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Documento 62010CC0572

    Conclusioni - 15 dicembre 2011
    Amedee
    Causa C-572/10
    Avvocato generale: Jääskinen

    Identificatore ECLI: ECLI:EU:C:2011:846

    CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

    NIILO JÄÄSKINEN

    presentate il 15 dicembre 2011 (1)

    Causa C‑572/10

    Clément Amédée

    contro

    Garde des Sceaux, Ministre de la Justice et des Libertés,

    e

    Ministre du Budget, des Comptes publics, de la Fonction publique et de la Réforme de l’État

    [domanda di pronuncia pregiudiziale, proposta dal tribunal administratif de Saint‑Denis de la Réunion (Francia)]

    «Politica sociale – Applicabilità nel tempo (protocollo Barber) – Lavoratori di sesso maschile e lavoratori di sesso femminile – Parità di retribuzione – Pensioni di vecchiaia – Maggiorazione per l’educazione dei figli concessa ai dipendenti pubblici, senza distinzioni di sesso, a condizione di un’interruzione dell’attività professionale – Assenza di un quadro normativo che permetta ai dipendenti pubblici di sesso maschile di fruire di un permesso retribuito equivalente al congedo di maternità concesso ai dipendenti pubblici di sesso femminile – Discriminazione indiretta»






    I –    Introduzione

    1.        Le questioni sottoposte alla Corte nel caso di specie sono sorte nell’ambito di una controversia che oppone il sig. Amédée al ministre de la Justice et des Libertés (Ministro di Grazia e Giustizia; in prosieguo: il «Ministro della Giustizia») nonché al ministre du Budget, des Comptes publics, de la Fonction publique et de la Réforme de l’État (Ministro del bilancio, dei conti pubblici, della funzione pubblica e della riforma dello Stato; in prosieguo: il «Ministro delle Finanze») della Repubblica francese, in merito alla legittimità del provvedimento con cui gli è stata concessa una pensione di vecchiaia come ex dipendente pubblico.

    2.        Il sig. Amédée ha addebitato alle autorità francesi di avergli arrecato un danno, privandolo, in quanto dipendente pubblico di sesso maschile, di una maggiorazione concessa ai genitori che hanno provveduto all’educazione dei figli, cui i dipendenti pubblici di sesso femminile avrebbero più facilmente accesso, secondo il ricorrente, grazie al congedo di maternità di due mesi, di cui solo queste ultime fruiscono in maniera automatica, e che è retribuito. Il ricorrente nella causa principale considera incompatibile con il diritto dell’Unione il presupposto legale per la concessione della maggiorazione in parola, che consiste nell’interruzione dell’attività lavorativa per almeno due mesi consecutivi, poiché tale condizione comporterebbe di fatto una discriminazione indiretta nei confronti dei lavoratori di sesso maschile.

    3.        La domanda di pronuncia pregiudiziale presentata dal tribunale amministrativo di Saint-Denis de la Réunion (Francia), che è stata oggetto di un ricorso di appello, verte sull’interpretazione tanto dell’articolo 157 TFUE (2), quanto dell’articolo 6, paragrafo 3, dell’accordo sulla politica sociale (3) e della direttiva 79/7/CEE del Consiglio, del 19 dicembre 1978, relativa alla graduale attuazione del principio di parità di trattamento tra gli uomini e le donne in materia di sicurezza sociale (4).

    4.        Tuttavia, osservo anzitutto che, tenuto conto del fatto che il sig. Amédée è stato ammesso al pensionamento il 22 dicembre 2003, le disposizioni in base alle quali dovrebbero essere esaminate le questioni poste nella presente causa sono in realtà quelle che erano applicabili in materia in tale data, ossia l’articolo 141 CE (5) e la direttiva 86/378/CEE del Consiglio, del 24 luglio 1986, relativa all’attuazione del principio della parità di trattamento tra gli uomini e le donne nel settore dei regimi professionali di sicurezza sociale (6), come modificata dalla direttiva 96/97/CE (7).

    5.        Ricordo che la Corte ha già avuto occasione di pronunciarsi, nell’ambito della sentenza Griesmar (8), sul regime pensionistico francese dei pubblici dipendenti e, in particolare, su un meccanismo di maggiorazione equivalente a quello che è in discussione nella causa principale, sebbene nella versione precedente rispetto alla modifica che è stata introdotta dal legislatore francese nel 2003, proprio al fine di rimediare all’inadempimento del diritto comunitario che era stato rilevato nella detta sentenza (9). La nuova regolamentazione differisce quindi da quella che aveva dato luogo alla precedente sentenza in quanto, all’epoca, il mero fatto di essere una madre biologica bastava affinché un dipendente pubblico di sesso femminile potesse beneficiare di tale maggiorazione, mentre un dipendente pubblico di sesso maschile che avesse preso a carico l’onere di educare i propri figli non aveva alcuna possibilità di ottenere la detta maggiorazione.

    6.        Osservo, inoltre, che il presente rinvio pregiudiziale sembra rivestire una particolare importanza, poiché dalle osservazioni presentate alla Corte dal sig. Amédée risulta che il giudice a quo è stato investito di circa cinquanta ricorsi analoghi a quello presente e che ha scelto quest’ultimo per trattare «in serie» l’insieme dei casi pendenti dinanzi ad esso.

    II – Contesto normativo

    7.        Le disposizioni del diritto nazionale applicabili nella specie sono quelle contenute nel codice francese delle pensioni di vecchiaia civili e militari (in prosieguo: il «codice delle pensioni»), come modificate dalla legge 21 agosto 2003, n. 2003‑775, sulla riforma delle pensioni (10) (in prosieguo: la «legge n. 2003‑775»).

    8.        L’articolo 48, paragrafo I, di tale legge, che è inserito nel capo III, intitolato «Disposizioni relative ai regimi dei dipendenti pubblici», ha così modificato l’articolo L. 12, lettera b), del codice delle pensioni:

    ««[a]l servizio effettivamente prestato si aggiungono, alle condizioni stabilite con decreto del Conseil d’État, le seguenti maggiorazioni: (…)

    b) per ogni figlio legittimo e naturale nato anteriormente al 1° gennaio 2004 e per ogni figlio adottato anteriormente al 1° gennaio 2004, a condizione che sia stato provveduto alla loro educazione per almeno nove anni prima del compimento del loro ventunesimo anno di età, e per ciascuno degli altri figli elencati all’articolo L. 18, paragrafo II, preso a carico anteriormente al 1° gennaio 2004, i funzionari e i militari beneficiano di una maggiorazione fissata in un anno, che si aggiunge al servizio effettivamente prestato, purché essi abbiano interrotto la loro attività alle condizioni stabilite con decreto del Conseil d’État».

    9.        L’articolo 48, paragrafo I, della legge n. 2003‑775 ha inoltre introdotto nel codice delle pensioni un articolo L. 12, lettera b) bis, a termini del quale: «[l]a maggiorazione di cui alla lettera b) è concessa ai funzionari e ai militari di sesso femminile che abbiano partorito durante il periodo di formazione, prima della loro assunzione come dipendenti pubblici, qualora tale assunzione sia avvenuta entro i due anni dalla data di conseguimento del diploma necessario per presentarsi al concorso, senza che possa essere loro opposta una condizione di interruzione dell’attività».

    10.      L’articolo 48, paragrafo II, della legge n. 2003-775 prevede che «le disposizioni di cui all’articolo L. 12, lettera b), del codice delle pensioni (…) risultanti dalla redazione del paragrafo I, secondo comma, si applicano alle pensioni liquidate a decorrere dal 28 maggio 2003».

    11.      L’articolo 6 del decreto 26 dicembre 2003 (11), n. 2003-1305 (in prosieguo: il «decreto n. 2003‑1305»), ha introdotto nel codice delle pensioni un nuovo articolo R. 13, che definisce nei seguenti termini le condizioni alle quali un dipendente pubblico può fruire della maggiorazione prevista dal nuovo articolo L. 12, lettera b), del codice medesimo:

    «[i]l beneficio delle disposizioni dell’articolo L. 12, lettera b), è subordinato ad un’interruzione dell’attività per un periodo continuativo di almeno due mesi nell’ambito di un congedo per maternità, di un congedo per adozione, di un congedo parentale o di un congedo di presenza parentale (…), o di una messa in aspettativa per accudire un minore di età inferiore ad otto anni (…)».

    III – Causa principale, questioni pregiudiziali e procedimento dinanzi alla Corte

    12.      Il sig. Amédée, ex funzionario, è stato ammesso al pensionamento anticipato con provvedimento del 22 dicembre 2003, ossia successivamente al 28 maggio 2003, termine previsto dalla regola di diritto transitoria contenuta nell’articolo 48, paragrafo II, della legge n. 2003‑775. Le disposizioni del codice delle pensioni, come modificate dalla detta legge, sono quindi applicabili alla situazione del ricorrente nella causa a qua.

    13.      L’interessato ha chiesto di beneficiare della maggiorazione per i figli prevista dall’articolo L. 12, lettera b), del codice delle pensioni. Tale maggiorazione gli è stata negata per il motivo che egli non soddisfaceva le condizioni di cui all’articolo R. 13 del medesimo codice.

    14.      Nell’ambito di un primo procedimento, il sig. Amédée ha presentato una domanda di annullamento della decisione che gli aveva negato il beneficio della detta prestazione dinanzi al tribunal administratif de Saint-Denis de la Réunion. Tale domanda è stata respinta con sentenza del 22 luglio 2005, decisione poi confermata con sentenza del Conseil d’État del 22 agosto 2007.

    15.      Il 23 maggio 2009, il sig. Amédée ha proposto nuovamente ricorso dinanzi al tribunal administratif de Saint-Denis de la Réunion, in cui chiede che lo Stato francese sia condannato a risarcirgli i danni che avrebbe subito, sia in ragione dell’illegittimità delle disposizioni della menzionata legge n. 2003‑775 e del corrispondente decreto di attuazione, sia in ragione del contenuto delle decisioni del detto tribunale e del Conseil d’Ètat, che sarebbero viziate da una violazione manifesta delle norme di diritto comunitario preordinate al conferimento di diritti ai singoli.

    16.      Secondo il sig. Amédée, la condizione relativa all’interruzione dell’attività introdotta dalla legge n. 2003‑775 determinerebbe una discriminazione indiretta nei confronti degli uomini, che è vietata. Egli sostiene che i funzionari di sesso femminile soddisfano sistematicamente la condizione in parola, grazie al carattere automatico, obbligatorio e retribuito del congedo di maternità di cui fruiscono, mentre i funzionari di sesso maschile sarebbero, nella grande maggioranza dei casi, privati della maggiorazione controversa, in ragione dell’assenza di un dispositivo legale che consenta loro di interrompere la propria attività professionale in condizioni equivalenti a quelle del congedo di maternità.

    17.      In tale contesto, con ordinanza del 25 novembre 2010, il tribunal administratif de Saint-Denis de la Réunion ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

    «1)      Se si possa ritenere che il meccanismo messo in atto dall’articolo L. 12, lettera b), del codice delle pensioni (…), come modificato dall’articolo 48 della legge 21 agosto 2003, e dall’articolo R. 13 dello stesso codice, come modificato dalle disposizioni di cui all’articolo 6 del decreto 26 dicembre 2003, determini una discriminazione indiretta, ai sensi dell’articolo 157 [TFUE, ex articolo 141 CE] (12), nei confronti dei genitori di figli biologici, tenuto conto della percentuale di uomini che possono soddisfare la condizione relativa all’interruzione della loro attività per un periodo continuativo di almeno due mesi, segnatamente in ragione dell’assenza di una disciplina che consenta loro di soddisfare tale condizione nell’ambito di un congedo retribuito.

    2)      In caso di soluzione affermativa della prima questione, se la discriminazione indiretta così determinata possa risultare legittima in virtù dell’articolo 6, paragrafo 3, dell’accordo allegato al protocollo n. 14 sulla politica sociale.

    3)      In caso di soluzione negativa della seconda questione, se la direttiva 79/7/CEE (…) osti al mantenimento degli articoli L. 12, lettera b), e R. 13 del codice delle pensioni (…).

    4)      In caso di soluzione affermativa della prima questione e di soluzione negativa della seconda e della terza questione, se l’eventuale illegittimità delle suddette disposizioni debba essere limitata alla discriminazione da esse derivante o consista nell’impossibilità per i funzionari di entrambi i sessi di rivendicare il beneficio delle stesse».

    18.      Con lettera pervenuta alla cancelleria della Corte di giustizia il 21 marzo 2011, il giudice del rinvio ha informato quest’ultima che il 15 febbraio 2011 il Ministro della Giustizia ha proposto un ricorso dinanzi alla corte amministrativa d’appello di Bordeaux, avverso la sentenza pronunciata il 25 novembre 2010 dal tribunal administratif de Saint-Denis de la Réunion. La detta corte amministrativa d’appello ha trasmesso alla Corte una memoria in data 9 giugno 2011, in cui si indica che anche il Ministro delle Finanze ha chiesto l’annullamento della detta sentenza, fondandosi sugli stessi motivi. Il 6 luglio 2011, la medesima corte d’appello ha informato la Corte di giustizia che il sig. Amédée ha proposto un appello incidentale, avente ad oggetto, segnatamente, l’annullamento dell’ordinanza contenente la domanda di pronuncia pregiudiziale e la modifica delle questioni poste a tal fine. Con lettera 8 novembre 2011, la stessa giurisdizione ha comunicato che il 15 dicembre 2011 avrebbe tenuto un’udienza in relazione alla causa principale.

    19.      Nell’ambito del procedimento pendente dinanzi alla Corte di giustizia, hanno presentato osservazioni scritte e orali il sig. Amédée, il governo francese e la Commissione europea.

    IV – Analisi

    A –    Osservazioni preliminari

    1.      Sui dati di fatto

    20.      Mi sembra che il sig. Amédée non affermi né di aver interrotto la propria attività lavorativa né di aver ridotto l’orario di lavoro al fine di potersi occupare dell’educazione dei suoi figli e, quindi, di essere stato esposto a svantaggi di carriera. Egli asserisce semplicemente di essere stato discriminato a causa del sesso nei limiti in cui i funzionari di sesso femminile che abbiano interrotto la propria attività lavorativa a causa di un congedo di maternità per almeno due mesi consecutivi beneficiano automaticamente della maggiorazione controversa, al contrario dei funzionari di sesso maschile.

    21.      Tenuto conto del fatto che il ricorrente nella causa principale non ha fornito alla Corte alcuna indicazione in base alla quale si possa concludere che egli si è effettivamente occupato dell’educazione dei figli, interrompendo la propria attività professionale, ovvero riducendo l’orario di lavoro, come sembra richiedere la citata sentenza Griesmar, ci si potrebbe interrogare circa il carattere ipotetico delle questioni poste dal giudice del rinvio (13). Orbene, conformemente ad una giurisprudenza costante, la giustificazione del rinvio pregiudiziale e, di conseguenza, della competenza della Corte, non è formulare pareri consultivi su questioni generali o ipotetiche (14).

    2.      Sui dati temporali

    22.      Mi pare importante evidenziare un problema relativo all’applicazione nel tempo del diritto comunitario pertinente e, in particolare, dell’articolo 141 CE. Infatti, il protocollo n. 17, che è allegato al Trattato CE (15), prevede che, di norma, ai fini dell’applicazione dell’articolo 141 CE, le prestazioni erogate in virtù di un regime professionale di sicurezza sociale non saranno considerate come retribuzione se e nella misura in cui esse possono essere attribuite ai periodi di occupazione precedenti il 17 maggio 1990, data della sentenza Barber (16).

    23.      La questione dell’applicabilità del protocollo n. 17, cosiddetto «protocollo Barber» era stata discussa nella causa Griesmar (17), ma la Corte non ha preso espressamente una posizione su questo punto. Mi sembra tuttavia che essa sia partita dalla premessa che il detto protocollo non fosse applicabile al caso di specie, in quanto la data determinante era quella della liquidazione della pensione, che era posteriore al 17 maggio 1990.

    24.      Nella presente causa, poiché è in discussione la normativa francese come modificata dalla legge n. 2003‑775, si pone la questione se la maggiorazione controversa possa essere attribuita in virtù dei periodi di occupazione del sig. Amédée anteriori al 17 maggio 1990, tenendo presente che il fatto costitutivo del diritto alla maggiorazione consiste nell’interruzione dell’attività professionale per un periodo di almeno due mesi in uno dei casi specificati all’articolo 6 del decreto n. 2003‑1305, che ha introdotto l’articolo R. 13 nel codice delle pensioni.

    25.      Osservo che i figli del sig. Amédée, per i quali egli rivendica il diritto alla maggiorazione controversa, sono nati, secondo quanto risulta dal fascicolo, il 7 giugno 1981, il 14 gennaio 1984 ed il 13 novembre 1985, vale a dire prima del termine previsto dal protocollo Barber. Tenuto conto della data di nascita dell’ultimo figlio e dei diversi tipi di congedo elencati dall’articolo R. 13 del codice delle pensioni, non è facile stabilire in quale periodo si sarebbero costituiti i diritti dell’interessato a beneficiare di un regime pensionistico che includa la maggiorazione rivendicata. Lo stesso sig. Amédée indica di non aver potuto fruire di un congedo parentale dopo la nascita dei figli, poiché tale tipo di congedo è stato reso accessibile ai dipendenti pubblici di sesso maschile soltanto a partire dal 1986.

    26.      Si tratta quindi di stabilire quale data debba essere considerata determinante per attribuire, eventualmente, la maggiorazione controversa al sig. Amédée. A mio avviso, esistono tre possibilità al riguardo: o la data dei congedi di maternità successivi alla nascita dei figli del sig. Amédée, o le date in cui il sig. Amédée avrebbe potuto fruire di uno dei congedi elencati all’articolo 6 del decreto n. 2003‑1305, oppure la data della liquidazione della pensione dell’interessato, avvenuta nel dicembre 2003. La prima soluzione renderebbe l’articolo 141 inapplicabile ratione temporis alla fattispecie, in considerazione delle date di nascita dei tre figli dell’interessato. Quanto alle altre due soluzioni, esse si riferiscono a periodi successivi al 17 maggio 1990.

    27.      Tenuto conto della natura della maggiorazione controversa, che è concepita piuttosto come un fattore supplementare da prendere in considerazione nel calcolo della pensione al momento della liquidazione che non come un diritto pensionistico, acquisito e attribuibile in virtù dei contributi versati per un determinato periodo di occupazione (18), mi sembra che il caso attualmente sottoposto alla Corte rientri nell’ambito di applicazione temporale dell’articolo 141 CE. Parimenti, nel valutare l’esistenza o meno di una violazione del principio della parità di trattamento tra uomini e donne si deve partire, a mio giudizio, dal momento in cui il funzionario interessato è stato collocato a riposo e non dal momento in cui questi aveva la possibilità di fruire dei permessi legalmente previsti per educare i figli rispetto a quello che in tale momento avrebbe potuto fare un funzionario donna.

    B –    Sull’eventuale esistenza di una discriminazione indiretta

    28.      Con la prima questione, il giudice nazionale chiede, in sostanza, se il criterio apparentemente neutro relativo ad un’interruzione dell’attività per almeno due mesi consecutivi, tenuto conto degli effetti che produce – con particolare riferimento alla proporzione di uomini idonei a soddisfare tale condizione – comporti una discriminazione indiretta nei confronti di questi ultimi, e ciò soprattutto in quanto gli uomini non hanno la possibilità di fruire di un congedo parentale retribuito, al contrario della possibilità offerta alle donne nell’ambito del congedo di maternità.

    29.      Ricordo che la discriminazione indiretta si verifica quando una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono mettere in una situazione di particolare svantaggio una persona in particolare rispetto ad altre persone. Siffatta disparità è vietata dall’ordinamento giuridico comunitario, a meno che detta disposizione, criterio o prassi siano oggettivamente giustificati da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari (19).

    30.      In limine, si deve osservare che la Corte ha già avuto modo di statuire che le pensioni erogate sulla base di un regime quale il regime pensionistico francese dei dipendenti pubblici rientrano nella sfera di applicazione ratione materiae dell’articolo 141 CE (20). Ritengo che la maggiorazione prevista dall’articolo L. 12 del codice delle pensioni, come modificata dalla legge n. 2003‑775, costituisca una remunerazione erogata nell’ambito di un rapporto di lavoro, che è assoggettata al principio della parità tra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile sancito dall’articolo 141 CE.

    31.      Secondo costante giurisprudenza, il principio della parità di trattamento, considerato un principio generale del diritto comunitario, vieta che situazioni comparabili siano trattate in modo diverso e che situazioni diverse siano trattate in modo identico, a meno che la diversità di trattamento non sia obiettivamente giustificata (21). Così, il requisito relativo all’uguaglianza delle retribuzioni, che è espressione particolare del divieto generale di discriminazione, presuppone che i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile che ne beneficiano si trovino in situazioni paragonabili (22). Il criterio relativo a tale comparabilità costituisce quindi un elemento fondamentale per la ricerca di un’eventuale discriminazione.

    32.      Nella citata sentenza Griesmar, la Corte ha dichiarato che il regime delle pensioni di vecchiaia che era all’epoca applicabile in Francia comportava una discriminazione diretta in quanto riservava il diritto di fruire della maggiorazione di anzianità, concessa al momento dell’ammissione al pensionamento, unicamente ai dipendenti pubblici di sesso femminile che avevano figli, mentre una tale disparità di trattamento nei confronti degli uomini non risultava giustificata. È in seguito a tale sentenza che l’accesso al detto meccanismo di maggiorazione è stato esteso ai funzionari di sesso maschile in forza dell’articolo L. 12, lettera b), del codice delle pensioni, come modificato dalla legge n. 2003‑775. Come nuova condizione di accesso è prevista un’interruzione dell’attività professionale per almeno due mesi consecutivi nell’ambito di un congedo per maternità, di un congedo per adozione, di un congedo parentale o di presenza parentale, o di una messa in aspettativa, tenuto presente che, ad eccezione del primo dei suddetti congedi, così elencati all’articolo R. 13 del codice delle pensioni introdotto con il decreto n. 2003‑1305, tutti gli altri sono accessibili tanto agli uomini quanto alle donne, su base volontaria, e non sono retribuiti.

    33.      Il requisito relativo ad un congedo di maternità obbligatorio e retribuito è imposto da una normativa adottata a livello dell’Unione europea (23). Tale diritto, attribuito alle madri biologiche anche dalle convenzioni dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) (24), è considerato dalla Corte come un mezzo di protezione del diritto sociale che riveste un’importanza particolare (25).

    34.      La finalità del carattere obbligatorio di tale congedo è duplice: si tratta di proteggere, da un lato, la condizione biologica della donna durante la gravidanza e, dall’altro, le particolari relazioni tra la donna e il bambino nel periodo successivo alla nascita, evitando che tali relazioni vengano turbate dal cumulo degli oneri derivanti dal contemporaneo svolgimento di un’attività lavorativa (26).

    35.      In merito agli aspetti finanziari del congedo di maternità, la direttiva 92/85 prevede, allo scopo di preservare l’effetto utile delle disposizioni concernenti il detto congedo, il mantenimento dell’insieme dei diritti connessi con il contratto di lavoro per le lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento e, in particolare, il mantenimento di una retribuzione e/o il versamento di un’indennità adeguata (27). Deriva dalla giurisprudenza che, sebbene l’ammontare di tale prestazione non debba essere pari all’importo integrale della retribuzione dell’interessata, ma possa essere ridotto, il limite di tale riduzione consiste nella condizione che tale ammontare non sia talmente esiguo da dissuadere le lavoratrici dall’avere un figlio e quindi da pregiudicare l’obiettivo di tutela perseguito dal diritto dell’Unione (28). Il mantenimento di una retribuzione per una donna che è legalmente obbligata ad interrompere l’attività lavorativa per prendere un congedo di maternità, costituisce una misura necessaria al fine di compensare i vari svantaggi che la donna deve affrontare durante la sua carriera professionale, in ragione del suo allontanamento dal posto di lavoro legato alla maternità (29).

    36.      Tranne nel caso particolare del congedo di maternità, il diritto dell’Unione europea non impone agli Stati membri di prevedere altri congedi retribuiti per ragioni familiari. Così, conformemente alla direttiva 96/34/CE, il diritto individuale ad un congedo parentale è attribuito ai lavoratori di ambo i sessi per la nascita o l’adozione di un bambino, affinché possano averne cura per un periodo minimo di tre mesi (30). Il detto testo indica che è possibile usufruire del congedo parentale fino ad una determinata età del bambino, non superiore ad otto anni. Per contro, la definizione delle modalità del contratto o del rapporto di lavoro durante il periodo del congedo previsto da tale accordo quadro rientra nella competenza degli Stati membri (31). Di conseguenza, non esiste un obbligo degli Stati membri di concedere o di mantenere la retribuzione dei genitori interessati durante il congedo parentale.

    37.      I congedi che danno diritto alla maggiorazione controversa di cui all’articolo R. 13 del codice delle pensioni, che ho elencato nei precedenti paragrafi, sono accessibili ai dipendenti pubblici di ambo i sessi, ad eccezione del congedo di maternità, il cui beneficiario è sempre e necessariamente una donna. Malgrado quest’ultimo dato, la Commissione ha a torto affermato che, grazie al congedo di maternità, le donne soddisfano sempre la condizione relativa ad un’interruzione dell’attività lavorativa per almeno due mesi consecutivi. In realtà, è possibile che una funzionaria abbia partorito prima di essere stata assunta nel pubblico impiego in condizioni tali che la regola particolare enunciata all’articolo L. 12, lettera b) bis del codice delle pensioni non risulti applicabile. In tale caso, il diritto dell’interessata alla maggiorazione controversa dipenderà da un’interruzione dell’attività lavorativa in virtù di uno dei permessi elencati nella detta disposizione, diverso dal congedo di maternità. La stessa considerazione vale per le donne che abbiano interrotto l’attività lavorativa per dedicarsi all’educazione di un figlio non biologico, cioè nel caso di un figlio adottivo, di un figlio del coniuge o di un bambino compreso in una delle categorie di cui all’articolo L. 18 del codice delle pensioni (32).

    38.      Tenuto conto delle modalità specifiche del congedo di maternità, sono del parere che la situazione delle madri che sono state obbligate ad interrompere la propria attività lavorativa a causa del detto congedo non sia paragonabile alla situazione di chi è libero di fruire di uno degli altri tipi di congedo di cui all’articolo R. 13 del codice delle pensioni.

    39.      Dalla giurisprudenza risulta altresì che il principio della parità delle retribuzioni non osta a che un vantaggio sia attribuito solo ad un lavoratore di sesso femminile, qualora tale vantaggio sia destinato a compensare svantaggi professionali derivanti ad un tale lavoratore in seguito all’allontanamento dal posto di lavoro che il congedo di maternità comporta (33). La violazione di detto principio è esclusa in tale contesto, perché la situazione di un lavoratore di sesso maschile è diversa dalla situazione di una lavoratrice, in quanto, contrariamente alle madri biologiche che sono obbligate ad astenersi dal lavoro, i padri biologici hanno la possibilità di decidere se vogliono o meno dedicarsi particolarmente all’educazione dei loro figli. Tale conclusione non è inficiata dal fatto che le condizioni economiche del congedo di maternità possono essere, conformemente alla legislazione di uno Stato membro, diverse e più favorevoli rispetto agli altri congedi concessi per ragioni familiari (34).

    40.      È vero che nell’ambito della presente causa si potrebbe ritenere che uomini e donne si trovino in una situazione paragonabile ai sensi della normativa francese, in quanto la maggiorazione controversa è destinata a compensare gli svantaggi di carriera che possono essere provocati dal tempo dedicato, tanto da un padre quanto da una madre, alla cura di un figlio (35). Infatti, la normativa nazionale in questione inquadra i funzionari nella loro qualità di genitori, indipendentemente dal sesso. Sotto tale profilo, la situazione di un funzionario di sesso femminile e quella di un funzionario di sesso maschile sembrano comparabili.

    41.      Nella sentenza Griesmar, la Corte ha affermato che occorreva accertare se la maggiorazione attribuita alle condizioni allora vigenti – nel senso che veniva concessa solamente alle donne e per il solo fatto che avevano avuto un bambino – fosse diretta a compensare svantaggi professionali derivanti alle madri dalla loro lontananza dal posto di lavoro durante il periodo successivo al parto, nel qual caso la situazione di un lavoratore di sesso maschile non era paragonabile a quella di un lavoratore di sesso femminile, ovvero se tale maggiorazione fosse essenzialmente intesa a compensare svantaggi professionali derivanti ai dipendenti pubblici di sesso femminile dal fatto di aver provveduto all’educazione dei figli, ipotesi in cui occorreva esaminare se le situazioni di un dipendente pubblico di sesso maschile e di un dipendente pubblico di sesso femminile fossero paragonabili (36).

    42.      Allo stesso modo, la Corte ha già avuto l’occasione di pronunciarsi sui limiti delle diverse misure di politica sociale adottate dagli Stati membri, in particolare, nell’ambito della citata sentenza Roca Álvarez, che riguardava il permesso di allattamento riservato, in base al diritto spagnolo, alle donne e agli uomini i cui coniugi possedevano la qualità di lavoratori. Per il fatto che tale permesso poteva essere svincolato dal fatto biologico dell’allattamento e poteva essere preso indifferentemente dal padre lavoratore subordinato o dalla madre lavoratrice subordinata, la Corte ha dichiarato che tale permesso, in realtà, implicava solo l’alimentazione e il tempo di attenzione al bambino. Inoltre, poiché tanto l’alimentazione quanto il tempo di attenzione al bambino potevano essere garantiti sia dal padre sia dalla madre, la Corte ha concluso che il permesso in questione veniva concesso ai lavoratori nella loro qualità di genitori del bambino (37). Così, la Corte non soltanto ha potuto comparare le situazioni di un uomo e di una donna dal punto di vista della loro funzione genitoriale, ma ha anche potuto distinguere, nell’ambito della protezione sociale accordata ai lavoratori di sesso femminile, l’aspetto relativo alla protezione biologica della donna e quello attinente alla sua condizione di madre.

    43.      La distinzione da operare tra gli obblighi della madre e quelli gravanti sul padre dopo la nascita di un bambino è piuttosto collegata alla questione della prova dell’assunzione specifica dell’onere di allevare il bambino. Nella sentenza Griesmar, la Corte non ha richiesto che la maggiorazione venisse automaticamente concessa a tutti i padri biologici affinché questi fossero messi su un piano di parità con le madri biologiche. Essa ha chiaramente indicato che il diritto alla maggiorazione doveva essere concesso ad un dipendente pubblico di sesso maschile soltanto qualora egli fosse stato in grado di provare di avere provveduto all’educazione dei propri figli (38).

    44.      Pertanto, non è di per sé illegittimo esigere, come nel caso delle disposizioni nazionali controverse, la prova che un uomo abbia assunto specificamente ed effettivamente la cura del proprio figlio, il che va al di là della mera qualità del padre biologico che prenda finanziariamente a carico il proprio figlio, al fine di poter fruire di una maggiorazione al riguardo. Per contro, quando si tratta di una donna, in quanto il congedo di maternità è obbligatorio per ogni madre biologica, e durante tale periodo si presume che essa si dedichi alla cura del proprio figlio, salvo che si verifichino situazioni eccezionali come uno stato di salute postnatale troppo precario, la maggiorazione viene concessa senza che l’interessata debba fornire una prova particolare, giacché esiste nei suoi confronti una specie di presunzione relativamente all’educazione dei figli.

    45.      Il fatto che la situazione delle donne sul mercato del lavoro sia più difficile di quella degli uomini, con riguardo tanto alla retribuzione quanto all’avanzamento nella carriera, si spiega in gran parte per la distribuzione iniqua tra i due sessi dell’assunzione degli oneri inerenti all’educazione dei figli (39). Infatti, indipendentemente dalle interruzioni dell’attività lavorativa legate al congedo di maternità, le donne sono nettamente più disposte degli uomini a modificare la propria attività professionale per ragioni familiari, mediante un congedo parentale o una misura di altro genere, come una riduzione dell’orario di lavoro, anche se a ciò non si accompagni una compensazione economica (40).

    46.      Le disposizioni nazionali controverse impongono una condizione relativa all’interruzione effettiva dell’attività lavorativa che ha carattere restrittivo. Tuttavia, tale condizione non può ostacolare l’accesso degli uomini alla maggiorazione più di quanto non avvenga per le donne, poiché ciascun padre che decida d’interrompere l’attività lavorativa per accudire il proprio figlio per un periodo di almeno due mesi consecutivi può beneficiare della maggiorazione, anche se è vero che il periodo richiesto dalla normativa francese corrisponde precisamente alla durata minima del congedo di maternità. La mera circostanza che, in pratica, siano più le donne a beneficiare della maggiorazione controversa che non gli uomini, non è sufficiente per concludere che esiste una forma di discriminazione indiretta. A mio giudizio, gli uomini non possono sostenere di venire discriminati per la sola ragione che non vogliono condividere equamente con le donne gli obblighi derivanti dal fatto di essere genitori.

    47.      È pur vero che siffatta condizione non tiene conto di altre modalità di organizzazione dell’attività professionale cui un padre biologico, come d’altra parte una madre adottiva o un genitore sostituto, potrebbe ricorrere per dedicarsi all’educazione del figlio, come un congedo parentale di durata più breve, o il lavoro a tempo parziale. Tuttavia, il fatto che la normativa francese vigente all’epoca della causa principale (41) non attribuisse ad una riduzione dell’orario di lavoro gli stessi effetti giuridici prodotti dalla sospensione totale dell’attività lavorativa non rende, di per sé, la situazione di una persona che è stata obbligata a prendere un congedo di maternità paragonabile a quella di coloro per i quali l’interruzione dell’attività lavorativa per ragioni familiari dipende da una scelta personale.

    48.      Secondo la mia opinione, vi è infatti una grande differenza d’impatto tra, da una parte, i periodi di assenza totale di un lavoratore, come avviene nell’ambito di un congedo di maternità, di adozione o parentale, che possono comportare un rallentamento o una sospensione della carriera del genitore interessato e, dall’altra, le altre modalità di strutturazione dell’orario di lavoro, come il lavoro a tempo parziale, che implica solamente un’assenza ridotta e quindi è meno difficile da gestire per il datore di lavoro, al fine di far fronte alle esigenze di sostituzione e di riorganizzazione delle mansioni del dipendente interessato. È per validi motivi che la Corte ha adottato la posizione secondo cui la gravidanza e la maternità possono realmente svantaggiare le donne dal punto di vista della carriera professionale (42).

    49.      A mio avviso, il legislatore nazionale gode di un ampio margine discrezionale (43) circa il livello minimo dell’investimento destinato all’educazione dei figli che il genitore interessato deve aver realizzato qualora voglia usufruire di una maggiorazione a tale titolo, dato che tale prestazione costituisce un diritto pensionistico supplementare per il quale il dipendente non ha versato contributi conformemente alle regole di contribuzione ordinarie.

    50.      Per esempio, al fine di usufruire della maggiorazione in parola, sarebbe sufficiente optare per una riduzione dell’orario di lavoro pari al 10% oppure per un congedo parentale per un periodo limitato a due settimane? A mio giudizio, i suddetti due casi non presentano affatto una situazione equivalente ad un’interruzione obbligatoria di due mesi a causa del congedo di maternità, poiché non implicano un sacrificio professionale comparabile, e sarebbero in ogni caso sproporzionati rispetto al beneficio ottenuto, che consiste nell’equivalente di un anno di lavoro supplementare, da integrare nel calcolo della pensione di vecchiaia.

    51.      Comunque sia, ritengo che la questione di decidere se ed in che misura le interruzioni di attività o le riduzioni dell’orario di lavoro giustifichino la concessione di un vantaggio sul piano dei diritti a pensione rientri in una valutazione anzitutto di carattere politico, anche se esistono limiti sotto il profilo giuridico. Le considerazioni di politica sociale, come l’intenzione di non scoraggiare la maternità delle lavoratrici, possono risultare determinanti al riguardo. Non è pertanto possibile adottare un approccio puramente meccanico circa la possibilità di comparare le situazioni delle donne e degli uomini in materia di occupazione e di lavoro.

    C –    Sulla giustificazione di un’eventuale discriminazione indiretta

    52.      Con la seconda questione, il giudice a quo chiede se la discriminazione indiretta eventualmente provocata dalla maggiorazione prevista dalle disposizioni nazionali controverse possa essere giustificata alla luce dell’articolo 6, paragrafo 3, dell’accordo sulla politica sociale, ai sensi del quale il detto articolo non ostava a che uno Stato membro «mantenga o adotti misure che prevedano vantaggi specifici intesi a facilitare l’esercizio dell’attività professionale da parte delle donne ovvero a evitare o compensare svantaggi nella loro carriera professionale».

    53.      Si deve sottolineare che, in seguito all’entrata in vigore del Trattato di Amsterdam, il 1° maggio 1999, le dette disposizioni sono state incorporate nell’articolo 141, paragrafo 4, CE, che costituirebbe in realtà la disposizione pertinente ratione temporis per valutare la compatibilità della misura nazionale controversa con il diritto comunitario, come ho già avuto modo di indicare nell’introduzione delle presenti conclusioni.

    54.      Tenuto conto del fatto che propongo alla Corte di dare una risposta negativa alla prima questione pregiudiziale, e del carattere inoperante che, in tale caso, è stato attribuito dall’ordinanza di rinvio a questa questione proposta in subordine, ritengo che non occorra esaminare la seconda questione pregiudiziale al fine di risolverla.

    55.      Ciononostante, vorrei svolgere qualche osservazione al riguardo, nell’ipotesi in cui la Corte non seguisse il mio suggerimento relativo alla soluzione della prima questione.

    56.      A mio giudizio, si dovrebbe eventualmente rispondere alla seconda questione in linea con la posizione adottata dalla Corte nella citata sentenza Griesmar in relazione ad una domanda equivalente posta in tale causa, che parimenti riguardava il regime pensionistico francese applicabile ai dipendenti pubblici. Tale sentenza ha statuito che la maggiorazione prevista dall’articolo L. 12, lettera b), del codice delle pensioni, nella versione applicabile all’epoca, non poteva essere considerata un provvedimento inteso ad aiutare le donne a gestire la loro vita lavorativa su un piano di parità rispetto agli uomini, ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 3, dell’accordo sulla politica sociale, poiché si limitava a concedere alle madri una maggiorazione di anzianità al momento del loro collocamento a riposo, in base allo stesso regime applicabile ai padri, senza porre rimedio ai problemi che esse avevano potuto incontrare nel corso della loro carriera professionale (44).

    57.      Per le stesse ragioni, nel caso che ci occupa, la maggiorazione prevista dalle disposizioni della legge n. 2003‑775 e del decreto n. 2003‑1305 non può essere giustificata sulla base dell’articolo 141, paragrafo 4, CE. Tale soluzione si ricava dalla citata sentenza Griesmar, che è stata pronunciata dalla Grande Sezione. Orbene, solo un collegio equivalente potrebbe operare un’eventuale inversione di giurisprudenza.

    58.      Detto ciò, l’approccio adottato è, a mio avviso, discutibile. Infatti, la Corte ha optato per una concezione restrittiva degli svantaggi subiti «nel corso della carriera lavorativa», ai sensi delle rilevanti disposizioni del diritto comunitario, escludendo che essi possano essere compensati in maniera differita, in occasione del collocamento a riposo, cioè quando le funzionarie interessate smettano di lavorare. Ciò equivale a creare un obbligo degli Stati membri di perpetuare l’ineguaglianza economica esistente tra le donne e gli uomini, anche durante il loro pensionamento, come ha messo in evidenza il governo francese all’udienza tenutasi nel presente procedimento (45), risultato questo che mi sembra poco compatibile con il principio di non discriminazione.

    59.      La logica intrinseca a tale giurisprudenza non mi sembra fondata, dal momento che tutte le applicazioni del principio di non discriminazione per quanto riguarda i regimi previdenziali professionali si basano sull’idea che una retribuzione equivalente deve essere corrisposta per un lavoro equivalente. Osservo che la pensione di vecchiaia ha certamente il carattere di una retribuzione, ma costituisce una parte della retribuzione che viene differita al momento della cessazione dell’attività lavorativa. Orbene, le donne sono svantaggiate su tale piano poiché la gravidanza e la maternità frenano l’evoluzione della loro carriera professionale, come la Corte ha già avuto modo di constatare (46). Tenuto presente che le misure che gli Stati membri possono adottare per compensare gli svantaggi subiti dalle donne in ragione dell’esercizio degli obblighi genitoriali durante la loro carriera professionale rimangono, a mio parere, o escluse (come nel caso degli aumenti di stipendio legati alla gravidanza che costituiscono una discriminazione diretta in ragione del sesso), o fortemente limitate (come ha indicato la citata sentenza Kalanke riguardo alla cosiddetta discriminazione «positiva», intesa a favorire l’avanzamento professionale delle donne) il fatto di concedere un diritto pensionistico supplementare mi sembra l’unico mezzo che possa impedire il protrarsi di tale ineguaglianza nel corso del pensionamento.

    D –    Sulla compatibilità delle disposizioni nazionali in esame con la direttiva 79/7

    60.      Con la terza questione, il giudice nazionale vuole sapere se le disposizioni della direttiva 79/7 debbano essere interpretate nel senso che ostano al mantenimento delle disposizioni nazionali controverse nella causa principale.

    61.      Il sig. Amédée, il governo francese e la Commissone hanno espresso una posizione comune al riguardo, ritenendo che la direttiva 79/7 non sia applicabile alla fattispecie. Come ho già indicato nell’introduzione di queste conclusioni, condivido anch’io tale opinione.

    62.      Infatti, la direttiva 79/7, concernente la parità di trattamento tra uomini e donne in materia di sicurezza sociale, riguarda le prestazioni erogate nell’ambito dei regimi legali che assicurano una protezione (47), categoria solitamente qualificata come «primo pilastro» (48). Per contro, la causa principale verte su una pensione corrisposta in forza di un regime pensionistico francese dei dipendenti pubblici, che rientra nella categoria dei regimi professionali, come la Corte ha già statuito (49), che corrisponde al «secondo pilastro». All’epoca del collocamento a riposo dell’interessato, ossia nel dicembre 2003, le pensioni di vecchiaia che avevano tale carattere professionale erano disciplinate dalla direttiva 86/378, come modificata dalla direttiva 96/97, tenuto presente che tali direttive sono state a loro volta modificate dalla direttiva 2006/54 dopo il 15 agosto 2009.

    63.      Poiché la direttiva 79/7 non è applicabile, ratione materiae, ai fatti della causa principale, ritengo che, di conseguenza, non occorra risolvere la terza questione pregiudiziale.

    E –    Sulle conseguenze giuridiche dell’eventuale incompatibilità delle disposizioni nazionali controverse con il diritto comunitario

    64.      Il giudice del rinvio subordina la domanda contenuta nella quarta questione pregiudiziale alla tripla circostanza che la prima questione riceva una risposta positiva e che la seconda e la terza questione pregiudiziale ricevano entrambe una risposta negativa. In concreto, il giudice nazionale suppone che la Corte abbia considerato che, ai sensi del diritto primario, le disposizioni nazionali controverse comportino, da un lato, una discriminazione indiretta che, dall’altro, non può essere giustificata, ma senza che, peraltro, il diritto comunitario derivato osti al mantenimento delle dette disposizioni.

    65.      In sostanza, il giudice del rinvio si chiede quali conseguenze di carattere giuridico dovrebbero derivare dall’incompatibilità con il diritto comunitario della maggiorazione per i figli prevista dagli articoli L. 12, lettera b), e R. 13, del codice delle pensioni. Il detto giudice chiede se, fintantoché le misure intese a rimediare la presunta discriminazione indiretta non saranno state adottate dal legislatore francese, tale incompatibilità implichi solamente che la discriminazione risultante dalle dette disposizioni deve essere esclusa a vantaggio dei dipendenti pubblici di sesso maschile che sono penalizzati, o se essa osti alla concessione del beneficio della maggiorazione di cui trattasi tanto ai dipendenti pubblici di sesso femminile quanto a quelli di sesso maschile.

    66.      Tuttavia, tenuto conto della soluzione che ho proposto alla Corte riguardo alle altre questioni pregiudiziali, suggerendo cioè di dare una risposta negativa alla prima questione, di pronunciare un relativo non luogo a statuire per la seconda questione e di constatare una mancanza di oggetto della terza questione, ritengo che non occorra rispondere al presente interrogativo, giacché le tre condizioni espressamente poste dal giudice del rinvio come ipotesi preliminari, a mio parere, non sono soddisfatte.

    67.      Ciononostante, ricordo che, secondo una giurisprudenza consolidata della Corte, supponendo che sussista una discriminazione contraria al diritto dell’Unione, finché non siano adottate misure di diritto interno volte a rimediare alla detta disparità di trattamento, le autorità nazionali sono tenute a prendere le misure generali o particolari adeguate per garantire il rispetto del diritto dell’Unione. Come hanno indicato il sig. Amédée e la Commissione, le autorità interessate, che agiscono in qualità di datori di lavoro, sarebbero quindi tenute a concedere d’ufficio alle persone della categoria sfavorita – nella specie, i dipendenti pubblici di sesso maschile –, gli stessi vantaggi retributivi che vengono riservati alle persone appartenenti alla categoria privilegiata, ossia, nel presente caso, i dipendenti pubblici di sesso femminile. La Corte ha anche ripetutamente affermato che, a sua volta, il giudice nazionale è tenuto a disapplicare qualsiasi disposizione nazionale che risulti discriminatoria ai sensi dell’ordinamento comunitario, senza doverne chiedere o attendere la previa rimozione da parte del legislatore nazionale, e deve applicare ai componenti della categoria sfavorita lo stesso regime che viene riservato agli altri lavoratori. Tale obbligo incombe ad esso indipendentemente dall’esistenza, nel diritto interno, di disposizioni che gli attribuiscono la competenza al riguardo (50).

    68.      Se veramente la Corte ritenesse sussistere una discriminazione indiretta, essa dovrebbe fornire al giudice del rinvio tutte le indicazioni utili per permettergli di stabilire in base a quali criteri concreti e per quanto tempo un dipendente pubblico di sesso maschile debba aver modificato la propria attività lavorativa per dedicarsi all’educazione del proprio figlio, al fine di giustificare la concessione a suo vantaggio della maggiorazione in questione. In particolare, la Commissione solleva la questione, sulla quale la Corte dovrà pronunciarsi in tale caso, relativa a se la condizione attinente ad un’interruzione totale dell’attività lavorativa per un periodo non inferiore a due mesi, come prevede l’articolo R. 13 del codice delle pensioni, sia troppo restrittiva, specialmente nei confronti degli uomini, e se debba quindi venire disapplicata, in quanto esclude dal beneficio della maggiorazione in parola i padri che si sono dedicati all’educazione dei figli con una modalità diversa dalla suddetta interruzione della carriera, in particolare, con il passaggio al lavoro a tempo parziale.

    V –    Conclusione

    69.      Sulla base delle considerazioni sopra svolte, suggerisco alla Corte di risolvere le questioni pregiudiziali sottoposte dal tribunal administratif de Saint-Denis de la Réunion nel modo seguente:

    «1)      Disposizioni nazionali come quelle controverse nella causa principale che, ai fini della concessione di una maggiorazione di anzianità per l’educazione di un figlio, richiedono un’interruzione dell’attività lavorativa per un periodo non inferiore a due mesi consecutivi, non possono essere considerate comportare una discriminazione indiretta ai sensi dell’articolo 141 CE, per il solo fatto che un numero più elevato di donne rispetto agli uomini ne usufruiscono nell’ambito del calcolo della loro pensione di vecchiaia, in ragione del congedo di maternità obbligatorio e retribuito destinato alle madri biologiche.

    2)      Tenuto conto della soluzione negativa data alla prima questione pregiudiziale, non occorre rispondere alla seconda ed alla quarta questione.

    3)      La terza questione pregiudiziale, vertente sulle disposizioni della direttiva 79/7/CEE del Consiglio, del 19 dicembre 1978, relativa alla graduale attuazione del principio di parità di trattamento tra gli uomini e le donne in materia di sicurezza sociale, è priva di oggetto e, di conseguenza, non occorre darvi risposta».


    1 – Lingua originale: il francese.


    2 –      L’ordinanza di rinvio si riferisce all’«articolo 157 [TUE], ex articolo 141 [CE]». Si tratta evidentemente di un errore redazionale, dato che il Trattato UE non contiene un articolo 157 e che l’articolo 141 CE, relativo al principio della parità di retribuzione tra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile, è stato sostituito, in realtà, dall’articolo 157 TFUE.


    3 –      Accordo sulla politica sociale concluso tra gli Stati membri della Comunità europea ad eccezione del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord (GU 1992, C 191, pag. 91), che è allegato al protocollo n. 14 sulla politica sociale, accluso al Trattato UE (in prosieguo: l’«accordo sulla politica sociale»).


    4 –      GU 1979, L 6, pag. 24.


    5 –      Solo il paragrafo 3 di tale articolo differisce dal tenore dell’articolo 157 TFUE, in quanto prevede altre modalità di adozione delle misure intese a garantire l’applicazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento tra uomini e donne in materia di occupazione e di condizioni di lavoro.


    6 –      GU L 225, pag. 40.


    7 –      Direttiva del Consiglio del 20 dicembre 1996, che modifica la direttiva 86/378/CEE relativa all’attuazione del principio della parità di trattamento tra gli uomini e le donne nei regimi professionali di sicurezza sociale (GU 1997, L 46, pag. 20).


    8 –      Sentenza del 29 novembre 2001 (C‑366/99, Racc. pag. I‑9383).


    9 –      Accoyer, B., Rapport à l’Assemblée nationale n° 898 sur le projet de loi portant réforme des retraites, tomo I, seconda parte, giugno 2003; in particolare le pagg. 77 e segg.


    10 –      JORF n. 193 del 22 agosto 2003, pag. 14310. Tale legge è entrata in vigore il 1° gennaio 2004, ma il suo l’articolo 48, paragrafo II, precisa che « [l]e disposizioni dell’articolo L. 12, lettera b), del codice delle pensioni (…) risultanti dalla redazione del comma 2 del paragrafo I [del medesimo articolo] si applicano alle pensioni liquidate a decorrere dal 28 maggio 2003».


    11 –      Decreto adottato per l’attuazione della legge n. 2003‑775 (JORF n. 301 del 30 dicembre 2003, pag. 22473). Le disposizioni del decreto, al pari di quelle della suddetta legge, sono entrate in vigore il 1° gennaio 2004. Il giudice del rinvio e le parti sembrano presumere che tale decreto si applichi ratione temporis alle pensioni che sono state liquidate prima di tale data ma dopo l’inizio dell’efficacia retroattiva della legge, vale a dire il 28 maggio 2003, conformemente all’articolo 48, paragrafo II, di quest’ultima.


    12 –      V. supra, nota 2.


    13 –      Osservo che il carattere ipotetico o meno delle questioni pregiudiziali poste dal giudice a quo dipenderà dalla risposta di merito che la Corte vorrà eventualmente dare circa la misura in cui un genitore deve aver provveduto all’educazione dei figli per poter beneficiare della maggiorazione ai sensi delle disposizioni nazionali controverse.


    14 –      In particolare, sentenze del 15 giugno 1995, Zabala Erasun e a. (da C‑422/93 a C‑424/93, Racc. pag. I‑1567, punto 29), e 11 settembre 2003, Safalero (C‑13/01, Racc. pag. I‑8679, punto 40) e giurisprudenza ivi citata.


    15 –      Protocollo (n. 17) sull’articolo 141 CE, del 1992, che trova il proprio equivalente nel protocollo (n. 33) sull’articolo 157 TFUE.


    16 –      Sentenza del 17 maggio 1990 (C‑262/88, Racc. pag. I‑1889).


    17 –      V. i paragrafi 41 e 42 delle conclusioni dell’avvocato generale Alber nella causa definita con la citata sentenza Griesmar, che fanno riferimento al parere espresso dalla Commissione al riguardo.


    18 –      V., per analogia, la sentenza del 10 maggio 2011, Römer (C‑147/08, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 66), nonché gli articoli 44 e 94 del regolamento (CE) n. 987/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 settembre 2009, che stabilisce le modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 883/2004 relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale (GU L 284, pag. 1).


    19 –      Definizione contenuta, tra l’altro, nell’articolo 2, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego (rifusione) (GU L 204 pag. 23).


    20 –      Sentenza Griesmar, citata (punto 38).


    21 –      V., segnatamente, le sentenze del 7 luglio 1993, Spagna/Commissione (C‑217/91, Racc. pag. I‑3923, punto 37), e del 1º marzo 2011, Association belge des Consommateurs Test-Achats e a. (C‑236/09, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 28).


    22 –      Sentenza del 16 settembre 1999, Abdoulaye e a. (C‑218/98, Racc. pag. I‑5723, punto 16).


    23 –      Direttiva 92/85/CEE del Consiglio, del 19 ottobre 1992, concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento (decima direttiva particolare ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 89/391/CEE) (GU L 348, pag. 1).


    24 –      Le tre convenzioni dell’OIL sulla protezione della maternità (rispettivamente, la n. 3 del 1919, la n. 103 del 1952 e la n. 183 del 1000) prevedono un periodo di congedo obbligatorio di sei settimane dopo la nascita del bambino, nel corso del quale la madre non ha il diritto di riprendere il lavoro. Tale previsione è diretta a impedire che essa sia costretta dal datore di lavoro a riprendere il lavoro, cosa che potrebbe nuocere alla sua salute ed alla salute del bambino. Tale principio costituisce una componente fondamentale della protezione garantita dalle norme dell’OIL. V. La maternitè au travail – Une revue de la législation nationale, Bureau International du travail, Ginevra, seconda edizione, 2010, pag. 13 (documento disponibile anche inglese e in spagnolo).


    25 –      Sentenza del 20 settembre 2007, Kiiski (C‑116/06, Racc. pag. I‑7643, punto 49).


    26 –      Sentenze del 27 ottobre 1998, Boyle e a. (C‑411/96, Racc. pag. I‑6401, punto 41); Kiiski, cit., (punto 46), e del 30 settembre 2010, Roca Álvarez (C‑104/09, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 27), e giurisprudenza ivi citata.


    27 –      V. il diciassettesimo considerando nonché gli articoli 8 e 11 della direttiva.


    28 –      Sentenza dell’8 settembre 2005, McKenna (C‑191/03, Racc. pag. I‑7631, punti 42 e 59, e giurisprudenza ivi citata).


    29 –      La citata sentenza Abdoulaye e a. (punto 19), fornisce svariati esempi di tali svantaggi. La Corte ricorda regolarmente che la gravidanza e la maternità creano svantaggi di fatto per le donne durante la loro vita professionale; v., in particolare, le sentenze del 12 luglio 1984, Hofmann (184/83, Racc. pag. 3047, punto 27), e del 17 ottobre 1995, Kalanke (C‑450/93, Racc. pag. I‑3051, punti 18 e segg.).


    30 –      Direttiva del Consiglio del 3 giugno 1996, concernente l’accordo quadro sul congedo parentale concluso dall’UNICE, dal CEEP e dalla CES (GU L 145, pag. 4); v. specialmente la clausola 2, punto 1, del detto accordo quadro.


    31 –      Tale rinvio di competenza è menzionato nella citata sentenza Kiiski (punti 35 e 36).


    32 –      Ossia, un minore per il quale la patria potestà sia stata delegata al titolare della pensione o al coniuge del medesimo, un minore posto sotto tutela del titolare delle pensioni o del suo coniuge che lo abbia preso effettivamente a proprio carico, o un minore accolto nel nucleo familiare dal titolare della pensione o dal coniuge del medesimo che comprovi di averlo preso effettivamente e permanentemente a proprio carico.


    33 –      V. le citate sentenze Abdoulaye e a. (punti 20 e 22) e Griesmar (punto 41).


    34 –      Ricordo che né le convenzioni dell’OIL né il diritto dell’Unione obbligano gli Stati membri a prevedere un congedo parentale retribuito. Sulle differenze esistenti tra il congedo di maternità e il congedo parentale, con particolare riferimento al carattere obbligatorio del primo, v. la sentenza dell’8 giugno 2004, Österreichischer Gewerkschaftsbund (C‑220/02, Racc. pag. I‑5907, punto 60).


    35 –      V. Rapport à l’Assemblée nationale n. 898 sur le projet de loi portant réforme des retraites, op. cit., pag. 85 e segg.


    36 –      Sentenza Griesmar, cit. (punti 46 e segg.).


    37 –      Sentenza Roca Álvarez, cit. (punti 28‑31).


    38 –      Sentenza Griesmar, cit. (punto 67).


    39 –      Sulla distribuzione tradizionale dei ruoli tra uomini e donne con riferimento alla funzione genitoriale, v. sentenza Roca Álvarez, cit., (punto 36).


    40 –      Da uno studio del Bureau international du travail emerge, in base ai dati dell’OIL sulle legislazioni nazionali relative alla protezione della maternità relativi a 167 paesi, che gli uomini fruiscono molto meno spesso rispetto alle donne di un congedo parentale (op. cit., pag. 59). Quanto alla riduzione dei tempi di lavoro, la Commissione ha ricordato che, come risulta dalle statistiche elaborate da Eurostat per il 2009, in Francia un 30% delle donne lavora a tempo parziale, contro un 6% degli uomini.


    41 –      Come emerge dal fascicolo di causa, in seguito ad un procedimento per inadempimento avviato nei confronti della Repubblica francese nel 2004 le condizioni richieste per ottenere la maggiorazione in questione sono state rese più elastiche, talché una riduzione dell’attività è stata ammessa allo stesso titolo di un’interruzione di quest’ultima (v. la legge n. 2010-1330, del 9 novembre 2010, sulla riforma delle pensioni, JORF n. 261, del 10 novembre 2010, pag. 20034 e il relativo decreto di esecuzione n. 2010‑1741, del 30 dicembre 2010, JORF n. 303, del 31 dicembre 2010, testo n. 94).


    42 –      V. le citate sentenze Hofmann, Kalanke e Abdoulaye e a.


    43 –      V., per analogia, la sentenza del 20 ottobre 2011, Brachner (C‑123/10, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 73 e giurisprudenza ivi citata).


    44 –      Sentenza Griesmar, cit., (punti 60‑67).


    45 –      Il rappresentante della Repubblica francese ha segnalato che, sul territorio nazionale, le donne funzionarie che interrompono l’attività, vuoi in occasione della nascita di un figlio, vuoi per provvedere all’educazione di quest’ultimo, sono statisticamente molto più numerose degli uomini, e ciò comporta che le pensioni delle donne siano, di media, tra il 10 ed il 20% inferiori rispetto a quelle degli uomini.


    46 –      V. le citate sentenze Hofmann, Kalanke e Abdoulaye e a.


    47 –      V. articolo 3, paragrafi 1 e 3, di tale direttiva.


    48 –      V., per esempio, i punti 58 e 59 delle conclusioni che ho presentato nella causa all’origine della citata sentenza Römer.


    49 –      Sentenze Griesmar, cit., (punti 25 e segg.), e del 13 dicembre 2001, Mouflin (C‑206/00, Racc. pag. I‑10201, punto 23).


    50 –      V., in particolare, le sentenze del 28 settembre 1994, van den Akker (C‑28/93, Racc. pag. I‑4527, punti 16 e segg.); del 21 giugno 2007, Jonkman e a. (da C‑231/06 a C‑233/09, Racc. pag. I‑5149, punti 39 e segg.), e del 22 giugno 2011, Landtová (C‑399/09, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 51), nonché giurisprudenza ivi citata.

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