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Documento 62000CJ0011
Judgment of the Court of 10 July 2003.#Commission of the European Communities v European Central Bank.#European Central Bank (ECB) - Decision 1999/726/EC on fraud prevention - Protection of the Communities' financial interests - European Anti-Fraud Office (OLAF) - Regulation (EC) No 1073/1999 - Applicability to the ECB - Plea of illegality - Admissibility - Independence of the ECB - Article 108 EC - Legal basis - Article 280 EC - Consultation of the ECB - Article 105(4) EC - Proportionality.#Case C-11/00.
Sentenza della Corte del 10 luglio 2003.
Commissione delle Comunità europee contro Banca centrale europea.
Banca centrale europea (BCE) - Decisione 1999/726/CE, relativa alla prevenzione delle frodi - Protezione degli interessi finanziari delle Comunità - Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF) - Regolamento (CE) n.1073/1999 - Applicabiltà alla BCE - Eccezioni d'illegittimità - Ricevibilità - Indipendenza della BCE - Art.108CE - Fondamento normativo - Art.280CE - Consultazione della BCE - Art.105, n.4, CE - Proporzionalità.
Causa C-11/00.
Sentenza della Corte del 10 luglio 2003.
Commissione delle Comunità europee contro Banca centrale europea.
Banca centrale europea (BCE) - Decisione 1999/726/CE, relativa alla prevenzione delle frodi - Protezione degli interessi finanziari delle Comunità - Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF) - Regolamento (CE) n.1073/1999 - Applicabiltà alla BCE - Eccezioni d'illegittimità - Ricevibilità - Indipendenza della BCE - Art.108CE - Fondamento normativo - Art.280CE - Consultazione della BCE - Art.105, n.4, CE - Proporzionalità.
Causa C-11/00.
Raccolta della Giurisprudenza 2003 I-07147
Identificatore ECLI: ECLI:EU:C:2003:395
Sentenza della Corte del 10 luglio 2003. - Commissione delle Comunità europee contro Banca centrale europea. - Banca centrale europea (BCE) - Decisione 1999/726/CE, relativa alla prevenzione delle frodi - Protezione degli interessi finanziari delle Comunità - Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF) - Regolamento (CE) n.1073/1999 - Applicabiltà alla BCE - Eccezioni d'illegittimità - Ricevibilità - Indipendenza della BCE - Art.108CE - Fondamento normativo - Art.280CE - Consultazione della BCE - Art.105, n.4, CE - Proporzionalità. - Causa C-11/00.
raccolta della giurisprudenza 2003 pagina I-07147
Massima
Parti
Motivazione della sentenza
Decisione relativa alle spese
Dispositivo
1. Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF) - Regolamento n. 1073/1999, relativo alle indagini svolte dall'OLAF - Ambito di applicazione - Banca centrale europea - Inclusione
[Regolamento (CE) del Parlamento e del Consiglio n. 1073/1999, art. 1, n. 3]
2. Eccezione di illegittimità - Atti di cui si può eccepire l'illegittimità - Regolamento n. 1073/1999, relativo alle indagini svolte dall'Ufficio per la lotta antifrode (OLAF) - Atto normativo comunitario non avente come destinatario l'organo comunitario che ne eccepisce l'illegittimità - Ricevibilità
(Artt. 230 CE e 241 CE)
3. Disposizioni finanziarie - Interessi finanziari della Comunità - Nozione - Risorse e spese della Banca centrale europea - Inclusione
(Art. 280 CE)
4. Disposizioni finanziarie - Tutela degli interessi finanziari della Comunità - Art. 280 CE - Oggetto - Portata - Adozione di misure normative destinate ad applicarsi all'interno delle istituzioni, degli organi e degli organismi comunitari - Inclusione
(Art. 280 CE)
5. Banca centrale europea - Obbligo di consultare la Banca prima di adottare un atto che rientra nelle sue competenze - Ambito di applicazione - Misure dirette a combattere le frodi che arrecano pregiudizio agli interessi finanziari della Comunità - Esclusione
(Art. 105, n. 4, CE; regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio n. 1073/1999)
6. Banca centrale europea - Indipendenza - Portata - Misure normative del legislatore comunitario applicabili nei confronti della Banca - Ammissibilità - Presupposti
(Art. 108 CE; Statuto del Sistema europeo delle banche centrali)
7. Banca centrale europea - Indipendenza - Applicazione del regolamento n. 1073/1999, relativo alle indagini svolte dall'Ufficio per la lotta antifrode (OLAF) - Compatibilità
(Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio n. 1073/1999; decisione della Commissione 1999/352)
8. Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF) - Regolamento n. 1073/1999, relativo alle indagini svolte dall'OLAF - Violazione del principio di proporzionalità a motivo dell'inclusione della Banca centrale europea nel suo ambito di applicazione - Insussistenza
(Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio n. 1073/1999)
9. Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF) - Regolamento n. 1073/1999, relativo alle indagini svolte dall'OLAF - Violazione ad opera della decisione della Banca centrale europea 1999/726, relativa alla prevenzione delle frodi
(Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio n. 1073/1999; decisione della Banca centrale europea 1999/726)
1. Il regolamento n. 1073/1999, relativo alle indagini svolte dall'Ufficio per la lotta antifrode (OLAF), deve essere interpretato nel senso che esso è inteso a trovare applicazione, in particolare, nei confronti della Banca centrale europea. Infatti, i termini «istituzioni, (...) organi e (...) organismi istituiti dai trattati o sulla base di questi ultimi», che figurano all'art. 1, n. 3, di tale regolamento, non possono essere interpretati nel senso che essi non comprendono detta Banca. Quali che siano le particolarità del suo status nell'ordinamento giuridico comunitario, la Banca centrale europea è stata istituita dal Trattato, come risulta dalla lettera stessa dell'art. 8 CE. Non risulta né dal preambolo né dalle disposizioni del regolamento n. 1073/1999 che il legislatore comunitario abbia inteso operare una qualsivoglia distinzione tra le istituzioni, gli organi o gli organismi istituiti dai trattati o sulla base di questi ultimi, in particolare escludendo quelli fra tali organi o organismi che dispongono di risorse distinte dal bilancio comunitario. Anzi, nel settimo considerando del regolamento si sottolinea espressamente la necessità di estendere il campo delle indagini interne dell'OLAF a «tutte» le dette istituzioni e a «tutti» i detti organi e organismi.
( v. punti 63-67 )
2. Anche se una decisione adottata dalle istituzioni comunitarie che non sia stata impugnata dal destinatario entro il termine stabilito dall'art. 230, quinto comma, CE diviene definitiva nei suoi confronti e anche se il principio generale di cui è espressione l'art. 241 CE, diretto a garantire che ciascuno abbia o abbia avuto la possibilità di contestare un atto comunitario su cui si fonda una decisione che lo riguarda, non osta assolutamente a che un regolamento divenga definitivo nei confronti di un singolo, in relazione al quale esso deve essere considerato come una decisione individuale e dal quale avrebbe potuto senza alcun dubbio essere impugnato con ricorso di annullamento ai sensi dell'art. 230 CE - il che impedisce al detto singolo di eccepire l'illegittimità del detto regolamento di fronte al giudice nazionale -, tuttavia tali principi non incidono in alcun modo sulla regola stabilita dall'art. 241 CE, a tenore del quale, nell'eventualità di una controversia che metta in causa un regolamento previsto in questa disposizione, ciascuna parte può valersi dei motivi previsti dall'art. 230, secondo comma, CE per invocare dinanzi alla Corte l'inapplicabilità del regolamento stesso.
Pertanto, nell'ambito di un ricorso di annullamento proposto contro una decisione adottata da un organo comunitario e basato sull'inosservanza, da parte di questo, del regolamento n. 1073/1999, relativo alle indagini svolte dall'Ufficio per la lotta antifrode (OLAF), non può negarsi a tale organo il diritto di invocare l'eventuale illegittimità di detto regolamento se il suo carattere normativo non è stato messo in dubbio da alcuna delle parti e se non è stato dedotto, in particolare, né che detto regolamento debba essere assimilato ad una decisione né che l'organo di cui trattasi ne sia, in tal caso, destinatario.
( v. punti 74-78 )
3. L'espressione «interessi finanziari della Comunità», figurante nell'art. 280 CE, deve essere interpretata nel senso che comprende non solo le entrate e le spese rientranti nel bilancio comunitario, ma, in linea di principio, anche quelle facenti parte del bilancio di altri organi o organismi istituiti dal Trattato. Infatti, detta espressione è propria dell'art. 280 CE e si distingue dalla terminologia usata nelle altre disposizioni del titolo II della quinta parte del Trattato, le quali si riferiscono, invariabilmente, al «bilancio» della Comunità europea. Inoltre, detta espressione sembra più ampia dell'espressione «entrate e (...) spese della Comunità» che figura in particolare all'art. 268 CE. Il fatto stesso che un organo o un organismo tragga la propria esistenza dal Trattato suggerisce, infine, che esso è stato concepito per contribuire alla realizzazione degli obiettivi della Comunità europea e lo inserisce nell'ordinamento giuridico comunitario, cosicché i mezzi di cui esso dispone per effetto del Trattato rivestono, per natura, un interesse finanziario proprio e diretto per la Comunità medesima.
Per quanto riguarda la Banca centrale europea, essa si inserisce, in forza del Trattato, nel contesto comunitario e le sue risorse e la loro utilizzazione presentano un interesse finanziario manifesto per la Comunità europea e per i suoi obiettivi. Di conseguenza, l'espressione «interessi finanziari della Comunità» che figura nell'art. 280 CE riguarda altresì le risorse e le spese di detta Banca.
( v. punti 89-93, 95 )
4. Introducendo nell'art. 280 CE le precisazioni di cui ai nn. 1 e 4 dello stesso, gli autori del Trattato di Amsterdam hanno chiaramente inteso intensificare la lotta contro le frodi e le irregolarità che ledono gli interessi finanziari della Comunità europea, in particolare attribuendo espressamente a quest'ultima un compito proprio consistente nel «combattere», alla stessa stregua degli Stati membri, tali frodi ed irregolarità tramite l'adozione di «misure» che siano «dissuasive» e offrano «una protezione efficace negli Stati membri». La circostanza che l'art. 280, n. 1, CE specifichi che le dette misure sono adottate a norma di questo articolo non significa affatto che si rinvii esclusivamente ai successivi paragrafi del medesimo, in particolare al n. 4, per determinare l'ampiezza della competenza comunitaria in materia. Infatti, l'art. 280, n. 4, CE deve essere letto nel senso che completa la definizione della competenza comunitaria e ne precisa determinate condizioni di esercizio.
In tale contesto, il fatto che l'art. 280, n. 4, CE si riferisca in particolare alla necessità di contribuire ad una protezione che sia efficace ed equivalente negli Stati membri non può essere interpretato come il segno di una volontà implicita degli autori del Trattato di Amsterdam di imporre all'azione della Comunità europea un ulteriore limite così fondamentale come un divieto di combattere le frodi e le altre irregolarità che ledono i suoi interessi finanziari tramite l'adozione di provvedimenti normativi che riguardino le istituzioni, gli organi e gli organismi istituiti dai trattati o sulla base degli stessi. A parte la circostanza che una tale limitazione della competenza comunitaria non risulta dalla formulazione dell'art. 280 CE, essa non sarebbe affatto compatibile con gli obiettivi perseguiti da questa disposizione. Infatti, per rendere efficace la protezione degli interessi finanziari della Comunità europea è necessario che la dissuasione e la lotta contro le frodi e le altre irregolarità operino a tutti i livelli ai quali i detti interessi possono essere lesi da fenomeni del genere e può capitare frequentemente che i fenomeni così combattuti implichino contemporaneamente attori situati a vari livelli.
( v. punti 100-104 )
5. L'obbligo, previsto dall'art. 105, n. 4, CE, di consultare la Banca centrale europea quando si progetta l'adozione di un atto in un ambito che rientra nelle competenze di quest'ultima mira essenzialmente ad assicurare che l'autore di tale atto proceda alla sua adozione solo dopo avere consultato l'organismo che, per le attribuzioni specifiche che esercita nel contesto comunitario nell'ambito considerato e per l'elevato grado di competenza di cui gode, è particolarmente in grado di contribuire utilmente al previsto processo di adozione.
Così non è nel settore della lotta contro le frodi lesive degli interessi finanziari della Comunità, dove la Banca non si è vista attribuire funzioni specifiche. Né la circostanza che il regolamento n. 1073/1999, relativo alle indagini svolte dall'Ufficio per la lotta antifrode (OLAF), possa arrecare pregiudizio all'organizzazione interna della Banca permette di distinguere quest'ultima dalle altre istituzioni, dagli altri organi o dagli altri organismi istituiti dai trattati.
( v. punti 110-111 )
6. Risulta dalla lettera stessa dell'art. 108 CE che le influenze esterne da cui questa disposizione mira a proteggere la Banca centrale europea e i suoi organi decisionali sono quelle che potrebbero interferire con l'assolvimento dei «compiti» che il Trattato e lo statuto del Sistema europeo delle banche centrali (SEBC) attribuiscono alla medesima. Detto articolo mira, in sostanza, a proteggere la Banca da qualsivoglia pressione politica per consentirle di perseguire efficacemente gli obiettivi assegnati ai suoi compiti, grazie all'esercizio indipendente dei poteri specifici di cui essa dispone a tali fini in forza del Trattato e del predetto statuto. Per contro, il riconoscimento alla Banca di tale indipendenza non ha la conseguenza di distaccarla completamente dalla Comunità europea e di sottrarla a qualsiasi norma di diritto comunitario. Niente consente di escludere a priori che il legislatore comunitario possa adottare, in base alle competenze di cui dispone in forza del Trattato e alle condizioni previste da quest'ultimo, provvedimenti normativi applicabili nei confronti della Banca centrale europea.
( v. punti 134-136 )
7. Né la circostanza che l'Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF) sia stato istituito dalla Commissione e sia integrato nelle strutture amministrative e di bilancio di quest'ultima alle condizioni previste dalla decisione 1999/352 né il fatto che un tale organo esterno alla Banca centrale europea abbia ricevuto dal legislatore comunitario poteri d'indagine alle condizioni previste dal regolamento n. 1073/1999, relativo alle indagini svolte dall'OLAF, sono in grado, in quanto tali, di ledere l'indipendenza della Banca centrale europea.
Infatti, il sistema istituito dal detto regolamento traduce la ferma volontà del legislatore comunitario di subordinare la concessione dei poteri attribuiti all'OLAF, da una parte, all'esistenza di garanzie dirette ad assicurare la rigorosa indipendenza di quest'ultimo, in particolare nei confronti della Commissione, e, dall'altra, al pieno rispetto delle norme di diritto comunitario, tra le quali, in particolare, il Protocollo sui privilegi e sulle immunità delle Comunità europee, i diritti dell'uomo e le libertà fondamentali nonché lo Statuto del personale delle Comunità europee e il Regime applicabile agli altri agenti di queste. L'esercizio dei detti poteri si trova soggetto a diverse regole e garanzie specifiche, mentre il loro oggetto è chiaramente delimitato. Il regime di indagine istituito dal regolamento n. 1073/1999 mira specificamente a permettere la verifica di sospetti relativi a fatti di frode, di corruzione o ad altre attività illecite lesive degli interessi finanziari della Comunità europea e la decisione del direttore dell'OLAF di aprire un'indagine non può intervenire in assenza di sospetti sufficientemente gravi al riguardo. Le indagini interne che l'OLAF può essere indotto ad effettuare devono del pari essere eseguite alle condizioni e secondo le modalità previste da decisioni che ogni istituzione, organo e organismo adotta, sicché non si deve escludere che eventuali specificità legate all'assolvimento dei compiti della Banca siano prese, eventualmente, in considerazione da quest'ultima all'atto dell'adozione di una tale decisione, a condizione che la Banca dimostri la necessità delle restrizioni che essa stabilisca al riguardo.
( v. punti 138-141, 143 )
8. Il regolamento n. 1073/1999, relativo alle indagini svolte dall'Ufficio per la lotta antifrode (OLAF), non può essere dichiarato inapplicabile nei confronti della Banca centrale europea per violazione del principio di proporzionalità.
Infatti, il legislatore comunitario non commette un manifesto errore di valutazione considerando che, al fine di rafforzare la prevenzione e la lotta contro la frode, la corruzione e le altre irregolarità lesive degli interessi finanziari della Comunità europea, è necessario instaurare un meccanismo di controllo centralizzato all'interno di uno stesso organo, specializzato ed esercitato in modo indipendente e uniforme rispetto alle varie istituzioni, organi o organismi istituiti dai trattati o sulla base di questi, nonostante l'esistenza di meccanismi di controllo propri a dette istituzioni e a detti organi o organismi. A questo riguardo, da un lato la funzione di indagine attribuita all'OLAF differisce per la sua natura e per il suo oggetto specifici dai compiti di controllo generale come quelli assegnati, in particolare, alla Corte dei conti, per quanto riguarda l'esame dell'efficienza operativa della gestione della Banca, e ai revisori esterni indipendenti, per quanto riguarda la verifica della contabilità di quest'ultima. Per quanto attiene, d'altro lato, alle funzioni attribuite alla Direzione «Revisione interna» e al comitato antifrode della Banca dalla decisione 1999/726, relativa alla prevenzione delle frodi, il legislatore comunitario può giustamente ritenere che meccanismi di controllo eterogenei, che siano adottati a livello delle istituzioni, degli organi o degli organismi istituiti dai trattati o sulla base di questi, e la cui esistenza e le cui modalità siano lasciate alla valutazione di ognuno di essi, non costituiscano una soluzione avente un grado di efficacia pari a quello che sembra potere offrire un sistema che abbia come oggetto quello di centralizzare la funzione di indagine all'interno di un medesimo organo specializzato e indipendente.
( v. punti 158-160, 164 )
9. La decisione della Banca centrale europea 1999/726, relativa alla prevenzione delle frodi, viola il regolamento n. 1073/1999, relativo alle indagini svolte dall'Ufficio per la lotta antifrode (OLAF), in particolare l'art. 4 del medesimo, e travalica il margine di autonomia organizzativa propria che la Banca conserva nell'ambito della lotta contro le frodi. Infatti, alla luce dei suoi considerando e del suo dispositivo, detta decisione è basata sulla premessa erronea che il regolamento n. 1073/1999 non sia applicabile nei confronti della Banca e traduce quindi la volontà di quest'ultima di organizzare in modo esclusivo la lotta contro le frodi al suo interno, escludendo l'applicazione del regime istituito dal detto regolamento e sostituendo all'adozione della decisione di cui all'art. 4, nn. 1, secondo comma, e 6, di quest'ultimo l'istituzione di un regime distinto e proprio alla Banca.
( v. punti 173, 176, 181-182 )
Nella causa C-11/00,
Commissione delle Comunità europee, rappresentata inizialmente dai sigg. C.W.A. Timmermans, H.P. Hartvig e U. Wölker, quindi dai sigg. J.-L. Dewost, H.P. Hartvig e U. Wölker, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,
ricorrente,
sostenuta da
Regno dei Paesi Bassi, rappresentato inizialmente dal sig. M.A. Fierstra, quindi dalla sig.ra J. van Bakel, in qualità di agenti,
da
Parlamento europeo, rappresentato dai sigg. J. Schoo e H. Duintjer Tebbens, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,
e da
Consiglio dell'Unione europea, rappresentato dalla sig.ra J. Aussant nonché dai sigg. F. van Craeyenest e F. Anton, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,
intervenienti,
contro
Banca centrale europea, rappresentata dal sig. A. Sáinz de Vicuña e dalla sig.ra C. Zilioli, in qualità di agenti, assistiti dal sig. A. Dashwood, barrister, con domicilio eletto in Lussemburgo,
convenuta,
avente ad oggetto l'annullamento della decisione della Banca centrale europea 7 ottobre 1999, 1999/726/CE, relativa alla prevenzione delle frodi (BCE/1999/5) (GU L 291, pag. 36),
LA CORTE,
composta dal sig. G.C. Rodríguez Iglesias, presidente, dai sigg. J.-P. Puissochet, M. Wathelet e R. Schintgen, presidenti di sezione, dai sigg. C. Gulmann, D.A.O. Edward, A. La Pergola (relatore), P. Jann e V. Skouris, dalle sig.re F. Macken e N. Colneric e dai sigg. S. von Bahr e A. Rosas, giudici,
avvocato generale: sig. F.G. Jacobs
cancelliere: sig. R. Grass
vista la relazione d'udienza,
sentite le difese orali svolte dalle parti all'udienza del 3 luglio 2002, nel corso della quale la Commissione è stata rappresentata dal sig. M. Petite, in qualità di agente, il Regno dei Paesi Bassi dal sig. N. Bel, in qualità di agente, il Parlamento dai sigg. J. Schoo e H. Duintjer Tebbens, il Consiglio dalla sig.ra J. Aussant nonché dai sigg. F. van Craeyenest e F. Anton e la Banca centrale europea dal sig. A. Sáinz de Vicuña e dalla sig.ra C. Zilioli, assistiti dal sig. A. Dashwood,
sentite le conclusioni dell'avvocato generale, presentate all'udienza del 3 ottobre 2002,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria della Corte il 14 gennaio 2000, in forza dell'art. 230 CE la Commissione delle Comunità europee ha chiesto l'annullamento della decisione della Banca centrale europea 7 ottobre 1999, 1999/726/CE, relativa alla prevenzione delle frodi (BCE/1999/5) (GU L 291, pag. 36; in prosieguo: la «decisione impugnata»).
2 Con ordinanze del presidente della Corte 7 settembre 2000, il Regno dei Paesi Bassi, il Parlamento europeo e il Consiglio dell'Unione europea sono stati autorizzati ad intervenire a sostegno delle conclusioni della Commissione.
Contesto normativo
Diritto primario
3 Ai sensi dell'art. 2 CE:
«La Comunità ha il compito di promuovere nell'insieme della Comunità, mediante l'instaurazione di un mercato comune e di un'unione economica e monetaria e mediante l'attuazione delle politiche e delle azioni comuni di cui agli articoli 3 e 4, uno sviluppo armonioso, equilibrato e sostenibile delle attività economiche, un elevato livello di occupazione e di protezione sociale, la parità tra uomini e donne, una crescita sostenibile e non inflazionistica, un alto grado di competitività e di convergenza dei risultati economici, un elevato livello di protezione dell'ambiente ed il miglioramento della qualità di quest'ultimo, il miglioramento del tenore e della qualità della vita, la coesione economica e sociale e la solidarietà tra Stati membri».
4 Secondo l'art. 4 CE:
«1. Ai fini enunciati all'articolo 2, l'azione degli Stati membri e della Comunità comprende, alle condizioni e secondo il ritmo previsti dal presente trattato, l'adozione di una politica economica che è fondata sullo stretto coordinamento delle politiche degli Stati membri, sul mercato interno e sulla definizione di obiettivi comuni, condotta conformemente al principio di un'economia di mercato aperta e in libera concorrenza.
2. Parallelamente, alle condizioni e secondo il ritmo e le procedure previsti dal presente trattato, questa azione comprende la fissazione irrevocabile dei tassi di cambio che comporterà l'introduzione di una moneta unica, l'ecu, nonché la definizione e la conduzione di una politica monetaria e di una politica del cambio uniche, che abbiano l'obiettivo principale di mantenere la stabilità dei prezzi e, fatto salvo questo obiettivo, di sostenere le politiche economiche generali nella Comunità conformemente al principio di un'economia di mercato aperta e in libera concorrenza.
3. Queste azioni degli Stati membri e della Comunità implicano il rispetto dei seguenti principi direttivi: prezzi stabili, finanze pubbliche e condizioni monetarie sane nonché bilancia dei pagamenti sostenibile».
5 L'art. 8 CE così prevede:
«Sono istituiti, secondo le procedure previste dal presente trattato, un Sistema europeo di banche centrali (in appresso denominato SEBC) e una Banca centrale europea (in appresso denominata BCE), che agiscono nei limiti dei poteri loro conferiti dal presente trattato e dallo statuto del SEBC e della BCE (in appresso denominato "statuto del SEBC") allegati al trattato stesso».
6 L'art. 105, nn. 1-4, CE dispone quanto segue:
«1. L'obiettivo principale del SEBC è il mantenimento della stabilità dei prezzi. Fatto salvo l'obiettivo della stabilità dei prezzi, il SEBC sostiene le politiche economiche generali nella Comunità al fine di contribuire alla realizzazione degli obiettivi della Comunità definiti nell'articolo 2. Il SEBC agisce in conformità del principio di un'economia di mercato aperta e in libera concorrenza, favorendo una efficace allocazione delle risorse e rispettando i principi di cui all'articolo 4.
2. I compiti fondamentali da assolvere tramite il SEBC sono i seguenti:
- definire e attuare la politica monetaria della Comunità;
- svolgere le operazioni sui cambi in linea con le disposizioni dell'articolo 111;
- detenere e gestire le riserve ufficiali in valuta estera degli Stati membri;
- promuovere il regolare funzionamento dei sistemi di pagamento.
(...)
4. La BCE viene consultata:
- in merito a qualsiasi proposta di atto comunitario che rientri nelle sue competenze;
(...)».
7 L'art. 108 CE così dispone:
«Nell'esercizio dei poteri e nell'assolvimento dei compiti e dei doveri loro attribuiti dal presente trattato e dallo statuto del SEBC, né la BCE né una banca centrale nazionale né un membro dei rispettivi organi decisionali possono sollecitare o accettare istruzioni dalle istituzioni o dagli organi comunitari, dai governi degli Stati membri né da qualsiasi altro organismo. Le istituzioni e gli organi comunitari nonché i governi degli Stati membri si impegnano a rispettare questo principio e a non cercare di influenzare i membri degli organi decisionali della BCE o delle banche centrali nazionali nell'assolvimento dei loro compiti».
8 Ai sensi dell'art. 280, nn. 1 e 4, CE:
«1. La Comunità e gli Stati membri combattono contro la frode e le altre attività illegali che ledono gli interessi finanziari della Comunità stessa mediante misure adottate a norma del presente articolo, che siano dissuasive e tali da permettere una protezione efficace negli Stati membri.
(...)
4. Il Consiglio, deliberando secondo la procedura di cui all'articolo 251, previa consultazione della Corte dei conti, adotta le misure necessarie nei settori della prevenzione e lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari della Comunità, al fine di pervenire a una protezione efficace ed equivalente in tutti gli Stati membri. Tali misure non riguardano l'applicazione del diritto penale nazionale o l'amministrazione della giustizia negli Stati membri».
9 L'art. 287 CE così prevede:
«I membri delle istituzioni della Comunità, i membri dei comitati e parimenti i funzionari e agenti della Comunità sono tenuti, anche dopo la cessazione dalle loro funzioni, a non divulgare le informazioni che per loro natura siano protette dal segreto professionale e in particolare quelle relative alle imprese e riguardanti i loro rapporti commerciali ovvero gli elementi dei loro costi».
10 Lo statuto del SEBC è oggetto di un protocollo allegato al Trattato CE. Il suo art. 12, n. 3, così dispone:
«Il consiglio direttivo adotta il regolamento interno che determina l'organizzazione interna della BCE e dei suoi organi decisionali».
11 L'art. 27 dello statuto del SEBC, intitolato «Revisione dei conti», così prevede:
«27.1 La contabilità della BCE e delle banche centrali nazionali viene verificata da revisori esterni indipendenti proposti dal consiglio direttivo ed accettati dal consiglio. I revisori hanno pieni poteri per esaminare tutti i libri e documenti contabili della BCE e delle banche centrali nazionali e per essere pienamente informati sulle loro operazioni.
27.2 Le disposizioni dell'art. 248 del presente trattato si applicano soltanto ad un esame dell'efficienza operativa della gestione della BCE».
12 L'art. 36, n. 1, dello statuto del SEBC così dispone:
«Il consiglio direttivo, su proposta del comitato esecutivo, stabilisce le condizioni di impiego dei dipendenti della BCE».
Diritto derivato
13 L'Ufficio europeo per la lotta antifrode (in prosieguo: l'«OLAF») è stato istituito con la decisione della Commissione 28 aprile 1999, 1999/352/CE, CECA, Euratom (GU L 136, pag. 20), adottata sul fondamento degli artt. 162 del Trattato CE (divenuto art. 218 CE), 16 del Trattato CECA e 131 del Trattato CEEA.
14 L'art. 2 della decisione 1999/352, che definisce le funzioni dell'OLAF, così prevede al suo n. 1:
«L'[OLAF] esercita le competenze della Commissione in materia di indagini amministrative esterne al fine di intensificare la lotta contro la frode, la corruzione e qualsiasi altra attività illecita lesiva degli interessi finanziari delle Comunità, nonché ai fini della lotta contro le frodi inerenti a qualsiasi fatto o atto compiuto in violazione di disposizioni comunitarie.
L'[OLAF] ha il compito di svolgere indagini amministrative interne miranti a quanto segue:
a) lottare contro la frode, la corruzione e qualsiasi altra attività illecita lesiva degli interessi finanziari delle Comunità,
b) ricercare i fatti gravi, connessi con l'esercizio di attività professionali, che possano costituire un inadempimento degli obblighi dei funzionari ed agenti delle Comunità perseguibile in sede disciplinare o penale o che possano costituire inadempimento degli obblighi analoghi incombenti ai membri delle istituzioni e organi, dei dirigenti degli organismi o del personale delle istituzioni, degli organi e degli organismi cui non si applica lo statuto dei funzionari delle Comunità europee o il regime applicabile agli altri agenti.
L'[OLAF] esercita le relative competenze della Commissione, come definite dalle disposizioni dei trattati, nell'ambito, nei limiti e secondo le modalità da questi definiti.
All'[OLAF] possono essere affidate, dalla Commissione nonché dagli altri organismi, organi e istituzioni, missioni di indagine in altri settori».
15 L'art. 3 della decisione 1999/352 così dispone:
«L'[OLAF] esercita in piena indipendenza i poteri d'indagine di cui all'articolo 2, paragrafo 1. Nell'esercizio delle sue competenze, il direttore dell'[OLAF] non sollecita né accetta istruzioni dalla Commissione, da governi, da altre istituzioni o da organi od organismi».
16 L'art. 4 della decisione 1999/352 prevede quanto segue:
«E' istituito un comitato di vigilanza la cui composizione e le cui competenze sono determinate dal legislatore comunitario. Il comitato esercita un controllo regolare sull'esercizio della funzione d'indagine dell'[OLAF]».
17 Secondo l'art. 5 della decisione 1999/352:
«1. L'[OLAF] è posto sotto la direzione di un direttore nominato dalla Commissione, di concerto con il Parlamento europeo e col Consiglio, per un periodo di cinque anni, rinnovabile una sola volta. (...)
2. La Commissione esercita nei confronti del direttore i poteri spettanti all'autorità che ha il potere di nomina. I provvedimenti in forza degli articoli 87, 88 e 90 dello statuto dei funzionari delle Comunità europee sono adottati con decisione motivata della Commissione, sentito il comitato di vigilanza. La decisione viene comunicata per conoscenza al Parlamento europeo ed al Consiglio».
18 Ai sensi dell'art. 6 della decisione 1999/352:
«1. Nei confronti del personale dell'[OLAF] il direttore esercita i poteri conferiti dallo statuto dei funzionari delle Comunità europee all'autorità che ha il potere di nomina e dal regime applicabile agli altri agenti di tali Comunità all'autorità competente per concludere i contratti d'assunzione. (...)
2. II direttore, sentito il comitato di vigilanza, comunica tempestivamente al direttore generale del bilancio un progetto preliminare di bilancio da iscrivere nella linea particolare del bilancio generale annuale relativo all'[OLAF].
3. Il direttore è l'ordinatore per l'esecuzione della linea di bilancio particolare della parte A del bilancio relativa all'[OLAF] [e delle linee specifiche antifrode della parte B]. (...)
4. Le decisioni della Commissione relative alla propria organizzazione interna si applicano all'[OLAF] in quanto compatibili con le disposizioni del legislatore comunitario riguardanti l'[OLAF] stesso, nonché con la presente decisione e le sue modalità d'applicazione».
19 In forza dell'art. 7 della decisione 1999/352, quest'ultima «ha effetto dal giorno dell'entrata in vigore del regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alle indagini svolte dall'[OLAF]».
20 Il regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio 25 maggio 1999, n. 1073, relativo alle indagini svolte dall'Ufficio per la lotta antifrode (OLAF) (GU L 136, pag. 1), è stato adottato sul fondamento dell'art. 280 CE.
21 I quattro primi considerando di questo regolamento prevedono:
«(1) considerando che le istituzioni e gli Stati membri attribuiscono grande importanza alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità ed alla lotta contro la frode e ogni altra attività illecita lesiva degli interessi finanziari comunitari; (...)
(2) considerando che la tutela degli interessi finanziari delle Comunità riguarda non solo la gestione degli stanziamenti di bilancio, ma si estende a qualsiasi misura che incida o possa incidere sul loro patrimonio;
(3) considerando che è necessario dispiegare tutti i mezzi disponibili per conseguire tali obiettivi, tenuto conto in particolare del compito di svolgere indagini conferito a livello comunitario (...);
(4) considerando che per potenziare i mezzi di lotta antifrode, la Commissione, nel rispetto del principio dell'autonomia di organizzazione interna di ciascuna istituzione, ha istituito nel suo ambito (...) l'[OLAF], incaricato di svolgere le indagini amministrative contro le frodi; che essa ha dotato [l'OLAF] di piena indipendenza nell'esercizio della sua funzione di indagine».
22 Il settimo considerando del regolamento n. 1073/1999 precisa che, «alla luce della necessità di potenziare la lotta contro la frode, la corruzione e ogni altra attività illecita lesiva degli interessi finanziari delle Comunità, l'[OLAF] deve potere effettuare indagini interne in tutte le istituzioni, tutti gli organi e tutti gli organismi istituiti dai trattati CE e Euratom o sulla base dei medesimi (...)».
23 Il decimo considerando del medesimo regolamento prevede che le indagini svolte dall'OLAF «devono essere condotte in base al trattato, e in particolare al protocollo sui privilegi e sulle immunità delle Comunità, nel rispetto dello statuto dei funzionari delle Comunità europee e del regime applicabile agli altri agenti[,denominato] 'lo statuto' [nel presente regolamento,] nonché nel pieno rispetto dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, in particolare del principio dell'equità, del diritto della persona coinvolta a esprimersi sui fatti che la riguardano e del diritto a che la conclusione dell'indagine si fondi unicamente su elementi aventi valore probatorio». Il detto considerando precisa ancora che «a tal fine le istituzioni, organi e organismi dovranno determinare le condizioni e le modalità secondo le quali devono svolgersi le indagini interne».
24 Ai sensi del dodicesimo considerando del regolamento n. 1073/1999, «per garantire l'indipendenza dell'[OLAF] nell'esecuzione dei suoi compiti, è opportuno attribuire al suo direttore il potere di avviare le indagini di propria iniziativa».
25 Secondo il diciottesimo considerando di questo regolamento, «le indagini amministrative devono svolgersi sotto la direzione del direttore dell'[OLAF], in piena autonomia rispetto alle istituzioni, agli organi ed agli organismi e rispetto al comitato di vigilanza».
26 Il ventunesimo considerando del regolamento n. 1073/1999 precisa che «il conferimento ad un [Ufficio europeo per la lotta antifrode] indipendente del compito di svolgere indagini amministrative esterne rispetta appieno il principio di sussidiarietà di cui all'articolo 5 del trattato CE» e che «attraverso l'attività di un simile [Ufficio europeo per la lotta antifrode] si potrà rendere più efficace la lotta contro le frodi, la corruzione ed ogni altra attività illecita lesiva degli interessi finanziari della Comunità e che in tal modo si rispetta anche il principio di proporzionalità».
27 L'art. 1 del regolamento n. 1073/1999 così prevede:
«1. Al fine di potenziare la lotta contro le frodi, la corruzione e ogni altra attività illecita lesiva degli interessi finanziari della Comunità europea, l'[OLAF] esercita le competenze di indagine conferite alla Commissione dalla normativa comunitaria e dagli accordi vigenti in questi settori.
(...)
3. All'interno delle istituzioni, degli organi e degli organismi istituiti dai trattati o sulla base di questi ultimi (...) denominati: "le istituzioni, gli organi e gli organismi" [dal presente regolamento], l'[OLAF] svolge le indagini amministrative volte a:
- lottare contro la frode, la corruzione e ogni altra attività illecita lesiva degli interessi finanziari della Comunità europea;
- ricercare a tal fine i fatti gravi, connessi all'esercizio di attività professionali, che possono costituire un inadempimento agli obblighi dei funzionari e agenti delle Comunità, perseguibile in sede disciplinare o penale o un inadempimento agli obblighi analoghi dei membri delle istituzioni e degli organi, dei dirigenti degli organismi o del personale delle istituzioni, degli organi e degli organismi cui non si applica lo statuto».
28 Ai sensi dell'art. 2 del regolamento n. 1073/1999:
«Ai sensi del presente regolamento si intende per "indagine amministrativa" [(...) denominata "indagine" (da questo regolamento)], l'insieme dei controlli, delle verifiche e delle operazioni che gli agenti dell'[OLAF] svolgono nell'esercizio delle loro funzioni, a norma degli articoli 3 e 4, al fine di conseguire gli obiettivi definiti all'articolo 1 e di accertare, ove opportuno, l'irregolarità delle attività controllate. Queste indagini non incidono sulla competenza degli Stati membri in materia di azione penale».
29 Sotto la rubrica «Indagini interne», l'art. 4 del regolamento n. 1073/1999 dispone:
«1. Nei settori di cui all'articolo 1, l'[OLAF] svolge le indagini amministrative all'interno delle istituzioni, degli organi e degli organismi (...) denominate "le indagini interne" [dal presente regolamento].
Tali indagini interne sono condotte nel rispetto delle norme dei trattati, in particolare del protocollo sui privilegi e sulle immunità, nonché dello statuto, alle condizioni e secondo le modalità stabilite dal presente regolamento nonché dalle decisioni adottate da ciascuna istituzione, organo od organismo. Le istituzioni si concertano sulla disciplina da istituire con tali decisioni.
2. Nel rispetto delle disposizioni di cui al primo paragrafo:
- l'[OLAF] ha accesso senza preavviso e senza ritardo a qualsiasi informazione in possesso delle istituzioni, degli organi o degli organismi nonché ai locali dei medesimi. L'[OLAF] ha la facoltà di controllare la contabilità delle istituzioni, degli organi e degli organismi. L'[OLAF] può riprodurre e ottenere estratti di qualsiasi documento e del contenuto di qualsiasi supporto di dati in possesso delle istituzioni, degli organi e degli organismi ed all'occorrenza prendere possesso di questi documenti o informazioni per evitare qualsiasi rischio di sottrazione,
- l'[OLAF] può chiedere informazioni orali ai membri delle istituzioni e degli organi, ai dirigenti degli organismi, nonché al personale delle istituzioni, degli organi e degli organismi.
(...)
4. Le istituzioni, gli organi e gli organismi sono informati quando agenti dell'[OLAF] svolgono un'indagine nei loro locali e quando consultano un documento o chiedono un'informazione in possesso di queste istituzioni, organi e organismi.
5. Qualora dalle indagini emerga la possibilità di un coinvolgimento individuale di un membro, di un dirigente, di un funzionario od agente, l'istituzione, l'organo o l'organismo di appartenenza ne è informato.
Nei casi che richiedano che sia mantenuto il segreto assoluto ai fini dell'indagine o che esigano il ricorso a mezzi d'investigazione di competenza di un'autorità giudiziaria nazionale, questa informazione può essere differita.
6. Fatte salve le norme dei trattati, in particolare del protocollo sui privilegi e sulle immunità, nonché le disposizioni dello statuto, la decisione adottata da ogni istituzione, organo o organismo, di cui al primo paragrafo, contiene norme riguardanti in particolare:
a) l'obbligo per i membri, funzionari ed agenti delle istituzioni e degli organi, nonché per i dirigenti, funzionari e agenti degli organismi, di cooperare con gli agenti dell'[OLAF] e di informarli;
b) le procedure che gli agenti dell'[OLAF] devono osservare nell'esecuzione delle indagini interne nonché le garanzie dei diritti delle persone interessate da un'indagine interna».
30 L'art. 5, secondo comma, del regolamento n. 1073/1999 così prevede:
«Le indagini interne sono avviate con decisione del direttore dell'[OLAF], di propria iniziativa o su richiesta dell'istituzione, dell'organo o dell'organismo in cui dovranno svolgersi».
31 L'art. 6 di questo regolamento, intitolato «Esecuzione delle indagini», così dispone:
«1. Il direttore dell'[OLAF] dirige l'esecuzione delle indagini.
2. Per eseguire i loro compiti, gli agenti dell'[OLAF] presentano una procura scritta, indicante la loro identità e qualifica.
3. Gli agenti dell'[OLAF] incaricati di un'indagine devono essere muniti, per ogni loro intervento, di un mandato scritto del direttore, indicante l'oggetto della medesima.
4. Nel corso dei controlli e delle verifiche in loco, gli agenti dell'[OLAF] si comportano conformemente alle regole e agli usi vigenti per i funzionari dello Stato membro interessato, allo statuto nonché alle decisioni di cui all'articolo 4, paragrafo 1, secondo comma.
5. Le indagini si svolgono in modo continuativo per un periodo di tempo che deve essere proporzionato alle circostanze ed alla complessità del caso.
6. Gli Stati membri provvedono affinché le loro autorità competenti, secondo le disposizioni nazionali, forniscono agli agenti dell'[OLAF] il contributo necessario all'assolvimento dei loro compiti. Le istituzioni e gli organi provvedono affinché i loro membri e il loro personale, e gli organismi provvedono affinché i loro dirigenti forniscano agli agenti dell'[OLAF] il contributo necessario all'assolvimento dei loro compiti».
32 Ai sensi dell'art. 7 del regolamento n. 1073/1999, intitolato «Obbligo di informare l'[OLAF]»:
«1. Le istituzioni, gli organi e gli organismi comunicano senza indugio all'[OLAF] qualsiasi informazione relativa a eventuali casi di frode o di corruzione o ad ogni altra attività illecita.
2. Le istituzioni, gli organi e gli organismi, nonché gli Stati membri nei limiti consentiti dal diritto nazionale, trasmettono su richiesta dell'[OLAF] o di propria iniziativa, ogni documento e informazione di cui dispongono, relativi ad una indagine interna in corso.
(...)
3. Le istituzioni, gli organi e gli organismi, nonché gli Stati membri nei limiti consentiti dal diritto nazionale, trasmettono inoltre all'[OLAF] ogni documento e informazione in loro possesso ritenuti pertinenti, relativi alla lotta contro le frodi, contro la corruzione e contro ogni altra attività illecita lesiva degli interessi finanziari delle Comunità».
33 L'art. 8 dello stesso regolamento, intitolato «Riservatezza e tutela dei dati», ai suoi nn. 2 e 4 enuncia quanto segue:
«2. Le informazioni comunicate o ottenute in qualsiasi forma nell'ambito di indagini interne sono coperte dal segreto d'Ufficio e godono della tutela concessa dalla normativa vigente per le istituzioni delle Comunità europee.
In particolare, tali informazioni possono essere comunicate solo a coloro che, nelle istituzioni delle Comunità europee, ovvero degli Stati membri, sono tenuti a conoscerle in virtù delle loro funzioni, e non possono essere utilizzate per fini diversi dalla lotta contro le frodi, contro la corruzione e contro ogni altra attività illecita.
(...)
4. Il direttore dell'[OLAF] e i membri del comitato di vigilanza di cui all'articolo 11 vegliano sull'applicazione delle disposizioni del presente articolo nonché degli articoli 286 e 287 del trattato CE».
34 L'art. 9 del detto regolamento così prevede:
«1. Al termine di un'indagine, l'[OLAF] redige sotto l'autorità del direttore una relazione che contiene in particolare i fatti accertati, l'eventuale indicazione del danno finanziario e le conclusioni dell'indagine, incluse le raccomandazioni del direttore dell'[OLAF] sui provvedimenti da prendere.
2. Queste relazioni sono redatte tenendo conto delle prescrizioni di procedura previste nella legislazione nazionale dello Stato membro interessato. Le relazioni così elaborate costituiscono elementi di prova nei procedimenti amministrativi o giudiziari dello Stato membro nel quale risulti necessario avvalersene al medesimo titolo e alle medesime condizioni delle relazioni amministrative redatte dagli ispettori amministrativi nazionali. Le relazioni sono soggette alle medesime regole di valutazione riguardanti le relazioni amministrative nazionali e hanno valore identico ad esse.
(...)
4. La relazione redatta in seguito a un'indagine interna ed ogni documento utile ad essa pertinente sono trasmessi all'istituzione, all'organo o all'organismo interessato. Le istituzioni, gli organi e gli organismi danno alle indagini interne il seguito richiesto dalle risultanze ottenute, in particolare sul piano disciplinare e giudiziario, e ne informano il direttore dell'[OLAF] entro la scadenza fissata da quest'ultimo nelle conclusioni della sua relazione».
35 L'art. 11 del regolamento n. 1073/1999 dispone quanto segue:
«1. Il comitato di vigilanza, controllando regolarmente l'esecuzione della funzione di indagine, garantisce l'indipendenza dell'[OLAF].
(...)
2. Esso è composto da cinque personalità esterne indipendenti, in possesso nei rispettivi paesi dei requisiti necessari per l'esercizio di alte funzioni in rapporto col settore di attività dell'[OLAF]. Esse sono nominate di comune accordo dal Parlamento europeo, dal Consiglio e dalla Commissione.
(...)
5. Nell'adempimento dei loro doveri, [i membri del comitato di vigilanza] non sollecitano né accettano istruzioni da alcun governo, istituzione, organo od organismo.
(...)
7. Il direttore trasmette ogni anno al comitato di vigilanza il programma delle attività dell'[OLAF] di cui all'articolo 1 del presente regolamento. Il direttore tiene regolarmente informato il comitato delle attività dell'[OLAF], delle sue indagini, dei loro risultati e dei provvedimenti conseguenti alle indagini. Nei casi in cui un'indagine sia in corso da più di nove mesi il direttore informa il comitato di vigilanza delle ragioni che non permettono ancora di concludere l'indagine e del prevedibile periodo di tempo necessario per concluderla. Il direttore informa il comitato dei casi in cui l'istituzione, l'organo o l'organismo interessato non [ha] dato seguito alle raccomandazioni che egli ha formulato. Il direttore informa il comitato dei casi che rendono necessaria la trasmissione di informazioni alle autorità giudiziarie di uno Stato membro.
8. Il comitato di vigilanza adotta almeno una relazione sulle attività ogni anno e l[a] trasmette alle istituzioni. Il comitato può presentare relazioni al Parlamento europeo, al Consiglio, alla Commissione e alla Corte dei conti sui risultati e i provvedimenti conseguenti alle indagini svolte dall'[OLAF]».
36 L'art. 12 del regolamento n. 1073/1999 è relativo al direttore dell'OLAF. Oltre a ripetere talune precisazioni contenute nella decisione 1999/352, esso così prevede al suo n. 3:
«Il direttore non sollecita né accetta istruzioni da alcun governo, istituzione, organo od organismo nell'adempimento dei doveri relativi all'avvio ed allo svolgimento delle indagini esterne ed interne ed alla presentazione delle relazioni redatte su conclusione delle stesse. Qualora il direttore ritenga che un provvedimento adottato dalla Commissione comprometta la propria indipendenza può presentare ricorso contro la propria istituzione davanti alla Corte di giustizia.
Il direttore riferisce regolarmente al Parlamento europeo, al Consiglio, alla Commissione e alla Corte dei conti sui risultati delle indagini svolte dall'[OLAF], nel rispetto della riservatezza delle medesime nonché dei diritti legittimi delle persone interessate e, ove opportuno, delle norme nazionali in materia di procedimenti giudiziari.
Queste istituzioni assicurano il rispetto della riservatezza delle indagini svolte dall'[OLAF], dei diritti legittimi delle persone interessate e, in caso di procedimenti giudiziari pendenti, [di] tutte le norme nazionali ad essi relative».
37 Ai sensi dell'art. 14 dello stesso regolamento:
«Fino alla modifica dello statuto, ogni funzionario e altro agente delle Comunità europee può presentare al direttore dell'[OLAF], secondo le modalità di cui all'articolo 90, paragrafo 2, dello statuto, un reclamo contro un atto che gli arrechi pregiudizio, compiuto dall'[OLAF] nell'ambito di un'indagine interna. Alle decisioni adottate su tali reclami si applica l'articolo 91 dello statuto.
Queste disposizioni si applicano analogamente al personale delle istituzioni, degli organi e degli organismi cui non si applica lo statuto».
38 Il 25 maggio 1999 il Parlamento, il Consiglio e la Commissione hanno concluso un accordo interistituzionale relativo alle indagini interne svolte dall'Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF) (GU L 136, pag. 15; in prosieguo: l'«accordo interistituzionale»). Con questo accordo le dette istituzioni convengono «di adottare una disciplina comune che comprenda i provvedimenti esecutivi necessari per agevolare il regolare svolgimento delle indagini svolte dall'[OLAF] al loro interno», nonché «di avviare tale disciplina e di applicarla immediatamente con una decisione interna conforme al modello allegato al presente accordo e di non discostarsi da tale modello, se non quando particolari esigenze a loro proprie lo impongano per necessità tecniche».
39 L'accordo interistituzionale precisa che «[l]e altre istituzioni, nonché gli organi e gli organismi istituiti dai trattati CE e CEEA o sulla base degli stessi, sono invitati ad aderire al presente accordo mediante una dichiarazione che ciascuno di essi trasmette ai presidenti delle istituzioni firmatarie, congiuntamente».
Decisione impugnata
40 La decisione impugnata è stata adottata dal consiglio direttivo della BCE sul fondamento dell'art. 12, n. 3, dello statuto del SEBC.
41 I primi otto considerando della decisione impugnata sono formulati come segue:
«(1) considerando che la BCE, unitamente alle istituzioni delle Comunità europee e agli Stati membri, attribuisce grande importanza alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità e alle iniziative volte a combattere le frodi e le altre attività illecite lesive degli interessi finanziari delle Comunità;
(2) considerando che il Consiglio europeo di Colonia del giugno 1999 ha ritenuto altamente auspicabile l'adesione della BCE alle iniziative delle Comunità europee volte a combattere le frodi all'interno dell'Unione europea;
(3) considerando che la BCE attribuisce grande importanza alla tutela dei propri interessi finanziari e alle iniziative volte a combattere le frodi e le altre attività illecite lesive dei suoi interessi finanziari;
(4) considerando che è necessario utilizzare tutti i mezzi disponibili al fine di realizzare tali obiettivi, in particolare con riguardo alle funzioni di indagine assegnate alla BCE e alle istituzioni delle Comunità europee, pur conservando l'attuale ripartizione ed equilibrio delle responsabilità fra la BCE e le istituzioni delle Comunità europee;
(5) considerando che le istituzioni delle Comunità europee e gli Stati membri hanno intrapreso iniziative volte a combattere le frodi e le altre attività illecite lesive degli interessi finanziari delle Comunità sulla base dell'articolo 280 del trattato che istituisce la Comunità europea (...);
(6) considerando che l'indipendenza della BCE è prevista dal trattato e dallo statuto [del SEBC]; che, in conformità a quanto disposto dal trattato e [da questo statuto], la BCE dispone di risorse finanziarie e di un bilancio propri, indipendenti da quelli delle Comunità europee;
(7) considerando che, al fine di potenziare i mezzi disponibili per combattere le frodi, con la decisione 1999/352 (...), la Commissione ha istituito al proprio interno [l'OLAF], che ha la responsabilità di condurre indagini amministrative a tale scopo;
(8) considerando che la lotta contro le frodi e le altre attività illecite lesive degli interessi finanziari della BCE è una funzione fondamentale attribuita alla Direzione Revisione Interna [in prosieguo: la "DRI"] e che tale Direzione è responsabile della conduzione delle indagini amministrative all'interno della BCE a tale scopo».
42 Il decimo considerando della decisione impugnata stabilisce che «per accrescere e rafforzare l'indipendenza della [DRI] nello svolgimento delle attività dirette a combattere le frodi e le altre attività illecite lesive degli interessi finanziari della BCE, tale Direzione risponde per dette questioni a un comitato antifrode costituito da personalità esterne indipendenti altamente qualificate».
43 Intitolato «Responsabilità delle segnalazioni in materia di frode», l'art. 2 della decisione impugnata così dispone:
«In conformità della presente decisione e delle procedure in vigore all'interno della BCE, la [DRI] è responsabile delle indagini e delle segnalazioni per tutte le questioni connesse alla prevenzione e all'individuazione delle frodi e delle altre attività illecite lesive degli interessi finanziari della BCE, nonché per ciò che concerne il rispetto dei pertinenti standard e/o codici di condotta in vigore all'interno della BCE».
44 L'art. 1, nn. 1 e 2, della decisione impugnata istituisce un comitato antifrode (in prosieguo: il «comitato antifrode della BCE»), che è destinato a rafforzare l'indipendenza della DRI nelle attività di cui all'art. 2 di questa decisione ed è responsabile della regolare sorveglianza nonché del corretto svolgimento delle dette attività.
45 Come prevede l'art. 1, nn. 3-5, della decisione impugnata, il comitato antifrode della BCE è composto di tre personalità esterne indipendenti, che sono nominate per tre anni dal consiglio direttivo della BCE e alle quali è fatto divieto di sollecitare o accettare, nell'assolvimento delle proprie funzioni, istruzioni da parte degli organi della BCE, delle istituzioni o degli organi delle Comunità europee, dei governi o di qualsiasi istituzione ed organo di altra natura.
46 Affinché la DRI possa agire in modo efficace e con il necessario grado di indipendenza, l'art. 3 della decisione impugnata prevede che il suo direttore risponda, per le questioni relative alle frodi, al comitato antifrode della BCE. Inoltre, l'art. 1, n. 7, della detta decisione prevede che ogni anno il direttore della DRI invii al detto comitato il programma delle attività della DRI e che quest'ultima informi regolarmente questo comitato delle sue attività, in particolare delle indagini in corso, dei risultati di queste ultime e delle misure adottate a tale riguardo. La medesima disposizione prevede ancora che il direttore della DRI informi il comitato antifrode della BCE nel caso in cui gli organi della BCE non abbiano preso misure in seguito a sue raccomandazioni e nel caso in cui sia necessario trasmettere le informazioni alle autorità giudiziarie di uno Stato membro.
47 Ai sensi dell'art. 1, n. 8, della decisione impugnata, il comitato antifrode della BCE sottopone al consiglio direttivo, nonché ai revisori esterni della BCE e alla Corte dei conti delle relazioni sui risultati delle indagini svolte dalla DRI e sulle misure adottate riguardo a queste ultime, come pure, almeno una volta all'anno, una relazione sulle proprie attività. Ai sensi dell'art. 1, n. 10, della detta decisione, questo comitato può informare la competente autorità giudiziaria nazionale nel caso in cui vi siano elementi sufficienti ad ipotizzare un'infrazione delle norme penali nazionali.
48 L'art. 4 della decisione impugnata prevede in particolare l'obbligo per la DRI d'informare le persone nei cui confronti è svolta un'indagine e di permettere loro di esprimere la propria opinione prima che sia tratta qualsiasi conclusione che le riguarda. L'art. 5, primo comma, della detta decisione precisa che le attività della DRI sono «svolte in conformità delle disposizioni dei trattati, in particolare dell'articolo 6 del trattato sull'Unione europea, e del Protocollo sui privilegi e sulle immunità delle Comunità europee, tenendo in debito conto le condizioni di impiego del personale della [BCE]».
49 L'art. 5, secondo comma, della decisione impugnata così dispone:
«Gli impiegati della BCE devono, e tutti i cittadini possono, informare il Comitato antifrode o la [DRI] dei casi di frode o di attività illecite lesive degli interessi finanziari della BCE. Gli impiegati della BCE non devono in nessun caso subire un trattamento iniquo o discriminatorio per aver contribuito alle attività del Comitato antifrode, o della [DRI], di cui alla presente decisione».
50 L'art. 6 della stessa decisione prevede che tutti gli impiegati della BCE possono presentare al comitato esecutivo della BCE o al comitato antifrode della BCE un reclamo riguardante gli atti o le omissioni della DRI che arrecano loro pregiudizio.
51 L'art. 1, n. 9, della decisione impugnata enuncia quanto segue:
«Il Comitato antifrode è responsabile dei rapporti con il Comitato di vigilanza dell'[OLAF] di cui all'articolo 11 del regolamento (...) n. 1073/1999 (...). Tali rapporti sono governati da principi stabiliti con una decisione della BCE».
Ricorso
52 Con il presente ricorso la Commissione chiede l'annullamento della decisione impugnata in quanto essa violerebbe il regolamento n. 1073/1999, in particolare il suo art. 4.
53 Essa sostiene, in primo luogo, che dall'ottavo considerando e dall'art. 2 della decisione impugnata risulta che, ai termini di questa decisione, le indagini amministrative all'interno della BCE nell'ambito della lotta contro la frode sono di esclusiva competenza della DRI. Ciò costituirebbe proprio la negazione sia dei poteri d'indagine attribuiti all'OLAF dal regolamento n. 1073/1999 che dell'applicabilità di detto regolamento alla BCE e rifletterebbe la tesi difesa dalla BCE nel corso dei lavori preparatori del detto regolamento. I considerando della decisione impugnata opererebbero così un'espressa distinzione tra la disciplina adottata sul fondamento dell'art. 280 CE e quella da prevedere per la BCE, facendo riferimento all'indipendenza di quest'ultima nonché al fatto che essa dispone di un bilancio e di risorse finanziarie proprie.
54 Il carattere distinto ed esclusivo della disciplina adottata dalla decisione impugnata rispetto a quella che risulta dal regolamento n. 1073/1999 deriverebbe anche dal fatto che il solo punto di contatto tra queste due discipline si troverebbe nell'art. 1, n. 9, della decisione impugnata, il quale prevede che il comitato antifrode della BCE è responsabile dei rapporti con il comitato di vigilanza dell'OLAF secondo principi da stabilire con una decisione della BCE.
55 In secondo luogo, la Commissione fa valere che, tenuto conto della scelta adottata dalla BCE, la decisione impugnata non prevede alcun provvedimento di esecuzione dell'art. 4, n. 6, del regolamento n. 1073/1999, ma dispone al contrario che i membri del personale della BCE devono informare la DRI piuttosto che l'OLAF in ogni caso di frode.
Mezzi di difesa sollevati dalla BCE
56 La BCE sostiene, in primo luogo, che la decisione impugnata non è in contrasto con il regolamento n. 1073/1999. Poiché la detta decisione non sarebbe quindi illegittima ai sensi dell'art. 230 CE, il ricorso dovrebbe essere respinto, indipendentemente dalla questione se il regolamento n. 1073/1999 sia o meno applicabile alla BCE.
57 In secondo luogo, la BCE sostiene che questo regolamento deve essere interpretato nel senso che non è ad essa applicabile. A meno di condividere un'interpretazione del genere, la Corte dovrebbe infatti dichiarare l'illegittimità del detto regolamento in quanto quest'ultimo sarebbe stato adottato in violazione degli artt. 105, n. 4, CE, 108 CE e 280 CE, nonché del principio di proporzionalità, e, di conseguenza, dichiarare questo regolamento inapplicabile in conformità alle disposizioni dell'art. 241 CE.
58 In un primo momento occorre esaminare la questione dell'applicabilità del regolamento n. 1073/1999 e, in un secondo momento, nel solo caso in cui si concludesse a favore di tale applicabilità, verificare se la decisione impugnata disattenda le disposizioni del detto regolamento.
Sull'applicabilità del regolamento n. 1073/1999
59 Per determinare se, come sostiene la BCE, il regolamento n. 1073/1999 debba essere dichiarato inapplicabile, occorre esaminare in primo luogo se il detto regolamento debba essere interpretato nel senso che esso si applica alla BCE e, in caso affermativo, verificare, in secondo luogo, se possa concludersi per l'inapplicabilità di questo regolamento in ragione della sua eventuale illegittimità, conformemente all'art. 241 CE.
Portata del regolamento n. 1073/1999
60 La BCE sostiene che il regolamento n. 1073/1999 dovrebbe essere interpretato nel senso che non rientra nel suo campo di applicazione. A questo riguardo essa fa valere in particolare che l'espressione «organi e (...) organismi istituiti dai trattati o sulla base di questi ultimi» utilizzata all'art. 1, n. 3, del detto regolamento non è molto precisa, benché possa essere intesa, in particolare alla luce della scelta dell'art. 280, n. 4, CE, come fondamento normativo di questo regolamento, nel senso che non riguarda gli «organi» i cui interessi finanziari sono distinti da quelli della Comunità europea e non collegati al bilancio di quest'ultima.
61 A parere della BCE, una tale interpretazione sarebbe inoltre la sola in grado di preservare la legittimità del detto regolamento, sicché essa dovrebbe essere preferita, in conformità alla giurisprudenza della Corte (sentenza 29 giugno 1995, causa C-135/93, Spagna/Commissione, Racc. pag. I-1651, punto 37).
62 Questa argomentazione non può essere accolta.
63 Come hanno giustamente fatto valere sia la Commissione sia gli intervenienti, è giocoforza costatare che i termini «istituzioni, (...) organi e (...) organismi istituiti dai trattati o sulla base di questi ultimi», che figura all'art. 1, n. 3, del regolamento n. 1073/1999, non possono essere interpretati nel senso che essi non comprendono la BCE.
64 A questo riguardo è sufficiente rilevare che, quali che siano le particolarità del suo status nell'ordinamento giuridico comunitario, la BCE è stata istituita dal Trattato CE, come risulta dalla stessa formulazione dell'art. 8 CE.
65 Orbene, non risulta né dai considerando né dalle disposizioni del regolamento n. 1073/1999 che il legislatore comunitario abbia inteso operare una qualsivoglia distinzione tra le istituzioni, gli organi o gli organismi istituiti dai trattati o sulla base di questi ultimi, in particolare escludendo quelli fra tali organi o organismi che dispongono di risorse distinte dal bilancio comunitario.
66 Il settimo considerando del regolamento n. 1073/1999 sottolinea espressamente invece la necessità di estendere il campo delle indagini interne dell'OLAF a «tutte» le dette istituzioni, a «tutti» gli organi e a «tutti» gli organismi.
67 Alla luce dei termini chiari del regolamento n. 1073/1999, non vi è alcun dubbio che il detto regolamento deve essere interpretato nel senso che esso è inteso a trovare applicazione in particolare nei confronti della BCE, indipendentemente dalla questione se tale circostanza sia o meno in grado di inficiare la legittimità del detto regolamento.
Eccezione d'illegittimità sollevata dalla BCE nei confronti del regolamento n. 1073/1999
68 Una volta stabilita l'inclusione della BCE nel campo di applicazione del regolamento n. 1073/1999, occorre esaminare se, come sostiene la BCE, il detto regolamento debba essere dichiarato inapplicabile ai sensi dell'art. 241 CE, a motivo di tale inclusione.
69 A questo riguardo la BCE sostiene, in primo luogo, che il regolamento n. 1073/1999 non poteva essere adottato sul fondamento dell'art. 280 CE, sicché tale regolamento sarebbe viziato da un eccesso di potere. Essa considera, in secondo luogo, che il detto regolamento è stato adottato in violazione delle forme sostanziali in quanto nel caso di specie non sarebbe stato rispettato il requisito della preliminare consultazione della BCE, previsto dall'art. 105, n. 4, CE. La BCE fa valere, in terzo luogo, che la sua inclusione nel campo di applicazione del regolamento n. 1073/1999 violerebbe il Trattato CE mettendo in pericolo l'indipendenza della BCE come sancita all'art. 108 CE. In quarto luogo, questo regolamento disattenderebbe il principio di proporzionalità in quanto la sua applicazione alla BCE non sarebbe appropriata per raggiungere gli obiettivi perseguiti dal detto regolamento ed eccederebbe quanto necessario a tali fini.
70 La Commissione e gli intervenienti contestano che il regolamento n. 1073/1999 sia viziato di illegittimità. La Commissione sostiene inoltre, in via preliminare, che la BCE non è legittimata ad avvalersi dell'art. 241 CE per invocare l'inapplicabilità del detto regolamento.
71 Considerato quanto precede, occorre determinare se la BCE sia o meno legittimata ad invocare, nell'ambito del presente procedimento, un'illegittimità che vizia il regolamento n. 1073/1999 prima di esaminare, in caso affermativo, l'eventuale fondatezza dell'eccezione così sollevata.
Sulla ricevibilità dell'eccezione di illegittimità
72 La Commissione sostiene che la convenuta non può invocare nell'ambito del presente procedimento l'eventuale illegittimità del regolamento n. 1073/1999 sulla base dell'art. 241 CE, in quanto la BCE non ha impugnato il detto regolamento sulla base dell'art. 230 CE nel termine di dodici mesi previsto da questa disposizione.
73 La BCE, da parte sua, considera che le condizioni richieste dall'art. 241 CE sono soddisfatte nel caso di specie, poiché il regolamento n. 1073/1999 sarebbe stato adottato congiuntamente dal Parlamento e dal Consiglio, avrebbe violato una forma sostanziale, sarebbe il risultato di un eccesso di potere e sarebbe contrario al Trattato CE nonché al principio di proporzionalità. La BCE aggiunge che essa non ha proposto un ricorso di annullamento avverso tale regolamento nella convinzione che esso non fosse applicabile tenuto conto della scelta dell'art. 280 CE come fondamento normativo del detto regolamento e per il fatto di non essere stata consultata prima dell'adozione di quest'ultimo.
74 A questo riguardo, si deve certamente ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, una decisione adottata dalle istituzioni comunitarie che non sia stata impugnata dal destinatario entro il termine stabilito dall'art. 230, quinto comma, CE diviene definitiva nei suoi confronti (v., in particolare, sentenza 22 ottobre 2002, causa C-241/01, National Farmers' Union, Racc. pag. I-9079, punto 34, e giurisprudenza citata).
75 D'altronde, la Corte ha altresì deciso che il principio generale di cui è espressione l'art. 241 CE, diretto a garantire che ciascuno abbia o abbia avuto la possibilità di contestare un atto comunitario su cui si fonda una decisione che lo riguarda, non osta assolutamente a che un regolamento divenga definitivo nei confronti di un singolo, in relazione al quale esso deve essere considerato come una decisione individuale e il quale avrebbe potuto senza alcun dubbio chiederne l'annullamento in virtù dell'art. 230 CE, il che impedisce al detto singolo di eccepire l'illegittimità del detto regolamento di fronte al giudice nazionale. La Corte ha considerato che tale conclusione si applicava ai regolamenti che istituiscono dazi antidumping a causa della loro duplice natura, di atti normativi e di atti che possono riguardare direttamente e individualmente determinati operatori economici (v. sentenza 15 febbraio 2001, causa C-239/99, Nachi Europe, Racc. pag. I-1197, punto 37).
76 I principi testé ricordati non incidono tuttavia in alcun modo sulla regola stabilita dall'art. 241 CE, la cui formulazione prevede che, nell'eventualità di una controversia che metta in causa un regolamento previsto in questa disposizione, ciascuna parte può valersi dei motivi previsti dall'art. 230, secondo comma, CE per invocare dinanzi alla Corte l'inapplicabilità del regolamento stesso.
77 Orbene, è giocoforza costatare, nel caso di specie, che il carattere normativo del regolamento n. 1073/1999 non è stato messo in dubbio da alcuna delle parti e che non è stato dedotto, in particolare, né che il detto regolamento debba essere assimilato ad una decisione né che la BCE, in tal caso, ne sia destinataria.
78 Alla luce di quanto precede, il diritto di invocare nell'ambito della presente controversia l'eventuale illegittimità del regolamento n. 1073/1999 sul fondamento dell'art. 241 CE non può essere negato alla BCE e il motivo relativo all'irricevibilità dell'eccezione d'illegittimità deve quindi essere respinto.
Sul motivo relativo al difetto di fondamento normativo
79 Con un primo motivo la BCE afferma, a sostegno dell'eccezione d'illegittimità da essa sollevata, che il regolamento n. 1073/1999 deve essere dichiarato inapplicabile perché non poteva essere adottato sul fondamento dell'art. 280 CE.
80 Da un lato, l'espressione «interessi finanziari della Comunità» che figura in questa disposizione sarebbe relativa alle sole spese ed entrate rientranti nel bilancio della Comunità europea. Essa escluderebbe allora che possano essere adottate misure sul fondamento del detto articolo per combattere le frodi all'interno della BCE, poiché quest'ultima dispone di un bilancio e di risorse proprie.
81 Dall'altro, più in generale, l'art. 280 CE non permetterebbe l'adozione di misure destinate a combattere le frodi all'interno delle istituzioni, degli organi o degli organismi istituiti dai trattati o sulla base di questi ultimi.
Sulla nozione di «lesione degli interessi finanziari della Comunità»
- Argomenti della BCE
82 Secondo la BCE, l'art. 280 CE autorizza l'adozione di misure contro la frode solo a fini di tutela del bilancio comunitario. Ne sarebbe prova, in particolare, la circostanza che la detta disposizione figura nel titolo II della quinta parte del Trattato CE, denominato «Disposizioni finanziarie», che tratterebbe, nel suo insieme, i differenti aspetti della composizione, della preparazione, dell'adozione e dell'esecuzione del bilancio comunitario nonché del finanziamento delle spese tramite le risorse proprie.
83 Ne risulterebbe che disposizioni comunitarie adottate sul fondamento dell'art. 280 CE al fine di combattere le frodi non possono applicarsi alla BCE, poiché quest'ultima disporrebbe di bilancio proprio, che sarebbe distinto da quello della Comunità europea e che rifletterebbe la sua indipendenza finanziaria.
84 Infatti, le risorse della BCE proverrebbero, come risulterebbe dagli artt. 28-30 dello statuto del SEBC, esclusivamente da contributi di azionisti provenienti dalle banche centrali nazionali (in prosieguo: le «BCN») nonché dai profitti realizzati nell'ambito delle operazioni eseguite dalla BCE o dalle BCN e ripartiti conformemente agli artt. 32 e 33 dello stesso statuto. Nessuna risorsa proveniente dal bilancio comunitario sarebbe attribuita alla BCE e non esisterebbe alcun meccanismo di copertura delle eventuali perdite della BCE da parte del detto bilancio, poiché perdite del genere, in conformità all'art. 33, n. 2, dello statuto del SEBC, sono coperte dal fondo di riserva generale della BCE e, se necessario, dalle BCN.
85 La BCE aggiunge che la quinta parte del Trattato CE, in cui figura l'art. 280 CE, riguarda, secondo il suo titolo, «[l]e istituzioni della Comunità» e non contiene un capo relativo alla BCE. Le finanze di quest'ultima sarebbero disciplinate dal capo VI dello statuto del SEBC, intitolato «Disposizioni finanziarie del SEBC».
86 L'indipendenza finanziaria della BCE sarebbe ancora confermata dalla circostanza che l'adozione del suo bilancio e dei suoi conti annuali rientrerebbe nella competenza esclusiva dei suoi organi, come risulterebbe dall'art. 26, n. 2, dello statuto del SEBC e dagli artt. 15 e 16, n. 4, del regolamento interno della BCE, come modificato il 22 aprile 1999 (GU L 125, pag. 34).
87 I collegamenti che possono esistere tra il bilancio comunitario e la BCE sarebbero, per parte loro, troppo accessori rispetto ai compiti di questa per giustificare che essa sia soggetta a misure adottate sul fondamento dell'art. 280, n. 4, CE. In particolare, l'imposta comunitaria sugli stipendi del personale che la BCE versa al bilancio comunitario corrisponderebbe a meno del 3% del bilancio della BCE.
88 Inoltre, l'interpretazione così difesa dalla BCE sarebbe conforme alla prassi normativa anteriore che avrebbe sancito la corrispondenza esistente tra, da un lato, «gli interessi finanziari della Comunità» e, dall'altro, il bilancio generale delle Comunità europee e i bilanci gestiti da queste ultime. A questo riguardo, la BCE fa riferimento in particolare alla definizione dell'«irregolarità» contenuta nell'art. 1, n. 2, del regolamento (CE, Euratom) del Consiglio 18 dicembre 1995, n. 2988, relativo alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità (GU L 312, pag. 1), e alla nozione di «frode che lede gli interessi finanziari delle Comunità europee» come definita all'art. 1 della convenzione relativa alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee, adottata con l'atto 95/C 316/03 del Consiglio 26 luglio 1995 (GU C 316, pag. 49).
- Giudizio della Corte
89 Contrariamente a quanto sostiene la BCE nell'ambito di questo primo motivo, l'espressione «interessi finanziari della Comunità» figurante all'art. 280 CE deve essere interpretata nel senso che comprende non solo le entrate e le spese rientranti nel bilancio comunitario, ma, in linea di principio, anche quelle facenti parte del bilancio di altri organi o organismi istituiti dal Trattato CE.
90 Tra le considerazioni che autorizzano tale conclusione figura, in primo luogo, il fatto che, come l'avvocato generale ha rilevato al punto 117 delle sue conclusioni, la detta espressione è propria dell'art. 280 CE e si distingue dalla terminologia usata nelle altre disposizioni del titolo II della quinta parte del Trattato CE, le quali si riferiscono, invariabilmente, al «bilancio» della Comunità europea. Lo stesso dicasi della circostanza, rilevata dal governo dei Paesi Bassi, che l'espressione «interessi finanziari della Comunità» sembra più ampia dell'espressione «entrate e (...) spese della Comunità» che figura in particolare all'art. 268 CE.
91 In secondo luogo, il fatto stesso che un organo o un organismo tragga la propria esistenza dal Trattato CE suggerisce che esso è stato concepito per contribuire alla realizzazione degli obiettivi della Comunità europea e lo inserisce nel contesto comunitario, cosicché i mezzi di cui esso dispone per effetto del detto Trattato presentano naturalmente un interesse finanziario proprio e diretto per la Comunità medesima.
92 Per quanto riguarda più specificamente la BCE, è giocoforza costatare a questo riguardo che, come risulta dagli artt. 8 CE e 107, n. 2, CE, essa è stata istituita e dotata di personalità giuridica dal Trattato CE. Inoltre, come risulta dalla formulazione degli artt. 4, n. 2, e 105, n. 1, CE, il SEBC, al cui centro si trova la BCE, ha l'obiettivo principale di mantenere la stabilità dei prezzi e, fatto salvo questo obiettivo, sostenere le politiche economiche generali nella Comunità europea al fine di contribuire alla realizzazione degli obiettivi di questa, come definiti all'art. 2 CE, tra i quali figurano, in particolare, l'instaurazione di un'unione economica e monetaria o ancora la promozione di una crescita sostenibile e non inflazionistica. Ne consegue che la BCE si inserisce, in forza del Trattato CE, nell'ambito comunitario.
93 Quindi il fatto che le risorse della BCE e la loro utilizzazione presentino un interesse finanziario manifesto per la Comunità europea e per i suoi obiettivi è ribadito da diverse altre disposizioni comunitarie.
94 Tra queste figura, in particolare, l'art. 27 dello statuto del SEBC che precisa, al suo n. 1, che i revisori esterni chiamati ad esaminare i libri e i documenti contabili della BCE devono essere accettati dal Consiglio e, al suo n. 2, che la competenza della Corte dei conti comprende l'esame dell'efficienza operativa della gestione della BCE. Lo stesso dicasi degli artt. 28, n. 1, e 30, n. 4, del detto statuto, i quali prevedono che è nei limiti e alle condizioni stabilite dal Consiglio che il capitale della BCE può essere aumentato dal consiglio direttivo di questa e che ulteriori richieste di attività di riserva in valuta possono essere effettuate dalla BCE. Infine, l'art. 107, n. 5, CE autorizza il Consiglio a modificare varie disposizioni dello statuto del SEBC tra le quali figurano vari articoli del capo VI del detto statuto, intitolato «Disposizioni finanziarie del SEBC».
95 Dalle considerazioni che precedono deriva che l'espressione «interessi finanziari della Comunità» che figura all'art. 280 CE non si limita al solo bilancio della Comunità europea in senso stretto, ma riguarda altresì le risorse e le spese della BCE [v., per analogia, a proposito dell'applicabilità alla Banca europea per gli investimenti dell'art. 179 del Trattato CE (divenuto art. 236 CE), sentenza 15 giugno 1976, causa 110/75, Mills/BEI, Racc. pag. 955, punto 14].
96 Questa conclusione non può essere inficiata dalla sola circostanza, ammesso che sia accertata, che una prassi normativa, per di più anteriore all'inserimento nel Trattato dei nn. 1 e 4 dell'art. 280 CE, avrebbe fatto propria una diversa accezione dell'espressione «interessi finanziari della Comunità».
97 Ne consegue che il fatto che il regolamento n. 1073/1999 riguardi anche la BCE, la quale, istituita dal Trattato CE, dispone in forza di quest'ultimo di risorse proprie distinte da quelle del bilancio comunitario, non può giustificare l'inapplicabilità del detto regolamento sul fondamento dell'art. 241 CE.
Sulla possibilità di adottare misure contro la frode relativamente alle istituzioni, agli organi o agli organismi istituiti dai trattati o sulla base di questi
98 Alla luce della formulazione dell'art. 280, n. 4, CE, che prevede che la Comunità europea adotta misure «al fine di pervenire a una protezione efficace ed equivalente in tutti gli Stati membri» e che tali misure non possono riguardare «l'applicazione del diritto penale nazionale o l'amministrazione della giustizia negli Stati membri», la BCE considera che i poteri del legislatore comunitario si limitino all'adozione di misure destinate a migliorare i meccanismi di lotta contro la frode a livello degli Stati membri. Secondo la BCE, è escluso che possono essere adottate su questo fondamento misure destinate a combattere la frode o le irregolarità che avvengono all'interno delle istituzioni, degli organi o degli organismi istituiti dai trattati o sulla base di questi ultimi.
99 Questa tesi non può essere accolta.
100 Si deve infatti rilevare che, introducendo nell'art. 280 CE le precisazioni di cui ai suoi nn. 1 e 4, gli autori del Trattato di Amsterdam hanno chiaramente inteso intensificare la lotta contro le frodi e le irregolarità che ledono gli interessi finanziari della Comunità europea, in particolare attribuendo espressamente a quest'ultima un compito proprio consistente nel «combattere», alla stessa stregua degli Stati membri, tali frodi ed irregolarità tramite l'adozione di «misure» che siano «dissuasive» e offrano «una protezione efficace negli Stati membri».
101 A questo riguardo, la circostanza che l'art. 280, n. 1, CE specifichi che le dette misure sono adottate a norma di questo articolo non significa affatto che si rinvii esclusivamente ai successivi paragrafi di questo, in particolare al suo n. 4, per determinare l'ampiezza della competenza comunitaria sul punto.
102 Infatti, l'art. 280, n. 4, CE deve essere letto nel senso che completa la definizione della competenza comunitaria e ne precisa determinate condizioni di esercizio. Questa disposizione prevede infatti i requisiti procedurali che devono presiedere all'adozione di misure comunitarie e precisa altresì che l'azione della Comunità europea riguarda sia la prevenzione della frode che la lotta contro di essa. Essa stabilisce ancora che la competenza comunitaria conosce determinati limiti, nel senso che le misure adottate non possono riguardare né l'applicazione del diritto penale nazionale né l'amministrazione della giustizia negli Stati membri.
103 Considerato quanto precede, il fatto che l'art. 280, n. 4, CE si riferisca in particolare alla necessità di contribuire ad una protezione che sia efficace ed equivalente negli Stati membri non può essere interpretato, come ha giustamente osservato l'avvocato generale al paragrafo 108 delle sue conclusioni, come il segno di una volontà implicita degli autori del Trattato di Amsterdam di imporre all'azione della Comunità europea un ulteriore limite così fondamentale come un divieto di combattere le frodi e le altre irregolarità che ledono i suoi interessi finanziari tramite l'adozione di provvedimenti normativi che riguardino le istituzioni, gli organi e gli organismi istituiti dai trattati o sulla base degli stessi.
104 A parte la circostanza che una tale limitazione della competenza comunitaria non risulta dalla formulazione dell'art. 280 CE, occorre rilevare, come fanno giustamente valere la Commissione e tutti gli intervenienti, che essa non sarebbe affatto compatibile con gli obiettivi perseguiti da questa disposizione. Infatti, è pacifico che, per rendere efficace la protezione degli interessi finanziari della Comunità europea, è necessario che la dissuasione e la lotta contro le frodi e le altre irregolarità operino a tutti i livelli ai quali i detti interessi possono essere lesi da fenomeni del genere. Inoltre, può capitare frequentemente che i fenomeni così combattuti implichino contemporaneamente attori situati a vari livelli.
105 Dalle considerazioni che precedono risulta che il motivo della BCE relativo all'asserito difetto di fondamento giuridico del regolamento n. 1073/1999 deve essere respinto e che il detto regolamento non può quindi essere dichiarato inapplicabile per tale motivo ai sensi dell'art. 241 CE.
Sul motivo relativo al difetto di consultazione della BCE
106 Con il suo secondo motivo la BCE sostiene che il regolamento n. 1073/1999 deve essere dichiarato inapplicabile perché è stato adottato senza che essa fosse preliminarmente consultata, in violazione dell'art. 105, n. 4, CE.
107 Secondo la BCE, il detto regolamento invade il suo potere di organizzazione interna quale deriva, anzitutto, dal principio dei poteri impliciti, nonché dall'art. 12, n. 3, dello statuto del SEBC che prevede che il consiglio direttivo della BCE adotta il regolamento interno di questa, quindi, dall'art. 36 del detto statuto che investe il menzionato consiglio del potere di stabilire le condizioni di impiego dei dipendenti della BCE e, infine, dall'indipendenza istituzionale di cui godrebbe quest'ultima e che sarebbe confermata dal fatto di essere dotata di organi propri in forza del Trattato CE. Più specificamente, il regolamento n. 1073/1999 avrebbe avuto come effetto di arrecare pregiudizio alla struttura interna e/o al personale della BCE.
108 Orbene, la BCE fa valere che proprio questo potere di organizzazione interna costituisce una «question[e] che rientr[a] nelle sue competenze» ai sensi dell'art. 105, n. 4, CE, per cui essa avrebbe dovuto essere consultata prima dell'adozione del regolamento n. 1073/1999 come stabilisce questa disposizione.
109 La Commissione obietta in particolare che l'art. 105, n. 4, CE non riguarda qualsivoglia atto adottato dal legislatore comunitario che possa avere conseguenze per la BCE, bensì gli atti che riguardano le questioni di merito rientranti nella responsabilità della BCE, in particolare nell'ambito della politica monetaria. Anche il Consiglio conclude per l'inapplicabilità nel caso di specie dell'art. 105, n. 4, CE, in quanto il regolamento n. 1073/1999 non invaderebbe affatto le competenze della BCE, ma solo i poteri di gestione amministrativa di quest'ultima.
110 A questo riguardo occorre costatare che l'art. 105, n. 4, CE figura nel capo 2, dedicato alla politica monetaria, della terza parte, titolo VII, del Trattato CE e che l'obbligo previsto da questa disposizione di consultare la BCE quando si progetta l'adozione di un atto in un ambito che rientra nelle competenze di quest'ultima mira essenzialmente, come ha osservato l'avvocato generale al paragrafo 140 delle sue conclusioni, ad assicurare che l'autore di tale atto proceda alla sua adozione solo dopo avere consultato l'organismo che, per le attribuzioni specifiche che esercita nel contesto comunitario nell'ambito considerato e per l'elevato grado di competenza di cui gode, è particolarmente in grado di contribuire utilmente al previsto processo di adozione.
111 Orbene, così non è nel settore della lotta contro le frodi lesive degli interessi finanziari della Comunità, dove la BCE non si è vista attribuire funzioni specifiche. E' d'altronde giocoforza costatare che la circostanza che il regolamento n. 1073/1999 possa arrecare pregiudizio all'organizzazione interna della BCE non permette di distinguere quest'ultima dalle altre istituzioni, dagli altri organi o organismi istituiti dai trattati.
112 Ne consegue che il motivo della BCE fondato sulla circostanza che essa non è stata consultata prima dell'adozione del regolamento n. 1073/1999 deve essere respinto e che il detto regolamento non può quindi essere dichiarato inapplicabile per tale motivo ai sensi dell'art. 241 CE.
Sul motivo relativo ad una lesione dell'indipendenza della BCE
Argomenti delle parti
113 Con il suo terzo motivo la BCE sostiene che il regolamento n. 1073/1999 deve essere dichiarato inapplicabile perché il sistema di indagini amministrative da esso previsto violerebbe la garanzia di indipendenza di cui essa gode ai sensi dell'art. 108 CE.
114 Secondo la BCE la detta garanzia si estende non solo all'assolvimento dei compiti fondamentali del SEBC indicati all'art. 105, n. 2, CE, ma più in generale all'esercizio di tutti gli altri poteri di cui è titolare la BCE in forza del Trattato CE, vale a dire, in particolare, i poteri ad essa attribuiti dagli artt. 12, n. 3, e 36, n. 1, dello statuto del SEBC in merito alla sua organizzazione interna e alle condizioni di impiego applicabili al suo personale, poteri che si estenderebbero all'adozione di provvedimenti contro la frode.
115 Questa conclusione si imporrebbe anzitutto alla luce della relazione sulla convergenza redatta nel 1998 da parte dell'Istituto monetario europeo in conformità all'art. 109 J del Trattato CE (divenuto art. 121 CE), da cui risulterebbe che l'indipendenza di cui devono beneficiare le BCN, e quindi anche la BCE, deve essere in grado di proteggerle contro «tutte le fonti di influenza esterna».
116 Inoltre, occorrerebbe tenere conto della circostanza, già richiamata dalla BCE a sostegno del suo motivo relativo al preteso difetto di fondamento normativo del regolamento n. 1073/1999, che la BCE beneficia di un'indipendenza finanziaria legata alla disponibilità e alla gestione di un bilancio proprio, distinto da quello della Comunità europea.
117 Sarebbe infine pertinente il fatto che i membri degli organi decisionali della BCE beneficiano di uno status idoneo a garantire la loro indipendenza. A questo riguardo, la BCE fa riferimento all'art. 112, n. 2, lett. b), CE, che determina le modalità di nomina dei membri del comitato esecutivo della BCE e precisa che la durata del loro mandato, non rinnovabile, è di otto anni. Essa richiama anche l'art. 11, n. 4, dello statuto del SEBC, che prevederebbe che la dimissione d'ufficio di un membro del comitato esecutivo può essere pronunciata dalla Corte solo su domanda del consiglio direttivo o del comitato esecutivo della BCE. Essa menziona inoltre l'art. 14, n. 2, dello statuto del SEBC, il quale prevederebbe che il governatore di una BCN che è stato sollevato dall'incarico può proporre un ricorso contro questa decisione dinanzi alla Corte.
118 Per quanto riguarda il regime previsto dal regolamento n. 1073/1999, la BCE sostiene che attribuire all'OLAF il potere di effettuare indagini ad essa interne lederebbe la sua indipendenza, in quanto sia l'esercizio del detto potere che la mera minaccia di un tale esercizio potrebbero esercitare pressioni sui membri del consiglio direttivo o del comitato esecutivo della BCE e comprometterne l'indipendenza decisionale.
119 Benché la BCE ammetta che la probabilità che tali pressioni siano esercitate in pratica o che possano avere un qualsivoglia effetto sul processo decisionale al proprio interno sia «del tutto infima», questa considera che la necessità di preservare l'assoluta fiducia di mercati finanziari instabili implica che si eviti ogni situazione in grado di creare, a livello della forma o delle sole apparenze, timori circa il fatto che i poteri dell'OLAF possano essere tali da conferire alla Commissione un'eventuale capacità d'influenza sulla BCE.
120 La BCE sottolinea a questo proposito che l'OLAF rimarrebbe un servizio interno della Commissione che conserva taluni collegamenti con quest'ultima, in particolare di bilancio, mentre i membri del suo personale, che sarebbero soggetti allo statuto dei dipendenti delle Comunità europee, dipenderebbero per l'evoluzione della carriera dalla Commissione.
121 La BCE solleva altresì taluni dubbi quanto alle garanzie che circondano l'esercizio dei poteri dell'OLAF. Più precisamente, la BCE dubita che l'art. 6, n. 3, del regolamento n. 1073/1999 possa impedire all'OLAF di condurre un'indagine in assenza di basi sufficienti. Essa fa valere altresì che l'obbligo dell'OLAF di rispettare i diritti fondamentali non risulta dal dispositivo del detto regolamento, ma solo dai considerando.
122 Da parte sua, la Commissione osserva anzitutto che la BCE fa parte integrante della Comunità europea. Essa ricorda così che la BCE gode, conformemente all'art. 291 CE, dei privilegi e delle immunità necessari all'assolvimento dei suoi compiti alle condizioni definite dal protocollo sui privilegi e sulle immunità delle Comunità europee e che gli stipendi del suo personale sono soggetti all'imposta comunitaria. La Commissione fa valere pure che la BCE è soggetta al sindacato giurisdizionale della Corte di giustizia e, per quanto riguarda l'efficienza operativa della sua gestione, a quello della Corte dei conti in conformità all'art. 27, n. 2, dello statuto del SEBC. Essa indica ancora che la BCE è tenuta a presentare una relazione annuale sulle attività del SEBC e sulla politica monetaria, in particolare al Parlamento, le cui commissioni competenti possono inoltre ascoltare il presidente della BCE e gli altri membri del comitato esecutivo di quest'ultima, come prevede l'art. 113, n. 3, CE.
123 Secondo la Commissione, la BCE contribuisce, al pari della politica monetaria, rispetto alla quale essa dispone di competenze specifiche, al perseguimento degli obiettivi generali della Comunità europea, come sarebbe confermato dall'art. 105, n. 1, CE.
124 La Commissione sostiene inoltre che varie disposizioni del Trattato CE dimostrano che la BCE non è sottratta ai poteri del legislatore comunitario. Essa menziona così l'art. 107, n. 5, CE, che prevede che diversi articoli dello statuto del SEBC possono essere modificati dal Consiglio, previo parere conforme del Parlamento. La Commissione sottolinea, a questo riguardo, che l'art. 36, n. 1, dello statuto del SEBC, che prevede che il consiglio direttivo della BCE stabilisce le condizioni di impiego dei dipendenti della BCE stessa, figura tra le disposizioni che possono essere modificate dal Consiglio, il che confermerebbe come, anche negli ambiti interni della BCE, questa non abbia la garanzia di un'autonomia assoluta rispetto al legislatore comunitario.
125 La Commissione cita anche gli artt. 107, n. 6, nonché 110, nn. 1, primo trattino, e 3, CE, da cui risulterebbe che varie disposizioni dello statuto del SEBC richiedono l'adozione di provvedimenti complementari da parte del Consiglio. Essa fa ancora riferimento all'art. 105, n. 6, CE in forza del quale il Consiglio può affidare alla BCE taluni compiti specifici quanto alla vigilanza prudenziale degli enti creditizi.
126 Secondo la Commissione, da quanto precede si dovrebbe concludere che l'indipendenza di cui gode la BCE, e che l'art. 108 CE mira a proteggere, è strettamente funzionale e limitata all'assolvimento dei suoi compiti particolari in forza del Trattato CE e dello statuto del SEBC. Questa indipendenza non avrebbe come conseguenza di sottrarre la BCE alle regole del detto Trattato.
127 La situazione della BCE sarebbe, a questo riguardo, paragonabile a quella della Banca europea per gli investimenti, a proposito della quale la Corte avrebbe dichiarato che il riconoscimento a quest'ultima di un'autonomia funzionale ed istituzionale non ha come conseguenza di distaccarla completamente dalle Comunità e di sottrarla a qualsiasi norma di diritto comunitario (sentenze 3 marzo 1988, causa 85/86, Commissione/BEI, Racc. pag. 1281, e 2 dicembre 1992, causa C-370/89, SGEEM e Etroy/BEI, Racc. pag. I-6211).
128 Orbene, nel caso di specie, la BCE non avrebbe dimostrato in che modo una normativa adottata dal legislatore comunitario nell'ambito della lotta contro la frode possa in pratica impedirle di assolvere i suoi compiti specifici. L'indipendenza della BCE, in particolare, non sarebbe affatto rimessa in discussione dal fatto che al suo interno possono essere condotte, con l'intervento di un organo indipendente come l'OLAF, indagini amministrative contro la frode destinate ad accertare elementi di fatto, rispetto ai quali spetta successivamente alla BCE o alle autorità nazionali prendere provvedimenti.
129 Infine, il regolamento n. 1073/1999 offrirebbe tutte le garanzie richieste quanto al rispetto dei diritti fondamentali, come risulterebbe in particolare dagli artt. 4, nn. 1 e 6, 6, n. 3, e 14.
Giudizio della Corte
130 Per pronunciarsi sul motivo sollevato dalla BCE, occorre subito rilevare che gli autori del Trattato CE hanno manifestamente inteso garantire che la BCE sia in grado di assolvere in maniera indipendente i compiti ad essa attribuiti da questo Trattato.
131 La manifestazione più specifica di questa volontà risiede nell'art. 108 CE che vieta espressamente, da un lato, alla BCE e ai membri degli organi decisionali di quest'ultima di sollecitare o di accettare, nell'esercizio dei poteri e nell'assolvimento dei compiti conferiti alla BCE dal Trattato CE e dallo statuto del SEBC, istruzioni dalle istituzioni o dagli organi comunitari, dai governi degli Stati membri o da ogni altro organismo e, dall'altro, alle dette istituzioni o organi comunitari e governi di cercare di influenzare i membri degli organi decisionali della BCE nell'assolvimento dei suoi compiti.
132 Occorre anche rilevare che la BCE è dotata di personalità giuridica, che dispone di risorse e di un bilancio propri nonché di propri organi decisionali e gode dei privilegi e delle immunità necessari all'assolvimento dei suoi compiti oppure che solo la Corte, su richiesta del consiglio direttivo o del comitato esecutivo, può dichiarare dimissionario un membro del comitato esecutivo della BCE alle condizioni previste all'art. 11, n. 4, dello statuto del SEBC. Trattasi certamente di un insieme di fattori in grado di contribuire a rafforzare l'indipendenza così sancita dall'art. 108 CE.
133 E' tuttavia giocoforza costatare, da una parte, che istituzioni comunitarie quali, in particolare, il Parlamento, la Commissione o la Corte stessa beneficiano di un'indipendenza e di garanzie paragonabili sotto numerosi aspetti a quelle di cui gode la BCE. A questo proposito, si può, per esempio, fare riferimento all'art. 213, n. 2, CE, che precisa che i membri della Commissione devono esercitare le loro funzioni in piena indipendenza, nell'interesse generale della Comunità. La detta disposizione stabilisce, in termini piuttosto simili a quelli utilizzati dall'art. 108 CE, che i membri della Commissione nell'adempimento dei loro doveri non sollecitano né accettano istruzioni da alcun governo né da alcun organismo oppure che ciascuno Stato membro si impegna a non cercare di influenzare i membri medesimi nell'esecuzione dei loro compiti.
134 Dall'altra parte, come risulta dalla stessa formulazione dell'art. 108 CE, le influenze esterne da cui questa disposizione mira a proteggere la BCE e i suoi organi decisionali sono quelle che potrebbero interferire con l'assolvimento dei «compiti» che il Trattato CE e lo statuto del SEBC attribuiscono alla medesima. Come l'avvocato generale ha osservato ai paragrafi 150 e 155 delle sue conclusioni, l'art. 108 CE mira, in sostanza, a proteggere la BCE da qualsivoglia pressione politica per consentirle di perseguire efficacemente gli obiettivi assegnati ai suoi compiti, grazie all'esercizio indipendente dei poteri specifici di cui essa dispone a tali fini in forza del Trattato CE e dello statuto del SEBC.
135 Per contro, come hanno fatto valere giustamente la Commissione e gli intervenienti, il riconoscimento alla BCE di una tale indipendenza non ha la conseguenza di distaccarla completamente dalla Comunità europea e di sottrarla a qualsiasi norma di diritto comunitario. Infatti, risulta anzitutto dall'art. 105, n. 1, CE che la BCE è destinata a contribuire alla realizzazione degli obiettivi della Comunità europea, mentre l'art. 8 CE precisa che la BCE agisce nei limiti dei poteri ad essa conferiti dal Trattato CE e dallo statuto del SEBC. Inoltre, come ha ricordato la Commissione, la BCE si trova soggetta, alle condizioni previste da questo Trattato e dal detto statuto, a diversi controlli comunitari, in particolare a quelli della Corte di giustizia e della Corte dei conti. Infine, sembra che gli autori del Trattato CE non hanno affatto inteso sottrarre la BCE ad ogni forma di intervento normativo del legislatore comunitario, come testimoniato, in particolare, dagli artt. 105, n. 6, CE, 107, nn. 5 e 6, CE, nonché 110, nn. 1, primo trattino, e 3, CE, richiamati dalla Commissione.
136 Da quanto precede risulta che niente consente di escludere a priori che il legislatore comunitario possa adottare, in base alle competenze di cui dispone in forza del Trattato CE e alle condizioni previste da quest'ultimo, provvedimenti normativi applicabili nei confronti della BCE.
137 E' d'altronde giocoforza costatare che, come hanno sottolineato sia la Commissione sia l'avvocato generale al paragrafo 160 delle sue conclusioni, la BCE non ha dimostrato come il fatto di essere soggetta a provvedimenti adottati dal legislatore comunitario nel settore della lotta contro la frode e contro ogni altra attività illecita lesiva degli interessi finanziari della Comunità europea, come quelli previsti dal regolamento n. 1073/1999, possa incidere sulla sua capacità di perseguire in modo indipendente gli specifici compiti ad essa attribuiti dal Trattato CE.
138 A questo riguardo, occorre in primo luogo costatare che né la circostanza che l'OLAF sia stato istituito dalla Commissione e sia integrato nelle strutture amministrative e di bilancio di quest'ultima alle condizioni previste dalla decisione 1999/352 né il fatto che un tale organo esterno alla BCE abbia ricevuto dal legislatore comunitario poteri d'indagine alle condizioni previste dal regolamento n. 1073/1999 sono in grado, in quanto tali, di ledere l'indipendenza della BCE.
139 Infatti, come risulta in particolare dal quarto, dal decimo, dal dodicesimo e dal diciottesimo considerando, nonché dagli artt. 4, 5, secondo comma, 6, 11 e 12 del regolamento n. 1073/1999, il sistema istituito dal detto regolamento traduce la ferma volontà del legislatore comunitario di subordinare la concessione dei poteri attribuiti all'OLAF, da una parte, all'esistenza di garanzie dirette ad assicurare una rigorosa indipendenza di quest'ultimo, in particolare nei confronti della Commissione, e, dall'altra, al pieno rispetto delle regole di diritto comunitario, tra le quali, in particolare, il protocollo sui privilegi e sulle immunità delle Comunità europee, i diritti dell'uomo e le libertà fondamentali nonché lo Statuto del personale delle Comunità europee e il Regime applicabile agli altri agenti di queste.
140 Inoltre, dalle disposizioni del regolamento n. 1073/1999 risulta che l'esercizio dei detti poteri si trova soggetto a diverse regole e garanzie specifiche, mentre il loro oggetto è chiaramente delimitato. A quest'ultimo riguardo, l'art. 2 del regolamento n. 1073/1999 prevede che le indagini amministrative dell'OLAF siano condotte al fine di conseguire gli obiettivi definiti all'art. 1 di questo regolamento e di accertare, ove opportuno, l'irregolarità delle attività controllate. I mezzi di cui dispone l'OLAF ai fini del perseguimento di questi obiettivi sono oggetto di una precisa elencazione, in particolare agli artt. 4, 7 e 9 del detto regolamento.
141 Come il Consiglio ha giustamente rilevato, il regime di indagine istituito dal regolamento n. 1073/1999 mira specificamente a permettere la verifica di sospetti relativi a fatti di frode, di corruzione o ad altre attività illecite lesive degli interessi finanziari della Comunità europea, senza essere affatto simile a forme di controllo, che, come il controllo finanziario, possono presentare un carattere sistematico. Contrariamente a quanto sostenuto dalla BCE a questo riguardo, la decisione del direttore dell'OLAF di aprire un'indagine, come del resto quella di un'istituzione, di un organo o di un organismo istituito dai trattati o sulla base di questi di chiedere una tale apertura, non può intervenire in assenza di sospetti sufficientemente seri. Inoltre, come ha ricordato la stessa BCE, dalla formulazione dell'art. 6, n. 3, del regolamento n. 1073/1999 risulta che il mandato scritto di cui devono essere muniti gli ispettori dell'OLAF indica obbligatoriamente l'oggetto dell'indagine.
142 Quanto ad eventuali mancanze nell'applicazione delle disposizioni di questo regolamento, è sufficiente costatare che esse non possono comportare l'illegittimità di quest'ultimo.
143 In secondo luogo, occorre rilevare che, come osservato sia dalla Commissione e dal governo dei Paesi Bassi sia dall'avvocato generale al paragrafo 167 delle sue conclusioni, le indagini interne che l'OLAF può essere indotto ad effettuare devono anche essere eseguite, come risulta dall'art. 4, n. 1, secondo comma, del regolamento n. 1073/1999, alle condizioni e secondo le modalità previste da decisioni che ogni istituzione, organo e organismo adotta, sicché non si deve escludere che eventuali specificità legate all'assolvimento dei compiti della BCE siano prese, eventualmente, in considerazione da quest'ultima all'atto dell'adozione di una tale decisione, a condizione che la BCE dimostri la necessità delle restrizioni da essa stabilite al riguardo.
144 Anche ammettendo, d'altronde, che taluni operatori economici possano essere turbati dal fatto che un organo come l'OLAF abbia ricevuto taluni poteri di indagine nei confronti della BCE, poiché i detti operatori ignorerebbero la natura esatta dei detti poteri o l'esistenza delle varie garanzie alle quali il legislatore comunitario ha subordinato la loro concessione, in particolare quelle dirette a garantire la piena indipendenza dell'OLAF, non si può sostenere che una tale circostanza, che nascerebbe esclusivamente da un difetto d'informazione o da un'erronea percezione della realtà da parte degli operatori interessati, avrebbe come conseguenza che il regolamento n. 1073/1999 leda l'indipendenza della BCE.
145 Dalle considerazioni che precedono risulta che il motivo della BCE relativo all'asserita lesione della sua indipendenza deve essere respinto e che il regolamento n. 1073/1999 non può quindi essere dichiarato inapplicabile per tale motivo ai sensi dell'art. 241 CE.
Sul motivo relativo ad una lesione del principio di proporzionalità
Argomenti della BCE
146 Con il suo quarto motivo la BCE sostiene che il regolamento n. 1073/1999 deve essere dichiarato inapplicabile perché viola il principio di proporzionalità.
147 La BCE fa valere, in primo luogo, che è inutile estenderle il regime di indagine previsto dal detto regolamento tenuto conto dell'esistenza di vari altri meccanismi di controllo idonei a prevenire e a lottare contro la frode al suo interno.
148 A questo riguardo, essa fa riferimento all'art. 27 dello statuto del SEBC il quale prevede, da una parte, che la contabilità della BCE venga verificata da revisori esterni indipendenti proposti dal consiglio direttivo della BCE ed accettati dal consiglio, e, dall'altra, che la Corte dei conti compia un esame dell'efficienza operativa della gestione della BCE.
149 Inoltre, il consiglio direttivo della BCE, agendo in base ai poteri di organizzazione autonoma di quest'ultima, avrebbe creato altri due livelli di controllo, cioè la DRI e il comitato antifrode della BCE.
150 Dalla decisione impugnata e dalla circolare amministrativa 12 ottobre 1999, 8/99, sulla carta di revisione della BCE, risulterebbe, da un lato, che la DRI, che sarebbe dotata di un elevato grado di competenza, si è vista conferire la responsabilità di indagare e di fare relazione, senza restrizioni, sui casi di frode e, dall'altro, che questa unità funziona sotto la diretta responsabilità del presidente della BCE e beneficia di una piena indipendenza funzionale.
151 Secondo le spiegazioni fornite dalla BCE, la DRI sarebbe peraltro tenuta a rispettare varie norme di revisione internazionalmente riconosciute, tra le quali le norme per la pratica professionale della revisione interna stabilite dall'Istituto dei revisori interni nonché il codice sulle norme internazionali di revisione e le istruzioni internazionali di revisione, decretate dalla Federazione internazionale dei contabili, che enuncerebbero varie regole di comportamento applicabili ai revisori, invitandoli in particolare ad essere attenti al rischio di frodi e a contribuire a prevenire e individuare queste ultime.
152 In secondo luogo, la BCE fa valere che numerose sue decisioni o operazioni esigono il mantenimento di un elevato grado di riservatezza. Da ciò dipenderebbero, in particolare, l'esito del processo di adozione delle decisioni della BCE che fissano tassi di interesse per le operazioni di politica monetaria, l'aspetto tecnico della produzione di banconote e gli interventi destinati ad influenzare i tassi di cambio.
153 La BCE ne deduce che, se fosse soggetta al regolamento n. 1073/1999, essa sarebbe costretta a escludere dall'ambito delle indagini dell'OLAF tutte le sue attività connesse ai compiti fondamentali elencati all'art. 105, n. 2, CE, il cui controllo dovrebbe quindi essere attribuito alla sola DRI, sicché il ruolo che spetterebbe all'OLAF sarebbe marginale e, pertanto, inadeguato agli obiettivi perseguiti dal detto regolamento.
154 In terzo luogo, la BCE sostiene che essa si caratterizza per modalità di funzionamento fortemente decentralizzate che implicano numerosi interventi delle BCN. Tenuto conto di questa decentralizzazione, la circostanza che i poteri di indagine interna concessi all'OLAF riguardino solo la BCE, ad esclusione delle BCN, sarebbe tale da privare i detti poteri della loro effettività nella lotta contro la frode, poiché l'OLAF non potrebbe condurre le sue indagini all'interno delle BCN.
155 Al contrario, secondo le spiegazioni fornite dalla BCE, il coordinamento delle funzioni di revisione interna della BCE e delle BCN avrebbe fatto oggetto di vari provvedimenti adottati dal consiglio direttivo della BCE, che da parte loro sarebbero idonei a consentire il compimento di revisioni congiunte in questi diversi ambiti.
Giudizio della Corte
156 In via preliminare occorre ricordare che il principio di proporzionalità, che è parte integrante dei principi generali del diritto comunitario, esige che gli strumenti predisposti da una norma comunitaria siano idonei a realizzare lo scopo perseguito e non vadano oltre quanto è necessario per raggiungerlo [v., in particolare, sentenze 18 novembre 1987, causa 137/85, Maizena, Racc. pag. 4587, punto 15, e 10 dicembre 2002, causa C-491/01, British American Tobacco (Investments) e Imperial Tobacco, Racc. pag. I-11453, punto 122].
157 Per quanto riguarda il sindacato giurisdizionale sulle condizioni menzionate al punto precedente, occorre sottolineare che si deve riconoscere al legislatore comunitario un ampio potere discrezionale in un settore come quello del caso di specie, per cui solo la manifesta inidoneità di una misura adottata in tale ambito, in relazione allo scopo che l'istituzione competente intende perseguire, può inficiare la legittimità di una tale misura [v., in tal senso, sentenza British American Tobacco (Investments) e Imperial Tobacco, cit., punto 123, e giurisprudenza citata].
158 Orbene, in primo luogo la BCE non ha dimostrato che il legislatore comunitario abbia commesso un manifesto errore di valutazione. Infatti, esso ha potuto considerare - nonostante l'esistenza di meccanismi di controllo propri delle differenti istituzioni, organi o organismi istituiti dai trattati o sulla base di questi, tra i quali quelli cui fa riferimento, per quanto la riguarda, la BCE, al fine di rafforzare la prevenzione e la lotta contro la frode, la corruzione e le altre irregolarità lesive degli interessi finanziari della Comunità europea - che fosse necessario instaurare un meccanismo di controllo nel contempo centralizzato all'interno di uno stesso organo, specializzato, nonché esercitato in modo indipendente e uniforme rispetto alle dette istituzioni, ai detti organi e organismi.
159 A questo riguardo, da un lato occorre rilevare che la funzione di indagine attribuita all'OLAF differisce per la sua natura e per il suo oggetto specifici, ricordati al punto 141 della presente sentenza, da compiti di controllo generale come quelli assegnati in particolare alla Corte dei conti, per quanto riguarda l'esame dell'efficienza operativa della gestione della BCE, e ai revisori esterni indipendenti, per quanto riguarda la verifica della contabilità di quest'ultima.
160 Per quanto attiene, dall'altro lato, alle funzioni attribuite alla DRI e al comitato antifrode della BCE dalla decisione impugnata, il legislatore comunitario ha potuto ritenere che meccanismi di controllo eterogenei, che siano adottati a livello delle istituzioni, degli organi o degli organismi istituiti dai trattati o sulla base di questi, e la cui esistenza e le cui modalità siano lasciate alla valutazione di ognuno di questi, non costituissero, tenuto conto degli obiettivi perseguiti, una soluzione avente un grado di efficacia pari a quello che sembra potere offrire un sistema che si ponga come obiettivo di centralizzare la funzione di indagine all'interno di un medesimo organo specializzato e indipendente. Occorre infatti ricordare a quest'ultimo riguardo che il regolamento n. 1073/1999 ha avuto per oggetto in particolare di affidare all'OLAF una funzione di indagine da esercitarsi sia all'interno delle dette istituzioni, organi e organismi tramite il ricorso alle indagini dette «interne» sia all'esterno degli stessi tramite le indagini dette «esterne».
161 Quanto alla circostanza, in secondo luogo, che il SEBC funzioni sotto vari aspetti in modo decentralizzato, essa non sembra affatto in grado di privare di ogni efficacia le indagini condotte dall'OLAF all'interno della BCE e la comunicazione da parte di questa d'informazioni all'OLAF in conformità alle disposizioni del regolamento n. 1073/1999, e ciò indipendentemente dai risultati che potrebbero emergere da eventuali controlli esercitati, secondo i modi appropriati, sulle BCN. In ogni caso, la BCE non ha indicato, come ha rilevato l'avvocato generale al paragrafo 187 delle sue conclusioni, le ragioni precise che permettano di concludere per una tale mancanza di efficacia per quanto riguarda le dette indagini e comunicazione.
162 Anche se non è contestabile, in terzo luogo, che certi tipi di informazioni sensibili relative alle attività della BCE devono poter beneficiare del segreto affinché i compiti ad essa conferiti dal Trattato CE non siano messi in pericolo, occorre ricordare, a questo riguardo, che il regolamento n. 1073/1999 ha espressamente previsto, come risulta dal suo art. 4, n. 1, secondo comma, che le indagini interne dell'OLAF debbano svolgersi nelle condizioni e secondo le modalità previste dal detto regolamento nonché in base a decisioni adottate da ogni istituzione, organo o organismo. Come osservato al punto 143 della presente sentenza, non può quindi escludersi che talune specificità legate all'assolvimento dei compiti di cui è investita la BCE siano eventualmente prese in considerazione da quest'ultima in occasione dell'adozione della decisione di cui all'art. 4, n. 1, secondo comma, del regolamento n. 1073/1999, a condizione per la BCE di dimostrare la necessità delle restrizioni che essa determinerebbe al riguardo.
163 Specificità del genere non sono invece evidentemente tali che la loro eventuale presa in considerazione possa portare, come sostiene la BCE, a privare i poteri dell'OLAF di ogni efficacia escludendo l'accesso di quest'ultimo alla maggior parte dei documenti detenuti dalla BCE. Come ha rilevato l'avvocato generale al punto 186 delle sue conclusioni, occorre inoltre tenere conto del fatto che, in forza dell'art. 8 del regolamento n. 1073/1999 e dell'art. 287 CE, le informazioni comunicate e ottenute nell'ambito delle indagini interne sono coperte dal segreto professionale, per cui la loro eventuale comunicazione e la loro utilizzazione si trovano soggette a condizioni molto severe.
164 Ne consegue che il motivo relativo ad una pretesa violazione del principio di proporzionalità in ragione dell'applicazione del regolamento n. 1073/1999 nei confronti della BCE deve essere respinto e che il detto regolamento non può quindi essere dichiarato inapplicabile per tale motivo sulla base dell'art. 241 CE.
165 Poiché i quattro motivi sollevati dalla BCE a sostegno dell'eccezione che essa ha presentato sul fondamento dell'art. 241 CE sono stati così respinti, occorre concludere che il regolamento n. 1073/1999 si applica nei confronti della BCE. Si deve allora esaminare se la decisione impugnata debba essere annullata per il motivo che essa violerebbe, come sostiene la Commissione, le disposizioni del detto regolamento, cosa che viene contestato dalla BCE.
Sulla violazione del regolamento n. 1073/1999
Argomenti della BCE
166 La BCE contesta la fondatezza degli argomenti invocati dalla Commissione a sostegno del suo ricorso come esposti ai punti 52-55 della presente sentenza. Essa sostiene infatti che la decisione impugnata non disattende affatto le disposizioni del regolamento n. 1073/1999, per cui questo ricorso dovrebbe essere respinto.
167 Secondo la BCE i poteri di indagine conferiti alla DRI preesistevano alla decisione impugnata, la quale avrebbe avuto sul punto un effetto meramente declaratorio, come sarebbe confermato in particolare dall'uso dell'indicativo presente nell'ottavo considerando e nell'art. 2 della detta decisione, che prevedono che la DRI «è» incaricata di effettuare le indagini amministrative al fine di lottare contro la frode e le altre attività illecite lesive degli interessi finanziari della BCE. Il solo elemento nuovo introdotto dalla decisione impugnata consisterebbe nell'aumento dell'indipendenza della DRI grazie alla creazione del comitato antifrode della BCE. Così facendo, la BCE si sarebbe limitata a rispondere, tramite l'adozione di un provvedimento di organizzazione interna, all'imperativo di lottare contro la frode nel modo più adatto alle sue funzioni.
168 Poiché il regolamento n. 1073/1999 non potrebbe essere interpretato nel senso che impedisce alla BCE di rafforzare i meccanismi esistenti al suo interno per lottare contro la frode, dato che la competenza dell'OLAF non è esclusiva in questo ambito, la decisione impugnata non violerebbe il detto regolamento. Essa non escluderebbe qualsiasi ruolo per l'OLAF, dato che i due sistemi di controllo interessati potrebbero del resto coesistere.
169 Inoltre, la BCE sostiene che il regolamento n. 1073/1999 non la obbliga ad adottare una decisione come quella di cui all'art. 4, nn. 1, secondo comma, e 6, dello stesso, come sarebbe dimostrato dal tenore di questo comma, che si limiterebbe a chiedere alle istituzioni, agli organi e agli organismi interessati di «concerta[rsi] sulla disciplina da istituire con tali decisioni». Le dette istituzioni, organi e organismi rimarrebbero dunque liberi di astenersi dall'adottare una tale decisione e di rimettersi ai trattati, ai principi generali del diritto comunitario, al loro statuto e al medesimo regolamento n. 1073/1999. La BCE fa valere inoltre che non è previsto alcun termine per l'eventuale adozione di una tale decisione.
170 Del resto, adottando la decisione impugnata, la BCE non avrebbe affatto inteso dare attuazione all'art. 4, nn. 1, secondo comma, e 6 del regolamento n. 1073/1999.
171 Infine, la questione se, non avendo attuato le dette disposizioni, la BCE possa avere violato un obbligo di agire risultante dal Trattato CE non può essere affrontata nell'ambito di un ricorso fondato sull'art. 230 CE, ma richiederebbe l'introduzione di un ricorso sul fondamento dell'art. 232 CE.
Giudizio della Corte
172 Si deve osservare, come la Commissione fa giustamente valere, che la decisione impugnata deve essere letta alla luce dei suoi considerando.
173 Orbene, è giocoforza costatare a questo riguardo che le spiegazioni fornite dai detti considerando per giustificare l'adozione dei provvedimenti contenuti nella decisione impugnata esprimono una volontà della BCE di istituire un regime distinto ed esclusivo rispetto a quello previsto dal regolamento n. 1073/1999, e ciò per il motivo principale che, secondo la BCE, il detto regolamento non potrebbe ad essa applicarsi.
174 Infatti, dal combinato disposto del primo e del terzo fino all'ottavo considerando della decisione impugnata risulta chiaramente che questa intende affidare alla DRI l'esercizio di compiti di indagine che sarebbero specificamente attribuiti alla BCE. Ne risulta altresì che questa decisione è stata adottata in particolare sulla base della considerazione che la BCE dispone di un bilancio proprio e di risorse finanziarie proprie che corrispondono ai suoi propri interessi finanziari, distinti dagli interessi finanziari della Comunità europea, e che nella lotta contro la frode occorrerebbe conservare la ripartizione e l'equilibrio attuali delle responsabilità tra le istituzioni della Comunità europea e la BCE, nonché tenere conto dell'indipendenza di quest'ultima.
175 Considerazioni del genere, che si ritrovano del resto alla base stessa degli argomenti sviluppati dalla BCE nell'ambito della presente istanza per dimostrare l'inapplicabilità del regolamento n. 1073/1999, traducono in modo manifesto una decisione della BCE di considerare inapplicabile nei suoi confronti il detto regolamento nonché un rifiuto di adottare la decisione prevista dall'art. 4, nn. 1, secondo comma, e 6, del detto regolamento, e non, come suggerisce la BCE, una mera volontà di rafforzare meccanismi di lotta contro la frode istituiti in virtù del suo potere autonomo di organizzazione interna.
176 Questa conclusione è anche confortata dall'esame del dispositivo della decisione impugnata.
177 A questo riguardo, occorre infatti osservare che, come emerge da un paragone tra i considerando e le disposizioni del regolamento n. 1073/1999, da una parte, e quelli della decisione impugnata, dall'altra, il regime previsto da questa decisione è modellato in misura molto ampia, come l'avvocato generale ha rilevato al paragrafo 87 delle sue conclusioni, su quello istituito dal detto regolamento.
178 Questa circostanza, nonché il fatto che la decisione impugnata, pur omettendo ogni riferimento ai poteri di cui è investito l'OLAF e ad una eventuale cooperazione operativa con quest'ultimo, fissi tuttavia al suo art. 1, n. 9, un principio secondo il quale il comitato antifrode della BCE avrà il compito di allacciare rapporti con il comitato di sorveglianza dell'OLAF concretizzano una decisione di disapplicare il regime previsto dal regolamento n. 1073/1999.
179 Letta alla luce delle considerazioni che precedono, la precisazione contenuta all'art. 2 della decisione impugnata, secondo cui la DRI è responsabile delle indagini e delle relazioni su tutte le questioni connesse alla prevenzione e all'individuazione delle frodi e delle altre attività illecite, deve essere interpretata, come osserva l'avvocato generale al paragrafo 77 delle sue conclusioni, nel senso che mira a conferire alla DRI un monopolio per quanto riguarda indagini e segnalazioni del genere.
180 Letto alla luce delle stesse considerazioni, l'art. 5 della decisione impugnata traduce da parte sua la decisione della BCE di escludere, per i membri del suo personale, l'obbligo di cooperare con gli agenti dell'OLAF e di informarli, previsto all'art. 4, n. 6, lett. a), del regolamento n. 1073/1999. Infatti, senza contenere il minimo riferimento a questo obbligo, il detto art. 5 prevede in capo al personale della BCE l'obbligo di informare il comitato antifrode della BCE o la DRI di ogni frode o attività illecita lesiva degli interessi finanziari della BCE e vieta che i membri del personale subiscano per tale motivo un trattamento ingiusto o discriminatorio.
181 Da quanto precede risulta che, adottando la decisione impugnata, fondata sulla premessa erronea che il regolamento n. 1073/1999 non sia applicabile nei confronti della BCE e traduce di conseguenza la volontà di quest'ultima di organizzare in modo esclusivo la lotta contro la frode al suo interno, la BCE ha escluso l'applicazione del regime istituito dal detto regolamento e ha sostituito all'adozione della decisione di cui all'art. 4, nn. 1, secondo comma, e 6, di quest'ultimo l'istituzione di un regime distinto e proprio alla BCE.
182 Escludendo l'applicazione del regolamento n. 1073/1999 e rifiutando di adattare le sue procedure interne per soddisfare i requisiti stabiliti dallo stesso, la BCE ha violato il detto regolamento, in particolare il suo art. 4, e ha superato il margine di autonomia organizzativa propria che essa mantiene nell'ambito della lotta contro la frode.
183 Non vi è peraltro alcun dubbio, contrariamente a quanto sostiene la BCE, che l'art. 4, nn. 1, secondo comma, e 6, del regolamento n. 1073/1999 impone alle istituzioni, agli organi e agli organismi istituiti dai trattati o sulla base di questi l'obbligo di adottare la decisione cui queste disposizioni fanno riferimento. Questa conclusione si impone, come ha esposto l'avvocato generale ai paragrafi 90, 91 e 94 delle sue conclusioni, alla luce sia del tenore delle dette disposizioni che del decimo considerando del regolamento n. 1073/1999.
184 Quanto alla circostanza che queste stesse disposizioni non prevedono un termine per l'adozione di una tale decisione, è sufficiente rilevare che essa non ha la minima conseguenza sulla costatazione fatta al punto 181 della presente sentenza.
185 D'altronde, il ricorso di cui trattasi, che mira all'annullamento della decisione impugnata sulla base dei motivi relativi alla violazione del regolamento n. 1073/1999 e figuranti al punto 181 della presente sentenza, contrariamente a quanto sostiene la BCE, non può essere confuso con il ricorso, diverso, che avrebbe potuto essere proposto, se del caso, contro la BCE ai sensi dell'art. 232 CE per far dichiarare la mancata adozione, da parte di quest'ultima, della decisione imposta ai sensi dell'art. 4, nn. 1, secondo comma, e 6, del regolamento n. 1073/1999.
186 Dal complesso delle considerazioni che precedono risulta che il ricorso della Commissione deve essere accolto e che la decisione impugnata deve essere annullata.
Sulle spese
187 Ai sensi dell'art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ne ha fatto domanda, la BCE, rimasta soccombente, dev'essere condannata alle spese. Ai sensi dell'art. 69, n. 4, primo comma, dello stesso regolamento, il Regno dei Paesi Bassi, il Parlamento e il Consiglio sopportano le proprie spese.
Per questi motivi,
LA CORTE
dichiara e statuisce:
1) La decisione della Banca centrale europea 7 ottobre 1999, 1999/726/CE, relativa alla prevenzione delle frodi (BCE/1999/5), è annullata.
2) La Banca centrale europea è condannata alle spese.
3) Il Regno dei Paesi Bassi, il Parlamento europeo e il Consiglio dell'Unione europea sopporteranno le proprie spese.