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Documento 62006CJ0263

    Sentenza della Corte (Quarta Sezione) del 28 febbraio 2008.
    Carboni e derivati Srl contro Ministero dell’Economia e delle Finanze e Riunione Adriatica di Sicurtà SpA.
    Domanda di pronuncia pregiudiziale: Corte suprema di cassazione - Italia.
    Politica commerciale comune - Difesa contro le pratiche di dumping - Dazio antidumping - Ghisa ematite originaria della Russia - Decisione n. 67/94/CECA - Determinazione del valore in dogana per l’applicazione di un dazio antidumping variabile - Valore di transazione - Vendite successive effettuate a prezzi diversi - Possibilità per l’autorità doganale di considerare il prezzo indicato in una vendita di beni avvenuta prima di quella sulla base della quale è stata effettuata la dichiarazione doganale.
    Causa C-263/06.

    Raccolta della Giurisprudenza 2008 I-01077

    Identificatore ECLI: ECLI:EU:C:2008:128

    SENTENZA DELLA CORTE (Quarta Sezione)

    28 febbraio 2008 ( *1 )

    «Politica commerciale comune — Difesa contro le pratiche di dumping — Dazio antidumping — Ghisa ematite originaria della Russia — Decisione n. 67/94/CECA — Determinazione del valore in dogana per l’applicazione di un dazio antidumping variabile — Valore di transazione — Vendite successive effettuate a prezzi diversi — Possibilità per l’autorità doganale di considerare il prezzo indicato in una vendita di beni avvenuta prima di quella sulla base della quale è stata effettuata la dichiarazione doganale»

    Nel procedimento C-263/06,

    avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dalla Corte suprema di cassazione, con ordinanza 30 marzo 2006, pervenuta in cancelleria il 16 giugno 2006, nella causa tra

    Carboni e derivati Srl

    e

    Ministero dell’Economia e delle Finanze,

    Riunione Adriatica di Sicurtà SpA,

    LA CORTE (Quarta Sezione),

    composta dal sig. K. Lenaerts, presidente di sezione, dalla sig.ra R. Silva de Lapuerta, nonché dai sigg. E. Juhász, J. Malenovský e T. von Danwitz (relatore), giudici,

    avvocato generale: sig. J. Mazák

    cancelliere: sig. R. Grass

    vista la fase scritta del procedimento,

    considerate le osservazioni presentate:

    per il governo italiano, dal sig. I.M. Braguglia, in qualità di agente, assistito dal sig. G. Albenzio, avvocato dello Stato;

    per la Commissione delle Comunità europee, dalle sig. re E. Righini e J. Hottiaux, in qualità di agenti,

    sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza dell’11 settembre 2007,

    ha pronunciato la seguente

    Sentenza

    1

    La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’art. 1 della decisione della Commissione 12 gennaio 1994, 67/94/CECA, che istituisce un dazio antidumping provvisorio sulle importazioni nella Comunità di ghisa ematite originaria del Brasile, della Polonia, della Russia e dell’Ucraina (GU L 12, pag. 5), in combinato disposto con gli artt. 29-31 del regolamento (CEE) del Consiglio 12 ottobre 1992, n. 2913, che istituisce un codice doganale comunitario (GU L 302, pag. 1; in prosieguo: il «codice doganale comunitario»).

    2

    Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la Carboni e derivati Srl (in prosieguo: la «Carboni»), da un lato, e il Ministero dell’Economia e delle Finanze (in prosieguo: il «Ministero») nonché la Riunione Adriatica di Sicurtà SpA (in prosieguo: la «RAS»), dall’altro, in merito alla determinazione del valore in dogana di una partita di ghisa ematite originaria della Russia ed importata nella Comunità europea, ai fini dell’applicazione di un dazio antidumping variabile ai sensi della decisione n. 67/94.

    Contesto normativo

    Normativa antidumping di base e normativa antidumping specifica

    3

    La decisione della Commissione 29 luglio 1988, n. 2424/88/CECA, relativa alla difesa contro le importazioni da paesi non membri della Comunità europea del carbone e dell’acciaio oggetto di dumping o di sovvenzioni (GU L 209, pag. 18; in prosieguo: la «decisione di base»), ai suoi artt. 1, 2 e 13 così dispone:

    «Articolo 1

    Applicabilità

    La presente decisione stabilisce disposizioni relative alla difesa contro le importazioni da paesi non membri della Comunità europea del carbone [e] dell’acciaio oggetto di dumping o di sovvenzioni.

    Articolo 2

    Dumping

    A. PRINCIPIO

    1.   Un dazio antidumping può essere imposto su qualsiasi prodotto oggetto di dumping la cui messa in libera pratica nella Comunità causi un pregiudizio.

    2.   Un prodotto è considerato oggetto di dumping quando il suo prezzo all’esportazione verso la Comunità è inferiore al valore normale di un prodotto simile.

    (…).

    Articolo 13

    Disposizioni generali sui dazi

    (…)

    2.   Tali decisioni indicano in particolare l’importo e il tipo del dazio imposto, il prodotto interessato, il paese di origine o di esportazione, il nome del fornitore, ove possibile, e la relativa motivazione.

    3.   L’importo di detti dazi non può superare il margine del dumping provvisoriamente stimato o definitivamente constatato, oppure l’importo della sovvenzione provvisoriamente stimato o definitivamente stabilito; tale importo dovrebbe essere inferiore se un dazio inferiore risultasse sufficiente ad eliminare il pregiudizio.

    (…)».

    4

    Il 12 gennaio 1994 la Commissione delle Comunità europee ha adottato la decisione n. 67/94 sul fondamento dell’art. 11 della decisione di base, che prevede specificamente la possibilità di istituire dazi antidumping provvisori. I punti 64-67 della decisione n. 67/94 sono redatti come segue:

    «(64)

    È stato calcolato il livello di prezzo al quale le importazioni in questione cessano di arrecare un pregiudizio sostanziale all’industria comunitaria. (…)

    (65)

    La Commissione ritiene che, oltre a instaurare condizioni di concorrenza leale sul mercato della ghisa ematite, le misure adottate abbiano effetti positivi anche per i paesi esportatori, che potrebbero ottenere maggiori proventi dalle esportazioni del prodotto in causa.

    (66)

    La Commissione ritiene che nel caso in esame, per realizzare gli obiettivi fissati, l’introduzione di un prezzo minimo sia la misura più appropriata.

    (67)

    La Commissione rileva che, poiché il prezzo minimo di importazione ritenuto necessario per eliminare il pregiudizio causato dal dumping è, in tutti i casi, inferiore al valore normale stabilito per le ditte in questione, il dazio provvisorio antidumping ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 3 della decisione [n.] 2424/88/CECA non supera i margini di dumping stabiliti».

    5

    L’art. 1 della decisione n. 67/94 così dispone:

    «1.   È istituito un dazio antidumping provvisorio sulle importazioni di ghisa ematite di cui al codice 72011019, originaria del Brasile, della Polonia, della Russia e dell’Ucraina.

    2.   L’importo del dazio è pari alla differenza tra il prezzo di 149 ECU/t (CIF non sdoganato) e il valore doganale dichiarato, ogniqualvolta quest’ultimo sia inferiore al prezzo minimo di importazione.

    3.   Si applicano le disposizioni in vigore in materia di dazi doganali.

    (…)».

    6

    Il dazio antidumping provvisorio istituito con la decisione n. 67/94 è stato confermato dalla decisione della Commissione 15 luglio 1994, n. 1751/94/CECA, che istituisce un dazio antidumping definitivo sulle importazioni nella Comunità di ghisa ematite originaria del Brasile, della Polonia, della Russia e dell’Ucraina (GU L 182, pag. 37). L’art. 1, n. 2, di tale decisione recita come segue:

    «L’importo del [detto] dazio è pari alla differenza tra il prezzo di 149 ECU/t e il valore riconosciuto in dogana (franco frontiera comunitaria), ogniqualvolta tale valore sia inferiore al prezzo suindicato».

    Il codice doganale comunitario e le sue disposizioni di applicazione

    7

    Il codice doganale comunitario ai suoi artt. 28-31 così dispone:

    «Articolo 28

    Le disposizioni del presente capitolo disciplinano il valore in dogana per l’applicazione della tariffa doganale delle Comunità europee e di altre misure non tariffarie stabilite da norme comunitarie specifiche nel quadro degli scambi di merci.

    Articolo 29

    1.   Il valore in dogana delle merci importate è il valore di transazione, cioè il prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci quando siano vendute per l’esportazione a destinazione del territorio doganale della Comunità, previa eventuale rettifica effettuata conformemente agli articoli 32 e 33, sempre che:

    (…)

    d)

    il compratore ed il venditore non siano legati o, se lo sono, il valore di transazione sia accettabile a fini doganali, ai sensi del paragrafo 2.

    a)

    Per stabilire se il valore di transazione sia accettabile ai fini dell’applicazione del paragrafo 1, il fatto che il compratore e il venditore siano legati non costituisce di per sé motivo sufficiente per considerare inaccettabile detto valore. Se necessario, le circostanze proprie della vendita sono esaminate e il valore di transazione ammesso, purché tali legami non abbiano influito sul prezzo. Se, tenuto conto delle informazioni fornite dal dichiarante o ottenute da altre fonti, l’amministrazione doganale ha motivo di ritenere che detti legami abbiano influito sul prezzo, essa comunica queste motivazioni al dichiarante fornendogli una ragionevole possibilità di risposta. Qualora il dichiarante lo richieda, le motivazioni gli sono comunicate per iscritto.

    (…).

    Articolo 30

    1.   Quando il valore in dogana non può essere determinato ai sensi dell’articolo 29 si ha riguardo, nell’ordine, alle lettere a), b), c) e d) del paragrafo 2 (…).

    2.   I valori in dogana determinati ai sensi del presente articolo sono i seguenti:

    a)

    valore di transazione di merci identiche (…)

    b)

    valore di transazione di merci similari (…)

    c)

    valore fondato sul prezzo unitario corrispondente alle vendite nella Comunità delle merci importate o di merci identiche o similari importate nel quantitativo complessivo maggiore, effettuate a persone non legate ai venditori;

    d)

    valore calcolato (…).

    Articolo 31

    1.   Se il valore in dogana delle merci non può essere determinato ai sensi degli articoli 29 e 30, esso viene stabilito, sulla base dei dati disponibili nella Comunità, ricorrendo a mezzi ragionevoli compatibili con i principi e con le disposizioni generali:

    dell’accordo relativo all’attuazione dell’articolo VII dell’accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio;

    dell’articolo VII dell’accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio e

    delle disposizioni del presente capitolo.

    2.   Il valore in dogana ai sensi del paragrafo 1 non si basa:

    (…)

    b)

    sul sistema che prevede l’accettazione, ai fini doganali, del più elevato dei due valori possibili;

    (…)

    g)

    su valori arbitrari o fittizi».

    8

    Il regolamento (CEE) della Commissione 2 luglio 1993, n. 2454, che fissa talune disposizioni d’applicazione del regolamento [n. 2913/92] (GU L 253, pag. 1; in prosieguo: il «regolamento di applicazione»), contiene l’allegato 23, intitolato «Note interpretative in materia di valore in dogana». Il punto 2 delle note di tale allegato relative all’art. 31, n. 1, del codice doganale comunitario dispone quanto segue:

    «I metodi di valutazione da utilizzare a norma dell’articolo 31, paragrafo 1, [del codice] devono essere quelli definiti dagli articoli 29 e 30, paragrafo 2 [di quest’ultimo] compreso, pur tenendo presente che una ragionevole elasticità nell’applicazione di tali metodi è conforme agli obiettivi e alle disposizioni dell’articolo 31, paragrafo 1».

    9

    Con tale regolamento, la Commissione ha introdotto un insieme di disposizioni di applicazione del codice doganale comunitario. In particolare, all’art. 147, n. 1, nella versione in vigore nel giugno 1994, ossia al momento dell’importazione della partita di ghisa ematite originaria della Russia oggetto della causa principale, detto regolamento precisava quanto segue:

    «Ai fini dell’articolo 29 del codice [doganale comunitario], il fatto che le merci oggetto di una vendita siano dichiarate per l’immissione in libera pratica è da considerarsi un’indicazione sufficiente che esse sono state vendute per l’esportazione a destinazione del territorio doganale della Comunità. Detta indicazione vale anche nel caso di vendite successive anteriori alla valutazione; in tal caso, il valore in dogana può basarsi su ciascuno dei prezzi praticati su queste vendite, fatte salve le disposizioni degli articoli da 178 a 181».

    10

    Gli artt. 178-181 del regolamento di applicazione riguardano la dichiarazione degli elementi e la fornitura dei documenti relativi al valore in dogana. Il regolamento (CE) della Commissione 19 dicembre 1994, n. 3254, recante modifica del regolamento [n. 2454/93] (GU L 346, pag. 1), ha inserito nel regolamento d’applicazione l’art. 181 bis, ai termini del quale:

    «1.   Le autorità doganali non sono tenute a determinare il valore in dogana delle merci importate in base al metodo del valore di transazione se, in esito alla procedura di cui al paragrafo 2, hanno fondati dubbi che il valore dichiarato rappresenti l’importo totale pagato o da pagare ai sensi dell’articolo 29 del codice doganale [comunitario].

    2.   Le autorità doganali, in presenza dei dubbi di cui al paragrafo 1, possono richiedere che siano fornite delle informazioni complementari tenuto conto di quanto stabilito all’articolo 178, paragrafo 4. Se tali dubbi dovessero persistere, le autorità doganali, prima di adottare una decisione definitiva, sono tenute ad informare la persona interessata, per iscritto a sua richiesta, dei motivi sui quali questi dubbi sono fondati, concedendole una ragionevole possibilità di rispondere adeguatamente. La decisione definitiva con la relativa motivazione è comunicata alla persona interessata per iscritto».

    La causa principale e la questione pregiudiziale

    11

    Nel maggio 1994 la Carboni acquistava dalla Commercio Materie Prime CMP SpA (in prosieguo: la «CMP»), con sede in Genova, una partita di ghisa ematite originaria della Russia che, a sua volta, la CMP aveva acquistato dalla OME-DTECH Electronics LTD (in prosieguo: la «OME-DTECH») di Limassol (Cipro). Nel giugno 1994 la mandataria della Carboni, SPA-MAT Srl, presentava alla dogana di Molfetta (Bari), per conto della Carboni, la dichiarazione relativa all’importazione di tale partita, il cui valore era dichiarato su una base di ECU 151  per tonnellata, la quale è stata sdoganata in tale porto previo pagamento dei dazi doganali, versati il 14 giugno 1994.

    12

    Con verbale di accertamento del 16 luglio 1994 le autorità doganali informavano la Carboni, tramite la mandataria SPA-MAT Srl, che all’importo liquidato andava aggiunto, conformemente alla decisione n. 67/94, un dazio antidumping pari alla differenza tra il prezzo di 149 ECU per tonnellata, e il valore doganale dichiarato, valore che tali autorità non ritenevano plausibile.

    13

    La Carboni forniva garanzia fideiussoria per il pagamento della somma richiesta a titolo di dazio antidumping dal garante, cioè la RAS, ma conveniva in giudizio quest’ultima e il Ministero dinanzi al Tribunale di Bari contestando la fondatezza della richiesta del dazio antidumping nonché, di conseguenza, la necessità del deposito in garanzia.

    14

    La Carboni faceva valere, in particolare, che il prezzo di 151 ECU per tonnellata, indicato nella fattura emessa dalla CMP era superiore al prezzo minimo di importazione (ECU 149 /t), cosicché non ci sarebbe stato motivo di imporre un dazio antidumping.

    15

    Il Ministero, da parte sua, sosteneva che la dichiarazione di importazione era accompagnata da un certificato di origine invalido e che il prezzo indicato sulla fattura pro forma della CMP era inattendibile. Al riguardo esso faceva presente che la fattura relativa alla vendita precedente, rilasciata dalla OME-DTECH, avrebbe indicato un prezzo di vendita alla CMP di 130,983 ECU per tonnellata, un prezzo dunque inferiore al prezzo minimo di importazione stabilito dalla decisione n. 67/94.

    16

    Il ricorso della Carboni veniva respinto con sentenza del Tribunale di Bari 30 settembre 2000 con l’argomento, in particolare, che la difesa del mercato europeo attraverso l’imposizione di un dazio antidumping doveva essere attuata al momento dell’ingresso nella Comunità, vale a dire al momento del primo acquisto da parte di un operatore comunitario.

    17

    La Carboni impugnava la sentenza dinanzi alla Corte d’appello di Bari, la quale lo dichiarava infondato. Secondo il giudice d’appello, l’espressione «immissione in libera pratica» di cui all’art. 201 del codice doganale comunitario designa l’introduzione della merce nel mercato comunitario e ciò impone di prendere in considerazione la fase commerciale di acquisto della merce da parte del primo operatore comunitario. Diversamente, infatti, la normativa antidumping potrebbe essere facilmente aggirata.

    18

    Contro questa sentenza la Carboni ha proposto ricorso per cassazione. Dinanzi alla Corte suprema di cassazione essa ha fatto valere, in particolare, da un lato, che l’immissione in libera pratica si verifica solo nel momento in cui la merce entra nel territorio doganale della Comunità e non quando viene semplicemente acquistata da un soggetto comunitario in uno Stato situato fuori dalla Comunità. La funzione del dazio antidumping non sarebbe, infatti, quella di sanzionare lo Stato produttore per impedirgli di esportare ad un prezzo determinato, ma di evitare che merce sottocosto entri nel mercato comunitario, producendo effetti negativi sulla concorrenza.

    19

    Dall’altro lato, la Carboni ha fatto riferimento all’art. 1, n. 2, della decisione 1751/94/CECA nonché all’art. 29, n. 1, primo comma, incipit, del codice doganale comunitario, ai termini del quale «il valore in dogana delle merci importate è il valore di transazione, cioè il prezzo effettivamente pagato». Ne ha concluso che, non essendovi riserve circa la veridicità della fattura di acquisto emessa dalla CMP, l’importo pagato da quest’ultima sarebbe irrilevante. La differenza di prezzo tra acquisto e rivendita sarebbe giustificata, infatti, da diversi fattori quali l’attività di intermediazione, le spese di trasporto e l’assunzione dei rischi.

    20

    Secondo il Ministero, la ratio legis della normativa antidumping conduce a ritenere che il pregiudizio al mercato comunitario non si realizzi soltanto con la concreta immissione nel territorio doganale comunitario di merci sottocosto, ma anche nel caso in cui un operatore comunitario acquisti dette merci ad un prezzo inferiore rispetto ad altri operatori comunitari.

    21

    La Corte suprema di cassazione si chiede se le autorità doganali possano scegliere come base per l’applicazione di un dazio antidumping il valore corrispondente al prezzo pattuito per le merci di cui trattasi in una vendita avvenuta prima di quella sulla base della quale è stata resa la dichiarazione in dogana; in altre parole, se il momento determinante sia la vendita conclusa per l’esportazione nel territorio doganale comunitario, indipendentemente dalla presentazione in dogana.

    22

    In definitiva, secondo la Corte suprema di cassazione, occorre stabilire se alla libertà dell’operatore di scegliere, per la determinazione del valore doganale, il prezzo pagato per le merci di cui trattasi in una transazione precedente a quella sulla base della quale è stata resa la dichiarazione in dogana corrisponda un identico potere dell’amministrazione doganale.

    23

    Dopo aver constatato che tale questione non è stata ancora oggetto di una pronuncia della Corte di giustizia, la Corte Suprema di Cassazione ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre a detta Corte la seguente questione pregiudiziale:

    «Se, secondo i principi del diritto doganale comunitario, ai fini dell’applicazione di un dazio antidumping, quale quello istituito con la decisione [n. 67/94], l’autorità doganale possa far riferimento al prezzo di una vendita delle stesse merci, precedente a quella sulla cui base è stata resa la dichiarazione in dogana, qualora il compratore sia un soggetto comunitario o, comunque, la vendita sia avvenuta per l’importazione nella Comunità».

    Quanto alla questione pregiudiziale

    24

    Con la questione posta il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la normativa doganale comunitaria pertinente legittimi le autorità doganali a determinare il valore doganale, ai fini dell’applicazione del dazio antidumping istituito dalla decisione n. 67/94, sulla base del prezzo pattuito per le medesime merci in una vendita precedente a quella per la quale è stata resa la dichiarazione in dogana.

    25

    Per risolvere la questione si deve verificare innanzi tutto se le autorità doganali possano, in generale, fare riferimento, ai fini dell’applicazione del dazio antidumping istituito da detta decisione, al prezzo stabilito per le stesse merci in una vendita precedente, anche qualora il prezzo dichiarato corrisponda a quello che l’importatore ha effettivamente pagato o dovrà pagare. Dopodiché, in caso di soluzione negativa, si dovrebbe verificare se le autorità doganali dispongano di tale facoltà almeno in singoli casi, allorché dubitano della veridicità del prezzo dichiarato in dogana.

    Quanto alla possibilità, per le autorità doganali, di fare riferimento ad una vendita precedente, ai fini dell’applicazione del dazio antidumping istituito dalla decisione n. 67/94, allorché il prezzo dichiarato corrisponde a quello che l’importatore ha effettivamente pagato o dovrà pagare

    26

    Per stabilire se le autorità doganali possano fare riferimento, ai fini dell’applicazione del dazio antidumping istituito dalla decisione n. 67/94, al prezzo stabilito per le merci di cui trattasi in una vendita precedente, anche qualora il prezzo dichiarato corrisponda a quello che l’importatore ha effettivamente pagato o dovrà pagare, è necessario interpretare la nozione di «valore doganale dichiarato» ai sensi dell’art. 1, n. 2, della decisione n. 67/94.

    27

    Si deve osservare innanzi tutto che per «valore doganale (…)» s’intende il valore in dogana delle merci importate, come definito nell’ambito della normativa doganale (v., per analogia, sentenza 29 maggio 1997, causa C-93/96, ICT, Racc. pag. I-2881, punto 14). In considerazione dell’epoca dei fatti della causa principale occorre fare riferimento all’art. 29, n. 1, del codice doganale comunitario, che definisce il valore doganale come il «valore di transazione, cioè il prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci quando siano vendute per l’esportazione a destinazione del territorio doganale della Comunità», previa eventuale rettifica effettuata conformemente alle altre pertinenti disposizioni del codice doganale comunitario.

    28

    Detto art. 29, n. 1, precisa che il valore doganale concerne solo le merci «vendute per l’esportazione a destinazione del territorio doganale della Comunità». Ne risulta che deve essere dimostrato, al momento della vendita, che le merci originarie di uno Stato terzo sono destinate al territorio doganale della Comunità [v., per analogia, quanto all’art. 3, n. 1, del regolamento (CEE) del Consiglio 28 maggio 1980, n. 1224, relativo al valore in dogana delle merci (GU L 134, pag. 1), disposizione sostanzialmente identica a quella dell’art. 29, n. 1, del codice doganale comunitario, sentenza 6 giugno 1990, causa C-11/89, Unifert, Racc. pag. I-2275, punto 11].

    29

    Ai termini dell’art. 147, n. 1, prima frase, del regolamento di applicazione, il fatto che le merci oggetto di una vendita siano dichiarate per l’immissione in libera pratica è da considerarsi un’indicazione sufficiente che detta condizione sia soddisfatta. La seconda frase del n. 1 dell’art. 147, nella versione in vigore all’epoca dei fatti in causa, precisava che detta indicazione vale anche nel caso di vendite successive anteriori alla valutazione.

    30

    Così, in caso di vendite successive, ai fini della determinazione del «valore di transazione» di cui all’art. 29, n. 1, del codice doganale comunitario è possibile tener conto di prezzi corrispondenti a vendite concluse dopo l’esportazione, ma prima dell’immissione in libera pratica nella Comunità (v., per analogia, sentenza Unifert, cit., punto 13).

    31

    Se ne ricava che, in caso di vendite successive di merci a destinazione del territorio doganale della Comunità, l’importatore è libero di scegliere, tra i prezzi pattuiti per ciascuna di tali vendite, quello che assumerà come base per il valore in dogana di dette merci, purché sia in grado di fornire alle autorità doganali, per quel che riguarda il prezzo prescelto, tutti gli elementi e i documenti necessari (v., per analogia, sentenza Unifert, cit., punti 16 e 21).

    32

    Partendo da questa precisazione circa il significato di tale nozione di «valore doganale (…)», che rinvia alle disposizioni doganali e dunque riconosce all’importatore la facoltà di scelta descritta al punto precedente, occorre determinare, poi, il significato dell’aggiunta a tale nozione del termine «dichiarato» per risolvere la questione della Corte suprema di cassazione se anche le autorità doganali abbiano una facoltà di scelta che permetta loro di fare riferimento al prezzo di una vendita anteriore come base per l’applicazione di un dazio antidumping.

    33

    Con l’aggiunta del termine «dichiarato» l’art. 1, n. 2, della decisione n. 67/94 mette in evidenza che la base di applicazione del dazio antidumping non è il valore doganale in quanto tale, ma il valore doganale indicato dall’importatore. Si desume da tale disposizione che i prezzi delle vendite anteriori a quella il cui prezzo è stato scelto dall’importatore ai fini della dichiarazione in dogana non possono essere presi in considerazione per applicare un dazio antidumping. Appare così chiaro che già il testo dell’art. 1, n. 2, della decisione n. 67/94 esclude che le autorità doganali abbiano la facoltà di scegliere il prezzo della prima vendita come base del valore in dogana per applicare un dazio antidumping.

    34

    Il governo italiano ritiene, tuttavia, che nella causa principale le autorità doganali potessero determinare il dazio doganale sulla base della vendita della ghisa ematite dalla OME-DTECH alla CMP, visto che già quest’ultima impresa era un operatore comunitario. La Commissione, da parte sua, pur ammettendo che il tenore letterale della decisione n. 67/94 non lascia alcuna possibilità di calcolare il dazio variabile diversamente che sulla base del prezzo dell’ultima operazione denunciata in dogana, rileva che l’obiettivo di un dazio antidumping fondato sulla fissazione di un prezzo all’importazione minimo può essere facilmente aggirato e che sussiste une «certa tensione» nell’utilizzare il prezzo pattuito nell’ultima vendita ai fini, da un lato, del diritto doganale e, dall’altro, di dazi antidumping variabili fondati su un prezzo all’importazione minimo.

    35

    A tale proposito si deve ricordare che il testo dell’art. 1, n. 2, della decisione n. 67/94 prevede espressamente e senza ambiguità che il parametro per la determinazione del dazio antidumping è il valore dichiarato in dogana. Occorre perciò stabilire innanzi tutto se gli argomenti dedotti dal governo italiano e dalla Commissione siano fondati e, in caso affermativo, se siano idonei a rimettere in discussione il risultato che il testo dell’art. 1, n. 2, della decisione n. 67/94 impone.

    36

    Quanto, in primo luogo, all’argomento del governo italiano relativo al testo dell’art. 1, n. 2, della decisione n. 1751/94, che istituisce un dazio antidumping definitivo, si deve osservare che l’espressione «valore riconosciuto in dogana», che figura in tale disposizione, intende esprimere la semplice evidenza che il prezzo indicato dal dichiarante non s’impone in quanto tale per la determinazione di un dazio antidumping.

    37

    L’art. 29, n. 1, del codice doganale comunitario prevede, infatti, che il valore doganale, vale a dire il valore di transazione, possa essere rettificato all’occorrenza conformemente agli artt. 32 e 33 dello stesso codice. Inoltre, come risulta, per esempio, dall’art. 29, nn. 1, lett. d), e 2, di detto codice, le autorità doganali sono legittimate a verificare il prezzo indicato dal dichiarante e, eventualmente, a non accettarlo. Pertanto, i termini dell’art. 1, n. 2, della decisione n. 1751/94 non contengono nessun indizio che possa rimettere in discussione il risultato che il testo dell’art. 1, n. 2, della decisione n. 67/94 impone.

    38

    In secondo luogo, il governo italiano sostiene che occorre tener conto dello scopo della normativa antidumping e, a tal fine, considera l’insieme delle fasi di una vendita successiva, escludendo un approccio troppo formalistico. In caso di vendite successive da cui risulti l’immissione in libera pratica di una merce, le diverse vendite stipulate in vista dell’importazione nel territorio doganale della Comunità dovrebbero essere considerate stadi preliminari della stessa importazione, di modo che il momento da prendere in considerazione per determinare il valore doganale ai fini dell’applicazione di un dazio antidumping corrisponderebbe necessariamente a quello del primo acquisto della merce da parte di un operatore comunitario, tale essendo il momento in cui questa merce è entrata nel «circuito comunitario».

    39

    Come ha osservato giustamente l’avvocato generale ai paragrafi 56-58 delle conclusioni, dagli artt. 1 e 2, n. 1, della decisione di base discende che le norme antidumping sono finalizzate ad assicurare una difesa contro le importazioni oggetto di dumping o di sovvenzioni e che un dazio antidumping può essere imposto su qualsiasi prodotto oggetto di dumping la cui messa in libera pratica nella Comunità causi un pregiudizio sostanziale.

    40

    Alla luce di queste disposizioni, l’applicazione di una misura antidumping presuppone, dunque, un’introduzione di merci nel mercato comunitario dannosa per l’industria comunitaria. La normativa antidumping non riguarda una vendita di merci in quanto tale, come, nella causa principale, la prima vendita di ghisa ematite dalla OME-DTECH alla CMP, fintantoché tali merci non sono effettivamente esportate nel territorio doganale comunitario o messe in libera pratica nella Comunità. I dazi antidumping, infatti, hanno lo scopo di neutralizzare il margine di dumping che risulta dalla differenza tra il prezzo di esportazione nella Comunità e il normale valore del prodotto, rimuovendo così gli effetti dannosi dell’importazione delle merci di cui trattasi nella Comunità. Come risulta dai punti 64 e 67 della decisione n. 67/94, nel caso della ghisa ematite il prezzo minimo di 149 ECU per tonnellata rappresenta il livello di prezzo al quale dette importazioni cessano di arrecare un pregiudizio sostanziale all’industria comunitaria.

    41

    Così, lo scopo delle norme antidumping non implica, in linea di principio, l’applicazione di un dazio antidumping stabilito sulla base del prezzo pattuito in una vendita precedente delle merci di cui trattasi se il prezzo effettivamente pagato o da pagare da parte del dichiarante è uguale o superiore al prezzo minimo previsto dalla misura antidumping.

    42

    Il governo italiano sostiene tuttavia, più in particolare, che dall’obiettivo della decisione n. 67/94 deriva che, in caso di vendite successive destinate all’importazione nel territorio comunitario cui consegua l’immissione in libera pratica, il primo acquisto della merce da parte di un operatore comunitario è determinante per l’applicazione del dazio antidumping. Il pregiudizio al mercato comunitario non deriverebbe, infatti, soltanto dalla concreta immissione nel territorio doganale della Comunità di merci sottocosto, ma anche dal fatto che un operatore economico comunitario viene favorito rispetto agli altri operatori comunitari acquistando dette merci ad un prezzo inferiore a quello pagato da questi ultimi.

    43

    Tale argomentazione presuppone che l’obiettivo perseguito dalla decisione n. 67/94 possa essere aggirato in caso di vendite successive, anche qualora, come nella causa principale, il prezzo dell’ultima vendita, al cui stadio è avvenuta l’immissione in libera pratica, sia superiore al prezzo minimo di importazione.

    44

    A tale riguardo occorre osservare che il mero fatto che un operatore economico comunitario possa essere favorito rispetto ad altri operatori comunitari acquistando merci ad un prezzo inferiore a quello che essi hanno pagato non compromette il raggiungimento dell’obiettivo della decisione n. 67/94. Questo consiste, infatti, non nel togliere eventuali utili agli importatori, bensì, come risulta al punto 64 della stessa decisione, nell’evitare che l’industria comunitaria, ossia i produttori, subisca un pregiudizio sostanziale.

    45

    In terzo ed ultimo luogo il governo italiano, sostenuto dalla Commissione, fa valere che il dazio antidumping variabile istituito dalla decisione n. 67/94 può essere facilmente aggirato attraverso, ad esempio, una compensazione trasversale di prezzi, applicata su altri prodotti, o attraverso la dichiarazione di prezzi gonfiati.

    46

    In proposito, si deve ricordare che, ai sensi dell’art. 13, n. 2, della decisione di base, le misure che istituiscono un dazio antidumping indicano, in particolare, l’ammontare e il tipo di dazio imposto nonché taluni altri elementi. Da questa disposizione risulta che le istituzioni sono libere di scegliere, nei limiti del loro potere discrezionale, tra i diversi tipi di dazio (v. sentenza 11 luglio 1990, cause riunite C-305/86 e C-160/87, Neotype Techmashexport/Commissione e Consiglio, Racc. pag. I-2945, punto 58). Così, nel caso della ghisa ematite originaria degli Stati considerati dalla decisione n. 67/94, la Commissione aveva la facoltà di istituire un dazio specifico, eventualmente insieme ad un dazio variabile, più difficile da aggirare [v., quanto al regolamento (CEE) del Consiglio 23 ottobre 1992, n. 3068, che istituisce un dazio antidumping definitivo sulle importazioni di cloruro di potassio, originario della Belarus, della Russia e dell’Ucraina (GU L 308, pag. 41), come modificato dal regolamento (CE) del Consiglio 21 marzo 1994, n. 643 (GU L 80, pag. 1), sentenza del Tribunale 29 settembre 2000, causa T-87/98, International Potash Company/Consiglio, Racc. pag. II-3179, punti 43-48]. Ebbene, come si legge al punto 66 della decisione n. 67/94, la Commissione ha ritenuto, facendo uso del suo potere discrezionale, che nel caso in esame, per realizzare gli obiettivi fissati, «l’introduzione di un prezzo minimo [fosse] la misura più appropriata».

    47

    Dato che un dazio variabile può essere facilmente aggirato, anche se tale pratica può essere evitata istituendo un dazio specifico o una combinazione di un dazio variabile più un dazio specifico, la circostanza che la Commissione abbia deciso di ricorrere, nonostante tutto, attraverso la decisione n. 67/94, ad un dazio variabile non può giustificare in sé che sia abbandonata in generale, a danno degli importatori, la determinazione del dazio antidumping sulla base del valore doganale dichiarato, come previsto da detta decisione.

    48

    Tutto ciò considerato, gli argomenti dedotti dal governo italiano e dalla Commissione non permettono di rimettere in discussione il risultato imposto espressamente e senza ambiguità dal testo dell’art. 1, n. 2, della decisione n. 67/94 (v., per analogia, sentenza 8 dicembre 2005, causa C-220/03, BCE/Germania, Racc. pag. I-10595, punto 31).

    49

    Da quanto precede si deve concludere che, conformemente all’art. 1, n. 2, della decisione n. 67/94, le autorità doganali non possono determinare il valore doganale ai fini dell’applicazione del dazio antidumping istituito da tale decisione sulla base del prezzo fissato per le merci di cui trattasi in una vendita precedente a quella per la quale è stata resa la dichiarazione in dogana, qualora il prezzo dichiarato corrisponda a quello effettivamente pagato o da pagare da parte dell’importatore.

    Quanto alla possibilità, per le autorità doganali, di fare riferimento ad una vendita precedente, ai fini dell’applicazione del dazio antidumping istituito dalla decisione n. 67/94, allorché dubitano della veridicità del prezzo dichiarato in dogana

    50

    Per stabilire se le autorità doganali possano fare riferimento, per l’applicazione di un dazio antidumping ai sensi della decisione n. 67/94, al prezzo stabilito in una vendita precedente a quella per la quale è stata resa la dichiarazione doganale, allorché dubitano della veridicità del prezzo indicato in tale dichiarazione, occorre esaminare le pertinenti disposizioni del regolamento di applicazione e gli artt. 29-31 del codice doganale comunitario tenendo conto delle caratteristiche di un dazio antidumping variabile.

    51

    A tale proposito si deve ricordare che, ai sensi dell’art. 1, n. 3, della decisione n. 67/94, trovano applicazione le disposizioni in vigore in materia di dazi doganali.

    52

    In tale contesto occorre sottolineare che l’art. 181 bis del regolamento di applicazione, introdotto dal regolamento n. 3254/94, stabilisce che, qualora abbiano fondati dubbi che il valore dichiarato non rappresenti l’importo totale pagato o da pagare, le autorità doganali non sono tenute a determinare il valore doganale in base al metodo del valore di transazione e possono respingere il prezzo dichiarato qualora tali dubbi persistano anche dopo una richiesta di ulteriori informazioni o complementi di documentazione e dopo aver fornito all’interessato una ragionevole possibilità di far valere il proprio punto di vista riguardo ai motivi alla base di detti dubbi.

    53

    Tale norma del regolamento di applicazione, sebbene non fosse ancora in vigore allorché le merci di cui trattasi nella causa principale sono state dichiarate in dogana, codifica, secondo le informazioni fornite dalla Commissione, una pratica doganale consolidata a livello tanto internazionale quanto comunitario quale quella attuata all’epoca dei fatti di causa. In più, l’art. 29, n. 2, lett. a), del codice doganale comunitario prevede una procedura uguale qualora le autorità doganali abbiano motivo di ritenere che un legame tra il compratore e il venditore abbia influito sul prezzo. Si deve perciò concludere che questi requisiti procedurali sono inerenti al sistema di valutazione.

    54

    Facendo riferimento all’art. 181 bis del regolamento di applicazione ed alla pratica doganale summenzionata, la Commissione ritiene che le autorità doganali italiane fossero legittimate a prendere in considerazione il prezzo pattuito in una vendita precedente a quella sulla base della quale era stato dichiarato il valore in dogana.

    55

    Occorre rilevare che l’art. 181 bis del regolamento di applicazione si limita ad enunciare che le autorità doganali «non sono tenute a determinare il valore in dogana delle merci importate in base al metodo del valore di transazione», senza precisare quale altro valore debba, in tal caso, essere sostituito a quest’ultimo.

    56

    Conformemente gli artt. 30 e 31 del codice doganale comunitario, che sono applicabili al dazio antidumping istituito dalla decisione n. 67/94 ai sensi dell’art. 1, n. 3, della stessa, il valore in dogana delle merci, se non può essere determinato ai sensi dell’art. 29 di tale codice, viene stabilito ai sensi, in primo luogo, dell’art. 30 e, in secondo luogo, dell’art. 31.

    57

    Si pone così il problema di stabilire se, nel caso in cui non sia possibile accertare con un’indagine come quella descritta al punto 52 della presente sentenza il valore effettivo di transazione, vale a dire il prezzo effettivamente pagato o da pagare per l’operazione per la quale è stata resa la dichiarazione in dogana, le autorità doganali possano, conformemente agli artt. 30 e 31 del codice doganale comunitario, fare riferimento al prezzo pattuito in una vendita precedente.

    58

    Quanto, da un lato, all’art. 30 del codice doganale comunitario, si deve ricordare che esso mira, in sostanza, a stabilire il valore doganale sulla base del prezzo praticato in genere per la merce di cui trattasi. Orbene, la caratteristica del dumping è di introdurre una merce sul mercato comunitario ad un prezzo inferiore a quello praticato su tale mercato. La particolarità di un dazio antidumping variabile, poi, risiede nel fatto che esso è calcolato in funzione della differenza tra il prezzo all’importazione minimo e quello convenuto in concreto per la merce in questione. Pertanto, il valore doganale determinato conformemente al detto art. 30, con riferimento ai prezzi generalmente pagati o da pagare, non può essere utilizzato per l’applicazione di un dazio antidumping variabile.

    59

    Dall’altro lato, l’art. 31, n. 1, del codice doganale comunitario prevede che, nelle ipotesi ivi configurate, il valore doganale venga stabilito sulla base dei dati disponibili nella Comunità, ricorrendo a mezzi ragionevoli compatibili con i principi e con le disposizioni generali degli accordi internazionali nonché delle norme che esso elenca.

    60

    A tale riguardo si deve ricordare che risulta dalla giurisprudenza che la normativa comunitaria in materia di valutazione doganale mira a stabilire un sistema equo, uniforme e neutro che escluda l’impiego di valori in dogana arbitrari o fittizi (sentenze Unifert, cit., punto 35; 19 ottobre 2000, causa C-15/99, Sommer, Racc. pag. I-8989, punto 25, e 16 novembre 2006, causa C-306/04, Compaq Computer International Corporation, Racc. pag. I-10991, punto 30) e che tale obiettivo risponde alle necessità della prassi commerciale (sentenza 25 luglio 1991, causa C-299/90, Hepp, Racc. pag. I-4301, punto 13). Conformemente al punto 2 delle note interpretative in materia di valore doganale dell’allegato 23 del regolamento di applicazione relative all’art. 31, n. 1, del codice doganale comunitario, i metodi di valutazione da utilizzare a norma dell’art. 31, n. 1, dovrebbero essere quelli definiti dagli artt. 29 e 30, n. 2; una «ragionevole elasticità» nell’applicazione di tali metodi sarebbe tuttavia conforme agli obiettivi e alle disposizioni dello stesso art. 31, n. 1.

    61

    Tenuto conto della necessità di stabilire un valore doganale ai fini dell’applicazione di un dazio antidumping variabile e della «ragionevole elasticità» menzionata al punto 2 delle dette note interpretative, si deve ammettere che il prezzo fissato nell’ambito di una vendita anteriore a quella per la quale è stata effettuata la dichiarazione in dogana può costituire uno di quei dati disponibili nella Comunità che l’art. 31, n. 1, del codice doganale comunitario permette di prendere in considerazione come base per determinare il valore doganale. In effetti, vista la particolarità di un dazio antidumping variabile ricordata al punto 58 della presente sentenza, il riferimento a tale prezzo costituisce un modo di determinazione del detto valore doganale che è, al tempo stesso, «ragionevole» nel senso dell’art. 31, n. 1, e compatibile con i principi e con le disposizioni generali degli accordi internazionali nonché delle norme alle quali tale art. 31, n. 1, si riferisce.

    62

    Nondimeno, in applicazione dell’art. 31, n. 2, lett. b), del codice doganale comunitario, il valore in dogana determinato ai sensi del n. 1 dell’art. 31 non può basarsi su un sistema che prevede l’accettazione, ai fini doganali, del più elevato dei due valori possibili. Adattata ad un contesto relativo ad un dazio antidumping variabile, tale disposizione esclude un sistema che consideri l’accettazione del valore più basso. A sua volta l’art. 31, n. 2, lett. g), del medesimo codice esclude che detto valore in dogana sia basato su valori arbitrari o fittizi.

    63

    Si deve perciò precisare che il valore in dogana pertinente per la determinazione di un dazio antidumping variabile corrisponde al prezzo che è stato convenuto nella vendita precedente più vicina a quella per la quale è stata resa la dichiarazione in dogana, della cui veridicità le autorità doganali non abbiano oggettivamente alcun motivo di dubitare.

    64

    Alla luce delle considerazioni sopra svolte, si deve risolvere la questione posta nel senso che, conformemente all’art. 1, n. 2, della decisione n. 67/94, ai fini dell’applicazione di un dazio antidumping come quello istituito dalla detta decisione, le autorità doganali non possono determinare il valore doganale sulla base del prezzo fissato per le merci di cui trattasi in una vendita precedente a quella per la quale è stata resa la dichiarazione in dogana, qualora il prezzo dichiarato corrisponda a quello effettivamente pagato o da pagare da parte dell’importatore. Nel caso in cui le autorità doganali abbiano fondati dubbi sulla veridicità del valore dichiarato e tali dubbi persistano dopo che siano state richieste informazioni complementari e sia stata concessa all’interessato una ragionevole possibilità di far valere il proprio punto di vista riguardo ai motivi alla base di detti dubbi, ma non sia stato possibile dimostrare il prezzo effettivamente pagato o da pagare, le autorità doganali possono, ai sensi dell’art. 31 del codice doganale comunitario, calcolare il valore doganale ai fini dell’applicazione del dazio antidumping istituito dalla decisione n. 67/94 facendo riferimento al prezzo concordato per le merci di cui trattasi nella vendita precedente più vicina a quella per la quale è stata resa la dichiarazione in dogana, della cui veridicità dette autorità non abbiano oggettivamente alcun motivo di dubitare.

    Sulle spese

    65

    Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

     

    Per questi motivi, la Corte (Quarta Sezione) dichiara:

     

    Conformemente all’art. 1, n. 2, della decisione della Commissione 12 gennaio 1994, 67/94/CECA, che istituisce un dazio antidumping provvisorio sulle importazioni nella Comunità di ghisa ematite originaria del Brasile, della Polonia, della Russia e dell’Ucraina, le autorità doganali non possono determinare il valore doganale ai fini dell’applicazione del dazio antidumping istituito da tale decisione sulla base del prezzo fissato per le merci di cui trattasi in una vendita precedente a quella per la quale è stata resa la dichiarazione in dogana, qualora il prezzo dichiarato corrisponda a quello effettivamente pagato o da pagare da parte dell’importatore.

     

    Nel caso in cui le autorità doganali abbiano fondati dubbi sulla veridicità del valore dichiarato e tali dubbi persistano dopo che siano state richieste informazioni complementari e sia stata concessa all’interessato una ragionevole possibilità di far valere il proprio punto di vista riguardo ai motivi alla base di detti dubbi, ma non sia stato possibile dimostrare il prezzo effettivamente pagato o da pagare, le autorità doganali possono, ai sensi dell’art. 31 del regolamento del Consiglio 12 ottobre 1992, n. 2913, che istituisce un codice doganale comunitario, calcolare il valore doganale ai fini dell’applicazione del dazio antidumping istituito dalla decisione n. 67/94 facendo riferimento al prezzo concordato per le merci di cui trattasi nella vendita precedente più vicina a quella per la quale è stata resa la dichiarazione in dogana, della cui veridicità dette autorità non abbiano oggettivamente alcun motivo di dubitare.

     

    Firme


    ( *1 ) Lingua processuale: l’italiano.

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