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Documento 62007CJ0546

Sentenza della Corte (Terza Sezione) del 21 gennaio 2010.
Commissione europea contro Repubblica federale di Germania.
Inadempimento di uno Stato - Libera prestazione dei servizi - Art. 49 CE - Allegato XII dell’Atto di adesione - Elenco di cui all’art. 24 dell’Atto di adesione: Polonia - Capitolo 2, n. 13 - Possibilità, per la Repubblica federale di Germania, di derogare all’art. 49, n. 1, CE - Clausola di "standstill" - Convenzione tra il governo della Repubblica federale di Germania e il governo della Repubblica di Polonia del 31 gennaio 1990, relativa al distacco di lavoratori di imprese polacche per l’esecuzione di contratti d’appalto - Esclusione della possibilità, per le imprese stabilite in altri Stati membri, di stipulare con imprese polacche contratti di lavoro aventi ad oggetto appalti da eseguire in Germania - Ampliamento delle restrizioni esistenti al momento della firma del Trattato di adesione relative all’accesso dei lavoratori polacchi al mercato del lavoro tedesco.
Causa C-546/07.

Raccolta della Giurisprudenza 2010 I-00439

Identificatore ECLI: ECLI:EU:C:2010:25

SENTENZA DELLA CORTE (Terza Sezione)

21 gennaio 2010 ( *1 )

«Inadempimento di uno Stato — Libera prestazione dei servizi — Art. 49 CE — Allegato XII dell’Atto di adesione — Elenco di cui all’art. 24 dell’Atto di adesione: Polonia — Capitolo 2, n. 13 — Possibilità, per la Repubblica federale di Germania, di derogare all’art. 49, n. 1, CE — Clausola di “standstill” — Convenzione tra il governo della Repubblica federale di Germania e il governo della Repubblica di Polonia del 31 gennaio 1990, relativa al distacco di lavoratori di imprese polacche per l’esecuzione di contratti d’appalto — Esclusione della possibilità, per le imprese stabilite in altri Stati membri, di stipulare con imprese polacche contratti d'appalto aventi ad oggetto lavori da eseguire in Germania — Estensione delle restrizioni esistenti al momento della firma del Trattato di adesione relative all’accesso dei lavoratori polacchi al mercato del lavoro tedesco»

Nella causa C-546/07,

avente ad oggetto un ricorso per inadempimento, ai sensi dell’art. 226 CE, proposto il 5 dicembre 2007,

Commissione europea, rappresentata dal sig. E. Traversa e dalla sig.ra P. Dejmek, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

ricorrente,

sostenuta da:

Repubblica di Polonia, rappresentata dal sig. M. Dowgielewicz, in qualità di agente,

interveniente,

contro

Repubblica federale di Germania, rappresentata dai sigg. J. Möller, M. Lumma e C. Blaschke, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

convenuta,

LA CORTE (Terza Sezione),

composta dal sig. J.N. Cunha Rodrigues (relatore), presidente della Seconda Sezione, facente funzione di presidente della Terza Sezione, dai sigg. A. Rosas, U. Lõhmus, A. Ó Caoimh e A. Arabadjiev, giudici,

avvocato generale: sig. J. Mazák

cancelliere: sig. R. Grass

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 30 settembre 2009,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1

Con il suo ricorso, la Commissione delle Comunità europee chiede alla Corte di dichiarare che:

interpretando nella sua prassi amministrativa i termini «impresa della controparte», di cui all’art. 1, n. 1, della Convenzione tra il governo della Repubblica federale di Germania e il governo della Repubblica di Polonia del 31 gennaio 1990, relativa al distacco di lavoratori di imprese polacche per l’esecuzione di contratti d’appalto, nel testo di cui al 1o marzo e al (BGBl. 1993 II, pag. 1125; in prosieguo: la «convenzione tedesco-polacca»), nel senso di «impresa tedesca», e

avendo ampliato, in virtù della clausola di protezione del mercato del lavoro contenuta nell’opuscolo 16a dell’Agenzia federale per l’impiego della Repubblica federale di Germania, intitolato «Impiego di lavoratori stranieri dei nuovi Stati membri dell’Unione europea con contratti di lavoro nella Repubblica federale di Germania» (Merkblatt 16a, «Beschäftigung ausländischer Arbeitnehmer aus den neuen Mitgliedstaaten der EU im Rahmen von Werkverträgen in der Bundesrepublik Deutschland»; in prosieguo: l’«opuscolo 16a»), le restrizioni regionali per l’accesso al mercato del lavoro, successivamente al 16 aprile 2003, data del Trattato di adesione della Repubblica di Polonia all’Unione europea (GU 2003, L 236, pag. 17; in prosieguo: il «Trattato di adesione»),

la Repubblica federale di Germania è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’art. 49 CE e ha violato la clausola di «standstill» di cui al capitolo 2, punto 13, dell’allegato XII dell’Atto relativo alle condizioni di adesione della Repubblica ceca, della Repubblica di Estonia, della Repubblica di Cipro, della Repubblica di Lettonia, della Repubblica di Lituania, della Repubblica di Ungheria, della Repubblica di Malta, della Repubblica di Polonia, della Repubblica di Slovenia e della Repubblica slovacca e agli adattamenti dei trattati sui quali si fonda l’Unione europea (GU 2003, L 236, pag. 33; in prosieguo: l’«Atto di adesione»).

Contesto normativo

La normativa comunitaria

L’Atto di adesione

2

L’art. 24 dell’Atto di adesione sancisce che:

«Gli atti elencati negli allegati V, VI, VII, VIII, IX, X, XI, XII, XIII e XIV del presente atto si applicano nei confronti dei nuovi Stati membri alle condizioni previste in tali allegati».

3

L’allegato XII dell’Atto di adesione è intitolato «Elenco di cui all’articolo 24 dell’Atto di adesione: Polonia». Il capitolo 2 di tale allegato, dal titolo «Libera circolazione delle persone», contiene un punto 13, che dispone quanto segue:

«Per far fronte a gravi perturbazioni, o al rischio di gravi perturbazioni, di specifici settori sensibili di servizi dei rispettivi mercati del lavoro che potrebbero verificarsi in talune regioni in seguito alla prestazione di servizi transnazionali, secondo quanto definito all’articolo 1 della direttiva 96/71/CE, la Germania e l’Austria, qualora applichino, in virtù delle misure transitorie suindicate, misure nazionali o misure contemplate da accordi bilaterali concernenti la libera circolazione di lavoratori polacchi, possono, previa comunicazione alla Commissione, derogare all’articolo 49, paragrafo 1, del trattato CE, al fine di limitare, nell’ambito della prestazione di servizi da parte di imprese stabilite in Polonia, la temporanea circolazione di lavoratori il cui diritto di svolgere un’attività lavorativa in Germania o in Austria è soggetto a misure nazionali.

(…)

L’applicazione del presente punto non deve determinare condizioni di temporanea circolazione dei lavoratori, nell’ambito della prestazione di servizi transnazionali tra la Germania o l’Austria e la Polonia, più restrittive di quelle esistenti alla data della firma del trattato di adesione».

La convenzione tedesco-polacca

4

Ai sensi dell’art. 1, n. 1, della convenzione tedesco-polacca:

«Sono rilasciati permessi di lavoro ai lavoratori polacchi distaccati per un’attività temporanea in relazione a un contratto di appalto concluso tra un datore di lavoro polacco e un’impresa della controparte (lavoratori con contratto a tempo determinato), a prescindere dalla situazione e dalle tendenze del mercato del lavoro».

5

L’art. 2, n. 5, di tale convenzione così recita:

«Nell’attuare la presente convenzione in collaborazione con il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali della Repubblica di Polonia, l’Agenzia federale per l’impiego della Repubblica federale di Germania garantisce che non si creino concentrazioni di lavoratori con contratto a tempo determinato in una data regione o in un dato settore. La presente convenzione non si applica ai lavoratori nei settori della costruzione ignifuga e della costruzione dei camini».

Direttive dell’Agenzia federale per l’impiego della Repubblica federale di Germania

6

Tra le direttive di attuazione adottate dall’Agenzia federale per l’impiego della Repubblica federale di Germania figura l’opuscolo 16a, che concerne l’impiego di lavoratori stranieri dei nuovi Stati membri dell’Unione con contratti di lavoro nella Repubblica federale di Germania e che contiene una clausola di protezione del mercato del lavoro. In forza di tale clausola sono vietati, in linea di principio, i contratti d’appalto nell’ambito dei quali venga impiegata manodopera straniera quando detti contratti debbano essere eseguiti in un distretto di tale Agenzia in cui il tasso di disoccupazione medio negli ultimi sei mesi sia stato superiore di almeno il 30% al tasso di disoccupazione complessivo della Repubblica federale di Germania. L’elenco dei distretti soggetti a tale restrizione viene aggiornato ogni tre mesi.

Fase precontenziosa

7

Con lettera di diffida del 3 aprile 1996 la Commissione ha richiamato l’attenzione della Repubblica federale di Germania sull’incompatibilità con l’art. 49 CE della prassi amministrativa tedesca relativa all’applicazione della convenzione tedesco-polacca, in quanto le autorità tedesche competenti interpretano i termini «impresa della controparte», di cui all’art. 1, n. 1, della suddetta convenzione, come riferiti solo alle imprese tedesche. A causa di tale prassi, a differenza di queste ultime imprese, quelle degli Stati membri diversi dalla Repubblica federale di Germania che forniscono servizi nel settore della costruzione in quest’ultimo Stato membro si troverebbero ostacolate nella conclusione di contratti di lavoro con imprese polacche.

8

Con lettera del 28 giugno 1996 la Repubblica federale di Germania ha comunicato alla Commissione che non condivideva il punto di vista manifestato da tale istituzione nella sua lettera del .

9

Il 12 novembre 1997 la Commissione ha trasmesso alla Repubblica federale di Germania un parere motivato nel quale ribadiva tale giudizio, invitandola ad adottare le misure necessarie per conformarsi al suddetto parere.

10

In seguito a un incontro tra i rappresentanti della Commissione e del predetto Stato membro, tenutosi il 5 maggio 1998, quest’ultimo ha affermato, con lettera del , che ci si stava adoperando per trovare una soluzione politica nel contesto dell’accordo europeo firmato a Bruxelles il , che istituisce un’associazione tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e la Repubblica di Polonia, dall’altra. Tuttavia, tali tentativi non hanno avuto successo.

11

A seguito di un quesito posto dalla Commissione alla Repubblica federale di Germania il 15 giugno 2004, quest’ultima, con comunicazione del , ha risposto che confermava la propria prassi relativamente all’interpretazione della convenzione tedesco-polacca e che, tenuto conto del fatto che la Commissione era rimasta inerte per quasi sette anni, poteva legittimamente ritenere che la procedura di inadempimento non avrebbe avuto seguito.

12

Con lettera di diffida integrativa del 10 aprile 2006 la Commissione ha richiamato l’attenzione della Repubblica federale di Germania sul fatto che essa ribadiva quanto sostenuto in merito alla violazione dell’art. 49 CE. Inoltre, essa ha affermato che detto Stato membro contravveniva altresì alla clausola di «standstill» enunciata al capitolo 2, n. 13, dell’allegato XII dell’Atto di adesione (in prosieguo: la «clausola di “standstill”»), dal momento che l’ampliamento delle restrizioni regionali in base alla clausola di protezione del mercato del lavoro, fondata sull’art. 2, n. 5, della convenzione tedesco-polacca e contenuta nell’opuscolo 16a, contravveniva al divieto di intensificazione delle restrizioni esistenti alla data della firma dell’Atto di adesione.

13

Con lettera dell’8 giugno 2006 la Repubblica federale di Germania ha comunicato alla Commissione, in risposta alla prima censura, che l’estensione dell’applicazione della convenzione tedesco-polacca a tutti gli Stati membri e alle imprese di questi sarebbe stata inopportuna. Essa inoltre ha fatto riferimento alla riserva afferente all’ordine pubblico di cui all’art. 46 CE, adducendo che occorreva garantire la corretta applicazione di tale convenzione nonché il necessario controllo del rispetto delle norme in vigore ed un’efficace repressione delle violazioni. Orbene, sarebbe impossibile procedere in modo rapido e affidabile al recupero dei crediti di natura previdenziale nei confronti di imprese stabilite in altri Stati membri. Quanto alla seconda censura, la Repubblica federale di Germania ha fatto valere che l’ampliamento delle restrizioni regionali fondate sulla clausola di protezione del mercato del lavoro a zone non prese in considerazione nell’aprile 2003 non contravviene alla clausola di «standstill», atteso che l’aggiornamento dell’elenco delle restrizioni regionali stabilite in applicazione dell’art. 2, n. 5, della suddetta convenzione non costituisce una modifica della normativa in quanto tale, ma consegue semplicemente agli sviluppi che vengono constatati nei mercati del lavoro a livello regionale.

14

Nel parere motivato integrativo del 15 dicembre 2006 la Commissione ha ribadito le proprie censure, mentre la Repubblica federale di Germania, nella sua risposta del , ha confermato dal canto suo la propria posizione.

15

In tale contesto, la Commissione ha deciso di proporre il presente ricorso.

Sul ricorso

Sulla ricevibilità

Argomenti delle parti

16

La Repubblica federale di Germania afferma che il ricorso deve essere dichiarato irricevibile, quanto meno per quanto riguarda la censura relativa ad una violazione dell’art. 49 CE.

17

Tale Stato membro sostiene a questo proposito di aver potuto legittimamente ritenere che l’inerzia della Commissione nel periodo che va dal mese di novembre 1997 al giugno 2004, vale a dire nel corso di circa sette anni, equivalesse ad un abbandono della censura in questione. Il legittimo affidamento delle autorità tedesche quanto all’abbandono della suddetta censura sarebbe stato ancor più giustificato dal momento che, in base ad una lettera che il sig. Monti, membro della Commissione, aveva inviato a tali autorità nel luglio 1998, questa istituzione non avrebbe accolto favorevolmente una rescissione della convenzione tedesco-polacca e che avrebbe atteso fino al novembre 1998 per verificare se potessero prospettarsi altre soluzioni. Dal momento che la Commissione non aveva agito dopo la scadenza di questo termine, le autorità tedesche avrebbero potuto legittimamente ritenere che tale istituzione avesse abbandonato la propria censura relativa ad una violazione dell’art. 49 CE.

18

Solo dopo la sottoscrizione del Trattato di adesione, vale a dire in un periodo in cui la Repubblica federale di Germania non poteva più rescindere la convenzione tedesco-polacca senza venir meno all’obbligo di «standstill», la Commissione avrebbe indebitamente adottato altre misure procedurali, mentre detto Stato membro aveva rinunciato a rescindere la convenzione in parola proprio su richiesta di quest’ultima.

19

La Commissione controbatte che, sebbene in talune ipotesi un’eccessiva durata del procedimento precontenzioso di cui all’art. 226 CE sia idonea a rendere più difficile per lo Stato membro chiamato in causa la confutazione degli argomenti della Commissione e, quindi, a violare i suoi diritti di difesa, ciò non è vero nel caso di specie. Inoltre, il fatto di non dar seguito ad un parere motivato immediatamente o nel breve termine non può creare, da parte dello Stato membro interessato, un legittimo affidamento quanto all’archiviazione del procedimento.

20

La Commissione aggiunge che la lettera del sig. Monti menzionata al punto 17 della presente sentenza indicava esplicitamente che non era prevedibile un’archiviazione del procedimento, considerate le norme del mercato interno, e che tale istituzione non ha in alcun momento offerto motivo di pensare che avrebbe abbandonato la prima censura.

Giudizio della Corte

21

In ossequio ad una giurisprudenza costante, spetta alla Commissione scegliere il momento in cui avviare il procedimento per inadempimento, e le considerazioni sulle quali si fonda tale decisione non possono avere alcuna incidenza sulla ricevibilità del ricorso (v., in particolare, sentenza 1o giugno 1994, causa C-317/92, Commissione/Germania, Racc. pag. I-2039, punto 4).

22

Le norme di cui all’art. 226 CE devono essere applicate senza che la Commissione sia tenuta ad osservare un termine prestabilito, salvo i casi in cui la durata eccessiva del procedimento precontenzioso previsto da tale disposizione possa aumentare, per lo Stato membro coinvolto, la difficoltà di confutare gli argomenti della Commissione e violare, pertanto, i diritti della difesa. Spetta allo Stato membro interessato addurre la prova di siffatta incidenza (v., in particolare, sentenza 18 luglio 2007, causa C-490/04, Commissione/Germania, Racc. pag. I-6095, punto 26).

23

Nel caso di specie, la Repubblica federale di Germania non ha provato che l’inusuale durata del procedimento abbia avuto incidenza sul modo in cui essa ha organizzato la propria difesa.

24

Come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 21 delle sue conclusioni, il fatto che la clausola di «standstill» sia entrata in vigore mentre era in corso la fase precontenziosa del presente procedimento, che, a giudizio della Repubblica federale di Germania, ha impedito a quest’ultima di rescindere la convenzione tedesco-polacca, non poteva, di per sé, rendere più difficile per tale Stato membro confutare gli argomenti della Commissione nell’ambito della censura relativa ad una violazione dell’art. 49 CE. A ciò va aggiunto che, come osserva la Commissione, l’invio da parte di quest’ultima della lettera di diffida integrativa del 10 aprile 2006 e del parere motivato integrativo del , che avevano segnatamente lo scopo di reiterare la censura di cui trattasi, hanno consentito alla Repubblica federale di Germania di esporre con piena cognizione di causa le ragioni per cui essa contestava tale censura.

25

Inoltre, il procedimento per inadempimento si basa sull’accertamento oggettivo dell’inosservanza da parte di uno Stato membro degli obblighi impostigli dal diritto comunitario e il principio del rispetto del legittimo affidamento, in un caso come quello di specie, non può essere fatto valere da uno Stato membro per ostacolare detto accertamento, poiché l’ammissione di tale giustificazione contrasterebbe con l’obiettivo perseguito dal procedimento di cui all’art. 226 CE (v., in particolare, sentenza 24 aprile 2007, causa C-523/04, Commissione/Paesi Bassi, Racc. pag. I-3267, punto 28).

26

Infatti, dalla giurisprudenza della Corte risulta che il fatto che la Commissione non abbia dato seguito al parere motivato immediatamente o nel breve termine non può far sorgere, nei confronti dello Stato membro interessato, il legittimo affidamento in ordine all’archiviazione del procedimento (v., in particolare, sentenza 1o giugno 1994, Commissione/Germania, cit., punto 4). Ciò è ancor più vero quando, come nel caso di specie, è pacifico che durante il periodo di asserita inattività, in particolare nell’ambito dell’accordo di associazione citato al punto 10 della presente sentenza, sono stati compiuti tentativi per trovare una soluzione che mettesse fine all’inadempimento contestato.

27

Infine, in assenza di una qualunque presa di posizione da parte della Commissione da cui si potesse ritenere che essa avrebbe archiviato il procedimento di inadempimento già avviato, vuoi nella lettera del sig. Monti citata ai punti 17 e 20 della presente sentenza, vuoi in una qualsivoglia altra fase del procedimento, circostanza che la Repubblica federale di Germania non contesta, tale Stato membro non può far utilmente valere che la predetta istituzione ha violato il principio di legittimo affidamento non archiviando il procedimento in questione.

28

Occorre quindi respingere l’eccezione di irricevibilità sollevata dalla Repubblica federale di Germania e dichiarare ricevibile il ricorso proposto dalla Commissione.

Nel merito

Sulla prima censura

— Argomenti delle parti

29

La Commissione sostiene che, interpretando l’espressione «impresa della controparte», di cui all’art. 1, n. 1, della convenzione tedesco-polacca, nel senso che essa riguarda le sole imprese tedesche, le autorità tedesche impediscono alle imprese di altri Stati membri che desiderino realizzare appalti in Germania di concludere contratti con un imprenditore polacco, a meno che le imprese di detti altri Stati membri non creino una filiale in Germania. Una simile interpretazione, che non si imporrebbe necessariamente, avrebbe l’effetto di dissuadere queste ultime imprese dall’esercitare il loro diritto alla libera prestazione di servizi garantiti dall’art. 49 CE al fine di concludere, in conformità della convenzione tedesco-polacca, contratti d’appalto per la realizzazione di lavori in Germania impiegando la quota di lavoratori polacchi prevista da detta convenzione.

30

La Commissione afferma che siffatta interpretazione dell’art. 1, n. 1, della convenzione tedesco-polacca è foriera di una discriminazione fondata direttamente sulla nazionalità dell’impresa o sul luogo della sua sede, circostanza che potrebbe essere giustificata solo per motivi di ordine pubblico, di sicurezza pubblica o di sanità pubblica. Il ricorso a tali motivi presupporrebbe che fosse necessario mantenere una misura discriminatoria per prevenire un rischio reale e sufficientemente grave relativo ad un interesse fondamentale della società. Orbene, ciò non si verificherebbe nel caso di specie.

31

Invero, il solo fatto che le imprese che desiderano concludere un contratto di lavoro con un imprenditore polacco non abbiano sede in Germania non impedirebbe il controllo della corretta applicazione della convenzione tedesco-polacca. Quanto alla necessità di assicurare l’effettiva attuazione della responsabilità dell’impresa in caso di mancato pagamento dei contributi previdenziali, la Commissione osserva che rilievi di natura puramente amministrativa non configurano un’esigenza imperativa di interesse generale e non possono quindi giustificare restrizioni ad una libertà fondamentale garantita dal Trattato. Inoltre, contrariamente a quanto sostiene la Repubblica federale di Germania, non vi sarebbe alcun motivo di temere che l’estensione della convenzione tedesco-polacca alle imprese di altri Stati membri comporti o favorisca un’applicazione inopportuna o un’elusione delle disposizioni transitorie del Trattato di adesione, a parte il fatto che tale timore non costituirebbe in alcun caso un rischio sufficientemente grave e attuale per l’ordine pubblico o la sicurezza pubblica tale da giustificare una restrizione discriminatoria della libera prestazione dei servizi.

32

Da ultimo, riferendosi a questo proposito in particolare alla sentenza 15 gennaio 2002, causa C-55/00, Gottardo (Racc. pag. I-413, punto 34), la Commissione sottolinea che, quando uno Stato membro conclude con un paese terzo un accordo bilaterale, il principio fondamentale della parità di trattamento impone a tale Stato membro di concedere ai cittadini degli altri Stati membri gli stessi vantaggi di cui godono i suoi stessi cittadini grazie a detto accordo, a meno che esso non sia in grado di addurre una giustificazione oggettiva del suo rifiuto di agire in tal senso. Questo, però, non accadrebbe nella fattispecie.

33

Intervenendo a sostegno delle conclusioni della Commissione, la Repubblica di Polonia fa tra l’altro valere che, a causa dell’interpretazione dell’art. 1, n. 1, della convenzione tedesco-polacca consacrata dalla prassi amministrativa tedesca, le imprese polacche non possono eseguire nel territorio tedesco contratti conclusi con imprese di Stati membri diversi dalla Repubblica federale di Germania, come pure le imprese stabilite in questi ultimi e che forniscono servizi in Germania non possono far intervenire imprese polacche in qualità di subappaltanti. Al pari della Commissione, la Repubblica di Polonia conclude che tale prassi configura una violazione del principio del trattamento nazionale che non può essere giustificata da alcuno dei motivi di cui all’art. 46 CE e che niente osta a che le agevolazioni della suddetta convenzione vengano estese alle imprese degli Stati membri diversi dalla Repubblica federale di Germania.

34

La Repubblica federale di Germania sostiene che l’interpretazione controversa è conforme al dettato della convenzione tedesco-polacca. La circostanza che questa convenzione conferisca diritti soltanto alle imprese tedesche non configurerebbe una restrizione vietata ai sensi dell’art. 49 CE. Gli imprenditori di altri Stati membri sarebbero in principio legittimati a fornire servizi in Germania, ma semplicemente non potrebbero avvalersi dell’art. 1, n. 1, della detta convenzione per chiedere l’ausilio di imprese polacche in occasione dell’esecuzione di un ordinativo.

35

Inoltre, le imprese tedesche che possono avvalersi della convenzione tedesco-polacca sarebbero tutte le imprese stabilite in Germania, ivi comprese le succursali di imprese di altri Stati membri.

36

Del resto, secondo quest’ultima, le imprese tedesche e le imprese straniere non si trovano in una situazione paragonabile, circostanza che esclude a priori l’esistenza di una discriminazione vietata. Inoltre, la convenzione tedesco-polacca costituirebbe una convenzione improntata all’equilibrio, fondata sulla reciprocità e da cui non potrebbero semplicemente scorporarsi diritti particolari per farne beneficiare cittadini di uno Stato membro non firmatario di detta convenzione. Al riguardo di questi due argomenti, la Repubblica federale di Germania fa riferimento segnatamente alla sentenza 5 luglio 2005, causa C-376/03, D. (Racc. pag. I-5821, punti 61 e segg.).

37

Inoltre, un’interpretazione estensiva dell’art. 49 CE avrebbe l’effetto di svuotare del loro contenuto le disposizioni transitorie figuranti nell’Atto di adesione, il cui contesto e la cui finalità sarebbero stati quelli di circoscrivere le ripercussioni generate da differenti condizioni di concorrenza esistenti in settori aventi forte vocazione terziaria e di impedire stravolgimenti nel mercato del lavoro.

38

In ogni caso, anche se l’interpretazione dell’art. 1, n. 1, della convenzione tedesco-polacca consacrata dalla prassi amministrativa tedesca fosse ritenuta costitutiva di una restrizione ai sensi dell’art. 49 CE, quest’ultima sarebbe giustificata in virtù del combinato disposto degli artt. 55 CE e 46 CE, per il fatto che l’estensione del beneficio di tale convenzione alle imprese non stabilite in Germania non garantirebbe più un controllo adeguato della corretta esecuzione della suddetta convenzione, a meno di affrontare costi amministrativi sproporzionati, e non consentirebbe di assicurare l’attuazione effettiva della responsabilità dell’impresa che incarica un’impresa subappaltatrice polacca di fornire servizi di lavoro in caso di mancato pagamento dei contributi previdenziali da parte di quest’ultima.

— Giudizio della Corte

39

Da una giurisprudenza costante risulta che la libera prestazione dei servizi implica, in particolare, l’eliminazione di qualsiasi discriminazione nei confronti del prestatore a causa della sua cittadinanza o del fatto che sia stabilito in uno Stato membro diverso da quello in cui la prestazione deve essere fornita (v., in particolare, sentenza 18 luglio 2007, Commissione/Germania, cit., punto 83 e giurisprudenza ivi citata). La condizione secondo cui un’impresa deve creare un centro di attività stabile o una filiale nello Stato membro in cui viene eseguita la prestazione è direttamente contraria alla libera prestazione dei servizi, dal momento che rende impossibile la prestazione di servizi in questo Stato membro da parte di imprese stabilite in altri Stati membri (v. in tal senso, segnatamente, sentenze , causa 205/84, Commissione/Germania, Racc. pag. 3755, punto 52; , causa C-279/00, Commissione/Italia, Racc. pag. I-1425, punto 17, e , causa C-496/01, Commissione/Francia, Racc. pag. I-2351, punto 65).

40

A questo proposito, si deve rilevare che l’art. 1, n. 1, della convenzione tedesco-polacca, nell’interpretazione datane nella prassi amministrativa tedesca, crea una diretta discriminazione contraria all’art. 49 CE nei confronti dei prestatari di servizi stabiliti in Stati membri diversi dalla Repubblica federale di Germania che desiderino concludere un contratto d’appalto con un’impresa polacca per la fornitura di servizi in Germania.

41

Infatti, in base all’interpretazione di tale disposto adottata nella prassi amministrativa tedesca, solo le imprese aventi la loro sede o un centro di attività stabile in Germania possono concludere contratti d’impresa con un’impresa polacca e beneficiare in tal modo, fornendo servizi in Germania, della quota di lavoratori polacchi garantito ai sensi della convenzione tedesco-polacca, nonostante le disposizioni transitorie contenute nell’Atto di adesione.

42

Relativamente a quanto sostenuto dalla Repubblica federale di Germania, in merito al fatto che la prassi amministrativa controversa è giustificata trattandosi di una disposizione contenuta in una convenzione internazionale bilaterale, si deve rilevare che, nel mettere in pratica gli impegni assunti in virtù di convenzioni internazionali, indipendentemente dal fatto che si tratti di una convenzione tra Stati membri ovvero tra uno Stato membro e uno o più paesi terzi, gli Stati membri, fatte salve le disposizioni dell’art. 307 CE, devono rispettare gli obblighi loro incombenti in virtù del diritto comunitario (v., in particolare, sentenza Gottardo, cit., punto 33).

43

La Corte ha invero dichiarato che il fatto che l’equilibrio e la reciprocità di una convenzione internazionale bilaterale stipulata da uno Stato membro con un paese terzo vengano messi in discussione può costituire una giustificazione oggettiva del rifiuto opposto dallo Stato membro parte contraente di tale convenzione di estendere ai cittadini degli altri Stati membri i vantaggi che i suoi cittadini ricavano dalla detta convenzione (v., in particolare, sentenze 21 settembre 1999, causa C-307/97, Saint-Gobain ZN, Racc. pag. I-6161, punto 60, e Gottardo, cit., punto 36).

44

Tuttavia, diversamente dalle situazioni in esame in tali cause e in quelle sfociate nella citata sentenza D., su cui la Repubblica federale di Germania fonda i propri argomenti, dopo l’adesione della Repubblica di Polonia all’Unione l’applicazione della convenzione tedesco-polacca concerne due Stati membri, con la conseguenza che le disposizioni di tale convenzione possono applicarsi nelle relazioni tra questi Stati membri solo nel rispetto del diritto comunitario, in particolare delle norme del Trattato in materia di libera prestazione di servizi (v. per analogia, segnatamente, sentenze 27 settembre 1988, causa 235/87, Matteucci, Racc. pag. 5589, punti 16 e 19-21, nonché , causa C-478/07, Budějovický Budvar, Racc. pag. I-7721, punti 97 e 98).

45

A ciò si aggiunge che, come ha giustamente rilevato la Repubblica di Polonia, l’estensione del diritto di concludere contratti di appalto con imprese subappaltatrici polacche alle imprese stabilite in Stati membri diversi dalla Repubblica federale di Germania non è idonea a incidere in quanto tale sulla quota stabilita in applicazione dell’art. 2, n. 5, della convenzione tedesco-polacca.

46

Nello stesso modo, contrariamente a quanto sostiene la Repubblica federale di Germania, non vi sono elementi che consentano di ritenere che un’impresa stabilita in un altro Stato membro si trovi in una situazione diversa rispetto alle imprese stabilite in tale primo Stato membro per quanto attiene alla possibilità di stipulare contratti di appalto con imprese polacche allo scopo di fornire servizi in Germania.

47

Inoltre, dalla giurisprudenza della Corte risulta che disposizioni come quelle qui in discussione della convenzione tedesco-polacca sono compatibili con il diritto comunitario soltanto se possono essere ricondotte a una disposizione derogatoria espressa, quale l’art. 46 CE al quale rinvia l’art. 55 CE (v., in particolare, sentenza 18 luglio 2007, Commissione/Germania, cit., punto 86).

48

Dall’art. 46 CE, soggetto ad un’interpretazione restrittiva, risulta che norme discriminatorie possono essere giustificate da motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica (v., in particolare, sentenza 18 luglio 2007, Commissione/Germania, cit., punto 86).

49

Tuttavia, il ricorso a una simile giustificazione presuppone l’esistenza di una minaccia effettiva e sufficientemente grave nei confronti di uno degli interessi fondamentali della collettività (v. in tal senso, segnatamente, sentenze 29 ottobre 1998, causa C-114/97, Commissione/Spagna, Racc. pag. I-6717, punto 46, e , causa C-567/07, Woningstichting Sint Servatius, Racc. pag. I-9021, punto 28).

50

Al fine di giustificare il divieto del distacco di lavoratori polacchi da parte delle imprese polacche nell’ambito di contratti d’appalto stipulati con imprese non aventi la loro sede o un centro di attività stabile in Germania, la Repubblica federale di Germania adduce in particolare la necessità di assicurare un controllo efficace della corretta applicazione della convenzione tedesco-polacca, che, a suo giudizio, potrebbe essere garantita nei confronti di imprese stabilite in altri Stati membri solo affrontando eccessivi costi amministrativi supplementari, nonché gli eventuali problemi legati al recupero dei crediti previdenziali nei confronti delle imprese responsabili del versamento degli importi corrispondenti a tali crediti in applicazione della normativa tedesca, qualora dette imprese non dispongano di un centro di attività stabile in Germania.

51

In tal modo, la Repubblica federale di Germania non ha fatto valere alcun elemento convincente che possa essere ricondotto ad uno dei motivi di cui all’art. 46 CE, dal momento che considerazioni di natura economica e mere difficoltà pratiche nell’attuazione della convenzione tedesco-polacca non possono, in ogni caso, giustificare restrizioni di una libertà fondamentale (v. per analogia, segnatamente, sentenza 26 gennaio 1999, causa C-18/95, Terhoeve, Racc. pag. I-345, punto 45) né, a maggior ragione, una deroga in base all’art. 46 CE, che presuppone l’esistenza di un rischio effettivo e sufficientemente grave nei confronti di un interesse fondamentale della collettività.

52

Infine, quanto all’asserito rischio di un’elusione delle disposizioni transitorie favorevoli alla Repubblica federale di Germania iscritte nell’Atto di adesione allo scopo di impedire il sopravvenire di gravi perturbazioni nel mercato del lavoro tedesco, è sufficiente rilevare che l’estensione alle imprese stabilite in altri Stati membri del diritto di concludere contratti di appalto con imprese polacche, per consentire alle prime di beneficiare della quota di lavoratori polacchi fissata in applicazione dell’art. 2, n. 5, della convenzione tedesco-polacca, non è tale da avere un simile effetto, dato che il numero di permessi di lavoro accordati a lavoratori polacchi non è, comunque, modificato a seguito di una siffatta estensione a vantaggio di imprese stabilite in detti altri Stati membri.

53

In tale contesto, la prima censura deve essere accolta.

Sulla seconda censura

— Argomenti delle parti

54

La Commissione fa valere che la clausola di protezione del mercato del lavoro contenuta nell’opuscolo 16a, a parte il fatto che è dubbio che essa possa essere fondata sull’art. 2, n. 5, della convenzione tedesco-polacca, viola la clausola di «standstill».

55

In forza di detta clausola di «standstill» sarebbe vietato qualunque ampliamento delle restrizioni esistenti alla data della firma del Trattato di adesione, ossia il 16 aprile 2003, indipendentemente dal fatto che esso si fondi sull’applicazione di una normativa esistente o di una normativa adottata dopo tale data, a pena di privare detta clausola della sua efficacia pratica. Orbene, dopo il , nuovi distretti, tra i quali Bremerhaven, Bochum, Dortmund, Duisburg, Essen, Wuppertal, Dresda, Colonia, Oberhausen e Recklinghausen, sarebbero stati aggiunti all’elenco dei distretti sottoposti alla clausola di protezione del mercato del lavoro contenuta nell’opuscolo 16a. L’applicazione di tale ultima clausola ha quindi comportato, per i lavoratori polacchi, un effettivo peggioramento nell’accesso al mercato del lavoro tedesco rispetto alla situazione che esisteva prima della firma del Trattato di adesione, circostanza che sarebbe manifestamente contraria alla clausola di «standstill».

56

La Repubblica di Polonia osserva tra l’altro che la clausola di protezione del mercato del lavoro di cui all’opuscolo 16a non costituisce attuazione dell’art. 2, n. 5, della convenzione tedesco-polacca, dal momento che detta clausola non mira a far dipendere il numero di lavoratori in un dato distretto dalla preesistenza di una concentrazione dei lavoratori con contratto a tempo determinato occupati, bensì vi esclude qualsiasi conclusione di contratti d’appalto. Inoltre, l’iscrizione di un distretto nell’elenco creato dall’Agenzia federale per l’impiego della Repubblica federale di Germania sarebbe subordinata al livello di disoccupazione ivi regnante, e non già alla concentrazione di lavoratori polacchi distaccati in tale paese per l’esecuzione di contratti d’appalto.

57

La Repubblica federale di Germania controbatte che, sebbene ciò sia irrilevante ai fini della valutazione della situazione alla luce del diritto comunitario, nel caso di specie la questione se l’art. 2, n. 5, della convenzione tedesco-polacca sia stato correttamente attuato dalla clausola di protezione del mercato del lavoro di cui all’opuscolo 16a va risolta positivamente.

58

Inoltre, detta clausola di protezione del mercato del lavoro non violerebbe la clausola di «standstill». Ai fini dell’osservanza di quest’ultima clausola rileverebbe soltanto il fatto che la situazione giuridica o la prassi amministrativa non abbiano conosciuto alcuna variazione in senso peggiorativo dopo la firma del Trattato di adesione; a questo proposito la Repubblica federale di Germania fa valere le sentenze 11 maggio 2000, causa C-37/98, Savas (Racc. pag. I-2927, punto 69); , causa C-16/05, Tum e Dari (Racc. pag. I-7415, punto 49); , cause riunite C-317/01 e C-369/01, Abatay e a. (Racc. pag. I-12301, punto 81); , causa C-302/97, Konle (Racc. pag. I-3099, punti 52 e segg.), nonché , causa C-157/05 Holböck (Racc. pag. I-4051, punto 41).

59

Orbene, l’applicazione della suddetta clausola di protezione del mercato del lavoro, il cui tenore sarebbe rimasto invariato dal 4 gennaio 1993, non avrebbe condotto né ad una modifica sfavorevole della situazione giuridica né ad una modifica della prassi amministrativa nei confronti della Repubblica di Polonia. La situazione del mercato del lavoro in Germania sarebbe l’unico elemento che abbia conosciuto evoluzioni dopo l’entrata in vigore della clausola di «standstill». Una violazione di una simile clausola sarebbe esclusa quando, come nel caso di specie, l’amministrazione applica, in modo invariato rispetto al passato, una disposizione che non ha subito modifiche.

— Giudizio della Corte

60

In forza della clausola di protezione del mercato del lavoro contenuta nell’opuscolo 16a, di cui è pacifico che il testo non è stato modificato successivamente al 1993, in via di principio sono vietati i contratti d’appalto nell’ambito dei quali sia impiegata manodopera straniera, qualora detti contratti debbano essere eseguiti nell’ambito di un distretto dell’Agenzia federale per l’impiego della Repubblica federale di Germania in cui il tasso di disoccupazione medio negli ultimi sei mesi superi di almeno il 30% il tasso di disoccupazione complessivo della Repubblica federale di Germania. L’elenco dei distretti soggetti a questo divieto viene aggiornato ogni tre mesi.

61

Come ha giustamente rilevato la Repubblica federale di Germania, con la censura in esame la Corte è chiamata non già a valutare se detta clausola e la sua applicazione da parte delle autorità amministrative tedesche configurino una corretta attuazione dell’art. 2, n. 5, della convenzione tedesco-polacca, bensì ad esaminare se, come sostiene la Commissione, la predetta clausola, nell’attuazione datane dalle autorità amministrative tedesche, violi la clausola di «standstill».

62

Il capitolo 2, n. 13, dell’allegato XII dell’Atto di adesione autorizza la Repubblica federale di Germania a derogare all’art. 49, primo comma, CE allo scopo di limitare, nell’ambito della prestazione di servizi da parte di imprese stabilite in Polonia, la temporanea circolazione di lavoratori il cui diritto di svolgere un’attività lavorativa in Germania sia sottoposto a misure nazionali. Questa deroga mira a consentire alla Repubblica federale di Germania di far fronte a gravi perturbazioni o al rischio di gravi perturbazioni in specifici settori sensibili di servizi del proprio mercato del lavoro che potrebbero verificarsi in talune regioni in seguito alla prestazione transnazionale di servizi, fintantoché detto Stato membro applichi, in forza delle disposizioni transitorie, misure nazionali o misure contemplate da accordi bilaterali concernenti la libera circolazione dei lavoratori polacchi.

63

Il suddetto n. 13 contiene inoltre una clausola di «standstill», in forza della quale l’applicazione di questa disposizione non ha l’effetto di creare, per la temporanea circolazione dei lavoratori nell’ambito della prestazione transnazionale di servizi tra la Germania e la Polonia, condizioni che siano più restrittive di quelle esistenti alla data della firma del Trattato di adesione.

64

Contrariamente alla tesi difesa dalla Commissione, la circostanza che, successivamente a tale momento, siano stati aggiunti nuovi distretti all’elenco di quelli per i quali non sono autorizzati i contratti di appalto, in base alla convenzione tedesco-polacca, non equivale ad una violazione della clausola di «standstill».

65

Infatti, tale clausola prevede il divieto di creare «condizioni più restrittive» alla temporanea circolazione dei lavoratori rispetto a quelle esistenti al momento della firma del Trattato di adesione. Orbene, evidentemente ciò non accade quando la diminuzione del numero di lavoratori polacchi suscettibili di essere distaccati nell’ambito della fornitura di servizi in Germania è la mera conseguenza dell’applicazione, dopo tale momento, di una clausola i cui termini sono rimasti identici ad una situazione di fatto nel mercato del lavoro che si è evoluta. Come giustamente ha rilevato la Repubblica federale di Germania, l’elenco, aggiornato ogni tre mesi, dei distretti soggetti al divieto riconducibile alla clausola di protezione del mercato del lavoro di cui all’opuscolo 16a riveste, in questo ambito, un carattere puramente dichiarativo, mentre non vi è stato né un peggioramento della situazione giuridica né una modifica in senso sfavorevole della prassi amministrativa tedesca.

66

La suesposta interpretazione è corroborata dalla finalità di siffatte clausole di «standstill», consistente nel vietare che uno Stato membro possa adottare nuove misure che abbiano per oggetto o per effetto di stabilire condizioni più restrittive di quelle che erano applicabili al momento dell’entrata in vigore di dette clausole (v. in tal senso, segnatamente, sentenze Savas, cit., punto 69, e 17 settembre 2009, causa C-242/06, Sahin, Racc. pag. I-8465, punto 63).

67

In tale contesto, la seconda censura deve essere respinta in quanto infondata.

68

Alla luce delle considerazioni che precedono, si deve dichiarare che, interpretando nella propria prassi amministrativa i termini «impresa della controparte» di cui all’art. 1, n. 1, della convenzione tedesco-polacca nel senso di «impresa tedesca», la Repubblica federale di Germania è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’art. 49 CE.

Sulle spese

69

Ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Ai sensi dell’art. 69, n. 3, dello stesso regolamento, se le parti soccombono rispettivamente su uno o più capi, ovvero per motivi eccezionali, la Corte può ripartire le spese o decidere che ciascuna parte sopporti le proprie spese.

70

Nel caso di specie, si deve decidere che la Commissione e la Repubblica federale di Germania sopportino ciascuna le proprie spese.

71

Ai sensi dell’art. 69, n. 4, del regolamento di procedura, la Repubblica di Polonia sopporta le proprie spese.

 

Per questi motivi, la Corte (Terza Sezione) dichiara e statuisce:

 

1)

Interpretando nella propria prassi amministrativa i termini «impresa della controparte» di cui all’art. 1, n. 1, della Convenzione tra il governo della Repubblica federale di Germania e il governo della Repubblica di Polonia del 31 gennaio 1990, relativa al distacco di lavoratori di imprese polacche per l’esecuzione di contratti d’appalto, nel testo di cui al e al , nel senso di «impresa tedesca», la Repubblica federale di Germania è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’art. 49 CE.

 

2)

Il ricorso è respinto quanto al resto.

 

3)

La Commissione europea e la Repubblica federale di Germania sopporteranno ciascuna le proprie spese.

 

4)

La Repubblica di Polonia sopporterà le proprie spese.

 

Firme


( *1 ) Lingua processuale: il tedesco.

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