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Documento 62012CJ0007

    Sentenza della Corte (Quarta Sezione) del 20 giugno 2013.
    Nadežda Riežniece contro Zemkopības ministrija e Lauku atbalsta dienests.
    Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall’Augstākās tiesas Senāts.
    Politica sociale — Direttiva 76/207/CEE — Parità di trattamento tra lavoratori di sesso maschile e lavoratori di sesso femminile — Direttiva 96/34/CE — Accordo quadro sul congedo parentale — Soppressione di posti di dipendenti pubblici dovuta a difficoltà economiche nazionali — Valutazione di una lavoratrice che ha fruito di un congedo parentale rispetto a lavoratori restati in servizio attivo — Licenziamento al termine del congedo parentale — Discriminazione indiretta.
    Causa C‑7/12.

    Raccolta della giurisprudenza - generale

    Identificatore ECLI: ECLI:EU:C:2013:410

    Parti
    Motivazione della sentenza
    Dispositivo

    Parti

    Nella causa C-7/12,

    avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dall’Augstākās tiesas Senāts (Lettonia), con decisione del 27 dicembre 2011, pervenuta in cancelleria il 4 gennaio 2012, nel procedimento

    Nadežda Riežniece

    contro

    Zemkopības ministrija,

    Lauku atbalsta dienests,

    LA CORTE (Quarta Sezione),

    composta da L. Bay Larsen, presidente di sezione, J. Malenovský, U. Lõhmus, M. Safjan (relatore) e A. Prechal, giudici,

    avvocato generale: Y. Bot

    cancelliere: A. Calot Escobar

    vista la fase scritta del procedimento,

    considerate le osservazioni presentate:

    – per il governo lettone, da I. Kalniņš e A. Nikolajeva, in qualità di agenti;

    – per il governo dei Paesi Bassi, da C. Wissels, in qualità di agente;

    – per il governo polacco, da B. Majczyna e M. Szpunar, in qualità di agenti;

    – per la Commissione europea, da C. Gheorghiu, M. van Beek e E. Kalniņš, in qualità di agenti,

    vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,

    ha pronunciato la seguente

    Sentenza

    Motivazione della sentenza

    1. La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione della direttiva 76/207/CEE del Consiglio, del 9 febbraio 1976, relativa all’attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro (GU L 39, pag. 40), come modificata dalla direttiva 2002/73/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 settembre 2002 (GU L 269, pag. 15; in prosieguo: la «direttiva 76/207»), nonché dell’accordo quadro sul congedo parentale, concluso il 14 dicembre 1995 (in prosieguo: l’«accordo quadro sul congedo parentale»), contenuto nell’allegato della direttiva 96/34/CE del Consiglio, del 3 giugno 1996, concernente l’accordo quadro sul congedo parentale concluso dall’UNICE, dal CEEP e dalla CES (GU L 145, pag. 4), come modificata dalla direttiva 97/75/CE del Consiglio, del 15 dicembre 1997 (GU 1998, L 10, pag. 24; in prosieguo: la «direttiva 96/34»).

    2. Tale domanda è stata sollevata nell’ambito di una controversia tra la sig.ra Riežniece, da una parte, e il Zemkopības ministrija (Ministero dell’Agricoltura) e il Lauku atbalsta dienests (servizio di sostegno all’ambiente rurale), dall’altra, in merito al suo licenziamento quando è tornata a lavoro dopo aver fruito di un congedo parentale.

    Contesto normativo

    La normativa dell’Unione

    La direttiva 76/207

    3. La direttiva 76/207 è stata abrogata dalla direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego (GU L 204, pag. 23), a far data dal 15 agosto 2009. Tuttavia, in considerazione dell’epoca dei fatti, la controversia di cui alla causa principale continua ad essere disciplinata dalla direttiva 76/207.

    4. L’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 76/207 così dispone:

    «Scopo della presente direttiva è l’attuazione negli Stati membri del principio della parità di trattamento fra uomini e donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, ivi compreso la promozione, e l’accesso alla formazione professionale, nonché le condizioni di lavoro e, alle condizioni di cui al paragrafo 2, la sicurezza sociale. Tale principio è denominato qui appresso “principio della parità di trattamento”».

    5. L’articolo 2 di tale direttiva è così formulato:

    «1. Ai sensi delle seguenti disposizioni il principio di parità di trattamento implica l’assenza di qualsiasi discriminazione fondata sul sesso, direttamente o indirettamente, in particolare mediante riferimento allo stato matrimoniale o di famiglia.

    2. Ai sensi della presente direttiva si applicano le seguenti definizioni:

    – discriminazione diretta: situazione nella quale una persona è trattata meno favorevolmente in base al sesso di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra in una situazione analoga,

    – discriminazione indiretta: situazione nella quale una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono mettere in una situazione di particolare svantaggio le persone di un determinato sesso, rispetto a persone dell’altro sesso, a meno che detta disposizione, criterio o prassi siano oggettivamente giustificati da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari,

    (...)

    7. (...)

    La presente direttiva lascia (...) impregiudicate le disposizioni della direttiva 96/34/CE (...)».

    6. Ai termini dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 76/207:

    «L’applicazione del principio della parità di trattamento tra uomini e donne significa che non vi deve essere discriminazione diretta o indiretta in base al sesso nei settori pubblico o privato, compresi gli enti di diritto pubblico, per quanto attiene:

    (...)

    c) all’occupazione e alle condizioni di lavoro, comprese le condizioni di licenziamento e la retribuzione come previsto dalla direttiva 75/117/CEE [del Consiglio, del 10 febbraio 1975, per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati Membri relative all’applicazione del principio della parità delle retribuzioni tra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile (GU L 45, pag. 19)];

    (...)».

    L’accordo quadro sul congedo parentale

    7. La direttiva 96/34 è stata abrogata a far data dall’8 marzo 2012 in forza dell’articolo 4 della direttiva 2010/18/UE del Consiglio, dell’8 marzo 2010, che attua l’accordo quadro riveduto in materia di congedo parentale concluso da BUSINESSEUROPE, UEAPME, CEEP e CES e abroga la direttiva 96/34/CE (GU L 68, pag. 13). Tuttavia, tenuto conto dell’epoca dei fatti di cui alla causa principale, questa resta disciplinata dalla direttiva 96/34 e dall’accordo quadro sul congedo parentale.

    8. Il primo comma del preambolo dell’accordo quadro sul congedo parentale recita quanto segue:

    «L’allegato accordo costituisce un impegno del[l’Unione delle Confederazioni Europee dell’Industria e dei Datori di lavoro (UNICE), del Centro europeo delle aziende di servizi di pubblica utilità (CEEP) e della Confederazione europea dei sindacati (CES)] a porre in atto prescrizioni minime sul congedo parentale e sull’assenza dal lavoro per cause di forza maggiore, inteso quale importante strumento per conciliare la vita professionale e quella familiare e per promuovere la parità di opportunità e di trattamento tra gli uomini e le donne».

    9. Il punto 5 delle considerazioni generali di detto accordo quadro è formulato come segue:

    «considerando che la risoluzione del Consiglio del 6 dicembre 1994 riconosce che una politica effettiva di pari opportunità presuppone una strategia globale integrata, la quale consenta una migliore organizzazione degli orari di lavoro, una maggiore flessibilità e un più agevole ritorno alla vita professionale e prende atto del ruolo importante che svolgono le parti sociali sia in tale campo sia nell’offrire, agli uomini e alle donne, la possibilità di conciliare le loro responsabilità professionali e i loro obblighi familiari».

    10. Ai termini della clausola 1 dell’accordo quadro sul congedo parentale:

    «1. Il presente accordo stabilisce prescrizioni minime volte ad agevolare la conciliazione delle responsabilità professionali e familiari dei genitori che lavorano.

    2. Il presente accordo si applica a tutti i lavoratori, di ambo i sessi, aventi un contratto o un rapporto di lavoro definito dalla legge, da contratti collettivi o dalle prassi vigenti in ciascuno Stato membro».

    11. La clausola 2 dell’accordo quadro in discussione stabilisce quanto segue:

    «1. Fatta salva la clausola 2.2, il presente accordo attribuisce ai lavoratori, di ambo i sessi, il diritto individuale al congedo parentale per la nascita o l’adozione di un bambino, affinché possano averne cura per un periodo minimo di tre mesi fino a un’età non superiore a 8 anni determinato dagli Stati membri e/o dalle parti sociali.

    (...)

    4. Onde assicurare che i lavoratori possano esercitare il diritto al congedo parentale, gli Stati membri e/o le parti sociali prendono le misure necessarie per proteggere i lavoratori dal licenziamento causato dalla domanda o dalla fruizione del congedo parentale, secondo la legge, i contratti collettivi o le prassi nazionali.

    5. Al termine del congedo parentale, il lavoratore ha diritto di ritornare allo stesso posto di lavoro o, qualora ciò non sia possibile, ad un lavoro equivalente o analogo che corrisponde al suo contratto o al suo rapporto di lavoro.

    (...)».

    Il diritto lettone

    12. Il codice del lavoro (Darba likums, Latvijas Vēstnesis , 2001, n. 105), nel testo applicabile alla controversia principale, all’articolo 156 così dispone:

    «1. Ogni lavoratore ha diritto a un congedo parentale in caso di nascita o di adozione di un figlio. Il congedo è concesso per un periodo massimo di diciotto mesi fino al compimento dell’ottavo anno di età del bambino.

    (...)

    3. Il periodo durante il quale il lavoratore è in congedo parentale è considerato tempo di lavoro.

    4. Un lavoratore che prende un congedo parentale conserva il suo precedente impiego. Qualora ciò non sia possibile, il datore di lavoro dovrà garantirgli un impiego simile o equivalente, con condizioni di lavoro e impiego che non possono essere meno favorevoli».

    13. Il punto 2 dell’istruzione n. 2 del Consiglio dei ministri, recante sistema di valutazione delle attività e dei risultati dei dipendenti (Ministru kabineta instrukcjia n. 2 – Ieredņa darbības un tās rezultātu novērtēšanas kārtība), del 13 febbraio 2001 ( Latvijas Vēstnesis , 2001, n. 27), ha il seguente tenore:

    «Scopo della valutazione dell’attività dei funzionari e dei loro risultati è quello di valutare le attività dei funzionari e dei loro risultati nel corso di un periodo determinato, nonché di determinare i fabbisogni dei funzionari in termini di formazione e di evoluzione di carriera per migliorare e promuovere le loro attività per il raggiungimento degli obiettivi fissati per le amministrazioni e nell’esercizio delle funzioni. I risultati della valutazione servono come base per le decisioni relative all’attribuzione della qualifica di funzionario, all’inadeguatezza di un funzionario alle funzioni occupate, al trasferimento su un posto e all’attribuzione di un grado».

    14. L’articolo 2, paragrafo 4, della legge sui dipendenti statali (Valsts civildienesta likums), nel testo applicabile alla controversia principale, dispone come segue:

    «Le disposizioni legislative e regolamentari che disciplinano i rapporti giuridici di lavoro e sanciscono il principio dell’uguaglianza dei diritti, il divieto di discriminazioni, il divieto di creare condizioni sfavorevoli, la durata del tempo di lavoro e del tempo di riposo, la retribuzione del lavoro, la responsabilità materiale dei lavoratori e i termini, si applicano ai rapporti giuridici del pubblico impiego statale qualora non siano disciplinati dalla presente legge».

    Procedimento principale e questioni pregiudiziali

    15. Si evince dalla decisione di rinvio che, con decisione del Lauku atbalsta dienests del 14 novembre 2005, la sig.ra Riežniece è stata nominata su un posto di consulente principale in seno alla sezione giuridica del dipartimento amministrativo.

    16. Nel corso del 2006, la sig.ra Riežniece, in quanto dipendente di ruolo, è stata oggetto di una valutazione annuale diretta a valutare la qualità del suo lavoro nonché a migliorare e a promuovere la sua evoluzione professionale (in prosieguo: la «valutazione del 2006»). Nel caso di specie, il questionario di valutazione comprendeva cinque criteri, ognuno dei quali costituito da vari sotto criteri. Tale valutazione si è tradotta nell’attribuzione di un voto globale.

    17. La sig.ra Riežniece ha usufruito di un congedo parentale dal 14 novembre 2007 al 6 maggio 2009.

    18. Nel corso del 2009, nell’ambito di una riorganizzazione strutturale del Lauku atbalsta dienests, è stato soppresso un posto di consulente principale presso la sezione per gli affari giuridici del dipartimento amministrativo, ma non avendo di mira un dipendente in particolare.

    19. Per individuare la persona interessata il cui posto andava soppresso, sono stati valutati quattro dipendenti, tra cui la sig.ra Riežniece, in ordine al loro lavoro e ai loro meriti secondo criteri identici e uno stesso parametro di valutazione (in prosieguo: la «valutazione del 2009»). Degli otto criteri utilizzati per tale valutazione rispetto a quelli utilizzati nel 2006 tre erano nuovi mentre gli altri cinque esistevano già come tali o come componente di un criterio esistente. Due dei criteri utilizzati per la valutazione del 2006 non sono stati invece presi in considerazione nel 2009.

    20. Per quanto concerne i due dipendenti valutati nel 2009, un uomo e una donna in stato di servizio attivo, tale valutazione si è riferita al periodo dal 1° febbraio 2008 al 26 febbraio 2009.

    21. Quanto alla sig.ra Riežniece e a un’altra lavoratrice, che aveva preso un congedo parentale, detta valutazione è stata realizzata sulla base dei risultati della valutazione annuale precedente al congedo. La sig.ra Riežniece, che ha ottenuto un voto complessivo inferiore a quello attribuitole nell’ultima valutazione del 2006, è risultata all’ultimo posto. L’altra lavoratrice che aveva fruito del congedo parentale ha ottenuto il miglior voto complessivo, a parità con l’altra lavoratrice in servizio attivo.

    22. Di conseguenza, il 7 maggio 2009, il Lauku atbalsta dienests ha comunicato alla sig.ra Riežniece un avviso relativo alla cessazione del suo impiego a causa della soppressione del suo posto di lavoro. Con tale avviso il Lauku atbalsta dienests le ha contestualmente proposto un posto di consulente principale presso la sezione per lo sviluppo dei sistemi informativi del dipartimento per l’informazione. La sig.ra Riežniece ha immediatamente dato il suo consenso a essere trasferita verso quest’altro posto di lavoro.

    23. Il 18 maggio 2009, a causa di difficoltà economiche a livello nazionale, sono state adottate nuove misure implicanti cambiamenti strutturali in seno al Lauku atbalsta dienests.

    24. Il 26 maggio 2009 il Lauku atbalsta dienests ha comunicato alla sig.ra Riežniece un avviso relativo alla cessazione del suo impiego nella pubblica amministrazione statale data la soppressione del suo posto di lavoro presso la sezione per lo sviluppo dei sistemi informativi del dipartimento per l’informazione. La sig.ra Riežniece ha quindi cessato il suo rapporto di servizio con la pubblica amministrazione statale, provvedimento la cui legittimità è stata confermata con una decisione del Zemkopības ministrija.

    25. La sig.ra Riežniece ha proposto ricorso dinanzi all’Administratīvā rajona tiesa (tribunale amministrativo distrettuale) diretto a far dichiarare l’illegittimità della decisione del Zemkopības ministrija che aveva confermato l’avviso del Lauku atbalsta dienests del 26 maggio 2009 e a ottenere il risarcimento dei danni materiali e morali nonché il rimborso delle spese di giustizia da lei sostenute. Con pronuncia del 21 ottobre 2009, l’Administratīvā rajona tiesa ha parzialmente accolto il ricorso della sig.ra Riežniece.

    26. Con sentenza del 20 dicembre 2010, l’Administratīvā apgabaltiesa (corte amministrativa regionale), investita dell’appello della sig.ra Riežniece e dell’appello incidentale del Zemkopības ministrija, ha respinto il ricorso della signora.

    27. L’Administratīvā apgabaltiesa ha considerato, da un lato, che la sig.ra Riežniece era stata valutata in modo obiettivo quanto al suo lavoro e ai suoi meriti. Essa ha ritenuto, da un lato, che, proponendo un altro posto alla sig.ra Riežniece quando è tornata a lavorare, l’amministrazione aveva agito in maniera legittima, in particolare, per il fatto che il Lauku atbalsta dienests non poteva prevedere che la sezione per lo sviluppo dei sistemi informativi del dipartimento per l’informazione e gli afferenti posti di dipendente sarebbero stati soppressi.

    28. La sig.ra Riežniece ha proposto ricorso per cassazione contro la sentenza dell’Administratīvā apgabaltiesa dinanzi all’Augstākās tiesas Senāts (Senato della Corte suprema). Essa ha sostenuto, in particolare, che, conformemente al diritto dell’Unione, i lavoratori che prendono un congedo parentale hanno diritto, finito il congedo, a essere reintegrati sul proprio posto di lavoro o su un posto equivalente. Per questo motivo, l’Administratīvā apgabaltiesa avrebbe commesso un errore nel considerare che il Lauku atbalsta dienests avesse la facoltà di estinguere il rapporto giuridico della ricorrente con l’amministrazione pubblica o di trasferirla su un altro posto. Inoltre, tale giudice avrebbe erroneamente interpretato il divieto di discriminazione ritenendo possibile valutare lavoratori in servizio e lavoratori in congedo parentale in base a criteri diversi.

    29. L’Augstākās tiesas Senāts ha pertanto deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

    «1) Se le disposizioni della direttiva (...) 76/207 (...) e quelle dell’accordo quadro [sul congedo parentale] debbano essere interpretate nel senso che esse ostano a qualsiasi azione intrapresa dal datore di lavoro (in particolare la valutazione del dipendente effettuata in sua assenza) che abbia come risultato che una donna in congedo parentale, dopo essere rientrata al lavoro, possa perdere il suo posto.

    2) Se la risposta alla precedente questione sarebbe diversa qualora il motivo di tale azione del datore di lavoro sia da rinvenire nel fatto che, a causa della recessione economica dello Stato, in tutte le amministrazioni dello Stato si è provveduto all’ottimizzazione dell’organico e alla soppressione di posti di lavoro.

    3) Se debba considerarsi una discriminazione indiretta la valutazione del lavoro e dei meriti [di una lavoratrice] che tenga conto della sua ultima valutazione annuale, dello svolgimento delle sue mansioni di funzionaria, e dei risultati da lei ottenuti prima del congedo parentale, rispetto alla valutazione, effettuata in base a nuovi criteri, del lavoro e dei meriti di altri funzionari rimasti in servizio attivo (e che hanno usufruito peraltro della possibilità di aumentare i propri meriti)».

    Sulle questioni pregiudiziali

    30. Con le tre questioni, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la direttiva 76/207 e l’accordo quadro sul congedo parentale debbano essere interpretati nel senso di ostare a che:

    – ai fini della valutazione di lavoratori nel contesto della soppressione di posti di dipendenti pubblici per difficoltà economiche a livello nazionale, una lavoratrice che ha preso un congedo parentale sia valutata in sua assenza sulla base dell’ultima valutazione annuale precedente la fruizione del suo congedo parentale, applicando nuovi criteri, mentre i lavoratori rimasti in servizio sono valutati su un periodo più recente e,

    – tale lavoratrice, trasferita su un altro posto di lavoro al termine del suo congedo parentale e in esito a tale valutazione, sia licenziata perché questo nuovo posto di lavoro viene soppresso.

    31. Come risulta dal primo comma del preambolo dell’accordo quadro sul congedo parentale e dal punto 5 delle sue considerazioni generali, detto accordo quadro costituisce un impegno delle parti sociali a porre in atto, con prescrizioni minime, misure per promuovere la parità di opportunità e di trattamento tra gli uomini e le donne, offrendo loro la possibilità di conciliare le loro responsabilità professionali con gli impegni familiari (sentenze del 22 ottobre 2009, Meerts, C-116/08, Racc. pag. I-10063, punto 35, e del 16 settembre 2010, Chatzi, C-149/10, Racc. pag. I-8489, punto 56).

    32. In quest’ottica, l’accordo quadro sul congedo parentale consente ai neo-genitori di interrompere l’attività professionale per dedicarsi alle responsabilità familiari, con la garanzia, sancita nella clausola 2, punto 5, di tale accordo, che, al termine di detto congedo, ritroveranno il loro posto di lavoro. Per un periodo liberamente stabilito da ogni Stato membro nel rispetto di una durata minima di tre mesi e secondo modalità lasciate alla discrezionalità dei legislatori nazionali, i neo-genitori hanno così la possibilità di fornire al figlio l’assistenza che la sua età richiede e di organizzare la vita familiare nella prospettiva del loro ritorno alla vita professionale (sentenza Chatzi, cit., punto 57).

    33. Occorre esaminare, in primo luogo, in che misura un datore di lavoro, nel contesto della soppressione di un posto di lavoro, possa procedere alla valutazione di un lavoratore che ha preso un congedo parentale.

    34. Come esposto nella clausola 2, punto 4, dell’accordo quadro sul congedo parentale, i lavoratori devono essere protetti dal licenziamento «causato» dalla domanda o dalla fruizione del congedo parentale, secondo la legge, i contratti collettivi o la prassi nazionale.

    35. Risulta da tale disposizione che, in circostanze quali quelle della causa principale, al datore di lavoro non è fatto divieto, nel rispetto della clausola 2, punto 5, dell’accordo quadro sul congedo parentale, licenziare un lavoratore che ha preso un congedo parentale se il licenziamento non è stato causato dalla domanda o dalla fruizione di detto congedo.

    36. Di conseguenza, l’accordo quadro sul congedo parentale non osta a che un datore di lavoro, nel contesto della soppressione di un posto di lavoro, proceda alla valutazione di un lavoratore che ha preso un congedo parentale per trasferirlo su un posto equivalente o analogo che corrisponde al suo contratto o al suo rapporto di lavoro. Ciò vale anche nel caso in cui il datore di lavoro intenda ridurre il numero di lavoratori in tutte le amministrazioni dello Stato a causa di difficoltà economiche a livello nazionale. Infatti, per una gestione razionale della sua azienda, un datore di lavoro è libero di riorganizzare i propri servizi, a condizione di rispettare le vigenti disposizioni del diritto dell’Unione.

    37. Occorre esaminare, in secondo luogo, in che misura, nel contesto della soppressione di un posto di lavoro, la valutazione di un lavoratore di sesso femminile che ha fruito di un congedo parentale possa integrare la violazione del divieto di discriminazione.

    38. A tale riguardo si deve ricordare che l’articolo 3, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 76/207 vieta le discriminazioni fondate sul sesso per quanto riguarda le condizioni di lavoro, tra cui rientrano le condizioni applicabili alla reintegrazione nel posto di lavoro di un lavoratore che ha fruito di un congedo parentale (v., in tal senso, sentenza del 27 febbraio 2003, Busch, C-320/01, Racc. pag. I-2041, punto 38).

    39. Da costante giurisprudenza della Corte risulta che vi è discriminazione indiretta quando l’applicazione di un provvedimento nazionale, pur formulato in modo neutro, di fatto sfavorisce un numero molto più alto di donne che di uomini (v., in particolare, sentenze del 2 ottobre 1997, Gerster, C-1/95, Racc. pag. I-5253, punto 30, e del 20 ottobre 2011, Brachner, C-123/10, Racc. pag. I-10003, punto 56).

    40. Peraltro, come la Corte ha già rilevato nella sentenza del 21 ottobre 1999, Lewen (C-333/97, Racc. pag. I-7243, punto 35), fondandosi sulle precisazioni del giudice nazionale, le donne ricorrono più spesso al congedo parentale rispetto agli uomini. Spetta al giudice del rinvio verificare se, nello Stato membro interessato, ricorrono al congedo parentale molte più donne che uomini, cosicché le prime risultano maggiormente esposte a provvedimenti quali quelli di cui alla causa principale.

    41. Supponendo che sia questo il caso, ne deriva, come sostengono i governi lettone e polacco nonché la Commissione europea, che, per evitare qualsiasi discriminazione e garantire la parità di opportunità tra gli uomini e le donne, il metodo di valutazione dei lavoratori nel contesto della soppressione di un posto non deve mettere i lavoratori che hanno preso un congedo parentale in una situazione svantaggiata rispetto ai lavoratori che non hanno fruito di un tale congedo.

    42. Nella causa principale, il datore di lavoro ha valutato i lavoratori interessati riguardo al loro ultimo periodo di lavoro effettivo. A questo proposito, occorre rilevare che, sebbene la valutazione dei lavoratori su due periodi differenti costituisca una soluzione imperfetta, essa risulta nondimeno un metodo appropriato, posto che i lavoratori che hanno fruito di un congedo parentale sono assenti per il periodo immediatamente antecedente alla valutazione, purché i criteri di valutazione utilizzati non siano tali da sfavorire simili lavoratori.

    43. Per non mettere i lavoratori che hanno fruito di un congedo parentale in una tale situazione svantaggiata, la valutazione deve rispettare un certo numero di condizioni. In particolare, essa deve riguardare l’insieme dei lavoratori potenzialmente coinvolti dalla misura della soppressione del posto di lavoro. Una valutazione del genere deve anche fondarsi su criteri rigorosamente identici a quelli che si applicano ai lavoratori in servizio attivo. Inoltre, per adottare tali criteri non deve essere necessaria la presenza fisica dei lavoratori, condizione che il lavoratore in congedo parentale non può soddisfare.

    44. Nel caso di specie occorre rilevare che i cinque criteri utilizzati per la valutazione del 2006 coincidono solo in parte con gli otto criteri su cui si è basata la valutazione del 2009. Inoltre, tali due valutazioni non si prefiggevano il medesimo obiettivo, dato che la prima era volta a valutare la qualità del lavoro e a promuovere lo sviluppo professionale, mentre la seconda avveniva nel contesto della soppressione di un posto di lavoro.

    45. Ciò detto, il giudice del rinvio deve verificare in particolare, da un lato, che la valutazione del 2009 sia stata fatta in modo che il voto complessivo attribuito alla sig.ra Riežniece non fosse conseguenza dell’applicazione di criteri che la signora non poteva soddisfare essendo stata assente dal lavoro e, dall’altro, che i suoi risultati della valutazione del 2006 siano stati impiegati in maniera obiettiva ai fini della valutazione del 2009.

    46. Inoltre, nella terza questione il giudice del rinvio si fonda sul postulato secondo cui il fatto di essere rimasti in servizio attivo ha permesso ai funzionari interessati di aumentare i propri meriti. In tal senso, il governo dei Paesi Bassi sostiene che la sig.ra Riežniece, essendo stata privata della possibilità di migliorare il proprio lavoro, è stata svantaggiata rispetto ai suoi colleghi che non hanno preso un congedo parentale.

    47. Su questo argomento occorre rilevare che, certamente i lavoratori rimasti in servizio attivo hanno avuto la possibilità, diversamente da coloro che hanno preso un congedo parentale, di acquisire maggiore esperienza, la quale generalmente pone il lavoratore in grado di espletare meglio le proprie mansioni (v., in tal senso, sentenza del 3 ottobre 2006, Cadman, C-17/05, Racc. pag. I-9583, punti 34 e 35). Cionondimeno, il fatto di espletare meglio le proprie mansioni è una mera possibilità per i lavoratori rimasti in servizio attivo, dato che la sola presenza fisica al lavoro non è garanzia di miglioramento effettivo dei risultati di un lavoratore.

    48. Alla luce di quanto precede, si deve affermare che, in relazione alla causa principale, nel caso in cui i principi e i criteri di valutazione elencati al punto 43 della presente sentenza non fossero stati rispettati in occasione della valutazione del 2009, svantaggiando così la sig.ra Riežniece, si configurerebbe una discriminazione indiretta, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, della direttiva 76/207, circostanza che spetta al giudice nazionale verificare.

    49. In terzo luogo, bisogna esaminare in che misura il datore di lavoro della sig.ra Riežniece potesse trasferirla su un altro posto di lavoro in esito ai risultati della valutazione del 2009.

    50. Ai sensi della clausola 2, punto 5, dell’accordo quadro sul congedo parentale, al termine del congedo parentale, il lavoratore ha diritto di ritornare allo stesso posto di lavoro o, qualora ciò non sia possibile, ad un lavoro equivalente o analogo che corrisponde al suo contratto o al suo rapporto di lavoro.

    51. Spetta dunque al giudice del rinvio verificare se, in circostanze quali quelle della causa principale, per il datore di lavoro non fosse possibile far ritornare la sig.ra Riežniece sul suo posto di lavoro e, in caso affermativo, se il lavoro attribuitole fosse equivalente o analogo e corrispondente al suo contratto o al suo rapporto di lavoro.

    52. In particolare, la sig.ra Riežniece davanti al giudice del rinvio ha sostenuto che il Lauku atbalsta dienests sapeva dei futuri cambiamenti strutturali in seno al dipartimento dell’informazione e che, proponendole un posto di cui era già stata programmata la soppressione, il Lauku atbalsta dienests non aveva rispettato l’obbligo di assegnarle un posto equivalente.

    53. Qualora sia confermato che così è stato, è giocoforza dichiarare che una simile circostanza, in grado di privare l’interessata della tutela garantitale dalla clausola 2, punti 4 e 5, dell’accordo quadro sul congedo parentale, non può essere accettata.

    54. Infatti, il datore di lavoro non può vanificare il diritto di cui gode un lavoratore che ha fruito di un congedo parentale di essere trasferito su un altro posto di lavoro, alle condizioni di cui alla clausola 2, punto 5, dell’accordo quadro sul congedo parentale, proponendo a detto lavoratore un posto destinato a essere soppresso.

    55. Pertanto, spetta in particolare al giudice del rinvio verificare se il datore di lavoro della sig.ra Riežniece sapesse, quando le ha proposto un nuovo posto di lavoro, che tale posto era destinato a essere soppresso, il che ha comportato il licenziamento della signora.

    56. Alle luce delle osservazioni che precedono, occorre rispondere alle questioni sollevate dichiarando che la direttiva 76/207, qualora si supponga che molte più donne che uomini usufruiscono di un congedo parentale, circostanza che spetta al giudice nazionale verificare, e l’accordo quadro sul congedo parentale, di cui all’allegato della direttiva 96/34, devono essere interpretati nel senso di ostare a che:

    – ai fini della valutazione dei lavoratori nel contesto della soppressione di posti di dipendenti pubblici per difficoltà economiche a livello nazionale, un lavoratore che ha fruito di un congedo parentale sia valutato in sua assenza sulla base di principi e criteri di valutazione che lo pongano in una situazione svantaggiosa rispetto ai lavoratori che non hanno fruito di un congedo del genere; per verificare che ciò non sia avvenuto, il giudice nazionale deve sincerarsi in particolare del fatto che la valutazione riguardi l’insieme dei lavoratori potenzialmente coinvolti dalla misura della soppressione del posto di lavoro, che essa sia fondata su criteri rigorosamente identici a quelli che si applicano ai lavoratori in servizio attivo e che per l’applicazione di tali criteri non sia necessaria la presenza fisica dei lavoratori in congedo parentale, e

    – una lavoratrice, che è stata trasferita su un altro posto di lavoro al termine del suo congedo parentale e in esito a tale valutazione, sia licenziata perché questo nuovo posto di lavoro viene soppresso, qualora per il datore di lavoro non fosse impossibile farla tornare sul suo precedente posto di lavoro o qualora il lavoro assegnatole non fosse equivalente o analogo e corrispondente al suo contratto o al suo rapporto di lavoro, in particolare per il fatto che, al momento del trasferimento, il datore di lavoro sapeva che il nuovo posto di lavoro era destinato a essere soppresso, circostanza che spetta al giudice nazionale appurare.

    Sulle spese

    57. Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

    Dispositivo

    Per questi motivi, la Corte (Quarta Sezione) dichiara:

    La direttiva 76/207/CEE del Consiglio, del 9 febbraio 1976, relativa all’attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro, come modificata dalla direttiva 2002/73/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 settembre 2002, supponendo che molte più donne che uomini fruiscano di un congedo parentale, circostanza che spetta al giudice nazionale verificare, e l’accordo quadro sul congedo parentale, concluso il 14 dicembre 1995, contenuto nell’allegato della direttiva 96/34/CE del Consiglio, del 3 giugno 1996, concernente l’accordo quadro sul congedo parentale concluso dall’UNICE, d al CEEP e dalla CES, come modificata dalla direttiva 97/75/CE del Consiglio, del 15 dicembre 1997, devono essere interpretati nel senso di ostare a che:

    – ai fini della valutazione dei lavoratori nel contesto della soppressione di posti di dipendenti pubblici per difficoltà economiche a livello nazionale, un lavoratore che ha fruito di un congedo parentale sia valutato in sua assenza sulla base di principi e criteri di valutazione che lo pongano in una situazione svantaggiosa rispetto ai lavoratori che non hanno fruito di un congedo del genere; per verificare che ciò non sia avvenuto, il giudice nazionale deve sincerarsi in particolare del fatto che la valutazione riguardi l’insieme dei lavoratori potenzialmente coinvolti dalla misura della soppressione del posto di lavoro, che essa sia fondata su criteri rigorosamente identici a quelli che si applicano ai lavoratori in servizio attivo e che per l’applicazione di tali criteri non sia necessaria la presenza fisica dei lavoratori in congedo parentale, e,

    – una lavoratrice, che è stata trasferita su un altro posto di lavoro al termine del suo congedo parentale e in esito a tale valutazione, sia licenziata perché questo nuovo posto di lavoro viene soppresso, qualora per il datore di lavoro non fosse impossibile farla tornare sul suo precedente posto di lavoro o qualora il lavoro assegnatole non fosse equivalente o analogo e corrispondente al suo contratto o al suo rapporto di lavoro, in particolare per il fatto che, al momento del trasferimento, il datore di lavoro sapeva che il nuovo posto di lavoro era destinato a essere soppresso, circostanza che spetta al giudice nazionale appurare.

    In alto

    SENTENZA DELLA CORTE (Quarta Sezione)

    20 giugno 2013 ( *1 )

    «Politica sociale — Direttiva 76/207/CEE — Parità di trattamento tra lavoratori di sesso maschile e lavoratori di sesso femminile — Direttiva 96/34/CE — Accordo quadro sul congedo parentale — Soppressione di posti di dipendenti pubblici dovuta a difficoltà economiche nazionali — Valutazione di una lavoratrice che ha fruito di un congedo parentale rispetto a lavoratori restati in servizio attivo — Licenziamento al termine del congedo parentale — Discriminazione indiretta»

    Nella causa C-7/12,

    avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dall’Augstākās tiesas Senāts (Lettonia), con decisione del 27 dicembre 2011, pervenuta in cancelleria il 4 gennaio 2012, nel procedimento

    Nadežda Riežniece

    contro

    Zemkopības ministrija,

    Lauku atbalsta dienests,

    LA CORTE (Quarta Sezione),

    composta da L. Bay Larsen, presidente di sezione, J. Malenovský, U. Lõhmus, M. Safjan (relatore) e A. Prechal, giudici,

    avvocato generale: Y. Bot

    cancelliere: A. Calot Escobar

    vista la fase scritta del procedimento,considerate le osservazioni presentate:

    per il governo lettone, da I. Kalniņš e A. Nikolajeva, in qualità di agenti;

    per il governo dei Paesi Bassi, da C. Wissels, in qualità di agente;

    per il governo polacco, da B. Majczyna e M. Szpunar, in qualità di agenti;

    per la Commissione europea, da C. Gheorghiu, M. van Beek e E. Kalniņš, in qualità di agenti,

    vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,

    ha pronunciato la seguente

    Sentenza

    1

    La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione della direttiva 76/207/CEE del Consiglio, del 9 febbraio 1976, relativa all’attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro (GU L 39, pag. 40), come modificata dalla direttiva 2002/73/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 settembre 2002 (GU L 269, pag. 15; in prosieguo: la «direttiva 76/207»), nonché dell’accordo quadro sul congedo parentale, concluso il 14 dicembre 1995 (in prosieguo: l’«accordo quadro sul congedo parentale»), contenuto nell’allegato della direttiva 96/34/CE del Consiglio, del 3 giugno 1996, concernente l’accordo quadro sul congedo parentale concluso dall’UNICE, dal CEEP e dalla CES (GU L 145, pag. 4), come modificata dalla direttiva 97/75/CE del Consiglio, del 15 dicembre 1997 (GU 1998, L 10, pag. 24; in prosieguo: la «direttiva 96/34»).

    2

    Tale domanda è stata sollevata nell’ambito di una controversia tra la sig.ra Riežniece, da una parte, e il Zemkopības ministrija (Ministero dell’Agricoltura) e il Lauku atbalsta dienests (servizio di sostegno all’ambiente rurale), dall’altra, in merito al suo licenziamento quando è tornata a lavoro dopo aver fruito di un congedo parentale.

    Contesto normativo

    La normativa dell’Unione

    La direttiva 76/207

    3

    La direttiva 76/207 è stata abrogata dalla direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego (GU L 204, pag. 23), a far data dal 15 agosto 2009. Tuttavia, in considerazione dell’epoca dei fatti, la controversia di cui alla causa principale continua ad essere disciplinata dalla direttiva 76/207.

    4

    L’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 76/207 così dispone:

    «Scopo della presente direttiva è l’attuazione negli Stati membri del principio della parità di trattamento fra uomini e donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, ivi compreso la promozione, e l’accesso alla formazione professionale, nonché le condizioni di lavoro e, alle condizioni di cui al paragrafo 2, la sicurezza sociale. Tale principio è denominato qui appresso “principio della parità di trattamento”».

    5

    L’articolo 2 di tale direttiva è così formulato:

    «1.   Ai sensi delle seguenti disposizioni il principio di parità di trattamento implica l’assenza di qualsiasi discriminazione fondata sul sesso, direttamente o indirettamente, in particolare mediante riferimento allo stato matrimoniale o di famiglia.

    2.   Ai sensi della presente direttiva si applicano le seguenti definizioni:

    discriminazione diretta: situazione nella quale una persona è trattata meno favorevolmente in base al sesso di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra in una situazione analoga,

    discriminazione indiretta: situazione nella quale una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono mettere in una situazione di particolare svantaggio le persone di un determinato sesso, rispetto a persone dell’altro sesso, a meno che detta disposizione, criterio o prassi siano oggettivamente giustificati da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari,

    (...)

    7.   (...)

    La presente direttiva lascia (...) impregiudicate le disposizioni della direttiva 96/34/CE (...)».

    6

    Ai termini dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 76/207:

    «L’applicazione del principio della parità di trattamento tra uomini e donne significa che non vi deve essere discriminazione diretta o indiretta in base al sesso nei settori pubblico o privato, compresi gli enti di diritto pubblico, per quanto attiene:

    (...)

    c)

    all’occupazione e alle condizioni di lavoro, comprese le condizioni di licenziamento e la retribuzione come previsto dalla direttiva 75/117/CEE [del Consiglio, del 10 febbraio 1975, per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati Membri relative all’applicazione del principio della parità delle retribuzioni tra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile (GU L 45, pag. 19)];

    (...)».

    L’accordo quadro sul congedo parentale

    7

    La direttiva 96/34 è stata abrogata a far data dall’8 marzo 2012 in forza dell’articolo 4 della direttiva 2010/18/UE del Consiglio, dell’8 marzo 2010, che attua l’accordo quadro riveduto in materia di congedo parentale concluso da BUSINESSEUROPE, UEAPME, CEEP e CES e abroga la direttiva 96/34/CE (GU L 68, pag. 13). Tuttavia, tenuto conto dell’epoca dei fatti di cui alla causa principale, questa resta disciplinata dalla direttiva 96/34 e dall’accordo quadro sul congedo parentale.

    8

    Il primo comma del preambolo dell’accordo quadro sul congedo parentale recita quanto segue:

    «L’allegato accordo costituisce un impegno del[l’Unione delle Confederazioni Europee dell’Industria e dei Datori di lavoro (UNICE), del Centro europeo delle aziende di servizi di pubblica utilità (CEEP) e della Confederazione europea dei sindacati (CES)] a porre in atto prescrizioni minime sul congedo parentale e sull’assenza dal lavoro per cause di forza maggiore, inteso quale importante strumento per conciliare la vita professionale e quella familiare e per promuovere la parità di opportunità e di trattamento tra gli uomini e le donne».

    9

    Il punto 5 delle considerazioni generali di detto accordo quadro è formulato come segue:

    «considerando che la risoluzione del Consiglio del 6 dicembre 1994 riconosce che una politica effettiva di pari opportunità presuppone una strategia globale integrata, la quale consenta una migliore organizzazione degli orari di lavoro, una maggiore flessibilità e un più agevole ritorno alla vita professionale e prende atto del ruolo importante che svolgono le parti sociali sia in tale campo sia nell’offrire, agli uomini e alle donne, la possibilità di conciliare le loro responsabilità professionali e i loro obblighi familiari».

    10

    Ai termini della clausola 1 dell’accordo quadro sul congedo parentale:

    «1.

    Il presente accordo stabilisce prescrizioni minime volte ad agevolare la conciliazione delle responsabilità professionali e familiari dei genitori che lavorano.

    2.

    Il presente accordo si applica a tutti i lavoratori, di ambo i sessi, aventi un contratto o un rapporto di lavoro definito dalla legge, da contratti collettivi o dalle prassi vigenti in ciascuno Stato membro».

    11

    La clausola 2 dell’accordo quadro in discussione stabilisce quanto segue:

    «1.

    Fatta salva la clausola 2.2, il presente accordo attribuisce ai lavoratori, di ambo i sessi, il diritto individuale al congedo parentale per la nascita o l’adozione di un bambino, affinché possano averne cura per un periodo minimo di tre mesi fino a un’età non superiore a 8 anni determinato dagli Stati membri e/o dalle parti sociali.

    (...)

    4.

    Onde assicurare che i lavoratori possano esercitare il diritto al congedo parentale, gli Stati membri e/o le parti sociali prendono le misure necessarie per proteggere i lavoratori dal licenziamento causato dalla domanda o dalla fruizione del congedo parentale, secondo la legge, i contratti collettivi o le prassi nazionali.

    5.

    Al termine del congedo parentale, il lavoratore ha diritto di ritornare allo stesso posto di lavoro o, qualora ciò non sia possibile, ad un lavoro equivalente o analogo che corrisponde al suo contratto o al suo rapporto di lavoro.

    (...)».

    Il diritto lettone

    12

    Il codice del lavoro (Darba likums, Latvijas Vēstnesis, 2001, n. 105), nel testo applicabile alla controversia principale, all’articolo 156 così dispone:

    «1.   Ogni lavoratore ha diritto a un congedo parentale in caso di nascita o di adozione di un figlio. Il congedo è concesso per un periodo massimo di diciotto mesi fino al compimento dell’ottavo anno di età del bambino.

    (...)

    3.   Il periodo durante il quale il lavoratore è in congedo parentale è considerato tempo di lavoro.

    4.   Un lavoratore che prende un congedo parentale conserva il suo precedente impiego. Qualora ciò non sia possibile, il datore di lavoro dovrà garantirgli un impiego simile o equivalente, con condizioni di lavoro e impiego che non possono essere meno favorevoli».

    13

    Il punto 2 dell’istruzione n. 2 del Consiglio dei ministri, recante sistema di valutazione delle attività e dei risultati dei dipendenti (Ministru kabineta instrukcjia n. 2 – Ieredņa darbības un tās rezultātu novērtēšanas kārtība), del 13 febbraio 2001 (Latvijas Vēstnesis, 2001, n. 27), ha il seguente tenore:

    «Scopo della valutazione dell’attività dei funzionari e dei loro risultati è quello di valutare le attività dei funzionari e dei loro risultati nel corso di un periodo determinato, nonché di determinare i fabbisogni dei funzionari in termini di formazione e di evoluzione di carriera per migliorare e promuovere le loro attività per il raggiungimento degli obiettivi fissati per le amministrazioni e nell’esercizio delle funzioni. I risultati della valutazione servono come base per le decisioni relative all’attribuzione della qualifica di funzionario, all’inadeguatezza di un funzionario alle funzioni occupate, al trasferimento su un posto e all’attribuzione di un grado».

    14

    L’articolo 2, paragrafo 4, della legge sui dipendenti statali (Valsts civildienesta likums), nel testo applicabile alla controversia principale, dispone come segue:

    «Le disposizioni legislative e regolamentari che disciplinano i rapporti giuridici di lavoro e sanciscono il principio dell’uguaglianza dei diritti, il divieto di discriminazioni, il divieto di creare condizioni sfavorevoli, la durata del tempo di lavoro e del tempo di riposo, la retribuzione del lavoro, la responsabilità materiale dei lavoratori e i termini, si applicano ai rapporti giuridici del pubblico impiego statale qualora non siano disciplinati dalla presente legge».

    Procedimento principale e questioni pregiudiziali

    15

    Si evince dalla decisione di rinvio che, con decisione del Lauku atbalsta dienests del 14 novembre 2005, la sig.ra Riežniece è stata nominata su un posto di consulente principale in seno alla sezione giuridica del dipartimento amministrativo.

    16

    Nel corso del 2006, la sig.ra Riežniece, in quanto dipendente di ruolo, è stata oggetto di una valutazione annuale diretta a valutare la qualità del suo lavoro nonché a migliorare e a promuovere la sua evoluzione professionale (in prosieguo: la «valutazione del 2006»). Nel caso di specie, il questionario di valutazione comprendeva cinque criteri, ognuno dei quali costituito da vari sotto criteri. Tale valutazione si è tradotta nell’attribuzione di un voto globale.

    17

    La sig.ra Riežniece ha usufruito di un congedo parentale dal 14 novembre 2007 al 6 maggio 2009.

    18

    Nel corso del 2009, nell’ambito di una riorganizzazione strutturale del Lauku atbalsta dienests, è stato soppresso un posto di consulente principale presso la sezione per gli affari giuridici del dipartimento amministrativo, ma non avendo di mira un dipendente in particolare.

    19

    Per individuare la persona interessata il cui posto andava soppresso, sono stati valutati quattro dipendenti, tra cui la sig.ra Riežniece, in ordine al loro lavoro e ai loro meriti secondo criteri identici e uno stesso parametro di valutazione (in prosieguo: la «valutazione del 2009»). Degli otto criteri utilizzati per tale valutazione rispetto a quelli utilizzati nel 2006 tre erano nuovi mentre gli altri cinque esistevano già come tali o come componente di un criterio esistente. Due dei criteri utilizzati per la valutazione del 2006 non sono stati invece presi in considerazione nel 2009.

    20

    Per quanto concerne i due dipendenti valutati nel 2009, un uomo e una donna in stato di servizio attivo, tale valutazione si è riferita al periodo dal 1o febbraio 2008 al 26 febbraio 2009.

    21

    Quanto alla sig.ra Riežniece e a un’altra lavoratrice, che aveva preso un congedo parentale, detta valutazione è stata realizzata sulla base dei risultati della valutazione annuale precedente al congedo. La sig.ra Riežniece, che ha ottenuto un voto complessivo inferiore a quello attribuitole nell’ultima valutazione del 2006, è risultata all’ultimo posto. L’altra lavoratrice che aveva fruito del congedo parentale ha ottenuto il miglior voto complessivo, a parità con l’altra lavoratrice in servizio attivo.

    22

    Di conseguenza, il 7 maggio 2009, il Lauku atbalsta dienests ha comunicato alla sig.ra Riežniece un avviso relativo alla cessazione del suo impiego a causa della soppressione del suo posto di lavoro. Con tale avviso il Lauku atbalsta dienests le ha contestualmente proposto un posto di consulente principale presso la sezione per lo sviluppo dei sistemi informativi del dipartimento per l’informazione. La sig.ra Riežniece ha immediatamente dato il suo consenso a essere trasferita verso quest’altro posto di lavoro.

    23

    Il 18 maggio 2009, a causa di difficoltà economiche a livello nazionale, sono state adottate nuove misure implicanti cambiamenti strutturali in seno al Lauku atbalsta dienests.

    24

    Il 26 maggio 2009 il Lauku atbalsta dienests ha comunicato alla sig.ra Riežniece un avviso relativo alla cessazione del suo impiego nella pubblica amministrazione statale data la soppressione del suo posto di lavoro presso la sezione per lo sviluppo dei sistemi informativi del dipartimento per l’informazione. La sig.ra Riežniece ha quindi cessato il suo rapporto di servizio con la pubblica amministrazione statale, provvedimento la cui legittimità è stata confermata con una decisione del Zemkopības ministrija.

    25

    La sig.ra Riežniece ha proposto ricorso dinanzi all’Administratīvā rajona tiesa (tribunale amministrativo distrettuale) diretto a far dichiarare l’illegittimità della decisione del Zemkopības ministrija che aveva confermato l’avviso del Lauku atbalsta dienests del 26 maggio 2009 e a ottenere il risarcimento dei danni materiali e morali nonché il rimborso delle spese di giustizia da lei sostenute. Con pronuncia del 21 ottobre 2009, l’Administratīvā rajona tiesa ha parzialmente accolto il ricorso della sig.ra Riežniece.

    26

    Con sentenza del 20 dicembre 2010, l’Administratīvā apgabaltiesa (corte amministrativa regionale), investita dell’appello della sig.ra Riežniece e dell’appello incidentale del Zemkopības ministrija, ha respinto il ricorso della signora.

    27

    L’Administratīvā apgabaltiesa ha considerato, da un lato, che la sig.ra Riežniece era stata valutata in modo obiettivo quanto al suo lavoro e ai suoi meriti. Essa ha ritenuto, da un lato, che, proponendo un altro posto alla sig.ra Riežniece quando è tornata a lavorare, l’amministrazione aveva agito in maniera legittima, in particolare, per il fatto che il Lauku atbalsta dienests non poteva prevedere che la sezione per lo sviluppo dei sistemi informativi del dipartimento per l’informazione e gli afferenti posti di dipendente sarebbero stati soppressi.

    28

    La sig.ra Riežniece ha proposto ricorso per cassazione contro la sentenza dell’Administratīvā apgabaltiesa dinanzi all’Augstākās tiesas Senāts (Senato della Corte suprema). Essa ha sostenuto, in particolare, che, conformemente al diritto dell’Unione, i lavoratori che prendono un congedo parentale hanno diritto, finito il congedo, a essere reintegrati sul proprio posto di lavoro o su un posto equivalente. Per questo motivo, l’Administratīvā apgabaltiesa avrebbe commesso un errore nel considerare che il Lauku atbalsta dienests avesse la facoltà di estinguere il rapporto giuridico della ricorrente con l’amministrazione pubblica o di trasferirla su un altro posto. Inoltre, tale giudice avrebbe erroneamente interpretato il divieto di discriminazione ritenendo possibile valutare lavoratori in servizio e lavoratori in congedo parentale in base a criteri diversi.

    29

    L’Augstākās tiesas Senāts ha pertanto deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

    «1)

    Se le disposizioni della direttiva (...) 76/207 (...) e quelle dell’accordo quadro [sul congedo parentale] debbano essere interpretate nel senso che esse ostano a qualsiasi azione intrapresa dal datore di lavoro (in particolare la valutazione del dipendente effettuata in sua assenza) che abbia come risultato che una donna in congedo parentale, dopo essere rientrata al lavoro, possa perdere il suo posto.

    2)

    Se la risposta alla precedente questione sarebbe diversa qualora il motivo di tale azione del datore di lavoro sia da rinvenire nel fatto che, a causa della recessione economica dello Stato, in tutte le amministrazioni dello Stato si è provveduto all’ottimizzazione dell’organico e alla soppressione di posti di lavoro.

    3)

    Se debba considerarsi una discriminazione indiretta la valutazione del lavoro e dei meriti [di una lavoratrice] che tenga conto della sua ultima valutazione annuale, dello svolgimento delle sue mansioni di funzionaria, e dei risultati da lei ottenuti prima del congedo parentale, rispetto alla valutazione, effettuata in base a nuovi criteri, del lavoro e dei meriti di altri funzionari rimasti in servizio attivo (e che hanno usufruito peraltro della possibilità di aumentare i propri meriti)».

    Sulle questioni pregiudiziali

    30

    Con le tre questioni, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la direttiva 76/207 e l’accordo quadro sul congedo parentale debbano essere interpretati nel senso di ostare a che:

    ai fini della valutazione di lavoratori nel contesto della soppressione di posti di dipendenti pubblici per difficoltà economiche a livello nazionale, una lavoratrice che ha preso un congedo parentale sia valutata in sua assenza sulla base dell’ultima valutazione annuale precedente la fruizione del suo congedo parentale, applicando nuovi criteri, mentre i lavoratori rimasti in servizio sono valutati su un periodo più recente e,

    tale lavoratrice, trasferita su un altro posto di lavoro al termine del suo congedo parentale e in esito a tale valutazione, sia licenziata perché questo nuovo posto di lavoro viene soppresso.

    31

    Come risulta dal primo comma del preambolo dell’accordo quadro sul congedo parentale e dal punto 5 delle sue considerazioni generali, detto accordo quadro costituisce un impegno delle parti sociali a porre in atto, con prescrizioni minime, misure per promuovere la parità di opportunità e di trattamento tra gli uomini e le donne, offrendo loro la possibilità di conciliare le loro responsabilità professionali con gli impegni familiari (sentenze del 22 ottobre 2009, Meerts, C-116/08, Racc. pag. I-10063, punto 35, e del 16 settembre 2010, Chatzi, C-149/10, Racc. pag. I-8489, punto 56).

    32

    In quest’ottica, l’accordo quadro sul congedo parentale consente ai neo-genitori di interrompere l’attività professionale per dedicarsi alle responsabilità familiari, con la garanzia, sancita nella clausola 2, punto 5, di tale accordo, che, al termine di detto congedo, ritroveranno il loro posto di lavoro. Per un periodo liberamente stabilito da ogni Stato membro nel rispetto di una durata minima di tre mesi e secondo modalità lasciate alla discrezionalità dei legislatori nazionali, i neo-genitori hanno così la possibilità di fornire al figlio l’assistenza che la sua età richiede e di organizzare la vita familiare nella prospettiva del loro ritorno alla vita professionale (sentenza Chatzi, cit., punto 57).

    33

    Occorre esaminare, in primo luogo, in che misura un datore di lavoro, nel contesto della soppressione di un posto di lavoro, possa procedere alla valutazione di un lavoratore che ha preso un congedo parentale.

    34

    Come esposto nella clausola 2, punto 4, dell’accordo quadro sul congedo parentale, i lavoratori devono essere protetti dal licenziamento «causato» dalla domanda o dalla fruizione del congedo parentale, secondo la legge, i contratti collettivi o la prassi nazionale.

    35

    Risulta da tale disposizione che, in circostanze quali quelle della causa principale, al datore di lavoro non è fatto divieto, nel rispetto della clausola 2, punto 5, dell’accordo quadro sul congedo parentale, licenziare un lavoratore che ha preso un congedo parentale se il licenziamento non è stato causato dalla domanda o dalla fruizione di detto congedo.

    36

    Di conseguenza, l’accordo quadro sul congedo parentale non osta a che un datore di lavoro, nel contesto della soppressione di un posto di lavoro, proceda alla valutazione di un lavoratore che ha preso un congedo parentale per trasferirlo su un posto equivalente o analogo che corrisponde al suo contratto o al suo rapporto di lavoro. Ciò vale anche nel caso in cui il datore di lavoro intenda ridurre il numero di lavoratori in tutte le amministrazioni dello Stato a causa di difficoltà economiche a livello nazionale. Infatti, per una gestione razionale della sua azienda, un datore di lavoro è libero di riorganizzare i propri servizi, a condizione di rispettare le vigenti disposizioni del diritto dell’Unione.

    37

    Occorre esaminare, in secondo luogo, in che misura, nel contesto della soppressione di un posto di lavoro, la valutazione di un lavoratore di sesso femminile che ha fruito di un congedo parentale possa integrare la violazione del divieto di discriminazione.

    38

    A tale riguardo si deve ricordare che l’articolo 3, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 76/207 vieta le discriminazioni fondate sul sesso per quanto riguarda le condizioni di lavoro, tra cui rientrano le condizioni applicabili alla reintegrazione nel posto di lavoro di un lavoratore che ha fruito di un congedo parentale (v., in tal senso, sentenza del 27 febbraio 2003, Busch, C-320/01, Racc. pag. I-2041, punto 38).

    39

    Da costante giurisprudenza della Corte risulta che vi è discriminazione indiretta quando l’applicazione di un provvedimento nazionale, pur formulato in modo neutro, di fatto sfavorisce un numero molto più alto di donne che di uomini (v., in particolare, sentenze del 2 ottobre 1997, Gerster, C-1/95, Racc. pag. I-5253, punto 30, e del 20 ottobre 2011, Brachner, C-123/10, Racc. pag. I-10003, punto 56).

    40

    Peraltro, come la Corte ha già rilevato nella sentenza del 21 ottobre 1999, Lewen (C-333/97, Racc. pag. I-7243, punto 35), fondandosi sulle precisazioni del giudice nazionale, le donne ricorrono più spesso al congedo parentale rispetto agli uomini. Spetta al giudice del rinvio verificare se, nello Stato membro interessato, ricorrono al congedo parentale molte più donne che uomini, cosicché le prime risultano maggiormente esposte a provvedimenti quali quelli di cui alla causa principale.

    41

    Supponendo che sia questo il caso, ne deriva, come sostengono i governi lettone e polacco nonché la Commissione europea, che, per evitare qualsiasi discriminazione e garantire la parità di opportunità tra gli uomini e le donne, il metodo di valutazione dei lavoratori nel contesto della soppressione di un posto non deve mettere i lavoratori che hanno preso un congedo parentale in una situazione svantaggiata rispetto ai lavoratori che non hanno fruito di un tale congedo.

    42

    Nella causa principale, il datore di lavoro ha valutato i lavoratori interessati riguardo al loro ultimo periodo di lavoro effettivo. A questo proposito, occorre rilevare che, sebbene la valutazione dei lavoratori su due periodi differenti costituisca una soluzione imperfetta, essa risulta nondimeno un metodo appropriato, posto che i lavoratori che hanno fruito di un congedo parentale sono assenti per il periodo immediatamente antecedente alla valutazione, purché i criteri di valutazione utilizzati non siano tali da sfavorire simili lavoratori.

    43

    Per non mettere i lavoratori che hanno fruito di un congedo parentale in una tale situazione svantaggiata, la valutazione deve rispettare un certo numero di condizioni. In particolare, essa deve riguardare l’insieme dei lavoratori potenzialmente coinvolti dalla misura della soppressione del posto di lavoro. Una valutazione del genere deve anche fondarsi su criteri rigorosamente identici a quelli che si applicano ai lavoratori in servizio attivo. Inoltre, per adottare tali criteri non deve essere necessaria la presenza fisica dei lavoratori, condizione che il lavoratore in congedo parentale non può soddisfare.

    44

    Nel caso di specie occorre rilevare che i cinque criteri utilizzati per la valutazione del 2006 coincidono solo in parte con gli otto criteri su cui si è basata la valutazione del 2009. Inoltre, tali due valutazioni non si prefiggevano il medesimo obiettivo, dato che la prima era volta a valutare la qualità del lavoro e a promuovere lo sviluppo professionale, mentre la seconda avveniva nel contesto della soppressione di un posto di lavoro.

    45

    Ciò detto, il giudice del rinvio deve verificare in particolare, da un lato, che la valutazione del 2009 sia stata fatta in modo che il voto complessivo attribuito alla sig.ra Riežniece non fosse conseguenza dell’applicazione di criteri che la signora non poteva soddisfare essendo stata assente dal lavoro e, dall’altro, che i suoi risultati della valutazione del 2006 siano stati impiegati in maniera obiettiva ai fini della valutazione del 2009.

    46

    Inoltre, nella terza questione il giudice del rinvio si fonda sul postulato secondo cui il fatto di essere rimasti in servizio attivo ha permesso ai funzionari interessati di aumentare i propri meriti. In tal senso, il governo dei Paesi Bassi sostiene che la sig.ra Riežniece, essendo stata privata della possibilità di migliorare il proprio lavoro, è stata svantaggiata rispetto ai suoi colleghi che non hanno preso un congedo parentale.

    47

    Su questo argomento occorre rilevare che, certamente i lavoratori rimasti in servizio attivo hanno avuto la possibilità, diversamente da coloro che hanno preso un congedo parentale, di acquisire maggiore esperienza, la quale generalmente pone il lavoratore in grado di espletare meglio le proprie mansioni (v., in tal senso, sentenza del 3 ottobre 2006, Cadman, C-17/05, Racc. pag. I-9583, punti 34 e 35). Cionondimeno, il fatto di espletare meglio le proprie mansioni è una mera possibilità per i lavoratori rimasti in servizio attivo, dato che la sola presenza fisica al lavoro non è garanzia di miglioramento effettivo dei risultati di un lavoratore.

    48

    Alla luce di quanto precede, si deve affermare che, in relazione alla causa principale, nel caso in cui i principi e i criteri di valutazione elencati al punto 43 della presente sentenza non fossero stati rispettati in occasione della valutazione del 2009, svantaggiando così la sig.ra Riežniece, si configurerebbe una discriminazione indiretta, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, della direttiva 76/207, circostanza che spetta al giudice nazionale verificare.

    49

    In terzo luogo, bisogna esaminare in che misura il datore di lavoro della sig.ra Riežniece potesse trasferirla su un altro posto di lavoro in esito ai risultati della valutazione del 2009.

    50

    Ai sensi della clausola 2, punto 5, dell’accordo quadro sul congedo parentale, al termine del congedo parentale, il lavoratore ha diritto di ritornare allo stesso posto di lavoro o, qualora ciò non sia possibile, ad un lavoro equivalente o analogo che corrisponde al suo contratto o al suo rapporto di lavoro.

    51

    Spetta dunque al giudice del rinvio verificare se, in circostanze quali quelle della causa principale, per il datore di lavoro non fosse possibile far ritornare la sig.ra Riežniece sul suo posto di lavoro e, in caso affermativo, se il lavoro attribuitole fosse equivalente o analogo e corrispondente al suo contratto o al suo rapporto di lavoro.

    52

    In particolare, la sig.ra Riežniece davanti al giudice del rinvio ha sostenuto che il Lauku atbalsta dienests sapeva dei futuri cambiamenti strutturali in seno al dipartimento dell’informazione e che, proponendole un posto di cui era già stata programmata la soppressione, il Lauku atbalsta dienests non aveva rispettato l’obbligo di assegnarle un posto equivalente.

    53

    Qualora sia confermato che così è stato, è giocoforza dichiarare che una simile circostanza, in grado di privare l’interessata della tutela garantitale dalla clausola 2, punti 4 e 5, dell’accordo quadro sul congedo parentale, non può essere accettata.

    54

    Infatti, il datore di lavoro non può vanificare il diritto di cui gode un lavoratore che ha fruito di un congedo parentale di essere trasferito su un altro posto di lavoro, alle condizioni di cui alla clausola 2, punto 5, dell’accordo quadro sul congedo parentale, proponendo a detto lavoratore un posto destinato a essere soppresso.

    55

    Pertanto, spetta in particolare al giudice del rinvio verificare se il datore di lavoro della sig.ra Riežniece sapesse, quando le ha proposto un nuovo posto di lavoro, che tale posto era destinato a essere soppresso, il che ha comportato il licenziamento della signora.

    56

    Alle luce delle osservazioni che precedono, occorre rispondere alle questioni sollevate dichiarando che la direttiva 76/207, qualora si supponga che molte più donne che uomini usufruiscono di un congedo parentale, circostanza che spetta al giudice nazionale verificare, e l’accordo quadro sul congedo parentale, di cui all’allegato della direttiva 96/34, devono essere interpretati nel senso di ostare a che:

    ai fini della valutazione dei lavoratori nel contesto della soppressione di posti di dipendenti pubblici per difficoltà economiche a livello nazionale, un lavoratore che ha fruito di un congedo parentale sia valutato in sua assenza sulla base di principi e criteri di valutazione che lo pongano in una situazione svantaggiosa rispetto ai lavoratori che non hanno fruito di un congedo del genere; per verificare che ciò non sia avvenuto, il giudice nazionale deve sincerarsi in particolare del fatto che la valutazione riguardi l’insieme dei lavoratori potenzialmente coinvolti dalla misura della soppressione del posto di lavoro, che essa sia fondata su criteri rigorosamente identici a quelli che si applicano ai lavoratori in servizio attivo e che per l’applicazione di tali criteri non sia necessaria la presenza fisica dei lavoratori in congedo parentale, e

    una lavoratrice, che è stata trasferita su un altro posto di lavoro al termine del suo congedo parentale e in esito a tale valutazione, sia licenziata perché questo nuovo posto di lavoro viene soppresso, qualora per il datore di lavoro non fosse impossibile farla tornare sul suo precedente posto di lavoro o qualora il lavoro assegnatole non fosse equivalente o analogo e corrispondente al suo contratto o al suo rapporto di lavoro, in particolare per il fatto che, al momento del trasferimento, il datore di lavoro sapeva che il nuovo posto di lavoro era destinato a essere soppresso, circostanza che spetta al giudice nazionale appurare.

    Sulle spese

    57

    Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

     

    Per questi motivi, la Corte (Quarta Sezione) dichiara:

     

    La direttiva 76/207/CEE del Consiglio, del 9 febbraio 1976, relativa all’attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro, come modificata dalla direttiva 2002/73/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 settembre 2002, supponendo che molte più donne che uomini fruiscano di un congedo parentale, circostanza che spetta al giudice nazionale verificare, e l’accordo quadro sul congedo parentale, concluso il 14 dicembre 1995, contenuto nell’allegato della direttiva 96/34/CE del Consiglio, del 3 giugno 1996, concernente l’accordo quadro sul congedo parentale concluso dall’UNICE, dal CEEP e dalla CES, come modificata dalla direttiva 97/75/CE del Consiglio, del 15 dicembre 1997, devono essere interpretati nel senso di ostare a che:

     

    ai fini della valutazione dei lavoratori nel contesto della soppressione di posti di dipendenti pubblici per difficoltà economiche a livello nazionale, un lavoratore che ha fruito di un congedo parentale sia valutato in sua assenza sulla base di principi e criteri di valutazione che lo pongano in una situazione svantaggiosa rispetto ai lavoratori che non hanno fruito di un congedo del genere; per verificare che ciò non sia avvenuto, il giudice nazionale deve sincerarsi in particolare del fatto che la valutazione riguardi l’insieme dei lavoratori potenzialmente coinvolti dalla misura della soppressione del posto di lavoro, che essa sia fondata su criteri rigorosamente identici a quelli che si applicano ai lavoratori in servizio attivo e che per l’applicazione di tali criteri non sia necessaria la presenza fisica dei lavoratori in congedo parentale, e,

     

    una lavoratrice, che è stata trasferita su un altro posto di lavoro al termine del suo congedo parentale e in esito a tale valutazione, sia licenziata perché questo nuovo posto di lavoro viene soppresso, qualora per il datore di lavoro non fosse impossibile farla tornare sul suo precedente posto di lavoro o qualora il lavoro assegnatole non fosse equivalente o analogo e corrispondente al suo contratto o al suo rapporto di lavoro, in particolare per il fatto che, al momento del trasferimento, il datore di lavoro sapeva che il nuovo posto di lavoro era destinato a essere soppresso, circostanza che spetta al giudice nazionale appurare.

     

    Firme


    ( *1 ) Lingua processuale: il lettone.

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