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Documento 62006CJ0533

Sentenza della Corte (Prima Sezione) del 12 giugno 2008.
O2 Holdings Limited e O2 (UK) Limited contro Hutchison 3G UK Limited.
Domanda di pronuncia pregiudiziale: Court of Appeal (England & Wales) (Civil Division) - Regno Unito.
Marchi - Direttiva 89/104/CEE - Art. 5, n. 1 - Diritto esclusivo del titolare del marchio - Uso di un segno identico o simile ad un marchio in una pubblicità comparativa - Limitazione degli effetti del marchio - Pubblicità comparativa - Direttive 84/450/CEE e 97/55/CE -Art. 3 bis, n. 1 - Condizioni di liceità della pubblicità comparativa - Utilizzo del marchio di un concorrente o di un segno simile a tale marchio.
Causa C-533/06.

Raccolta della Giurisprudenza 2008 I-04231

Identificatore ECLI: ECLI:EU:C:2008:339

SENTENZA DELLA CORTE (Prima Sezione)

12 giugno 2008 ( *1 )

«Marchi — Direttiva 89/104/CEE — Art. 5, n. 1 — Diritto esclusivo del titolare del marchio — Uso di un segno identico o simile ad un marchio in una pubblicità comparativa — Limitazione degli effetti del marchio — Pubblicità comparativa — Direttive 84/450/CEE e 97/55/CE — Art. 3 bis, n. 1 — Condizioni di liceità della pubblicità comparativa — Utilizzo del marchio di un concorrente o di un segno simile a tale marchio»

Nel procedimento C-533/06,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dalla Court of Appeal (England & Wales) (Civil Division) (Regno Unito), con decisione 14 dicembre 2006, pervenuta in cancelleria il 28 dicembre 2006, nella causa

O2 Holdings Limited,

O2 (UK) Limited

contro

Hutchinson 3G UK Limited,

LA CORTE (Prima Sezione),

composta dal sig. P. Jann, presidente di sezione, dai sigg. A. Tizzano, A. Borg Barthet, M. Ilešič (relatore) e E. Levits, giudici,

avvocato generale: sig. P. Mengozzi

cancelliere: sig. J. Swedenborg, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 29 novembre 2007,

considerate le osservazioni presentate:

per la O2 Holdings Limited e la O2 (UK) Limited, dai sigg. R. Arnold, QC, M. Vanhegen, barrister, e J. Stobbs, attorney, mandatari delle sig.re S. Tierney, A. Brodie e S. Magee, solicitors;

per la Hutchinson 3G UK Limited, dal sig. G. Hobbs, QC, e dalla sig.ra E. Hinsworth, barrister, mandatari dei sigg. L. Silkin, G. Crown, N. Walker e S. Jones, solicitors;

per la Commissione delle Comunità europee, dal sig. W. Wils, in qualità di agente,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 31 gennaio 2008,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1

La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione degli artt. 5, n. 1, della prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (GU 1989, L 40, pag. 1), e 3 bis, n. 1, della direttiva del Consiglio 10 settembre 1984, 84/450/CEE, concernente la pubblicità ingannevole e comparativa (GU L 250, pag. 17), come modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 6 ottobre 1997, 97/55/CE (GU L 290, pag. 18; in prosieguo: la «direttiva 84/450»).

2

Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia che oppone la O2 Holdings Limited e la O2 (UK) Limited [in prosieguo, collettivamente: la «O2 e O2 (UK)»] alla Hutchinson 3G UK Limited (in prosieguo: la «H3G»), in merito all’uso da parte della H3G in una pubblicità comparativa di marchi di cui sono titolari la O2 e O2 (UK).

Contesto normativo

La normativa comunitaria

3

L’art. 5 della direttiva 89/104, intitolato «Diritti conferiti dal marchio di impresa», dispone quanto segue:

«1.   Il marchio di impresa registrato conferisce al titolare un diritto esclusivo. II titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio:

a)

un segno identico al marchio di impresa per prodotti o servizi identici a quelli per cui esso è stato registrato;

b)

un segno che, a motivo dell’identità o della somiglianza di detto segno col marchio di impresa e dell’identità o somiglianza dei prodotti o servizi contraddistinti dal marchio di impresa e dal segno, possa dare adito a un rischio di confusione per il pubblico, comportante anche un rischio di associazione tra il segno e il marchio di impresa.

2.   Uno Stato membro può inoltre prevedere che il titolare abbia il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio un segno identico o simile al marchio di impresa per i prodotti o servizi che non sono simili a quelli per cui esso è stato registrato, se il marchio di impresa gode di notorietà nello Stato membro e se l’uso immotivato del segno consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio di impresa o reca pregiudizio agli stessi.

3.   Si può in particolare vietare, se le condizioni menzionate al paragrafo 1 e 2 sono soddisfatte:

a)

di apporre il segno sui prodotti o sul loro condizionamento;

b)

di offrire i prodotti, di immetterli in commercio o di detenerli a tali fini, oppure di offrire o fornire servizi contraddistinti dal segno;

c)

di importare o esportare prodotti contraddistinti dal segno;

d)

di utilizzare il segno nella corrispondenza commerciale e nella pubblicità.

(…)

5.   I paragrafi da 1 a 4 non pregiudicano le disposizioni applicabili in uno Stato membro per la tutela contro l’uso di un segno fatto a fini diversi da quello di contraddistinguere i prodotti o servizi, quando l’uso di tale segno senza giusto motivo consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o della notorietà del marchio di impresa o reca pregiudizio agli stessi».

4

L’art. 6 della direttiva 89/104, intitolato «Limitazione degli effetti del marchio di impresa», stabilisce, al n. 1, quanto segue:

«Il diritto conferito dal marchio di impresa non permette al titolare dello stesso di vietare ai terzi l’uso nel commercio:

a)

del loro nome e indirizzo;

b)

di indicazioni relative alla specie, alla qualità, alla quantità, alla destinazione, al valore, alla provenienza geografica, all’epoca di fabbricazione del prodotto o di prestazione del servizio o ad altre caratteristiche del prodotto o del servizio;

c)

del marchio di impresa se esso è necessario per contraddistinguere la destinazione di un prodotto o servizio, in particolare come accessori o pezzi di ricambio,

purché l’uso sia conforme agli usi consueti di lealtà in campo industriale e commerciale».

5

Le disposizioni riguardanti la pubblicità comparativa sono state introdotte nella direttiva 84/450 dalla direttiva 97/55.

6

I ‘considerando’ 13-15 della direttiva 97/55 sono così formulati:

«(13)

considerando che l’articolo 5 della (…) direttiva 89/104 (…) conferisce al titolare di un marchio di impresa registrato un diritto esclusivo, che comporta in particolare il diritto di vietare ai terzi di usare nel commercio un segno identico o simile per prodotti o servizi identici o, se del caso, anche per altri prodotti;

(14)

considerando, tuttavia, che per poter svolgere una pubblicità comparativa efficace, può essere indispensabile identificare i prodotti o i servizi di un concorrente, facendo riferimento ad un marchio di cui quest’ultimo è titolare, oppure alla sua denominazione commerciale;

(15)

considerando che una simile utilizzazione del marchio, della denominazione commerciale o di altri segni distintivi appartenenti ad altri, se avviene nel rispetto delle condizioni stabilite dalla presente direttiva, non viola il diritto esclusivo del titolare del marchio, essendo lo scopo unicamente quello di effettuare distinzioni tra di loro e quindi di metterne obiettivamente in rilievo le differenze».

7

Secondo l’art. 1 della direttiva 84/450, quest’ultima ha lo scopo di stabilire le condizioni di liceità della pubblicità comparativa.

8

L’art. 2, punto 2 bis, di tale direttiva definisce la pubblicità comparativa come «qualsiasi pubblicità che identifica in modo esplicito o implicito un concorrente o beni o servizi offerti da un concorrente».

9

L’art. 3 bis, n. 1, della direttiva in parola dispone quanto segue:

«Per quanto riguarda il confronto, la pubblicità comparativa è ritenuta lecita qualora siano soddisfatte le seguenti condizioni: che essa

a)

non sia ingannevole ai sensi dell’articolo 2, punto 2, dell’articolo 3 e dell’articolo 7, paragrafo 1;

(…)

d)

non ingeneri confusione sul mercato fra l’operatore pubblicitario ed un concorrente o tra i marchi, le denominazioni commerciali, altri segni distintivi, i beni o i servizi dell’operatore pubblicitario e quelli di un concorrente;

e)

non causi discredito o denigrazione di marchi, denominazion[i] commerciali, altri segni distintivi, beni, servizi, attività o circostanze di un concorrente;

(…)

g)

non tragga indebitamente vantaggio dalla notorietà connessa al marchio, alla denominazione commerciale o a altro segno distintivo di un concorrente o alle denominazioni di origine di prodotti concorrenti;

h)

non rappresenti un bene o servizio come imitazione o contraffazione di beni o servizi protetti da un marchio o da una denominazione commerciale depositati».

La normativa nazionale

10

Le disposizioni della direttiva 89/104 sono state recepite nel diritto nazionale con la legge 1994 sui marchi (Trade Marks Act 1994).

11

Le disposizioni della direttiva 84/450 sono state recepite nel diritto nazionale con i regolamenti del 1988 sul controllo della pubblicità ingannevole (Control of Misleading Advertisements Regulations 1988, SI 1988/915), come modificati dai regolamenti del 2003 (SU 2003/3183; in prosieguo le «UK Regulations»).

12

La lotta contro la pubblicità ingannevole e il rispetto delle disposizioni in materia di pubblicità comparativa, previste all’art. 4 della direttiva 84/450, sono assicurate, in applicazione delle UK Regulations, dal Director General of Fair Trading, un’autorità amministrativa competente sia a statuire sulle denunce sia ad avviare i procedimenti giudiziari del caso.

13

La regola 4A delle UK Regulations precisa al terzo comma:

«Le disposizioni della presente regola non devono essere interpretate come

a)

se attribuissero la legittimazione ad agire in un procedimento civile per una qualsiasi violazione di questa normativa (ad eccezione di quanto espressamente previsto nelle presenti Regulations);

b)

se comportassero una deroga alla legittimazione ad agire o ad un altro rimedio giudiziale (civile o penale) in un procedimento avviato su una base diversa da quella costituita dalle presenti Regulations».

Causa principale e questioni pregiudiziali

14

La O2 e O2 (UK) svolgono un’attività di prestazione di servizi nel settore della telefonia mobile.

15

Per promuovere i loro servizi tali società utilizzano immagini di bolle di vario tipo. È provato che nel settore della telefonia mobile i consumatori associano le immagini di bolle nell’acqua, in particolare su uno sfondo blu graduato, ai servizi forniti dalla O2 e O2 (UK).

16

La O2 e O2 (UK) sono, tra l’altro, titolari di due marchi nazionali figurativi che rappresentano entrambi un’immagine statica di bolle, registrati nel Regno Unito per apparecchi e servizi di telecomunicazione (in prosieguo: i «marchi con bolle»).

17

La H3G offre anch’essa servizi di telefonia mobile, contraddistinti dal segno «3». Essa propone in particolare un servizio prepagato («pay-as-you-go»), denominato «Threepay».

18

Nel corso dell’anno 2004 la H3G lanciava una campagna pubblicitaria. A tale fine, essa faceva diffondere alla televisione un messaggio pubblicitario in cui comparava il prezzo dei suoi servizi con quello dei servizi offerti dalla O2 e O2 (UK). Tale pubblicità televisiva (in prosieguo: la «pubblicità controversa») iniziava con l’uso del termine «O2» e di immagini di bolle in bianco e nero in movimento, per continuare poi con immagini di «Threepay» e di «3», e con un messaggio da cui risultava che i servizi della H3G erano specificamente meno costosi.

19

La O2 e O2 (UK) hanno intentato dinanzi alla High Court of Justice (England & Wales), Chancery Division, un’azione per contraffazione dei loro marchi contro la H3G.

20

Esse hanno ammesso, ai fini della procedura di cui alla causa principale, che il confronto dei prezzi effettuato nella pubblicità controversa era esatto e che nel suo complesso tale pubblicità non era ingannevole. In particolare, essa non ipotizzava che ci fosse una qualsiasi relazione commerciale tra la O2 e O2 (UK), da un lato, e la H3G, dall’altro.

21

Tale azione in contraffazione è stata respinta con sentenza 23 marzo 2006. In sostanza, la High Court ha ritenuto che l’uso delle immagini di bolle nella pubblicità controversa rientrasse nell’art. 5, n. 1, lett. b), della direttiva 89/104, ma che, essendo tale pubblicità conforme all’art. 3 bis della direttiva 84/450, tale conformità forniva alla H3G un mezzo di difesa ai sensi dell’art. 6, n. 1, lett. b), della direttiva 89/104.

22

La O2 e O2 (UK) hanno impugnato tale sentenza dinanzi alla Court of Appeal (England & Wales) (Civil Division).

23

Il giudice del rinvio chiede innanzi tutto che venga interpretato l’art. 5, n. 1, della direttiva 89/104.

24

Tale giudice chiede, da un lato, se l’uso cui tale disposizione fa riferimento sia solo quello che ha per oggetto di distinguere l’origine commerciale dei prodotti o dei servizi commercializzati dal terzo. A suo giudizio, una risposta affermativa porterebbe a non far ricadere nell’ambito di applicazione dell’art. 5, n. 1, della direttiva 89/104 l’uso del marchio di un concorrente nell’ambito di una pubblicità comparativa, in quanto il marchio non è utilizzato per indicare l’origine dei prodotti dell’operatore pubblicitario.

25

Dall’altro lato, il giudice del rinvio si pone il problema se, ai fini della valutazione dell’esistenza di un rischio di confusione ai sensi dell’art. 5, n. 1, lett. b), della direttiva 89/104, occorra effettuare esclusivamente un confronto tra il marchio e il segno controverso e tra i prodotti o servizi per cui il marchio è registrato e quelli per cui il segno viene utilizzato, o se, al contrario, occorra prendere in considerazione il contesto di fatto in cui il segno viene utilizzato.

26

In secondo luogo, il giudice del rinvio considera che la conformità all’art. 3 bis della direttiva 84/450 di una pubblicità comparativa in cui è usato il marchio di un concorrente costituisce un mezzo di difesa che può essere opposto al ricorso che un concorrente ha esperito contro un tale uso del suo marchio.

27

Così, nell’ipotesi in cui la Corte interpretasse l’art. 5, n. 1, della direttiva 89/104 nel senso che, in una situazione come quella di cui alla causa principale, tale disposizione legittima il titolare di un marchio registrato a far vietare l’uso del suo marchio in una pubblicità comparativa, il giudice del rinvio chiede l’interpretazione dell’art. 3 bis, n. 1, della direttiva 84/450 per stabilire se, affinché una pubblicità comparativa in cui è usato un segno identico o simile al marchio di un concorrente sia lecita, l’uso di tale segno debba essere «indispensabile» per procedere ad un confronto tra i prodotti o i servizi del concorrente e quelli dell’operatore pubblicitario.

28

Alla luce di ciò, la Court of Appeal (England & Wales) (Civil Division) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)

Qualora un operatore commerciale, in una pubblicità relativa ai propri prodotti o servizi, usi un marchio registrato di cui è titolare un concorrente allo scopo di comparare le caratteristiche (e, in particolare, il prezzo) di prodotti o servizi da lui commercializzati con le caratteristiche (e, in particolare, con il prezzo) dei prodotti o servizi commercializzati dal concorrente sotto tale marchio, in modo tale da non creare confusione o compromettere in altro modo la funzione essenziale del marchio come indicazione di origine, se tale uso rientri nell’art. 5, [n. l,] lett. a) o b), della direttiva 89/104.

2)

Qualora un operatore commerciale usi, in una pubblicità comparativa, il marchio registrato di un concorrente, se tale uso, per essere conforme all’art. 3 bis, [n. 1,] della direttiva 84/450 (…), debba essere “indispensabile” e, in tal caso, quali siano i criteri in base ai quali valutare l’indispensabilità.

3)

In particolare, qualora esista una condizione di indispensabilità, se tale condizione precluda qualsiasi uso di un segno che non è identico al marchio registrato, ma molto simile ad esso».

Sulle questioni pregiudiziali

Osservazioni preliminari

29

Con le sue questioni, il giudice del rinvio chiede alla Corte di interpretare sia l’art. 5, n. 1, della direttiva 89/104 sia l’art. 3 bis, n. 1, della direttiva 84/450.

30

Infatti, la causa principale è caratterizzata dal fatto che la O2 e O2 (UK) affermano che l’uso da parte della H3G di un segno simile ai loro marchi con bolle danneggia il diritto esclusivo loro conferito da tali marchi.

31

Pertanto, prima di esaminare le questioni pregiudiziali occorre precisare il rapporto esistente tra le direttive 89/104 e 84/450.

32

Ai sensi dell’art. 5, nn. 1 e 2, della direttiva 89/104, il marchio di impresa registrato conferisce al titolare un diritto esclusivo in forza del quale egli ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio un segno identico o simile al suo marchio. Secondo l’art. 5, n. 3, lett. d), di tale direttiva, il titolare può, in particolare, vietare di utilizzare tale segno nella pubblicità.

33

L’uso da parte di un operatore pubblicitario in una pubblicità comparativa di un segno identico o simile al marchio di un concorrente può costituire un uso ai sensi dell’art. 5, nn. 1 e 2, della direttiva 89/104.

34

In effetti, da un lato, l’art. 5, nn. 1 e 2, della direttiva 89/104 deve essere interpretato nel senso che contempla l’uso di un segno identico o simile al marchio per prodotti venduti o servizi forniti dal terzo [v., in tal senso, per quanto riguarda l’art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104, sentenza 25 gennaio 2007, causa C-48/05, Adam Opel, Racc. pag. I-1017, punto 28].

35

D’altro lato, una pubblicità con cui l’operatore pubblicitario confronti i prodotti e i servizi che commercializza con quelli di un concorrente è evidentemente diretta a promuovere i prodotti e i servizi di tale operatore. Con una pubblicità di tal genere, l’operatore pubblicitario cerca di distinguere i suoi prodotti e servizi, comparando le loro caratteristiche con quelle di prodotti e servizi concorrenti. Tale analisi è confermata dal quindicesimo ‘considerando’ della direttiva 97/55, in cui il legislatore comunitario ha evidenziato che lo scopo della pubblicità comparativa è quello di distinguere i prodotti e i servizi dell’operatore pubblicitario da quelli del suo concorrente (v. sentenza 25 ottobre 2001, causa C-112/99, Toshiba Europa, Racc. pag. I-7945, punto 53).

36

Di conseguenza, l’uso da parte dell’operatore pubblicitario in una pubblicità comparativa di un segno identico o simile al marchio di un concorrente per identificare i prodotti o servizi offerti da quest’ultimo deve essere considerato come un uso per i prodotti e servizi propri dell’operatore pubblicitario, ai sensi dell’art. 5, nn. 1 e 2, della direttiva 89/104.

37

Un uso di questo tipo può quindi essere eventualmente vietato in base alle summenzionate disposizioni.

38

Tuttavia, come risulta dai ‘considerando’ 2-6 della direttiva 97/55, il legislatore comunitario ha voluto favorire la pubblicità comparativa, sottolineando in particolare, al secondo ‘considerando’, che essa «può anche stimolare la concorrenza tra i fornitori di beni e di servizi nell'interesse dei consumatori» e, al quinto ‘considerando’, che «può essere un mezzo legittimo per informare i consumatori nel loro interesse».

39

Secondo la formulazione dei ‘considerando’ 13-15 della direttiva 97/55, il legislatore comunitario ha ritenuto che la necessità di favorire la pubblicità comparativa rendesse necessario limitare in una qualche misura il diritto conferito dal marchio.

40

Una tale limitazione degli effetti del marchio al fine di favorire la pubblicità comparativa appare necessaria non solo in caso di uso da parte dell’operatore pubblicitario del marchio di un concorrente, ma altresì in caso di uso di un segno simile a tale marchio.

41

Infatti, ai sensi dell’art. 2, punto 2 bis, della direttiva 84/450, per «pubblicità comparativa» si intende qualsiasi pubblicità che identifica in modo esplicito o implicito un concorrente o beni o servizi offerti da un concorrente.

42

Secondo una giurisprudenza costante, si tratta di una definizione ampia, che permette di includere tutte le forme di pubblicità comparativa, per cui è sufficiente che sussista un messaggio che faccia, anche implicitamente, riferimento a un concorrente o ai beni o ai servizi da questo offerti perché si abbia pubblicità comparativa (v. sentenza Toshiba Europa, cit., punti 30 e 31; 8 aprile 2003, causa C-44/01, Pippig Augenoptik, Racc. pag. I-3095, punto 35, nonché 19 aprile 2007, causa C-381/05, De Landtsheer Emmanuel, Racc. pag. I-3115, punto 16).

43

L’elemento richiesto perché si abbia pubblicità comparativa è dunque l’identificazione, esplicita o implicita, di un concorrente dell’operatore pubblicitario o dei beni o servizi da lui offerti (citate sentenze Toshiba Europe, punto 29, e De Landtsheer Emmanuel, punto 17).

44

Pertanto, allorché l’uso in una pubblicità di un segno simile al marchio di un concorrente dell’operatore pubblicitario è percepito dal consumatore medio come un riferimento a tale concorrente o ai beni e servizi che egli offre — come avviene nella causa principale —, si può parlare di una pubblicità comparativa, ai sensi dell’art. 2, punto 2 bis, della direttiva 84/450.

45

Di conseguenza, per conciliare la tutela dei marchi registrati e l’impiego della pubblicità comparativa, gli artt.5, nn. 1 e 2, della direttiva 89/104 e 3 bis, n. 1, della direttiva 84/450 devono essere interpretati nel senso che il titolare di un marchio registrato non può vietare l’uso da parte di un terzo in una pubblicità comparativa che soddisfa tutte le condizioni di liceità enunciate al detto art. 3 bis, n. 1, di un segno identico o simile al suo marchio.

46

Tuttavia, occorre rilevare che, quando ricorrono tutte le condizioni previste all’art. 5, n. 1, lett. b), della direttiva 89/104 per vietare l’uso di un segno identico o simile ad un marchio registrato, è escluso che la pubblicità comparativa in cui tale segno è utilizzato soddisfi la condizione di liceità prevista all’art. 3 bis, n. 1, lett. d), della direttiva 84/450.

47

Infatti, da un lato, in caso di somiglianza tra il marchio e il segno e tra i prodotti o i servizi, il rischio di confusione costituisce la condizione specifica della tutela. L’art. 5, n. 1, lett. b), della direttiva è quindi destinato ad applicarsi solo se, a causa dell’identità o della somiglianza dei marchi e dei prodotti o servizi designati, sussista un rischio di confusione per il pubblico (sentenza 6 ottobre 2005, causa C-120/04, Medion, Racc. pag. I-8551, punti 24 e 25).

48

D’altro lato, dall’art. 3 bis, n. 1, lett. d), della direttiva 84/450 risulta che una pubblicità comparativa non è lecita se esiste un rischio di confusione tra l’operatore pubblicitario e un concorrente o tra i marchi, i beni o i servizi dell’operatore pubblicitario e quelli di un concorrente.

49

Alla luce dei ‘considerando’ 13-15 della direttiva 97/55, occorre interpretare allo stesso modo la nozione di «confusione» utilizzata all’art. 5, n. 1, lett. b), della direttiva 89/104 e all’art. 3 bis, n. 1, lett. d), della direttiva 84/450.

50

Quindi, in caso di uso da parte di un operatore pubblicitario, in una pubblicità comparativa, di un segno identico o simile al marchio di un concorrente, o il concorrente non prova l’esistenza di un rischio di confusione e, di conseguenza, non è legittimato a far vietare l’uso di questo segno sulla base dell’art. 5, n. 1, lett. b), della direttiva 89/104, o prova l’esistenza di un rischio di confusione e, di conseguenza, l’operatore pubblicitario non può opporsi al divieto derivante dall’art. 3 bis, n. 1, della direttiva 84/450, in quanto la pubblicità di cui trattasi non soddisfa tutte le condizioni che sono enunciate in tale disposizione.

51

Occorre quindi rispondere, in via preliminare, che gli artt. 5, nn. 1 e 2, della direttiva 89/104 e 3 bis, n. 1, della direttiva 84/450 devono essere interpretati nel senso che il titolare di un marchio registrato non è legittimato a vietare l’uso, da parte di un terzo, di un segno identico o simile al suo marchio in una pubblicità comparativa rispetto alla quale ricorrono tutte le condizioni di liceità enunciate al detto art. 3 bis, n. 1.

Tuttavia, quando ricorrono le condizioni richieste dall’art. 5, n. 1, lett. b), per vietare l’uso di un segno identico o simile ad un marchio registrato, è escluso che la pubblicità comparativa in cui tale segno è utilizzato soddisfi la condizione di liceità enunciata all’art. 3 bis, n. 1, lett. d), della direttiva 84/450.

Sulla prima questione, relativa all’interpretazione dell’art. 5, n. 1, della direttiva 89/104

52

È pacifico che nella causa principale la H3G ha utilizzato non i marchi con bolle, come sono stati registrati dalla O2 e O2 (UK), ma un segno simile a questi marchi.

53

Orbene, l’art. 5, n. 1 lett. a), della direttiva 89/104 si applica esclusivamente nell’ipotesi di uso di un segno identico al marchio per prodotti o servizi identici a quelli per cui esso è stato registrato.

54

Poiché tale disposizione non può applicarsi nella causa principale, non è necessario procedere alla sua interpretazione.

55

Di conseguenza, occorre intendere la prima questione nel senso che il giudice del rinvio chiede se l’art. 5, n. 1, lett. b), della direttiva 89/104 debba essere interpretato nel senso che il titolare di un marchio registrato può far vietare l’uso da parte di un terzo in una pubblicità comparativa di un segno simile a tale marchio per prodotti o servizi identici o simili a quelli per cui il detto marchio è stato registrato, quando tale uso non dà adito ad un rischio di confusione per il pubblico.

56

Secondo costante giurisprudenza, al fine di evitare che la tutela concessa al titolare del marchio differisca da uno Stato membro all’altro, spetta alla Corte dare un’interpretazione uniforme dell’art. 5, n. 1, della direttiva 89/104, in particolare della nozione di «uso» ivi contenuta (sentenze 12 novembre 2002, causa C-206/01, Arsenal Football Club, Racc. pag. I-10273, punto 45; Adam Opel, cit., punto 17, e 11 settembre 2007, causa C-17/06, Céline, Racc. pag. I-7041, punto 15).

57

Come emerge dalla giurisprudenza della Corte (sentenze Arsenal Football Club, cit.; 16 novembre 2004, causa C-245/02, Anheuser-Busch, Racc. pag. I-10989; Medion, cit.; Adam Opel, cit., e Céline, cit.), il titolare di un marchio registrato può vietare l’uso da parte di un terzo di un segno identico al suo marchio, conformemente all’art. 5, n. 1, lett. b), della direttiva, solo in presenza delle seguenti quattro condizioni:

l’uso deve aver luogo nel commercio;

dev’essere fatto senza il consenso del titolare del marchio;

dev’essere fatto per prodotti o servizi identici a quelli per cui il marchio è stato registrato e

deve pregiudicare ovvero essere idoneo a pregiudicare la funzione essenziale del marchio, che consiste nel garantire ai consumatori l’origine dei prodotti o servizi, a causa di un rischio di confusione per il pubblico.

58

Per quanto riguarda, in particolare, la quarta condizione, da un lato, come è stato ricordato al punto 47 della presente sentenza, l’art. 5, n. 1, lett. b), della direttiva 89/104 può applicarsi solo se, a causa dell’identità o della somiglianza dei marchi e dei prodotti o servizi designati, esiste un rischio di confusione per il pubblico.

59

D’altra parte, secondo una costante giurisprudenza, costituisce un rischio di confusione ai sensi di questa disposizione il rischio che il pubblico possa credere che i prodotti o i servizi controversi provengano dalla stessa impresa o, eventualmente, da imprese economicamente legate tra loro (v., in particolare, sentenze 22 giugno 1999, causa C-342/97, Lloyd Schuhfabrik Meyer, Racc. pag. I-3819, punto 17, e Medion, cit., punto 26). Così l’uso di un segno identico o simile al marchio che fa sorgere nella mente del pubblico un rischio di confusione pregiudica o rischia di pregiudicare la funzione essenziale del marchio.

60

È pacifico che nella causa principale l’uso del segno identico al marchio di cui trattasi ha luogo nell’ambito di un’attività commerciale diretta ad un vantaggio economico e non nella sfera privata. Di conseguenza, nel commercio si fa uso di tale segno (v., analogamente, sentenza Céline, cit., punto 17).

61

È altresì pacifico che la H3G ha utilizzato tale segno senza il consenso della O2 e O2 (UK), titolari dei marchi con bolle.

62

Inoltre, l’uso è fatto per servizi identici a quelli per cui tali marchi sono stati registrati.

63

Per contro, occorre rilevare che, secondo le stesse constatazioni del giudice del rinvio, l’uso da parte della H3G, nella pubblicità controversa, di immagini di bolle simili ai marchi con bolle non ha dato adito ad un rischio di confusione per i consumatori. Infatti, nel suo complesso, la pubblicità controversa non era ingannevole e, in particolare, non lasciava supporre che ci fosse una qualsiasi relazione commerciale tra la O2 e O2 (UK), da un lato, e la H3G, dall’altro.

64

A tale proposito, contrariamente a quanto sostengono la O2 e O2 (UK), per valutare l’esistenza di un rischio di confusione il giudice del rinvio ha giustamente limitato la sua analisi al contesto in cui il segno simile ai marchi con bolle è stato utilizzato dalla H3G.

65

È ben vero che la nozione di rischio di confusione di cui agli artt. 4, n. 1, lett. b), e 5, n. 1, lett. b), della direttiva 89/104 è la stessa (v., in tal senso, sentenza 22 giugno 2002, causa C-425/98, Marca Mode, Racc. pag. I-4861, punti 25-28).

66

Tuttavia, nell’ambito dell’art. 4, n. 1, lett. b), della direttiva 89/104, si tratta di una domanda di registrazione di un marchio. Quando un marchio viene registrato il titolare di esso ha il diritto di utilizzarlo a suo piacimento, cosicché, ai fini della valutazione se la domanda di registrazione ricada nell’impedimento alla registrazione previsto in tale disposizione, occorre verificare se esista un rischio di confusione con il marchio anteriore dell’opponente in qualsiasi circostanza in cui il marchio richiesto, se registrato, potrebbe essere usato.

67

Al contrario, nell’ipotesi di cui all’art. 5, n. 1, lett. b), della direttiva 89/104, il terzo che usi un segno identico o simile ad un marchio registrato non rivendica alcun diritto di marchio su tale segno, ma ne fa un uso preciso. Pertanto, per valutare se il titolare del marchio registrato possa opporsi a tale uso specifico occorre limitarsi alle circostanze che contraddistinguono tale uso, senza che occorra accertare se un altro uso del medesimo segno in circostanze diverse sarebbe anch’esso suscettibile di dare adito ad un rischio di confusione.

68

Pertanto, la quarta condizione necessaria affinché il titolare di un marchio registrato sia autorizzato a vietare l’uso di un segno simile al suo marchio per prodotti o servizi identici o simili a quelli per cui tale marchio è registrato non ricorre nella causa principale.

69

Di conseguenza, occorre risolvere la prima questione dichiarando che l’art. 5, n. 1, lett. b), della direttiva 89/104 deve essere interpretato nel senso che il titolare di un marchio registrato non è legittimato a far vietare l’uso da parte di un terzo, in una pubblicità comparativa, di un segno simile a tale marchio per prodotti o servizi identici o simili a quelli per cui tale marchio è stato registrato, quando tale uso non dà adito ad un rischio di confusione per il pubblico, e ciò a prescindere dal fatto che tale pubblicità comparativa soddisfi o meno tutte le condizioni di liceità enunciate all’art. 3 bis della direttiva 84/450.

Sulla seconda e terza questione, relative all’interpretazione dell’art. 3 bis, n. 1, della direttiva 84/450

70

Con la seconda e la terza questione il giudice del rinvio chiede se l’art.3 bis, n. 1, della direttiva 84/450 debba essere interpretato nel senso che una pubblicità comparativa in cui l’operatore pubblicitario utilizza il marchio di un concorrente o un segno simile a tale marchio sia lecita esclusivamente se tale uso è indispensabile per effettuare il confronto tra i prodotti o i servizi dell’operatore pubblicitario e quelli del concorrente e, eventualmente, se l’uso di un segno simile al marchio del concorrente possa essere considerato indispensabile.

71

Tuttavia il giudice del rinvio ha richiesto l’interpretazione di tale disposizione solo nel caso in cui la Corte risolva in senso affermativo la prima questione pregiudiziale.

72

Pertanto, non occorre esaminare la seconda e terza questione pregiudiziale.

Sulle spese

73

Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

 

Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara:

 

1)

Gli artt. 5, nn. 1 e 2, della prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa, e 3 bis, n. 1, della direttiva del Consiglio 10 settembre 1984, 84/450/CEE, concernente la pubblicità ingannevole e comparativa, come modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 6 ottobre 1997, 97/55/CE, devono essere interpretati nel senso che il titolare di un marchio registrato non è legittimato a vietare l’uso, da parte di un terzo, di un segno identico o simile al suo marchio in una pubblicità comparativa che soddisfa tutte le condizioni di liceità enunciate al detto art. 3 bis, n. 1.

Tuttavia, quando ricorrono le condizioni richieste dall’art. 5, n. 1, lett. b), per vietare l’uso di un segno identico o simile ad un marchio registrato, è escluso che la pubblicità comparativa in cui tale segno è utilizzato soddisfi la condizione di liceità enunciata all’art. 3 bis, n. 1, lett. d), della direttiva 84/450, come modificata dalla direttiva 97/55.

 

2)

L’art. 5, n. 1, lett. b), della direttiva 89/104 deve essere interpretato nel senso che il titolare di un marchio registrato non è legittimato a far vietare l’uso da parte di un terzo, in una pubblicità comparativa, di un segno simile a tale marchio per prodotti o servizi identici o simili a quelli per cui tale marchio è stato registrato, quando tale uso non dà adito ad un rischio di confusione per il pubblico, e ciò a prescindere dal fatto che tale pubblicità comparativa soddisfi o meno tutte le condizioni di liceità enunciate all’art. 3 bis della direttiva 84/450, come modificata dalla direttiva 97/55.

 

Firme


( *1 ) Lingua processuale: l’inglese.

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