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Documento 62010CJ0424

Sentenza della Corte (grande sezione) del 21 dicembre 2011.
Tomasz Ziolkowski (C-424/10) e Barbara Szeja e altri (C-425/10) contro Land Berlin.
Domande di pronuncia pregiudiziale: Bundesverwaltungsgericht - Germania.
Libera circolazione delle persone - Direttiva 2004/38/CE - Diritto di soggiorno permanente - Art. 16 - Soggiorno legale - Soggiorno basato sul diritto nazionale - Soggiorno compiuto anteriormente all’adesione all’Unione dello Stato d’origine del cittadino interessato.
Cause riunite C-424/10 e C-425/10.

Raccolta della Giurisprudenza 2011 -00000

Identificatore ECLI: ECLI:EU:C:2011:866

Cause riunite C‑424/10 e C‑425/10

Tomasz Ziolkowski e altri e Marlon Szeja

contro

Land Berlin

(domande di pronuncia pregiudiziale proposte dal Bundesverwaltungsgericht)

«Libera circolazione delle persone — Direttiva 2004/38/CE — Diritto di soggiorno permanente — Art. 16 — Soggiorno legale — Soggiorno basato sul diritto nazionale — Soggiorno compiuto anteriormente all’adesione all’Unione dello Stato d’origine del cittadino interessato»

Massime della sentenza

1.        Cittadinanza dell’Unione europea — Diritto di libera circolazione e di libero soggiorno nel territorio degli Stati membri — Direttiva 2004/38 — Diritto di soggiorno permanente dei cittadini dell’Unione

(Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2004/38, artt. 7, n. 1, e 16, n. 1)

2.        Cittadinanza dell’Unione europea — Diritto di libera circolazione e di libero soggiorno nel territorio degli Stati membri — Direttiva 2004/38 — Presupposti del diritto di soggiorno a norma del diritto dell’Unione

(Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2004/38, art. 37)

3.        Cittadinanza dell’Unione europea — Diritto di libera circolazione e di libero soggiorno nel territorio degli Stati membri — Direttiva 2004/38 — Diritto di soggiorno permanente dei cittadini dell’Unione

(Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2004/38, artt. 7, n. 1, e 16, n. 1)

1.        L’art. 16, n. 1, della direttiva 2004/38, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, deve essere interpretato nel senso che non si può ritenere che il cittadino dell’Unione che abbia compiuto un soggiorno di più di cinque anni sul territorio dello Stato membro ospitante sulla sola base del diritto nazionale di tale Stato abbia acquisito il diritto al soggiorno permanente in conformità a tale disposizione se, durante tale soggiorno, egli non soddisfaceva le condizioni di cui all’art. 7, n. 1, della stessa direttiva.

Infatti, tenendo conto del contesto in cui è utilizzata e degli obiettivi perseguiti dalla direttiva 2004/38, la nozione di soggiorno legale sottesa ai termini «che abbia soggiornato legalmente», di cui all’art. 16, n. 1, della direttiva 2004/38, deve intendersi come corrispondente ad un soggiorno conforme alle condizioni previste da detta direttiva, segnatamente quelle previste all’art. 7, n. 1, della stessa. Di conseguenza, il soggiorno conforme al diritto di uno Stato membro, ma che non soddisfa le condizioni di cui all’art. 7, n. 1, della direttiva 2004/38, non può essere considerato come soggiorno «legale» ai sensi dell’art. 16, n. 1, di essa.

(v. punti 34, 46-47, 51, dispositivo 1)

2.        L’art. 37 della direttiva 2004/38, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, si limita a prevedere che quest’ultima non osta a che il diritto degli Stati membri istituisca un regime più favorevole di quello stabilito in virtù delle disposizioni di tale direttiva. Tuttavia ciò non implica affatto che le disposizioni più favorevoli debbano essere integrate nel sistema attuato da tale direttiva.

Spetta, tuttavia, a ciascuno Stato membro decidere non soltanto se instaurare tale regime, ma anche quali siano le condizioni e gli effetti di quest’ultimo, in particolare per quanto riguarda le conseguenze giuridiche di un diritto di soggiorno concesso sulla sola base del diritto interno.

(v. punti 49-50)

3.        I periodi di soggiorno del cittadino di uno Stato terzo sul territorio di uno Stato membro, compiuti anteriormente all’adesione di detto Stato terzo all’Unione europea, devono, in assenza di disposizioni specifiche contenute nell’atto di adesione, essere presi in considerazione ai fini dell’acquisizione del diritto di soggiorno permanente a norma dell’art. 16, n. 1, della direttiva 2004/38, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, purché siano stati compiuti in conformità alle condizioni di cui all’art. 7, n. 1, della stessa direttiva.

Al riguardo, nei limiti in cui l’interessato è in grado di dimostrare che tali periodi sono stati effettuati conformemente alle condizioni enunciate, la presa in considerazione dei detti periodi, a partire dalla data di adesione dello Stato interessato all’Unione, ha come conseguenza non di conferire all’art. 16 di detta direttiva un effetto retroattivo, bensì semplicemente di attribuire un effetto presente a situazioni createsi anteriormente alla data di trasposizione di tale direttiva.

(v. punti 62-63, dispositivo 2)







SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)

21 dicembre 2011 (*)

«Libera circolazione delle persone – Direttiva 2004/38/CE – Diritto di soggiorno permanente – Art. 16 – Soggiorno legale – Soggiorno basato sul diritto nazionale – Soggiorno compiuto anteriormente all’adesione all’Unione dello Stato d’origine del cittadino interessato»

Nei procedimenti riuniti C‑424/10 e C‑425/10,

aventi ad oggetto le domande di pronuncia pregiudiziale proposte alla Corte, ai sensi dell’art. 267 TFUE, dal Bundesverwaltungsgericht (Germania), con decisioni 13 luglio 2010, pervenute in cancelleria il 31 agosto 2010, nelle cause

Tomasz Ziolkowski (C‑424/10),

Barbara Szeja,

Maria-Magdalena Szeja,

Marlon Szeja (C‑425/10)

contro

Land Berlin,

con l’intervento di:

Vertreter des Bundesinteresses beim Bundesverwaltungsgericht, 

LA CORTE (Grande Sezione),

composta dal sig. V. Skouris, presidente, dai sigg. J. N. Cunha Rodrigues, K. Lenaerts, J.-C. Bonichot, J. Malenovský e U. Lõhmus, presidenti di sezione, dalla sig.ra R. Silva de Lapuerta (relatore), dai sigg. M. Ilešič, E. Levits, T. von Danwitz e A. Arabadjiev, giudici,

avvocato generale: sig. Y. Bot

cancelliere: sig. B. Fülöp, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 13 luglio 2011,

considerate le osservazioni presentate:

–        per il sig. Ziolkowski, nonché per la sig.ra Szeja e i suoi figli, dall’avv. L. Weber, Rechtsanwalt;

–        per il governo tedesco, dai sigg. T. Henze e N. Graf Vitzthum, in qualità di agenti;

–        per l’Irlanda, dal sig. D. O’Hagan, in qualità di agente, assistito dal sig. B. Doherty, barrister;

–        per il governo ellenico, dalle sig.re M. Michelogiannaki e T. Papadopoulou, in qualità di agenti;

–        per il governo del Regno Unito, dai sig. S. Ossowski, in qualità di agente, assistito dal sig. T. Ward, barrister;

–        per la Commissione europea, dai sigg. W. Bogensberger e M. Wilderspin, nonché dalla sig.ra D. Maidani, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 14 settembre 2011,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        Le domande di pronuncia pregiudiziale in esame riguardano l’interpretazione del diritto di soggiorno permanente sancito dall’art. 16 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 29 aprile 2004, 2004/38/CE, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (GU L 158, pag. 77, e rettifiche in GU L 229, pag. 35).

2        Tali domande sono state presentate nel contesto di due controversie che vedono, in un caso, il sig. Ziolkowski, nell’altro, la sig.ra Szeja e i suoi due figli minori, contrapposti al Land Berlin in merito al rifiuto di quest’ultimo di rilasciare un documento che attestasse il loro diritto di soggiorno permanente a norma dell’art. 16 della direttiva 2004/38.

 Contesto normativo

 Diritto dell’Unione

3        Ai sensi dei ‘considerando’ terzo, quarto, decimo, diciassettesimo, diciottesimo e ventinovesimo della direttiva 2004/38:

«(3)      La cittadinanza dell’Unione dovrebbe costituire lo status fondamentale dei cittadini degli Stati membri quando essi esercitano il loro diritto di libera circolazione e di soggiorno. È pertanto necessario codificare e rivedere gli strumenti comunitari esistenti che trattano separatamente di lavoratori subordinati, lavoratori autonomi, studenti ed altre persone inattive al fine di semplificare e rafforzare il diritto di libera circolazione e soggiorno di tutti i cittadini dell’Unione.

(4)      Per superare tale carattere settoriale e frammentario delle norme concernenti il diritto di libera circolazione e soggiorno e allo scopo di facilitare l’esercizio di tale diritto, occorre elaborare uno strumento legislativo unico per modificare parzialmente il regolamento (CEE) n. 1612/68 del Consiglio, del 15 ottobre 1968, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità [(GU L 257, pag. 2), come modificato dal regolamento (CEE) n. 2434/92 del Consiglio, del 27 luglio 1992 (GU L 245, pag. 1)] e per abrogare i seguenti testi legislativi: la direttiva 68/360/CEE del Consiglio, del 15 ottobre 1968, relativa alla soppressione delle restrizioni al trasferimento e al soggiorno dei lavoratori degli Stati membri e delle loro famiglie all’interno della Comunità [(GU L 257, pag. 13)]; la direttiva 73/148/CEE del Consiglio, del 21 maggio 1973, relativa alla soppressione delle restrizioni al trasferimento e al soggiorno dei cittadini degli Stati membri all’interno della Comunità in materia di stabilimento e di prestazione di servizi [(GU L 172, pag. 14)]; la direttiva 90/364/CEE del Consiglio, del 28 giugno 1990, relativa al diritto di soggiorno [(GU L 180, pag. 26)]; la direttiva 90/365/CEE del Consiglio, del 28 giugno 1990, relativa al diritto di soggiorno dei lavoratori salariati e non salariati che hanno cessato la propria attività professionale [(GU L 180, pag. 28)] e la direttiva 93/96/CEE del Consiglio, del 29 ottobre 1993, relativa al diritto di soggiorno degli studenti [(GU L 317, pag. 59)].

(...)

(10)      Occorre tuttavia evitare che coloro che esercitano il loro diritto di soggiorno diventino un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante durante il periodo iniziale di soggiorno. Pertanto il diritto di soggiorno dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari per un periodo superiore a tre mesi dovrebbe essere subordinato a condizioni.

(…)

(17)      Un diritto di soggiorno permanente per i cittadini dell’Unione che hanno scelto di trasferirsi a tempo indeterminato nello Stato membro ospitante rafforzerebbe il senso di appartenenza alla cittadinanza dell’Unione e costituisce un essenziale elemento di promozione della coesione sociale, che è uno degli obiettivi fondamentali dell’Unione. Occorre quindi istituire un diritto di soggiorno permanente per tutti i cittadini dell’Unione ed i loro familiari che abbiano soggiornato nello Stato membro ospitante per un periodo ininterrotto di cinque anni conformemente alle condizioni previste dalla presente direttiva e senza diventare oggetto di una misura di allontanamento.

(18)      Per costituire un autentico mezzo di integrazione nella società dello Stato membro ospitante in cui il cittadino dell’Unione soggiorna, il diritto di soggiorno permanente non dovrebbe, una volta ottenuto, essere sottoposto ad alcuna condizione.

(…)

(29)      La presente direttiva non dovrebbe pregiudicare le norme nazionali più favorevoli».

4        Al capo I della direttiva 2004/38, intitolato «Disposizioni generali», l’art. 1 della stessa, intitolato «Oggetto», dispone quanto segue:

«La presente direttiva determina:

a) le modalità d’esercizio del diritto di libera circolazione e soggiorno nel territorio degli Stati membri da parte dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari;

b) il diritto di soggiorno permanente nel territorio degli Stati membri dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari;

(…)».

5        Il capo III di tale direttiva, intitolato «Diritto di soggiorno», include gli artt. 6–15 della stessa.

6        Sotto la rubrica «Diritto di soggiorno sino a tre mesi», detto art. 6 così prevede:

«1.      I cittadini dell’Unione hanno il diritto di soggiornare nel territorio di un altro Stato membro per un periodo non superiore a tre mesi senza alcuna condizione o formalità, salvo il possesso di una carta d’identità o di un passaporto in corso di validità.

2. Le disposizioni del paragrafo 1 si applicano anche ai familiari in possesso di un passaporto in corso di validità non aventi la cittadinanza di uno Stato membro che accompagnino o raggiungano il cittadino dell’Unione».

7        L’art. 7 della direttiva 2004/38, intitolato «Diritto di soggiorno per un periodo superiore a tre mesi», recita come segue:

«1.      Ciascun cittadino dell’Unione ha il diritto di soggiornare per un periodo superiore a tre mesi nel territorio di un altro Stato membro, a condizione:

a) di essere lavoratore subordinato o autonomo nello Stato membro ospitante; o

b) di disporre, per se stesso e per i propri familiari, di risorse economiche sufficienti, affinché non divenga un onere a carico dell’assistenza sociale dello Stato membro ospitante durante il periodo di soggiorno, e di un’assicurazione malattia che copra tutti i rischi nello Stato membro ospitante; o

c) - di essere iscritto presso un istituto pubblico o privato, riconosciuto o finanziato dallo Stato membro ospitante in base alla sua legislazione o prassi amministrativa, per seguirvi a titolo principale un corso di studi inclusa una formazione professionale;

- di disporre di un’assicurazione malattia che copre tutti i rischi nello Stato membro ospitante e di assicurare all’autorità nazionale competente, con una dichiarazione o con altro mezzo di sua scelta equivalente, di disporre, per se stesso e per i propri familiari, di risorse economiche sufficienti, affinché non divenga un onere a carico dell’assistenza sociale dello Stato membro ospitante durante il suo periodo di soggiorno; o

d) di essere un familiare che accompagna o raggiunge un cittadino dell’Unione rispondente alle condizioni di cui alle lettere a), b) o c).

2. Il diritto di soggiorno di cui al paragrafo 1 è esteso ai familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro quando accompagnino o raggiungano nello Stato membro ospitante il cittadino dell’Unione, purché questi risponda alle condizioni di cui al paragrafo 1, lettere a), b) o c).

3. Ai sensi del paragrafo 1, lettera a), il cittadino dell’Unione che abbia cessato di essere un lavoratore subordinato o autonomo conserva la qualità di lavoratore subordinato o autonomo nei seguenti casi:

a) l’interessato è temporaneamente inabile al lavoro a seguito di una malattia o di un infortunio;

b) l’interessato, trovandosi in stato di disoccupazione involontaria debitamente comprovata dopo aver esercitato un’attività per oltre un anno, si è registrato presso l’ufficio di collocamento competente al fine di trovare un lavoro;

c) l’interessato, trovandosi in stato di disoccupazione involontaria debitamente comprovata al termine di un contratto di lavoro di durata determinata inferiore ad un anno o venutosi a trovare in tale stato durante i primi dodici mesi, si è registrato presso l’ufficio di collocamento competente al fine di trovare un lavoro. In tal caso, l’interessato conserva la qualità di lavoratore subordinato per un periodo che non può essere inferiore a sei mesi;

d) l’interessato segue un corso di formazione professionale. Salvo il caso di disoccupazione involontaria, la conservazione della qualità di lavoratore subordinato presuppone che esista un collegamento tra l’attività professionale precedentemente svolta e il corso di formazione seguito.

4. In deroga al paragrafo 1, lettera d) e al paragrafo 2, soltanto il coniuge, il partner che abbia contratto un’unione registrata prevista all’articolo 2, punto 2, lettera b) e i figli a carico godono del diritto di soggiorno in qualità di familiari di un cittadino dell’Unione che soddisfa le condizioni di cui al paragrafo 1, lettera c). L’articolo 3, paragrafo 2 si applica ai suoi ascendenti diretti e a quelli del coniuge o partner registrato».

8        L’art. 12 della direttiva 2004/38, intitolato «Conservazione del diritto di soggiorno dei familiari in caso di decesso o di partenza del cittadino dell’Unione», ai suoi nn. 1 e 2, così dispone:

«1.      Senza pregiudizio delle disposizioni del secondo comma, il decesso del cittadino dell’Unione o la sua partenza dal territorio dello Stato membro ospitante non incidono sul diritto di soggiorno dei suoi familiari aventi la cittadinanza di uno Stato membro.

Prima dell’acquisizione del diritto di soggiorno permanente, le persone interessate devono soddisfare personalmente le condizioni previste all’articolo 7, paragrafo 1, lettere a), b), c) o d).

2. Senza pregiudizio delle disposizioni del secondo comma, il decesso del cittadino dell’Unione non comporta la perdita del diritto di soggiorno dei familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro e che hanno soggiornato nello Stato membro ospitante per almeno un anno prima del decesso del cittadino dell’Unione.

Prima dell’acquisizione del diritto di soggiorno permanente, il diritto di soggiorno delle persone interessate rimane subordinato al requisito che esse dimostrino di esercitare un’attività lavorativa subordinata od autonoma o di disporre per sé e per i familiari di risorse sufficienti affinché non divengano un onere per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante durante il loro soggiorno, nonché di una assicurazione malattia che copra tutti i rischi nello Stato membro ospitante, ovvero di fare parte del nucleo familiare, già costituito nello Stato membro ospitante, di una persona che soddisfa tali condizioni. Le risorse sufficienti sono quelle indicate all’articolo 8, paragrafo 4.

I familiari in questione conservano il diritto di soggiorno esclusivamente a titolo personale».

9        Con il titolo «Mantenimento del diritto di soggiorno dei familiari in caso di divorzio, di annullamento del matrimonio o di scioglimento dell’unione registrata», l’art. 13 della direttiva 2004/38 enuncia quanto segue:

«1.      Senza pregiudizio delle disposizioni del secondo comma, il divorzio, l’annullamento del matrimonio dei cittadini dell’Unione o lo scioglimento della loro unione registrata di cui all’articolo 2, punto 2, lettera b), non incidono sul diritto di soggiorno dei loro familiari aventi la cittadinanza di uno Stato membro.

Prima dell’acquisizione del diritto di soggiorno permanente, gli interessati devono soddisfare le condizioni previste all’articolo 7, paragrafo 1, lettere a), b), c) o d).

2. Senza pregiudizio delle disposizioni del secondo comma, il divorzio, l’annullamento del matrimonio o lo scioglimento dell’unione registrata di cui all’articolo 2, punto 2, lettera b), non comportano la perdita del diritto di soggiorno dei familiari del cittadino dell’Unione non aventi la cittadinanza di uno Stato membro se:

(…)

Prima dell’acquisizione del diritto di soggiorno permanente, il diritto di soggiorno delle persone interessate rimane subordinato al requisito che esse dimostrino di esercitare un’attività lavorativa subordinata o autonoma, o di disporre per sé e per i familiari di risorse sufficienti affinché non divengano un onere per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante durante il soggiorno, nonché di una assicurazione malattia che copra tutti i rischi nello Stato membro ospitante, ovvero di fare parte del nucleo familiare, già costituito nello Stato membro ospitante, di una persona che soddisfa tali condizioni. Le risorse sufficienti sono quelle indicate all’articolo 8, paragrafo 4.

I familiari in questione conservano il diritto di soggiorno esclusivamente a titolo personale».

10      Con il titolo «Mantenimento del diritto di soggiorno», l’art. 14 della direttiva 2004/38 così dispone:

«1.      I cittadini dell’Unione e i loro familiari beneficiano del diritto di soggiorno di cui all’articolo 6 finché non diventano un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante.

2. I cittadini dell’Unione e i loro familiari beneficiano del diritto di soggiorno di cui agli articoli 7, 12 e 13 finché soddisfano le condizioni fissate negli stessi.

In casi specifici, qualora vi sia un dubbio ragionevole che il cittadino dell’Unione o i suoi familiari non soddisfano le condizioni stabilite negli articoli 7, 12 e 13, gli Stati membri possono effettuare una verifica in tal senso. Tale verifica non è effettuata sistematicamente.

3. Il ricorso da parte di un cittadino dell’Unione o dei suoi familiari al sistema di assistenza sociale non dà luogo automaticamente ad un provvedimento di allontanamento.

4. In deroga ai paragrafi 1 e 2 e senza pregiudizio delle disposizioni del capitolo VI, un provvedimento di allontanamento non può essere adottato nei confronti di cittadini dell’Unione o dei loro familiari qualora

a) i cittadini dell’Unione siano lavoratori subordinati o autonomi, oppure

b) i cittadini dell’Unione siano entrati nel territorio dello Stato membro ospitante per cercare un posto di lavoro. In tal caso i cittadini dell’Unione e i membri della loro famiglia non possono essere allontanati fino a quando i cittadini dell’Unione possono dimostrare di essere alla ricerca di un posto di lavoro e di avere buone possibilità di trovarlo».

11      Nel capo IV della direttiva 2004/38, intitolato «Diritto di soggiorno permanente», l’art. 16 della stessa, rubricato «Norma generale per i cittadini dell’Unione e i loro familiari», è formulato nel modo seguente:

«1. Il cittadino dell’Unione che abbia soggiornato legalmente ed in via continuativa per cinque anni nello Stato membro ospitante ha diritto al soggiorno permanente in detto Stato. Tale diritto non è subordinato alle condizioni di cui al capo III.

2. Le disposizioni del paragrafo 1 si applicano anche ai familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro che abbiano soggiornato legalmente in via continuativa per cinque anni assieme al cittadino dell’Unione nello Stato membro ospitante.

3. La continuità della residenza non è pregiudicata da assenze temporanee che non superino complessivamente sei mesi all’anno né da assenze di durata superiore per l’assolvimento degli obblighi militari né da un’assenza di dodici mesi consecutivi al massimo dovuta a motivi rilevanti, quali gravidanza e maternità, malattia grave, studi o formazione professionale o il distacco per motivi di lavoro in un altro Stato membro o in un paese terzo.

4. Una volta acquisito, il diritto di soggiorno permanente si perde soltanto a seguito di assenze dallo Stato membro ospitante di durata superiore a due anni consecutivi».

12      Nello stesso capo IV, l’art. 18 della direttiva 2004/38, intitolato «Acquisizione del diritto di soggiorno permanente da parte [dei] familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro», così prevede:

«Senza pregiudizio dell’articolo 17, i familiari del cittadino dell’Unione di cui all’articolo 12, paragrafo 2, e all’articolo 13, paragrafo 2 che soddisfano le condizioni ivi previste, acquisiscono il diritto di soggiorno permanente dopo aver soggiornato legalmente e in via continuativa per cinque anni nello Stato membro ospitante».

13      Ai sensi dell’art. 37 della direttiva 2004/38:

«Le disposizioni della presente direttiva non pregiudicano le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative di diritto interno che siano più favorevoli ai beneficiari della presente direttiva».

 Diritto nazionale

14      Con il titolo «Diritto di ingresso e di soggiorno», l’art. 2, nn. 1 e 2, della legge sulla libera circolazione dei cittadini dell’Unione (Gesetz über die allgemeine Freizügigkeit von Unionsbürgern) 30 luglio 2004 (BGBl. 2004 I, pag. 1950), come modificata dalla legge di recepimento delle direttive dell’Unione europea in materia di diritto di soggiorno e di asilo (Gesetz zur Umsetzung Aufenthalts- und asylrechtlicher Richtlinien der Europäischen Union) 19 agosto 2007 (BGBl. 2007 I, pag. 1970; in prosieguo: il «FreizügG/EU»), così dispone:

«(1)      I cittadini dell’Unione che beneficiano della libera circolazione nonché i loro familiari hanno il diritto di entrare e di soggiornare nel territorio federale conformemente alle disposizioni della presente legge.

(2)      Fruiscono della libera circolazione in forza del diritto dell’Unione:

(…)

5.      i cittadini dell’Unione non occupati, al ricorrere dei presupposti di cui all’art. 4,

(…)».

15      L’art. 4 del FreizügG/EU, intitolato «Persone non occupate che beneficiano della libera circolazione», così recita:

«I cittadini dell’Unione non occupati, i loro familiari e partner, che accompagnano o raggiungono il cittadino dell’Unione, sono titolari del diritto in cui di cui all’art. 2, n. 1, se dispongono di un’assicurazione malattia sufficiente e di risorse economiche sufficienti (…)».

16      L’art. 4 bis del FreizügG/EU, intitolato «Diritto di soggiorno permanente», al suo n. 1, così dispone:

«I cittadini dell’Unione, i loro familiari e partner, che abbiano soggiornato legalmente per un periodo di cinque anni senza soluzione di continuità nel territorio federale, hanno il diritto di ingresso e di soggiorno indipendentemente dal fatto che essi soddisfino sempre le condizioni dell’art. 2, n. 2 (diritto di soggiorno permanente)».

17      Ai sensi dell’art. 5, n. 6, del FreizügG/EU:

«Ai cittadini dell’Unione che ne fanno domanda viene rilasciato immediatamente un documento attestante il loro diritto di soggiorno permanente».

 Cause principali e questioni pregiudiziali

18      Il sig. Ziolkowski è un cittadino polacco giunto in Germania nel corso del mese di settembre del 1989. Egli ha ottenuto un permesso di soggiorno per ragioni umanitarie per il periodo che va dal mese di luglio del 1991 al mese di aprile del 2006.

19      La sig.ra Szeja è una cittadina polacca giunta in Germania nel 1988. Essa ha ottenuto un permesso di soggiorno per ragioni umanitarie per il periodo che va dal mese di maggio del 1990 al mese di ottobre del 2005. I suoi figli sono nati in Germania nel 1994 e nel 1996. Essi hanno ottenuto un permesso di soggiorno corrispondente a quello della madre. Il padre è un cittadino turco che vive separato, ma che ha congiuntamente con la sig.ra Szeja la custodia dei figli.

20      Nel 2005 il sig. Ziolkowski, nonché la sig.ra Szeja e i suoi figli, hanno chiesto al Land Berlin la proroga dei loro permessi di soggiorno o, eventualmente, il rilascio di un documento che ne attestasse il soggiorno permanente in base al diritto dell’Unione. La domanda presentata dalla sig.ra Szeja e dai suoi figli è stata respinta. Il sig. Ziolkowski ha ottenuto una proroga del suo permesso di soggiorno fino al mese di aprile del 2006, ma, successivamente, una nuova domanda di proroga è stata anch’essa respinta. Gli interessati sono stati tutti informati che nei loro confronti sarebbero state adottate eventuali misure di allontanamento verso il loro Stato membro d’origine, per il caso in cui essi si fossero astenuti dall’abbandonare il territorio tedesco entro un certo termine successivo alla data in cui le dette decisioni di rigetto del Land Berlin fossero divenute definitive.

21      Secondo il Land Berlin, la proroga del permesso di soggiorno dei ricorrenti delle cause principali non era possibile in quanto essi non erano in grado di provvedere al proprio sostentamento. Il riconoscimento di un diritto di soggiorno permanente ai sensi del diritto dell’Unione non sarebbe stato neanch’esso possibile, dato che gli interessati non erano occupati e non erano neppure in grado di provare di poter provvedere al proprio sostentamento.

22      Il Verwaltungsgericht (Tribunale amministrativo) ha accolto i ricorsi dinanzi ad esso proposti dai ricorrenti delle cause principali, dichiarando che il diritto di soggiorno permanente ai sensi del diritto dell’Unione deve essere riconosciuto a favore di qualsiasi cittadino dell’Unione che abbia soggiornato legalmente per cinque anni sul territorio dello Stato membro ospitante, senza che occorra verificare se le sue risorse siano sufficienti. Poiché il Land Berlin ha impugnato tali pronunce del Verwaltungsgericht, l’Oberverwaltungsgericht Berlin-Brandenburg (Tribunale amministrativo superiore dei Länder di Berlino e del Brandeburgo) le ha riformate con sentenze del 28 aprile 2009.

23      Ai sensi di tali sentenze, ai fini dell’acquisizione del diritto di soggiorno permanente in base al diritto dell’Unione, potrebbero essere presi in considerazione soltanto i periodi compiuti dal cittadino interessato a partire dalla data in cui lo Stato d’origine di quest’ultimo è divenuto membro dell’Unione europea. Inoltre, ai fini di siffatta acquisizione, potrebbe essere considerato legale soltanto il soggiorno effettuato sulla base dell’art. 2, n. 2, del FreizügG/EU, disposizione che corrisponde all’art. 7 della direttiva 2004/38. Poiché, alla data di adesione del loro Stato di origine all’Unione, cioè il 1° maggio 2004, i ricorrenti nelle cause principali non erano lavoratori né disponevano di risorse sufficienti per poter provvedere al proprio sostentamento senza gravare sul sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante, essi non integravano, secondo detto giudice, le condizioni di cui all’art. 2, n. 2, del FreizügG/EU e non avevano pertanto acquisito il diritto di soggiorno permanente ai sensi dell’art. 4bis di detta legge.

24      Avverso tali sentenze dell’Oberverwaltungsgericht Berlin-Brandenburg i ricorrenti nelle cause principali hanno proposto un ricorso in cassazione («Revision») dinanzi al giudice del rinvio.

25      Il giudice del rinvio fa sue le constatazioni del giudice d’appello secondo cui i ricorrenti nelle cause principali non avrebbero soggiornato in Germania in conformità alle condizioni previste dal diritto dell’Unione, bensì sul solo fondamento del diritto nazionale. Esso ritiene tuttavia, anche se un tale soggiorno non può consentire l’acquisizione del diritto di soggiorno permanente previsto all’art. 16, n. 1, della direttiva 2004/38, di essere nondimeno tenuto ad adire la Corte prima di statuire.

26      In tale contesto il Bundesverwaltungsgericht ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali, che sono formulate in termini identici nei due procedimenti C‑424/10 e C‑425/10:

«1)      Se l’art. 16, n. 1, prima frase, della direttiva 2004/38 (…) debba essere interpretato nel senso che conferisce al cittadino dell’Unione, che abbia soggiornato legalmente per oltre cinque anni in uno Stato membro soltanto sulla base del diritto nazionale ma che in tale periodo non soddisfaceva i presupposti di cui all’art. 7, n. 1, di [tale] direttiva (…), un diritto di soggiorno permanente in tale Stato membro.

2)      Se, ai fini del soggiorno legale ai sensi dell’art. 16, n. 1, della direttiva 2004/38 (...), debbano essere computati anche i periodi di soggiorno del cittadino dell’Unione nello Stato membro ospitante anteriori all’adesione del suo Stato d’origine all’Unione europea (...)».

27      Con ordinanza del presidente della Corte 6 ottobre 2010, le cause C‑424/10 e C‑425/10 sono state riunite ai fini della fase scritta e di quella orale del procedimento, nonché della sentenza.

 Sulle questioni pregiudiziali

 Sulla prima questione

28      Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede se l’art. 16, n. 1, della direttiva 2004/38 debba essere interpretato nel senso che occorre ritenere che il cittadino dell’Unione, che abbia compiuto un soggiorno di più di cinque anni sul territorio dello Stato membro ospitante sulla sola base del diritto interno di quest’ultimo, abbia acquisito un diritto di soggiorno permanente in conformità a tale disposizione, anche qualora durante detto soggiorno egli non soddisfacesse i requisiti previsti all’art. 7, n. 1, della stessa direttiva.

 Osservazioni presentate alla Corte

29      Secondo i ricorrenti nelle cause principali, l’art. 16, n. 1, della direttiva 2004/38 non richiede che il cittadino dell’Unione soddisfi i requisiti imposti all’art. 7, n. 1, di detta direttiva. Per poter acquisire il diritto di soggiorno permanente previsto al detto articolo 16, n. 1, sarebbe sufficiente dimostrare un soggiorno legale, anche in conformità al diritto dello Stato membro ospitante, mentre la circostanza che il richiedente abbia fatto ricorso all’assistenza sociale, oppure il fatto che, nel corso di tale soggiorno, il servizio per gli stranieri possa aver legittimamente constatato la perdita del diritto di libera circolazione sarebbero, al riguardo, privi di rilievo.

30      La totalità degli Stati membri che hanno depositato osservazioni, nonché la Commissione europea considerano, al pari del giudice del rinvio, che l’acquisizione del diritto il soggiorno permanente ai sensi dell’art. 16, n. 1, della direttiva 2004/38 richiede che il cittadino dell’Unione interessato abbia soggiornato in via continuativa per cinque anni in conformità alle condizioni previste all’art. 7, n. 1, di tale direttiva e che, conseguentemente, il soggiorno che non soddisfi tali condizioni non possa essere qualificato come «soggiorno legale», ai sensi di detto art. 16, n. 1.

 Risposta della Corte

31      Ai sensi dell’art. 16, n. 1, prima frase, della direttiva 2004/38, i cittadini dell’Unione che abbiano soggiornato legalmente e in via continuativa per cinque anni nello Stato membro ospitante acquisiscono il diritto di soggiorno permanente sul suo territorio.

32      Occorre preliminarmente ricordare che, secondo una giurisprudenza costante della Corte, dalle esigenze tanto dell’applicazione uniforme del diritto dell’Unione quanto del principio d’uguaglianza discende che una disposizione di diritto dell’Unione che non contenga alcun espresso richiamo al diritto degli Stati membri per quanto riguarda la determinazione del suo senso e della sua portata deve normalmente dar luogo, nell’intera Unione, ad un’interpretazione autonoma ed uniforme (sentenze 19 settembre 2000, causa C‑287/98, Linster, Racc. pag. I‑6917, punto 43, e 18 ottobre 2011, causa C–34/10, Brüstle, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 25).

33      Orbene, sebbene la formulazione di detta disposizione della direttiva 2004/38 non fornisca alcuna precisazione quanto al modo in cui devono essere intesi i termini «che abbia soggiornato legalmente» sul territorio dello Stato membro ospitante, tale direttiva non effettua peraltro alcun rinvio ai diritti nazionali per quanto riguarda il significato da attribuire a detti termini. Si deve pertanto ritenere che questi ultimi designino, ai fini dell’applicazione di tale direttiva, una nozione autonoma del diritto dell’Unione, da interpretare in modo uniforme sul territorio della totalità degli Stati membri.

34      Va, al riguardo, ricordato che la determinazione del significato e della portata dei termini per i quali il diritto dell’Unione non fornisce alcuna definizione va operata segnatamente tenendo conto del contesto in cui essi sono utilizzati e degli scopi perseguiti dalla normativa di cui fanno parte (v., in particolare, sentenze 10 marzo 2005, causa C‑336/03, easyCar, Racc. pag. I‑1947, punto 21; 22 dicembre 2008, causa C–549/07, Wallentin-Hermann, Racc. pag. I‑11061, punto 17; 29 luglio 2010, causa C‑151/09, UGT‑FSP, Racc. pag. I-7591, punto 39, nonché Brüstle, cit., punto 31).

35      Così, anzitutto, per quanto riguarda gli obiettivi della direttiva 2004/38, il primo ‘considerando’ di questa ricorda che la cittadinanza dell’Unione conferisce a ciascun cittadino dell’Unione il diritto primario e individuale di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, fatte salve le limitazioni e le condizioni fissate dai Trattati, nonché le disposizioni adottate in applicazione degli stessi (v. sentenze 7 ottobre 2010, causa C‑162/09, Lassal, Racc. pag. I‑9217, punto 29, e 5 maggio 2011, causa C–434/09, McCarthy, Racc. pag. I‑3375, punto 27).

36      Se è vero che la direttiva 2004/38 mira ad agevolare e a rafforzare l’esercizio del diritto primario e individuale di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, conferito direttamente ad ogni cittadino dell’Unione, resta il fatto che l’oggetto di detta direttiva riguarda, come risulta dal suo art. 1, lett. a) e b), le modalità di esercizio di tale diritto e il diritto di soggiorno permanente, introdotto, quest’ultimo, per la prima volta nell’ordinamento giuridico dell’Unione da tale direttiva, salvo per quanto riguarda i lavoratori che hanno cessato l’attività lavorativa nello Stato membro ospitante e i loro familiari.

37      Dai ‘considerando’ terzo e quarto della direttiva 2004/38 risulta che quest’ultima ha lo scopo di superare un approccio settoriale e frammentario del diritto di circolare e soggiornare liberamente al fine di agevolare l’esercizio di tale diritto mediante l’elaborazione di un atto legislativo unico che codifichi e riveda gli strumenti del diritto dell’Unione anteriori a tale direttiva.

38      Per quanto riguarda poi il contesto complessivo della direttiva 2004/38, va osservato che essa ha previsto un sistema graduale per quanto riguarda il diritto di soggiorno nello Stato membro ospitante, il quale, riprendendo sostanzialmente le fasi e le condizioni previste nei diversi strumenti del diritto dell’Unione e nella giurisprudenza anteriori a tale direttiva, sfocia nel diritto di soggiorno permanente.

39      In primo luogo, infatti, per i soggiorni che vanno fino a tre mesi, l’art. 6 della direttiva 2004/38 limita le condizioni o formalità del diritto di soggiorno al requisito di essere in possesso di una carta d’identità o di un passaporto in corso di validità, e l’art. 14, n. 1, di detta direttiva conserva tale diritto nei limiti in cui il cittadino dell’Unione e i suoi familiari non divengano un onere irragionevole per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante.

40      In secondo luogo, per un soggiorno della durata di oltre tre mesi, il beneficio del diritto di soggiorno è subordinato alle condizioni di cui all’art. 7, n. 1, della direttiva 2004/38 e, ai sensi dell’art. 14, n. 2, di essa, tale diritto viene conservato soltanto nei limiti in cui il cittadino dell’Unione e i suoi familiari soddisfino tali condizioni. Dal decimo ‘considerando’ di tale direttiva risulta, in particolare, che le dette condizioni sono dirette, segnatamente, a evitare che queste persone divengano un onere irragionevole per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante.

41      In terzo luogo, dall’art. 16, n. 1, della direttiva 2004/38 risulta che i cittadini dell’Unione acquisiscono il diritto di soggiorno permanente dopo aver soggiornato legalmente e in via continuativa per cinque anni nel territorio dello Stato membro ospitante e che tale diritto non è soggetto alle condizioni menzionate al punto precedente. Come osserva il diciottesimo ‘considerando’ di detta direttiva, il diritto di soggiorno permanente, una volta ottenuto, non deve essere sottoposto ad alcuna condizione, e ciò affinché esso possa costituire un autentico mezzo di integrazione nella società di detto Stato.

42      Infine, per quanto riguarda il contesto particolare della direttiva 2004/38 alla luce del diritto di soggiorno permanente, va rilevato che il diciassettesimo ‘considerando’ della stessa precisa che occorre istituire tale diritto per tutti i cittadini dell’Unione ed i loro familiari che abbiano soggiornato nello Stato membro ospitante per un periodo ininterrotto di cinque anni «conformemente alle condizioni previste dalla presente direttiva» e senza diventare oggetto di una misura di allontanamento.

43      Tale precisazione è stata introdotta nel detto ‘considerando’, nel corso dell’iter legislativo che ha condotto all’adozione della direttiva 2004/38, dalla posizione comune (CE) adottata dal Consiglio dell’Unione europea il 5 dicembre 2003, n. 6/2004 (GU 2004, C 54 E, pag. 12). Secondo la comunicazione al Parlamento europeo 30 dicembre 2003 (SEC/2003/1293 def.), detta precisazione è stata introdotta «per precisare la portata della nozione di soggiorno legale», ai sensi dell’art. 16, n. 1, di detta direttiva.

44      Inoltre, l’art. 18 della direttiva 2004/38, che figura nello stesso capitolo dell’art. 16 e riguarda l’acquisizione del diritto di soggiorno permanente dei familiari del cittadino dell’Unione che non abbiano la nazionalità di uno Stato membro, prevede che, in caso di decesso o di partenza di tale cittadino, di divorzio, di annullamento del matrimonio o di cessazione dell’unione registrata, tali familiari debbano, così come previsto al n. 1 di detto art. 16, aver «soggiornato legalmente» e in via continuativa per cinque anni nello Stato membro ospitante per acquisire il diritto di soggiorno permanente, rinviando al riguardo agli articoli 12, n. 2, e 13, n. 2, della stessa direttiva, disposizioni il cui secondo comma esige dagli interessati, tra le altre condizioni, che possano dimostrare essi stessi, anteriormente a tale acquisizione, di soddisfare le stesse condizioni previste all’art. 7, n. 1, lett. a), b) o d) di tale direttiva.

45      Del pari, in conformità agli artt. 12, n. 1, e 13, n. 1, della direttiva 2004/38, anche se il decesso o la partenza del cittadino dell’Unione o ancora il divorzio, l’annullamento del matrimonio o la cessazione dell’unione registrata non pregiudicano il diritto di soggiorno dei suoi familiari che hanno la nazionalità di uno Stato membro, questi ultimi devono ugualmente dimostrare di soddisfare essi stessi le condizioni di cui all’art. 7, n. 1, di detta direttiva anteriormente all’acquisizione del diritto di soggiorno permanente.

46      Ne consegue che la nozione di soggiorno legale sottesa ai termini «che abbia soggiornato legalmente», di cui all’art. 16, n. 1, della direttiva 2004/38, deve intendersi come corrispondente ad un soggiorno conforme alle condizioni previste da detta direttiva e, segnatamente, quelle previste all’art. 7, n. 1, della stessa.

47      Di conseguenza, il soggiorno conforme al diritto di uno Stato membro, ma che non soddisfa le condizioni di cui all’art. 7, n. 1, della direttiva 2004/38, non può essere considerato come soggiorno «legale» ai sensi dell’art. 16, n. 1, di essa.

48      Al riguardo, l’interpretazione contraria non può essere validamente sostenuta sulla base dell’art. 37 della direttiva 2004/38, secondo cui le disposizioni di quest’ultima non pregiudicano le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative di uno Stato membro che siano più favorevoli ai beneficiari della medesima direttiva.

49      Infatti, va osservato che il fatto di non pregiudicare le disposizioni nazionali più favorevoli di quelle della direttiva 2004/38 per quanto riguarda il diritto di soggiorno dei cittadini dell’Unione non implica affatto che tali disposizioni debbano essere integrate nel sistema istituito da detta direttiva.

50      L’art. 37 della direttiva 2004/38 si limita a prevedere che quest’ultima non osta a che il diritto degli Stati membri istituisca un regime più favorevole di quello stabilito in virtù delle disposizioni di tale direttiva. Spetta, tuttavia, a ciascuno Stato membro decidere non soltanto se instaurare tale regime, ma anche quali siano le condizioni e gli effetti di quest’ultimo, in particolare per quanto riguarda le conseguenze giuridiche di un diritto di soggiorno concesso sulla sola base del diritto interno.

51      Alla luce di quanto precede, occorre risolvere la prima questione dichiarando che l’art. 16, n. 1, della direttiva 2004/38 deve essere interpretato nel senso che non si può ritenere che il cittadino dell’Unione, che abbia compiuto un soggiorno di più di cinque anni sul territorio dello Stato membro ospitante sulla sola base del diritto nazionale di tale Stato, abbia acquisito il diritto al soggiorno permanente in conformità a tale disposizione se, durante tale soggiorno, egli non soddisfaceva le condizioni di cui all’art. 7, n. 1, della stessa direttiva.

 Sulla seconda questione

52      Con la sua seconda questione, il giudice del rinvio chiede se i periodi di soggiorno del cittadino di uno Stato terzo sul territorio di uno Stato membro, compiuti anteriormente all’adesione di detto Stato terzo all’Unione, debbano, in mancanza di specifiche disposizioni nell’atto di adesione, essere presi in considerazione ai fini dell’acquisizione del diritto di soggiorno permanente a norma dell’art. 16, n. 1, della direttiva 2004/38.

 Osservazioni presentate alla Corte

53      L’Irlanda e la Commissione considerano che non è necessario risolvere la seconda questione sollevata dal giudice del rinvio, in quanto è pacifico che i ricorrenti delle cause principali non hanno mai soddisfatto le condizioni di cui all’art. 7, n. 1, della direttiva 2004/38, e ciò anche durante i periodi di soggiorno anteriori all’adesione del loro Stato d’origine all’Unione.

54      I governi tedesco e del Regno Unito ritengono che i periodi di soggiorno anteriori all’adesione all’Unione dello Stato d’origine del cittadino interessato non possano essere presi in considerazione ai fini dell’acquisizione del diritto di soggiorno permanente a norma dell’art. 16, n. 1, della direttiva 2004/38, dato che tale diritto di soggiorno presuppone che la persona che ne domanda il beneficio abbia soggiornato in qualità di cittadino dell’Unione, mentre, anteriormente all’adesione della Repubblica di Polonia all’Unione, i ricorrenti nelle cause principali non erano cittadini di quest’ultima e non beneficiavano, quindi, neppure dei diritti conferiti dagli strumenti giuridici dell’Unione.

55      Il governo ellenico considera, per contro, che dai termini, dalla finalità e dall’economia dell’art. 16, n. 1, della direttiva 2004/38 risulterebbe che detta disposizione va applicata indipendentemente dalla data di adesione all’Unione dello Stato d’origine del cittadino interessato. Conseguentemente i periodi di soggiorno compiuti anteriormente all’adesione dovrebbero essere presi in considerazione, nei limiti in cui soddisfino le condizioni previste da tale direttiva.

 Risposta della Corte

56      Occorre preliminarmente rilevare che l’atto di adesione di un nuovo Stato membro si fonda essenzialmente sul principio generale dell’applicazione immediata e integrale delle disposizioni del diritto dell’Unione a tale Stato, mentre deroghe sono ammesse solo e in quanto previste espressamente da disposizioni transitorie (v. sentenza 28 aprile 2009, causa C–420/07, Apostolides, Racc. pag. I‑3571, punto 33 e giurisprudenza citata).

57      In tal senso, per quanto riguarda l’art. 6 del Trattato CEE (divenuto art. 6 del Trattato CE, a sua volta divenuto, in seguito a modifica, art. 12 CE), nonché gli artt. 48 e 51 del Trattato CE (divenuti rispettivamente, in seguito a modifica, artt. 39 CE e 42 CE), la Corte ha avuto modo di dichiarare che, quando l’atto relativo alle condizioni di adesione di uno Stato membro non contiene nessuna disposizione transitoria relativa all’applicazione di detti articoli, questi ultimi devono ritenersi immediatamente applicabili e vincolanti nei confronti di detto Stato membro a decorrere dalla data della sua adesione all’Unione, cosicché da tale data i detti articoli possono essere invocati dai cittadini provenienti da tutti gli Stati membri e possono trovare applicazione con riferimento agli effetti presenti e futuri di situazioni sorte anteriormente all’adesione di detto Stato all’Unione (sentenze 2 ottobre 1997, causa C–122/96, Saldanha e MTS, Racc. pag. I‑5325, punto 14; 30 novembre 2000, causa C–195/98, Österreichischer Gewerkschaftsbund, Racc. pag. I‑10497, punto 55, nonché 18 aprile 2002, causa C‑290/00, Duchon, Racc. pag. I‑3567, punto 44).

58      La Corte ha, peraltro, del pari giudicato che le disposizioni relative alla cittadinanza dell’Unione sono applicabili sin dal momento della loro entrata in vigore, e che si deve pertanto considerare che esse devono trovare applicazione con riferimento agli effetti presenti di situazioni sorte anteriormente (v. sentenze 11 luglio 2002, causa C‑224/98, D’Hoop, Racc. pag. I‑6191, punto 25, e Lassal, cit., punto 39).

59      Nella fattispecie, non esiste alcuna disposizione transitoria concernente l’applicazione alla Repubblica di Polonia delle disposizioni di diritto dell’Unione riguardanti la libera circolazione delle persone nell’Atto relativo alle condizioni di adesione all’Unione europea della Repubblica ceca, della Repubblica di Estonia, della Repubblica di Cipro, della Repubblica di Lettonia, della Repubblica di Lituania, della Repubblica di Ungheria, della Repubblica di Malta, della Repubblica di Polonia, della Repubblica di Slovenia e della Repubblica slovacca, e agli adattamenti dei trattati sui quali si fonda l’Unione europea (GU 2003, L 236, pag. 33), fatta eccezione per talune disposizioni transitorie riguardanti la libera circolazione dei lavoratori e la libera prestazione dei servizi, contenute negli Allegati di detto atto.

60      Conseguentemente, le disposizioni di cui all’art. 16, n. 1, della direttiva 2004/38 possono essere invocate da cittadini dell’Unione ed essere applicate agli effetti attuali e futuri di situazioni sorte anteriormente all’adesione della Repubblica di Polonia all’Unione.

61      È, al riguardo, certamente vero che i periodi di soggiorno compiuti nel territorio dello Stato membro ospitante dal cittadino di un altro Stato anteriormente all’adesione di quest’ultimo all’Unione non ricadevano nell’ambito del diritto di quest’ultima, ma soltanto nell’ambito del diritto di tale Stato membro ospitante.

62      Tuttavia, nei limiti in cui l’interessato è in grado di dimostrare che tali periodi sono stati effettuati conformemente alle condizioni di cui all’art. 7, n. 1, della direttiva 2004/38, la presa in considerazione dei detti periodi, a partire dalla data di adesione dello Stato interessato all’Unione ha come conseguenza non di conferire all’art. 16 di detta direttiva un effetto retroattivo, bensì semplicemente di attribuire un effetto presente a situazioni createsi anteriormente alla data di trasposizione di tale direttiva (v. sentenza Lassal, cit., punto 38).

63      Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre risolvere la seconda questione dichiarando che i periodi di soggiorno del cittadino di uno Stato terzo sul territorio di uno Stato membro, compiuti anteriormente all’adesione di detto Stato terzo all’Unione, devono, in assenza di disposizioni specifiche contenute nell’atto di adesione, essere presi in considerazione ai fini dell’acquisizione del diritto di soggiorno permanente a norma dell’art. 16, n. 1, della direttiva 2004/38, purché siano stati compiuti in conformità alle condizioni di cui all’art. 7, n. 1, della stessa direttiva.

 Sulle spese

64      Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi la Corte (Grande Sezione) dichiara:

1)      L’art. 16, n. 1, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 29 aprile 2004, 2004/38/CE, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE, deve essere interpretato nel senso che non si può ritenere che il cittadino dell’Unione che abbia compiuto un soggiorno di più di cinque anni sul territorio dello Stato membro ospitante sulla sola base del diritto nazionale di tale Stato abbia acquisito il diritto al soggiorno permanente in conformità a tale disposizione se, durante tale soggiorno, egli non soddisfaceva le condizioni di cui all’art. 7, n. 1, della stessa direttiva.

2)      I periodi di soggiorno del cittadino di uno Stato terzo sul territorio di uno Stato membro, compiuti anteriormente all’adesione di detto Stato terzo all’Unione europea, devono, in assenza di disposizioni specifiche contenute nell’atto di adesione, essere presi in considerazione ai fini dell’acquisizione del diritto di soggiorno permanente a norma dell’art. 16, n. 1, della direttiva 2004/38, purché siano stati compiuti in conformità alle condizioni di cui all’art. 7, n. 1, della stessa direttiva.

Firme


* Lingua processuale: il tedesco.

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