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Documento 62009CC0521
Opinion of Mr Advocate General Mengozzi delivered on 17 February 2011. # Elf Aquitaine SA v European Commission. # Appeal. # Case C-521/09 P.
Conclusioni dell'avvocato generale Mengozzi del 17 febbraio 2011.
Elf Aquitaine SA contro Commissione europea.
Impugnazione - Intese - Artt. 81 CE e 53 dell’accordo SEE - Mercato dell’acido monocloroacetico - Norme relative all’imputabilità delle pratiche anticoncorrenziali di una controllata alla sua società controllante - Presunzione dell’esercizio effettivo di un’influenza determinante - Diritti della difesa - Obbligo di motivazione.
Causa C-521/09 P.
Conclusioni dell'avvocato generale Mengozzi del 17 febbraio 2011.
Elf Aquitaine SA contro Commissione europea.
Impugnazione - Intese - Artt. 81 CE e 53 dell’accordo SEE - Mercato dell’acido monocloroacetico - Norme relative all’imputabilità delle pratiche anticoncorrenziali di una controllata alla sua società controllante - Presunzione dell’esercizio effettivo di un’influenza determinante - Diritti della difesa - Obbligo di motivazione.
Causa C-521/09 P.
Raccolta della Giurisprudenza 2011 I-08947
Identificatore ECLI: ECLI:EU:C:2011:89
CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE
PAOLO Mengozzi
Presentate il 17 febbraio 2011 (1)
Causa C‑521/09 P
Elf Aquitaine SA
contro
Commissione europea
«Impugnazione – Intese – Mercato europeo dell’acido monocloroacetico – Regole relative all’imputabilità delle pratiche anticoncorrenziali della filiale alla società madre – Principi della presunzione d’innocenza e della personalità delle pene – Diritti della difesa – Obbligo di motivazione»
1. L’impugnazione oggetto del presente giudizio, promossa da Elf Aquitaine SA (in prosieguo: «Elf Aquitaine» o la «ricorrente»), è diretta contro la sentenza con cui il Tribunale ha respinto il ricorso d’annullamento introdotto da Elf Aquitaine avverso la decisione del 19 gennaio 2005 (2) (in prosieguo: la «Decisione»), in cui la Commissione constatava che un certo numero di imprese, tra cui quella composta dalla ricorrente e dalla sua filiale Arkema SA, precedentemente Elf Atochem SA e poi Atofina SA (in prosieguo: «Arkema», «Elf Atochem» e «Atofina»), avevano infranto l’art. 81, n. 1, CE (divenuto art. 101 TFUE) e l’art. 53, n. 1, dell’accordo SEE per aver preso parte a un’intesa sul mercato dell’acido monocloroacetico (in prosieguo: la «sentenza impugnata») (3).
I – Gli antecedenti della controversia, la sentenza impugnata, il procedimento dinanzi alla Corte e le conclusioni delle parti
2. Secondo quanto figura ai punti 3 e segg. della sentenza impugnata, l’inchiesta della Commissione sul cartello dell’acido monocloroaceatico è iniziata alla fine del 1999, a seguito della denuncia di una delle imprese partecipanti all’intesa. Il 14 e il 15 marzo 2000, la Commissione ha effettuato dei sopralluoghi nei locali, tra l’altro, di Elf Atochem. Il 7 e l’8 aprile 2004, essa ha inviato una comunicazione degli addebiti (CA) a dodici società, tra cui Elf Aquitaine e Atofina (punti 3‑5 della sentenza impugnata).
3. Nella Decisione, la Commissione, respingendo gli argomenti contrari avanzati da Elf Aquitaine, ha ritenuto che il fatto che quest’ultima detenesse il 98% delle azioni di Atofina fosse sufficiente ad imputarle la responsabilità delle azioni della filiale. Essa ha inoltre considerato che la circostanza che Elf Aquitaine non avesse partecipato alla produzione e alla commercializzazione dell’acido monocloroacetico non impedisse di considerarla come un’unica entità economica con le unità operative del gruppo (punti 9 e 12 della sentenza impugnata). L’ammenda inflitta nella Decisione a Elf Aquitaine e Arkema, a titolo di responsabilità congiunta e solidale, ammonta a EUR 45 milioni [art. 2, lett. c), della Decisione e punto 30 della sentenza impugnata].
4. Il 27 aprile 2005, Elf Aquitaine ha introdotto un ricorso d’annullamento contro la Decisione. A sostegno del suo ricorso essa ha sollevato nove motivi a titolo principale, relativi, rispettivamente, a una violazione dei diritti della difesa, a un’insufficienza di motivazione, alla contraddittorietà dei motivi, a una violazione delle regole che governano l’imputabilità alla società madre delle infrazioni commesse dalla filiale, a una violazione di diversi principi essenziali facenti parte integrante dell’ordinamento giuridico comunitario, a una violazione del principio di buona amministrazione, a una violazione del principio di certezza del diritto, a uno snaturamento delle prove e a uno sviamento di potere. Essa ha inoltre sollevato un motivo a titolo sussidiario, relativo all’assenza di coerenza del ragionamento svolto dalla Commissione nel calcolo delle ammende, e uno a titolo ancora più sussidiario, diretto ad ottenere una riduzione dell’ammenda a un livello appropriato. Nella sentenza impugnata, il Tribunale ha respinto l’insieme dei motivi presentati a titolo sia principale che subordinato e ha condannato la ricorrente alle spese.
5. Con atto depositato nella cancelleria della Corte il 15 dicembre 2009, la ricorrente ha promosso l’impugnazione oggetto del presente giudizio. Essa chiede alla Corte, a titolo principale, di annullare la sentenza impugnata e di accogliere le conclusioni presentate in primo grado e dirette all’annullamento degli artt. 1, lett. d), 2, lett. c), 3 e 4, n. 9, della Decisione. A titolo subordinato, essa chiede alla Corte di annullare o ridurre, sul fondamento dell’art. 261 TFUE, l’ammenda di EUR 45 milioni inflitta congiuntamente e solidarmente a Arkema e a Elf Aquitaine in base all’art. 2, lett. c), della Decisione. In ogni caso, essa conclude per la condanna della Commissione alle spese. Quest’ultima chiede alla Corte di respingere l’impugnazione e di condannare la ricorrente alle spese.
6. I rappresentati delle parti sono stati sentiti all’udienza svoltasi il 25 novembre 2010.
II – Analisi
A – Sull’impugnazione
7. A sostegno della sua impugnazione, Elf Aquitaine solleva sei motivi, i primi cinque a titolo principale e il sesto a titolo subordinato.
1. Sul primo motivo d’impugnazione
8. Con il suo primo motivo d’impugnazione, la ricorrente censura il Tribunale per non aver tratto le debite conseguenze dalla natura penale delle ammende irrogate in applicazione dell’art. 101 TFUE. Una tale natura avrebbe dovuto indurre il giudice di primo grado ad applicare pienamente i principi della personalità della responsabilità penale e delle pene e della presunzione d’innocenza, sanciti all’art. 6, nn. 1 e 2, della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) (4). Il Tribunale avrebbe invece erroneamente applicato tali principi unicamente a un’entità priva di personalità giuridica, l’impresa Atofina/Elf Aquitaine, e non alle società che, a suo giudizio, la componevano, unici soggetti di diritto. Tale approccio avrebbe, nello specifico, indotto il Tribunale, da un lato, a negare alla ricorrente il beneficio della presunzione d’innocenza, non implicandola nell’inchiesta preliminare, e, dall’altro, a escluderla dall’applicazione dei principi della personalità della responsabilità penale e delle pene, rigettando gli elementi da questa apportati per dimostrare la sua completa estraneità alla commissione dell’infrazione nonché l’autonomia di comportamento sul mercato della sua filiale. La Commissione osserva, a titolo preliminare, che la questione della natura delle ammende inflitte per violazione delle regole di concorrenza, sulla quale la Corte si è finora astenuta dal prendere posizione in modo esplicito, può, nella specie, essere lasciata aperta, poiché i diritti che derivano da una tale qualificazione, quali i diritti della difesa e la presunzione d’innocenza, sono comunque riconosciuti e garantiti dalla giurisprudenza.
9. Come la Commissione, ritengo che la Corte non sia tenuta, nel caso di specie, a prendere espressamente posizione sulla questione della natura delle ammende irrogate per infrazione alle regole di concorrenza, le quali, lo ricordo, sono espressamente qualificate come non penali dall’art. 23, n. 5, del regolamento n. 1/2003 (5). In effetti, con il suo primo motivo d’impugnazione, la ricorrente non contesta al Tribunale di aver negato la natura penale di tali ammende, ma di aver violato i diritti fondamentali di cui essa beneficia in quanto persona morale ritenuta responsabile di un’infrazione cui si ricollegano sanzioni, a suo avviso, di carattere penale. Orbene, a ben vedere, le specifiche censure avanzate da Elf Aquitaine nell’ambito di tale motivo si sovrappongono in larga misura a quelle sollevate nei restanti motivi d’impugnazione e, in particolare, nel secondo, con il quale si lamenta la violazione dei diritti della difesa in cui il Tribunale sarebbe incorso negando alla ricorrente il diritto a un coinvolgimento nell’indagine preliminare, e nel quinto, in cui è invocata una violazione dei principi della personalità della responsabilità penale e delle pene e di presunzione d’innocenza derivante dal carattere di fatto insuperabile della presunzione su cui si è fondata la Commissione per stabilire la responsabilità di Elf Aquitaine per il comportamento di Atofina. Ne consegue che il primo motivo d’impugnazione non ha una sua reale autonomia, se non per quanto concerne l’allegazione secondo cui il Tribunale avrebbe a torto applicato i diritti fondamentali invocati dalla ricorrente all’impresa costituita dalla Elf Aquitaine e dalla sua filiale e non alla sola ricorrente. Anche tale allegazione mira tuttavia, come si vedrà meglio in seguito, a far valere una violazione sostanziale di tali diritti ed è ripetuta in vari passaggi dell’impugnazione.
10. Sulla base di quanto precede, ritengo che il primo motivo d’impugnazione non necessiti di un esame distinto, in particolare, da quello del secondo e del quinto motivo. Le censure sollevate nel quadro di questi due motivi saranno esaminate assumendo come corretta la premessa di fondo da cui muove la ricorrente, vale a dire che le sanzioni per infrazione alle regole dell’Unione in materia di concorrenza hanno carattere penale.
2. Sul secondo motivo d’impugnazione, relativo a una violazione dei diritti della difesa della ricorrente
11. Nel quadro del suo secondo motivo d’impugnazione, Elf Aquitaine contesta al Tribunale una violazione dei suoi diritti della difesa risultante da un’erronea interpretazione dei principi di equità e di parità delle armi. Tale motivo si articola in due censure.
a) Sulla prima censura
12. La ricorrente contesta anzitutto al Tribunale di non aver garantito la tutela dei suoi diritti della difesa già nella fase dell’indagine preliminare, antecedente all’invio della CA. In tale fase della procedura amministrativa, la ricorrente non solo non sarebbe stata sentita dalla Commissione, ma non sarebbe neanche stata informata dei sospetti a suo carico. Nella specie, secondo la ricorrente, il rispetto di tali esigenze si imponeva a maggior ragione nei suoi confronti, dal momento che essa non ha preso parte all’infrazione e ne ignorava la stessa esistenza. Inoltre, l’informazione tardiva (allo stadio della CA) dell’esistenza di un’indagine nei suoi confronti non le avrebbe permesso di prendere le misure necessarie a disporre utilmente la sua difesa, in particolare per quanto concerne la conservazione di eventuali prove dirette a dimostrare l’autonomia della sua filiale sul mercato. Limitare l’esercizio dei diritti della difesa alla sola fase successiva all’invio della CA sarebbe in contrasto con la natura penale delle sanzioni imposte in applicazione dell’art. 101 TFUE. Nella replica, la ricorrente invoca, in particolare, a sostegno delle sue argomentazioni le «Best Practices on the Conduct of Proceedings concerning Articles 101 e 102 TFEU» della Commissione, pubblicate in gennaio 2010 (in prosieguo le: «Best Practices»).
13. L’esame di tale censura richiede anzitutto di stabilire se, ed entro che limiti, al fine di rispettare i diritti della difesa delle imprese coinvolte in un procedimento per infrazione alle regole di concorrenza, la Commissione è tenuta, già allo stadio dell’avvio dell’indagine preliminare, e dunque prima dell’invio della CA, a informare tali imprese dei sospetti che pesano su di esse.
14. In proposito ricordo che, secondo una giurisprudenza costante, i diritti della difesa in qualsiasi procedimento suscettibile di concludersi con l’irrogazione di sanzioni, in particolare ammende o penalità di mora, come quelle previste dal regolamento n. 1/2003, sono diritti fondamentali che fanno parte integrante dei principi generali del diritto dei quali il giudice comunitario garantisce l’osservanza (6). Occorre inoltre ricordare che il procedimento amministrativo ai sensi del regolamento n. 1/2003, che si svolge dinanzi alla Commissione, si suddivide in due fasi distinte e successive ciascuna delle quali risponde ad una propria logica interna. La prima fase, che si estende fino alla CA, ha come termine iniziale la data in cui la Commissione, nell’esercizio dei poteri conferitile dal regolamento n. 1/2003 nell’ambito di un’indagine preliminare, adotta misure che implicano l’addebito di una violazione e che determinano importanti ripercussioni sulla situazione delle imprese sospettate. Tale fase deve consentire alla Commissione, dopo lo svolgimento dell’attività investigativa, di prendere posizione circa il seguito del procedimento. La seconda fase si estende dalla CA all’adozione della decisione finale. Essa deve consentire alla Commissione di pronunciarsi definitivamente sulla violazione contestata (7). È solo all’inizio di questa seconda fase che l’impresa interessata viene informata, mediante la comunicazione degli addebiti, di tutti gli elementi essenziali su cui si fonda la Commissione e dispone di un diritto di accesso al fascicolo (8). Secondo quanto precisato dalla Corte nella sentenza Dalmine, solo dopo l’invio della CA l’impresa interessata può pienamente avvalersi dei propri diritti della difesa (9) e sono proprio l’invio della CA, da un lato, e l’accesso al fascicolo, dall’altro, a garantire tali diritti e il diritto a un equo processo (10). Nella medesima sentenza, la Corte ha peraltro rilevato che, laddove i diritti della difesa delle imprese fossero estesi alla fase che precede l’invio della comunicazione degli addebiti, «l’efficacia dell’indagine della Commissione risulterebbe compromessa, in quanto l’impresa interessata sarebbe in grado, già dalla fase d’indagine preliminare, di identificare le informazioni note alla Commissione e, pertanto, quelle che possono esserle ancora nascoste» (11).
15. Nel caso di specie, la ricorrente censura il Tribunale per non aver riconosciuto che la Commissione fosse tenuta a informarla, fin dalla fase dell’indagine preliminare, dell’esistenza di sospetti a suo carico. L’obbligo di cui la ricorrente lamenta la violazione ha dunque carattere più generale rispetto alla comunicazione di singoli elementi di prova raccolti nel corso dell’indagine preliminare e ha ad oggetto l’informazione circa la presunta infrazione oggetto di inchiesta.
16. La Corte non si è ancora espressamente pronunciata in merito all’esistenza di un tale obbligo. La sua giurisprudenza offre tuttavia taluni spunti di analisi. Nella sentenza Hoechst/Commissione, la Corte ha affermato che è necessario evitare che i diritti della difesa «vengano irrimediabilmente compromessi nell'ambito di procedure di indagine previa, fra cui, in particolare, gli accertamenti, che possono essere determinanti per la costituzione di prove attestanti l’illegittimità di comportamenti di imprese che possono farne sorgere la responsabilità» (12). Ne consegue, secondo la Corte, che, anche se taluni diritti della difesa riguardano unicamente i procedimenti in contraddittorio che seguono a una CA, altri diritti, ad esempio quello di fruire dell’assistenza legale e quello del rispetto della riservatezza della corrispondenza fra avvocato e cliente (13), o ancora il diritto a non testimoniare contro se stessi (14), devono essere rispettati già dalla fase dell’indagine preliminare. Riguardo al principio del rispetto di un termine ragionevole, la Corte ha affermato che la durata eccessiva dell’indagine preliminare può influire sulle future possibilità di difesa delle imprese interessate, in particolare ostacolando l’acquisizione di prove volte a confutare l’esistenza di comportamenti idonei a far sorgere la responsabilità delle imprese interessate, e che, «[p]er tale motivo, l’esame relativo a un eventuale ostacolo all’esercizio dei diritti della difesa non deve essere limitato alla fase stessa in cui tali diritti producono il loro pieno effetto, vale a dire la seconda fase del procedimento amministrativo», «ma deve estendersi all’insieme di tale procedimento avendo riguardo alla durata complessiva del medesimo» (15).
17. Nella sentenza AC-Treuhand/Commissione, richiamata dalla ricorrente, il Tribunale ha ritenuto le considerazioni esposte al paragrafo che precede applicabili per analogia alla questione in esame. In particolare, secondo il Tribunale, sebbene «da un punto di vista formale l’impresa interessata non [abbia] lo status di ‘accusato’ durante la fase d’indagine preliminare, l’avvio dell’istruttoria nei suoi confronti, specificamente mediante l’adozione di una misura d’istruzione che la riguardi, non può, in generale, essere dissociata, da un punto di vista materiale, dall’esistenza di un sospetto e, pertanto, da una contestazione implicita (…) che giustifica l’adozione di tale misura» (16). Ne consegue, sempre secondo il Tribunale, che la Commissione è tenuta a fornire all’impresa interessata, fin dallo stadio della fase dell’indagine preliminare, taluni elementi d’informazione sull’oggetto e sullo scopo dell’indagine. Una tale conclusione mi sembra condivisibile. Oltre a discendere dalla centralità del ruolo riconosciuto dalla Corte ai diritti della difesa nel quadro di procedimenti suscettibili di condurre all’irrogazione di una sanzione (17), essa costituisce il logico sviluppo di quanto già affermato dalla stessa Corte riguardo alla necessità di garantire il rispetto di tali diritti già nel corso della fase dell’indagine preliminare in materia di infrazione alle regole di concorrenza.
18. Quanto alla portata del suddetto obbligo, nella medesima sentenza, il Tribunale afferma che la Commissione è tenuta «a informare l’impresa interessata segnatamente dell’oggetto e dello scopo dell’indagine in corso, già sin dal momento della prima misura adottata nei suoi confronti», senza distinguere a seconda che si tratti di richieste di informazioni – informali (ex art. 11, n. 2, del regolamento n. 17/62, ora ex art. 18, nn. 1 e 2, del regolamento n. 1/2003) o mediante l’adozione di una decisione (ex 11, n. 5, del regolamento n. 17/62, ora art. 18, nn. 1 e 3, del regolamento n. 1/2003) – ovvero di decisioni di accertamento (ai sensi dell’art. 14, n. 3, del regolamento n. 17/62, ora art. 20 del regolamento n. 1/2003) (18). Come correttamente evidenziato dalla Commissione nelle sue scritture, nella sentenza AC‑Treuhand, dunque, l’obbligo di informare l’impresa interessata (o le persone giuridiche di cui quest’ultima si compone) è stato ritenuto sussistente a partire dall’adozione nei suoi confronti di una delle misure di istruzione previste dal regolamento n. 1/2003. È, infatti, in corrispondenza di tale atto che la contestazione, seppur implicita, di un’infrazione è per la prima volta mossa all’impresa in questione e che quest’ultima, pur non assumendo ancora lo status di «accusato», risente degli effetti di una tale contestazione.
19. Contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, una tale conclusione appare perfettamente compatibile con le esigenze di cui all’art. 6 CEDU. In base alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, la nozione di «accusa in materia penale» che figura all’art. 6, n. 1, CEDU riveste carattere autonomo (19). Emerge inoltre dalla giurisprudenza di detta Corte, relativa segnatamente alla durata del procedimento, che le garanzie di cui all’art. 6 CEDU si applicano in ambito penale dal momento in cui una persona si trova ufficialmente sotto «accusa» (20). Tale nozione si riferisce alla notifica ufficiale da parte dell’autorità competente della violazione penale contestata (21). In ossequio al ruolo fondamentale che occupa in una società democratica il diritto all’equo processo (22), la Corte europea dei diritti dell’uomo ha optato per una definizione «materiale» e non «formale» della nozione di «accusa» (23). Al di là del dato formale, essa indaga la realtà del procedimento di cui trattasi, fissando la data a partire dalla quale si applicano le garanzie dell’equo processo in corrispondenza dell’adozione da parte delle autorità di atti idonei a produrre «ripercussioni importanti sulla situazione del sospettato» (24), quali, ad esempio, una perquisizione (25).
20. Nel caso di specie, Elf Aquitaine non ha fatto oggetto di alcuna misura d’istruzione nei tre anni intercorsi tra la prima richiesta d’informazioni alla sua filiale Elf Atochem e l’invio della CA (26). Le contestazioni avanzate nei suoi confronti sono state dunque ufficialmente formalizzate solo nella CA. D’altro canto, è verosimile ritenere, come affermato dalla Commissione nel corso dell’udienza, che la responsabilità della ricorrente, non fondata su una sua diretta partecipazione all’intesa, sia venuta in causa solo in una fase tardiva dell’indagine preliminare, nel momento in cui la Commissione ha dovuto identificare, ai fini dell’invio della CA, le entità che componevano le imprese che, a suo avviso, avevano preso parte all’infrazione (27). È dunque solo a partire dalla CA che poteva considerarsi formulata a carico della ricorrente un’«accusa in materia penale» ai sensi dell’art. 6 CEDU ‑ a supporre che tali debbano definirsi le contestazioni d’infrazione alle regole comunitarie sulla concorrenza (v. paragrafo 10 supra) ‑ e che le garanzie previste da tale articolo erano ad essa applicabili.
21. In sede di replica e in udienza, Elf Aquitaine ha fatto specificamente riferimento al n. 3, lett. a), dell’art. 6 CEDU, in base al quale ogni accusato ha diritto «a essere informato, nel più breve tempo possibile, in una lingua a lui comprensibile e in un modo dettagliato, della natura e dei motivi dell’accusa elevata a suo carico». Emerge dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che le garanzie previste da tale disposizione rappresentano un aspetto particolare del diritto a un processo equo, garantito in generale dal n. 1, di tale articolo, e che esse si applicano a partire dal momento in cui la persona assume lo status di «accusato», nozione parimenti da intendersi, ai sensi della Convenzione, come riferita a una situazione materiale e non puramente formale (28). Al riguardo, la giurisprudenza invocata in sede di replica dalla ricorrente non sembra pertinente nel caso di specie. Nella sentenza Salduz, era contestata una violazione dell’art. 6, n. 3, lett c), CEDU per il fatto che il ricorrente era stato privato del diritto di avvalersi dell’assistenza di un avvocato durante un fermo di polizia. I punti 50 e segg., in particolare, il punto 54 della sentenza, specificamente citati dalla ricorrente, si riferiscono alla situazione di una persona oggetto di una misura precautelare – che aveva dunque chiaramente lo status di accusato – sottoposta ad interrogatori di polizia in assenza di un avvocato (29). La sentenza Dayanan riguardava una situazione analoga (30).
22. Quanto all’argomento che Elf Aquitaine trae dalle Best Practices, è sufficiente rilevare che in esse si afferma, rinviando alla sentenza del Tribunale AC‑Treuhand, che le imprese sono informate del fatto che costituiscono oggetto di un’indagine preliminare e dell’oggetto e dello scopo della stessa «al momento della prima misura investigativa presa nei loro confronti» (31). In ogni caso, al paragrafo 5 delle Best Practices, la Commissione chiarisce che esse «riflettono il punto di vista della DG Concorrenza (…) al tempo della [loro] pubblicazione e saranno applicate a partire dalla data di pubblicazione alle vertenze in corso e a quelle future». Alla nota a piè di pagina n. 10 è ulteriormente precisato che, «riguardo alle vertenze in corso al momento della pubblicazione delle Best Practices, queste ultime saranno applicate alle fasi del procedimento pendenti e non a quelle già finalizzate». Ne consegue che le Best Practices non sono comunque applicabili ratione temporis al procedimento che ha condotto all’adozione della Decisione.
23. Elf Aquitaine afferma, infine, che il fatto di non essere stata informata nella fase dell’indagine preliminare dei sospetti che gravavano su di essa ha inciso negativamente sull’esercizio dei suoi diritti della difesa nella successiva fase contraddittoria del procedimento. Al riguardo è giocoforza constatare, come fa la Commissione, che, in ogni caso, una tale allegazione si limita a un generico riferimento al possibile deperimento di eventuali prove atte a dimostrare l’autonomia della propria filiale sul mercato e non è suffragata da alcun elemento di prova.
24. Sulla base dell’insieme delle considerazioni che precedono, la prima censura sollevata dalla ricorrente nel quadro del suo secondo motivo deve, a mio avviso, essere respinta.
b) Sulla seconda censura
25. Nel quadro di tale censura, la ricorrente sostiene, in primo luogo, che, avallando il ricorso a una presunzione di responsabilità che ha permesso alla Commissione di limitarsi alla sola constatazione della detenzione da parte di Elf Aquitaine di una partecipazione quasi totalitaria nel capitale della sua filiale, tralasciando ogni ulteriore atto d’indagine nei suoi confronti, il Tribunale ha negato l’esigenza di un’indagine imparziale, in cui cioè le prove sono raccolte dall’autorità competente sia a carico che a discarico delle imprese sospettate di aver commesso un’infrazione. Al riguardo è sufficiente rilevare che la funzione di una presunzione è proprio quella di consentire a chi è tenuto a provare un fatto di assolvere al proprio onere probatorio apportando la sola prova del presupposto su cui si fonda la presunzione (nella specie la partecipazione totalitaria o quasi-totalitaria della società madre nel capitale della filiale). Affermare che il ricorso a una presunzione è incompatibile con le esigenze di un’indagine condotta in modo imparziale, poiché consente all’autorità che la sovrintende di prescindere dalla ricerca di ulteriori elementi di prova, a carico o a discarico, significa in sostanza negare, in via di principio, la sua stessa ammissibilità. Gli argomenti sollevati dalla ricorrente restano pertanto assorbiti dal suo quinto motivo d’impugnazione, con cui essa contesta la legittimità della presunzione che la Commissione ha fatto valere nei suoi confronti.
26. In secondo luogo, la ricorrente sostiene che l’imparzialità dell’indagine condotta dalla Commissione è vulnerata dalla concentrazione in capo a tale istituzione dei poteri d’istruzione, di accusa e di decisione, incompatibile con il carattere penale delle sanzioni inflitte per violazione delle regole di concorrenza. Ad avviso della ricorrente, l’entrata in vigore della Carta – in cui l’esigenza di una procedura amministrativa imparziale è affermata all’art. 41 – deve condurre la Corte a modificare la propria giurisprudenza in materia, al fine di tener conto delle posizioni più garantiste della Corte europea dei diritti dell’uomo. Alla Commissione, che eccepisce la novità e pertanto l’irricevibilità di tale argomento, la ricorrente replica che si tratta di un semplice ampliamento di motivi sollevati in prima istanza.
27. Al riguardo rilevo anzitutto che il suesposto argomento solleva una questione giuridica, attinente al merito della controversia sottoposta al Tribunale, che non è stata trattata nella sentenza impugnata e non ha costituito oggetto di dibattito tra le parti in nessuna delle fasi della procedura di primo grado. Essa non è stata espressamente sollevata dalla ricorrente né nel ricorso né nella replica né in nessun’altra osservazione scritta depositata nel corso di tale procedura; stando al verbale dell’udienza svoltasi dinanzi al Tribunale, non risulta neanche che tale questione sia stata avanzata in quella sede. Osservo inoltre che tale argomento non si ricollega nel merito a nessuno dei punti della motivazione della sentenza impugnata, a differenza della censura esaminata ai paragrafi 13‑24 supra che, pur non essendo stata sollevata in prima istanza, trae origine da alcune affermazioni del Tribunale, contenute, in particolare, al punto 64 della sentenza impugnata ed è pertanto ricevibile. Infine, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, non ritengo che il suddetto argomento possa considerarsi come ampliativo di motivi già dibattuti in prima istanza, poiché sottopone alla Corte una questione giuridica distinta da quelle trattate nel quadro di tali motivi (32).
28. Orbene, nel suo ruolo di giudice di cassazione, incombe alla Corte di controllare, nei limiti della sua competenza in materia di impugnazioni, il modo in cui il Tribunale ha esercitato il proprio sindacato giurisdizionale tenuto conto dei motivi e degli argomenti che sono stati sottoposti al suo esame. Non spetta invece alla Corte censurare il giudice di primo grado per non aver statuito su un motivo che non è stato sollevato dalle parti, salvo che esso fosse tenuto a rilevarlo d’ufficio. Nella specie, non mi sembra tuttavia ricorra una tale ipotesi. Pertanto, l’eccezione d’irricevibilità sollevata dalla Commissione deve, a mio avviso, essere accolta.
29. Le considerazioni che seguono, attinenti all’esame nel merito dell’argomento sollevato da Elf Aquitaine, sono perciò svolte a titolo sussidiario, per il caso in cui la Corte, contrariamente a quanto da me proposto, dovesse considerarlo ricevibile.
30. Come più volte sottolineato dalla Commissione nelle sue memorie, nella sentenza Jussila, resa dalla Grande Chambre, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha confermato quanto in parte già desumibile da alcuni precedenti, vale a dire che, nell’ambito delle procedure che conducono all’applicazione di sanzioni da considerarsi come penali in base all’art. 6 CEDU, una distinzione può essere tracciata tra le procedure (e sanzioni) che rientrano nel cosiddetto «nocciolo duro» del diritto penale e quelle che invece si collocano al di fuori dello stesso (33). Al punto 43 di tale sentenza, dopo aver rilevato che l’adozione di una nozione autonoma di «accusa in materia penale» ha determinato una progressiva estensione dell’ambito penale dell’art. 6 CEDU a settori che «non rientrano formalmente nelle categorie tradizionali del diritto penale», quali appunto le «sanzioni pecuniarie inflitte per violazione del diritto della concorrenza» (34), la Corte europea dei diritti dell’uomo ha affermato che, in tali settori, le garanzie offerte da detto articolo «non devono applicarsi necessariamente in tutto il loro rigore» (35). Tale approccio era già presente, in particolare, nelle sentenze Bendenoun e Janosevic (36), espressamente richiamate al suddetto punto 43 della sentenza Jussila. In tali pronunce la Corte europea dei diritti dell’uomo aveva affermato che uno Stato contraente è legittimato ad affidare al fisco, organo amministrativo che non soddisfa alle esigenze dell’art. 6 CEDU (37), il compito di perseguire e punire le infrazioni fiscali per le quali è prevista l’applicazione di una maggiorazione d’imposta avente il carattere di sanzione penale, a condizione che il contribuente possa adire, contro la relativa decisione, un tribunale che offra le garanzie dell’art. 6 CEDU (38), vale a dire, secondo la formula adottata al punto 81 della sentenza Janosevic ripresa in diverse sentenze successive, «un organo giudiziario dotato di piena giurisdizione (39), che abbia in particolare il potere di riformare in ogni punto, in fatto come in diritto, la decisione impugnata».
31. Coerentemente con quanto precisato al punto 43 della sentenza Jussila, il principio affermato nelle sentenze Bendenoun e Janosevic può essere esteso alle procedure d’infrazione alle regole di concorrenza di cui al regolamento n. 1/2003. Pertanto, la concentrazione dei poteri di istruzione, accusa e decisione in capo alla Commissione nel quadro di tali procedure non si pone di per sé in contrasto con l’art. 6 CEDU, a condizione, tuttavia, che le imprese che vi sono assoggettate dispongano di un diritto di ricorso contro la decisione della Commissione dinanzi ad un organo che risponda alle esigenze di tale articolo. Occorre dunque verificare se il controllo esercitato dal giudice comunitario sulle decisioni adottate dalla Commissione per infrazione alle regole di concorrenza soddisfi le condizioni stabilite al punto 81 della sentenza Janosevic. Senza impegnarmi in un esame esaustivo della questione, mi limiterò a indicare gli aspetti di tale controllo che, alla luce della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, rischiano di risultare maggiormente problematici.
32. In primo luogo, il giudice comunitario esercita sulle decisioni della Commissione in materia antitrust un tipico controllo di legittimità, che implica un esame, tendenzialmente completo, di tutti i motivi, in fatto e in diritto, invocati dal ricorrente, nonché di eventuali motivi di ordine pubblico rilevabili d’ufficio. Salvo che in materia di ammende, il Tribunale non ha il potere di riformare la decisione della Commissione, ma può unicamente annullarla. Al riguardo osservo anzitutto che, se è vero che nel testo francese della sentenza Janosevic la Corte europea dei diritti dell’uomo utilizza l’espressione «pouvoir de réformer», il testo inglese impiega il più generico verbo «to quash», che si riferisce piuttosto al potere di annullare l’atto impugnato. Inoltre, nella medesima sentenza, detta Corte ha ritenuto che le giurisdizioni amministrative competenti in diritto svedese a conoscere dei ricorsi avverso le decisioni con cui l’amministrazione fiscale impone maggiorazioni d’imposta aventi carattere di sanzioni penali costituissero tribunali che presentano le garanzie di cui all’art. 6 CEDU, malgrado fossero solo legittimati, «in caso di disaccordo con le conclusioni dell’amministrazione fiscale», ad annullare la decisione impugnata (40). Nello stesso senso essa si è espressa in diversi altri precedenti (41).
33. La giurisprudenza non è tuttavia costante sul punto. Così, ad esempio, nella citata sentenza Umlauft si è ritenuto che non presentasse le garanzie di cui all’art. 6 CEDU la Corte amministrativa austriaca che, investita del ricorso contro un provvedimento con cui era stata inflitta al ricorrente una sanzione pecuniaria per violazione del codice della strada, considerata di natura penale, aveva competenza ad esercitare un mero controllo di legittimità ed era, inoltre, vincolata alle constatazioni di fatto delle autorità amministrative. Nella sentenza Tsfayo, la Corte europea dei diritti dell’uomo non ha riconosciuto «piena giurisdizione» alla High Court del Regno Unito, poiché, per quanto questa Corte avesse il potere di annullare la decisione impugnata qualora avesse ritenuto insufficiente o errato il quadro probatorio alla base della stessa, non aveva competenza per rivalutare le prove o sostituire le valutazioni censurate con la propria in merito alla credibilità del ricorrente (42). Nella sentenza Kyprianou, detta Corte ha ritenuto che la mancanza d’imparzialità del Tribunale di prima istanza che aveva inflitto una pena detentiva al ricorrente per il reato di «contempt of court» non fosse stata rimediata dalla Corte suprema in fase di appello, poiché quest’ultima non aveva proceduto a un riesame ex novo della causa (43). Infine, nella sentenza Silvester’s Horeca, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha considerato che la società ricorrente non avesse avuto accesso a un «tribunale» ai sensi dell’art. 6 CEDU, poiché la Corte d’appello di Bruxelles, da questa adita contro il provvedimento amministrativo che le aveva inflitto ammende fiscali per violazione del codice IVA, non aveva il potere di esonerare il contribuente da obblighi legittimamente imposti, in base a soli motivi di opportunità o d’equità (44). In tale contesto va comunque ricordato che, nei contenziosi relativi alle infrazioni agli artt. 101 TFUE e 102 TFUE, il giudice comunitario dispone di una competenza giurisdizionale anche di merito in materia di ammende, in forza dell’art. 261 TFUE e dell’art. 31 del regolamento n. 1/2003, ed è pertanto «abilitato, al di là del mero controllo di legittimità della sanzione, a sostituire la sua valutazione a quella della Commissione», sopprimendo, riducendo o finanche aumentando l’importo dell’ammenda inflitta dalla Commissione quando il problema di tale importo è sottoposto alla sua valutazione (45). Tale competenza legittima il giudice comunitario a riformare l’atto censurato, anche in assenza di annullamento (46).
34. Un secondo aspetto delicato, evidenziato dalla ricorrente, concerne il sindacato marginale – vale a dire limitato alla verifica dell’osservanza delle regole di procedura e di motivazione, dell’esattezza materiale dei fatti, nonché dell’insussistenza di errore manifesto di valutazione e di sviamento di potere – che, per giurisprudenza costante (47), il giudice comunitario esercita sulle valutazioni economiche complesse compiute dalla Commissione (48).
35. In terzo luogo, e infine, sebbene il giudice comunitario possa riesaminare le prove a carico e a discarico incluse nel fascicolo amministrativo, il controllo di legittimità che esso esercita nel quadro di un ricorso di annullamento è condotto sulla base degli elementi di fatto e di diritto esistenti al momento in cui l’atto è stato adottato (49). Pertanto il suo ruolo consiste nel valutare se le prove e altri elementi fatti valere dalla Commissione nella sua decisione siano sufficienti a dimostrare l’esistenza dell’infrazione contestata (50). Ove ritenga non convincente il quadro probatorio, esso potrà unicamente annullare tale decisione per insufficienza istruttoria.
36. Nonostante i limiti sopra evidenziati, non escludo che, globalmente considerato, il sindacato giurisdizionale svolto sulle decisioni della Commissione che infliggono ammende per infrazione alle regole di concorrenza soddisfi, in linea con l’approccio più flessibile adottato dalla Grande Chambre della Corte europea dei diritti dell’uomo nella sentenza Janosvic, le esigenze dell’art. 6, n. 1, CEDU, in ambito penale.
37. Nella specie, la questione può tuttavia restare aperta. In effetti, la giurisprudenza di detta Corte ammette un approccio volto a verificare il rispetto delle esigenze di cui all’art. 6, n. 1, CEDU nel singolo caso di specie, anche indipendentemente dalla questione più generale dell’eventuale compatibilità con tale disposizione della struttura nella quale esso si inserisce (51). Orbene, dalla sentenza impugnata emerge che il Tribunale ha esercitato, per ognuno degli aspetti sottoposti al suo esame, un controllo pieno sulla sussistenza dei presupposti per l’applicazione dell’art. 101 TFUE. La portata di un tale controllo non può peraltro considerarsi limitata per il solo fatto che l’imputazione di responsabilità alla ricorrente si basa su un ragionamento presuntivo. Inoltre, emerge dalla medesima sentenza che il Tribunale ha esaminato l’insieme degli elementi sottoposti da Elf Aquitaine al fine di dimostrare l’indipendenza di comportamento sul mercato della sua filiale, respingendo la loro pertinenza o sufficienza sulla base di motivazioni anche aggiuntive rispetto a quelle addotte dalla Commissione nella Decisione. D’altro canto, pur contestando in generale, nelle sue osservazioni sia scritte che orali, la sufficienza del sindacato giurisdizionale del giudice comunitario sulle decisioni della Commissione per infrazione alle regole di concorrenza riguardo alle esigenze dell’art. 6 CEDU, la ricorrente non ha tuttavia avanzato argomenti volti a dimostrare una tale insufficienza nel caso di specie. Ritengo pertanto che l’argomento relativo a un difetto d’imparzialità della procedura amministrativa dovuto alla concentrazione dei poteri di istruzione, accusa e decisione in capo alla Commissione, oltre che irricevibile, sia anche infondato nel merito (52).
38. Sulla base dell’insieme delle considerazioni che precedono, anche la seconda censura del secondo motivo d’impugnazione deve, a mio avviso, essere respinta.
c) Conclusioni sul secondo motivo d’impugnazione
39. Alla luce dell’analisi svolta, ritengo che il secondo motivo d’impugnazione debba essere in parte respinto in quanto infondato e in parte dichiarato irricevibile.
3. Sul terzo motivo d’impugnazione, relativo ad errori sulla portata dell’obbligo di motivazione della Commissione e al difetto di motivazione della sentenza impugnata
40. Anche tale motivo d’impugnazione si articola in due censure.
a) Sulla prima censura
41. Con la prima censura del suo terzo motivo d’impugnazione la ricorrente fa valere, in primo luogo, che il Tribunale si è fondato su una «concezione erronea» dell’obbligo della Commissione di motivare la CA, nella misura in cui ha ritenuto che un tale obbligo fosse adempiuto semplicemente richiamando i principi che governano l’imputabilità delle società madri e indicando l’entità della partecipazione della capogruppo nel capitale della filiale. Al riguardo rilevo che i punti 58 e seguenti della sentenza impugnata, dai quali si evince, secondo la ricorrente, l’errore commesso dal Tribunale, rispondono in realtà alle allegazioni da quest’ultima avanzate nel quadro del primo motivo di ricorso, dirette a contestare una violazione dei suoi diritti della difesa e non una violazione dell’obbligo di motivazione, invocata invece nell’ambito del secondo motivo di ricorso. Noto inoltre che, sebbene la ricorrente contesti che «l’insieme degli elementi essenziali sui quali la Commissione si è fondata per mettere in causa Elf Aquitaine» fosse contenuto nella CA, essa non precisa tuttavia quali elementi, oltre quelli menzionati ai punti 58 e 59 della sentenza impugnata (esposizione delle regole di imputazione alla società madre della responsabilità per il comportamento illecito della filiale, indicazione del contenuto della presunzione fondata sulla detenzione da parte della società madre della totalità del capitale della filiale nonché menzione della partecipazione quasi-totalitaria detenuta dalla ricorrente nel capitale di Atofina), avrebbero dovuto concretamente figurare nella CA. Nella misura in cui la ricorrente intende riferirsi a elementi di prova a suo carico ulteriori rispetto a quelli volti a dimostrare la sussistenza dei presupposti di fatto della presunzione su cui si è fondata la Commissione, i suoi argomenti si confondono con quelli diretti a contestare la possibilità stessa del ricorso a una tale presunzione, che saranno globalmente esaminati nel quadro del quinto motivo d’impugnazione. Ne consegue che la ricorrente non ha dimostrato il preteso errore d’interpretazione della portata dell’obbligo di motivare la CA che essa imputa al Tribunale. Sotto tale profilo, la prima censura del terzo motivo d’impugnazione va dunque, a mio avviso, disattesa.
42. In secondo luogo, la ricorrente contesta al Tribunale di aver adottato una «concezione erronea» dell’obbligo che incombeva alla Commissione di motivare la Decisione. Gli argomenti da essa sollevati riguardano più precisamente la parte della sentenza impugnata in cui il Tribunale ha considerato sufficiente la motivazione con cui sono stati respinti, nella Decisione, gli elementi avanzati da Elf Aquitaine per dimostrare l’autonomia di comportamento sul mercato della sua filiale Atofina. Tale motivazione, secondo la ricorrente erroneamente qualificata dal Tribunale come «succinta», ma in realtà totalmente assente, non le avrebbe consentito di verificare la fondatezza della Decisione e avrebbe impedito al Tribunale di esercitare il suo controllo di legittimità.
43. In proposito rilevo che, al punto 79 della sentenza impugnata, il Tribunale richiama la giurisprudenza secondo cui la motivazione prescritta dall’art. art. 253 CE deve essere adeguata alla natura dell’atto in esame e deve fare apparire in forma chiara e inequivocabile l’iter logico seguito dall’istituzione da cui esso promana, in modo da consentire agli interessati di conoscere le ragioni del provvedimento adottato e al giudice competente di esercitare il proprio controllo. Esso ricorda altresì, da un lato, che l’obbligo di motivazione deve essere valutato in funzione delle circostanze del caso, in particolare del contenuto dell’atto, della natura dei motivi esposti e dell’interesse che i destinatari dell’atto o altre persone da questo interessate direttamente e individualmente possano avere a ricevere spiegazioni e, dall’altro, che la motivazione non deve necessariamente specificare tutti gli elementi di fatto e di diritto pertinenti, in quanto la verifica che la motivazione di un atto soddisfi gli obblighi di cui all’art. 253 CE va effettuata alla luce non solo del suo tenore, ma anche del suo contesto e del complesso delle norme giuridiche che disciplinano la materia in esame (53). Infine, all’ultima frase del punto 79 il Tribunale richiama la propria giurisprudenza in base alla quale incombe alla Commissione sviluppare il proprio ragionamento in modo esplicito qualora, nel quadro della sua prassi decisionale, adotti una decisione che si distanzia sensibilmente dalle precedenti (54) e, al punto 80, ricorda che, quando una decisione di applicazione dell’art. 81 CE concerne una pluralità di destinatari e pone un problema d’imputabilità dell’infrazione, essa deve comportare una motivazione sufficiente per ciascuno dei destinatari, in particolare per quelli che, in base a tale decisione, devono sopportare le conseguenze dell’infrazione. Ai punti 84 e seguenti esso esamina l’allegazione di Elf Aquitaine secondo cui la Decisione non sarebbe sufficientemente motivata nella parte in cui respinge gli argomenti da questa presentati per superare la presunzione su cui si è fondata la Commissione. A tal fine, esso esamina i punti 258‑261 della Decisione e osserva, in particolare, che detti argomenti sono stati respinti dalla Commissione in quanto semplici «affermazioni» (non supportate da elementi di prova) e che i documenti forniti da Elf Aquitaine si limitavano a dare «un’indicazione generale sulla gestione commerciale della società». Il Tribunale conclude, al punto 89, che «una tale risposta agli argomenti di Elf Aquitaine, per quanto succinta, permette di comprendere le ragioni per le quali la Commissione li ha respinti» e che la Commissione ha risposto «ai punti esenziali degli argomenti di Elf Aquitaine, considerando l’insieme degli elementi di prova apportati da quest’ultima». La lettura dei punti 84‑90 della sentenza impugnata, il cui contenuto è stato sopra esposto nelle sue grandi linee, non consente, a mio avviso, di ritenere, come fa la ricorrente, che il Tribunale abbia interpretato in modo scorretto l’obbligo di motivazione che incombeva alla Commissione, fondandosi su una concezione erronea di tale obbligo. Peraltro, emerge dai passaggi della sentenza impugnata sopra richiamati, nonché dalla lettura dei punti rilevanti della Decisione, che, contrariamente a quanto affermato dalla ricorrente, la Commissione ha spiegato le ragioni per cui gli argomenti presentati dalla ricorrente non sono stati considerati sufficienti a superare la presunzione in questione (poiché consistenti in affermazioni non supportate da prove e in documenti privi di rilevanza). Non può pertanto essere invocata sul punto una carenza totale di motivazione, nonostante gli stessi motivi di rigetto siano stati applicati globalmente all’insieme degli argomenti e dei documenti sottoposti dalla ricorrente alla Commissione.
44. La ricorrente contesta inoltre al Tribunale di aver interpretato erroneamente l’intensità della motivazione della Decisione che si imponeva alla luce delle specifiche circostanze del caso di specie. Tale motivazione avrebbe dovuto essere tanto più accurata poiché: i) la ricorrente non era stata avvertita del procedimento a suo carico prima di ricevere la CA; ii) la Commissione aveva preso le distanze dalla sua prassi decisionale anteriore, e iii) la Decisione rimetteva in causa diversi diritti fondamentali della ricorrente e infliggeva a quest’ultima sanzioni di natura penale. La ricorrente osserva peraltro che, dopo l’entrata in vigore della Carta, l’obbligo di motivazione che grava sulle istituzioni dell’Unione in forza dell’art. 41, n. 2, della stessa deve, in base al successivo art. 52, n. 3, essere interpretato conformemente ai criteri più rigidi adottati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nell’interpretare l’art. 6, n. 3, lett. a), CEDU.
45. Nessuno degli argomenti invocati dalla ricorrente mi sembra poter prosperare. In primo luogo non è dato comprendere – né la ricorrente fornisce chiarimenti in merito – quale incidenza abbia sull’intensità dell’obbligo di motivare la Decisione il fatto che Elf Aquitaine sia stata informata degli addebiti formulati a suo carico solo con l’invio della CA. In secondo luogo, la Commissione ha affermato, senza essere contestata sul punto dalla ricorrente, che i principi in materia di responsabilità delle società madri applicati a Elf Aquitaine, inclusa la presunzione basata sulla detenzione della totalità del capitale, erano entrati a far parte integrante della sua prassi decisionale a partire dal 2002-2003. Poiché la CA è stata inviata alla ricorrente il 7 aprile 2004 e la Decisione è stata adottata il 19 gennaio 2005, quest’ultima non segna alcuna cesura con la prassi anteriore della Commissione. Infine, quanto al terzo punto [(v. paragrafo precedente, sub iii)], è sufficiente rilevare, da un lato, che l’argomento della ricorrente presuppone che sia accertata la violazione dei diritti fondamentali da essa invocati, violazione che il Tribunale ha invece escluso, e, dall’altro, che una motivazione più dettagliata della Decisione non avrebbe in ogni caso permesso di giustificare una tale violazione, ove accertata. Peraltro, la circostanza che la Decisione abbia inflitto alla ricorrente sanzioni a carattere penale non richiede l’imposizione di uno standard di motivazione superiore rispetto a quello, elevato, che incombe alle istituzioni comunitarie in virtù dell’art. 253 CE come interpretato dal giudice comunitario, in base al quale la motivazione deve essere adeguata alla natura dell’atto in esame e deve fare apparire in forma chiara e inequivocabile l’iter logico seguito dall’istituzione da cui esso promana, in modo da consentire agli interessati di conoscere le ragioni del provvedimento adottato e al giudice competente di esercitare il proprio controllo (55).
46. Quanto all’argomento che la ricorrente trae dal combinato disposto degli artt. 41, n. 2, e 52, n. 3, della Carta, anche a supporre che tali disposizioni siano applicabili ratione temporis alla Decisione (56), è giocoforza constatare che la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo richiamata da Elf Aquitaine non risulta pertinente, dato che si riferisce a decisioni rese da organi giurisdizionali. Ad ogni modo, per quanto concerne, in primo luogo, l’esigenza, affermata da detta Corte, secondo cui le decisioni che divergono da una precedente giurisprudenza consolidata motivino in modo sostanziale le ragioni di un tale «revirement» (57), è sufficiente rilevare che la sentenza impugnata si inserisce nel solco di una giurisprudenza inaugurata nel 2000 con la sentenza Stora (58) e recentemente confermata dalla sentenza Akzo Nobel (59). Quanto alla pronuncia resa dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nel caso Helle, anch’essa richiamata dalla ricorrente (60), mi limito a osservare che, come si vedrà meglio nell’esame della seconda censura del presente motivo di’impugnazione, il Tribunale ha proceduto nella sentenza impugnata a un riesame completo degli argomenti sollevati dalla ricorrente nel corso della procedura amministrativa e, pertanto, non si è limitato a far proprie le conclusioni della Commissione senza esaminare le questioni essenziali ad esso sottoposte. Per quanto riguarda infine il richiamo alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che sanziona il carattere insufficiente della motivazione di decisioni che non precisano le nozioni essenziali sulle quali si fondano (61), la ricorrente non ha chiarito quali sono, nella specie, le nozioni su cui il Tribunale si sarebbe basato senza averne chiarito il significato.
47. In base all’insieme delle considerazioni che precedono, la prima censura del terzo motivo d’impugnazione deve, a mio avviso, essere respinta.
b) Sulla seconda censura
48. Nel quadro della sua seconda censura, la ricorrente lamenta anzitutto il carattere contraddittorio, incomprensibile e insufficiente della motivazione della sentenza impugnata. Essa si riferisce, in particolare, all’affermazione del Tribunale secondo cui Elf Aquitaine e la sua filiale costituiscono una sola impresa – laddove la Commissione le avrebbe al contrario considerate come entità autonome –, nonché alla confusione ripetuta in diversi passaggi della sentenza impugnata tra le nozioni di impresa e di società. Elf Aquitaine ritiene sussista altresì una contraddizione tra la prima e l’ultima frase del punto 105 della sentenza impugnata.
49. Al riguardo rilevo, in primo luogo, che, come sottolinea, a mio avviso, correttamente la Commissione, la constatazione che due società costituiscono un’unica impresa non è incompatibile né con l’invio a queste ultime di distinte CA, necessario al fine di informare entrambe le società degli addebiti formulati nei loro confronti, né con l’applicazione di ammende separate, il cui ammontare deve essere calcolato in funzione delle caratteristiche proprie di ciascuna società. Contrariamente a quanto afferma la ricorrente, non esiste pertanto alcuna contraddizione tra detta constatazione e il fatto che, nella procedura amministrativa, la Commissione abbia tenuto conto, per l’invio della CA e la fissazione dell’ammenda, della circostanza che Elf Aquitaine e Atofina costituivano soggetti giuridici autonomi. In secondo luogo, non ritengo neanche fondato l’argomento secondo cui la pretesa confusione tra le nozioni di società e di impresa, in particolare ai punti 8, 17-18, 107 e 123 della sentenza impugnata, renderebbe contraddittoria e incomprensibile la motivazione della stessa. I punti 8, 17 e 18 fanno parte della descrizione degli antecedenti in fatto della controversia, e si limitano a riprendere il contenuto della Decisione. Da parte sua, il punto 107 contiene unicamente un richiamo della giurisprudenza della Corte. Infine, al punto 123, il Tribunale, citando una precedente giurisprudenza, conclude che, quando un gruppo di società costituisce una sola impresa, la Commissione è legittimata a imputare la responsabilità di un’infrazione commessa da tale impresa alla società responsabile dell’azione del gruppo e ad infliggere un’ammenda a tale società. Sia che li si consideri ciascuno isolatamente o in combinazione tra loro, o ancora inseriti nel ragionamento complessivo del Tribunale, i suddetti punti non rivelano nessuna contraddizione tale da rendere, come sostiene la ricorrente, incongrua o incomprensibile la motivazione della sentenza impugnata. Per quanto concerne, in terzo luogo, la pretesa contraddizione contenuta al punto 105 della sentenza impugnata, basti rilevare che, in tale punto, il Tribunale si limita a spiegare che, nella Decisione, la Commissione rivendica sì un margine di discrezionalità in fattispecie analoghe a quella della ricorrente, ma che esso è unicamente esercitato nel momento in cui, dopo aver dimostrato l’esistenza dei presupposti d’imputabilità di ciascuna società appartenente a un gruppo, la Commissione valuta se imputare tale responsabilità a tutte le società del gruppo o unicamente a quelle che hanno direttamente partecipato all’infrazione. Non esiste pertanto alcuna contraddizione tra la prima e l’ultima frase di tale punto.
50. La ricorrente contesta inoltre la circolarità del ragionamento del Tribunale, il quale, a suo avviso, muoverebbe dal postulato che Elf Aquitaine e Atofina costituiscono un’unica impresa per escludere la pertinenza di elementi che invece sarebbero stati considerati dalla giurisprudenza anteriore come indici dell’esistenza di imprese distinte (ad esempio, l’ignoranza dell’infrazione da parte della capogruppo). Come correttamente rileva la Commissione, il Tribunale non è partito da alcun postulato, ma si è limitato a considerare legittimo il ricorso da parte della Commissione alla presunzione che ha consentito d’imputare a Elf Aquitaine la responsabilità per l’infrazione commessa dalla sua filiale, pur in assenza di una relazione d’istigazione o di una sua diretta implicazione nell’infrazione, nonché ad affermare l’esistenza dei presupposti di fatto che autorizzavano il ricorso a una tale presunzione. In tale contesto è del tutto logico considerare, come ha fatto il Tribunale, che anche l’eventuale ignoranza dell’infrazione da parte di Elf Aquitaine non fosse tale da rimettere in discussione il fondamento di una tale responsabilità. La presunta circolarità del ragionamento del Tribunale altro non è che la conseguenza del fatto che quest’ultimo ha approvato il ricorso alla suddetta presunzione e non è in alcun modo indice di un vizio della motivazione.
51. In base alle considerazioni che precedono, ritengo che anche la seconda censura del terzo motivo d’impugnazione sia da respingere.
c) Conclusioni sul terzo motivo d’impugnazione
52. Alla luce delle osservazioni svolte, suggerisco alla Corte di rigettare integralmente il terzo motivo d’impugnazione.
4. Sul quarto motivo d’impugnazione, relativo alla violazione dell’art. 263 TFUE
53. La ricorrente fa valere che il Tribunale ha oltrepassato i limiti del controllo di legittimità sostituendo la propria motivazione a quella, carente, della Commissione, in particolare per quanto concerne il rigetto da parte di quest’ultima degli indizi apportati dalla ricorrente per superare la presunzione che ha consentito di imputare a Elf Aquitaine la responsabilità per l’infrazione commessa dalla sua filiale.
54. Al riguardo, osservo anzitutto che gli argomenti della ricorrente muovono dal presupposto di una carenza nella motivazione della Decisione, carenza che non è tuttavia emersa dall’esame della prima censura del terzo motivo d’impugnazione (v. supra, paragrafi 42‑46). Rilevo inoltre che, nella sentenza DIR International, dopo aver ricordato che, nell’ambito del controllo di legittimità di cui all’art. 230 CE (divenuto 263 TFUE), il giudice comunitario non può sostituire la propria motivazione a quella dell’autore dell’atto impugnato, la Corte ha tuttavia precisato che, «(…) nell’ambito di un ricorso di annullamento, il Tribunale può essere indotto ad interpretare la motivazione dell’atto impugnato in maniera diversa dal suo autore, o addirittura, in taluni casi, persino a respingere la motivazione formale adottata da quest’ultimo» sebbene ciò non sia possibile «quando nessun elemento materiale lo giustifichi» (62). Il margine di manovra concesso al Tribunale, nei limiti del suo controllo di legittimità, è dunque più ampio di quanto non pretenda la ricorrente. Peraltro, nel respingere, ai punti 160 e segg. della sentenza impugnata, gli elementi apportati da Elf Aquitaine per dimostrare l’autonomia di comportamento della sua filiale sul mercato, il Tribunale si è limitato a fornire una motivazione, certamente più dettagliata di quella che figura nella Decisione, ma comunque conforme a quest’ultima. Ne consegue che esso non ha proceduto ad alcuna sostituzione dei motivi.
55. In base a quanto esposto, il quarto motivo d’impugnazione, basato sulla violazione dell’art. 263 TFUE, deve, a mio avviso, essere respinto.
5. Sul quinto motivo, relativo a una violazione delle regole che governano l’imputabilità
56. Prima di esaminare le censure sollevate nel quadro di tale motivo, ricordo che Elf Aquitaine è stata ritenuta responsabile dell’infrazione commessa dalla sua filiale Atofina sulla base di un ragionamento presuntivo, al quale, negli ultimi anni, la Commissione fa sempre più spesso ricorso nella repressione di cartelli in cui sono coinvolte società appartenenti a grandi gruppi industriali. Tale ragionamento si fonda, in sostanza, sull’idea che, poiché, in linea di principio, una partecipazione totalitaria [o, come nel caso di specie, quasi‑totalitaria] della società capogruppo nel capitale della filiale conferisce alla prima il potere di influenzare in modo determinante la politica commerciale della seconda (63), è legittimo supporre, in assenza di prova contraria, che una tale influenza è stata effettivamente esercitata e che, pertanto, la filiale non ha determinato in modo autonomo il suo comportamento sul mercato. Nella citata causa Stora la Corte, come in precedenza il Tribunale, si è pronunciata in favore della legittimità del ricorso a un tale ragionamento, precisando che, in tale contesto, la responsabilità della società controllante non discende dalla semplice detenzione del 100% del capitale della filiale, ma dalla combinazione di tale circostanza di fatto con l’assenza di elementi idonei a contestare la possibilità della controllante di influire in modo determinante sulla politica commerciale della controllata o a dimostrare l’autonomia di quest’ultima sul mercato (64). Nonostante tale precisazione, la sentenza Stora lasciava adito a un’interpretazione secondo cui la presunzione di controllo effettivo, congiuntamente all’assenza di prova contraria, non fosse sufficiente a consentire l’imputazione alla società madre dell’infrazione commessa dalla filiale, ma dovesse essere corroborata da ulteriori elementi tali da rafforzare l’idea di un’unicità di intenti tra le due società (nella specie, la Corte aveva fatto specifico riferimento alla circostanza che la capogruppo si fosse presentata, nel corso del procedimento amministrativo, come unico interlocutore della Commissione per le società del gruppo Stora) (65). Come noto, tale interpretazione è stata respinta dalla Corte nella citata sentenza Akzo Nobel (66), di cui si parlerà più diffusamente in seguito. L’ambito di applicazione della presunzione in parola è stato di recente esteso anche alle ipotesi di controllo detenuto tramite una società a sua volta controllata al 100% (67).
57. Nonostante le giurisdizioni comunitarie abbiano ripetutamente confermato la legittimità del ricorso alla presunzione in parola (68), che peraltro trae le sue origini da una pronuncia della Corte ben più risalente (69), le società la cui responsabilità è riconosciuta in applicazione di tale presunzione ricorrono sempre più frequentemente contro le decisioni che infliggono loro ammende per i comportamenti anticoncorrenziali delle loro filiali, criticando il metodo d’imputazione seguito dalla Commissione con motivi largamente convergenti (70). Nella specie, il quinto motivo a sostegno dell’impugnazione di Elf Aquitaine si articola in quattro censure.
a) Sulla prima censura
58. Nel quadro della sua prima censura, la ricorrente sostiene, in primo luogo, che il ricorso alla presunzione in parola viola le regole sull’onere della prova e, in particolare, l’art. 2 del regolamento n. 1/2003, in base al quale «l’onere della prova di un’infrazione dell’articolo [101], paragrafo 1, o dell’articolo [102] del Trattato incombe alla parte o all’autorità che asserisce tale infrazione». Non ritengo che un tale argomento possa prosperare. Legittimare la Commissione a procedere mediante un ragionamento logico deduttivo fondato su una norma di esperienza (espressione dell’«id quod plerumque accidit») – la cui fondatezza, sotto il profilo della correttezza e della probabilità della sequenza logica, non è, in sé, contestata dalla ricorrente – non determina un’alterazione delle regole sul riparto dell’onere probatorio, ma consente unicamente, in presenza di specifiche circostanze, il ricorso a un particolare mezzo di prova (71).
59. In secondo luogo, la ricorrente sostiene che la natura penale delle sanzioni inflitte per violazione dell’art. 101 TFUE nonché la concentrazione di poteri in capo alla Commissione avrebbero dovuto condurre il Tribunale a invalidare il ricorso alla presunzione applicata a Elf Aquitaine in violazione del principio di presunzione d’innocenza consacrato all’art. 6, n. 2, CEDU.
60. Al riguardo, ricordo anzitutto che la CEDU non vieta il ricorso in ambito penale a presunzioni di fatto o di diritto, ma esige che esse siano circoscritte entro «limiti ragionevoli» che tengano conto dell’importanza degli interessi in gioco e della necessità di preservare i diritti della difesa (72). Dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo si evince che tali limiti sono, in linea di principio, considerati rispettati nel caso in cui sia data al soggetto contro il quale opera la presunzione la possibilità di fornire la prova contraria, e ciò anche nell’ambito di quello che detta Corte definisce il «nocciolo duro» del diritto penale. Così, ad esempio, nella sentenza Pham Hoang, la Corte di Strasburgo ha considerato compatibile con il principio di presunzione d’innocenza e, più in generale, con le regole dell’equo processo, la presunzione di responsabilità collegata alla detenzione di stupefacenti prevista dal codice delle dogane francese, essendo comunque riconosciuta all’imputato la possibilità di dimostrare di aver agito in stato di necessità o a seguito di errore inevitabile (73). Analogamente, non sono state ritenute in violazione del principio di presunzione d’innocenza la presunzione di responsabilità collegata alla funzione dirigenziale dell’accusato nella sentenza Radio France (74), né la presunzione che i beni acquisiti da un soggetto condannato in base alla legge sugli stupefacenti in vigore nel Regno Unito nei sei ani antecedenti la commissione del reato costituiscano proventi del traffico di droga, in quanto tali confiscabili (75): in entrambi i casi si trattava, infatti, di presunzioni superabili mediante prova contraria. Più in generale, nella menzionata sentenza Janosevic, la Corte europea dei diritti dell’uomo, dopo aver precisato che l’impiego di presunzioni in diritto penale deve essere proporzionato agli scopi perseguiti, ha affermato che una presunzione che sia difficile da superare, ma contro la quale sia comunque possibile apportare la prova contraria, rientra nei limiti del ragionevole (76).
61. Ciò premesso, ricordo che la Corte e il Tribunale hanno iteratamente affermato che la presunzione di esercizio effettivo di un’influenza determinante della controllante sulla politica commerciale della controllata è una presunzione «semplice», superabile mediante prova contraria (77). La ricorrente ritiene tuttavia che tale presunzione sia di fatto insuperabile. A sostegno della sua tesi, essa cita tre elementi: i) il fatto che l’entità della partecipazione al capitale della filiale è sufficiente a determinare l’applicazione della presunzione; ii) l’affermazione del Tribunale, contenuta al punto 105 della sentenza impugnata, secondo cui la Commissione conserva un potere discrezionale per imputare la responsabilità dell’infrazione alla società madre anche in presenza di una partecipazione al capitale della filiale pari o superiore a 98%, e iii) la valutazione fatta dal Tribunale degli indizi apportati dalla ricorrente.
62. Quanto al primo di tali elementi, se è vero che una partecipazione totalitaria o quasi totalitaria è stata ritenuta sufficiente ad attivare la presunzione in parola, quest’ultima ha tuttavia ad oggetto l’esercizio effettivo del potere di controllo conferito da detta partecipazione con modalità tali da incidere sul comportamento della controllata sul mercato. La società madre chiamata in causa in virtù di tale presunzione ha dunque la possibilità di opporsi alla sua applicazione, ad esempio, provando che, malgrado l’entità della partecipazione, quest’ultima non consente, per ostacoli giuridici o di fatto, di esercitare un effettivo controllo sulla politica commerciale della filiale, ovvero che, nonostante tale controllo sia possibile, esso non è stato in concreto esercitato, o ancora che, nonostante i tentativi della società madre di influenzare il comportamento della controllata sul mercato, quest’ultima ha comunque tenuto un comportamento autonomo (in ipotesi contravvenendo alle istruzioni date dalla società madre (78)). Come correttamente osservato dalla Commissione, il fatto che sia difficile apportare la prova necessaria a superare una presunzione non implica di per sé che tale presunzione sia di fatto insuperabile. Inoltre, come la stessa Corte europea dei diritti dell’uomo ha affermato (v. supra, paragrafo 60), una presunzione, pur difficile da superare, resta entro limiti accettabili fintanto che esiste la possibilità di apportare la prova contraria.
63. Per quanto concerne il secondo elemento invocato dalla ricorrente a sostegno del carattere di fatto inconfutabile della presunzione in parola, osservo che la circostanza che la Commissione conservi un margine di discrezionalità nel decidere se imputare l’infrazione anche alla società madre che detiene una partecipazione totalitaria o quasi totalitaria nel capitale della filiale non ha alcuna incidenza sul carattere relativo di tale presunzione, quanto meno nella misura in cui non è contestato che il ricorso alla stessa è escluso qualora sia apportata la prova che nessuna influenza determinante è stata esercitata dalla controllante sulla politica commerciale della controllata. Per il resto, mi limito a osservare che, in linea di principio, come rilevato dalla stessa Corte europea dei diritti dell’uomo, il fatto che una presunzione non operi in modo automatico contribuisce a mantenere la sua applicazione entro limiti ragionevoli (79).
64. Infine, circa la valutazione degli elementi di prova compiuta dal Tribunale, la ricorrente fa valere che quest’ultimo richiede in sostanza di apportare una prova negativa di assenza di interferenza nel comportamento sul mercato della filiale, una sorta di probatio diabolica incompatibile con il diritto all’accesso al giudice e a un controllo giurisdizionale effettivo. In proposito, osservo che data la natura della presunzione, che consente, attraverso un’operazione logico-deduttiva, di inferire da un fatto noto la prova di un fatto ignorato, appare logico che il soggetto contro cui essa opera dovrà, in linea di principio, apportare la prova negativa del fatto accertato in via meramente presuntiva. La sola circostanza che sia richiesta una prova siffatta non consente di concludere, come fa la ricorrente, nel senso del carattere inconfutabile della presunzione, in particolare laddove, come nel nostro caso, tale prova va ricercata nella sfera del soggetto contro cui la presunzione opera. D’altra parte, alla luce della giurisprudenza tanto della Corte (80) che della Corte europea dei diritti dell’uomo (81), tale circostanza non sembra di per sé porsi in contrasto con il principio della presunzione d’innocenza.
65. Nella replica, la ricorrente cita a sostegno delle sue allegazioni la recente pronuncia resa nella causa Spector Photo Group (82). In tale sentenza, la Corte ha affermato che il principio della presunzione d’innocenza non osta alla presunzione prevista dall’art. 2, n. 1, della direttiva 2003/6/CE (83), in base alla quale l’intenzione dell’autore di un abuso di informazioni privilegiate si deduce implicitamente dagli elementi materiali costitutivi di tale violazione, «dato che questa presunzione è confutabile e i diritti della difesa sono garantiti» (84). Tale affermazione è in linea con l’analisi fin qui svolta e non apporta argomenti in favore della tesi della ricorrente.
66. Secondo quest’ultima, tuttavia, ai punti 55 e segg. della sentenza in parola, la Corte avrebbe precisato i limiti di applicazione delle presunzioni in diritto economico, escludendo la loro automaticità e affermando la necessità per l’autorità competente di compiere un esame approfondito delle circostanze di fatto, esame che, nel caso di Elf Aquitaine, il Tribunale non avrebbe condotto. In proposito, mi sembra che la ricorrente conferisca ai citati punti della sentenza Spector Photo Group una portata generale che essi non hanno. Inoltre, contrariamente alla lettura che ne fa la ricorrente, in tali punti la Corte si limita a interpretare la nozione di «utilizzazione dell’informazione privilegiata» ai sensi dell’art. 2, n. 1, della direttiva n. 2003/6 alla luce degli obiettivi della stessa, imponendo alle autorità competenti di verificare che una tale utilizzazione rivesta effettivamente il carattere indebito che detta direttiva mira a vietare in nome dell’integrità dei mercati finanziari e della fiducia degli investitori (85): qualora un tale carattere indebito non possa essere stabilito, poiché l’uso che è fatto dell’informazione privilegiata non è contrario alla finalità della direttiva (86), gli elementi costitutivi del delitto di insider trading non sono riuniti e, di conseguenza, l’elemento psicologico di tale infrazione non può essere presunto. In altri termini, l’obbligo imposto alle autorità competenti di compiere un esame approfondito delle circostanze di fatto dell’operazione non riguarda l’oggetto della presunzione, vale a dire l’intenzionalità, ma unicamente gli elementi materiali dell’infrazione da cui tale intenzionalità è desunta. La sentenza Spector Photo Group non corrobora dunque in alcun modo la tesi della ricorrente, secondo cui la presunzione sulla quale si è fondata la Commissione per imputarle la responsabilità dell’infrazione commessa dalla sua filiale avrebbe dovuto essere confortata da ulteriori elementi di prova. In ogni caso, come correttamente sottolineato dalla Commissione, il Tribunale ha di fatto esaminato l’insieme degli elementi sottoposti dalla ricorrente per confutare la presunzione ad essa applicata.
67. Per il resto, gli argomenti invocati dalla ricorrente nel quadro della censura in esame ripropongono alcuni degli argomenti già discussi nel quadro dell’analisi del terzo motivo d’impugnazione. In proposito è sufficiente osservare che, contrariamente a quanto sembra affermare la ricorrente, il Tribunale non ha stabilito nessuno “standard di prova” nel respingere la pertinenza o la sufficienza degli elementi probatori avanzati dalla ricorrente, ma si è attenuto ad un esame di tali elementi considerati isolatamente e nel loro insieme (punti 160‑173 della sentenza impugnata). Spingere oltre l’analisi rischia di rimettere in questione la valutazione delle prove effettuata dal giudice di primo grado, in assenza di elementi invocati dalla ricorrente a sostegno di un loro eventuale snaturamento.
b) Sulla seconda censura
68. Con la seconda censura del suo quinto motivo, la ricorrente fa valere che il Tribunale, legittimando il ricorso alla presunzione su cui si è fondata la Commissione, contravverrebbe, in violazione del principio di sussidiarietà, al principio di autonomia della persona giuridica, fondamento del diritto societario degli Stati membri. Ciò priverebbe la persona giuridica dei propri diritti della difesa, del diritto alla presunzione di innocenza e del diritto al rispetto del principio della personalità delle pene.
69. Al riguardo, osservo che, contrariamente a quanto affermato dalla ricorrente, la presunzione sulla base della quale essa è stata riconosciuta responsabile dell’infrazione commessa dalla sua filiale Atofina non viola di per sé il principio di autonomia delle persone giuridiche in seno a un gruppo di società, quale riconosciuto in diritto francese. In effetti, come si è visto sopra, oggetto di tale presunzione è l’esercizio di un’influenza determinante della società madre sulla politica commerciale della filiale, reso possibile dall’esistenza di una partecipazione totalitaria o quasi totalitaria della prima nel capitale della seconda, e di cui si desume, fino a prova contraria, il carattere effettivo. Non è dunque di per sé la presunzione in oggetto a incidere sul principio di autonomia delle persone giuridiche ma, semmai, l’idea, che, ove una tale influenza sia accertata, in via presuntiva o no, la società madre e la filiale costituiscono un’unità economica, e dunque un’unica impresa, ai fini dell’applicazione delle regole di concorrenza del Trattato. Tale costruzione, da tempo accolta nella giurisprudenza dei giudici dell’Unione (87), ha, come noto, consentito di estendere la nozione di impresa, su cui si fondano tali disposizioni, anche a soggetti che non intervengono direttamente sul mercato e di infliggere loro ammende nonostante non abbiano personalmente preso parte all’infrazione. Ciò premesso, anche una tale costruzione non sembra incompatibile con il principio invocato dalla ricorrente.
70. In primo luogo, la conclusione, ai fini dell’applicazione delle regole di concorrenza, secondo cui la società madre esercita un’influenza determinante sulla politica commerciale della filiale, di tal guisa che il comportamento di quest’ultima sul mercato non può considerarsi autonomo – sia tale conclusione semplicemente desunta in virtù dei legami capitalistici esistenti tra i due soggetti ovvero corroborata da specifici elementi di prova –, non rimette in questione l’autonomia giuridica di tali soggetti, nella misura in cui, come si è visto, essi sono considerati distinti tanto per quanto concerne l’esercizio dei loro diritti della difesa (invio della CA, possibilità di presentare osservazioni, audizione, diritto a un ricorso giurisdizionale) quanto ai fini della fissazione dell’ammenda. A questo proposito, contrariamente a quanto affermato dalla ricorrente, la responsabilità della capogruppo per il comportamento delle filiali non costituisce un’ipotesi di responsabilità oggettiva per fatto altrui, ma si fonda sull’esistenza, presunta o provata, di un’immistione della prima nella definizione degli orientamenti di politica commerciale della seconda e dei comportamenti di quest’ultima sul mercato (88). In secondo luogo, il principio di autonomia delle persone giuridiche in seno a un gruppo non è, nemmeno in diritto francese, inderogabile, essendo ammessa, in determinate situazioni – ad esempio nel caso di confusione dei patrimoni – e in settori specifici, segnatamente in diritto fiscale e contabile, la sua coesistenza con l’idea di unità economica del gruppo (89).
71. Nel quadro della censura in esame, Elf Aquitaine sostiene inoltre che, affermando che la Commissione non aveva bisogno di apportare indizi concreti sulla mancanza di autonomia sul mercato di Atofina, il Tribunale avrebbe contraddetto una giurisprudenza costante che richiede quanto meno un collegamento tra la presunzione e l’oggetto dell’accordo o il mercato rilevante. In proposito, mi limito a rinviare a quanto già esposto supra, al paragrafo 56, sulla sentenza Akzo Nobel della Corte e l’interpretazione che essa ha fatto della giurisprudenza anteriore.
72. In base all’insieme delle considerazioni esposte, la seconda censura del quinto motivo d’impugnazione dev’essere, a mio avviso, respinta in quanto infondata.
c) Sulla terza censura
73. Secondo la ricorrente, il Tribunale avrebbe riconosciuto alla Commissione un margine discrezionale nell’imputare alle società madri le infrazioni commesse dalle filiali. Una tale discrezionalità sarebbe lesiva dei principi di legalità e di certezza del diritto. La prassi della Commissione in materia sarebbe incoerente e tale incoerenza risulterebbe in particolare dal fatto che la ricorrente è stata riconosciuta responsabile del comportamento della sua filiale Atofina nel caso di specie e non in un precedente procedimento d’infrazione.
74. Emerge in particolare dal punto 105 della sentenza impugnata che il Tribunale ha escluso che il margine di discrezionalità rivendicato dalla Commissione al punto 260 della Decisione riguardasse l’imputazione a una società della responsabilità per le infrazioni commesse da un’altra società. Secondo quanto affermato dal Tribunale in tale punto, la stessa Commissione avrebbe chiarito, nel corso dell’udienza e nelle sue memorie scritte, che tale margine di discrezionalità concerne unicamente la decisione di sanzionare o no l’insieme delle società appartenenti a un gruppo, una volta accertata l’esistenza delle condizioni per l’imputabilità di ciascuna di esse. La presente censura risulta dunque priva di fondamento in fatto e dev’essere conseguentemente respinta.
d) Sulla quarta censura
75. Con la quarta censura del suo quinto motivo d’impugnazione, la ricorrente lamenta, infine, una violazione del principio di eguaglianza. La censura è diretta contro il punto 175 della sentenza impugnata, in cui il Tribunale avrebbe convalidato il diverso trattamento accordato dalla Commissione alla ricorrente – per imputare la quale è stato ritenuto sufficiente il solo nesso capitalistico con Atofina – e alle altre società madri coinvolte nell’accordo, in particolare quelle del gruppo Akzo Nobel e di Clariant, per le quali invece l’istituzione convenuta avrebbe fornito ulteriori indizi sull’assenza di autonomia delle rispettive filiali. In proposito, la Commissione osserva che nel caso di tali società essa disponeva di detti indizi e li ha perciò menzionati, a titolo sovrabbondante, nella Decisione. Concordo con l’istituzione convenuta nel considerare che questa sola circostanza non consente di per sé di concludere ad una violazione del principio della parità di trattamento. Pertanto, anche la quarta censura del quinto motivo deve, a mio avviso, essere respinta.
e) Conclusioni sul quinto motivo d’impugnazione
76. Sulla base dell’insieme delle considerazioni che precedono ritengo che il quinto motivo d’impugnazione debba essere integralmente respinto.
6. Sul sesto motivo d’impugnazione
77. Con il suo sesto motivo d’impugnazione, sollevato a titolo subordinato, la ricorrente fa valere che gli errori di diritto e le violazioni del diritto dell’Unione che viziano la sentenza impugnata devono quanto meno condurre ad annullare o ridurre l’ammenda. Poiché, sulla base dell’analisi che precede, sono giunto alla conclusione che l’insieme delle censure sollevate dalla ricorrente sono prive di fondamento, ritengo che tale motivo, anche a prescindere dalla scarsa chiarezza della sua formulazione, evidenziata dalla Commissione, debba in ogni caso essere respinto nel merito. Nella replica la ricorrente invoca, nel quadro di tale motivo, altresì una violazione del principio di proporzionalità delle pene. A parte i dubbi di ricevibilità che tale censura solleva, in particolare dato il suo carattere tardivo (90), ritengo che gli elementi invocati dalla ricorrente, segnatamente il fatto che essa non ha partecipato all’infrazione, non ne ha avuto conoscenza e non ha potuto trarne alcun vantaggio non operando direttamente sul mercato in causa, si limitino a generiche affermazioni – ancora una volta dirette essenzialmente a rimettere in discussione la legittimità degli elementi su cui si basa l’imputazione della ricorrente – che non consentono di contestare seriamente la proporzionalità dell’ammenda inflitta dalla Commissione.
78. Nella misura in cui, nel quadro di tale motivo, la ricorrente invoca l’esercizio da parte della Corte della competenza giurisdizionale anche di merito di cui all’art. 261 TFUE, ricordo che, in base a una giurisprudenza consolidata, non spetta alla Corte, quando si pronuncia su questioni di diritto nell’ambito di un ricorso di impugnazione, sostituire, per motivi di equità, la propria valutazione a quella del Tribunale che statuisce, nell’esercizio della sua competenza giurisdizionale anche di merito, sull’importo delle ammende inflitte ad imprese a causa della violazione, da parte di queste ultime, del diritto comunitario (91). La ricorrente non ha peraltro contestato la legittimità delle condizioni cui il Tribunale ha subordinato, nella sentenza impugnata, l’esercizio (o il non esercizio) della sua competenza giurisdizionale anche di merito (92).
79. Pertanto, anche il sesto motivo d’impugnazione, sollevato a titolo subordinato, deve, a mio avviso, essere integralmente respinto.
B – Sulle spese
80. Ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché suggerisco di respingere l’impugnazione e poiché la Commissione ha concluso nel senso della condanna della ricorrente alle spese, ritengo che quest’ultima debba essere condannata alle spese del presente giudizio.
III – Conclusioni
81. Sulla base dell’insieme delle considerazioni che precedono, suggerisco alla Corte di respingere l’impugnazione e di condannare la ricorrente alle spese.
1 – Lingua originale: l’italiano.
2 – C (2004) 4876 def., relativa ad un procedimento di applicazione dell’art. 81 [CE] e dell’art. 53 dell’accordo SEE, pratica COMP/E‑1/37.773 – AMCA.
3 – Sentenza 30 settembre 2009, causa T‑174/05, Elf Aquitaine/Commissione (Racc. pag. II‑183).
4 – Firmata a Roma il 4 novembre 1950.
5 – Regolamento (CE) del Consiglio 16 dicembre 2002, n. 1/2003, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli 81 e 82 del Trattato (GU 2003, L 1, pag. 1). Come noto, in base alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, la qualificazione di una sanzione come non penale nell’ordinamento di uno Stato contraente non esclude che a detta sanzione sia comunque riconosciuta natura penale ai fini dell’applicazione delle disposizioni della CEDU (v. Corte eur. D.U., sentenza 8 giugno 1976, Engel e a., serie A, n. 22). Senza spingere oltre la mia analisi, osservo che, alla luce di tale giurisprudenza, appare improbabile che le sanzioni irrogate sulla base del regolamento n. 1/2003 possano non rivestire carattere penale ai sensi della Convenzione.
6 – V., in tal senso, sentenze della Corte 7 gennaio 2004, cause riunite C‑204/00 P, C‑205/00 P, C‑211/00 P, C‑213/00 P, C‑217/00 P e C‑219/00 P, Aalborg Portland e a./Commissione (Racc. pag I‑123, punto 64), e 8 febbraio 2007, causa C‑3/06 P, Groupe Danone/Commissione (Racc. pag. I‑1331, punto 68).
7 – V., in tal senso, sentenze della Corte 15 ottobre 2002, cause riunite C‑238/99 P, C‑244/99 P, C‑245/99 P, C‑247/99 P, da C‑250/99 P a C‑252/99 P e C‑254/99 P, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione (Racc. pag. I‑8375, punti 181‑183), e 21 settembre 2006, causa C‑105/04 P, Nederlandse Federatieve Vereniging voor de Groothandel op Elektrotechnisch Gebied/Commissione (Racc. pag. I‑8725, punto 38).
8 – V., in tal senso, sentenze Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione (cit. alla nota 7, punti 315 e 316), e Aalborg Portland e a./Commissione (cit. alla nota 6, punti 66 e 67).
9 – V. sentenza 25 gennaio 2007, causa C‑407/04 P, Dalmine/Commissione (Racc. pag. I‑829, punto 59).
10 – Ibidem, punto 58.
11 – Ibidem, punto 60. Tale affermazione va tuttavia considerata nel contesto della censura sollevata da Dalmine, la quale si lamentava di non essere stata informata, prima della CA, del fatto che la Commissione disponeva di taluni verbali redatti nel corso di indagini condotte nel quadro di un processo penale nazionale e di cui essa contestava l’ammissibilità quali elementi probatori nel procedimento aperto dalla Commissione, punti 54‑55 e 60. Una censura analoga, relativa alla mancata comunicazione, nella fase antecedente alla CA, di taluni elementi di prova utilizzati dalla Commissione nella fase successiva del procedimento, è stata respinta dal Tribunale nella sentenza 8 luglio 2008, causa T‑99/04, AC-Treuhand/Commissione (Racc. pag. II‑1501, punto 49).
12 – Sentenza 21 settembre 1989, cause riunite 46/87 e 227/88, Hoechst/Commissione (Racc. pag. 2859, punto 15). Tale principio è stato di recente ribadito nella sentenza Aalborg Portland e a./Commissione, cit., punto 63.
13 – Riconosciuto dalla Corte nella sentenza 18 maggio 1982, causa 155/79, AM & S/Commissione (Racc. pag. 1575).
14 – V. sentenza 18 ottobre 1989, causa 374/87, Orkem/Commissione (Racc. pag. 3283).
15 – V. sentenza Nederlandse Federatieve Vereniging voor de Groothandel op Elektrotechnisch Gebied/Commissione (cit. alla nota 7, punti 49‑50).
16 – Cit., punto 52.
17 – V., ad esempio, sentenza 3 settembre 2009, cause riunite C‑322/07 P, C‑327/07 P e C‑338/07 P, Papierfabrik August Koehler e a./Commissione (Racc. pag. I‑7191, punti 34 nonché 37 e ss).
18 – Cit., punti 53‑56. Il corsivo è mio.
19 – Corte eur D.U., sentenze 27 febbraio 1980, Deweer c. Belgio, serie A, n. 35, punto 42.
20 – Corte eur D.U., sentenza 27 giugno 1968, Neumeister c. Austria, serie A, n. 8, punto 18.
21 – Corte eur D.U., sentenze Deweer c. Belgio, cit., punti 42 e 47; 15 luglio 1982, Eckle c. Germania, serie A, n. 51, punto 73, e 21 maggio 2003, Janosevic c. Svezia, Recueil des arrêts et décisions 2002-VII, punto 91, in cui il termine ad quem, ai fini del calcolo della durata del procedimento, è stato rinvenuto nel momento in cui l’amministrazione fiscale ha notificato al soggetto l’accertamento fiscale con la maggiorazione dell’imposta dovuta (nello stesso senso, v. sentenza 21 maggio 2003, Västberga Taxi Aktiebolag e Vulic c. Svezia, punto 103).
22 – Corte eur D.U., sentenza 9 ottobre 1979, Airey c. Irlanda, serie A, n. 32, punto 24.
23 – Corte eur D.U., sentenza Deweer c. Belgio, cit., punto 42.
24 – V. Corte eur. D.U., Eckle c. Germania, cit., punto 73. In tale sentenza, la Corte, nel fissare il termine ad quem per determinare la durata del procedimento, ha escluso che questo coincidesse, da un lato, con il deposito della denuncia, poiché questa, pur avendo dato luogo all’apertura di una prima indagine preliminare, successivamente archiviata, «non aveva determinato misure d’istruzione», e, dall’altro, con l’avvio della seconda indagine preliminare, iniziata con «l’audizione di numerosi testimoni, interrogati sulle accuse formulate nei confronti del sig. Eckle». Non avendo potuto determinare «a partire da quando gli interessati [i coniugi Eckle] [avevano] avuto ufficialmente conoscenza dell’indagine e ne hanno sentito gli effetti», la Corte ha fissato un termine successivo (di circa un anno) all’avvio della prima indagine preliminare.
25 – V. Corte eur. D.U., Eckle c. Germania, cit. Nella sentenza Deewer, cit., detta Corte ha invece negato che integrasse accusa ai sensi dell’art. 6, n. 1, CEDU l’ispezione fatta nei locali commerciali del ricorrente, poiché rientrante nei controlli ordinari per assicurarsi del rispetto della legge.
26 – Tale circostanza non è stata peraltro invocata dalla ricorrente né nel corso del procedimento amministrativo né dinanzi al Tribunale per far valere un’eventuale insufficienza istruttoria.
27 – La ricorrente fa valere di essere stata l’unica società madre coinvolta nell’infrazione a essere stata informata solo allo stadio della CA e menziona, a titolo di esempio, Akzo Nobel NV. Quest’ultima società ha tuttavia, come ricorda la stessa ricorrente, costituito oggetto di misure d’istruzione nel corso dell’indagine preliminare (nella specie, richieste d’informazioni).
28 – Corte eur D.U., sentenza 27 aprile 2006, Casse c. Lussemburgo, punti 29‑33 e 71‑72. In tale sentenza la Corte ha ritenuto che il ricorrente dovesse considerarsi come «accusato» ai fini dell’applicazione dell’art. 6, n. 3, lett. a), CEDU alla data in cui fu ordinata una perquisizione nei locali della banca presso cui era stato dipendente, poiché è in tale momento che un «insieme di indizi concordanti» indicavano in modo non ambiguo la sua qualità di «sospetto» (v. punto 33).
29 – Corte eur D.U., sentenza 27 novembre 2008, Salduz c. Turchia. Rinvio al testo completo dei punti 54 e 62 di tale sentenza, di cui solo alcuni estratti sono riportati nell’impugnazione.
30 – Corte eur D.U., sentenza 13 ottobre 2009, Dayanan c. Turchia, punti 31 e ss. richiamati dalla ricorrente.
31 – V. paragrafo 14. Gli altri punti delle Best Practices menzionati dalla ricorrente riguardano la possibilità per la Commissione di organizzare incontri informali con le parti durante la fase d’inchiesta (paragrafo 38), i cosiddetti «State of Play Meetings» (paragrafi 54‑60), incontri triangolari e incontri con il commissario o il direttore generale (paragrafi 61-64), nonché l’accesso a una versione non confidenziale della denuncia. Anche a prescindere dal rilievo che, nella versione attuale delle Best Practices, quanto meno le disposizioni relative agli «State of Play Meetings» non sono applicabili alle procedure relative ai cartelli (v. par. 60), emerge, alla lettura dei sopramenzionati paragrafi, l’intenzione della Commissione di condurre per quanto possibile un’indagine aperta e trasparente, ma non quella di impegnarsi formalmente a mettere in atto, in ogni inchiesta, le differenti iniziative in essi descritte.
32 – Che comporta, in sostanza, un’eccezione d’illegittimità del regolamento n. 1/2003.
33 – Corte eur. D.U., sentenza 23 novembre 2006, Jussila c. Finlandia. La questione sottoposta alla Corte europea dei diritti dell’uomo riguardava la compatibilità con l’art. 6 CEDU dell’omissione dell’udienza nel procedimento d’appello contro una maggiorazione d’imposta decisa dal fisco finlandese.
34 – L’elenco esemplificativo fornito al suddetto punto 43 della sentenza Jussila comprendeva inoltre le contravvenzioni amministrative, le sanzioni disciplinari in base al diritto penitenziario e le ammende irrogate da giurisdizioni finanziarie. La Commissione europea dei diritti dell’uomo si era pronunciata in favore della natura penale delle sanzioni irrogate dal Conseil de la concurrence francese per violazione delle regole nazionali a tutela della concorrenza nel caso Société Stenuit c. Francia, oggetto di radiazione dal registro della Corte con sentenza 27 febbraio 1992. Per un’opinione contraria all’estensione dell’eccezione contenuta al punto 43 della sentenza Jussila alle procedure comunitarie d’infrazione alle regole di concorrenza, v. Slater, Thomas, Waelbroeck «Competition Law Proceedings before the European Commission and the Right to a fair Trail: no Need to Reform?», in The Global Competition Law Centre Working Papers Series, 04/08, pag. 27.
35 – Lo stesso ragionamento si trova nella sentenza della Corte eur. D.U. 4 marzo 2008, Hüseyin Turan c. Turchia, punto 32.
36 – Corte eur. D.U., sentenza 24 febbraio 1994, Bendenoun c. Francia, serie A, n. 284, e Janosevic c. Svezia, cit.
37 – V. sentenza Janosevic, cit., punto 81.
38 – V. sentenze Bendenoun, cit., punto 46, e Janosevic, cit, punto 81; nello stesso senso, sentenza 23 ottobre 1995, Umlauft c. Austria, serie A, n. 328-B, punti 37‑39. Tale posizione riprende in sostanza quella già in precedenza espressa dalla Corte europea dei diritti dell’uomo quanto all’applicazione dell’art. 6 CEDU in ambito non penale (v., inter alia, sentenza 10 febbraio 1983, Albert e Le Compte c. Belgio, serie A, n. 58, punto 29) e per le infrazioni penali minori (quali quelle relative al codice della strada, v. sentenza 23 ottobre 1984, Öztürk c. Germania, punto 29).
39 – In italiano sarebbe più corretto utilizzare l’espressione «giurisdizione di merito», per quanto, come si vedrà meglio in seguito, non sia chiaro, nel passaggio riportato, se la Corte europea dei diritti dell’uomo si riferisca effettivamente ad una giurisdizione che trascende il sindacato di mera legittimità.
40 – Al punto 82 della sentenza la Corte rileva che i tribunali amministrativi «possono conoscere di ogni aspetto delle questioni di cui sono investiti. Il loro esame non si limita ai punti di diritto ma può anche includere le questioni di fatto come la valutazione delle prove (…)».
41 – V., ad esempio, sentenze 31 agosto 2007, Bistrovic c. Croazia, punto 53, riguardo alle «County Courts» croate; 21 settembre 1993, Zumtobel c. Austria, serie A, n. 268-A, punti 27‑32, con riferimento al controllo esercitato nella specie dalla Corte amministrativa austriaca, e 25 ottobre 1995, Bryan c. Regno Unito, serie A, n. 335–A, punti 44‑47. Tali precedenti non riguardano tuttavia la materia penale.
42 – Corte eur. D.U., sentenza 14 novembre 2006, Tsfayo c. Regno Unito, punto 48.
43 – Corte eur. D. U., sentenza 27 gennaio 2004, Kyprianou c. Cipro. In particolare, la Corte ha affermato che «en tant qu’instance d’appel, celle-ci n’avait pas pleine juridiction pour examiner à nouveau l’affaire, mais pouvait seulement contrôler s’il y avait dans le jugement de première instance des erreurs manifestes de droit ou de fait. Elle n’a pas procédé à nouveau à un examen indépendant de l’accusation en matière pénale portée contre le requérant pour contempt devant la cour d’assises. En outre, la Cour suprême a estimé qu’elle ne pouvait pas intervenir dans le jugement de la cour d’assises en reconnaissant la marge d’appréciation de cette dernière quant à infliger une peine au requérant». Tuttavia la Corte ha anche aggiunto: «en réalité, la Cour suprême a refusé d’annuler la décision litigieuse au motif que la composition de la cour d’assises n’était pas de nature à garantir son impartialité, alors qu’elle avait le pouvoir de le faire». Inoltre, nella sentenza 15 dicembre 2005, nella stessa causa, la Grande Chambre, pur giungendo alla medesima conclusione, si è piuttosto focalizzata sul fatto che la Corte suprema non aveva in ogni caso proceduto, pur avendone la competenza, all’annullamento della decisione dell’istanza inferiore.
44 – Corte eur. D.U., sentenza 4 marzo 2004, Silvester’s Horeca Service c. Belgio, punti 26 e 27.
45 – Sentenza Groupe Danone/Commissione (cit. alla nota 6, punti 61 e 62). V. anche conclusioni dell’avvocato generale Kokott dell’8 dicembre 2005 nella causa C‑113/04 P, Technische Unie/Commissione, definita con sentenza 21 settembre 2006 (Racc. pag. I‑8831, paragrafo 132), e conclusioni dell’avvocato generale Poiares Maduro del 16 novembre 2006 nella causa definita con la sentenza Groupe Danone/Commissione, cit. (paragrafi 45 e 48).
46 – Sentenza Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione (cit. alla nota 7, punto 692). Sull’argomento, mi permetto di rinviare a P. Mengozzi, La compétence de pleine juridicition du juge communautaire, in «Liber amicorum en l’honneur de Bo Vesterdorf», 2007, pag. 219.
47 – V., in tal senso, quanto all’art. 85 del Trattato CE, sentenze 11 luglio 1985, causa 42/84, Remia e a./Commissione (Racc. pag. 2545, punto 34); 17 novembre 1987, cause riunite 142/84 e 156/84, BAT e Reynolds/Commissione (Racc. pag. 4487, punto 62), e 2 ottobre 2003, causa C‑194/99 P, Thyssen Stahl/Commissione (Racc. pag. I‑10821, punto 78).
48 – In proposito, osservo che, al di fuori della materia penale, la Corte europea dei diritti dell’uomo sembra accettare la possibilità che il sindacato giurisdizionale su provvedimenti amministrativi possa essere, in determinati ambiti, limitato agli errori manifesti (v. sentenza Bryan, cit., punti 41 e 44‑47). In particolare, al punto 47, la Corte si esprime come segue: «Ci si può ragionevolmente attendere un tal modo di procedere da parte di una giurisdizione d’appello in settori giuridici specializzati come quello in causa, in particolare quando i fatti sono stati precedentemente accertati nel corso di una procedura quasi giurisdizionale che garantisce il rispetto di numerose esigenze previste dall’art. 6, n. 1, CEDU». V. anche sentenza Tsyfayo, cit., punto 46.
49 – In tal senso v. già sentenza 13 giugno 1972, cause riunite 9/71 e 11/71, Compagnie d’approvisionnement, de transport et de crédit et Grands Moulins de Paris/Commissione (Racc. pag. 391). In particolare, le complesse valutazioni operate dalla Commissione devono essere esaminate alla luce dei soli elementi di cui essa disponeva quando le ha effettuate, v. sentenza della Corte 5 ottobre 2000, causa C-288/96, Germania/Commissione (Racc. pag. I-8237, punto 34); sentenza del Tribunale 25 giugno 1998, cause riunite T-371/94 e T-394/94, British Airways e a. e British Midland Airways/Commissione (Racc. pag. II-2405, punto 81).
50 – V. sentenze del Tribunale 8 luglio 2004, cause riunite T‑67/00, T‑68/00, T‑71/00 e T‑78/00, JFE Engineering/Commissione (Racc. pag. II‑2501, punti 174 e 175), e 20 aprile 1999, cause riunite T‑305/94 ‑ T‑307/94, T‑313/94 ‑ T‑316/94, T‑318/94, T‑325/94, T‑328/94, T‑329/94 e T‑335/94, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione (Racc. pag. II‑931, punto 891).
51 – Per alcuni esempi, v. sentenza Zumtobel (cit., punti 31 e ss.), e la stessa sentenza Janosevic, cit.
52 – Non ritengo che a una diversa conclusione possa condurre la sola circostanza che, nella decisione impugnata, il Tribunale abbia escluso la riduzione dell’ammenda richiesta dalla ricorrente sulla base della considerazione che quest’ultima non aveva apportato argomenti o elementi di fatto tali da giustificare l’esercizio della sua competenza giurisdizionale anche di merito in materia di ammende.
53 – V., in particolare, sentenze 2 aprile 1998, causa C‑367/95 P, Commissione/Sytraval e Brink’s France (Racc. pag. I‑1719, punto 63 e giurisprudenza ivi citata), nonché 15 luglio 2004, causa C‑501/00, Spagna/Commissione (Racc. pag. I‑6717, punto 73).
54 – Sentenza del Tribunale 22 octobre 1997, cause riunite T‑213/95 e T‑18/96, SCK e FNK/Commissione (Racc. pag. II‑1739, punto 226).
55 – V., inter alia, sentenza 2 ottobre 2003, causa C-199/99 P, Corus UK (Racc. pag. I‑11177, punto 145), citata dalla ricorrente.
56 – Rilevo che, in una recente pronuncia pregiudiziale, la Corte ha considerato applicabile la Carta anche con riferimenti a fatti svoltisi anteriormente all’entrata in vigore del Trattato di Lisbona (v. sentenza 22 dicembre 2010, causa C‑279/09, DEB, non ancora pubblicata nella Raccolta).
57 – La ricorrente cita in proposito la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo 14 gennaio 2010, Atanasovski c. Ex Repubblica jugoslava di Macedonia.
58 – Sentenza 16 novembre 2000, causa C‑286/98 P, Stora Kopparbergs Bergslags/Commissione (Racc. pag. I‑9925).
59 – Sentenza 10 settembre 2009, causa C‑97/08 P, Akzo Nobel e a./Commissione (Racc. pag. I‑8237).
60 – Corte eur. D.U., sentenza 19 dicembre 1997, Helle c. Finlandia. Rilevo peraltro che tale sentenza concerne, più che l’intensità dell’obbligo di motivazione, l’esigenza di un esame sostanziale degli elementi essenziali sottoposti a controllo giurisdizionale. Al punto 60 di tale sentenza, citato dalla ricorrente, detta Corte si esprime nei termini che seguono : «Eu égard à ces considérations, la Cour souligne que la notion de procès équitable requiert qu’une juridiction interne qui n’a que brièvement motivé sa décision, que ce soit en incorporant les motifs fournis par une juridiction inférieure ou autrement, ait réellement examiné les questions essentielles qui lui ont été soumises et qu’elle ne se soit pas contentée d’entériner purement et simplement les conclusions d’une juridiction inférieure».
61 – Elf Aquitaine richiama in particolare le sentenze 28 ottobre 1987, H. c. Belgio, punto 53, e 25 aprile 1997, Georgiadis c. Grecia, punto 43.
62 – Sentenza 27 gennaio 2000, causa C‑164/98 P, DIR International Film e a./Commissione (Racc. pag. I‑447, punti 38 e 42).
63 – In questo senso, v. già sentenza 14 luglio 1972, causa 48/69, ICI/Commissione (Racc. pag. 619, punti 136‑137).
64 – Punto 28. In tal senso, v. anche sentenza del Tribunale 15 settembre 2005, causa T‑325/01, DaimlerChrysler/Commissione (Racc. pag. II‑3319, punti 218‑220).
65 – Punto 29. In tal senso si era pronunciato, nelle conclusioni presentate in tale causa, l’avvocato generale Mischo (Racc. pag. I‑9928, punti 17-62). Nel medesimo senso, v. sentenza del Tribunale 26 aprile 2007, cause riunite T‑109/02, T‑118/02, T‑122/02, T‑125/02, T‑126/02, T‑128/02, T‑129/02, T‑132/02 e T‑136/02, Bolloré/Commissione (Racc. pag. II‑947, punto 132).
66 – Punto 62.
67 – V. sentenza del Tribunale 18 dicembre 2008, causa T‑85/06, General Química e a./Commissione (non pubblicata nella Raccolta), confermata in sede di giudizio d’impugnazione dalla sentenza 20 gennaio 2011, causa C-90/09 P, General Química e a./Commissione (non ancora pubblicata nella Raccolta).
68 – Oltre alle citate sentenze della Corte Stora, Akzo Nobel e General Quimica, e del Tribunale General Quimica, v. sentenza del Tribunale 12 dicembre 2007, causa T-112/05, Akzo Nobel e a./ Commissione (Racc. pag. II‑5049).
69 – V. sentenza 25 ottobre 1983, causa 107/82, AEG-Telefunken/Commissione (Racc. pag. 3151, punto 50).
70 – V., ad esempio, il ricorso pendente dinanzi al Tribunale T-185/06, Air Liquide/Commissione.
71 – D’altro canto, poiché la violazione allegata dalla ricorrente appare collegata più alla natura indiziaria della prova per presunzione che al grado di attendibilità dell’inferenza su cui si fonda la presunzione di influenza determinante applicata a El Aquitaine, non basterebbe, per rimediare a tale violazione, imporre alla Commissione, come suggerito dalla ricorrente, di «rafforzare» detta presunzione attraverso la produzione di ulteriori indizi dell’esercizio effettivo di tale influenza, poiché ciò non modificherebbe la natura meramente indiziaria del quadro probatorio su cui si fonda la responsabilità della società madre in circostanze come quella del caso di specie.
72 – V., in particolare, Corte eur. D.U., sentenza 7 ottobre 1988, Salabiaku c. Francia, punto 28. Tale giurisprudenza è ripresa dalla Corte nella sentenza 23 dicembre 2009, causa C‑45/08, Spector Photo Group e Van Raemdonck (non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 43).
73 – Corte eur. D.U., sentenza 25 settembre 1992, Pham Hoang c. Francia, punto 34; nello stesso senso, v. in precedenza sentenza Salabiaku, cit.
74 – Corte eur. D.U., sentenza 30 marzo 2004, Radio France e a. c. Francia, punto 24.
75 – V. Corte eur. D.U., sentenze 12 dicembre 2001, Phillips c. Regno Unito, punto 43, e 23 dicembre 2008, Grayson e Barnham c. Regno Unito, punti 46-49. In entrambi i casi, tuttavia, la presunzione in questione non era stata applicata per permettere l’incriminazione del ricorrente, ma unicamente per consentire di determinare il contenuto del provvedimento di confisca.
76 – Punti 101-105.
77 – V., inter alia, sentenza della Corte Akzo Nobel (cit. alla nota 59, punto 60).
78 – In questo senso, v. sentenza del Tribunale Akzo Nobel e a./ Commissione (cit. alla nota 68, punto 62).
79 – In tal senso, v. Corte eur. D.U., sentenza Phillips c. Regno Unito (cit., punto 43), in cui si è evidenziata la circostanza che il giudice disponesse di un potere discrezionale nel far operare la presunzione che gli consentiva di escluderla qualora la sua applicazione comportasse un serio rischio di ingiustizia.
80 – V. sentenza 16 luglio 2009, causa C‑344/08, Rubach (Racc. pag. I‑7033, punti 31‑33).
81 – V., ad esempio, sentenze Phillips c. Regno Unito (cit., punto 43), e Grayson e Barnham c. Regno Unito (cit., punto 49).
82 – Cit. alla nota 72.
83 – Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 28 gennaio 2003, relativa all’abuso di informazioni privilegiate e alla manipolazione del mercato (abusi di mercato) (GU L 96, pag. 16).
84 – Punto 44.
85 – V. punto 55.
86 – V. punto 61.
87 – V., ad esempio, la giurisprudenza citata ai punti 58 e 59 della sentenza della Corte Akzo Nobel (cit. alla nota 59).
88 – In questo senso, v. sentenza della Corte Akzo Nobel (cit. alla nota 59, punto 77.
89 – Sui limiti di tale principio v., tra l’altro, le conclusioni dell’avvocato generale Warner nella causa Commercial Solvents, che ha dato luogo alla sentenza 6 marzo 1974, cause riunite 6/73 e 7/73, Istituto Chemioterapico Italiano e Commercial Solvents/Commissione (Racc. pag. 223).
90 – L’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, sulla quale la ricorrente fonda tale censura, è, anche se di poco, anteriore al deposito dell’impugnazione. Rilevo inoltre che nessun motivo o argomento relativo a una pretesa violazione del principio di proporzionalità è stato invocato dalla ricorrente in primo grado. Orbene, come correttamente sottolineato dalla Commissione, il Tribunale e la Corte hanno verificato il rispetto di tale principio in materia di ammende anche prima dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona. La ricevibilità della censura in questione è dunque dubbia anche in quanto motivo dedotto in giudizio per la prima volta in sede d’impugnazione (v., da ultimo, sentenza 17 giugno 2010, causa C‑413/08 P, Lafarge/Commissione, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 52).
91 – V., inter alia, sentenze 17 luglio 1997, causa C‑219/95 P, Ferriere Nord/Commissione (Racc. pag. I‑4411, punto 31); 17 dicembre 1998, causa C-185/95 P, Baustahlgewebe/Commissione (Racc. pag. I-8417, punto 129), e Technische Unie/Commissione (cit. alla nota 45, punto 210).
92 – Come si è già detto sopra, alla nota 52, nella specie, il Tribunale ha ritenuto che la ricorrente non avesse avanzato elementi tali da consentirgli di rimettere in discussione l’ammontare dell’ammenda inflittale esercitando la sua competenza giurisdizionale anche di merito (punto 242 della sentenza impugnata).