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Documento 62002CC0442

    Conclusioni dell'avvocato generale Tizzano del 25 marzo 2004.
    CaixaBank France contro Ministère de l'Économie, des Finances et de l'Industrie.
    Domanda di pronuncia pregiudiziale: Conseil d'État - Francia.
    Libertà di stabilimento - Enti creditizi - Normativa nazionale che vieta la remunerazione dei conti di deposito a vista.
    Causa C-442/02.

    Raccolta della Giurisprudenza 2004 I-08961

    Identificatore ECLI: ECLI:EU:C:2004:187

    CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE

    ANTONIO TIZZANO

    presentate il 25 marzo 2004 (1)

    Causa C-442/02

    CaixaBank France

    contro

    Ministère de l'Economie, des Finances et de l'Industrie

    [domanda di pronuncia pregiudiziale, proposta dal Conseil d'État (Francia)]

    «Diritto di stabilimento – Enti creditizi – Legislazione nazionale che vieta la remunerazione dei conti “a vista” – Eventuale incompatibilità con il diritto comunitario»





    1.        Nella presente causa la Corte è chiamata a chiarire se regole nazionali di uno Stato membro che vietano la remunerazione dei conti correnti «a vista» denominati in euro costituiscano restrizioni alla libertà di stabilimento vietate dall’art. 43 CE, nella misura in cui si applicano alla filiale costituita in detto Stato membro da una persona giuridica di un altro Stato membro.

    I –    Quadro normativo

    Diritto comunitario

    2.        La presente causa mette in gioco essenzialmente le norme del Trattato relative alla libertà di stabilimento, in particolare l’art. 43 CE.

    3.        E’ opportuno altresì far menzione della direttiva 2000/12/CE (2), che, seppur non rileva direttamente per la soluzione delle questioni sollevate dal giudice del rinvio, è stata più volte invocata nel corso del dibattito svoltosi di fronte alla Corte.

    4.        Ricordo allora anzitutto che la direttiva procede ad una compiuta ricodificazione delle discipline relative alle libertà di stabilimento e di prestazione dei servizi nel settore del credito bancario, introdotte con varie direttive precedenti in attuazione degli artt. 43 CE e seguenti.

    5.        La direttiva dispone in particolare che solo gli enti creditizi autorizzati dalla competente autorità di uno Stato membro possano effettuare a titolo professionale attività di raccolta dal pubblico di depositi o di altri fondi rimborsabili (artt. 1, 3 e 4); è previsto altresì che quegli enti, che sono dotati di personalità giuridica e soddisfano ad una serie di requisiti armonizzati (3), possono esercitare le attività creditizie coperte dall’autorizzazione, oltre che nello Stato che le ha autorizzate ed in cui hanno la propria sede, in qualsiasi altro Stato membro, attraverso una succursale priva di personalità giuridica o con le modalità della prestazione di servizi, secondo un sistema di riconoscimento reciproco delle autorizzazioni (art. 18).

    Diritto nazionale

    6.        L’art. L.312-3 del code monétaire et financier (partie législative) (il codice monetario e finanziario francese; in prosieguo: il «codice monetario») detta la disciplina applicabile alla remunerazione dei conti «a vista» o a meno di cinque anni, e così dispone:

    «Nonostante tutte le disposizioni contrarie, è vietato a qualsiasi ente creditizio che riceva dal pubblico fondi in conto a vista o a meno di cinque anni, e con qualsivoglia mezzo, versare su tali fondi un interesse superiore a quello stabilito [dal regolamento del comitato per la regolamentazione bancaria e finanziaria o] (4) dal ministro dell’economia» (5).

    7.        Il regolamento n. 86-13 del comitato per la regolamentazione bancaria e finanziaria (in prosieguo: il «comitato per la regolamentazione bancaria», o il «comitato») (6) ha vietato la remunerazione dei conti correnti «a vista» (7).

    8.        Il divieto si applica ai conti correnti a vista in euro intestati a soggetti residenti in Francia.

    II – Fatti e procedura

    9.        Nel corso del 2002 la Société CaixaBank France (in prosieguo: «CaixaBank France»), una filiale francese della società spagnola Caixa Holding, informava il comitato per la regolamentazione bancaria della sua intenzione di immettere sul mercato un conto corrente «a vista» remunerato con interesse del 2% a partire da un saldo attivo di euro 1 500.

    10.      Con decisione 16 aprile 2002, il comitato vietava a CaixaBank France di stipulare nuovi contratti aventi ad oggetto conti «a vista» remunerati intestati a soggetti residenti in Francia, intimandole contestualmente, per i contratti già posti in essere, di denunciare le clausole che prevedevano la remunerazione.

    11.      La società impugnava tale decisione davanti al Conseil d’État, facendo valere in particolare che il divieto di remunerare i conti «a vista» dei residenti sarebbe in contrasto con le disposizioni del Trattato sulla libertà di stabilimento.

    12.      Riconoscendo la rilevanza della questione, il Conseil d’État sospendeva il procedimento e sottoponeva alla Corte di giustizia i seguenti quesiti pregiudiziali:

    «1. Se, nel silenzio della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 20 marzo 2000, 2000/12/CE, il divieto imposto da uno Stato membro agli enti creditizi regolarmente installati nel suo territorio di remunerare alcuni depositi “a vista” e altri fondi rimborsabili costituisca una restrizione alla libertà di stabilimento.

    2. In caso di soluzione affermativa della prima questione, qual è la natura delle ragioni di interesse generale che potrebbero, eventualmente, essere dedotte per giustificare una restrizione del genere».

    13.      Di fronte alla Corte hanno presentato osservazioni CaixaBank France, BNP Paribas e altre banche francesi intervenute nel frattempo nella causa principale, il governo francese e la Commissione.

    III – Analisi giuridica

    Sul primo quesito

    14.      Su tale quesito, le posizioni delle parti si possono riassumere come segue.

    15.      CaixaBank e la Commissione fanno valere essenzialmente che l’applicazione della misura de qua rappresenterebbe un ostacolo all’esercizio effettivo e redditizio dell’attività creditizia, ostacolo vietato dall’art. 43 CE, così come interpretato dalla giurisprudenza comunitaria, e segnatamente dalle sentenze Kraus (8), Gebhard (9) e Pfeiffer (10), adducendo alcuni argomenti di cui si darà conto, ove necessario, in seguito.

    16.      La Commissione ritiene inoltre opportuno valutare la compatibilità della disciplina francese con il Trattato anche per quanto riguarda una sua eventuale applicazione alle succursali di enti creditizi stabiliti in un altro Stato membro. Anche da tale punto di vista detta disciplina sarebbe contraria al diritto comunitario, in quanto integrerebbe una violazione del regime armonizzato previsto per le succursali dalla direttiva 2000/12.

    17.      Secondo la Francia e le banche francesi intervenienti, per contro, l’art. 43 CE, così come interpretato dalla Corte (11), imporrebbe essenzialmente allo Stato di stabilimento di riservare ai cittadini degli altri Stati membri il medesimo trattamento garantito ai nazionali quanto alle condizioni di accesso e di esercizio delle attività non salariate, vietando qualsiasi discriminazione, diretta o anche soltanto indiretta e dissimulata, fondata sulla nazionalità dei cittadini comunitari.

    18.      In ogni caso, misure nazionali indistintamente applicabili potrebbero costituire una restrizione alla libertà di stabilimento solo ove riguardino l’accesso a un’attività professionale, ma non quando si limitino a disciplinarne le condizioni di esercizio, come nel caso di specie (12).

    19.      Gli effetti restrittivi di una misura come quella di cui si tratta nella specie sarebbero comunque troppo aleatori ed indiretti per poter essere apprezzati come una restrizione alla libertà di stabilimento in violazione del Trattato.

    20.      Ciò posto, passo ora ad esporre la mia valutazione del caso.

    a) Premessa

    21.      Devo anzitutto osservare che il Conseil d’État chiede alla Corte se il Trattato si opponga all’applicazione della misura controversa ad una filiale francese di una banca originariamente stabilita in un altro Stato membro. La fattispecie rilevante è dunque quella dell’esercizio della libertà di circolazione tramite lo stabilimento di una società dotata di personalità giuridica autonoma, una filiale appunto.

    22.      E’ a questa fattispecie che si deve limitare la risposta della Corte. Diversamente infatti dalla Commissione (supra, paragrafo 16), non ritengo che si possa ampliare l’oggetto del quesito, fino a comprendervi le ipotesi di applicazione della misura di cui si tratta ad una banca che intenda esercitare in Francia l’attività creditizia tramite una succursale. Oltre infatti a non costituire l’oggetto del quesito proposto dal giudice nazionale, tale ipotesi non è rilevante neppure per la soluzione della controversia innanzi ad esso pendente.

    b) Sulla nozione di restrizione alla libertà di stabilimento

    23.      Ciò chiarito e passando al merito del quesito, osservo preliminarmente che la misura in questione, pur non avendo ad oggetto la disciplina dell’accesso alle attività creditizie, ha verosimilmente – e su questo le valutazioni delle parti sono in certa misura convergenti – un importante effetto sulle condizioni economiche di svolgimento di dette attività. Essa esclude infatti che un importante prodotto bancario, come il deposito in conto corrente «a vista», possa produrre degli interessi, rendendo così da un lato più difficile la concorrenza tra le banche per questo tipo di prodotto, ma consentendo dall’altro lato ed in parallelo di mantenere gratuiti i servizi bancari di base, altrimenti potenzialmente deficitari.

    24.      Ora, le parti dissentono essenzialmente quanto alla possibilità di qualificare una misura siffatta, in ragione dei suoi effetti, come restrizione alla libertà di stabilimento, quando detta misura sia applicata alla filiale di un ente creditizio originariamente stabilito in un altro Stato membro.

    25.      Infatti, CaixaBank France e la Commissione fanno valere che, almeno con le sentenze Kraus e Gebhard, sembrerebbe trovare spazio nella giurisprudenza un’accezione ampia delle libertà di circolazione nel mercato interno. Sarebbe cioè vietata, in base a questa interpretazione, qualsiasi misura nazionale che, anche se si applica senza discriminazioni in base alla cittadinanza, può ostacolare o scoraggiare l’esercizio da parte dei cittadini comunitari delle libertà fondamentali garantite dal Trattato (13).

    26.      Un simile effetto di scoraggiamento si produrrebbe, in buona sostanza, ogniqualvolta una determinata misura nazionale riduca i margini di redditività di un’attività economica, rendendone così meno conveniente anche l’esercizio in regime di stabilimento.

    27.      Anche in assenza di armonizzazione a livello comunitario delle condizioni di esercizio di una certa attività economica, continua CaixaBank France, lo Stato membro che voglia adottare o mantenere una data regolamentazione di tale attività restringerebbe per ciò stesso la libertà di stabilimento dei soggetti che provengano da un diverso Stato membro in cui viga una legislazione più permissiva.

    28.      Dal canto loro, le banche francesi hanno sollevato dubbi in merito all’effettivo significato di quelle sentenze: se lette in relazione alle circostanze dei casi di specie che vi hanno dato origine, quelle pronunce si limiterebbero, in buona sostanza, a censurare misure discriminatorie che incidono direttamente sull’accesso ad un’attività economica indipendente.

    29.      Per parte mia, devo osservare che la giurisprudenza della Corte relativa alla libertà di stabilimento e, più in generale, alle libertà di circolazione delle persone economicamente attive nel mercato interno non è del tutto univoca e si presta quindi, come prova anche il presente giudizio, ad avallare interpretazioni differenziate, se non contrastanti. Per stabilire quale delle possibili letture dell’art. 43 CE sia da preferire è pertanto necessario passare in rassegna quella giurisprudenza, non prima però di aver gettato un rapido sguardo al testo del Trattato.

    30.      L’art. 43 CE si compone, come è noto, di due paragrafi. Il primo enuncia un divieto di «restrizioni alla libertà di stabilimento», inserendo tale divieto «nel quadro delle disposizioni che seguono».

    31.      Il secondo paragrafo, nel delineare il quadro entro cui quel divieto esplica i propri effetti, chiarisce che la libertà di stabilimento «importa l’accesso alle attività non salariate e al loro esercizio, nonché la costituzione e la gestione di imprese (…) alle condizioni definite dalla legislazione del paese di stabilimento nei confronti dei propri cittadini».

    32.      Ora, la tradizionale giurisprudenza comunitaria tendeva a riconoscere nel principio del trattamento nazionale l’essenza della libertà di stabilimento (14), equiparando in buona sostanza il divieto di restrizioni, di cui al primo paragrafo dell’art. 43 CE, al divieto di discriminazione (diretta o indiretta) quanto alle condizioni di accesso e di esercizio delle attività economiche, contemplato al secondo paragrafo.

    33.      A partire però dalla sentenza Kraus, in cui si discuteva di una misura tedesca che imponeva determinate formalità per il riconoscimento del valore legale di un titolo di studio straniero, la Corte sembra applicare un test più severo rispetto a quello del trattamento nazionale, riconoscendo per l'essenziale che anche misure non discriminatorie possono costituire una restrizione alla libertà di stabilimento.

    34.      Nell’analisi condotta dalla Corte in quella sentenza assume infatti rilievo – anche al di là dell’eventuale discriminazione – l’effetto, che la misura nazionale produce, di scoraggiare l’esercizio della libertà di stabilimento da parte dei cittadini comunitari.

    35.      In tale contesto, peraltro, la Corte non sembra richiedere che la misura nazionale di cui si tratta abbia effetti diretti sull’accesso ad un’attività economica, per poter essere qualificata come restrizione contraria al Trattato; la misura de qua costituirebbe infatti un ostacolo rilevante ai sensi dell’art. 52 del Trattato (divenuto ora art. 43 CE) già in ragione delle sue potenziali conseguenze negative sulla convenienza economica ad esercitare certe attività professionali (15).

    36.      Rilevo però che la sentenza resa nel caso Kraus si presta anche ad un’altra lettura, perché l’adozione di un simile test, invero molto rigoroso, potrebbe essere stata in realtà dettata dalle contingenze del caso concreto, piuttosto che da scelte interpretative di carattere generale.

    37.      Volendo accedere a questa diversa ottica interpretativa, dunque, l’approccio della Corte nel caso Kraus sarebbe l’ovvia reazione all’atteggiamento penalizzante assunto dall’ordinamento tedesco nei confronti di chi avesse conseguito un titolo universitario all’estero, imponendo, ai fini del riconoscimento del valore legale di quel titolo, una formalità non richiesta per i titoli di studio conseguiti in Germania.

    38.      Altrettanto potrebbe dirsi della successiva sentenza Gebhard e delle più recenti Mac Quen (16) e Payroll (17), in cui si trattava di valutare la compatibilità con il Trattato di misure nazionali che restringevano direttamente l’accesso ad una professione regolamentata, secondo modalità potenzialmente discriminatorie.

    39.      Vero è però che, in quelle occasioni, la Corte fa ricorso ad una nozione assai ampia di restrizione, qualificando in tal senso tutti quei «provvedimenti nazionali che possono ostacolare o scoraggiare l’esercizio delle libertà fondamentali garantite dal Trattato» (18).

    40.       La stessa formula si trova utilizzata nella sentenza Pfeiffer, del 1999 (19). In tal caso però, a differenza che nei precedenti ora ricordati, la Corte sembra portare quella nozione sino alle sue estreme conseguenze, qualificando come restrizione alla libertà di stabilimento una misura nazionale i cui effetti sulla circolazione delle persone erano, a ben vedere, tutt’altro che immediati e diretti.

    41.      In quell’occasione, infatti, la Corte era chiamata a giudicare della compatibilità con il Trattato della disciplina austriaca relativa alla tutela della ditta contro rischi di confusione. In particolare, si discuteva del divieto imposto alla filiale di un’impresa tedesca di utilizzare una certa ditta già utilizzata in Germania dall’impresa madre, che coincideva però sostanzialmente con la ditta di un’impresa concorrente austriaca.

    42.      Ora, la misura in questione non riguardava l’accesso ad un’attività economica, quella della distribuzione alimentare, che restava infatti in quanto tale aperta a qualunque operatore, nazionale o straniero. Essa non era del resto atta a discriminare, né direttamente né indirettamente, chi avesse fatto uso della libertà di stabilimento, trattandolo in modo deteriore rispetto ai soggetti originariamente stabiliti in quello Stato.

    43.      Ciononostante, la Corte qualificò la disciplina austriaca alla stregua di una restrizione alla libertà di stabilimento – salvo poi ritenerla giustificata da esigenze di tutela della proprietà industriale – in quanto costringeva l’impresa tedesca e la sua filiale austriaca a «predisporre la presentazione delle proprie attività in maniera diversa a seconda del luogo di stabilimento» (20).

    44.      Ora, alla luce di un simile precedente si potrebbe sostenere, come fa per l’essenziale CaixaBank France, che costituisce restrizione alla libertà di stabilimento ogni misura nazionale che riduca i margini di redditività di una determinata attività economica, con ciò scoraggiando, seppure indirettamente, l’esercizio della libertà di stabilimento.

    45.      Di più: se ogni provvedimento nazionale che possa rendere meno conveniente – nel senso ora detto – l’esercizio della libertà di circolazione è in linea di principio vietato, si potrebbe in effetti sostenere che, in mancanza di armonizzazione delle legislazioni nazionali applicabili all’esercizio di una data attività economica, lo Stato che impone la legislazione più severa crea automaticamente un ostacolo alla libertà di stabilimento dei soggetti provenienti dagli altri Stati membri.

    46.      Si potrebbe quindi dedurne, con riguardo al caso concreto, che la misura francese in questione, costringendo il gruppo CaixaBank ad approntare strategie commerciali differenti per la sua filiale francese, da una parte, e per le filiali o succursali attive nei rimanenti Stati membri, dall’altra, determini per ciò stesso una restrizione alla libertà di stabilimento contraria all’art. 43 CE

    47.      In numerose altre sentenze, tuttavia, la Corte non utilizza un test così severo, ma si limita a qualificare come restrizioni vietate alla libertà di circolazione delle persone misure nazionali che ostacolano direttamente l’accesso ad un’attività economica, oppure hanno natura sostanzialmente discriminatoria, perché non garantiscono parità di condizioni sia in diritto sia in fatto per quanto riguarda l’accesso ad un’attività economica o il suo esercizio.

    48.      In tal senso si possono ricordare le sentenze Alpine Investments (21) del 1995, Perfili, del 1996 (22), Futura Participations, del 1997, (23) e Metallgesellschaft, del 2001 (24).

    49.      In particolare, nella sentenza Alpine Investments l’accento è posto sul criterio dell’ostacolo diretto all’accesso.

    50.      In quel caso si trattava di una normativa nazionale che proibiva agli operatori dei mercati finanziari stabiliti nei Paesi Bassi il ricorso al mezzo telefonico, e in particolare al “cold calling” (25), per il contatto di potenziali clienti, sia sul territorio nazionale che sui territori degli altri Stati membri.

    51.      Secondo la Corte, un tale divieto, sebbene indistintamente applicabile, era nondimeno «atto a costituire una restrizione alla libera prestazione dei servizi transfrontalieri», in quanto «priva[va] gli operatori interessati di una tecnica rapida e diretta per farsi pubblicità e contattare potenziali clienti che si trova[va]no in altri Stati membri» (26).

    52.      Rispondendo ad un’obiezione fondata sulla possibile applicazione per analogia della nota sentenza Keck e Mithouard (sulla quale tornerò più diffusamente ai paragrafi 70 e seguenti), la Corte ha inoltre sottolineato che «un divieto come quello in questione emana[va] dallo Stato membro di stabilimento del prestatore di servizi e non riguarda[va] solo le offerte che egli [aveva] fatto a destinatari stabiliti sul territorio di tale Stato o che vi si reca[va]no per ricevere i servizi, ma anche le offerte rivolte a destinatari che si trova[va]no sul territorio di un altro Stato membro». Da ciò discendeva, secondo la Corte, che tale divieto «condiziona[va] direttamente l'accesso al mercato dei servizi negli altri Stati membri» ed era quindi «atto ad ostacolare il commercio intracomunitario dei servizi» (27).

    53.      Con quest’ultima precisazione la Corte sembra aver dunque chiarito che, per costituire un ostacolo alla libera prestazione dei servizi, una misura nazionale indistintamente applicabile deve condizionare direttamente l'accesso al mercato dei servizi negli altri Stati membri. Non è invece sufficiente a tal fine il fatto «che altri Stati membri applicano regole meno severe ai prestatori di servizi simili stabiliti sul loro territorio» (28).

    54.      Indicazioni analoghe a quelle che emergono dalla sentenza Alpine Investments si possono trarre, a mio parere, dalle sentenze Bosman, del 1995 (29), Semeraro Casa, del 1996 (30), SETTG, del 1997 (31), Zenatti, del 1999, (32) e Graf  del 2000 (33).

    55.      E’ particolarmente utile soffermarsi sulla sentenza da ultimo menzionata, resa dalla Corte in seduta plenaria. Si discuteva infatti della compatibilità con il Trattato di disposizioni nazionali che avrebbero potenzialmente ostacolato la scelta di un lavoratore di lasciare il posto di lavoro per accettarne un altro, eventualmente in un diverso Stato membro, perché escludevano che in siffatte ipotesi fosse dovuta al lavoratore l’indennità di licenziamento, limitando così la convenienza economica del trasferimento.

    56.      La Corte ha respinto la tesi che vedeva in una misura siffatta un ostacolo alla libera circolazione delle persone nel mercato interno. Richiamando invece il precedente della sentenza Alpine Investments, essa ha enunciato il principio secondo cui «disposizioni, anche indistintamente applicabili, che impediscano ad un cittadino di uno Stato membro di [a]vvalersi del diritto alla libera circolazione, o che lo dissuadano dal farlo», costituiscono una restrizione di tale libertà, vietata in linea di principio dal Trattato, unicamente qualora «esse condizionino direttamente l’accesso dei lavoratori al mercato del lavoro» (34). Il che non accade invece se l’effetto restrittivo dipende da una «circostanza troppo aleatoria e indiretta» (35).

    57.      Ciò posto, si può ora cercare di tirare le fila dell’analisi sin qui condotta, cominciando col ribadire l’osservazione già svolta in precedenza, e cioè che la riferita giurisprudenza si lascia difficilmente ridurre ad unità e quindi, come appunto in questo caso, si presta ad opposte valutazioni.

    58.      Volendo cercare di districarsi in essa, osservo anzitutto che mi pare difficile qualificare come restrizioni contrarie al Trattato disposizioni nazionali che disciplinano l’esercizio di un’attività economica senza condizionare direttamente l’accesso ad essa, e senza operare alcuna discriminazione né in diritto né in fatto tra operatori nazionali e operatori stranieri, per il solo fatto che riducono il margine di convenienza economica dell’esercizio di tale attività.

    59.      Una simile interpretazione, che pur sembrerebbe potersi desumere in certa misura dalla citata sentenza Pfeiffer, finirebbe in primo luogo col contraddire il sistema delle competenze, così come delineato dal Trattato.

    60.      E’ noto infatti che le disposizioni in materia di stabilimento non hanno conferito alla Comunità una competenza generale a disciplinare le attività economiche non salariate. Esse hanno al contrario lasciato sussistere le competenze statali in materia, limitandosi a vietare discriminazioni e ostacoli allo stabilimento e a stabilire puntuali competenze comunitarie per l’armonizzazione delle legislazioni nazionali (art. 57, nn. 1 e 2, del Trattato, divenuto art. 47, nn. 1 e 2, CE).

    61.      Dove non vi sia stata tale armonizzazione, dunque, gli Stati membri rimangono in linea di principio competenti a disciplinare, con misure non discriminatorie, l’esercizio delle attività economiche.

    62.      In secondo luogo, quell’interpretazione consentirebbe agli operatori economici – tanto nazionali quanto stranieri – di utilizzare abusivamente l’art. 43 CE per opporsi a qualsiasi misura nazionale che, per il solo fatto di regolamentare le modalità di esercizio di un’attività economica, possa in ultima analisi restringere i margini di profitto e per ciò stesso la convenienza ad esercitare quella data attività economica.

    63.      Ma ciò equivarrebbe a piegare il Trattato ad un fine che non gli è proprio: non già cioè di instaurare un mercato interno in cui vigano condizioni simili a quelle di un unico mercato e nel quale gli operatori possano liberamente circolare, ma di instaurare un mercato senza regole. O meglio: un mercato in cui le regole sono in linea di principio vietate, salvo che siano necessarie e proporzionate al soddisfacimento di esigenze imperative di interesse generale.

    64.      Non mi pare quindi questa la strada da percorrere.

    65.      Ritengo per contro opportuno valorizzare i diversi spunti interpretativi presenti nella giurisprudenza comunitaria, secondo cui misure nazionali che pure siano in astratto idonee a incidere sulla libera circolazione delle persone possono «ostacolare o scoraggiare l’esercizio delle libertà garantite dal Trattato», e costituiscono dunque restrizioni a quelle libertà, solo quando ricorrano certe condizioni.

    66.      In particolare, ritengo che, qualora sia rispettato il principio di non discriminazione – e dunque vi sia parità di condizioni sia in diritto sia in fatto per quanto riguarda l’accesso ad un’attività economica, così come l’esercizio di quella –, una misura nazionale non potrà qualificarsi come restrizione alla libertà di circolazione delle persone a meno che detta misura, in considerazione del suo oggetto o dei suoi effetti, non condizioni direttamente l’accesso al mercato.

    67.      Indicazioni in questo senso si possono trarre, direttamente o indirettamente, da buona parte della giurisprudenza che si è esaminata più sopra (36), ed emergono con particolare forza dalle sentenze Alpine Investments e Graf (37), in cui la Corte, pur chiamata ad interpretare norme in materia di circolazione dei lavoratori e di prestazione dei servizi, ha però espresso un principio generale applicabile all’intero settore della libera circolazione delle persone, ivi compresa la libertà di stabilimento.

    68.      L’approccio interpretativo così delineato consente inoltre, a mio avviso, di conciliare l’obiettivo di fondere i differenti mercati nazionali in un unico mercato comune, con il permanere di una competenza generale degli Stati membri a disciplinare le attività economiche.

    69.      Del resto, sembra anche a me che, come hanno giustamente sottolineato il governo francese e le banche intervenienti, il criterio di giudizio che ho proposto consenta di tenere conto, nel settore della libera circolazione delle persone, dell’importante evoluzione che ha conosciuto negli ultimi dieci anni la giurisprudenza relativa alla circolazione delle merci.

    70.      Ricordo infatti che, con la sentenza Keck del 1993 (38) e con una giurisprudenza successiva ormai costante, la Corte ha stabilito che l’assoggettamento di prodotti provenienti da altri Stati membri a disposizioni nazionali che vietino talune modalità di vendita non costituisce ostacolo agli scambi commerciali tra gli Stati membri, ai sensi dell’art. 28 CE, qualora tali disposizioni valgano nei confronti di tutti gli operatori che operano sul territorio nazionale e incidano in egual misura, in diritto ed in fatto, sulla commercializzazione dei prodotti sia nazionali sia provenienti da altri Stati membri (39).

    71.      Questo perché, prosegue la Corte, ove tali requisiti siano soddisfatti, l’applicazione di normative di tal genere «non costituisce elemento atto ad impedire l’accesso [deiprodotti provenienti da un altro Stato membro] al mercatoo ad ostacolarlo in misura maggiore rispetto all’ostacolo rappresentato per i prodotti nazionali» (40).

    72.      La ratio della giurisprudenza Keck, dunque, sta nel duplice criterio dell’accesso al mercato e della discriminazione: costituisce ostacolo alla libera circolazione delle merci ogni misura nazionale che impedisca l’accesso al mercato ai prodotti provenienti da un altro Stato membro ovvero ostacoli questi prodotti in misura maggiore rispetto a quanto non faccia per i prodotti nazionali (41).

    73.      Insomma, a ben guardare, a partire dalla sentenza Keck si ritrova enunciato nella giurisprudenza relativa alle merci un test dello stesso tenore di quello successivamente applicato, con riguardo alla libera circolazione delle persone, nelle sentenze Alpine Investments (42) e Graf (43).

    74.      Del resto, un simile test – che si è già visto essere sostanzialmente confermato in gran parte delle decisioni rese in materia di circolazione delle persone nell’ultimo decennio (44) – non si pone in alcun modo in contraddizione con l’approccio sviluppato dalla Corte nelle sentenze Kraus e Gebhard.

    75.      Esso si limita infatti a precisare la portata della nozione di restrizione accolta in quelle sentenze, senza però metterne in discussione lo spirito. La precisazione che ho più sopra proposto (paragrafo 66) mira infatti unicamente ad evitare che da una formulazione troppo vaga di quella nozione possano farsi discendere letture distorte della libertà di circolazione delle persone, che portino a qualificare come restrizioni vietate anche misure i cui effetti sull’esercizio di quella libertà sono meramente ipotetici, o comunque del tutto aleatori e indiretti.

    76.      Mi pare dunque di poter concludere che, da un punto di vista generale, per quanto riguarda la libertà di stabilimento, regole nazionali di uno Stato membro che disciplinano l’esercizio di attività economiche costituiscono restrizioni contrarie al Trattato qualora siano tali da mettere l’operatore che esercita tale libertà in condizioni di diritto o di fatto sfavorevoli rispetto ad un operatore stabilito in detto Stato, o comunque, in virtù del loro oggetto o dei loro effetti, ne condizionino direttamente l’accesso al mercato.

    c) Qualificazione della misura controversa

    77.      Passiamo ora a valutare più da vicino la misura francese rilevante nel caso di specie, e cioè l’applicazione del divieto di remunerazione dei conti correnti «a vista» ad una filiale di un ente creditizio straniero qual è CaixaBank France.

    78.      Alla luce del criterio che ho appena enunciato in termini generali, la verifica della legittimità di quella misura dovrà seguire il seguente filo logico. Anzitutto, ci si dovrà chiedere se essa sia discriminatoria in diritto, o se abbia ad oggettola disciplina dell’accesso all’attività creditizia. Ove così non sia, si dovrà stabilire se essa ponga ciononostante quelle filiali in una posizione di fatto sfavorevole rispetto ai concorrenti tradizionalmente stabiliti ed operanti nel mercato francese; ovvero infine se essa determini comunque, in considerazione dei suoi effetti, un ostacolo diretto all’accesso al mercato del credito.

    79.      Osservo anzitutto che si può senz’altro escludere che la misura in questione sia discriminatoria in diritto – e su questo, mi sembra, le parti sono sostanzialmente concordi – perché essa, da un punto di vista formale, non pone i soggetti stranieri in una posizione sfavorevole rispetto ai nazionali, quanto alle condizioni di esercizio dell’attività creditizia.

    80.      Venendo al secondo punto, altrettanto agevolmente si può escludere che la misura in questione abbia ad oggetto la disciplina dell’accesso all’attività creditizia.

    81.      Infatti, è noto che l’accesso all’attività creditizia è subordinato alla concessione dell’autorizzazione da parte della competente autorità nazionale, secondo quanto dispone la direttiva 2000/12 (45). Le condizioni per tale autorizzazione sono stabilite dagli Stati membri in attuazione dei criteri armonizzati di cui alla stessa direttiva, e riguardano il possesso di una determinata forma giuridica, di un certo capitale sociale, di certi requisiti di onorabilità da parte dei soci che detengano una partecipazione significativa etc. (v. supra, paragrafo 5 e nota 3).

    82.      Orbene, nessuna di quelle condizioni è modificata dalla disciplina sulla remunerazione dei conti correnti «a vista», dato che questa si limita ad incidere su una modalità di esercizio dell’attività creditizia da parte di uno stabilimento che sia in possesso della necessaria autorizzazione.

    83.      Ciò posto, restano però da verificare i due ulteriori punti enunciati supra, al paragrafo 77, vale a dire se la misura in questione sia atta a porre le filiali francesi di banche straniere in una posizione di fatto sfavorevole rispetto agli enti creditizi originariamente stabiliti in Francia, e sia pertanto sostanzialmente discriminatoria, o possa comunque, in virtù dei suoi effetti, condizionare direttamente l’accesso al mercato del credito.

    84.      A mio modo di vedere, l’esito di una simile valutazione dipende dagli effetti che la misura in questione può in concreto produrre sul mercato francese del credito. Si tratta dunque di una valutazione di fatto che dev’essere in linea di principio lasciata al giudice nazionale (46).

    85.      A questo fine, quel giudice dovrà chiedersi se sia vero che, come affermano in buona sostanza CaixaBank France e la Commissione, la misura nazionale in questione impedisce alle filiali di banche straniere di esercitare un’efficace concorrenza, per quanto riguarda la raccolta dei depositi dal pubblico, alle banche tradizionalmente stabilite nel territorio francese e dotate di un’estesa rete di sportelli, o se invece si diano altre significative possibilità di concorrenza su quel mercato, come sostengono il governo e le banche francesi.

    86.      In particolare, si tratterà di stabilire se siano agevolmente disponibili sul mercato creditizio francese altre forme di deposito, liberamente remunerabili, in relazione alle quali si possa effettivamente svolgere la concorrenza tra le banche per la raccolta dei depositi dal pubblico.

    87.      Ove così non fosse, infatti, la filiale di una banca straniera, non potendo agevolmente procurarsi capitali attraverso la raccolta dei depositi, sarebbe costretta a ricorrere al mercato interbancario per finanziare le proprie attività creditizie. Essa finirebbe dunque col dover sopportare costi maggiori rispetto alle banche tradizionalmente stabilite in Francia, che godono di una rendita di posizione sul mercato della raccolta dei depositi dal pubblico in virtù della loro estesa rete di sportelli.

    88.      Si imporrebbe allora la conclusione che la misura in questione è tale da mettere le filiali di banche straniere in condizioni di fatto sfavorevoli rispetto alle banche francesi, e determina perciò una restrizione alla libertà di stabilimento vietata dal Trattato.

    89.      In un tale scenario, inoltre, stante il divieto di offrire sul mercato conti «a vista» remunerati, quelle banche sarebbero private dell’unico strumento efficace per acquisire clientela sul mercato francese. Se ne dovrebbe quindi concludere che, in considerazione dei suoi effetti, la misura in questione è altresì idonea ad ostacolare direttamente l’accesso al mercato francese delle filiali di banche straniere, determinando perciò, anche sotto questo profilo, una restrizione alla libertà di stabilimento ai sensi dell’art. 43 CE (47).

    d) Considerazioni conclusive

    90.      Concludo dunque proponendo alla Corte di rispondere al primo quesito sottopostole dal Conseil d’État francese nel senso che regole nazionali di uno Stato membro che disciplinano l’esercizio di un’attività economica costituiscono restrizioni alla libertà di stabilimento vietate in linea di principio dall’art. 43 CE qualora siano tali da mettere l’operatore che esercita tale libertà in condizioni di diritto o di fatto sfavorevoli rispetto ad un operatore stabilito in detto Stato, o comunque ne condizionino direttamente l’accesso al mercato.

    91.      Una misura nazionale come il divieto di remunerare i conti «a vista» denominati in euro costituisce una restrizione della libertà di stabilimento vietata dall’art. 43 CE, se la sua applicazione priva le filiali di banche straniere della possibilità di svolgere un’efficace concorrenza, per quanto riguarda la raccolta di depositi dal pubblico, alle banche tradizionalmente stabilite sul territorio nazionale e dotate di un’estesa rete di sportelli.

    92.      Spetta al giudice nazionale effettuare tale valutazione, verificando in particolare se siano agevolmente disponibili sul mercato creditizio francese altre forme di deposito liberamente remunerabili, in relazione alle quali si possa svolgere una concorrenza effettiva su quel mercato.

    Sul secondo quesito

    93.      Con il secondo quesito il giudice del rinvio chiede se vi siano ragioni di interesse generale che possano giustificare una restrizione alla libertà di stabilimento come quella eventualmente derivante dall’applicazione della misura nazionale di cui si tratta.

    94.      Premetto che, nell’ambito della ripartizione delle competenze tra giudice comunitario e giudice nazionale, non spetta alla Corte ma al giudice del rinvio – qualora esso ritenga che la misura nazionale de qua debba qualificarsi come restrizione alla libertà di stabilimento ai sensi dell’art. 43 CE – valutare se quella restrizione sia o meno giustificata (48).

    95.      Come è noto, tuttavia, la Corte, nel pronunciarsi su un rinvio pregiudiziale, può, ove necessario, fornire precisazioni e indicare i criteri interpretativi che possano guidare il giudice nazionale nel giudizio che è chiamato a compiere (49).

    96.      A questo proposito dovrà essere essenzialmente ricordato a quel giudice che, secondo una giurisprudenza costante, misure nazionali che costituiscono restrizioni alla libertà di circolazione delle persone, ma che si applicano a ogni persona o impresa che esercita un’attività sul territorio dello Stato membro ospite, possono essere giustificate se rispondono a esigenze imperative di interesse generale, purché siano idonee a conseguire lo scopo con esse perseguito e non vadano oltre quanto necessario al suo raggiungimento (50).

    97.      Ora, la Francia e le banche francesi intervenienti hanno sostenuto, in buona sostanza, che la misura di cui si discute sarebbe giustificata da esigenze imperative di tutela dei consumatori e sarebbe inoltre l’espressione di importanti scelte di politica economica del governo francese.

    98.      Per quanto riguarda in particolare la tutela dei consumatori, l’abolizione del divieto di cui si tratta determinerebbe un sostanziale aumento dei costi di gestione dei conti correnti. Di conseguenza, le banche si troverebbero costrette a chiedere al consumatore una remunerazione dei servizi bancari attualmente forniti a titolo gratuito, tra cui l’emissione di assegni e il prelievo di contante dai distributori automatici.

    99.      Il divieto di remunerare i conti correnti «a vista» sarebbe poi, come detto, espressione di una precisa scelta di politica economica, che mira ad incentivare il risparmio a medio e lungo termine, anche al fine di contenere l’inflazione.

    100. Secondo CaixaBank France e la Commissione, tali esigenze non sarebbero idonee a giustificare la misura in questione. In ogni caso, essa non sarebbe conforme al principio di proporzionalità.

    101. Per parte mia, osservo che sia l’incentivo al risparmio che la tutela dei consumatori costituiscono obiettivi degni di tutela e la misura controversa sembra in effetti idonea a perseguirli. Credo però che lo strumento scelto dal legislatore francese vada oltre quanto necessario al loro raggiungimento, per le ragioni che ora passo a illustrare.

    102. Quanto all’incentivazione del risparmio a lungo termine, mi sembra francamente poco verosimile che l’unico strumento praticabile sia il divieto puro e semplice di remunerare il risparmio a breve. Misure come la previsione di un tetto massimo applicabile ai tassi di interesse sui conti «a vista», o la previsione di incentivi a favore degli investimenti a medio e lungo termine sembrerebbero infatti, almeno a prima vista, alternative del tutto adeguate.

    103. Per ciò che riguarda la tutela dei consumatori, poi, tendo a condividere l’argomento di CaixaBank France, secondo cui l’esigenza di tutelare i consumatori preservando la gratuità dei servizi bancari di base potrebbe essere adeguatamente garantita ricorrendo a mezzi meno restrittivi.

    104. Sembra anche a me infatti che possa essere sufficiente, a tal fine, prevedere l’obbligo per gli stabilimenti bancari di offrire ai consumatori che lo richiedano un conto «a vista» non remunerato, ma assistito da servizi bancari di base gratuiti, pur consentendo agli stessi stabilimenti di offrire altresì conti a vista remunerati, a cui corrisponderanno, se del caso, dei servizi bancari di base onerosi.

    105. Ciò detto, devo però ribadire che non spetta alla Corte esprimere un giudizio definitivo in proposito, perché è compito del giudice nazionale stabilire se le condizioni enunciate dalla giurisprudenza comunitaria (e ricordate supra, al paragrafo 96) siano soddisfatte nella causa dinanzi ad esso pendente.

    106. Non è escluso che in quella sede emergano circostanze o siano fatti valere argomenti che possano essere invocati a giustificazione di una misura come quella di cui si tratta nella causa dinanzi ad esso pendente. Allo stato però, lo ripeto, a me sembra che la misura in questione non possa ritenersi giustificata da esigenze imperative di interesse generale quali la tutela dei consumatori e l’incentivo del risparmio, perché va oltre quanto necessario al loro raggiungimento.

    107. Propongo pertanto alla Corte di rispondere al secondo quesito postole dal Conseil d’État francese nel senso che, qualora misure nazionali come quelle di cui si tratta costituiscano una restrizione alla libertà di stabilimento ai sensi dell’art. 43 CE, deve ritenersi – sulla base degli elementi prospettati alla Corte – che tale restrizione non sia giustificata dal perseguimento delle esigenze imperative di interesse generale invocate nel caso di specie, e segnatamente la tutela dei consumatori e l’incentivo del risparmio.

    IV – Conclusioni

    108. Per tutto quanto precede propongo alla Corte di rispondere ai quesiti sottopostile dal Conseil d’État francese nel senso che:

    «1)      Regole nazionali di uno Stato membro che disciplinano l’esercizio di un’attività economica costituiscono restrizioni alla libertà di stabilimento vietate in linea di principio dall’art. 43 CE qualora siano tali da mettere l’operatore che esercita tale libertà in condizioni di diritto o di fatto sfavorevoli rispetto ad un operatore stabilito in detto Stato, o comunque ne condizionino direttamente l’accesso al mercato.

    Una misura nazionale come il divieto di remunerare i conti “a vista” denominati in euro costituisce una restrizione della libertà di stabilimento vietata dall’art. 43 CE, se la sua applicazione priva le filiali di banche straniere della possibilità di svolgere un’efficace concorrenza, per quanto riguarda la raccolta di depositi dal pubblico, alle banche tradizionalmente stabilite sul territorio nazionale e dotate di un’estesa rete di sportelli.

    Spetta al giudice nazionale effettuare tale valutazione, verificando in particolare se siano agevolmente disponibili sul mercato creditizio francese altre forme di deposito liberamente remunerabili, in relazione alle quali si possa svolgere una concorrenza effettiva su quel mercato.

    2)      Qualora misure nazionali come quelle di cui si tratta costituiscano una restrizione alla libertà di stabilimento ai sensi dell’art. 43 CE, deve ritenersi – sulla base degli elementi prospettati alla Corte – che tale restrizione non sia giustificata dal perseguimento delle esigenze imperative di interesse generale invocate nel caso di specie, e segnatamente la tutela dei consumatori e l’incentivo del risparmio».


    1 – Lingua originale: l'italiano.


    2  – Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 marzo 2000, relativa all’accesso all’attività degli enti creditizi ed al suo esercizio (in prosieguo: la «direttiva 2000/12», o la «direttiva»; GU L 126 del 26 maggio 2000, pag. 1).


    3  – Segnatamente in materia di: capitale iniziale, art. 5; requisiti dei responsabili della direzione ed ubicazione della sede, art. 6; qualità degli azionisti e soci che detengono una partecipazione qualificata, art. 7; programma di attività, art. 8.


    4  –      L’art. 46 della Loi nº 2003-706 del 1º agosto 2003 (pubblicata nel Journal Officiel del 2 agosto 2003) ha soppresso all’art. L.312-3 le parole indicate tra parentesi quadra nel testo; contestualmente, però, l’art. 47 della stessa legge ha disposto la permanente vigenza dei regolamenti del comitato per la regolamentazione bancaria. Nessuna modificazione sostanziale è pertanto intervenuta quanto al quadro giuridico rilevante nel caso di specie, come ha espressamente confermato il governo francese in risposta ad un quesito rivoltogli dalla Corte.


    5  –      Traduzione non ufficiale.


    6  – V. nota 4.


    7 – Il regolamento n. 92-13 di quel comitato ha poi esteso il divieto all’attività di raccolta svolta in Francia dalle succursali di banche che hanno sede in un altro Stato membro.


    8  – Sentenza 31 marzo 1993, causa C-19/92, Kraus (Racc. pag. I-1663).


    9  – Sentenza 30 novembre 1995, causa C-55/94, Gebhard (Racc. pag. I-4165).


    10  – Sentenza 11 maggio 1999, causa C-255/97, Pfeiffer (Racc. pag. I-2835).


    11  – V. sentenze 18 giugno 1985, causa 197/84, Steinhauser (Racc. pag. 1819), 10 marzo 1993, causa C‑111/91, Commissione/Lussemburgo (Racc. pag. I-817), 30 marzo 1993, causa C-168/91, Konstantinidis (Racc. pag. I-1191).


    12  – Le banche argomentano dalle sentenze 10 maggio 1995, causa C-384/93, Alpine Investments (Racc. pag. I-1141), 15 dicembre 1995, causa C-415/93, Bosman (Racc. pag. I-4921), 27 gennaio 2000, causa C-190/98, Graf (Racc. pag. I‑493), in materia di lavoratori; 13 maggio 2003, cause C‑463/00, Commissione/Spagna (Golden Shares; Racc. pag. I-4581), e C-98/01, Commissione/Regno Unito (Racc. pag. I-4641) rispettivamente in materia di circolazione dei servizi e dei capitali.


    13  – V. sentenza Kraus, cit., punto 32, e sentenza Gebhard, cit., punto 37.


    14  – V. in questo senso, tra le tante, sentenze 28 aprile 1977, causa 71/76, Thieffry (Racc. pag. 765, punto 19), e  Steinhauser, cit.,  punto 14).


    15  – V. in particolare i punti 21 e 22, che riporto qui di seguito: «21. [I]l titolare di un diploma come [quello] di cui trattasi nella causa principale può esserne avvantaggiato nell’esercizio della sua attività professionale in quanto il suo possesso può garantirgli una migliore retribuzione o un più rapido avanzamento, o ancora consentirgli l’accesso nel corso della carriera, a posti specifici riservati a persone in possesso di qualifiche particolarmente elevate. 22. Del pari, lo stabilimento come lavoratore autonomo e, comunque, l’esercizio di un’attività professionale corrispondente sono largamente agevolati dalla possibilità di produrre titoli universitari conseguiti all’estero e integranti quelli nazionali che danno accesso alla professione». I corsivi sono miei.


    16  – Sentenza 1º febbraio 2001, causa C-108/96, Mac Quen (Racc. pag. I-837).


    17  – Sentenza 17 ottobre 2002, causa C-79/01, Payroll (Racc. pag. I-8923).


    18  – Sentenza Gebhard, cit., punto 37. Il corsivo è mio.


    19  – Cit. supra, nota 10.


    20  – Sentenza Pfeiffer, cit., punto 20.


    21 – Cit. supra, nota 12.


    22  – Sentenza 1º febbraio 1996, causa C- 177/94, Perfili (Racc. pag. I-161).


    23  – Sentenza 15 maggio 1997, causa C-250/95, Futura Participations (Racc. pag. I‑2471).


    24  – Sentenza 8 marzo 2001, cause riunite C-397/98 e C-410/98, Metallgesellschaft e Hoechst (Racc. pag. I-1727).


    25 – Si tratta dell’utilizzazione del telefono per offrire servizi a potenziali clienti, senza che vi sia stata una preventiva autorizzazione da parte di questi ultimi.


    26 – Sentenza Alpine, cit., punto 28.


    27 – Punto 38; il corsivo è mio.


    28 – Punto 27. In precedenza, nello stesso senso, sentenze 28 giugno 1978, causa 1/78, Kenny (Racc. pag. 1489, punto 18); 3 luglio 1979, cause riunite da 185/78 a 204/78, Van Dam en Zonen e a. (Racc. pag. 2345, punto 10); 7 maggio 1992, cause riunite C-251/90 e C-252/90, Wood e Cowie (Racc. pag. I-2873, punto 19); 14 luglio 1994, causa C-379/92, Peralta (Racc. pag. I-3453, punto 48); Perfili, cit., punto 17.


    29 – Cit. supra, nota 12.


    30 – Sentenza 20 giugno 1996, cause riunite C-418/93, C-419/93, C-420/93, C-421/93, C-460/93, C‑461/93, C-462/93, C-464/93, C-9/94, C-10/94, C-11/94, C-14/94, C‑15/94, C-23/94, C‑24/94 e C-332/94, Semeraro Casa (Racc. pag. I-2975).


    31 – Sentenza 5 giugno 1997, causa C- 398/95, SETTG (Racc. pag. I-3091).


    32 – Sentenza  21 ottobre 1999, causa C-67/98, Zenatti (Racc. pag. I-7289).


    33  – Cit. supra, nota 12.


    34 – Sentenza Graf, cit., punto 23. Il corsivo è mio. Nel testo francese, come nelle altre versioni linguistiche, non si trova l’avverbio «direttamente»; vi si legge infatti: «pour être aptes à constituer de telles entraves, il faut qu’elles conditionnent l’accès des travailleurs au marché du travail». Vale la pena di ricordare che, applicando tale criterio al caso di specie, la Corte ha in particolare sottolineato che «una normativa come quella su cui verte[va] il giudizio a quo non [era] atta ad impedire al lavoratore di porre fine al contratto di lavoro per svolgere un'attività lavorativa subordinata alle dipendenze di un altro datore di lavoro, né a dissuaderlo dal farlo, atteso che il diritto all'indennità di licenziamento non dipende[va] dalla scelta del lavoratore di rimanere o meno presso l'attuale datore di lavoro bensì da un evento futuro ed ipotetico, e cioè la successiva risoluzione del contratto senza che essa avven[isse] su sua iniziativa o gli [fosse] imputabile» (punto 24).


    35 – Punto 25. Nella specie, secondo la Corte, la perdita del diritto all'indennità di licenziamento avrebbe costituito «una circostanza troppo aleatoria e indiretta perché [potesse] essere considerata tale da ostacolare la libera circolazione dei lavoratori una normativa che non attribui[va] la stessa conseguenza alla risoluzione del contratto di lavoro da parte del lavoratore stesso e ad una risoluzione di cui il lavoratore non [avesse] preso l'iniziativa o che non [fosse] ad esso imputabile»


    36  – Paragrafo 48 e segg.


    37  – Supra, paragrafo 55 e segg.


    38 – Sentenza 24 novembre 1993, cause riunite C-267/91 e C-268/91, Keck e Mithouard (Racc. pag. I-6097).


    39 – Sentenza Keck, cit., punto 16.


    40 – Sentenza Keck, cit., punto 17. Il corsivo è mio.


    41 – Tra tante, si vedano in questo senso, oltre alla sentenza Keck, cit., punto 17, le sentenze 15 dicembre 1993, causa C-292/92, Hünermund e a. (Racc. pag. I‑6787, punto 21); 2 giugno 1994, cause riunite C-401/92 e C-402/92, Boermans (Racc. pag. I‑2199, punto 12); 9 febbraio 1995, causa C-412/93, Leclerc-Siplec (Racc. pag. I‑179, punto 21); 29 giugno 1995, causa C-391/92, Commissione/Grecia (Racc. pag. I-1621, punto 13), 13 gennaio 2000, causa C‑254/98, TK‑Heimdienst (Racc. pag. I-151, punto 26); 8 marzo 2001, causa C‑405/98, Gourmet (Racc. pag. I-1795, punto 18). V., nello stesso senso, le conclusioni dell’avvocato generale Fennelly nella causa C‑190/98, Graf, cit., paragrafo 19. Da ultimo, v. sentenza 11 dicembre 2003, causa C‑322/01, Deutscher Apothekerverband (Racc. pag. I-14887, punto 67 e seguente).


    42  – Supra, paragrafo 49 e segg..


    43  – Supra, paragrafo 55 e segg.


    44 – Supra, paragrafo 44 e segg.. V. inoltre, per un approccio compatibile con quello delineato nel testo, le sentenze 5 novembre 2002, causa C-208/00, Überseering (Racc. pag. I-9919, punto 78 e segg.: negazione totale dell’accesso) 21 novembre 2002, causa C-436/00, X e Y (Racc. pag. I‑10829, punti 36 e 67: discriminazione indiretta); 6 novembre 2003, causa C-243/01, Gambelli (Racc. pag. I-13031, punto 48: discriminazione indiretta).


    45  – Supra, paragrafo 5.


    46  – Tra tante v. sentenza 18 novembre 1999, causa C-107/98, Teckal (Racc. pag. I‑8121, punti 29 e 31); sentenza 22 giugno 2000, causa C-318/98, Fornasar e a. (Racc. pag.  I‑4785, punto 32); 16 ottobre 2003, causa C-421/01, Traunfellner (Racc. pag. I-11941, punto 21).


    47 – Nell’ipotesi prospettata, il divieto di remunerare i conti correnti avrebbe un effetto in qualche modo analogo a quello del divieto di «cold calling» esaminato nella sentenza Alpine Investments (supra, paragrafi 50 e segg.). In tal caso, come si è visto, il divieto è stato ritenuto «atto a costituire una restrizione alla libera prestazione dei servizi transfrontalieri», in quanto «priva[va] gli operatori interessati di una tecnica rapida e diretta per farsi pubblicità e contattare potenziali clienti che si trova[va]no in altri Stati membri» (punto 28).


    48 – Sentenze 4 luglio 2000, causa C-424/97, Haim (Racc. pag. I-5123, punto 58); Payroll, cit., punto 29.


    49 – Ibidem.


    50 – Sentenze Kraus, cit., punto 32; Gebhard, cit., punto 37; 9 marzo 1999, causa C‑212/97, Centros (Racc. pag. I-1459, punto 34); Pfeiffer, cit., punto 19; Haim, cit., punto 57; Payroll, cit., punto 28.

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