto 14 e giurisprudenza ivi citata).

    ( 48 ) Barnard, C. e Sharpston, E., op.cit., pag. 1151.

    ( 49 ) Sentenza Blanco Pérez cit., (punto 40).

    ( 50 ) Sentenza Blanco Pérez, cit., (punti 54 e 55). Vorrei inoltre aggiungere che, in tale causa, i potenziali effetti transfrontalieri erano sorti anche in conseguenza del fatto che una delle disposizioni del diritto interno controverse in tale causa favoriva esplicitamente i farmacisti che avevano svolto le loro attività professionali nel territorio della Comunità autonoma delle Asturie, e che quindi discriminavano indirettamente gli operatori provenienti da altri Stati membri. V. i punti 117 e segg. della sentenza.

    ( 51 ) V., in particolare, la sentenza Sbarigia, cit., (punti da 25 a 29).

    ( 52 ) Sentenza del 1o ottobre 2009 (C-567/07, Racc. pag. I-9021, punti da 40 a 47).

    ( 53 ) Sentenza del 16 novembre 1995 (causa C-152/94, Racc. pag. I-3981).

    ( 54 ) V. sentenze del 14 ottobre 2004, Commissione/Paesi Bassi (C-299/02, Racc. pag. I-9761, punto 15 e giurisprudenza ivi citata) e del 21 aprile 2005, Commissione/Grecia (C-140/03, Racc. pag. I-3177, punto 27 e giurisprudenza ivi citata).

    ( 55 ) Sentenze del 7 marzo 1990, Krantz (C-69/88, Racc. pag. I-583, punto 11); del 14 luglio 1994, Peralta (C-379/92, Racc. pag. I-3453, punto 24); del 30 novembre 1995, Esso Española (C-134/94, Racc. pag. I-4223, punto 24), e del 3 dicembre 1998, Bluhme (C-67/97, Racc. pag. I-8033, punto 22).

    ( 56 ) Sentenza del 16 dicembre 1992, B & Q (C-169/91, Racc. pag. I-6635, punto 15).

    ( 57 ) Sentenza del 26 maggio 2005, Burmanjer e a. (C-20/03, Racc. pag. I-4133, punto 31).

    ( 58 ) Sentenze del 10 marzo 2009, Hartlauer (C-169/07, Racc. pag. I-1721, punto 44 e giurisprudenza ivi citata) e del 19 maggio 2009, Apothekerkammer des Saarlandes e a. (C-171/07 e C-172/07, Racc. pag. I-4171, punto 25).

    ( 59 ) V., in particolare, la sentenza Apothekerkammer des Saarlandes e a., cit. (punto 33) e la sentenza del 19 maggio 2009, Commissione/Italia (C-531/06, Racc. pag. I-4103, punto 57).

    ( 60 ) Secondo una giurisprudenza costante la portata delle disposizioni legislative, regolamentari o amministrative nazionali va valutata alla luce dell’interpretazione fornitane dai giudici nazionali. V. sentenze del 16 dicembre 1992, Katsikas e a. (C-132/91, C-138/91 e C-139/91, Racc. pag. I-6577, punto 39 e giurisprudenza ivi citata) e del 18 luglio 2007, Commissione/Germania (C-490/04, Racc. pag. I-6095, punto 49 e giurisprudenza ivi citata).

    ( 61 ) Sentenze della Corte costituzionale del 10 marzo 2006, n. 87 (punto 3) e del 14 dicembre 2007, n. 430 (punto 4.2.1).

    ( 62 ) Sentenza della Corte costituzionale del 14 dicembre 2007, n. 430 (punto 4.2.1).

    ( 63 ) Sentenza della Corte costituzionale del 4 febbraio 2003, n. 27 (punto 3.2).

    ( 64 ) V., tra le altre, sentenze Hartlauer, cit. (punto 46) e Apothekerkammer des Saarlandes e a. (punto 27).

    ( 65 ) Sentenze del 19 maggio 2009, Commissione/Italia (C‑531/06, punto 52 e giurisprudenza ivi citata) e Apothekerkammer des Saarlandes e a., cit. (punto 28 e giurisprudenza ivi citata).

    ( 66 ) Sentenza Blanco Pérez, cit. (punti da 70 a 73 e giurisprudenza ivi citata).

    ( 67 ) Tale principio è ribadito anche nel considerando 26 della direttiva 2005/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 7 settembre 2005, relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali (GU L 255, pag. 22), a termini del quale: «[l]a presente direttiva non coordina tutte le condizioni per accedere alle attività nel campo della farmacia e all’esercizio di tale attività. In particolare, la ripartizione geografica delle farmacie e il monopolio della dispensa dei medicinali dovrebbe continuare ad essere di competenza degli Stati membri. La presente direttiva non modifica le norme legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri che vietano alle società l’esercizio di talune attività di farmacista o sottopongono tale esercizio a talune condizioni».

    ( 68 ) In proposito, v. sentenza Hartlauer, cit. (punto 29); v., inoltre, sentenze del 19 maggio 2009, Commissione/Italia (C‑531/06, punto 35 e giurisprudenza ivi citata) e Apothekerkammer des Saarlandes e a., cit. (punto 18 e giurisprudenza ivi citata).

    ( 69 ) Sentenze del 10 aprile 2008, Commissione/Germania (C-141/07, Racc. pag. I-6935, punto 51 e giurisprudenza ivi citata) e Apothekerkammer des Saarlandes e a., cit. (punto 19 e giurisprudenza ivi citata).

    ( 70 ) Sentenze cit. Apothekerkammer des Saarlandes e a., (punto 30) e Blanco Pérez (punto 74).

    ( 71 ) Sentenza Blanco Pérez, cit. (punto 75).

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