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Documento 62004CC0227
Opinion of Mr Advocate General Jacobs delivered on 27 October 2005. # Maria-Luise Lindorfer v Council of the European Union. # Appeal - Officials - Transfer of pension rights - Professional activities prior to entering the service of the Communities - Calculation of the years of pensionable service - Article 11(2) of Annex VIII to the Staff Regulations - General implementing provisions - Principle of non-discrimination - Principle of equal treatment. # Case C-227/04 P.
Conclusioni dell'avvocato generale Jacobs del 27 ottobre 2005.
Maria-Luise Lindorfer contro Consiglio dell'Unione europea.
Ricorso contro una pronuncia del Tribunale di primo grado - Dipendenti di ruolo - Trasferimento dei diritti a pensione - Attività lavorative precedenti all’entrata in servizio presso le Comunità - Calcolo delle annualità - Art. 11, n. 2, dell’allegato VIII dello statuto - Disposizioni generali di esecuzione - Principio di non discriminazione - Principio della parità di trattamento.
Causa C-227/04 P.
Conclusioni dell'avvocato generale Jacobs del 27 ottobre 2005.
Maria-Luise Lindorfer contro Consiglio dell'Unione europea.
Ricorso contro una pronuncia del Tribunale di primo grado - Dipendenti di ruolo - Trasferimento dei diritti a pensione - Attività lavorative precedenti all’entrata in servizio presso le Comunità - Calcolo delle annualità - Art. 11, n. 2, dell’allegato VIII dello statuto - Disposizioni generali di esecuzione - Principio di non discriminazione - Principio della parità di trattamento.
Causa C-227/04 P.
Raccolta della Giurisprudenza – Pubblico impiego 2007 II-B-2-00157
Raccolta della Giurisprudenza 2007 I-06767;FP-I-B-2-00017
Identificatore ECLI: ECLI:EU:C:2005:656
CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE
JACOBS
presentate il 27 ottobre 2005 1(1)
Causa C-227/04 P
Lindorfer
contro
Consiglio dell’Unione europea
1. Il presente ricorso ha per oggetto il calcolo delle annualità da prendere in considerazione ai fini della pensione comunitaria di un dipendente del Consiglio, che ha chiesto di versare alle Comunità il forfait di riscatto dei diritti a pensione maturati in un regime nazionale. Solleva peraltro alcune questioni fondamentali in ordine alla parità di trattamento.
2. Il calcolo in questione si basa sulle disposizioni applicabili dello statuto del personale delle Comunità europee e delle disposizioni di esecuzione del Consiglio.
3. Dinanzi al Tribunale di primo grado delle Comunità europee, la ricorrente impugnava la decisione recante il calcolo delle annualità, eccependo l’illegittimità delle suddette disposizioni, in quanto segnatamente contrarie al principio di parità di trattamento.
4. La ricorrente eccepiva principalmente che:
– i valori attuariali utilizzati per il calcolo davano luogo ad una discriminazione a scapito delle donne;
– tali valori attuariali davano peraltro luogo ad una discriminazione fondata sull’età, essendo progressivamente più svantaggiosi per i dipendenti aventi un’età maggiore al momento della nomina in ruolo; e
– le due varianti della formula di conversione della valuta utilizzate per calcolare l’equivalente in euro dell’importo calcolato in una valuta diversa potevano originare differenze di trattamento, a svantaggio dei dipendenti che avevano versato contributi al regime pensionistico di uno Stato membro a valuta forte.
Ambito normativo
Divieto di discriminazione
5. L’art. 12 CE vieta ogni discriminazione effettuata in base alla nazionalità nel campo di applicazione del Trattato.
6. L’art. 141 CE sancisce l’applicazione del principio della parità di retribuzione tra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile per lavori di pari valore. A tale scopo, per retribuzione si intende un qualsiasi vantaggio conferito, direttamente o indirettamente, dal datore di lavoro ad un lavoratore in ragione dell’impiego di quest’ultimo.
7. La direttiva del Consiglio del 19 dicembre 1978, 79/7/CEE (2), si applica, tra l’altro, ai regimi legali di sicurezza sociale. L’art. 4, n. 1, così recita:
«Il principio della parità di trattamento implica l’assenza di qualsiasi discriminazione direttamente o indirettamente fondata sul sesso, in particolare mediante riferimento allo stato matrimoniale o di famiglia, specificamente per quanto riguarda:
– il campo di applicazione dei regimi e le condizioni di ammissione ad essi,
– l’obbligo di versare i contributi e il calcolo degli stessi,
– il calcolo delle prestazioni, comprese le maggiorazioni da corrispondere per il coniuge e per le persone a carico, nonché le condizioni relative alla durata e al mantenimento del diritto alle prestazioni.»
8. La direttiva del Consiglio del 24 luglio 1986, 86/378/CEE (3), che si applica ai regimi professionali di sicurezza sociale, recita all’art. 5, n. 1:
«Nelle condizioni stabilite dalle disposizioni che seguono, il principio della parità di trattamento implica l’assenza di qualsiasi discriminazione direttamente o indirettamente fondata sul sesso, in particolare mediante riferimento allo stato matrimoniale o di famiglia, specificamente per quanto riguarda:
– Il campo d’applicazione dei regimi e relative condizioni d’accesso;
– L’obbligo di versare i contributi e il calcolo degli stessi;
– Il calcolo delle prestazioni, comprese le maggiorazioni da corrispondere per il coniuge e per le persone a carico, nonché le condizioni relative alla durata e al mantenimento del diritto alle prestazioni.»
9. Ai sensi dell’art. 6, n. 1:
«Tra le disposizioni contrarie al principio della parità di trattamento sono da includere quelle che si basano direttamente o indirettamente sul sesso, in particolare mediante riferimento allo stato matrimoniale o di famiglia, per:
(…)
(h) fissare livelli differenti per le prestazioni, salvo se necessario per tenere conto di elementi di calcolo attuariale che sono differenti per i due sessi nel caso di regimi nei quali le prestazioni sono definite in base ai contributi.
Nel caso di regimi a prestazioni definite, finanziate mediante capitalizzazione, alcuni elementi, i cui esempi sono riportati nell’allegato, possono variare sempreché l’ineguaglianza degli importi sia da attribuire alle conseguenze dell’utilizzazione di fattori attuariali che variano a seconda del sesso all’atto dell’attuazione del finanziamento del regime;
(…)»
10. Tra gli elementi che possono variare nei regimi pensionistici a prestazioni finanziate mediante capitalizzazione, di cui all’ art. 6, n. 1, lett. h), e specificati nell’allegato, figura il «trasferimento dei diritti a pensione maturati».
11. Il regime pensionistico comunitario non è però né un regime legale, né professionale. È istituito dallo statuto del personale delle Comunità europee («lo statuto del personale»). (4)
12. La versione allora vigente dell’art. 1 bis, n. 1, dello statuto del personale così recitava: «I funzionari hanno diritto, nell’applicazione dello statuto, alla parità di trattamento senza alcun riferimento, diretto o indiretto, alla razza, al credo politico, filosofico o religioso, al sesso o all’orientamento sessuale, fatte salve le norme statutarie pertinenti che richiedono uno stato civile determinato» (5).
Norme pertinenti in materia di prestazioni pensionistiche
In generale
13. Gli artt. 77 e segg. dello statuto del personale istituiscono il regime pensionistico che si applica ai dipendenti, regolato nel dettaglio dalle norme di cui all’Allegato VIII dello statuto del personale.
14. Ai sensi dell’art. 77, l’ammontare della pensione di anzianità era essenzialmente pari al 2% dello stipendio finale per ciascun anno di servizio, fino ad un massimo del 70%. Ai sensi dell’art. 83, le prestazioni sono a carico del bilancio delle Comunità e il pagamento è garantito collettivamente dagli Stati membri. I dipendenti contribuiscono comunque per un terzo al finanziamento del regime delle pensioni.
15. Il contributo è trattenuto mensilmente sullo stipendio in percentuale identica per tutti i dipendenti, fissata di volta in volta, in maniera tale che il totale dei contributi versati da tutti i dipendenti si avvicini il più possibile ad un terzo del costo delle prestazioni pensionistiche erogate. (6)
16. La versione allora vigente dell’art. 83, n. 4 (7), dello statuto del personale recitava peraltro:
«Se dalla valutazione attuariale del regime delle pensioni effettuata da uno o più attuari, su richiesta del Consiglio, risulta che l’ammontare del contributo dei funzionari è insufficiente ad assicurare il finanziamento del terzo delle prestazioni previste dal regime delle pensioni, le autorità competenti in materia di bilancio (...) stabiliscono le modifiche da apportare all’aliquota dei contributi o all’età per il collocamento a riposo».
Trasferimento dei diritti a pensione maturati al regime comunitario delle pensioni
17. L’art. 11, n. 2 allora vigente dell’Allegato VIII così recitava:
«Il funzionario che entra al servizio delle Comunità dopo:
– aver cessato di prestare servizio presso un’amministrazione, un’organizzazione nazionale o internazionale, ovvero
– aver esercitato un’attività subordinata o autonoma,
ha facoltà, all’atto della sua nomina in ruolo, di far versare alle Comunità sia l’equivalente attuariale sia il forfait di riscatto [(8)] dei diritti alla pensione di anzianità maturati per le attività suddette.
In tal caso l’istituzione, presso cui il funzionario presta servizio, determina, tenuto conto del grado di inquadramento, le annualità che computa, secondo il proprio regime, a titolo di servizio prestato in precedenza sulla base dell’importo dell’equivalente attuariale o del forfait di riscatto».
Calcolo dell’abbuono di annualità a seguito del trasferimento dei diritti maturati
18. Le disposizioni generali d’esecuzione, di cui all’art. 11, n. 2, dell’Allegato VIII dello statuto del personale, sono essenzialmente comuni alle diverse istituzioni. Ai sensi dell’art. 10, n. 2 delle disposizioni di esecuzione adottate dal Consiglio il 13 luglio 1992, le annualità computabili a titolo di servizio prestato sono da calcolarsi sulla base del capitale totale trasferito, soggetto ad una deduzione annua del 3,5% per il periodo compreso tra la data dell’atto di nomina in ruolo del dipendente e la data del conferimento effettivo (salvo per i periodi di mancata rivalutazione dell’ammontare o di mancata maturazione di interessi nel regime nazionale d’origine).
19. Le parti rilevanti dell’art. 10, n. 3, delle disposizioni d’esecuzione del Consiglio, così recitano:
Le annualità da prendere in conto sono calcolate convertendo:
– l’importo trasferito (I) in pensione figurativa (P), che sarà di volta in volta diversa a seconda dei valori attuariali (V) definiti dalle autorità di bilancio ai sensi dell’art. 39 dell’Allegato VIII dello statuto del personale (...) , in base alla formula P = I/V,
– tale pensione (P) in annualità conformemente a quanto disposto dallo statuto del personale (Y) in funzione dello stipendio di base annuo (S), che corrisponde al grado di inquadramento del funzionario (...) , in base alla formula Y = P x 100/S x 2.
(...)
20. I valori attuariali da applicare, di cui all’Allegato II delle disposizioni di esecuzione, sono sempre più alti per i dipendenti di sesso femminile che per quelli di sesso maschile, rispecchiando le diversità statistiche sull’aspettative di vita. I valori aumentano con il progredire dell’età, come peraltro le differenze tra quelli dei dipendenti di sesso maschile e quelli dei dipendenti di sesso femminile.
21. La formula indicata in precedenza illustra come, per un dato ammontare trasferito I, la pensione nominale P subisce una riduzione con il progressivo aumento del valore attuariale V, essendo P il risultato del rapporto tra A e V. Il numero di annualità Y si riduce inoltre con l’aumento dello stipendio di base del grado di inquadramento S, essendo Y essenzialmente un multiplo del rapporto tra P e S.
Formule di conversione della valuta
22. L’art. 10, n. 4, delle suddette disposizioni di esecuzione concerne la procedura di conversione dell’ammontare trasferito in una valuta diversa da quella che, originariamente, era il franco belga (ora l’euro). I passi d’interesse si trovano ai punti 3 e 4 dell’art. 10, n. 4, lett. b), che così recitano:
L’ammontare parziale riferito al periodo successivo al 31 dicembre 1971 è da convertirsi in base al tasso medio aggiornato fissato dalla Commissione per il periodo compreso tra il 1 gennaio 1972 e la data di nomina in ruolo del dipendente (…)
Su richiesta del dipendente (…), l’importo (I) considerato al fine del calcolo può peraltro essere convertito in base al tasso attualizzato vigente in data del trasferimento. In questo caso, lo stipendio (S) e il valore attuariale (V) da considerarsi al fine del calcolo delle annualità di diritti alla pensione maturati sono la retribuzione prevista per il grado di inquadramento del dipendente (...) vigente alla data del trasferimento e il valore attuariale corrispondente all’età (...) del dipendente in tale data.
23. Nel presente procedimento, la prima delle suddette formule di conversione è stata denominata «variante (i)» e la seconda «variante (ii)».
24. Se il valore della valuta di partenza dell’importo trasferito I scende rispetto al valore della valuta di conversione dello stesso durante il periodo di versamento dei contributi al regime pensionistico d’origine, il dipendente interessato potrebbe soffrire uno svantaggio. La variante (i) è stata pertanto studiata per compensare la suddetta evenienza, prevedendo essa l’applicazione di un tasso di cambio medio sul periodo. La variante (ii) consente tuttavia al dipendente di optare per il tasso di cambio vigente in data del trasferimento, fatto probabilmente vantaggioso nei casi in cui la valuta d’origine si è rafforzata , ancorché il vantaggio possa essere smorzato in un certo qual modo dal fatto che lo stipendio S e il valore attuariale V sono calcolati in data del trasferimento e possono pertanto essere più alti di quelli in data di nomina in ruolo.
Fatti e procedimento amministrativo
25. La ricorrente nella causa qui considerata, la sig.ra Lindorfer, è una cittadina austriaca che è entrata in servizio presso il Consiglio come dipendente in prova nel settembre 1996 ed è stata inquadrata nel grado A5 nel giugno 1997.
26. Prima di entrare in servizio presso il Consiglio, la ricorrente aveva lavorato e versato i contributi al regime pensionistico austriaco per 13 anni e tre mesi. Nel 1999 e 2000 aveva avviato il procedimento diretto a trasferire i diritti pensionistici maturati in Austria al regime pensionistico comunitario. Il 7 novembre 2000, le veniva comunicata la nota (in prosieguo la «decisione controversa») (9) recante l’indicazione del numero di annualità abbonate, calcolate applicando i valori attuariali predetti e la variante (ii) di conversione della valuta. Il valore risultante era pari a cinque anni, cinque mesi e otto giorni.
27. La sig.ra Lindorfer ha presentato un reclamo contro la suddetta decisione, eccependo l’illegittimità dell’art. 11, n. 2 dello statuto del personale e dell’art. 10, n. 3 e 4, delle disposizioni di esecuzione, essendo esse in contrasto con i diritti e i principi sanciti dal diritto comunitario, e chiedendone pertanto la disapplicazione. Il reclamo è stato respinto il 31 maggio 2001 e la sig.ra Lindorfer ha presentato un ricorso dinanzi al Tribunale di primo grado delle Comunità europee. (10)
Sentenza impugnata
28. Nel suddetto ricorso, la sig.ra Lindorfer eccepiva nuovamente l’illegittimità dell’art. 11, n. 2, dello statuto del personale e dell’art. 10, n. 3 e 4, delle disposizioni generali di esecuzione. Viene peraltro meno la necessità di considerare i punti della sentenza impugnata concernenti il primo, avendo la sig. Lindorfer contestato in appello solamente il modo in cui il Tribunale di primo grado ha trattato alcuni degli argomenti avanzati dalla medesima in merito alle disposizioni di esecuzione. I passi rilevanti possono essere così riassunti.
Riferimento ad età e stipendio al fine del computo
29. In base a quanto addotto dalla sig.ra Lindorfer, il calcolo fatto applicando la variante (ii) considera l’età e lo stipendio del dipendente alla data del trasferimento, e non alla data della nomina in ruolo, come invece avviene per la variante (i), e ciò darebbe luogo ad una discriminazione tra i dipendenti a seconda della variante applicata.
30. Il Tribunale di primo grado ha trattato il suddetto argomento innanzi tutto al punto 69 della sentenza. Esso era basato, come «notato» in udienza dalla ricorrente, su di un’erronea interpretazione dell’art. 10, n. 4, lett. b) delle disposizioni di esecuzione, in forza delle quali lo stipendio rilevante sarebbe quello previsto per il grado di inquadramento al momento della nomina in ruolo, attualizzato alla data d’attuazione del trasferimento, e non quello corrispondente al grado di inquadramento effettivo del funzionario in tale data.
31. Ai punti 88 e 89 il Tribunale di primo grado affermava poi che era logico che nel caso della variante (ii) età e stipendio fossero quelli della data del trasferimento e che nel caso della variante (i) tutti i parametri fossero riferiti alla stessa data (quella della nomina in ruolo), sottolineando come la variante (i) prevedeva un saggio d’interesse annuo di sconto del 3,5% sull’ammontare trasferito per il periodo compreso tra la data di nomina in ruolo e la data effettiva del trasferimento (salvo i periodi di mancata rivalutazione dell’ammontare, ovvero di mancata maturazione degli interessi nel regime pensionistico d’origine), mentre un siffatto interesse non veniva dedotto qualora fosse applicata la variante (ii).
Conversione da valute ‘forti’ e ‘deboli’
32. La sig.ra Lindorfer sosteneva che l’impiego regolare della variante (i) per la conversione delle valute deboli e della variante (ii) per la conversione delle valute forti comportava il riconoscimento di un numero maggiore di annualità nel primo caso rispetto al secondo, contravvenendo al principio della parità di trattamento.
33. Il Tribunale di primo grado rigettava il suddetto argomento ai punti 76 e 77 della sentenza, essenzialmente in ragione del fatto che i dati presentati dalla ricorrente mancavano di mettere a confronto pari con pari, in quanto le situazioni addotte ad esempio erano diverse dalla sua relativamente a caratteristiche significative quali l’età, il sesso e il grado di inquadramento, nonché distorte dall’impiego di premesse incoerenti, e sostenendo che l’effetto lamentato non fosse una conseguenza delle due varianti delle disposizioni di esecuzione, ma fosse da ricondurre alle stesse fluttuazioni di valuta sottostanti.
Applicazione dei valori attuariali
34. La sig.ra Lindorfer sosteneva come l’impiego di valori attuariali al fine del computo ai sensi dell’art. 10, n. 3, delle disposizioni di esecuzione desse luogo a discriminazione fondata sul sesso e sull’età, essendo essi maggiori per le donne e crescendo con l’età. Una siffatta differenza di trattamento non avrebbe una giustificazione obiettiva, e non sarebbe neppure richiesta ai sensi del regime pensionistico comunitario, che non fa alcun riferimento ai suddetti valori attuariali in relazione al versamento di contributi tramite trattenuta sullo stipendio dei dipendenti o all’età di collocamento a riposo.
35. Il Tribunale di primo grado ha trattato i predetti argomenti ai punti 82 e 83 della sentenza. In primo luogo, al paragrafo 82 ha dichiarato che un dipendente che trasferisce i diritti alla pensione acquisiti altrove si trova in una posizione materialmente diversa da un dipendente che versa i contributi al regime pensionistico comunitario in ragione del servizio prestato presso un’istituzione.
36. Il paragrafo 83 così recita:
«In secondo luogo, e in ogni caso, l’uso di fattori differenziati a seconda del sesso e dell’età ai fini del calcolo degli abbuoni di annualità è obbiettivamente giustificato dalla necessità di garantire una sana gestione finanziaria del regime pensionistico comunitario. Qualora, infatti, ai sensi dell’art. 11, n. 2, dell’allegato VIII dello Statuto, un dipendente faccia trasferire al bilancio comunitario, sotto forma di equivalente attuariale o di forfait di riscatto, un capitale rappresentativo dei diritti a pensione maturati prima della sua entrata in servizio alle Comunità, ottiene in cambio un diritto a prestazioni future nell’ambito del regime pensionistico comunitario, diritto rappresentato da annualità abbonate, la cui entità dipende dal numero di tali annualità che gli è concesso. Per determinare il valore attuale di tale diritto, l’istituzione comunitaria di cui trattasi deve tenere conto di una serie di elementi, tra i quali la probabile durata del periodo in cui il capitale conferito dall’interessato si troverà nel bilancio comunitario, l’avanzamento anticipato della sua carriera, la probabilità che tali prestazioni gli siano versate e la durata probabile del periodo in cui tali versamenti verranno effettuati. Orbene, è evidente che tali elementi dipendono, segnatamente, dal sesso e dall’età dell’interessato alla sua entrata nel sistema pensionistico comunitario. Pertanto, se da un lato è pacifico che statisticamente le donne hanno un’aspettativa di vita superiore a quella degli uomini, dall’altro, la probabilità che una persona che entra in servizio alle Comunità ad un’età lontana dall’età di collocamento a riposo e deceda prima di aver raggiunto detta età è maggiore della probabilità di analoga natura riferita ad una persona di età prossima a quella in cui potrà far valere i suoi diritti alla pensione. Inoltre, tale persona lascerà per più tempo a disposizione del bilancio comunitario il capitale conferito di quanto farà un dipendente prossimo all’età di collocamento a riposo. In altri termini, due fattori quali la durata del servizio prestato tra la data di assunzione dell’interessato e il suo collocamento a riposo, e la durata probabile, determinata in base ai dati statistici, del periodo in cui lo stesso beneficerà della pensione d’anzianità comunitaria, influiscono direttamente sulla responsabilità finanziaria della Comunità nei confronti di ciascun singolo dipendente interessato e una sana gestione finanziaria del sistema pensionistico comunitario non può prescindere dal considerare detti fattori e dal valutarli correttamente. È pertanto giusto che il Consiglio tenga conto, nella sua formula di conversione, dei fattori attuariali connessi all’età e al sesso dell’interessato».
Valutazione
Considerazioni preliminari
37. Nel presente ricorso avverso la suddetta sentenza, la sig.ra Lindorfer afferma essenzialmente che nei passi sopra riassunti o citati il Tribunale di primo grado ha omesso di applicare correttamente il divieto di discriminazione (con riferimento, tra l’altro, all’art. 141 CE) e ha omesso di motivare le conclusioni cui è pervenuto. La ricorrente rende le suddette affermazioni separatamente in ordine a ciascun passo rilevante. Il Consiglio considera i passi collettivamente, e risponde dapprima all’asserzione relativa al divieto di discriminazione e poi alla presunta insufficienza di motivazione.
38. In sede d’appello, non spetta alla Corte di giustizia riesaminare l’intero caso, ovvero sottoporre di propria iniziativa ad esame circostanziato singoli punti della causa non eccepiti dal ricorrente, salvo forse quelli che riguardano questioni di ordine pubblico. Il suo ruolo consiste piuttosto nell’esaminare ciascuno dei motivi d’appello dedotti e determinarne la fondatezza.
39. Nella causa istante ho una certa difficoltà a seguire il suddetto approccio alla lettera a causa di come sono state presentate le memorie della ricorrente e del convenuto. Reputo più proficuo ridefinire in un certo qual modo i motivi d’appello, esaminando al contempo se la ricorrente abbia identificato errori di diritto o carenze di motivazione imputabili al Tribunale di primo grado.
40. La causa di primo grado della sig.ra Lindorfer verteva essenzialmente sul fatto che le disposizioni di esecuzione racchiudessero elementi discriminatori illegittimi fondati sul sesso, l’età e la cittadinanza (nella misura in cui i suddetti possano derivare dal diverso trattamento applicato a valute nazionali diverse), nonché elementi discriminatori risultanti dalla determinazione dell’età e dello stipendio in momenti diversi, a seconda della variante impiegata nella formula di conversione. La ricorrente lamenta ora la presenza di inadeguatezze nella sentenza impugnata in ordine a ciascuno dei suddetti motivi. Le affronterò una per una.
Discriminazione fondata sul sesso
41. In sede d’appello, la sig.ra Lindorfer ha fatto riferimento all’art. 141 CE e a diverse direttive del Consiglio, vertenti sulla parità di trattamento. Ella ha fatto valere peraltro anche una violazione del principio generale di non discriminazione – di parità di trattamento o di uguaglianza – sul quale aveva fondato il suo ricorso in primo grado.
42. Il principio di parità di trattamento è uno dei principi fondamentali dell’ordinamento comunitario, di cui l’art. 141 CE è una particolare espressione (11). È chiaro che il principio di parità di retribuzione sancito da codesto articolo pertiene all’argomentazione della sig.ra Lindorfer, essendo le prestazioni pensionistiche una forma di retribuzione futura, sempre che erogate in ragione di un precedente rapporto di lavoro (12). Sebbene l’articolo del Trattato, come peraltro le direttive citate, ponga l’obbligo in capo agli Stati membri piuttosto che alle istituzioni comunitarie, è evidente che sussisterebbe un’inaccettabile incoerenza nell’ordinamento, qualora le istituzioni fossero autorizzate a porre in essere un genere di discriminazione altrimenti vietato agli Stati membri.
43. Nella causa Razzouk/Beydoun (13) la Corte ha altresì stabilito che «nei rapporti tra istituzioni comunitarie (...) e i loro dipendenti ..., gli imperativi imposti da questo principio non sono affatto limitati a quelli che risultano dall’art. [141 CE] o dalle direttive comunitarie emanate in questo settore.» In Weiser (14) ha ribadito che il principio generale della parità di trattamento deve essere osservato segnatamente in ordine alle disposizioni emanate a disciplina del trasferimento al regime comunitario dei diritti a pensione maturati.
44. Di rilevanza ancora maggiore è l’imperativo esplicito di «parità di trattamento ... senza alcun riferimento (...) al (...) sesso» sancito dall’art. 1 bis, punto 1) dello statuto del personale (15), benché detta disposizione non sia stata espressamente invocata nel procedimento.
45. La presunta discriminazione deriva dall’impiego di fattori attuariali operanti a svantaggio delle donne, poiché statisticamente esse hanno un’aspettativa di vita media superiore a quella dell’uomo.
46. Al punto 83 della sentenza, il Tribunale di primo grado riteneva che la differenza di trattamento fosse oggettivamente giustificata dall’esigenza di garantire una sana gestione finanziaria del regime pensionistico, essendo la probabile durata del periodo di erogazione delle prestazioni, statisticamente superiore per la donna, uno dei fattori fondamentali del calcolo.
47. La sig.ra Lindorfer lamenta che non sussiste un’analoga disparità di trattamento tra uomo e donna in ordine ai contributi trattenuti direttamente sullo stipendio dei dipendenti di ruolo. Eppure anche detti contributi devono rispondere all’imperativo di una sana gestione finanziaria che includa nel calcolo le valutazioni attuariali. (16) Una sana gestione del regime pensionistico non può pertanto imporre disparità di trattamento tra dipendenti di sesso maschile e di sesso femminile per quanto concerne i contributi configurabili come trasferimenti di diritti a pensione maturati in un altro regime.
48. Concordo essenzialmente con siffatto argomento.
49. Innanzi tutto, l’esigenza di una sana gestione finanziaria che consideri la probabile durata del periodo di erogazione delle prestazioni pensionistiche non può di per sé sottoporre ad un diverso trattamento il trasferimento dei diritti a pensione maturati. Se si calcolasse la media dei diversi valori attuariali per uomini e donne di una qualsiasi età al fine di ottenere un valore attuariale «unisex» – quale sembra essere il caso all’adeguamento delle aliquote di contribuzione – ai dipendenti di sesso maschile sarebbe conteggiato un numero leggermente inferiore di abbuoni di annualità per un dato capitale trasferito mentre ai dipendenti di sesso femminile ne verrebbero abbonate un po’ di più, ma le entrate e le uscite del regime resterebbero invariate. (17)
50. In secondo luogo, anche laddove potesse essere giustificata una diversa correlazione tra versamenti di contributi e prestazioni per dipendenti di sesso maschile e dipendenti di sesso femminile in ragione di una diversa aspettativa di vita, tale giustificazione non potrebbe essere applicata ad uno solo dei due tipi di contribuzione, salvo fosse possibile dimostrare l’esistenza di differenze oggettive tra i due, il che limiterebbe la giustificazione ad uno solo di essi.
51. Il punto 82 della sentenza impugnata afferma meramente che un dipendente che trasferisce i diritti a pensione maturati altrove si trova in una situazione oggettivamente diversa da un dipendente che versa i contributi al regime delle pensioni comunitario, in ragione del suo impiego presso un’istituzione. La sig.ra Lindorfer ritiene insufficiente la suddetta spiegazione ed io concordo con lei.
52. Per quanto possa essere vero che il trasferimento di diritti a pensione maturati è oggettivamente diverso dal versamento di contributi direttamente trattenuti sullo stipendio, né la sentenza impugnata, né il Consiglio nelle sue memorie forniscono una qualche spiegazione su come siffatte differenze possano avere una certa rilevanza per operare una distinzione tra situazioni di dipendenti di sesso maschile e dipendenti di sesso femminile.
53. Di conseguenza, il fatto che sia probabile che le prestazioni siano versate per periodi più lunghi ai dipendenti di sesso femminile che a quelli di sesso maschile, anche se coniugato con l’esigenza di una sana gestione finanziaria del regime pensionistico, non giustifica il ricorso a fattori attuariali basati sul sesso relativamente al solo trasferimento dei diritti a pensione maturati e la conclusione raggiunta al riguardo dal Tribunale di primo grado non può essere avallata.
54. Inoltre, a fronte dell’indubbio imperativo della parità di trattamento a prescindere dal sesso, ritengo sia necessaria una motivazione molto convincente per giustificare la differenza di trattamento in oggetto e dubito persino che vi si possa dare una giustificazione giuridica.
55. Non siamo al cospetto di una discriminazione indiretta, bensì di una discriminazione diretta fondata sul sesso. In altre parole, il solo criterio che distingue tra gli appartenenti alle due categorie è il sesso; la disparità di trattamento non discende dal possesso di altre caratteristiche che possono appartenere soprattutto o prevalentemente, ma non esclusivamente, alle persone di un sesso o dell’altro.
56. Per giurisprudenza costante della Corte, una disparità di trattamento fondata sul sesso non costituisce una discriminazione illecita laddove sia «giustificata da fattori obiettivi ed estranei a qualsiasi discriminazione fondata sul sesso» (18). Ed è pacifico che la suddetta circostanza sussiste esclusivamente se la discriminazione è indiretta, e non quando per sua stessa natura, si fonda sul sesso (19).
57. Orbene, come la Corte Suprema degli Stati Uniti d’America ha stabilito in Manhart (20) in circostanze analoghe per molti versi a quelle della causa di specie, «non è possibile sostenere che “una distinzione attuariale fondata esclusivamente sul sesso si ‘basi su di un qualunque altro fattore diverso dal sesso. Si fonda precisamente sul sesso”».
58. Vi è stato sottolineato che cause di tal genere implicano una generalizzazione che è «inconfutabilmente vera: le donne, considerate come classe, vivono più a lungo degli uomini. È però altrettanto vero che tutti gli individui delle rispettive classi non condividono la caratteristica che differenzia i rappresentanti medi della classe. Molte donne non vivono quanto l’uomo medio e molti uomini vivono più a lungo della donna media» (21).
59. Detto in altre parole, il genere di discriminazione qui considerata implica l’attribuzione agli individui di caratteristiche medie della classe cui appartengono. Per quanto riguarda il singolo individuo, ritengo che siffatte caratteristiche tipiche non possano in alcun frangente essere descritte come «oggettive». La cosa opinabile (e pertanto vietata) di tale discriminazione consiste nel fare affidamento su caratteristiche estrapolate da una classe e poi imputate all’individuo, invece di ricorrere all’impiego di caratteristiche che distinguono realmente un individuo dagli altri e che potrebbero giustificare un trattamento diverso.
60. Per vedere in prospettiva una tale discriminazione, può essere d’ausilio l’immaginare una situazione in cui (come peraltro perfettamente plausibile) dalle statistiche risulti che gli appartenenti ad un’etnia vivono in media più a lungo di quelli di un’altra etnia. Tenere conto delle suddette differenze allo scopo di determinare la correlazione tra contribuzioni e diritti a pensione acquisiti nel regime pensionistico delle Comunità sarebbe del tutto inaccettabile e, a mio avviso, se all’origine etnica si sostituisce il criterio del sesso, la cosa non risulta maggiormente accettabile. (22)
61. Né, tornando alla nozione di pensione come retribuzione futura, potrebbe essere mai accettabile compilare tabelle indicanti la durata media del servizio presso le istituzioni comunitarie rispettivamente per i dipendenti di sesso maschile e per quelli di sesso femminile e, retribuire meglio i dipendenti di un sesso piuttosto che quelli dell’altro, con il pretesto che la loro retribuzione sarebbe altrimenti inferiore a quella dei dipendenti dell’altro sesso se considerata sull’arco dell’intera carriera. Ciò non solo discriminerebbe ingiustamente tra gli individui in ragione di valori medi imputabili alla rispettiva classe, ma mancherebbe di accordare pari valore a pari servizio. Eppure la giustificazione avanzata in ordine al trattamento differenziato applicato ai trasferimenti – di stipendi futuri – al regime pensionistico comunitario è assai simile.
62. È vero che certe disposizioni comunitarie che vietano le disparità di trattamento in determinate aree escludono dal divieto alcuni specifici tipi di trattamento. Tra quelle citate, la direttiva 86/378, autorizza un trattamento differenziato in ordine ai trasferimenti dei diritti a pensione relativi ai regimi pensionistici a prestazioni finanziate mediante capitalizzazione. (23)
63. Anche se la direttiva fosse di per sé applicabile – è indirizzata agli Stati membri e riguarda i regimi professionali di sicurezza sociale – l’eccezione, però, non lo sarebbe, non essendo il regime comunitario un regime pensionistico finanziato mediante capitalizzazione.
64. Ritengo in ogni caso che il divieto di dar luogo a discriminazioni fondate sul sesso sia tanto fondamentale (24) che qualunque eccezione allo stesso deev’essere una interpretata in maniera assai restrittiva, e può essere applicata solo a quei settori limitati esplicitamente previsti. Contrariamente alla situazione di cui alla direttiva 86/378, non è qui rinvenibile alcuna autorizzazione esplicita, né le disposizioni d’esecuzione forniscono una giustificazione in merito.
65. Non concordo, infine, con l’affermazione del Consiglio secondo cui eliminare la disparità di trattamento qui discussa darebbe luogo ad una discriminazione contro i dipendenti di sesso maschile in pensione che, in ragione della loro ridotta aspettativa di vita, sarebbero destinati a percepire come classe un ammontare complessivo di prestazioni pensionistiche inferiore a quello delle dipendenti di sesso femminile, anch’esse in pensione, in ordine al medesimo ammontare trasferito al regime comunitario (in costanza di tutti gli altri fattori).
66. Innanzi tutto, il suddetto ragionamento, se valido, dovrebbe essere applicato anche ai versamenti di contributi trattenuti sugli stipendi dei dipendenti di ruolo, con una percentuale più alta per i dipendenti di sesso femminile, e ritengo che questo non corrispondesse all’intenzione del Consiglio.
67. Ancor più importante tuttavia – e questo sembra un equivoco fondamentale che informa sia l’argomento del Consiglio che, forse, la sentenza impugnata – il fatto che il Consiglio confonde il costo per il regime con il beneficio per i percipienti.
68. È innegabile che il costo finale connesso al pagamento di una pensione (contrariamente ad un’indennità di collocamento a riposo, opzione non prevista dal regime comunitario) aumenta in funzione dell’età del percipiente. Giacché le donne vivono in media più a lungo degli uomini, è probabile che, considerate come classe, rappresentino un costo maggiore per il regime pensionistico. Per ciascun percipiente, a prescindere dal sesso, la pensione è a vita. Il suo valore dipende esclusivamente dall’ammontare settimanale, mensile o annuale erogato, avendo la pensione la funzione di garantire al percipiente un dato livello di reddito regolare finché egli (25) è in vita. Non ha alcuna rilevanza il totale versato al percipiente sino al suo decesso.
69. Ritengo pertanto che le norme contestate delle disposizioni di esecuzione del Consiglio operino una discriminazione fondata sul sesso e che non siano giustificabili. Esse violano sia il principio generale di uguaglianza, che le sue specifiche espressioni, rinvenibili nel principio di parità di retribuzione e nell’imperativo di parità di trattamento a prescindere dal sesso di cui all’art. 1 bis, dello statuto del personale, e reputo altresì che il motivo relativo all’illegittimità dedotto inizialmente dalla sig.ra Lindorfer dovrebbe essere accolto a tale riguardo.
70. Infine, vorrei tuttavia sottolineare che la suddetta analisi concerne lo statuto del personale e il regime pensionistico comunitario. Sebbene molte delle predette considerazioni siano di generale applicazione, non è possibile escludere che esse possano portare a conclusioni diverse in altre circostanze. I regimi pensionistici nazionali soggiacciono alle disposizioni delle direttive citate e non a quelle dello statuto del personale ed è verosimile che le modalità di finanziamento differiscano da quelle del regime comunitario; la mia analisi non vuole, ad esempio, mettere in discussione quanto deciso nelle sentenze Coloroll (26) o Neath (27). Diversità ancora maggiori presenta l’attività assicurativa nel settore vita e l'assicurazione contro la responsabilità civile auto, dove è possibile che fattori molto diversi debbano essere presi in considerazione.
Discriminazione fondata sull’età
71. L’argomento dedotto dalla sig.ra Lindorfer riguarda l’impiego di valori attuariali che sono sempre più alti, e pertanto meno favorevoli, per i dipendenti più anziani di età (28), ed è comparabile alla questione della discriminazione fondata sul sesso trattata sopra.
72. L’aumento dei valori attuariali con il progredire dell’età fa sì che, per un ammontare identico trasferito al regime pensionistico comunitario dal medesimo regime nazionale e in costanza di tutti gli altri fattori, quali il sesso e il grado di inquadramento, ad un dipendente d’età maggiore sono abbonate meno annualità di quelle abbonate ad un dipendente più giovane – e, quindi, in definitiva, una pensione inferiore –. Utilizzando, ad esempio, i valori attuariali in questione e la formula di cui all’art. 10, n. 3, delle disposizioni di esecuzione contestate, (29) il trasferimento di EUR 100.000 al regime comunitario da parte di una donna di 35 anni d’età darebbe diritto ad una pensione figurativa di EUR 9.032, mentre, se trasferito da una donna di 55 anni d’età, darebbe diritto ad una pensione figurativa di EUR 6.664. (30)
73. Al punto 83 della sentenza, il Tribunale di primo grado giustificava tale disparità di trattamento essenzialmente a fronte di fattori aventi un’influenza diretta sulla responsabilità finanziaria della Comunità nei confronti di ciascun singolo dipendente interessato, in linea con i precetti di una sana gestione. Il ragionamento concernente questo punto discende da una considerazione menzionata al punto 82, secondo la quale un dipendente che trasferisce un capitale al regime comunitario si trova in una situazione oggettivamente diversa rispetto a quella di un dipendente che vi contribuisce in ragione del suo impiego presso un’istituzione.
74. Le obiezioni mosse dalla sig.ra Lindorfer coincidono per lo più con quelle sollevate in merito alla discriminazione fondata sul sesso: il Tribunale di primo grado non avrebbe spiegato come i fattori di cui sopra fossero rilevanti, ovvero, laddove rilevanti, come fosse possibile distinguere obiettivamente tra contribuzioni mediante trasferimento di capitale e contribuzioni trattenute direttamente dallo stipendio, in quanto i valori attuariali venivano applicati solamente per calcolare i diritti acquisiti derivanti da trasferimento di capitale.
75. Mi sono già soffermato sulle suddette critiche in relazione al ragionamento dato a giustificazione della discriminazione fondata sul sesso, e la mia analisi è per molti versi analoga per quanto concerne la questione della discriminazione fondata sull’età.
76. È importante osservare come il trattamento dei dipendenti in ordine ai contributi pensionistici trattenuti sullo stipendio sia uguale per tutti i dipendenti di tutte le età. Laddove sia d’uopo giustificare un trattamento diverso nel caso dei trasferimenti al regime pensionistico comunitario, è indispensabile stabilire l’esistenza di una differenza oggettiva tra siffatti trasferimenti e i contributi trattenuti sullo stipendio.
77. I fattori enunciati nel ragionamento del Tribunale di primo grado sono (i) la probabile durata del periodo in cui il capitale trasferito si troverà nel bilancio comunitario, (ii) l’avanzamento previsto della carriera del dipendente, (iii) la probabilità che tali prestazioni gli siano versate e (iv) la durata probabile del periodo in cui tali versamenti verranno effettuati.
78. Dei quattro fattori predetti, (iii) e (iv) possono essere evidentemente messi in relazione con le statistiche sull’aspettativa di vita, così come riflessa dai valori attuariali, e sono rilevanti al fine di stimare la portata delle responsabilità future assunte dal regime comunitario. Nella sentenza impugnata manca tuttavia una qualsiasi indicazione che spieghi il motivo per cui essi possano essere rilevanti in ordine ai trasferimenti, ma non lo siano in ordine ai contributi trattenuti sullo stipendio, e reputo discutibile che una siffatta distinzione possa essere motivata da ragioni oggettive, piuttosto che politiche.
79. Il probabile avanzamento di carriera del dipendente (ii) è anch’esso un fattore che potrebbe incidere sul costo complessivo delle prestazioni pensionistiche da versare, essendo queste calcolate in percentuale sullo stipendio finale. Non è tuttavia chiaro come, in costanza di tutti gli altri fattori di calcolo del trasferimento (31), un dipendente nominato in ruolo in età più avanzata raggiunga normalmente uno stipendio finale superiore. È invero più probabile che sia un dipendente giovane a raggiungere uno stipendio più alto in ragione di una carriera più lunga, acquistando così il diritto a prestazioni pensionistiche maggiori. E il fatto che una carriera più lunga comporti più contributi pensionistici in guisa di ritenute sullo stipendio non è rilevante al fine del trattamento dei contributi versati con trasferimenti dai regimi pensionistici nazionali, essendo le annualità definite in ragione delle ritenute sullo stipendio completamente indipendenti dall’abbuono di annualità determinato in ragione di un trasferimento.
80. Infine poco mi convince il riferimento alla probabile durata del periodo in cui il capitale trasferito si troverà nel bilancio comunitario (i). In assenza di un fondo, è difficile basare il ragionamento sulla permanenza del capitale nel bilancio, nel quale entrate e spese devono risultare in pareggio (32) e che è soggetto al principio fondamentale della «annualità», secondo cui entrate e stanziamenti vengono essenzialmente determinati su base annuale (33).
81. Bisogna tuttavia prendere atto del fatto che, da un lato, i diritti a pensione trasferiti nel bilancio comunitario rappresentano una vera entrata e non un mero risparmio di spesa, quale è invece il caso per i contributi trattenuti sullo stipendio e che, dall’altro, l’imperativo di un bilancio in pareggio e il principio dell’annualità non sono tanto stringenti da precludere il riporto degli importi da un anno all’altro (34). Esiste pertanto un certo capitale che può essere investito e riportato, fatto che permette in un certo senso di dire che le somme versate rimangono a disposizione del bilancio per un periodo più o meno lungo.
82. Benché con una più approfondita analisi finanziaria sia possibile contestare siffatto assunto del ragionamento del Tribunale di primo grado, non ritengo si possa dire che la sig.ra Lindorfer lo abbia fatto.
83. Ritengo peraltro necessario mettere a confronto la natura della discriminazione fondata sull’età e la sua proibizione con la discriminazione fondata sul sesso.
84. Il sesso è essenzialmente un criterio binario, mentre l’età rappresenta un livello di una scala. La discriminazione fondata su tabelle attuariali è pertanto una forma assai pesante di discriminazione, che comporta generalizzazioni di assai vasta portata, mentre la discriminazione fondata sull’età si presta ad essere graduata e si può basare su generalizzazioni più sottili.
85. Nel diritto e nella società in generale, inoltre, la parità di trattamento a prescindere dal sesso è attualmente considerata essere un principio fondamentale e imperativo, da osservarsi e far valere ovunque possibile, mentre l’idea di una parità di trattamento a prescindere dall’età soggiace a numerose condizioni ed eccezioni, quali possono essere i limiti d’età di vario genere, spesso legalmente vincolanti, considerati non soltanto accettabili, ma materialmente vantaggiosi e talvolta essenziali.
86. L’età è, in particolare, un criterio proprio dei regimi pensionistici, ove non è possibile prescindere dall’operare certe distinzioni in base all’età.
87. Nel diritto comunitario, il divieto di dar luogo a discriminazioni fondate sull’età, oltre ad essere soggetto a molte più clausole condizionali e limitazioni di quanto valga per la discriminazione fondata sul sesso, rappresenta altresì un fenomeno assai più recente.
88. Mentre il principio della parità di retribuzione tra lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore era già sancito dall’art. 119 del Trattato CEE originale (ora l’art. 141 CE) nel 1957, il primo riferimento alla discriminazione fondata sull’età era introdotto nell’art. 6 a del Trattato CE (ora art. 13 UE) nel 1997 dal Trattato di Amsterdam, entrato in vigore nel 1999. Tale disposizione si limita peraltro a permettere al Consiglio di prendere i provvedimenti opportuni per combattere le discriminazioni fondate, tra le altre cose, sull’età.
89. Il 27 novembre 2000, è stata adottata la direttiva che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro (35), che ha disposto un divieto generale di discriminazione fondata su, tra le altre cose, l’età nel settore dell’occupazione, ma con numerose limitazioni (36). Il 7 dicembre dello stesso anno, l’art. 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata solennemente il 20 dicembre 2000 a Nizza dal Parlamento, il Consiglio e la Commissione (37), vietava qualsiasi forma di discriminazione fondata su di un qualsiasi motivo, tra cui l’età. E il 1° maggio 2004 il divieto di discriminazione fondata sull’età è stato incluso nello statuto del personale delle Comunità europee (38).
90. Si fa tuttavia notare che la decisione controversa nel presente caso è stata emessa il 3 novembre 2000 (39) e quindi prima degli ultimi tre provvedimenti menzionati.
91. Alla luce delle suddette considerazioni, ritengo che la sig.ra Lindorfer abbia identificato certi vizi nel ragionamento del Tribunale di primo grado in ordine alla giustificazione addotta per la disparità di trattamento a seconda dell’età, fatto indiscutibilmente presente nel calcolo per il trasferimento dei diritti a pensione. In particolare, sembra difficile giustificare tale disparità sulla base dell’avanzamento previsto della carriera del dipendente, della probabilità che tali prestazioni gli siano versate e della durata probabile del periodo in cui tali versamenti verranno effettuati.
92. Tuttavia, per quanto riguarda la probabile durata del periodo in cui il capitale trasferito dall’interessato si troverà nel bilancio comunitario, non ritengo che la sig.ra Lindorfer abbia dimostrato l’insostenibilità della giustificazione, benché l’abbia, per certi versi, messa in dubbio.
93. Prendendo atto di tale possibile giustificazione, assieme al fatto che il divieto di discriminazione fondata sull’età normalmente previsto non fosse, diversamente da oggi, ancora chiaramente stabilito all’atto della pronuncia della decisione controversa, non ritengo che la sentenza impugnata debba essere annullata a tal riguardo. Tuttavia, non si può asserire che il regime pensionistico corrente sia immune da impugnazione sulla base del chiaro divieto di discriminazione a seconda dell’età attualmente contenuto nello statuto del personale.
Discriminazione fondata sulla nazionalità
94. Se l’impiego automatico in ciascun caso della formula di conversione più favorevole tra le due (la variante (i) e la variante (ii)) produce sistematicamente risultati di conversione a vantaggio di particolari valute nazionali rispetto ad altre, è giusto pensare ad una discriminazione fondata sulla nazionalità. Sebbene non tutti i dipendenti che trasferiscono i capitali espressi in una determinata valuta siano anche cittadini del paese di circolazione della stessa, è certamente assai probabile che nella maggioranza dei casi lo siano.
95. In primo grado, la sig.ra Lindorfer produceva tabelle comparative a dimostrazione di siffatta discriminazione. Il Consiglio contestava la precisione e/o la rilevanza delle cifre in questione e replicava per iscritto alle questioni avanzate in merito dal Tribunale di primo grado.
96. Sulla scorta di ciò, il Tribunale di primo grado stabiliva che le tabelle in questione presentavano incoerenze, riguardavano situazioni non paragonabili a quella della sig.ra Lindorfer per svariati motivi e pertanto non erano rilevanti. Esso rilevava inoltre che le fluttuazioni del tasso di cambio sottostanti alle disparità di trattamento costituivano fattori che esulavano dal controllo delle Comunità.
97. La sig.ra Lindorfer sostiene che il Tribunale di primo grado ha tratto conclusioni inesatte dai fatti, e che il suo ragionamento era pertanto erroneo. Il confronto da essa effettuato con il caso concreto di un dipendente spagnolo non avrebbe dovuto essere escluso a causa della differenza d’età, sesso e grado di inquadramento, in quanto conta la quasi identità dei valori attuariali e dell’importo trasferito. Inoltre, il Tribunale di primo grado ha ignorato i rilevanti calcoli, presentati dalla ricorrente, dei risultati del trasferimento del medesimo importo da altre valute.
98. Concordo con il Tribunale di primo grado sul fatto che le tabelle in questione, ricorrendo le stesse a parametri diversi, mancano di dimostrare chiaramente l’esistenza o la portata di una disparità di trattamento.
99. D’altro canto è legittimo obiettare che il Tribunale, in veste di giudice finale sulle questioni di fatto, avrebbe dovuto esaminare le cifre con maggiore attenzione, essendo le stesse indicative di una certa disparità.
100. Ritengo altresì discutibili alcune delle disposizioni a disciplina della variante (i). Per esempio, se i versamenti dei contributi al regime nazionale sono stati fatti tra il 1985 e il 1995, per quale motivo dovrebbero essere considerati i tassi di cambio compresi tra il 1972 e il 1984? E, a prima vista – certo se il criterio è quello di una sana gestione finanziaria – è difficile giustificare una disposizione che prevede che (come nella causa del dipendente spagnolo addotta ad esempio dalla sig.ra Lindorfer), nel caso in cui il numero di annualità abbonate nel regime pensionistico comunitario, facendo ricorso ad un tasso di cambio medio, dovesse superare il numero di annualità computate dal regime nazionale, la porzione in eccesso del capitale trasferito, dopo la conversione, deve essere semplicemente versata al dipendente interessato.
101. Purtuttavia, ancorché la sig.ra Lindorfer abbia individuato i vizi dei metodi di conversione, in conseguenza dei quali i dipendenti che conferiscono i capitali espressi in determinate valute godono di un vantaggio sugli altri, e sebbene il Tribunale di primo grado non li abbia esaminati con la debita attenzione, non ritengo che sia stata identificata una qualsiasi discriminazione contro cui sia possibile procedere.
102. Come già fatto rilevare (40), la variante (i) è vantaggiosa per il dipendente interessato se, nel corso del periodo di versamento dei contributi, la valuta del regime nazionale si è indebolita rispetto all’euro (o, in passato, rispetto al franco belga), e la variante (ii) è vantaggiosa se la divisa nazionale si è rafforzata. Si può aggiungere che nessuna delle varianti è vantaggiosa o sfavorevole se il valore è rimasto costante. Il fatto di poter scegliere (o, in pratica, l’applicazione automatica della variante più favorevole) significa che ciascun dipendente ha diritto all’alternativa più vantaggiosa.
103. L’essenza della discriminazione consiste nell’applicazione di norme diverse a situazioni analoghe, ovvero nell’applicazione della stessa norma a situazioni diverse, senza che sussista alcuna giustificazione oggettiva e pertinente. (41)Ritengo tuttavia che per motivare un ricorso fondato su di una discriminazione sia anche necessario stabilire che una parte abbia sofferto uno svantaggio in ragione delle norme applicate.
104. Nella causa di specie, il fatto stesso che la sig.ra Lindorfer avrebbe sofferto uno svantaggio laddove fosse stata applicata la variante (i) e il dipendente spagnolo, al cui esempio ella rimanda, laddove fosse stata applicata la variante (ii), pur dimostrando da un lato che sussiste una reale differenza oggettiva e materiale tra le due situazioni, dimostra anche che nessuno può lamentare di aver sofferto uno svantaggio, avendo goduto entrambi del trattamento più favorevole.
Determinazione di età e stipendio in momenti diversi
105. Infine, la sig.ra Lindorfer dissente da come il Tribunale di primo grado ha trattato il suo argomento, secondo il quale l’impiego di due varianti al fine del calcolo dell’equivalente in euro del capitale da trasferire espresso in altra valuta darebbe origine ad una discriminazione ingiustificata; ciò perché la variante (i) si avvale dell’età e dello stipendio del dipendente alla data della nomina in ruolo e la variante (ii) si avvale dell’età e dello stipendio alla data del trasferimento reale. Nell’ultimo caso, età e valore attuariale (V) sarebbero necessariamente più alti, come probabilmente anche lo stipendio (S), con la conseguenza di abbassare il risultato del calcolo.
106. Sebbene la sig.ra Lindorfer suggerisce che tale argomento non sia stato trattato nella sentenza impugnata, il Consiglio sostiene che ciò sia avvenuto al punto 89, facendo rilevare che mentre la variante (i) prevede l’applicazione di un interesse di sconto annuo del 3,5% sul capitale trasferito per il periodo compreso tra la data di nomina in ruolo del dipendente e la data del trasferimento effettivo (salvo i periodi di mancata rivalutazione dell’ammontare o di mancata maturazione di interessi nel regime nazionale d’origine) (42), la variante (ii) non prevede tale interesse.
107. A fronte di ciò, lo svantaggio sofferto per l’impiego di valori attuariali più alti e, possibilmente, uno stipendio più alto, è, nella seconda ipotesi, considerevolmente attenuato e si può addirittura trasformare in un vantaggio. Benché ritenga che dalla lettera dell’art. 10, nn. 2, 3 e 4, delle disposizioni di esecuzione non emerga chiaramente che l’interesse di sconto trovi applicazione solamente nel caso della variante (i), quanto accertato dal Tribunale di primo grado si basava su di una dichiarazione resa dal Consiglio in risposta ad un’interrogazione scritta e non sembra essere contestato dalla sig.ra Lindorfer.
108. In tale contesto conclude che la sig.ra Lindorfer non ha identificato alcun vizio della sentenza impugnata riguardo alla presunta discriminazione, derivante dal fatto che nelle varianti (i) e (ii) età e stipendio vengono determinati in momenti diversi.
Considerazioni conclusive
109. Giungo pertanto alla conclusione che la sentenza impugnata presenta vizi di ragionamento limitatamente al fatto che non vi fosse discriminazione fondata sul sesso e che dovrebbe essere annullata a tale riguardo.
110. La causa è giunta allo stadio conclusivo e lo stato del procedimento è tale che la Corte di giustizia può statuire definitivamente ai sensi dell’art. 61 del proprio Statuto. Dovrebbe pertanto accogliere il motivo relativo all’illegittimità delle disposizioni di esecuzione dedotto dalla sig.ra Lindorfer, nella misura in cui l’impiego di valori attuariali comporta una discriminazione fondata sul sesso, e annullare di conseguenza la decisione controversa.
111. Ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura della Corte di giustizia, il soccombente è condannato a sopportare le spese qualora ne sia stata fatta domanda. La sig.ra Lindorfer ne ha fatto domanda sia per il giudizio di primo grado che per il ricorso in appello.
Conclusione
112. Ritengo pertanto che la Corte debba:
– annullare la sentenza nella causa T‑204/01 nella misura in cui rigetta il ricorso in ragione del fatto che non vi fosse una discriminazione basata sul sesso;
– dichiarare l’invalidità dell’art. 10, n. 3, delle disposizioni generali di esecuzione dell’art. 11, n. 2 dell’Allegato VIII dello statuto del personale delle Comunità europee, adottato dal Consiglio il 13 luglio 1992, nella misura in cui dispone l’impiego di valori attuariali che operano una distinzione in ragione del sesso;
– annullare la decisione controversa del Consiglio del 3 novembre 2000;
– condannare il Consiglio alle spese sia in primo grado, sia in appello.
1 – Lingua originale: l'inglese.
2 – Direttiva del Consiglio 19 dicembre 1978, 79/7/CEE, relativa alla graduale attuazione del principio di parità di trattamento tra gli uomini e le donne in materia di sicurezza sociale (GU 1979, L 6, pag. 24).
3 – Direttiva del Consiglio 24 luglio 1986, 86/378/CEE, relativa all’attuazione del principio della parità di trattamento tra gli uomini e le donne nel settore dei regimi professionali di sicurezza sociale (GU 1986, L 225, pag. 40) così come modificata dalla direttiva del Consiglio 20 dicembre 1996, 96/97/CE (GU 1997, L 46, pag. 20).
4 – Regolamento (CEE, Euroatom, CECA) del Consiglio 29 febbraio 1968, n. 259, che definisce lo statuto dei funzionari delle Comunità europee nonché il regime applicabile agli altri agenti di tali Comunità, ed istituisce speciali misure applicabili temporaneamente ai funzionari della Commissione (GU 1968, L 56), così come modificato in diverse occasioni. L’art. 1 bis è stato introdotto dal regolamento (CE, CECA, Euratom) del Consiglio 7 aprile 1998, n. 781 che modifica lo statuto dei funzionari delle Comunità europee nonché il regime applicabile agli altri agenti di tali Comunità in materia di parità di trattamento (GU 1998, L 113, pag. 4).
5 – La disposizione equivalente vigente dal 1 maggio 2004 é l’art. 1, quinquies, n. 1, che recita:
«Nell'applicazione del presente statuto è proibita ogni discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle, le origini etniche o sociali, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l'appartenenza a una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, gli handicap, l'età o l'orientamento sessuale.»
6 – Un importo equivalente al totale è iscritto alla voce «contributi versati dai dipendenti al regime pensionistico» nella sezione delle entrate del bilancio delle Comunità europee (ancorché più che un'entrata vera e propria costituisca una riduzione della spesa), assieme ai trasferimenti dei diritti a pensione maturati, l’acquisto di annualità e contributi da parte dei dipendenti per congedi (non retribuiti) per ragioni personali (che costituiscono tutti una entrata vera e propria). In effetti, è il totale dato da tutte le suddette categorie che dovrà coprire un terzo del costo delle pensioni erogate, sebbene le trattenute sullo stipendio ne costituiscano la voce preponderante.
7 – Ora abrogata e sostituita dall'art. 83 bis, con disposizioni di esecuzione particolareggiate, incluse quelle che prevedono una valutazione attuariale quinquennale da parte di Eurostat, di cui all’Allegato XII.
8 – Questo concetto alquanto opaco in inglese, par essere privo di corrispondenze al di fuori dello statuto del personale delle Comunità europee ed è il calco del francese «forfait di riscatto». Il miglior significato da ascrivergli è forse quello di un ammontare forfettario corrispondente al valore dei diritti a pensione maturati da un individuo in un regime pensionistico.
9 Datata 3 novembre 2000
10 – Sentenza 18 marzo 2004, causa T-204/01, Lindorfer/Consiglio (Racc. pag. IA-83 e II-361).
11 – V., ad esempio, sentenza 30 aprile 1996, causa C‑13/94, P/S e Cornwall Council, (Racc. pag. I‑02143, punto 18); sentenza 10 febbraio 2000, cause riunite C‑270/97 e C‑271/97 Sievers/Schrage (Racc. pag. I‑929, punti 56 e 57) e sentenza 13 gennaio 2004, causa C‑256/01, Allonby (Racc. pag. I‑873, punto 65).
12 – V. sentenza 23 ottobre 2003, cause riunite C‑4/02 e C‑5/02 Schönheit/Becker, (Racc. pag. I‑12575, ai punti 56-59), congiuntamente alla giurisprudenza ivi citata.
13 – V. sentenza 20 marzo 1984, cause riunite 75/82 e 117/82 (Racc. pag. 1509, punto 17) per una recente conferma del Tribunale di primo grado, v., causa T‑181/01 Hectors (Racc. PI pag. IA‑19; pag. II-103).
14 – Causa C‑37/89, Racc. 90, pag. I‑2395, punto 13.
15 – Vedi il paragrafo 12 e la nota 5 di cui sopra.
16 – Art. 83, n. 4 dello statuto del personale delle Comunità europee; vedi il paragrafo 16 di cui sopra.
17 – Sebbene sia ipotizzabile un temporaneo aumento dei costi laddove fosse stabilita l'illegittimità delle disposizioni correnti, questo tuttavia riguarderebbe la gestione finanziaria del regime pensionistico, ma deriverebbe da un'incapacità iniziale di garantire una sana gestione legale.
18 – V., ad esempio, sentenza 9 febbraio 1999, causa C‑167/97 Seymour-Smith/Perez (Racc. pag. I‑623, punti 60 e 65).
19 – V. altresì le mie conclusioni nella causa C‑79/99 Schnorbus (Racc. pag. I‑10997, paragrafi 30 e segg.).
20 – Los Angeles Department of Water and Power v Manhart (1978) 435 US 702, punti 712 e 713.
21 – Ibidem, punti 707 e 708.
22 – Sono consapevole del fatto che un siffatto approccio può essere criticato in quanto l’assegnazione degli individui ai gruppi etnici sarebbe altamente arbitraria, ma l’esempio resta valido, anche se tale aspetto non venga considerato.
23 – V. paragrafi 8, 9 e 10 di cui sopra.
24 – V., ad esempio, il quarto considerando della direttiva del Consiglio 27 novembre 2000, 2000/78/CE, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro (GU 2000, L 303, pag. 16): «Il diritto di tutti all’uguaglianza dinanzi alla legge e alla protezione contro le discriminazioni costituisce un diritto universale riconosciuto dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, dalla convenzione delle Nazioni Unite sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna, dai patti delle Nazioni Unite relative rispettivamente ai diritti civili e politici e ai diritti economici, sociali e culturali e dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali di cui tutti gli Stati membri sono firmatari».
25 – E, eventualmente, il coniugesuperstite.
26 – Sentenza 28 settembre 1994, causa C‑200/91, Coloroll Pension Trustees (Racc. pag. I‑4389).
27 – Sentenza 22 dicembre 1993, causa C‑152/91, David Neath (Racc. pag. I‑6935).
28 – V. paragrafi 18 e 19 di cui sopra.
29 – Ibidem
30 – Arrotondati all’intero più prossimo, i valori attuariali sono 11,071 per una donna di 35 anni d’età e 15,007 per una donna di 55 anni d’età. La pensione nominale deve poi ovviamente essere convertita in annualità conformemente alla seconda parte della formula, ma il calcolo iniziale dimostra la differenza tra i due risultati, in costanza di tutti gli altri parametri.
31 – Tenendo presente che i valori attuariali attuano una distinzione in base al solo criterio dell’età, essendo gli altri fattori, quali il grado di inquadramento, introdotti nel calcolo in una fase successiva.
32 – Art. 268 CE.
33 – Art. 6 e segg. dello statuto del personale vigente (Regolamento (CE, Euratom) del Consiglio 25 giugno 2002, 1605/2002 (GU 2002, L 248, pag. 1) e le corrispondenti disposizioni, segnatamente l’art. 1, n. 2 e l’art. 6 del Regolamento finanziario del 21 dicembre 1977 (GU 1977, L 356 pag. 1).
34 – Nel 2004, ad esempio, il saldo attivo riportato dall’esercizio precedente era di EUR 5,7 milioni.
35 – Citata alla nota 25.
36 – L’art. 6, n. 2, consente segnatamente che gli Stati membri «possono prevedere che la fissazione per i regimi professionali di sicurezza sociale di un’età per poter accedere o aver titolo alle prestazioni pensionistiche o all’invalidità, compresa la fissazione per tali regimi di età diverse per lavoratori o gruppi o categorie di lavoratori e l'utilizzazione, nell'ambito di detti regimi, di criteri di età nei calcoli attuariali non costituisca una discriminazione fondata sull’età purché ciò non dia luogo a discriminazioni fondate sul sesso».
37 – GU 2000, C 364, pag. 1, art. 21.
38 – Vedi nota 5 sopra. Ciò consegue, tra l’altro all’abolizione dei limiti d’età ai fini dell'assunzione nel 2002, in seguito ad obiezioni sollevate dal Mediatore europeo.
39 – Vedi il paragrafo 26 sopra.
40 – Vedi il paragrafo 24 sopra.
41 – Come fatto notare al punto 64 della sentenza impugnata.
42 – Vedi il paragrafo 18 sopra.