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Documento 62007CJ0457

    Sentenza della Corte (Quarta Sezione) del 10 settembre 2009.
    Commissione delle Comunità europee contro Repubblica portoghese.
    Inadempimento di uno Stato - Artt. 28 CE e 30 CE - Prodotti da costruzione - Procedimento nazionale di omologazione - Mancata presa in considerazione dei certificati di conformità redatti in altri Stati membri - Sentenza della Corte che accerta l’inadempimento - Mancata esecuzione - Art. 228 CE - Oggetto della lite - Determinazione durante il procedimento precontenzioso - Successivo ampliamento - Inammissibilità.
    Causa C-457/07.

    Raccolta della Giurisprudenza 2009 I-08091

    Identificatore ECLI: ECLI:EU:C:2009:531

    SENTENZA DELLA CORTE (Quarta Sezione)

    10 settembre 2009 ( *1 )

    «Inadempimento di uno Stato — Artt. 28 CE e 30 CE — Prodotti da costruzione — Procedimento nazionale di omologazione — Mancata presa in considerazione dei certificati di conformità redatti in altri Stati membri — Sentenza della Corte che accerta l’inadempimento — Mancata esecuzione — Art. 228 CE — Oggetto della lite — Determinazione durante il procedimento precontenzioso — Successivo ampliamento — Inammissibilità»

    Nella causa C-457/07,

    avente ad oggetto un ricorso per inadempimento, ai sensi dell’art. 228 CE, proposto il 9 ottobre 2007,

    Commissione delle Comunità europee, rappresentata dalla sig.ra S. Pardo Quintillán e dal sig. P. Guerra e Andrade, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

    ricorrente,

    contro

    Repubblica portoghese, rappresentata dal sig. L. Inês Fernandes, in qualità di agente, assistito dai sigg. N. Ruiz e C. Farinhas, advogados,

    convenuta,

    LA CORTE (Quarta Sezione),

    composta dal sig. K. Lenaerts (relatore), presidente di sezione, dal sig. T. von Danwitz, dalla sig.ra R. Silva de Lapuerta, dai sigg. E. Juhász e G. Arestis, giudici,

    avvocato generale: sig.ra J. Kokott

    cancelliere: sig.ra M. Ferreira, amministratore principale

    vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 7 maggio 2009,

    vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,

    ha pronunciato la seguente

    Sentenza

    1

    Con il suo ricorso, la Commissione delle Comunità europee chiede che la Corte voglia:

    dichiarare che la Repubblica portoghese, non avendo adottato i provvedimenti necessari per dare esecuzione alla sentenza della Corte 10 novembre 2005, causa C-432/03, Commissione/Portogallo (Racc. pag. I-9665), è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’art. 228, n. 1, CE;

    condannare la Repubblica portoghese a versarle una penalità pari a EUR 34542 per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione della sopra menzionata sentenza Commissione/Portogallo, a decorrere dal giorno della pronuncia della presente sentenza fino all’esecuzione della detta sentenza Commissione/Portogallo;

    condannare la Repubblica portoghese a versarle una somma forfettaria di EUR 6060, moltiplicata per il numero di giorni trascorsi tra la pronuncia della citata sentenza Commissione/Portogallo e la data in cui tale Stato membro si conformerà alla detta sentenza o la data della pronuncia della presente sentenza, e

    condannare la Repubblica portoghese alle spese.

    Contesto normativo

    La normativa comunitaria

    2

    In forza dell’art. 2, n. 1, della direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/106/CEE, relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti i prodotti da costruzione (GU 1989, L 40, pag. 12), come modificata dalla direttiva del Consiglio 22 luglio 1993, 93/68/CEE (GU L 220, pag. 1; in prosieguo: la «direttiva 89/106»), gli Stati membri prendono le misure necessarie per far sì che «i prodotti da costruzione», ai sensi della direttiva 89/106, possano essere immessi sul mercato solo se idonei all’impiego previsto, se hanno cioè caratteristiche tali che le opere in cui devono essere inglobati, montati, applicati o installati possano, se adeguatamente progettate e costruite, soddisfare i requisiti essenziali di cui all’art. 3 della detta direttiva, se e nella misura in cui tali opere siano soggette a regolamentazioni che prevedano tali requisiti.

    3

    Ai sensi dell’art. 3, n. 1, della direttiva 89/106, tali requisiti essenziali sono enunciati in termini di obiettivi nell’allegato I della medesima direttiva. Detti requisiti riguardano talune caratteristiche delle opere in materia di resistenza meccanica e stabilità, sicurezza in caso di incendio, igiene, salute e ambiente, sicurezza nell’impiego, protezione contro il rumore, risparmio energetico e ritenzione di calore.

    4

    Secondo l’art. 4, n. 2, della detta direttiva, gli Stati membri presumono idonei al loro impiego i prodotti che consentono alle opere in cui sono utilizzati di soddisfare gli stessi requisiti essenziali, allorché recano la marcatura «CE», la quale attesta che sono conformi alle norme nazionali in cui sono state recepite le norme armonizzate, ad un benestare tecnico europeo o alle specificazioni tecniche nazionali che beneficiano di una presunzione di conformità con tali requisiti essenziali.

    5

    L’art. 16, n. 1, della medesima direttiva dispone quanto segue:

    «Se, per un determinato prodotto, non esistono le specificazioni tecniche di cui all’articolo 4, lo Stato membro di destinazione, agendo a richiesta e in singoli casi, considera come conformi alle disposizioni nazionali in vigore i prodotti che hanno superato le prove e i controlli effettuati, nello Stato membro di produzione, da un organismo riconosciuto secondo i metodi in vigore nello Stato membro di destinazione o riconosciuti come equivalenti da tale Stato membro».

    6

    Ai sensi dell’art. 1 della decisione del Parlamento europeo e del Consiglio 13 dicembre 1995, n. 3052/95/CE, che istituisce una procedura d’informazione reciproca sulle misure nazionali che derogano al principio di libera circolazione delle merci all’interno della Comunità (GU L 321, pag. 1), gli Stati membri notificano alla Commissione ogni misura che ostacoli la libera circolazione o l’immissione in commercio di un certo modello o di un certo tipo di prodotto fabbricato o commercializzato legalmente in un altro Stato membro qualora questa misura abbia quale effetto diretto o indiretto un divieto generale, un diniego di autorizzazione di immissione in commercio, la modifica del modello o del tipo di prodotto in causa ai fini dell’immissione o del mantenimento in commercio, o un ritiro dal commercio. Secondo l’art. 4, n. 2, della decisione n. 3052/95/CE, tale notifica ha luogo entro un termine di 45 giorni a decorrere dalla data in cui è stata adottata la detta misura.

    7

    Nel febbraio 2004 sono state adottate svariate norme europee relative alle specificazioni tecniche applicabili ai tubi di polietilene PEX.

    La normativa nazionale

    8

    In forza dell’art. 17 del regolamento generale portoghese sulle costruzioni urbane (Regulamento Geral das Edificações Urbanas), adottato con decreto legge 7 agosto 1951, n. 38/382 (Diário do Governo, serie I, n. 166, del 7 agosto 1951; in prosieguo: l’«RGEU»), nella versione vigente prima della pronuncia della citata sentenza Commissione/Portogallo, l’impiego di nuovi materiali o metodi edilizi per i quali non esistevano specificazioni ufficiali né sufficiente prassi di utilizzo era soggetto al previo parere del Laboratório Nacional de Engenharia Civil (Laboratorio nazionale del genio civile; in prosieguo: l’«LNEC»).

    9

    In base ai decreti del Ministero dei Lavori pubblici 2 novembre 1970 (Diário do Governo, serie II, n. 261, del 10 novembre 1970) e 7 aprile 1971 (Diário do Governo, serie II, n. 91, del 19 aprile 1971), solo i materiali plastici omologati dall’LNEC potevano essere utilizzati nella rete di distribuzione idrica.

    10

    La direttiva 89/106 è stata recepita in diritto portoghese con il decreto legge 10 aprile 1993, n. 113 (Diário da República I, serie A, n. 84, del 10 aprile 1993).

    11

    L’art. 9, n. 2, del decreto legge n. 113/93, come modificato dal decreto legge 14 giugno 1995, n. 139 (Diário da República, I, serie A, n. 136, del 14 giugno 1995) e dal decreto legge 24 novembre 1998, n. 374 (Diário da República I, serie A, n. 272, del 24 novembre 1998), prevedeva che, su domanda di un fabbricante con sede in uno Stato membro o del suo mandatario, nei casi concreti e in mancanza di specificazioni tecniche, i prodotti fossero considerati conformi alle disposizioni nazionali adottate conformemente al Trattato CE qualora superassero le prove e i controlli effettuati da un organismo riconosciuto dello Stato membro di fabbricazione secondo metodi in vigore in Portogallo o riconosciuti equivalenti dall’Instituto Português da Qualidade (Istituto portoghese della qualità).

    La sentenza Commissione/Portogallo e i relativi fatti

    12

    Nel 2000 la Commissione ha ricevuto una denuncia da una società portoghese a cui non era stata concessa l’autorizzazione richiesta per l’installazione in un edificio di tubi di polietilene PEX importati dall’Italia e dalla Spagna con la motivazione che tali tubi non erano stati omologati dall’LNEC. Quando tale società ha chiesto all’LNEC un’attestazione di equivalenza dei certificati stranieri di cui era in possesso, esso le ha comunicato che la domanda di attestazione di equivalenza del certificato rilasciato dall’Istituto Italiano dei Plastici (in prosieguo: l’«IIP») andava respinta con la motivazione che quest’ultimo non figurava tra i membri dell’associazione europea per il benestare tecnico delle costruzioni né era uno degli altri organismi con cui l’LNEC aveva concluso un accordo di collaborazione.

    13

    Dopo aver inviato alla Repubblica portoghese una lettera di diffida e successivamente un parere motivato, la Commissione ha proposto un ricorso per inadempimento in cui sosteneva che tale Stato membro, assoggettando, in forza dell’art. 17 dell’RGEU, tubi di polietilene importati da altri Stati membri ad un procedimento d’omologazione senza tenere in considerazione i certificati di omologazione rilasciati in tali altri Stati membri e non informando la Commissione di siffatta misura, era venuto meno agli obblighi ad esso incombenti in forza degli artt. 28 CE e 30 CE e degli artt. 1 e 4, n. 2, della decisione n. 3052/95.

    14

    Al punto 33 della citata sentenza Commissione/Portogallo, la Corte ha innanzi tutto ricordato che i tubi di cui trattasi non erano oggetto né di una norma armonizzata o di un benestare tecnico europeo né di una specificazione tecnica nazionale riconosciuta a livello comunitario ai sensi dell’art. 4, n. 2, della direttiva 89/106.

    15

    La Corte ha poi dedotto dall’art. 6, n. 2, della direttiva 89/106, ai sensi del quale gli Stati membri autorizzano l’immissione in commercio dei detti prodotti nel loro territorio se soddisfano prescrizioni nazionali conformi al Trattato, che tale direttiva conferma che uno Stato membro può assoggettare l’immissione in commercio nel suo territorio di un prodotto da costruzione non rientrante in specificazioni tecniche armonizzate o riconosciute a livello comunitario solo a disposizioni nazionali che siano conformi agli obblighi che derivano dal Trattato, in particolare al principio della libera circolazione delle merci sancito negli artt. 28 CE e 30 CE (sentenza Commissione/Portogallo, cit., punti 34 e 35).

    16

    A questo proposito la Corte ha rilevato che il requisito della previa omologazione di un prodotto per attestarne l’idoneità ad un determinato uso, come pure il rifiuto, in questo contesto, del riconoscimento dell’equivalenza dei certificati rilasciati in un altro Stato membro restringono l’accesso al mercato dello Stato membro di importazione e vanno quindi considerati una misura di effetto equivalente ad una restrizione quantitativa all’importazione ai sensi dell’art. 28 CE (sentenza Commissione/Portogallo, cit., punto 41).

    17

    Quanto al sapere se una misura quale l’art. 17 dell’RGEU sia proporzionata rispetto all’obiettivo di tutela della salute e della vita delle persone che intende perseguire, la Corte ha rammentato che, sebbene gli Stati membri siano liberi di assoggettare ad un nuovo procedimento di esame e di omologazione un prodotto già omologato in un altro Stato membro, le loro autorità sono tenute tuttavia a contribuire allo snellimento dei controlli nel commercio intracomunitario. Da ciò consegue che esse non hanno il diritto di esigere senza necessità analisi tecniche o chimiche o prove di laboratorio quando le stesse analisi e prove siano già state effettuate in un altro Stato membro e i loro risultati siano a disposizione di tali autorità o possano, su loro richiesta, essere messi a loro disposizione (sentenza Commissione/Portogallo, cit., punto 46).

    18

    Dopo aver ricordato che la stretta osservanza di tale obbligo richiede un comportamento attivo da parte dell’organismo nazionale adito con una domanda di omologazione di un prodotto o di riconoscimento, in questo contesto, dell’equivalenza di un certificato emesso da un organismo di omologazione di un altro Stato membro, la Corte ha considerato che, nel caso di specie, l’LNEC aveva rifiutato di riconoscere l’equivalenza del certificato rilasciato dall’IIP senza aver chiesto all’impresa richiedente le informazioni da essa detenute che gli avrebbero consentito di valutare la natura del certificato emesso dall’IIP né contattato quest’ultimo al fine di ottenere informazioni del genere (sentenza Commissione/Portogallo, cit., punti 47 e 48).

    19

    Alla luce di queste considerazioni, la Corte è giunta alla conclusione che le autorità portoghesi, assoggettando, a norma dell’art. 17 dell’RGEU, l’utilizzazione del prodotto di cui trattasi ad un procedimento d’omologazione senza tener conto, in questo contesto, di un certificato rilasciato da un organismo di omologazione di un altro Stato membro e senza chiedere all’impresa richiedente o al detto organismo le informazioni necessarie, erano venute meno al dovere di collaborazione che deriva, nell’ambito di una domanda di omologazione di un prodotto importato da un altro Stato membro, dagli artt. 28 CE e 30 CE (sentenza Commissione/Portogallo, cit., punto 49).

    20

    Per quanto riguarda i requisiti concreti ai quali l’omologazione dei tubi di cui trattasi sarebbe soggetta in Portogallo, la Corte ha ricordato che un regime di previa autorizzazione amministrativa, per essere giustificato anche quando deroghi ad una libertà fondamentale, deve comunque fondarsi su criteri oggettivi, non discriminatori e noti in anticipo, in modo da circoscrivere l’esercizio del potere discrezionale delle autorità nazionali affinché esso non sia usato in modo arbitrario (sentenza Commissione/Portogallo, cit., punto 50).

    21

    Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto che l’art. 17 dell’RGEU non integrasse tali requisiti in quanto disponeva unicamente che l’impiego di nuovi materiali o procedimenti edilizi per i quali non esistevano specificazioni ufficiali né sufficiente prassi di utilizzo era subordinato al previo parere dell’LNEC (sentenza Commissione/Portogallo, cit., punto 51).

    22

    La Corte ne ha tratto la conclusione che, assoggettando i tubi di cui trattasi ad un procedimento d’omologazione quale quello previsto all’art. 17 dell’RGEU, la normativa portoghese non rispettava il principio di proporzionalità e, di conseguenza, era in contrasto con gli artt. 28 CE e 30 CE (sentenza Commissione/Portogallo, cit., punto 52).

    23

    Poiché le decisioni adottate dalle autorità portoghesi in forza dell’RGEU e dei decreti ministeriali 2 novembre 1970 e 7 aprile 1971 avevano di fatto l’effetto di vietare l’utilizzo dei tubi di cui trattasi e quindi dovevano considerarsi rientrare nell’ambito di applicazione dell’art. 1 della decisione n. 3052/95, ma non erano state notificate alla Commissione, la Corte ha ritenuto che la Repubblica portoghese avesse violato anche gli obblighi ad essa incombenti in forza di tale decisione (sentenza Commissione/Portogallo, cit., punti 58 e 60).

    24

    Pertanto la Corte, nel dispositivo della citata sentenza Commissione/Portogallo, ha dichiarato che la Repubblica portoghese, non avendo tenuto conto, nell’ambito di un procedimento d’omologazione, ai sensi dell’art. 17 dell’RGEU, di tubi di polietilene importati da altri Stati membri, di certificati di omologazione rilasciati in tali altri Stati membri e non avendo informato la Commissione di una siffatta misura, era venuta meno agli obblighi che le incombevano in forza degli artt. 28 CE e 30 CE, nonché degli artt. 1 e 4, n. 2, della decisione n. 3052/95.

    Fatti della presente controversia

    25

    Il 10 gennaio 2006 le autorità portoghesi comunicavano alla Commissione che il Ministro dei Lavori pubblici, dei Trasporti e delle Comunicazioni aveva adottato, il 23 dicembre 2005, il decreto n. 1726/2006, che abrogava i decreti 2 novembre 1970 e 7 aprile 1971 (Diário da República, serie II, n. 16, del 23 gennaio 2006).

    26

    Il decreto n. 1726/2006 prevedeva, ai punti 2 e 3, che i sistemi di tubi di plastica per la distribuzione di acqua destinata al consumo umano, disciplinati da norme europee adottate in Portogallo, dovessero essere certificati conformi ai requisiti essenziali da parte di organismi riconosciuti. Secondo il punto 3 di tale decreto, il riconoscimento di certificati di conformità emessi in un altro Stato membro veniva effettuato conformemente all’art. 9, n. 2, del decreto legge n. 113/93. Ai sensi dei punti 4 e 5 del detto decreto, in mancanza di norme europee adottate in Portogallo, i prodotti dovevano essere omologati dall’LNEC, nel qual caso si poteva tener conto, su richiesta dell’ente che domandava l’omologazione e conformemente all’art. 9, n. 2, del decreto legge n. 113/93, delle prove e dei controlli effettuati in un altro Stato membro.

    27

    Con una lettera di diffida del 4 luglio 2006, la Commissione comunicava alle autorità portoghesi che il decreto n. 1726/2006 non garantiva la completa esecuzione della citata sentenza Commissione/Portogallo. In primo luogo, dato che un decreto nella gerarchia delle fonti si situa ad un livello inferiore rispetto a quello di un decreto legge, il decreto n. 1726/2006 non avrebbe abrogato l’art. 17 dell’RGEU, che avrebbe continuato ad assoggettare l’impiego di taluni materiali al previo parere dell’LNEC, senza prevedere la possibilità di tener conto delle prove e dei controlli effettuati in altri Stati membri. Peraltro, tale decreto non avrebbe fatto alcun riferimento all’art. 17 dell’RGEU. In secondo luogo, il detto decreto avrebbe menzionato soltanto i sistemi di canalizzazione di distribuzione idrica soggetti alle norme europee, omettendo di disciplinare i tubi isolati. Inoltre, per quanto riguarda il procedimento d’omologazione dei sistemi di canalizzazione non soggetti alle norme europee, il decreto n. 1726/2006 avrebbe previsto che le prove o i controlli effettuati in un altro Stato membro potessero essere presi in considerazione, ma non imponeva alcun obbligo al riguardo. In terzo luogo, le autorità portoghesi non avrebbero comunicato le misure adottate nei confronti degli operatori economici interessati dalla normativa nazionale che la Corte aveva giudicato contraria agli artt. 28 CE e 30 CE.

    28

    Il 18 ottobre 2006, ritenendo ancora valide le censure formulate nella lettera di diffida, la Commissione inviava alla Repubblica portoghese un parere motivato con cui la invitava a prendere i provvedimenti necessari ad assicurare l’esecuzione della citata sentenza Commissione/Portogallo entro il 18 dicembre 2006.

    29

    Con una lettera del 12 gennaio 2007, la Repubblica portoghese rispondeva al suddetto parere motivato informando la Commissione che, nel frattempo, aveva chiarito le disposizioni applicabili.

    30

    Innanzi tutto, il decreto n. 1726/2006 sarebbe stato abrogato dal decreto del Ministro dei Lavori pubblici, dei Trasporti e delle Comunicazioni 4 settembre 2006, n. 19563/2006 (Diário da República, serie II, n. 185, del 25 settembre 2006), il quale, disciplinando non solo l’omologazione dei sistemi di tubature, ma anche quella dei tubi e degli accessori, farebbe chiaro riferimento all’art. 17 dell’RGEU e prevederebbe espressamente l’obbligo di prendere in considerazione le prove e i controlli effettuati in altri Stati membri.

    31

    Il decreto legge 8 gennaio 2007, n. 4 (Diário da República, serie I, n. 5, dell’8 gennaio 2007) avrebbe poi modificato l’art. 9 del decreto legge n. 113/93 in modo da garantire il mutuo riconoscimento tra Stati membri dei certificati di conformità, delle prove e dei controlli, segnatamente ai fini delle procedure di omologazione.

    32

    Per quanto riguarda l’art. 17 dell’RGEU, le autorità portoghesi spiegavano che tale disposizione doveva comunque essere interpretata conformemente al decreto n. 19563/2006 e al principio del mutuo riconoscimento sancito all’art. 9, n. 2, del decreto legge n. 113/93, che garantirebbe la piena collaborazione tra organismi nazionali. Le dette autorità aggiungevano che, dopo avere effettuato le ricerche necessarie, non era stato rilevato alcun caso di irregolare applicazione dell’art. 17 dell’RGEU da parte dell’LNEC. Infine, poiché dopo l’adozione di norme europee nel febbraio 2004, la necessità di omologare tubi e accessori di polietilene era diventata eccezionale, l’LNEC avrebbe annullato tutti i documenti di omologazione relativi ai sistemi di tubature di plastica oggetto di tali norme.

    33

    Con una lettera del 17 agosto 2007, le autorità portoghesi informavano la Commissione dell’adozione del decreto legge recante la stessa data, n. 290/2007 (Diário da República, serie I, n. 128, del 17 agosto 2007), entrato in vigore il 18 agosto 2007, il quale modificava l’art. 17 dell’RGEU aggiungendovi un paragrafo ai sensi del quale l’omologazione da parte dell’LNEC doveva tener conto delle prove e dei controlli effettuati in un altro Stato membro.

    34

    Non essendo soddisfatta della risposta fornita dalle autorità portoghesi al parere motivato, la Commissione ha proposto il presente ricorso.

    Sviluppi nel corso del procedimento dinanzi alla Corte

    35

    Nel marzo 2008 la Repubblica portoghese ha informato la Corte dell’adozione del decreto legge 19 marzo 2008, n. 50 (Diário da República, serie I, n. 56, del 19 marzo 2008), entrato in vigore il 20 marzo 2008, che ha modificato l’art. 17 dell’RGEU nei seguenti termini:

    «1.   Gli edifici devono essere costruiti e ristrutturati in modo da garantire che soddisfino i requisiti essenziali di resistenza meccanica e stabilità, sicurezza nell’impiego e in caso di incendio, igiene, salute e tutela dell’ambiente, protezione contro il rumore, risparmio energetico, ritenzione di calore e altri requisiti stabiliti nel presente regolamento o in una normativa specifica, in particolare di funzionalità, durevolezza e altri.

    2.   La qualità, la natura e le modalità di messa in opera dei materiali impiegati nella costruzione di edifici nuovi e nelle ristrutturazioni devono rispettare le norme edilizie e la normativa applicabile, garantendo che gli edifici soddisfino le condizioni e i requisiti di cui al n. 1 conformemente alle specificazioni tecniche del progetto di esecuzione.

    3.   L’impiego di prodotti da costruzione in edifici nuovi o in ristrutturazioni è soggetto, in forza della legislazione applicabile, alla marcatura “CE” corrispondente o, in mancanza di marcatura, salvo mutuo riconoscimento, alla certificazione della loro conformità alle specificazioni tecniche vigenti in Portogallo.

    4.   La certificazione della conformità alle specificazioni tecniche vigenti in Portogallo può essere richiesta da qualsiasi interessato e a tal fine deve essere sempre tenuto conto dei certificati di conformità alle specificazioni tecniche vigenti in ogni Stato membro dell’Unione europea, in Turchia o in uno Stato firmatario dell’Accordo sullo Spazio economico europeo, nonché dei risultati positivi delle verifiche e delle prove effettuate nello Stato di produzione, alle condizioni previste all’art. 9, n. 2, del decreto legge n. 113/93, del 10 aprile 1993.

    5.   Nei casi in cui i prodotti da costruzione non soddisfino nessuna delle condizioni di cui al n. 3 e ove il loro utilizzo in edifici nuovi o ristrutturati possa comportare un rischio per la rispondenza ai requisiti essenziali di cui al paragrafo 1, detto utilizzo è subordinato alla loro omologazione da parte dell’[LNEC], che li deve dispensare da tale omologazione qualora tali prodotti possiedano certificati di conformità emessi da un organismo riconosciuto in uno Stato membro dell’Unione europea, in Turchia o in uno Stato firmatario dell’Accordo sullo Spazio economico europeo che attestino il sufficiente soddisfacimento dei detti requisiti.

    6.   L’omologazione prevista al precedente numero può essere richiesta da qualsiasi interessato e l’[LNEC] è sempre obbligato a prendere in considerazione, alle condizioni di cui all’art. 9, n. 2, del decreto legge n. 113/93, del 10 aprile 1993, i certificati di conformità emessi e le prove e i controlli effettuati da un organismo riconosciuto in uno Stato membro dell’Unione europea, in Turchia o in uno Stato firmatario dell’Accordo sullo Spazio economico europeo e a collaborare con tali organismi per ottenere e valutare i rispettivi risultati.

    7.   La necessità di ripetere una delle prove o uno dei controlli di cui ai nn. 4 e 6 deve essere debitamente motivata dall’[LNEC].

    8.   Le omologazioni sono concesse purché risultino soddisfatti i requisiti elencati all’allegato I del decreto legge n. 113/93, del 10 aprile 1993».

    36

    All’udienza, la Commissione ha precisato alla Corte di ritenere che il detto decreto legge garantisca, a far data dalla sua entrata in vigore, la piena esecuzione della citata sentenza Commissione/Portogallo.

    37

    La Commissione ha quindi rinunciato alla domanda di fissazione di una penalità, mantenendo tuttavia la domanda di pagamento di una somma forfettaria.

    Sul ricorso

    38

    Sebbene l’art. 228 CE non precisi il termine entro il quale deve aver luogo l’esecuzione di una sentenza della Corte che constata un inadempimento, da una giurisprudenza consolidata risulta che l’esigenza di un’immediata e uniforme applicazione del diritto comunitario impone che tale esecuzione sia iniziata immediatamente e conclusa entro termini il più possibile ristretti (v., in particolare, sentenza 9 dicembre 2008, causa C-121/07, Commissione/Francia, Racc. pag. I-9159, punto 21, e giurisprudenza ivi citata).

    39

    Peraltro, la data di riferimento per valutare l’esistenza di un inadempimento ai sensi dell’art. 228 CE si colloca alla scadenza del termine fissato nel parere motivato emesso in forza di tale disposizione (v., in particolare, sentenza 4 giugno 2009, causa C-109/08, Commissione/Grecia, Racc. pag. I-4657, punto 15, e giurisprudenza ivi citata).

    40

    Occorre dunque valutare se, come sostiene la Commissione, alla data in cui era scaduto il termine di due mesi impartito nel parere motivato, vale a dire il 18 dicembre 2006, la Repubblica portoghese non aveva ancora dato esecuzione alla citata sentenza Commissione/Portogallo.

    41

    Infatti, la Commissione ritiene che, fino all’adozione del decreto legge n. 50/2008, la Repubblica portoghese non avesse adottato i provvedimenti necessari per dare attuazione alla citata sentenza Commissione/Portogallo.

    42

    In questo contesto, la Commissione deduce una prima censura, secondo la quale, prima di tale data, il combinato disposto degli artt. 17 dell’RGEU e 9, n. 2, del decreto legge n. 113/93 non eliminavano l’ostacolo alla libera circolazione delle merci rappresentato dal requisito di omologazione dei prodotti per i quali non esistevano specificazioni tecniche. La Commissione deduce anche quattro censure più precise, relative alla compatibilità della normativa portoghese con i requisiti derivanti dalla citata sentenza Commissione/Portogallo.

    Sulla censura relativa all’ostacolo alla libera circolazione delle merci rappresentato dal procedimento d’omologazione di cui agli artt. 17 dell’RGEU e 9, n. 2, del decreto legge n. 113/93

    43

    In primo luogo, la Commissione sostiene che, prima dell’adozione del decreto legge n. 50/2008, il requisito di omologazione previsto dal combinato disposto degli artt. 17 dell’RGEU e 9, n. 2, del decreto legge n. 113/93 per i prodotti non assoggettati a specificazioni tecniche, costituiva una misura di effetto equivalente a una restrizione quantitativa all’importazione ai sensi dell’art. 28 CE.

    44

    Rispondendo alla detta censura, la Repubblica portoghese fa notare che, nella citata sentenza Commissione/Portogallo, la Corte non ha messo in discussione il fatto che, per quanto concerne i prodotti per i quali non esistono né specificazioni tecniche né mutuo riconoscimento di certificati, uno Stato membro preveda un sistema di omologazione come quello risultante dall’art. 17 dell’RGEU. Infatti, qualora non prevedesse un sistema del genere, tale Stato membro non rispetterebbe l’obbligo, imposto dalla direttiva 89/106, di assicurare che siano utilizzati unicamente prodotti da costruzione idonei all’impiego cui sono destinati.

    45

    A questo proposito, occorre ricordare che è vero che, nella citata sentenza Commissione/Portogallo, la Corte ha ritenuto che il rifiuto da parte di un organismo di omologazione di riconoscere, nell’ambito di un procedimento d’omologazione come quello risultante dall’art. 17 dell’RGEU, l’equipollenza di un certificato rilasciato da un organismo di omologazione di un altro Stato membro costituisse una restrizione alla libera circolazione delle merci. Tuttavia, dopo avere esaminato se una misura del genere potesse essere giustificata da ragioni d’interesse generale, ai punti 49-52 di tale sentenza essa ha accertato un inadempimento degli obblighi derivanti dagli artt. 28 CE e 30 CE solo nei limiti in cui, da un lato, le autorità portoghesi, nell’applicare il procedimento d’omologazione in parola, non avevano tenuto conto dei certificati rilasciati da altri Stati membri né richiesto all’impresa richiedente o al detto altro organismo le informazioni necessarie e, dall’altro, il detto procedimento d’omologazione, quale previsto dalla normativa portoghese, non si basava su criteri oggettivi, non discriminatori e noti in anticipo.

    46

    Dalla detta sentenza non si evince pertanto in alcun modo che, per il semplice fatto che uno Stato membro preveda un procedimento d’omologazione dei prodotti per i quali non esistono né specificazioni tecniche né mutuo riconoscimento di certificati di conformità, tale Stato non rispetti gli obblighi ad esso incombenti in forza del diritto comunitario.

    47

    Orbene, poiché il procedimento previsto all’art. 228, n. 2, CE dev’essere considerato come uno speciale procedimento giudiziario di esecuzione delle sentenze della Corte, in altri termini come un mezzo di esecuzione (sentenza 12 luglio 2005, causa C-304/02, Commissione/Francia, Racc. pag. I-6263, punto 92), nel contesto di tale procedimento possono essere trattati solo gli inadempimenti agli obblighi incombenti allo Stato membro in forza del Trattato che la Corte, sulla base dell’art. 226 CE, ha giudicato fondati.

    48

    Occorre dunque dichiarare irricevibile la prima censura.

    Sulla censura relativa alla limitazione al solo fabbricante e al suo mandatario del diritto di chiedere il riconoscimento di certificati emessi in altri Stati membri

    Argomenti delle parti

    49

    Con la seconda censura, la Commissione contesta il fatto che, in mancanza di specificazioni tecniche, solamente il fabbricante del prodotto in questione, o il suo mandatario, potesse chiedere il riconoscimento di certificati emessi da organismi d’omologazione aventi sede in altri Stati membri, per cui ogni altro operatore economico intenzionato a beneficiare di quanto disposto dall’art. 28 CE era tenuto a chiedere l’omologazione di detto prodotto.

    50

    Secondo la Repubblica portoghese tale censura va considerata irricevibile, perché tale norma comparirebbe già nella versione originaria dell’art. 9 del decreto legge n. 113/93 e, prima della proposizione del presente ricorso, la Commissione non aveva mai eccepito alcunché quanto al fatto che fosse incombenza del fabbricante o del suo mandatario chiedere un certificato di conformità per prodotti per i quali non esistevano specificazioni tecniche.

    51

    Quanto al merito, la Repubblica portoghese fa notare che, limitando la possibilità di presentare una domanda di certificato di conformità al fabbricante o al suo mandatario, la normativa nazionale semplicemente poneva su un piano di parità il sistema della certificazione di conformità CE di prodotti sottoposti a specificazioni tecniche, i quali, ai sensi della direttiva 89/106 e delle disposizioni portoghesi di attuazione della medesima, prevedevano soltanto l’intervento di tali interessati, da un lato, e il sistema della certificazione di conformità alle disposizioni nazionali in caso di assenza di specificazioni tecniche, dall’altro. Comunque, tale limitazione del diritto di chiedere il riconoscimento di certificati d’omologazione sarebbe stato soppresso con la modifica apportata al decreto legge n. 113/93 dal decreto legge n. 50/2008.

    Giudizio della Corte

    52

    Considerata l’argomentazione della Repubblica portoghese riguardo all’irricevibilità di questa seconda censura, occorre precisare i principi alla luce dei quali vanno esaminate le censure elencate dalla Commissione in un ricorso proposto ai sensi dell’art. 228, n. 2, CE.

    53

    Ai sensi di tale articolo, quando la Corte abbia riconosciuto che uno Stato membro è venuto meno ad uno degli obblighi ad esso incombenti in forza del Trattato e la Commissione poi ritenga che tale Stato membro non abbia preso i provvedimenti che l’esecuzione della sentenza della Corte attestante tale inadempimento comporta, la Commissione, dopo aver dato allo Stato membro la possibilità di presentare le sue osservazioni, formula un parere motivato che precisa i punti sui quali lo Stato membro in questione non si è conformato alla detta sentenza. Qualora tale Stato membro non abbia preso i provvedimenti che l’esecuzione della detta sentenza comporta entro il termine fissato dalla Commissione, questa può adire la Corte.

    54

    Di conseguenza, sebbene, come ricordato al punto 47 della presente sentenza, il procedimento di cui all’art. 228, n. 2, CE debba essere considerato come uno speciale procedimento giudiziario di esecuzione delle sentenze della Corte, esso, analogamente a quello di cui all’art. 226 CE, impone l’osservanza di un procedimento precontenzioso.

    55

    A tale proposito, risulta da una giurisprudenza costante che, nell’ambito di un ricorso proposto ai sensi dell’art. 226 CE, la lettera di diffida inviata dalla Commissione allo Stato membro e poi il parere motivato della detta istituzione delimitano la materia del contendere, che quindi non può più essere ampliata. Infatti, la possibilità per lo Stato membro interessato di presentare osservazioni costituisce, anche se esso ritenga di non doverne fare uso, una garanzia essenziale voluta dal Trattato, la cui osservanza è un requisito formale essenziale per la regolarità del procedimento attestante l’inadempimento di uno Stato membro. Di conseguenza, il parere motivato e il ricorso della Commissione devono vertere sugli stessi addebiti già mossi nella lettera di diffida che apre il procedimento precontenzioso (v., in particolare, sentenze 14 giugno 2007, causa C-422/05, Commissione/Belgio, Racc. pag. I-4749, punto 25, e 18 dicembre 2007, causa C-186/06, Commissione/Spagna, Racc. pag. I-12093, punto 15).

    56

    Lo stesso dicasi a proposito del ricorso proposto in applicazione dell’art. 228, n. 2, CE, il cui oggetto è circoscritto dal procedimento precontenzioso previsto da tale disposizione, nel senso che la Commissione, nel suo ricorso, non può ampliare l’oggetto della controversia deducendo nuovi addebiti rispetto a quelli elencati nel parere motivato con cui essa ha precisato i punti sui quali lo Stato membro interessato non si è conformato alla sentenza della Corte che dichiara l’inadempimento (v., in tal senso, sentenza 14 marzo 2006, causa C-177/04, Commissione/Francia, Racc. pag. I-2461, punti 37-39).

    57

    È vero che il requisito in base al quale l’oggetto dei ricorsi proposti a norma degli artt. 226 e 228, n. 2, CE è circoscritto dal procedimento precontenzioso previsto da tali disposizioni non può interpretarsi fino a imporre che sussista in ogni caso una perfetta coincidenza tra l’elenco degli addebiti contenuto nella lettera di diffida, il dispositivo del parere motivato e le conclusioni del ricorso, ove l’oggetto della controversia non sia stato ampliato o modificato (v., in particolare, per quanto riguarda l’applicazione dell’art. 226 CE, sentenze 7 luglio 2005, causa C-147/03, Commissione/Austria, Racc. pag. I-5969, punto 24, e 8 dicembre 2005, causa C-33/04, Commissione/Lussemburgo, Racc. pag. I-10629, punto 37, nonché, per quanto riguarda l’applicazione dell’art. 228, n. 2, CE, sentenza 14 marzo 2006, Commissione/Francia, cit., punto 37).

    58

    La Corte ha quindi considerato che, qualora durante il procedimento precontenzioso sia intervenuta una modifica normativa, il ricorso può riguardare disposizioni nazionali non identiche a quelle di cui trattasi nel parere motivato (v., in particolare, sentenze 1o febbraio 2005, causa C-203/03, Commissione/Austria, Racc. pag. I-935, punto 29, e 14 marzo 2006, Commissione/Francia, cit., punto 38). Ciò si verifica in particolare quando, dopo il parere motivato, uno Stato membro modifica le disposizioni nazionali oggetto del parere motivato al fine di porre rimedio agli addebiti relativi alla mancata esecuzione della sentenza che dichiara l’inadempimento.

    59

    Tuttavia, in un ricorso proposto ai sensi dell’art. 228, n. 2, CE, la Commissione non può criticare disposizioni nazionali le quali, pur essendo già applicabili durante il procedimento precontenzioso, non erano oggetto di quest’ultimo né esplicitamente né, se sussiste un rapporto diretto tra tali disposizioni e gli aspetti della normativa nazionale criticati nel parere motivato, implicitamente.

    60

    Infatti, dal momento che la Commissione, nel parere motivato emesso in applicazione dell’art. 228, n. 2, CE, è tenuta a precisare i punti sui quali lo Stato membro interessato non si è conformato alla sentenza della Corte che dichiara l’inadempimento, l’oggetto della controversia non può essere esteso ad obblighi non contenuti nel parere motivato, salvo incorrere nella violazione delle forme sostanziali che garantiscono la regolarità del procedimento.

    61

    Nel caso di specie, si deve necessariamente rilevare che la Commissione, sebbene abbia, è vero, precisato nella lettera di diffida e nel parere motivato relativi alla presente causa che, a suo avviso, le modifiche apportate dalla Repubblica portoghese alla sua normativa non garantivano una piena esecuzione della citata sentenza Commissione/Portogallo, essa non ha invece criticato, né nella lettera di diffida né nel parere motivato, la norma in base alla quale il diritto di chiedere il riconoscimento dei certificati di conformità poteva essere esercitato soltanto dal fabbricante del prodotto o dal suo mandatario.

    62

    Orbene, come sottolineato dalla Repubblica portoghese, alla scadenza del termine fissato nel parere motivato tale norma compariva, per quanto riguarda i prodotti da costruzione per i quali non esistono specificazioni tecniche, nell’art. 9, n. 2, del decreto legge n. 113/93, il che implica che essa si applicava non soltanto durante il procedimento precontenzioso relativo alla presente causa, ma anche durante quello che ha portato alla citata sentenza Commissione/Portogallo, senza tuttavia essere oggetto dell’uno né dell’altro di tali procedimenti.

    63

    Contrariamente a quanto sostiene la Commissione, la censura relativa alla suddetta norma non può essere considerata ricevibile perché corrisponderebbe, in realtà, alla critica formulata dalla Corte, nella citata sentenza Commissione/Portogallo, nei confronti della normativa portoghese in quanto costitutiva di una restrizione alla libera circolazione delle merci per ogni operatore economico intenzionato a utilizzare in Portogallo i prodotti controversi.

    64

    A questo proposito, occorre precisare che, nella causa che ha portato alla citata sentenza Commissione/Portogallo, la Corte non era stata investita della questione della limitazione, di cui all’art. 9, n. 2, del decreto legge n. 113/93, del diritto di chiedere il riconoscimento di certificati emessi in altri Stati membri.

    65

    Inoltre, quando nel procedimento precontenzioso sfociato nella presente causa, la Commissione ha precisato i punti sui quali la Repubblica portoghese non si era conformata alla detta sentenza, essa non ha affrontato la questione dell’eventuale incompatibilità della normativa portoghese con gli artt. 28 CE e 30 CE, derivante dal fatto che detta normativa, per quanto riguarda i prodotti da costruzione non regolamentati da specificazioni tecniche, imponeva che una domanda di riconoscimento di certificati emessi in altri Stati membri provenisse o dal fabbricante del prodotto interessato o dal suo mandatario.

    66

    Ciò premesso, criticando questo aspetto della normativa portoghese nel suo ricorso, la Commissione non si è dunque limitata ai punti sui quali, considerata la citata sentenza Commissione/Portogallo, e secondo il parere motivato, la Repubblica portoghese non si era conformata a tale sentenza.

    67

    Infatti, proprio come il procedimento precontenzioso ex art. 226 CE, anche quello previsto all’art. 228, n. 2, CE ha lo scopo di dare allo Stato membro interessato l’opportunità di conformarsi agli obblighi che gli derivano dal diritto comunitario o di sviluppare un’utile difesa contro gli addebiti formulati dalla Commissione quanto alla persistenza dell’inadempimento (v. in particolare, per analogia, sentenza 23 aprile 2009, causa C-331/07, Commissione/Grecia, punto 26).

    68

    Nel parere motivato e nel ricorso previsti all’art. 228, n. 2, CE gli addebiti devono essere presentati in modo coerente e preciso così da consentire allo Stato membro e alla Corte di conoscere esattamente lo stato di esecuzione della sentenza che constata l’inadempimento, presupposto necessario affinché il suddetto Stato possa far valere utilmente i suoi motivi di difesa e affinché la Corte possa verificare il persistere di tale inadempimento (v., per analogia, sentenza 1o febbraio 2007, causa C-199/04, Commissione/Regno Unito, Racc. pag. I-1221, punto 21).

    69

    Di conseguenza, questa seconda censura deve essere considerata irricevibile.

    Sulla censura relativa alla mancata precisazione dei criteri di cui si deve tener conto in sede di omologazione di prodotti per i quali non esistono specificazioni tecniche

    Argomenti delle parti

    70

    Con la terza censura, la Commissione reputa che la normativa portoghese sia rimasta non conforme al principio di proporzionalità in quanto non ha specificato i criteri da prendere in considerazione ai fini di un’omologazione di prodotti per i quali non esistevano specificazioni tecniche. Infatti, anche nella versione modificata dal decreto legge n. 290/2007, l’art. 17, n. 2, dell’RGEU si sarebbe limitato a indicare che le omologazioni dovevano prendere in considerazione le prove e i controlli effettuati negli Stati membri, senza precisare nessuno dei criteri da rispettare.

    71

    Inoltre, in base al dettato dell’art. 17 dell’RGEU, come risultava da tale modifica, sarebbe stato impossibile conoscere l’organismo competente a effettuare una simile omologazione, in quanto la versione modificata non conteneva più alcun riferimento al previo parere dell’LNEC.

    72

    Secondo la Repubblica portoghese, tale censura è irricevibile dal momento che non è stata avanzata né nel contesto della causa all’origine della citata sentenza Commissione/Portogallo né nel corso del procedimento precontenzioso relativo alla presente causa.

    73

    Ad ogni modo, la Repubblica portoghese sostiene che sia il decreto n. 1726/2006 sia il decreto n. 19563/2006 hanno assicurato l’esecuzione della citata sentenza Commissione/Portogallo, in quanto nel corso del procedimento d’omologazione di prodotti per i quali non esistono specificazioni tecniche, l’organismo nazionale competente deve prendere in considerazione le prove e i controlli effettuati in uno Stato membro. Per i tubi di polietilene, dopo l’adozione delle norme europee, solamente in casi eccezionali in cui questi tubi non rispettino le dette norme dovrebbe essere certificato, nel corso di un procedimento d’omologazione, che essi sono sicuri ed idonei all’impiego cui sono destinati. Tale esame verrebbe effettuato alla luce dei requisiti essenziali di cui all’allegato I della direttiva 89/106 e attuati in Portogallo all’allegato I del decreto legge n. 113/93 in casi eccezionali per i quali sarebbe difficile specificare criteri d’omologazione ulteriori rispetto a tali requisiti essenziali. Al riguardo, la modifica apportata al punto 8 dell’art. 17 dell’RGEU dal decreto legge n. 50/2008 avrebbe avuto quindi il solo effetto di chiarire il fatto che il procedimento d’omologazione viene condotto alla luce di tali requisiti essenziali.

    74

    Quanto alla mancata individuazione dell’organismo competente per l’omologazione dei prodotti da costruzione per i quali non esistono specificazioni tecniche, la Repubblica portoghese osserva che, sebbene, a un certo momento, l’art. 17 dell’RGEU non individuasse più l’LNEC come l’organismo competente, le competenze di tale organismo sarebbero inequivocabilmente risultate dal complesso della normativa nazionale.

    Giudizio della Corte

    75

    Per quanto riguarda, da un lato, la censura relativa alla mancata precisazione dei criteri di cui tener conto al momento dell’omologazione effettuata dall’LNEC in forza dell’art. 17 dell’RGEU, si deve necessariamente rilevare che la Commissione non ha menzionato tale censura né nella lettera di diffida né nel parere motivato relativi alla presente causa, i quali, quanto al procedimento d’omologazione, si limitavano ad addebitare alla Repubblica portoghese di aver apportato delle modifiche al quadro normativo mediante adozione di un decreto, ossia il decreto n. 1726/2006, invece di aver modificato l’art. 17 dell’RGEU stesso, e, quanto al detto decreto, di aver adottato un testo che, in primo luogo, non faceva alcun riferimento al detto art. 17, in secondo luogo, ometteva di disciplinare i singoli tubi e, in terzo luogo, non prevedeva l’obbligo di tener conto dei certificati emessi in altri Stati membri.

    76

    Quando poi, nel ricorso, la Commissione ha continuato a criticare il procedimento d’omologazione previsto all’art. 17 dell’RGEU, essa non ha più riproposto gli addebiti formulati nel corso del procedimento precontenzioso, ma solo quello relativo alla mancata precisazione dei criteri da prendere in considerazione al momento di tale procedimento d’omologazione, che quindi non era stato oggetto del procedimento precontenzioso.

    77

    Orbene, la Commissione non può, se non estendendo l’oggetto della controversia e, quindi, violando i diritti della difesa, presentare per la prima volta nell’atto di ricorso una censura che non aveva sollevato nella fase precontenziosa del procedimento.

    78

    La censura sollevata dalla Commissione relativa alla mancata precisazione dei criteri di cui tenere conto nel corso del procedimento d’omologazione previsto all’art. 17 dell’RGEU non può neanche essere considerata ricevibile per il solo fatto che corrisponderebbe alla critica formulata dalla Corte, al punto 50 della citata sentenza Commissione/Portogallo, a proposito della mancanza di criteri oggettivi, non discriminatori e noti in anticipo cui erano assoggettati i tubi in parola in occasione di tale procedimento d’omologazione.

    79

    Infatti, quando nel corso del procedimento precontenzioso che ha portato alla presente causa la Commissione ha precisato i punti sui quali la Repubblica portoghese non si era conformata alla detta sentenza, tale istituzione non ha affrontato la questione dell’eventuale violazione degli artt. 28 CE e 30 CE risultante dal fatto che la normativa portoghese, anche a seguito delle modifiche apportatevi nel frattempo, continuava a non precisare sufficientemente i criteri di cui tener conto nel corso del detto procedimento d’omologazione.

    80

    Peraltro, la Commissione non ha esaminato, né nella lettera di diffida né nel parere motivato, le disposizioni del decreto legge n. 113/93 cui si riferiscono sia il decreto n. 1726/2006 sia il decreto n. 19563/2006 quanto alle modalità secondo le quali l’LNEC tiene conto, nel corso del procedimento d’omologazione di tubi, di prove e controlli effettuati in altri Stati membri.

    81

    Nei limiti in cui, criticando nel ricorso questo aspetto della normativa portoghese, la Commissione non si è limitata ai punti sui quali, a suo avviso, la Repubblica portoghese non si era conformata alla citata sentenza Commissione/Portogallo, tale censura deve dunque essere considerata irricevibile.

    82

    D’altro lato, per quanto riguarda la mancata precisazione, all’art. 17 dell’RGEU, come modificato dal decreto legge n. 290/2007, dell’organismo competente a procedere all’omologazione di prodotti per i quali non esistono specificazioni tecniche, occorre rilevare che, sebbene la Commissione non abbia fatto riferimento nemmeno a tale aspetto nel corso del procedimento precontenzioso, questa circostanza si spiega con il fatto che tale censura della Commissione riguarda una disposizione introdotta dalle autorità portoghesi per dare risposta alle critiche espresse dalla detta istituzione nel corso del procedimento precontenzioso.

    83

    Tuttavia, come sostiene la Repubblica portoghese, tale censura è infondata, dal momento che, anche dopo l’adozione del decreto legge n. 290/2007, l’art. 17 dell’RGEU doveva essere letto in combinato disposto con altre disposizioni nazionali rilevanti, quali quelle che definiscono i compiti attribuiti all’LNEC, in particolare l’art. 3, n. 2, lett. d), del decreto legge 24 agosto 2007, n. 304 (Diário da República, serie I, n. 163, del 24 agosto 2007), dal quale risulta che l’LNEC è l’organismo competente.

    84

    La quarta censura dev’essere quindi respinta in quanto parzialmente irricevibile e parzialmente infondata.

    Sulla censura relativa all’applicazione di criteri discriminatori all’atto del riconoscimento di certificati emessi in altri Stati membri

    Argomenti delle parti

    85

    Con la quarta censura, la Commissione critica il fatto che l’art. 9, n. 2, del decreto legge n. 113/93 assoggettasse il riconoscimento, in Portogallo, di certificati emessi in altri Stati membri a criteri detti «di tripla nazionalità», in base ai quali le prove e i controlli pertinenti dovevano essere effettuati nello Stato di fabbricazione secondo i metodi vigenti in Portogallo o riconosciuti equivalenti da un organismo pubblico portoghese e nell’ambito di un sistema di qualità portoghese. Secondo la Commissione, ne conseguiva che, contrariamente a quanto aveva imposto la Corte ai punti 50 e 51 della citata sentenza Commissione/Portogallo, le decisioni sul riconoscimento dei detti certificati non erano prese sulla base di criteri oggettivi e non discriminatori.

    86

    Secondo la Repubblica portoghese, tale censura è irricevibile in quanto i criteri detti «di tripla nazionalità» comparivano già nella versione originaria dell’art. 9, n. 2, del decreto legge n. 113/93 e la Commissione non aveva mai sollevato la minima obiezione al riguardo, né nel corso del procedimento precontenzioso all’origine della presente causa né nell’ambito del procedimento precontenzioso che ha portato alla citata sentenza Commissione/Portogallo o del procedimento svoltosi dinanzi alla Corte in quest’ultima causa.

    87

    Ad ogni modo, la norma secondo la quale, in mancanza di specificazioni tecniche, l’organismo portoghese competente riconosceva le prove e i controlli effettuati in altri Stati membri solo se erano effettuati seguendo i metodi vigenti in Portogallo o considerati ad essi equivalenti dal detto organismo sarebbe stata la mera attuazione dell’art. 16, n. 1, della direttiva 89/106 volta a garantire la sicurezza dei prodotti da costruzione per i quali non esistevano specificazioni tecniche. Il fatto che tale norma si applicasse ai procedimenti d’omologazione introdotti in forza dell’art. 17 dell’RGEU avrebbe avuto proprio lo scopo di agevolare la presa in considerazione di prove e controlli effettuati in un altro Stato membro.

    Giudizio della Corte

    88

    Si deve rilevare che la Commissione non ha criticato né nella lettera di diffida né nel parere motivato il fatto che tale normativa assoggettasse la dichiarazione di conformità di prodotti provenienti da altri Stati membri e per i quali non esistevano specificazioni tecniche, così come il riconoscimento di certificati di conformità rilasciati in altri Stati membri per siffatti prodotti, al requisito che tali prodotti avessero superato prove e controlli effettuati da un organismo riconosciuto avente sede nello Stato membro di fabbricazione seguendo metodi vigenti in Portogallo o riconosciuti equivalenti dall’Institudo Portugûes da Qualidade.

    89

    Orbene, come rilevato dalla Repubblica portoghese, alla data di scadenza del termine fissato nel parere motivato, tale requisito compariva, per quanto riguarda i prodotti da costruzione per i quali non esistevano specificazioni tecniche, all’art. 9, n. 2, del decreto legge n. 113/93, che era volto a recepire in diritto portoghese l’art. 16, n. 1, della direttiva 89/106. Tale requisito, anche se era applicabile non soltanto nel corso del procedimento precontenzioso all’origine della presente causa, ma anche nel corso di quello che ha portato alla citata sentenza Commissione/Portogallo, non è stato oggetto di nessuno di questi procedimenti. Quest’ultima sentenza non affronta assolutamente la questione dell’incompatibilità con gli artt. 28 CE e 30 CE del decreto legge n. 113/93, in particolare del suo art. 9, n. 2.

    90

    Ciò premesso, la censura della Commissione relativa ai criteri che le prove e i controlli effettuati in altri Stati membri dovevano soddisfare non può essere considerata ricevibile con la motivazione che corrisponderebbe, in realtà, alla critica formulata dalla Corte, al punto 51 della citata sentenza Commissione/Portogallo, per quanto attiene alla mancanza di criteri oggettivi, non discriminatori e noti in anticipo cui erano assoggettati i tubi in questione nel corso del procedimento d’omologazione di cui all’art. 17 dell’RGEU.

    91

    Poiché la Commissione, criticando nel suo ricorso i requisiti di riconoscimento previsti all’art. 9, n. 2, del decreto legge n. 113/93, non si è limitata ai punti sui quali la Corte ha riconosciuto, nella citata sentenza Commissione/Portogallo, che la Repubblica portoghese era venuta meno agli obblighi impostile dal Trattato, anche questa quarta censura deve essere considerata irricevibile.

    Sulla censura relativa alla mancata adozione di provvedimenti nei confronti di operatori economici interessati dalla normativa nazionale controversa

    Argomenti delle parti

    92

    Con la quinta censura, la Commissione ritiene che la Repubblica portoghese non abbia dato esecuzione alla citata sentenza Commissione/Portogallo, in quanto ha omesso di adottare provvedimenti nei confronti degli operatori economici interessati dalla normativa nazionale controversa. Infatti, nonostante i fatti accertati dalla Corte al punto 48 della citata sentenza Commissione/Portogallo, la Repubblica portoghese si sarebbe limitata ad affermare che non sarebbe stato riscontrato alcun caso in cui sia stata rifiutata l’omologazione di tubi in applicazione di disposizioni non conformi agli artt. 28 CE e 30 CE. Ricordando i poteri istruttori di cui dispongono, secondo quanto affermato dalla Repubblica portoghese, gli organi amministrativi portoghesi, la Commissione sostiene che tale Stato non avrebbe dovuto limitarsi alla considerazione che, dato che l’impresa denunciante non aveva richiesto un’omologazione dei suoi prodotti, ma soltanto il riconoscimento di un certificato rilasciato in Italia, tale impresa, in realtà, non intendeva ottenere una simile omologazione.

    93

    La Repubblica portoghese osserva al riguardo, innanzi tutto, che la Commissione ha fatto menzione soltanto nell’atto di ricorso delle circostanze richiamate dalla Corte al punto 48 della citata sentenza Commissione/Portogallo.

    94

    Tale Stato membro spiega poi che risulta dalla corrispondenza intercorsa tra l’LNEC e l’impresa denunciante che quest’ultima non ha mai avuto intenzione di avviare un procedimento d’omologazione dei tubi di polietilene che cercava di commercializzare in Portogallo, ma voleva soltanto che i certificati stranieri di cui era in possesso fossero ritenuti sufficienti ed essere dispensata dal procedimento d’omologazione. Dal momento che l’LNEC non aveva ricevuto alcuna domanda d’omologazione da parte di tale impresa e nemmeno una richiesta di informazioni in merito allo svolgimento del procedimento d’omologazione, sarebbe sembrato eccessivo pretendere che l’LNEC rammentasse alla detta impresa i presupposti necessari per poter utilizzare il certificato rilasciato dall’IIP o qualsiasi altro certificato al fine di ottenere un certificato di conformità, e, se necessario, l’omologazione dei tubi di cui trattasi. Per dissipare ogni dubbio, il 12 febbraio 2008 l’LNEC avrebbe nondimeno informato l’impresa denunciante del fatto che, da qualche tempo, essa poteva immettere nel mercato nazionale i prodotti in parola senza alcun bisogno di una previa omologazione.

    95

    Infine, la Repubblica portoghese sottolinea che non era stato riscontrato nessun caso di mancata osservanza della citata sentenza Commissione/Portogallo in materia di procedimenti d’omologazione di sistemi di tubi o di loro componenti. Essa aggiunge che, dinanzi ai tribunali nazionali, l’impresa denunciante avrebbe potuto chiedere il risarcimento del danno eventualmente subito nel corso del 2000 a causa dell’applicazione non conforme dell’art. 17 dell’RGEU, ma che non lo ha fatto.

    Giudizio della Corte

    96

    Innanzi tutto, si deve rilevare che, poiché la Commissione ha già contestato nel corso del procedimento precontenzioso il fatto che la Repubblica portoghese non avesse adottato provvedimenti nei confronti degli operatori economici interessati dalla normativa oggetto della citata sentenza Commissione/Portogallo, la ricevibilità della presente censura non può essere messa in discussione.

    97

    Per quanto attiene, poi, all’esame del merito di tale censura, si deve necessariamente rilevare che la Commissione si è limitata a ricordare le circostanze di fatto che hanno portato alla detta sentenza, senza aver fornito alla Corte gli elementi necessari per stabilire, sotto tale profilo, lo stato di esecuzione della sentenza di condanna per inadempimento (v., in tal senso, sentenze 4 luglio 2000, causa C-387/97, Commissione/Grecia, Racc. pag. I-5047, punto 73, e 7 luglio 2009, causa C-369/07, Commissione/Grecia, Racc. pag. I-5703, punto 74).

    98

    La Commissione non ha dunque fornito alcun elemento in grado di confutare l’affermazione della Repubblica portoghese secondo la quale, a parte il caso dell’impresa la cui denuncia aveva portato alla citata sentenza Commissione/Portogallo, non era stato riscontrato nessun altro caso di imprese che avessero incontrato difficoltà nell’ottenere l’omologazione di prodotti o il riconoscimento di certificati emessi da altri Stati membri relativamente a prodotti da costruzione per i quali non esistevano specificazioni tecniche.

    99

    Infine, per quanto attiene all’impresa denunciante all’origine della causa che ha portato alla citata sentenza Commissione/Portogallo, è sufficiente constatare che, come ha rilevato la Repubblica portoghese senza essere contraddetta dalla Commissione, da un lato, tale impresa non ha avviato nessuna altra pratica per ottenere l’omologazione dei suoi prodotti o il riconoscimento di certificati emessi in altri Stati membri e, dall’altro, dopo l’adozione di norme europee per i prodotti controversi nella detta sentenza Commissione/Portogallo e l’entrata in vigore del decreto n. 1726/2006, l’omologazione dei succitati prodotti non era più necessaria allorché questi rientravano nell’ambito di applicazione di tali norme.

    100

    In tale contesto, occorre dichiarare, in conclusione, che la Commissione non ha dimostrato che la Repubblica portoghese, omettendo di adottare provvedimenti nei confronti degli operatori economici interessati dalla normativa nazionale controversa, abbia violato obblighi ad essa incombenti in forza degli artt. 28 CE e 30 CE e, ciò facendo, non si sia conformata alla citata sentenza Commissione/Portogallo.

    101

    La quinta censura dev’essere dunque respinta in quanto infondata.

    102

    Conseguentemente occorre respingere il ricorso della Commissione in quanto inteso a far dichiarare che la Repubblica portoghese, non avendo adottato i provvedimenti necessari per assicurare l’esecuzione della citata sentenza Commissione/Portogallo, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’art. 228, n. 1, CE.

    103

    Pertanto, occorre altresì respingere il detto ricorso in quanto diretto a far condannare la Repubblica portoghese al pagamento di una somma forfettaria a causa di un simile inadempimento.

    Sulle spese

    104

    Ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Repubblica portoghese ne ha fatto domanda, la Commissione, rimasta soccombente, va condannata alle spese.

     

    Per questi motivi, la Corte (Quarta Sezione) dichiara e statuisce:

     

    1)

    Il ricorso è respinto.

     

    2)

    La Commissione delle Comunità europee è condannata alle spese.

     

    Firme


    ( *1 ) Lingua processuale: il portoghese.

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