EUR-Lex L'accesso al diritto dell'Unione europea

Torna alla homepage di EUR-Lex

Questo documento è un estratto del sito web EUR-Lex.

Documento 62003CJ0094

Sentenza della Corte (Seconda Sezione) del 10 gennaio 2006.
Commissione delle Comunità europee contro Consiglio dell'Unione europea.
Ricorso di annullamento - Decisione del Consiglio 2003/106/CE riguardante l'approvazione della Convenzione di Rotterdam - Procedura di previo assenso informato - Prodotti chimici e pesticidi pericolosi oggetto di commercio internazionale - Scelta del fondamento normativo - Artt. 133 CE e 175 CE.
Causa C-94/03.

Raccolta della Giurisprudenza 2006 I-00001

Identificatore ECLI: ECLI:EU:C:2006:2

Causa C‑94/03

Commissione delle Comunità europee

contro

Consiglio dell’Unione europea

«Ricorso di annullamento — Decisione del Consiglio 2003/106/CE riguardante l’approvazione della Convenzione di Rotterdam — Procedura di previo assenso informato — Prodotti chimici e pesticidi pericolosi oggetto di commercio internazionale — Scelta del fondamento normativo — Artt. 133 CE e 175 CE»

Conclusione dell’avvocato generale J. Kokott, presentate il 26 maggio 2005 

Sentenza della Corte (Seconda Sezione) 10 gennaio 2006 

Massime della sentenza

1.     Atti delle istituzioni — Scelta del fondamento normativo — Criteri — Atto comunitario che persegue una duplice finalità o che ha una doppia componente

2.     Accordi internazionali — Conclusione — Convenzione di Rotterdam

(Artt. 133 CE, 175, n. 1, CE e 300, n. 2, primo comma, e n. 3, primo comma, CE)

1.     La scelta del fondamento normativo di un atto comunitario, ivi compreso l’atto adottato ai fini della conclusione di un accordo internazionale, deve basarsi su elementi oggettivi, suscettibili di sindacato giurisdizionale, tra i quali figurano, in particolare, lo scopo e il contenuto dell’atto.

Se l’esame di un atto comunitario dimostra che esso persegue una duplice finalità o che ha una doppia componente e se una di queste è identificabile come principale o preponderante, mentre l’altra è solo accessoria, l’atto deve basarsi su un solo fondamento normativo, ossia quello richiesto dalla finalità o componente principale o preponderante. In via eccezionale, ove sia provato, per contro, che l’atto persegue contemporaneamente più obiettivi o che ha più componenti tra loro inscindibili, senza che uno di essi assuma importanza secondaria o indiretta rispetto all’altro, tale atto dovrà basarsi sui diversi fondamenti normativi corrispondenti. Tuttavia, il ricorso ad un duplice fondamento normativo è escluso quando le procedure previste relativamente all’uno e all’altro fondamento normativo siano incompatibili e/o quando il cumulo di fondamenti normativi sia tale da pregiudicare i diritti del Parlamento.

(v. punti 34-36, 52)

2.     La Convenzione di Rotterdam, sulla procedura di previo assenso informato per taluni prodotti chimici e pesticidi pericolosi nel commercio internazionale, presenta, riguardo sia alle finalità perseguite, sia al suo contenuto, due componenti indissolubilmente connesse, ove l’una non può essere ritenuta secondaria o indiretta rispetto all’altra, essendo ricompresa, l’una, nella politica commerciale comune e, l’altra, nella tutela della salute umana e dell’ambiente. Di conseguenza, la decisione 2003/106, riguardante l’approvazione a nome della Comunità europea della detta Convenzione, doveva fondarsi sui due relativi fondamenti normativi, vale a dire, nel caso di specie, gli artt. 133 CE e 175, n. 1, CE, in combinato disposto con le pertinenti disposizioni di cui all’art. 300 CE.

A tal riguardo occorre osservare, da un lato, che il ricorso congiunto agli artt. 133 CE e 175, n. 1, CE non è escluso dall’incompatibilità delle procedure previste per questi due fondamenti normativi. Infatti, la Convenzione di Rotterdam non è ricompresa nella categoria degli accordi che, ai sensi dell’art. 133, n. 5, CE, richiedono l’unanimità in seno al Consiglio, sicché il ricorso aggiuntivo all’art. 133 CE non poteva influenzare in alcun modo le regole sul voto applicabili nell’ambito del Consiglio, dal momento che tale ultima disposizione prevede, in linea di principio, al pari dell’art. 175, n. 1, CE, il ricorso alla maggioranza qualificata. Dall’altro, il ricorso congiunto agli artt. 133 CE e 175, n. 1, CE non è nemmeno tale da pregiudicare i diritti del Parlamento dal momento che, se è pur vero che il primo articolo, letto in combinato disposto con l’art. 300, n. 3, primo comma, CE, non prevede la consultazione della detta istituzione prima della conclusione di un accordo nel settore della politica commerciale, il secondo articolo, per contro, consegue un tale risultato.

Ne discende che la detta decisione 2003/106 dev’essere annullata in quanto si fonda solo sull’art. 175, n. 1, CE, in combinato disposto con l’art. 300, n. 2, primo comma, prima frase, e n. 3, primo comma, CE.

(v. punti 51-54, 56)




SENTENZA DELLA CORTE (Seconda Sezione)

10 gennaio 2006 (*)

«Ricorso di annullamento – Decisione del Consiglio 2003/106/CE riguardante l’approvazione della Convenzione di Rotterdam – Procedura di previo assenso informato – Prodotti chimici e pesticidi pericolosi oggetto di commercio internazionale – Scelta del fondamento normativo – Artt. 133 CE e 175 CE»

Nella causa C‑94/03,

avente ad oggetto un ricorso di annullamento, ai sensi dell’art. 230 CE, proposto il 28 febbraio 2003,

Commissione delle Comunità europee, rappresentata dal sig. G. zur Hausen nonché dalle sig.re L. Ström van Lier ed E. Righini, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

ricorrente,

contro

Consiglio dell’Unione europea, rappresentato inizialmente dal sig. B. Hoff‑Nielsen e dalla sig.ra M. Sims‑Robertson, successivamente da quest’ultima e dalla sig.ra K. Michoel, in qualità di agenti,

convenuto,

sostenuto da:

Repubblica francese, rappresentata dai sigg. G. de Bergues, F. Alabrune ed E. Puisais, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

Regno dei Paesi Bassi, rappresentato dalle sig.re H.G. Sevenster e S. Terstal nonché dal sig. N.A.J. Bel, in qualità di agenti,

Repubblica d’Austria, rappresentata dal sig. E. Riedl, in qualità di agente, con domicilio eletto in Lussemburgo,

Repubblica finlandese, rappresentata dalla sig.ra T. Pynnä, in qualità di agente, con domicilio eletto in Lussemburgo,

Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, rappresentato dalla sig.ra R. Caudwell, in qualità di agente, assistita dal sig. A. Dashwood, barrister, con domicilio eletto in Lussemburgo,

Parlamento europeo, rappresentato inizialmente dai sigg. C. Pennera e M. Moore, successivamente da quest’ultimo e dal sig. K. Bradley, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

intervenienti,

LA CORTE (Seconda Sezione),

composta dal sig. C.W.A. Timmermans (relatore), presidente di sezione, dai sigg. J. Makarczyk, C. Gulmann, P. Kūris e J. Klučka, giudici,

avvocato generale: sig.ra J. Kokott

cancelliere: sig.ra L. Hewlett, amministratore principale

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 7 aprile 2005,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 26 maggio 2005,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1       Con il ricorso in oggetto, la Commissione delle Comunità europee chiede l’annullamento della decisione del Consiglio 19 dicembre 2002, 2003/106/CE, riguardante l’approvazione, a nome della Comunità europea, della Convenzione di Rotterdam sulla procedura di previo assenso informato per taluni prodotti chimici e pesticidi pericolosi nel commercio internazionale (GU 2003, L 63, pag. 27; in prosieguo: la «decisione impugnata»), nella parte in cui si fonda sull’art. 175, n. 1, CE e non sull’art. 133 CE.

 Contesto normativo

2       Adottata il 10 settembre 1998 e disponibile, sin dal giorno successivo, alla firma di tutti gli Stati e le organizzazioni regionali di integrazione economica, la detta Convenzione di Rotterdam (in prosieguo: la «Convenzione»), ai termini dell’art. 1, ha lo scopo «di promuovere la responsabilità solidale e la cooperazione tra le parti nel commercio internazionale di taluni prodotti chimici pericolosi, a tutela della salute umana e dell’ambiente contro i potenziali effetti nocivi di tali sostanze, nonché di contribuire al loro utilizzo ecologicamente razionale». Lo stesso articolo precisa che tale scopo va conseguito «favorendo gli scambi di informazioni sulle loro caratteristiche, istituendo una procedura di decisione nazionale per la loro importazione ed esportazione e prescrivendo la notifica delle relative decisioni alle parti».

3       Ai termini dell’art. 3 della Convenzione, relativo al campo di applicazione della medesima, essa si applica «ai prodotti chimici vietati o soggetti a rigorose restrizioni», nonché «ai formulati pesticidi altamente pericolosi», ad esclusione, tuttavia, di un certo numero di prodotti elencati al n. 2 della disposizione medesima. I prodotti ricompresi nella sfera di applicazione della Convenzione sono definiti con maggiore precisione all’art. 2 della medesima.

4       Ai termini dello stesso art. 2, lett. b) e c), i termini «sostanza chimica vietata» o «soggetta a rigorose restrizioni» indicano le sostanze chimiche «il cui impiego sia stato vietato», rispettivamente, «per qualsiasi fine» o «teoricamente, per qualsiasi fine», «mediante un atto normativo definitivo, per motivi sanitari o ambientali». Quanto al «formulato pesticida altamente pericoloso», è definito al medesimo articolo, alla lett. d), come «sostanza chimica destinata ad essere utilizzata come pesticida, che provoca gravi danni alla salute umana o all’ambiente, osservabili entro un breve lasso di tempo dopo un’applicazione unica o ripetuta, effettuata in modo conforme alle prescrizioni d’uso». Le procedure applicabili a tali due tipi di prodotti sono descritte, rispettivamente, agli artt. 5 e 6 della Convenzione.

5       Così, con riguardo ai prodotti chimici vietati o soggetti a rigorose restrizioni, l’art. 5, nn. 1‑3, della Convenzione, prevede, in sostanza, che, qualora una parte della Convenzione abbia adottato un atto normativo definitivo – definito, all’art. 2, lett. e), della Convenzione, come «qualsiasi provvedimento adottato da una delle parti, che non necessita di ulteriori provvedimenti normativi della parte stessa, avente lo scopo di vietare o di assoggettare a rigorose restrizioni una sostanza chimica» –, deve notificarlo al più presto possibile al segretariato istituito dalla Convenzione, che deve quindi verificare che la notifica stessa contenga tutte le informazioni richieste nell’allegato I della Convenzione relative, in particolare, all’identificazione della sostanza chimica in questione e alle sue caratteristiche fisico‑chimiche, tossicologiche ed ecotossicologiche, nonché alle ragioni connesse con la salute umana o all’ambiente che hanno giustificato l’adozione del provvedimento normativo. Se la notifica contiene le informazioni richieste, il segretariato invia immediatamente a tutte le parti una sintesi delle informazioni ricevute. Se la notifica non contiene le informazioni richieste, il segretariato ne informa la parte che ha trasmesso la notifica incompleta affinché possa trasmettere al più presto le informazioni mancanti. L’art. 5, n. 4, della Convenzione prevede, in ogni caso, che ogni sei mesi il segretariato comunichi alle parti una sintesi delle informazioni ricevute ai sensi dei nn. 1 e 2 del detto articolo, «comprese le informazioni relative alle notifiche non contenenti le informazioni richieste nell’allegato I».

6       Ai termini dell’art. 5, n. 5, della Convenzione, «[d]opo che il segretariato ha ricevuto almeno due notifiche provenienti da regioni partecipanti al sistema di previo assenso informato [chiamata anche «procedura volontaria di previo assenso informato»; in prosieguo: la «procedura PIC»] concernenti la stessa sostanza chimica, e ne ha verificato la corrispondenza ai requisiti dell’allegato I, esso trasmette le notifiche in questione al comitato di esame per i prodotti chimici. (…)». Il n. 6 del detto articolo prevede che il comitato medesimo esamini quindi le informazioni contenute nelle notifiche suddette e, sulla base dei criteri enunciati nell’allegato II della Convenzione – relativi, essenzialmente, al fondamento ed alla giustificazione degli atti normativi definitivi nonché ai loro effetti, reali o previsti, sulla salute umana o sull’ambiente –, raccomandi o meno alla conferenza delle parti di assoggettare la sostanza chimica in questione alla procedura PIC e quindi di includerla o meno nell’allegato III della Convenzione.

7       Una procedura analoga è prevista dall’art. 6 della Convenzione con riguardo ai formulati pesticidi altamente pericolosi. Ai termini del n. 1 di tale articolo, infatti, «[q]ualsiasi parte che sia un paese in via di sviluppo o un paese a economia in transizione e nel cui territorio si verifichino problemi dovuti all’impiego di un formulato pesticida altamente pericoloso nelle normali condizioni d’uso può proporre al segretariato l’inclusione di detto formulato pesticida nell’allegato III». La procedura descritta nei nn. 2‑5 del detto articolo, da seguire in tale ipotesi, è ampiamente simile a quella, descritta ai punti 5 e 6 della presente sentenza, che si applica alle sostanze chimiche vietate o soggette a rigorose restrizioni.

8       Gli artt. 7 e 9 della Convenzione descrivono la procedura da seguire, rispettivamente, per includere ovvero eliminare una sostanza chimica nell’allegato III della stessa Convenzione, mentre l’art. 8 precisa i requisiti per l’inclusione, nel medesimo allegato, dei prodotti chimici soggetti, precedentemente all’entrata in vigore della Convenzione, alla procedura volontaria di previo assenso informato istituita nel 1989 con il programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (in prosieguo: l’«UNEP») e con l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (in prosieguo: la «FAO»). Quanto alla procedura PIC introdotta dalla Convenzione, essa è descritta con precisione agli artt. 10 e 11 della medesima, che vertono sugli obblighi connessi, rispettivamente, all’importazione e all’esportazione di prodotti chimici elencati nell’allegato III.

9       Ai termini del detto art. 10:

«1.      Le parti adottano gli opportuni provvedimenti legislativi o amministrativi per garantire che vengano prese decisioni tempestive in merito all’importazione di prodotti chimici figuranti nell’allegato III.

2.      Ciascuna delle parti trasmette al segretariato quanto prima possibile, e comunque non oltre nove mesi dopo la data di spedizione del documento orientativo (…) [che accompagna l’inclusione, da parte della conferenza delle parti, di una nuova sostanza chimica nell’allegato III], una risposta concernente le future importazioni della sostanza chimica in oggetto. Se una delle parti modifica tale risposta, essa trasmette immediatamente al segretariato il testo modificato.

3.      Alla scadenza del termine di cui al paragrafo 2, il segretariato invia una lettera di sollecito alle parti che non abbiano trasmesso la suddetta risposta. Qualora una parte sia impossibilitata a fornire la risposta in parola, il segretariato le presta assistenza, per quanto possibile, affinché la risposta venga inoltrata entro il termine fissato all’articolo 11, paragrafo 2, ultimo comma.

4.      La risposta di cui al paragrafo 2 può essere costituita da uno dei seguenti elementi:

a)      una decisione definitiva, conforme alle disposizioni legislative o amministrative applicabili, la quale:

i)      autorizza l’importazione;

ii)      non autorizza l’importazione; oppure

iii)      autorizza l’importazione solo a determinate condizioni; oppure

b)      una risposta provvisoria, la quale può contenere:

i)      una decisione provvisoria che autorizza l’importazione, con o senza condizioni, ovvero che vieta l’importazione per un periodo transitorio;

ii)      una dichiarazione attestante che è in preparazione una decisione definitiva;

iii)      una richiesta di ulteriori informazioni, rivolta al segretariato o alla parte che ha notificato l’atto normativo definitivo;

iv)      una richiesta di assistenza da parte del segretariato ai fini della valutazione della sostanza chimica.

5.      Una risposta redatta ai sensi del paragrafo 4, lettere a) o b), deve riferirsi alla o alle categorie indicate nell’allegato III per la sostanza chimica considerata.

(…)

8.      Le parti rendono note le risposte inviate ai sensi del presente articolo ai soggetti interessati nell’ambito della loro giurisdizione, conformemente alle disposizioni legislative o amministrative applicabili.

9.      Se una delle parti decide, ai sensi dei precedenti paragrafi 2 e 4 nonché dell’articolo 11, paragrafo 2, di non autorizzare l’importazione di una sostanza chimica o di autorizzarla soltanto a determinate condizioni, essa deve simultaneamente vietare o sottoporre alle medesime condizioni:

a)      l’importazione di detta sostanza da qualsiasi provenienza; nonché

b)      la produzione nel proprio territorio della sostanza per uso interno.

10.      Ogni sei mesi, il segretariato informa tutte le parti in merito alle risposte ricevute. Tale informazione comprende una descrizione delle misure legislative o amministrative su cui sono basate le decisioni, ove siano disponibili. Il segretariato informa inoltre le parti circa eventuali casi di mancato invio delle risposte».

10     L’art. 11 della Convenzione, relativo agli obblighi connessi all’esportazione di prodotti chimici elencati nell’allegato III, così dispone:

«1.      Ciascuna parte esportatrice:

a)      adotta gli opportuni provvedimenti legislativi o amministrativi al fine di comunicare ai soggetti interessati nell’ambito della propria giurisdizione le risposte inviate dal segretariato a norma dell’articolo 10, paragrafo 10;

b)      adotta gli opportuni provvedimenti legislativi o amministrativi per garantire che gli esportatori soggetti alla sua giurisdizione si conformino alle decisioni contenute nelle risposte al più tardi sei mesi dopo la data in cui il segretariato ha notificato per la prima volta le risposte stesse alle parti in virtù dell’articolo 10, paragrafo 10;

c)      ove necessario, consiglia e assiste le parti importatrici, dietro loro richiesta, al fine di:

i)      ottenere ulteriori informazioni che possano orientarle nelle decisioni da prendere a norma dell’articolo 10, paragrafo 4 e del paragrafo 2, lettera c), del presente articolo;

ii)      potenziare le loro competenze e capacità in materia di sicurezza nella gestione dei prodotti chimici durante il loro ciclo di vita.

2.      Le parti provvedono affinché i prodotti chimici elencati nell’allegato III non vengano esportati dal loro territorio verso il territorio di una parte importatrice la quale abbia eccezionalmente omesso di trasmettere la propria risposta o abbia trasmesso una risposta provvisoria non contenente una decisione provvisoria, salvo qualora:

a)      si tratti di una sostanza chimica che, al momento dell’importazione, risulti registrata come sostanza chimica nella parte importatrice; oppure

b)      si tratti di una sostanza chimica di cui sia comprovato che è già stata utilizzata o importata precedentemente nella parte importatrice e il cui impiego non è stato vietato da alcun atto normativo; oppure

c)      l’esportatore abbia chiesto e ottenuto l’esplicito consenso all’importazione tramite l’autorità nazionale designata della parte importatrice. La parte importatrice risponde a tale richiesta entro sessanta giorni e notifica la propria decisione al segretariato nel più breve tempo.

Gli obblighi delle parti esportatrici in forza del presente paragrafo si applicano per un anno a decorrere dalla scadenza di un termine di sei mesi dalla data in cui il segretariato ha informato per la prima volta le parti, conformemente all’articolo 10, paragrafo 10, del fatto che una delle parti non ha trasmesso la propria risposta o ha trasmesso una risposta provvisoria non contenente una decisione provvisoria».

11     Mentre gli artt. 10 e 11 della Convenzione si riferiscono agli obblighi connessi all’esportazione ed all’importazione di prodotti chimici elencati nell’allegato III della Convenzione medesima, l’art. 12 disciplina l’ipotesi specifica dei prodotti non ancora inseriti nel detto allegato. Il detto articolo prevede, in sostanza, che, qualora una sostanza chimica vietata o sottoposta a rigorose restrizioni da una delle parti sia esportata dal territorio della stessa, tale parte trasmette una notifica di esportazione alla parte importatrice, che ne accusa ricevuta. Tale notifica reca, segnatamente, le informazioni relative all’identificazione della sostanza chimica di cui trattasi ed alle misure precauzionali volte a ridurre l’esposizione alla sostanza chimica e la sua emissione, nonché tutte le informazioni supplementari di cui dispone l’autorità nazionale competente designata della parte esportatrice e che potrebbero essere utili all’autorità nazionale designata della parte importatrice. Ai termini del n. 5 del detto art. 12, l’obbligo di notifica di esportazione in tal modo previsto cessa quando sono soddisfatti i tre requisiti seguenti: la sostanza chimica de qua è stata inclusa nell’allegato III; la parte importatrice ha inviato al segretariato una risposta relativa alla futura importazione della sostanza in questione conformemente all’art. 10, n. 2, della Convenzione, e il segretariato ha comunicato la risposta alle parti conformemente al n. 10 del medesimo art. 10.

12     L’art. 13 della Convenzione attiene alle informazioni che devono accompagnare i prodotti chimici esportati. Ai termini del n. 1 del detto articolo, «[l]a conferenza delle parti invita l’Organizzazione mondiale delle dogane ad assegnare appositi codici doganali del sistema armonizzato ai singoli prodotti chimici o gruppi di prodotti chimici elencati nell’allegato III». Una volta assegnato un codice, il relativo documento di spedizione deve recare, all’atto dell’esportazione della sostanza chimica in esame, lo stesso codice. I nn. 2 e 3 del medesimo articolo prevedono peraltro l’obbligo, per le parti contraenti della Convenzione, di esigere che sia i prodotti chimici elencati nell’allegato III, sia i prodotti chimici vietati o soggetti a rigorose restrizioni nel loro territorio (art. 13, n. 2), sia i prodotti chimici soggetti a particolari obblighi di etichettatura per motivi ambientali o sanitari nel loro territorio (art. 13, n. 3) siano sottoposti, all’atto dell’esportazione, «a requisiti di etichettatura tali da fornire sufficienti informazioni circa i rischi e/o i pericoli per la salute umana o per l’ambiente, conformemente alle pertinenti norme internazionali in materia». L’art. 13, n. 4, della Convenzione invita le parti esportatrici a far sì che venga inviata a ciascun importatore una scheda informativa in materia di sicurezza compilata secondo un modello internazionalmente riconosciuto, recante le informazioni più aggiornate di cui si possa disporre, quantomeno relativamente ai prodotti chimici di cui al detto art. 13, n. 2, e destinati ad uso professionale. Infine, ai termini del n. 5 del medesimo art. 13, le informazioni figuranti sull’etichetta e sulla scheda informativa in materia di sicurezza che accompagna il prodotto dovrebbero essere redatte, per quanto possibile, almeno in una delle lingue ufficiali della parte importatrice.

13     Nella medesima ottica, l’art. 14 della Convenzione invita le parti contraenti a favorire lo scambio di tutte le informazioni scientifiche, tecniche, economiche e giuridiche di cui dispongono riguardo ai prodotti chimici oggetto della presente Convenzione, nonché gli atti normativi di diritto interno, limitando in misura considerevole uno o più usi dei detti prodotti, mentre il successivo art. 16 della Convenzione riguarda l’assistenza tecnica. A tal riguardo, le parti contraenti che dispongono di programmi più avanzati in materia di regolamentazione dei prodotti chimici sono invitate a prestare assistenza alle altre parti contraenti della Convenzione, in particolare ai paesi in via di sviluppo o a economia in transizione, ai fini dello sviluppo della loro infrastruttura e capacità di gestione dei prodotti chimici «durante tutto il loro ciclo di vita».

14     L’art. 15 della Convenzione, infine, impone alle parti contraenti di adottare le misure necessarie ai fini dell’efficace attuazione della Convenzione, ivi compresi la creazione e il potenziamento di infrastrutture e istituzioni nazionali, nonché, eventualmente, l’adozione di misure quali la costituzione di registri e basi di dati nazionali contenenti informazioni sulla sicurezza dei prodotti chimici, la promozione di iniziative dell’industria o la promozione di accordi volontari di assistenza tecnica. Dal n. 2 del detto art. 15 risulta peraltro che «[l]e parti provvedono, nella misura del possibile, affinché il pubblico sia adeguatamente informato sulle modalità di manipolazione dei prodotti chimici, sul modo di procedere in caso di incidente e sulle sostanze alternative che risultano più sicure per l’uomo o per l’ambiente rispetto a quelle dell’allegato III», mentre, ai termini del n. 4 del medesimo articolo, «[n]nessuna disposizione della (…) Convenzione deve essere interpretata come limitativa del diritto delle parti di adottare provvedimenti più rigorosi di quelli prescritti dalla presente Convenzione ai fini della protezione della salute umana e dell’ambiente, a condizione che tali provvedimenti siano compatibili con le disposizioni della presente Convenzione e conformi al diritto internazionale».

15     Le successive disposizioni della Convenzione vertono, essenzialmente, sul ruolo e sui compiti degli organi e delle istituzioni incaricati di seguire e di valutare l’applicazione della Convenzione stessa (artt. 18 e 19), le norme applicabili in caso di inadempienza degli obblighi previsti dalla medesima o di controversie relative alla sua interpretazione o applicazione (artt. 17 e 20), nonché la procedura da seguire in caso di modifiche della Convenzione o dei suoi allegati, ovvero per l’adozione di allegati aggiuntivi (artt. 21 e 22).

16     Ai termini del suo art. 25, n. 1, la Convenzione è sottoposta alla ratifica, all’accettazione o all’approvazione degli Stati e delle organizzazioni d’integrazione economica regionale ed è aperta all’adesione degli Stati e delle dette organizzazioni a partire dal giorno successivo a quello in cui non è più aperta alla firma. Con riguardo alle organizzazioni medesime, il n. 2 del detto articolo precisa che «[q]ualsiasi organizzazione d’integrazione economica regionale che diventa parte della (…) Convenzione senza che alcuno dei suoi Stati membri ne sia parte è soggetta a tutti gli obblighi derivanti dalla Convenzione». Invece, «[s]e (…) uno o più degli Stati membri di siffatta organizzazione sono parti della Convenzione, l’organizzazione e i suoi Stati membri stabiliscono le rispettive competenze quanto all’adempimento degli obblighi derivanti dalla Convenzione». Dallo stesso art. 25, n. 2, in fine, risulta che, in questo caso, «l’organizzazione e gli Stati membri non possono esercitare parallelamente i diritti conferiti dalla Convenzione». Ai termini dell’art. 25, n. 3, della Convenzione, le organizzazioni d’integrazione economica regionali sono invitate a indicare, nei propri strumenti di ratifica, di accettazione, di approvazione o di adesione, «la portata della [loro] competenza riguardo alle materie disciplinate dalla Convenzione».

 Fatti

17     Successivamente alla sottoscrizione della Convenzione, a nome della Comunità, avvenuta l’11 settembre 1998 a Rotterdam (Paesi Bassi), il 24 gennaio 2002 la Commissione presentava una proposta di decisione del Consiglio recante approvazione, a nome della Comunità europea, della detta Convenzione (GU C 126 E, pag. 274), in cui veniva precisata, ai termini dell’art. 25, n. 3, della Convenzione medesima, la portata della competenza comunitaria riguardo alle materie disciplinate da tale Convenzione. Fondata sull’art. 133 CE, in combinato disposto con gli artt. 300, n. 2, primo comma, prima frase, CE, e 300, n. 3, primo comma, CE, tale proposta di decisione stabiliva, all’art. 2, n. 2, che «la Comunità è competente per tutte le materie disciplinate dalla Convenzione stessa».

18     Previa consultazione del Parlamento europeo, ai termini dell’art. 300, n. 3, primo comma, CE, il Consiglio decideva tuttavia, all’unanimità, contrariamente a quanto proposto dalla Commissione, di sostituire l’art. 133 CE con l’art. 175, n. 1, CE. Adottata senza discussione durante la sessione del Consiglio «Giustizia e Affari interni», svoltasi a Bruxelles il 19 dicembre 2002, la decisione impugnata veniva pertanto fondata sull’art. 175, n. 1, CE, in combinato disposto con gli artt. 300, n. 2, primo comma, prima frase, CE e 300, n. 3, primo comma, CE. La dichiarazione di competenza richiesta dall’art. 25, n. 3, della Convenzione, contenuta nell’allegato B della detta decisione, prevede quanto segue:

«La Comunità europea dichiara la propria competenza, in virtù del Trattato che istituisce la Comunità europea, in particolare dell’articolo 175, paragrafo 1, a stipulare e ad adempiere agli obblighi derivanti da accordi internazionali che contribuiscano a perseguire i seguenti obiettivi:

–       salvaguardia, tutela e miglioramento della qualità dell’ambiente,

–       protezione della salute umana,

–       utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali,

–       promozione sul piano internazionale di misure destinate a risolvere i problemi dell’ambiente a livello regionale o mondiale.

La Comunità europea dichiara inoltre che ha già adottato strumenti giuridici vincolanti per i suoi Stati membri in relazione agli aspetti disciplinati dalla presente Convenzione, tra cui il regolamento (CE) (…) del Parlamento europeo e del Consiglio [28 gennaio 2003, n. 304,] sull’esportazione ed importazione dei prodotti chimici pericolosi [GU L 63, pag. 1], e che presenterà, aggiornandolo come opportuno, un elenco di tali strumenti giuridici al segretariato della Convenzione.

La Comunità europea è responsabile dell’adempimento degli obblighi risultanti dalla Convenzione che sono contemplati dal diritto comunitario vigente.

L’esercizio della competenza comunitaria è soggetto, per la sua stessa natura, ad una continua evoluzione».

19     Ciò premesso, la Commissione, ritenendo illegittimo l’atto di conclusione della Convenzione, ha proposto il presente ricorso.

20     Con ordinanza del presidente della Corte in data 16 luglio 2003, è stato ammesso l’intervento nella presente controversia della Repubblica francese, del Regno dei Paesi Bassi, della Repubblica d’Austria, della Repubblica di Finlandia, del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord nonché del Parlamento europeo a sostegno del Consiglio.

 Sul ricorso

 Argomenti delle parti

21     La Commissione deduce un unico motivo a sostegno del proprio ricorso, attinente alla violazione del Trattato CE conseguente alla scelta di un fondamento normativo erroneo. La Convenzione, infatti, in quanto strumento destinato essenzialmente a disciplinare il commercio internazionale di taluni prodotti chimici pericolosi, sarebbe ricompresa nella politica commerciale comune, e non nella politica comunitaria dell’ambiente. Per tale ragione, la decisione impugnata avrebbe dovuto pertanto fondarsi sull’art. 133 CE – in combinato disposto con l’art. 300 CE –, e non sull’art. 175, n. 1, CE – in combinato disposto con il medesimo art. 300 CE –.

22     La Commissione si richiama in particolare, a tal riguardo, all’oggetto e alle finalità della Convenzione, che evidenzierebbero chiaramente la volontà delle parti di instaurare una stretta cooperazione nel settore del commercio internazionale dei pesticidi e di altri prodotti chimici pericolosi, ma anche al testo stesso della detta Convenzione, le cui disposizioni rifletterebbero univocamente la preponderante vocazione commerciale di tale strumento.

23     Ciò varrebbe, anzitutto, per lo stesso titolo e per l’art. 1 della Convenzione, che si riferirebbero espressamente al «commercio internazionale» di taluni prodotti chimici e pesticidi pericolosi nonché alla loro «importazione» o «esportazione». Ciò varrebbe, inoltre, per gli artt. 5‑9 della Convenzione, che conterrebbero le norme essenziali relative all’inclusione – o all’eliminazione – di prodotti chimici particolarmente pericolosi nell’allegato III della medesima. Ciò varrebbe, infine e soprattutto, per i successivi artt. 10 e 11, che avrebbero un ruolo decisivo nel sistema della Convenzione medesima, sancendo i principali obblighi connessi alle importazioni ed alle esportazioni di prodotti chimici elencati nel detto allegato e definendo in termini precisi le caratteristiche della procedura PIC. I due detti articoli avrebbero un evidente significato commerciale, in quanto consentirebbero agli esportatori, in particolare grazie al meccanismo di notifica delle risposte concernenti le future importazioni delle sostanze chimiche, di sapere con precisione quali mercati siano aperti ai loro prodotti e a quali condizioni.

24     Nella medesima prospettiva, le norme contenute negli artt. 12‑16 della Convenzione inciderebbero innegabilmente sugli scambi di prodotti chimici, offrendo ai paesi importatori gli strumenti e le informazioni necessari ai fini dell’identificazione dei pericoli potenziali connessi con l’uso di taluni prodotti e, pertanto, del diniego o della limitazione dell’ingresso, nel loro territorio, di prodotti che essi stessi abbiano vietato o assoggettato a rigorose restrizioni ovvero, eventualmente, che non possano gestire ed utilizzare con assoluta sicurezza.

25     La Commissione aggiunge che la circostanza che taluni motivi attinenti alla tutela della salute umana o dell’ambiente abbiano potuto essere sottesi alla conclusione della Convenzione non è tale da impedirne l’approvazione sul fondamento dell’art. 133 CE, ove risulterebbe da costante giurisprudenza, da una parte, che la politica commerciale comune, per sua natura, va interpretata estensivamente, al di là dello stretto contesto degli scambi commerciali. Tale politica, pertanto, potrebbe ricomprendere altre misure oltre a quelle doganali o tariffarie, e perseguire altri obiettivi oltre alla mera disciplina del commercio con gli Stati terzi, come l’aiuto allo sviluppo dei detti Stati, l’attuazione di una politica estera e di sicurezza ovvero proprio la tutela dell’ambiente e della salute. A tal riguardo, la Commissione richiama, segnatamente, le sentenze 26 marzo 1987, causa 45/86, Commissione/Consiglio (Racc. pag. 1493), e 29 marzo 1990, causa C‑62/88, Grecia/Consiglio, detta «Cernobyl» (Racc. pag. I‑1527), nonché la sentenza 12 dicembre 2002, causa C‑281/01, Commissione/Consiglio (Racc. pag. I‑12049), in cui la Corte ha annullato la decisione del Consiglio 14 maggio 2001, 2001/469/CE, concernente la conclusione per conto della Comunità europea dell’accordo tra il governo degli Stati Uniti d’America e la Comunità europea per il coordinamento di programmi di etichettatura relativi ad un uso efficiente dell’energia per le apparecchiature per ufficio (GU L 172, pag. 1).

26     D’altro canto, dallo stesso tenore letterale del Trattato e, segnatamente, degli artt. 6 CE e 152, n. 1, primo comma, CE emergerebbe anche che le esigenze di tutela dell’ambiente, da una parte, e di tutela della salute umana, dall’altra, devono essere integrate nella definizione e nell’attuazione di tutte le politiche e le azioni della Comunità previste all’art. 3 CE. Un accordo internazionale, pertanto, ben potrebbe essere approvato sul fondamento di un articolo quale l’art. 133 CE, ancorché persegua, in via principale o accessoria, obiettivi attinenti all’ambiente. Nella specie, il ricorso a tale ultima disposizione sarebbe incontestabile, tanto più che la Convenzione riguarderebbe essenzialmente la disciplina del commercio internazionale dei prodotti chimici pericolosi, e non la disciplina nazionale della loro produzione o della loro immissione in commercio, che costituirebbero aspetti accessori rispetto all’importazione e all’esportazione dei detti prodotti. Come affermato dalla Corte a proposito del detto accordo tra il governo degli Stati Uniti d’America e la Comunità (in prosieguo: l’«accordo Energy Star»), la Convenzione costituirebbe, in tal modo, uno strumento dotato di un’incidenza «diretta e immediata» sul commercio delle sostanze chimiche pericolose, mentre gli effetti benefici sulla salute umana e sull’ambiente sarebbero solo «indiretti e lontani».

27     Tale conclusione viene fermamente contestata dal Consiglio, nonché da tutte le parti intervenienti, i quali fanno valere, infatti, che la Convenzione, non istituendo alcun meccanismo di mutuo riconoscimento delle norme di etichettatura delle sostanze chimiche pericolose ed essendo piuttosto diretta a controllare, se non a limitare, gli scambi tra tali sostanze piuttosto che a promuoverli, si avvicina piuttosto al Protocollo di Cartagena sulla sicurezza biologica che non all’accordo Energy Star che, da parte sua, è per l’appunto diretto a consentire ai produttori di fare uso, in forza di una procedura di mutuo riconoscimento delle registrazioni, di un logo comune e, pertanto, a stimolare l’offerta e la domanda di prodotti efficaci sotto il profilo energetico. Orbene, chiamata a pronunciarsi, segnatamente, sul fondamento normativo idoneo per concludere il detto protocollo, che instaura parimenti una procedura di «previo assenso informato», la Corte ha affermato, al punto 33 del parere 6 dicembre 2001, 2/00 (Racc. pag. I‑9713), che tale procedura costituisce uno strumento tipico della politica dell’ambiente, sicché il ricorso all’art. 175, n. 1, CE si imponeva per la conclusione del detto protocollo a nome della Comunità. Considerazioni analoghe varrebbero necessariamente, nella specie, con riguardo alla conclusione della Convenzione.

28     Così, con riguardo alle finalità stesse della Convenzione, il Consiglio e le parti intervenienti rinviano ai numerosi ‘considerando’ del preambolo della stessa, che sottolineano i pericoli e gli effetti nocivi delle sostanze chimiche sulla salute umana e sull’ambiente, nonché al suo art. 1, in cui si dichiara la volontà delle parti contraenti di promuovere non il commercio internazionale dei detti prodotti, bensì la condivisione delle responsabilità e la cooperazione tra le parti nel settore del commercio internazionale di tali prodotti, al fine di tutelare la salute umana e l’ambiente contro danni eventuali, nonché di contribuire al loro utilizzo ecologicamente razionale. La lettura di tale articolo, pertanto, ben confermerebbe la preponderante finalità ambientale della Convenzione, al pari della lettura dell’art. 2, lett. f), della Convenzione medesima, ai termini del quale per «esportazioni» e «importazioni» di prodotti chimici si intendono tutti i movimenti di tali sostanze dal territorio di una parte verso il territorio di un’altra parte della Convenzione, ad esclusione delle operazioni di transito, indipendentemente dalla finalità per la quale essi vengano svolti.

29     Nella medesima ottica, varie disposizioni fondamentali della Convenzione evidenzierebbero chiaramente il primato degli obiettivi di tutela della salute e dell’ambiente rispetto alla volontà, imputata dalla Convenzione alle parti contraenti, di promuovere, facilitare o disciplinare il commercio internazionale dei prodotti in questione. Oltre agli artt. 10 e 11 della Convenzione, relativi alla procedura PIC propriamente detta, il Consiglio e le parti intervenienti menzionano più in particolare, a tal riguardo, le disposizioni relative alla notifica degli atti normativi nazionali che vietino o assoggettino a rigorose restrizioni prodotti chimici (art. 5), la procedura da seguire per includere prodotti chimici nell’allegato III della Convenzione ovvero eliminarli dal medesimo (artt. 7‑9), le norme relative all’etichettatura dei prodotti (art. 13), lo scambio di informazioni, di ogni genere, sui prodotti chimici ricompresi nella sfera di applicazione della Convenzione (art. 14), la costituzione o il potenziamento delle infrastrutture e delle istituzioni nazionali al fine dell’efficace attuazione della Convenzione, segnatamente, con la costituzione di registri e basi di dati contenenti informazioni sulla sicurezza dei prodotti chimici (art. 15) e l’assistenza tecnica da prestare ai paesi in via di sviluppo o a economia in transizione (art. 16).

30     Secondo il Consiglio e le parti intervenienti, infine, la natura fondamentalmente ambientale della Convenzione emergerebbe chiaramente dal contesto nel quale essa è stata adottata. A tal riguardo il Consiglio sottolinea, anzitutto, che la Convenzione è ispirata direttamente alla procedura facoltativa di informazione e di previo consenso istituita dall’UNEP e dalla FAO – ancorché in un contesto non commerciale – e che sono gli organi direttivi di tali programmi e organizzazioni che hanno convocato la conferenza delle parti al fine di preparare ed adottare la Convenzione e che assumerebbero, del resto, un ruolo essenziale nella relativa gestione, dal momento che, ai termini dell’art. 19, n. 3, della Convenzione, «[l]e funzioni del segretariato sono eseguite sotto la responsabilità congiunta del direttore esecutivo dell’UNEP e del direttore generale della FAO, in base agli accordi tra essi conclusi e approvati dalla conferenza delle parti».

31     Il Consiglio ricorda, inoltre, che la Convenzione rinvia al capitolo 19 del programma «Agenda 21», adottato durante la conferenza delle Nazioni Unite su ambiente e sviluppo, svoltasi a Rio de Janeiro (Brasile) dal 3 al 14 giugno 1992. Il detto capitolo, intitolato «Gestione ecologicamente razionale delle sostanze chimiche tossiche, compresa la prevenzione del traffico internazionale illegale di prodotti tossici e pericolosi», evocherebbe espressamente la generalizzazione della procedura PIC al fine di rafforzare una razionale gestione delle sostanze chimiche tossiche.

32     La Convenzione, infine, figurerebbe anche tra gli accordi essenziali evocati nell’ambito del vertice mondiale per lo sviluppo sostenibile, svoltosi a Johannesburg (Sudafrica) dal 26 agosto al 4 settembre 2002. Orbene, il punto 23, lett. a), del piano d’azione adottato in esito a tale vertice inviterebbe esplicitamente tutte le parti a promuovere una rapida ratifica ed attuazione di tale strumento, in ragione dei suoi effetti positivi sulla salute umana e sull’ambiente.

33     Il complesso di tali fattori, dunque, deporrebbe chiaramente nel senso del ricorso all’art. 175, n. 1, CE. A tal riguardo, il Consiglio e le parti intervenienti richiamano vari accordi o regolamenti comunitari contenenti disposizioni di natura commerciale, ma fondate, tuttavia, in considerazione della loro preponderante finalità ambientale, su tale ultimo articolo, sull’art. 130 S del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 175 CE) o sull’art. 130 S del Trattato CEE (divenuto, in seguito a modifica, art. 130 S del Trattato CE). Ciò varrebbe, in particolare, per la decisione del Consiglio 1° febbraio 1993, 93/98/CEE, sulla conclusione, a nome della Comunità, della Convenzione sul controllo dei movimenti transfrontalieri di rifiuti pericolosi e del loro smaltimento (Convenzione di Basilea) (GU L 39, pag. 1), nonché per il regolamento (CEE) del Consiglio 23 luglio 1992, n. 2455, relativo alle esportazioni e importazioni comunitarie di taluni prodotti chimici pericolosi (GU L 251, pag. 13), per il regolamento (CEE) del Consiglio 1º febbraio 1993, n. 259, relativo alla sorveglianza e al controllo delle spedizioni di rifiuti all’interno della Comunità europea, nonché in entrata e in uscita dal suo territorio (GU L 30, pag. 1), e per il regolamento (CE) del Consiglio 9 dicembre 1996, n. 338, relativo alla protezione di specie della flora e della fauna selvatiche mediante il controllo del loro commercio (GU 1997, L 61, pag. 1).

 Giudizio della Corte

34     In limine, occorre peraltro ricordare che, secondo costante giurisprudenza della Corte, la scelta del fondamento normativo di un atto comunitario, ivi compreso l’atto adottato ai fini della conclusione di un accordo internazionale, deve basarsi su elementi oggettivi, suscettibili di sindacato giurisdizionale, tra i quali, in particolare, lo scopo e il contenuto dell’atto (v. sentenze 26 marzo 1987, Commissione/Consiglio, cit., punto 11; 11 giugno 1991, causa C‑300/89, Commissione/Consiglio, detta «Biossido di titanio», Racc. pag. I‑2867, punto 10; 3 dicembre 1996, causa C‑268/94, Portogallo/Consiglio, Racc. pag. I‑6177, punto 22; parere 2/00, cit., punto 22, e sentenza 13 settembre 2005, causa C‑176/03, Commissione/Consiglio, Racc. pag. I‑7879, punto 45).

35     Se l’esame di un atto comunitario dimostra che esso persegue una duplice finalità o che ha una doppia componente e se una di queste è identificabile come principale o preponderante, mentre l’altra è solo accessoria, l’atto deve fondarsi su un solo fondamento normativo, ossia quello richiesto dalla finalità o componente principale o preponderante (v. sentenze 30 gennaio 2001, causa C‑36/98, Spagna/Consiglio, Racc. pag. I‑779, punto 59; 11 settembre 2003, causa C‑211/01, Commissione/Consiglio, Racc. pag. I‑8913, punto 39, e 29 aprile 2004, causa C‑338/01, Commissione/Consiglio, Racc. pag. I‑4829, punto 55).

36     In via eccezionale, ove sia provato, per contro, che l’atto persegue contemporaneamente più obiettivi o che ha più componenti tra loro inscindibili, senza che uno di essi assuma importanza secondaria e indiretta rispetto all’altro, tale atto dovrà basarsi sui diversi fondamenti normativi corrispondenti (v., in tal senso, segnatamente, sentenze 19 settembre 2002, causa C‑336/00, Huber, Racc. pag. I‑7699, punto 31; 12 dicembre 2002, Commissione/Consiglio, cit., punto 35, e 11 settembre 2003, Commissione/Consiglio, cit., punto 40).

37     Nella specie, come rilevato dal Consiglio e da tutte le parti intervenienti nelle loro osservazioni scritte e orali, non può negarsi che la tutela della salute umana e dell’ambiente costituisse il nucleo degli obiettivi che animavano i firmatari della Convenzione. Tale obiettivo, infatti, emerge chiaramente non solo dalla lettura del preambolo della detta Convenzione, ma anche dal suo stesso testo, ove più disposizioni confermano univocamente l’importanza dell’obiettivo medesimo.

38     Ciò vale, in particolare, per l’art. 5 della Convenzione, che prevede una procedura relativa allo scambio di informazioni relative alle misure adottate dalle parti della Convenzione stessa al fine di vietare o assoggettare a rigorose restrizioni l’uso di un prodotto chimico sul loro territorio, nonché per il successivo art. 12, che prevede, dal canto suo, l’obbligo, per le parti stesse, di effettuare una notifica di esportazione alla parte importatrice qualora una sostanza chimica vietata o sottoposta a rigorose restrizioni venga esportata dal loro territorio e che, a fini di trasparenza, invita parimenti tale parte ad accusare formalmente ricevuta della detta notifica. Come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 37 delle conclusioni, con tali disposizioni si intende, in sostanza, impedire che una parte contraente – in special modo un paese in via di sviluppo – si trovi a dover affrontare l’importazione di prodotti chimici pericolosi senza aver avuto in precedenza la possibilità di adottare le precauzioni necessarie per quanto riguarda la tutela dell’ambiente e della salute umana.

39     Nella medesima prospettiva, occorre far menzione degli artt. 10 e 11 della Convenzione che, oltre ad enunciare gli obblighi relativi alle importazioni ed alle esportazioni dei prodotti chimici elencati nell’allegato III della detta Convenzione, contengono anche alcune regole, come quelle previste all’art. 10, n. 9, lett. b), o all’art. 11, n. 1, lett. c), della Convenzione medesima – relative alla produzione e alla gestione interne dei detti prodotti –, finalizzate a garantire un livello elevato di tutela della salute e dell’ambiente, indipendentemente dall’origine o dalla provenienza dei prodotti chimici in questione.

40     Infine, possono parimenti citarsi, in tale contesto, gli artt. 13‑16 della Convenzione, nella parte in cui menzionano, in particolare, la redazione di una scheda informativa in materia di sicurezza (art. 13, n. 4), lo scambio di informazioni, di ogni genere, sui prodotti ricompresi nella sfera di applicazione della Convenzione, ivi comprese le informazioni in materia di tossicità, ecotossicità e sicurezza dei detti prodotti [art. 14, n. 1, lett. a)], e l’accesso del pubblico alle informazioni sulle modalità di manipolazione dei prodotti chimici e sul modo di procedere in caso di incidente nonché sulle soluzioni alternative «più sicure per l’uomo e per l’ambiente» (art. 15, n. 2). Tali diverse disposizioni, al pari, peraltro, dell’art. 16 della Convenzione, relativo all’assistenza tecnica a favore dei paesi in via di sviluppo o a economia in transizione, evidenziano chiaramente la necessità di controllare la sicurezza dei prodotti chimici e di garantirne una buona gestione durante tutto il loro ciclo di vita. Del resto, la Convenzione autorizza espressamente le parti contraenti ad adottare provvedimenti più rigorosi di quelli prescritti dalla Convenzione medesima ai fini della protezione della salute umana e dell’ambiente, a condizione che tali provvedimenti siano compatibili con le disposizioni della Convenzione stessa e conformi al diritto internazionale (art. 15, n. 4).

41     La lettura delle menzionate disposizioni sottolinea così l’importanza delle componenti ambientali e sanitarie nel sistema della Convenzione. Come correttamente rilevato dal Consiglio, tale importanza, d’altronde, emergerebbe anche dai consessi internazionali in cui la detta Convenzione è stata discussa o negoziata (l’UNEP e la FAO, nonché la conferenza di Rio de Janeiro del 1992 e il vertice di Johannesburg del 2002), come dalle trattative in corso a livello comunitario, ove la rapida ratifica della Convenzione figura, in particolare, tra gli obiettivi prioritari identificati all’art. 7, n. 2, lett. d), della decisione del Parlamento europeo e del Consiglio 22 luglio 2002, n. 1600/2002/CE, che istituisce il sesto programma comunitario di azione in materia di ambiente (GU L 242, pag. 1).

42     Tuttavia, dalle suesposte considerazioni non può dedursi che la componente commerciale della Convenzione sia puramente accessoria. La lettura delle disposizioni della Convenzione e, più in particolare, degli articoli relativi alla procedura PIC inducono infatti a concludere che la detta Convenzione contiene anche norme che disciplinano gli scambi di prodotti chimici pericolosi e producono effetti diretti e immediati su tali scambi (v., in tal senso, parere 2/00, cit., punto 37, e sentenza 12 dicembre 2002, Commissione/Consiglio, cit., punti 40 e 41).

43     Testimoniano già la presenza di norme siffatte l’art. 1 della Convenzione, ai termini del quale le parti contraenti affermano di avere l’obiettivo di promuovere la responsabilità solidale e la cooperazione «nel commercio internazionale di taluni prodotti chimici pericolosi», ma anche la stessa decisione oggetto del presente ricorso. Il Consiglio, infatti, riconosce esplicitamente, al terzo ‘considerando’ del preambolo della decisione stessa, che la Convenzione «rappresenta un importante passo ai fini di una più efficiente disciplina internazionale del commercio di taluni prodotti chimici e pesticidi pericolosi, con l’obiettivo di proteggere la salute umana e l’ambiente contro i potenziali pericoli che tali sostanze rappresentano e di contribuire ad incentivarne l’uso compatibile con l’ambiente». Pertanto, proprio mediante l’adozione di provvedimenti di natura commerciale, relativi agli scambi di taluni prodotti chimici o pesticidi pericolosi, le parti contraenti della Convenzione intendono conseguire l’obiettivo di tutela della salute umana e dell’ambiente.

44     In tale contesto, si deve parimenti rilevare che, se è pur vero che, come dedotto dal Consiglio e da talune parti intervenienti nei loro scritti difensivi, la procedura di previo assenso informato costituisce effettivamente uno strumento tipico della politica dell’ambiente, la sua attuazione, nell’ambito della Convenzione in esame, è disciplinata dalle disposizioni che attengono direttamente al commercio dei prodotti, che costituisce oggetto della Convenzione medesima. Infatti, sia dal titolo stesso della Convenzione, sia dal suo art. 5, n. 6 – in combinato disposto con l’allegato II, lett. c), punto iv), della medesima – emerge che essa è applicabile solo a taluni prodotti chimici e pesticidi pericolosi oggetto di commercio internazionale che costituisce, a sua volta, la conditio sine qua non dell’inclusione dei detti prodotti nell’allegato III della Convenzione e, pertanto, della loro partecipazione alla procedura PIC. Un nesso così esplicito tra commercio e ambiente mancava nel protocollo di Cartagena, esaminato dalla Corte nel menzionato parere 2/00.

45     In esito alla Convenzione relativa alla diversità biologica, firmata dalla Comunità economica europea e dai suoi Stati membri nel giugno 1992 e approvata con decisione del Consiglio 25 ottobre 1993, 93/626/CEE (GU L 309, pag. 1), il protocollo di Cartagena, infatti, come rilevato dalla Corte al punto 34 del citato parere 2/00, ha come finalità principale la protezione della diversità biologica contro gli effetti nefasti che potrebbero derivare dalle attività che implicano il trattamento degli organismi viventi modificati e, in particolare, dai movimenti transfrontalieri di questi ultimi. Il commercio di tali organismi costituisce, dunque, solo uno degli aspetti disciplinati dal detto protocollo, mentre rappresenta, nel sistema della Convenzione, l’elemento che condiziona l’applicazione della procedura PIC.

46     Come definita dalla Convenzione, tale procedura comporta inoltre una serie di misure, che devono essere qualificate come misure «di disciplina» ovvero «di regolamentazione» del commercio internazionale dei prodotti interessati e che sono ricomprese, pertanto, nella politica commerciale comune. A tal riguardo possono menzionarsi, in particolare, l’obbligo delle parti della Convenzione di determinare il regime di importazione applicabile ai prodotti assoggettati alla detta procedura (art. 10, nn. 1‑5), la comunicazione degli elementi essenziali del detto regime ad ogni persona fisica o giuridica interessata (art. 10, n. 8) o l’obbligo delle parti esportatrici di garantire il rispetto, da parte degli esportatori soggetti alla loro giurisdizione, dei regimi fissati dalle parti importatrici e, in particolare, di vietare, salvo eccezioni chiaramente circoscritte, che i prodotti chimici elencati nell’allegato III della Convenzione vengano esportati dal loro territorio verso il territorio di una parte importatrice la quale abbia omesso di trasmettere al segretariato il regime di importazione applicabile ai detti prodotti o abbia comunicato solo una risposta provvisoria, priva della decisione relativa al regime di importazione provvisoriamente applicabile [art. 11, n. 1, lett. b), e n. 2].

47     A tal riguardo, l’art. 10, n. 9, della Convenzione – che fa obbligo alle parti che abbiano deciso di non autorizzare l’importazione di una determinata sostanza chimica o di autorizzarla soltanto a determinate condizioni, di vietare o sottoporre alle medesime condizioni, simultaneamente, l’importazione di tale sostanza, indipendentemente dalla sua provenienza, nonché la produzione nazionale della detta sostanza – è particolarmente rivelatore delle strette interrelazioni, in tale accordo, tra la politica commerciale e ambientale. Tale articolo, infatti, nella parte in cui riguarda parimenti la produzione nazionale delle sostanze chimiche interessate, è innegabilmente ricompreso nella politica della tutela della salute umana e dell’ambiente. Al contempo, tuttavia, non può negarsi che tale disposizione possieda un’evidente portata commerciale, dal momento che la misura di divieto o di autorizzazione condizionata, adottata dalle parti importatrici, deve applicarsi a tutte le importazioni dei prodotti interessati, indipendentemente dalla loro provenienza. I paesi che non abbiano sottoscritto la Convenzione, pertanto, sono parimenti interessati da tale disposizione, che può influenzare direttamente i flussi di scambi provenienti dai detti paesi o diretti verso di essi.

48     Infine, l’art. 13 della Convenzione e, più in particolare, i nn. 2 e 3, che impongono un obbligo di etichettatura adeguata all’atto dell’esportazione di sostanze chimiche pericolose, può parimenti collocarsi tra le norme della Convenzione «di disciplina» ovvero «di regolamentazione» del commercio internazionale dei prodotti in questione. Del resto, l’incidenza della Convenzione sul commercio internazionale trova ulteriore conferma nel n. 1 del medesimo articolo, ai termini del quale l’Organizzazione mondiale delle dogane è invitata ad assegnare ai singoli prodotti chimici o gruppi di prodotti chimici elencati nell’allegato III della Convenzione un determinato codice doganale del sistema armonizzato di codificazione che deve essere obbligatoriamente apposto sul documento di spedizione che accompagni l’esportazione del prodotto in oggetto.

49     Tali considerazioni, relative alla componente commerciale della Convenzione, non possono essere rimesse in discussione dalla circostanza che la detta Convenzione mirerebbe a limitare il commercio dei detti prodotti piuttosto che a promuoverlo. Come correttamente rilevato dalla Commissione nelle proprie memorie, numerosi atti comunitari sono stati, infatti, adottati sul fondamento dell’art. 133 CE o, precedentemente, sul fondamento dell’art. 113 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 133 CE), sebbene avessero proprio la finalità di limitare, o addirittura di impedire completamente, le importazioni o le esportazioni di taluni prodotti (a tal proposito v., in particolare, sentenze 17 ottobre 1995, causa C‑70/94, Werner, Racc. pag. I‑3189, punto 10; causa C‑83/94, Leifer, Racc. pag. I‑3231, punto 10, e 14 gennaio 1997, causa C‑124/95, Centro‑Com, Racc. pag. I‑81, punto 26).

50     Con riguardo alla circostanza, dedotta da diverse parti intervenienti, che altri accordi o regolamenti comunitari analoghi si fonderebbero sugli artt. 130 S dei Trattati CEE o CE ovvero sull’art. 175 CE, essa è del tutto inconferente nel contesto della presente controversia. La determinazione del fondamento normativo di un atto deve infatti avvenire sulla base del suo scopo e del suo contenuto specifici, e non alla luce del fondamento normativo scelto per l’adozione di altri atti comunitari aventi, eventualmente, caratteristiche analoghe (v., in particolare, sentenza 28 giugno 1994, causa C‑187/93, Parlamento/Consiglio, Racc. pag. I‑2857, punto 28, che riguardava, precisamente, la scelta del fondamento normativo del regolamento n. 259/93, dedotto dal Consiglio e da più parti intervenienti nella presente controversia a sostegno del ricorso all’art. 175 CE).

51     Alla luce di tutte le suesposte considerazioni, e come d’altronde risulta esplicitamente dall’ottavo ‘considerando’ del preambolo alla Convenzione, ai termini del quale le politiche commerciali ed ambientali delle parti della Convenzione dovrebbero concorrere vicendevolmente al conseguimento di uno sviluppo sostenibile, si deve pertanto concludere che essa presenta, con riguardo sia alle finalità perseguite, sia al suo contenuto, due componenti indissolubilmente connesse, ove l’una non può essere ritenuta secondaria o indiretta rispetto all’altra, essendo ricompresa, l’una, nella politica commerciale comune e, l’altra, nella tutela della salute umana e dell’ambiente. In applicazione della giurisprudenza precedentemente richiamata, al punto 36, la decisione che approva la detta Convenzione a nome della Comunità doveva pertanto fondarsi sui due relativi fondamenti normativi, vale a dire, nella specie, gli artt. 133 CE e 175, n. 1, CE, in combinato disposto con le pertinenti disposizioni di cui all’art. 300 CE.

52     È certamente vero, come la Corte ha affermato, sostanzialmente, ai punti 17‑21 della citata sentenza Biossido di titanio, che il ricorso ad un duplice fondamento normativo è escluso quando le procedure previste relativamente all’uno e all’altro fondamento normativo siano incompatibili e/o quando il cumulo di fondamenti normativi sia tale da pregiudicare i diritti del Parlamento (v. anche, in tal senso, sentenze 25 febbraio 1999, cause riunite C‑164/97 e C‑165/97, Parlamento/Consiglio, Racc. pag. I‑1139, punto 14, e 29 aprile 2004, Commissione/Consiglio, cit., punto 57). Nella specie, tuttavia, dal ricorso al combinato disposto degli artt. 133 CE e 175, n. 1, CE non discende alcuna delle dette conseguenze.

53     Da un lato, infatti, la Convenzione non è ricompresa nella categoria degli accordi che, ai sensi dell’art. 133, n. 5, CE, richiedono l’unanimità in seno al Consiglio, sicché il ricorso aggiuntivo all’art. 133 CE non poteva, nella specie, influenzare in alcun modo le regole sul voto applicabili nell’ambito del Consiglio, dal momento che tale ultima disposizione prevede, in linea di principio, al pari dell’art. 175, n. 1, CE, il ricorso alla maggioranza qualificata.

54     Dall’altro, il ricorso congiunto agli artt. 133 CE e 175, n. 1, CE non è nemmeno tale da pregiudicare i diritti del Parlamento, dal momento che, se è pur vero che il primo articolo, letto in combinato disposto con l’art. 300, n. 3, primo comma, CE, non prevede la consultazione della detta istituzione prima della conclusione di un accordo nel settore della politica commerciale, il secondo articolo, per contro, consegue un tale risultato. Contrariamente alla fattispecie oggetto della causa sfociata nella citata sentenza Biossido di titanio, il cumulo dei fondamenti normativi non comporta, pertanto, nella specie, alcuna lesione dei diritti del Parlamento.

55     Si deve infine rilevare che, fondando la decisione di approvazione della Convenzione sul duplice fondamento normativo degli artt. 133 CE e 175 CE, la Comunità fornisce parimenti alle altri parti contraenti della Convenzione indicazioni sia con riguardo alla portata della competenza comunitaria relativa alla Convenzione stessa – che, come si è precedentemente dimostrato, riguarda tanto la politica commerciale comune quanto la politica comunitaria dell’ambiente – sia con riguardo alla ripartizione delle competenze tra la Comunità e gli Stati membri, ove della detta ripartizione deve tenersi conto nella fase dell’attuazione dell’accordo a livello comunitario.

56     Alla luce di tutte le suesposte considerazioni, la decisione impugnata deve essere pertanto annullata, in quanto si fonda solo sull’art. 175, n. 1, CE, in combinato disposto con l’art. 300, n. 2, primo comma, prima frase, e n. 3, primo comma, CE.

 Sulle spese

57     Ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Ai termini dell’art. 69, n. 3, primo comma, del regolamento medesimo, se le parti soccombono rispettivamente su uno o più capi, ovvero per motivi eccezionali, la Corte può tuttavia ripartire le spese o decidere che ciascuna delle parti sopporti le proprie spese. Nella specie, la Commissione e il Consiglio, rimasti entrambi parzialmente soccombenti, sopporteranno le proprie spese. Conformemente all’art. 69, n. 4, del regolamento medesimo, gli Stati membri e le istituzioni intervenuti nella causa sopporteranno le proprie spese.

Per questi motivi, la Corte (Seconda Sezione) dichiara e statuisce:

1)      La decisione del Consiglio 19 dicembre 2002, 2003/106/CE, riguardante l’approvazione, a nome della Comunità europea, della Convenzione di Rotterdam sulla procedura di previo assenso informato per taluni prodotti chimici e pesticidi pericolosi nel commercio internazionale, è annullata.

2)      La Commissione delle Comunità europee e il Consiglio dell’Unione europea sopporteranno ciascuno le proprie spese.

3)      La Repubblica francese, il Regno dei Paesi Bassi, la Repubblica d’Austria, la Repubblica di Finlandia, il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord nonché il Parlamento europeo sopporteranno le proprie spese.

Firme


* Lingua processuale: l’inglese.

In alto