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Documento 62001CC0236

    Conclusioni dell'avvocato generale Alber del 13 marzo 2003.
    Monsanto Agricoltura Italia SpA e altri contro Presidenza del Consiglio dei Ministri e altri.
    Domanda di pronuncia pregiudiziale: Tribunale amministrativo regionale del Lazio - Italia.
    Regolamento (CE) n. 258/97 - Nuovi prodotti alimentari - Immissione sul mercato - Valutazione dell'innocuità - Procedura semplificata - Equivalenza sostanziale rispetto a prodotti alimentari esistenti - Alimenti prodotti a partire da varietà di granturco geneticamente modificato - Presenza di residui di proteine transgeniche - Misura di uno Stato membro che limita temporaneamente o sospende la commercializzazione o l'utilizzazione sul proprio territorio di un nuovo prodotto alimentare.
    Causa C-236/01.

    Raccolta della Giurisprudenza 2003 I-08105

    Identificatore ECLI: ECLI:EU:C:2003:155

    62001C0236

    Conclusioni dell'avvocato generale Alber del 13 marzo 2003. - Monsanto Agricoltura Italia SpA e altri contro Presidenza del Consiglio dei Ministri e altri. - Domanda di pronuncia pregiudiziale: Tribunale amministrativo regionale del Lazio - Italia. - Regolamento (CE) n. 258/97 - Nuovi prodotti alimentari - Immissione sul mercato - Valutazione dell'innocuità - Procedura semplificata - Equivalenza sostanziale rispetto a prodotti alimentari esistenti - Alimenti prodotti a partire da varietà di granturco geneticamente modificato - Presenza di residui di proteine transgeniche - Misura di uno Stato membro che limita temporaneamente o sospende la commercializzazione o l'utilizzazione sul proprio territorio di un nuovo prodotto alimentare. - Causa C-236/01.

    raccolta della giurisprudenza 2003 pagina I-08105


    Conclusioni dell avvocato generale


    I - Introduzione

    1. Nel presente procedimento pregiudiziale si tratta essenzialmente di verificare se il governo italiano avesse il diritto di vietare prodotti alimentari derivati da granturco geneticamente modificato, immessi sul mercato in base alla cosiddetta procedura semplificata, per la quale è sufficiente una mera notifica alla Commissione.

    2. I prodotti alimentari prodotti a partire da organismi geneticamente modificati, ma che non li contengono, possono essere immessi sul mercato comunitario senza bisogno di una previa autorizzazione da parte della Commissione, in base al regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio 27 gennaio 1997, n. 258, sui nuovi prodotti e i nuovi ingredienti alimentari (in prosieguo: il «regolamento n. 258/97»), qualora un organismo nazionale preposto alla valutazione dei prodotti alimentari abbia certificato che il nuovo prodotto alimentare sia sostanzialmente equivalente ai prodotti alimentari tradizionali. Il responsabile dell'immissione deve semplicemente notificare alla Commissione l'immissione sul mercato e produrre il parere della suddetta autorità nazionale ed eventuale ulteriore documentazione pertinente. Nella «procedura formale», invece, l'immissione sul mercato viene autorizzata dalla Commissione; pertanto, in prosieguo, tale procedura verrà indicata come procedura d'autorizzazione.

    3. La Monsanto Europe SA ed altre due imprese hanno utilizzato, nel 1997 e nel 1998, la procedura semplificata notificando l'immissione sul mercato di prodotti alimentari derivati da granturco geneticamente modificato. La competente autorità alimentare britannica aveva previamente certificato l'equivalenza sostanziale di tali prodotti.

    4. Successivamente la Repubblica italiana ha imposto un divieto temporaneo di commercializzazione e di utilizzazione dei prodotti derivati dalle linee di granturco notificate, in quanto dubitava della sicurezza di tali prodotti. Nel procedimento a quo le attrici hanno impugnato il relativo decreto italiano.

    5. Il giudice adito, il Tribunale Amministrativo del Lazio, dubita dell'applicabilità, nei concreti casi di specie, della procedura semplificata, in quanto vi sarebbero elementi per ritenere che nei contestati prodotti alimentari siano presenti residui di proteine transgeniche. Ma, oltre a ciò, tale giudice esprime anche perplessità sulla compatibilità della predetta procedura con gli artt. 153 e 174 CE, nonché sul fatto che essa tenga adeguatamente in considerazione il principio della precauzione ed ulteriori principi di diritto comunitario. A tal proposito il giudice a quo rileva che, con tale procedura, i nuovi prodotti alimentari potrebbero essere immessi sul mercato, con effetto per tutta la Comunità, senza che sia stata effettuata alcuna approfondita valutazione dei relativi rischi con la partecipazione di tutti gli Stati membri. Infine vengono sottoposte questioni concernenti il potere di uno Stato membro di sospendere, di propria iniziativa, la commercializzazione dei suddetti prodotti nel proprio territorio.

    II - Ambito normativo

    A - Normativa comunitaria

    1. Direttiva 90/220/CEE

    6. L'art. 2 di tale direttiva (in prosieguo: la «direttiva sull'emissione») definisce il concetto di organismo geneticamente modificato nel seguente modo:

    «(...)

    1) organismo, un ente biologico capace di riprodursi o di trasferire materiale genetico;

    2) organismo geneticamente modificato (OGM), un organismo il cui materiale genetico è stato modificato in modo diverso da quanto si verifica in natura con l'accoppiamento e/o la ricombinazione genetica naturale.

    (...)».

    2. Regolamento n. 258/97

    7. Il secondo considerando del suddetto regolamento recita:

    considerando che, per tutelare la salute pubblica, è necessario assicurarsi che i nuovi prodotti e i nuovi ingredienti alimentari siano sottoposti ad una valutazione unica della loro innocuità in base ad una procedura comunitaria prima della loro immissione sul mercato della Comunità; che nel caso di nuovi prodotti o nuovi ingredienti alimentari sostanzialmente equivalenti a prodotti o ingredienti esistenti è opportuno prevedere una procedura semplificata».

    8. L'art. 1 definisce come segue il campo di applicazione del regolamento:

    «1. Il presente regolamento ha per oggetto l'immissione sul mercato comunitario di nuovi prodotti e di nuovi ingredienti alimentari.

    2. Il presente regolamento si applica all'immissione sul mercato della Comunità di prodotti e ingredienti alimentari non ancora utilizzati in misura significativa per il consumo umano nella Comunità e che rientrano in una delle seguenti categorie:

    a) prodotti e ingredienti alimentari contenenti o costituiti da organismi geneticamente modificati ai sensi della direttiva 90/220/CEE;

    b) prodotti e ingredienti alimentari prodotti a partire da organismi geneticamente modificati, ma che non li contengono;

    (...)».

    9. L'art. 3 così dispone:

    «1. I prodotti o ingredienti alimentari oggetto del presente regolamento non devono:

    - presentare rischi per il consumatore;

    - indurre in errore il consumatore;

    - differire dagli altri prodotti o ingredienti alimentari alla cui sostituzione essi sono destinati, al punto che il loro consumo normale possa comportare svantaggi per il consumatore sotto il profilo nutrizionale.

    2. Ai fini dell'immissione sul mercato della Comunità dei prodotti e ingredienti alimentari oggetto del presente regolamento si applicano le procedure previste agli articoli 4, 6, 7 e 8 in base ai criteri definiti al paragrafo 1 del presente articolo ed agli altri fattori pertinenti menzionati in tali articoli.

    (...)

    4. In deroga al paragrafo 2, la procedura di cui all'articolo 5 si applica ai prodotti o agli ingredienti alimentari di cui all'articolo 1, paragrafo 2, lettere b) (...) che, sulla base dei dati scientifici disponibili e universalmente riconosciuti o di un parere emesso da una delle autorità competenti di cui all'articolo 4, paragrafo 3 , sono sostanzialmente equivalenti a prodotti o ingredienti alimentari esistenti per quanto riguarda la composizione, il valore nutritivo, il metabolismo, l'uso cui sono destinati e il tenore di sostanze indesiderabili.

    Se del caso si può decidere, secondo la procedura prevista all'articolo 13, se un tipo di prodotto o ingrediente alimentare rientra nel campo di applicazione del presente paragrafo».

    10. L'art. 5 disciplina la procedura semplificata come segue:

    «Nel caso dei prodotti o ingredienti alimentari di cui all'articolo 3, paragrafo 4, il richiedente notifica l'immissione sul mercato alla Commissione. Tale notifica è corredata delle informazioni pertinenti di cui all'articolo 3, paragrafo 4. La Commissione trasmette agli Stati membri copia di detta notifica entro un termine di sessanta giorni, nonché, a richiesta di uno Stato membro, copia di tali informazioni. Ogni anno la Commissione pubblica un riassunto di tali notifiche nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee, serie C.

    (...)».

    11. L'art. 12 concede agli Stati membri il seguente potere di emanare misure protettive:

    «1. Qualora a seguito di nuove informazioni o di una nuova valutazione di informazioni già esistenti, uno Stato membro abbia motivi fondati per ritenere che l'utilizzazione di un prodotto o ingrediente alimentare conforme al presente regolamento presenti rischi per la salute umana o per l'ambiente, tale Stato membro può limitare temporaneamente o sospendere la commercializzazione e l'utilizzazione sul proprio territorio del prodotto o ingrediente alimentare in questione. Esso ne informa immediatamente gli altri Stati membri e la Commissione precisando i motivi della propria decisione.

    2. La Commissione esamina quanto prima, nell'ambito del comitato permanente per i prodotti alimentari, i motivi di cui al paragrafo 1; essa prende le misure necessarie conformemente alla procedura di cui all'articolo 13. Lo Stato membro che ha adottato la decisione di cui al paragrafo 1 può mantenerla fino all'entrata in vigore di queste misure».

    12. L'art. 13, infine, detta le seguenti regole procedurali per la Commissione:

    «1. In caso di applicazione della procedura definita nel presente articolo, la Commissione è assistita dal comitato permanente per i prodotti alimentari , in appresso denominato "comitato".

    2. Il comitato è convocato dal suo presidente, per iniziativa di quest'ultimo o a richiesta del rappresentante di uno Stato membro.

    3. Il rappresentante della Commissione sottopone al comitato un progetto delle misure da adottare. Il comitato formula il suo parere sul progetto entro un termine che il presidente può fissare in funzione dell'urgenza della questione in esame. Il parere è formulato alla maggioranza prevista dall'articolo 148, paragrafo 2 del trattato per l'adozione delle decisioni che il Consiglio deve prendere su proposta della Commissione. Nelle votazioni al comitato, viene attribuita ai voti dei rappresentanti degli Stati membri la ponderazione definita all'articolo precitato. Il presidente non partecipa alla votazione.

    4. a) La Commissione adotta le misure previste qualora siano conformi al parere del comitato.

    b) Se le misure previste non sono conformi al parere del comitato, o in mancanza di parere, la Commissione sottopone senza indugio al Consiglio una proposta in merito alle misure da prendere. Il Consiglio delibera a maggioranza qualificata.

    Se il Consiglio non ha deliberato entro tre mesi a decorrere dalla data in cui gli è stata sottoposta la proposta, la Commissione adotta le misure proposte».

    3. Raccomandazione 97/618/CE

    13. Ai sensi dell'art. 4, n. 4, del regolamento n. 258/97, la Commissione pubblica raccomandazioni riguardanti gli aspetti scientifici. Sulla base di tale disposizione, la Commissione ha emanato la raccomandazione 97/618, della quale qui di seguito si riportano alcuni passaggi rilevanti per la presente causa.

    14. Nella parte I, punto 3.3, dell'allegato alla raccomandazione 97/618, il concetto di equivalenza sostanziale viene spiegato nei seguenti termini:

    «Il concetto di "equivalenza sostanziale" è stato introdotto dall'OMS e dall'OCSE in relazione agli alimenti prodotti con le moderne biotecnologie. Nell'accezione dell'OCSE l'equivalenza sostanziale consiste nell'utilizzare organismi esistenti, che sono già usati come alimenti o da cui si derivano alimenti, come pietra di paragone per valutare se un prodotto o un ingrediente nuovo o modificato ponga problemi di sicurezza per il consumo umano. Se si riscontra che un prodotto o un ingrediente alimentare nuovo è sostanzialmente equivalente ad uno esistente, lo si può trattare alla stregua di quest'ultimo in fatto di sicurezza, pur tenendo presente che il metodo dell'equivalenza sostanziale non corrisponde ad una valutazione della sicurezza o del valore nutritivo, ma è solo un'analisi comparativa di un potenziale prodotto nuovo e del suo omologo tradizionale.

    (...) Se si riscontra che il nuovo prodotto alimentare non è sostanzialmente equivalente ad alcun prodotto o ingrediente alimentare, ciò non significa necessariamente che è dannoso, ma semplicemente che dovranno esserne esaminate le proprietà e la composizione specifiche.

    (...)».

    15. A proposito dei «requisiti tossicologici», al punto 3.7 della parte I dell'allegato si afferma quanto segue:

    «In linea di principio i requisiti tossicologici dei nuovi prodotti alimentari devono essere analizzati caso per caso; nello stabilire i dati tossicologici di volta in volta prescritti possono verificarsi tre casi:

    1) è possibile stabilire un'equivalenza sostanziale con un prodotto o ingrediente alimentare tradizionale o accettato, nel qual caso non sono necessari ulteriori prove;

    2) è possibile stabilire un'equivalenza sostanziale, ad eccezione di alcune caratteristiche specifiche del nuovo prodotto, nel qual caso le successive analisi devono incentrarsi appunto su tali caratteristiche;

    (...)».

    16. Per la valutazione dell'equivalenza sostanziale dei vegetali geneticamente modificati, nella parte I, punto 5 (identificazione delle informazioni essenziali necessarie alla valutazione della sicurezza di un nuovo prodotto alimentare), paragrafo IV (effetti della modifica genetica sulle proprietà dell'organismo ospite) dell'allegato alla raccomandazione 97/618, vengono fornite le seguenti indicazioni:

    «Se dalla modifica genetica si ottiene un nuovo fenotipo, devono essere definite e verificate le conseguenze di tale modifica sulla composizione del prodotto. Se per esempio un vegetale geneticamente modificato è concepito in modo da esprimere un insetticida naturale codificato da un gene proveniente da un altro organismo, ed è quindi divenuto resistente ad alcuni insetti, deve essere appurato il profilo tossicologico del componente insetticida inserito. La sicurezza di questa modifica della composizione chimica può essere valutata mediante le normali procedure tossicologiche, e deve comprendere l'analisi del potenziale allergenico. Vanno inoltre presi in esame gli effetti secondari (o posizionali) dell'inserzione, in quanto la mutazione per inserzione o il riposizionamento genetico influenzano l'esito generale della modifica genetica. È essenziale conoscere la normale produzione di tossine del vegetale e degli effetti che questa subisce a seconda delle diverse condizioni di crescita e coltura cui il vegetale è soggetto, nonché sapere se il nuovo prodotto genico compaia nell'alimento finale. Lo stesso vale per le componenti nutrizionali importanti, soprattutto nel caso degli alimenti prodotti a partire da vegetali.

    (...)».

    B - Normativa italiana

    17. Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 4 agosto 2000 sulla sospensione cautelativa della commercializzazione e dell'utilizzazione di taluni prodotti transgenici sul territorio nazionale, a norma dell'art. 12 del regolamento (CE) n. 258/97 (in prosieguo: il «decreto»), viene sospesa la commercializzazione e l'utilizzazione dei prodotti derivati da granturco transgenico delle linee Bt 11, MON 810 e MON 809.

    III - Fatti e procedimento

    18. Le imprese Monsanto Agricoltura Italia S.p.A., con sede in Lodi (Italia), Monsanto Europe S.A., con sede in Bruxelles (Belgio), Syngenta Seeds S.p.A. (ex Novartis Seeds S.p.A.), con sede in Origgio (Italia), Syngenta Seeds AG (ex Novartis Seeds AG), con sede in Basilea (Svizzera), Pioneer Hi Bred Italia S.p.A., con sede in Malagnino (Italia) e Pioneer Overseas Corporation, con sede in Des Moines (USA) (in prosieguo: la «Monsanto e a.») operano nel settore della biotecnologia agroalimentare.

    19. Con due decisioni 22 aprile 1998 - precisamente con l'art. 1 di ciascuna delle due decisioni - la Commissione, sulla base dell'art. 13 della direttiva sull'emissione, autorizzava l'immissione sul mercato di chicchi di granturco delle linee Bt 11 e MON 810, fatta salva l'applicazione del regolamento n. 258/97 .

    20. Contestualmente all'esperimento delle procedure previste dalla direttiva sull'emissione, la Monsanto Europe SA in data 10 dicembre 1997 notificava alla Commissione, in base alla procedura semplificata di cui all'art. 5 del regolamento n. 258/97, l'immissione sul mercato di prodotti alimentari contenenti farina ed altri prodotti derivati da granturco geneticamente modificato della linea MON 810. In data 30 gennaio 1998 e 14 ottobre 1998 seguivano analoghe notifiche da parte della Novartis Seeds AG in relazione a prodotti derivati da granturco Bt 11, e da parte della Pioneer Overseas Corporation in relazione a prodotti derivati da granturco MON 809.

    21. Nel genoma delle suddette linee di granturco sono stati inseriti geni estranei, che rendono il granturco resistente a determinati insetti. A tal scopo viene utilizzato il gene del bacillus thuringensis, che agisce esprimendo nel granturco una tossina micidiale per determinati insetti. Ulteriori geni inseriti nel granturco Bt 11 e MON 809 conferiscono al granturco stesso resistenza contro determinati erbicidi.

    22. Le notifiche dirette alla Commissione erano corredate dei pareri dell'Advisory Committee on Novel Foods and Processes del Regno Unito (ACNFP) del settembre 1996, che il Ministro britannico per l'agricoltura, la pesca e l'alimentazione aveva trasmesso alle menzionate imprese con lettera 14 febbraio 1997. In tali pareri l'ACNFP considerava i prodotti alimentari derivati dal granturco geneticamente modificato alla stregua delle linee sopra menzionate, sostanzialmente equivalenti ai prodotti derivati da granturco tradizionale.

    23. La Commissione, in data 5 e 6 febbraio 1998 e 23 ottobre 1998, trasmetteva agli Stati membri copia di tali notifiche e le pubblicava poi nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee .

    24. La Commissione e gli Stati membri avevano convenuto, in seno al comitato permanente per i prodotti alimentari, di non applicare più, a partire dal gennaio 1998, la procedura semplificata ai prodotti derivati da organismi geneticamente modificati contenenti ancora tracce di proteine transgeniche. Tuttavia, la Commissione ritenne opportuno adottare tale procedura per l'ultima volta anche dopo tale data per i prodotti derivati dal granturco MON 809 e Bt 11, in quanto già in precedenza prodotti derivati da analoghe linee di granturco erano stati immessi sul mercato in base alla procedura semplificata e i richiedenti avevano ottenuto già nel febbraio 1997 un parere positivo dell'organismo britannico preposto alla valutazione dei prodotti alimentari.

    25. Con note 23 novembre 1998, 4 febbraio 1999 e 2 aprile 1999 indirizzate alla Commissione, il Ministro italiano della Sanità reclamava l'applicazione della procedura d'autorizzazione e chiedeva di consultare la documentazione relativa alla tossicità e al potenziale allergenico dei prodotti in questione. La Commissione non rispondeva direttamente a tali lettere, considerandole quali richieste di informazioni e, in ossequio alla propria prassi, le trasmetteva alle imprese interessate affinché quest'ultime fornissero direttamente allo Stato membro le informazioni richieste.

    26. Con note 23 dicembre 1999 e 5 giugno 2000 indirizzate alla Commissione, il Ministro italiano della sanità censurava l'assenza del presupposto per l'applicazione della procedura semplificata, vale a dire la condizione di «equivalenza sostanziale», e sollevava obiezioni di ordine generale nei confronti di tale tipo di procedura. La Commissione replicava a tali obiezioni con nota 10 marzo 2000. Nella successiva nota di risposta 10 luglio 2000, tuttavia, la Commissione riconosceva la necessità di una riconsiderazione del quadro normativo nel senso di una maggiore chiarezza, e riferiva di aver dato incarico al comitato scientifico dell'alimentazione umana di procedere ad un riesame completo dei prodotti in questione.

    27. Anche il Consiglio superiore di sanità italiano, con parere del 16 dicembre 1999, e l'Istituto superiore di sanità italiano (in prosieguo: l'«ISS»), con i pareri del 4 e del 28 luglio 2000, esprimevano dubbi circa la sussistenza dell'equivalenza sostanziale dei prodotti derivati dalle linee di granturco geneticamente modificato, in quanto tale granturco conterrebbe proteine transgeniche a livelli compresi tra lo 0,04 e lo 0,30 parti per milione. Tuttavia l'ISS escludeva, alla luce delle conoscenze scientifiche al momento disponibili, la presenza di rischi per la salute umana ed animale.

    28. In base all'art. 12 del regolamento n. 258/97, la Repubblica italiana emanava, il 4 agosto 2000, il decreto menzionato al precedente paragrafo 16. Nella motivazione dello stesso si afferma, tra l'altro, che, a causa della carenza di elementi informativi dettagliati ed in considerazione del rinnovato incarico assegnato al comitato scientifico dell'alimentazione umana, sussistono elementi sufficienti a rendere necessaria una provvisoria sospensione della commercializzazione. La Repubblica italiana, ai sensi dell'art. 12, n. 1, del regolamento n. 258/97, informava quindi la Commissione e gli Stati membri della misura adottata.

    29. Il comitato scientifico dell'alimentazione umana, nel suo parere del 7 settembre 2000, giungeva alla conclusione che dalle valutazioni peritali delle autorità italiane del 16 dicembre 1999 e del 28 luglio 2000 non emergevano dettagliate motivazioni scientifiche a sostegno di una presunta esposizione a pericolo della salute umana.

    30. La Commissione, dopo che il suo progetto di decisione non aveva ottenuto parere conforme da parte del comitato permanente per i prodotti alimentari, rinunciava ad emanare nei riguardi del decreto le misure previste dall'art. 12, n. 2, in combinato disposto con l'art. 13 del regolamento n. 258/97. Anzi, numerosi Stati membri, nel corso della riunione del 18 e 19 ottobre 2000 del predetto comitato, censuravano l'applicazione della procedura semplificata a prodotti derivati da organismi geneticamente modificati, ritenendo necessaria una chiarificazione del criterio dell'equivalenza sostanziale prima dell'adozione di qualsiasi decisione in merito al decreto.

    31. La Monsanto e a., unitamente all'Assobiotec (Associazione Nazionale per lo Sviluppo delle Biotecnologie), il 13 novembre 2000 proponevano ricorso dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio chiedendo l'annullamento del decreto 4 agosto 2000 ed il risarcimento del danno causato dal divieto di commercializzare i loro prodotti.

    Questioni pregiudiziali

    32. Il Tribunale Amministrativo, con ordinanza 18 aprile 2001, ha quindi rivolto alla Corte una questione di pronuncia pregiudiziale. In tale domanda le questioni non sono state formulate in maniera distinta; tuttavia dalla motivazione dell'ordinanza possono desumersi le seguenti questioni:

    «1) Se l'art. 3, n. 4, del regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio, n. 258/97, sui nuovi prodotti e i nuovi ingredienti alimentari, debba essere interpretato nel senso che i prodotti e gli ingredienti alimentari contemplati all'art. 1, n. 2, lett. b), del citato regolamento possano essere considerati sostanzialmente equivalenti a prodotti o a ingredienti alimentari esistenti e possano conseguentemente essere immessi sul mercato in base alla procedura semplificata per effetto di una notifica, a norma dell'art. 5 del regolamento, anche nell'ipotesi in cui in tali prodotti e ingredienti alimentari siano presenti residui di proteine transgeniche.

    2) In caso di soluzione negativa della prima questione e, quindi, di illegittima applicazione, nel caso di specie, della procedura semplificata di cui all'art. 5 del regolamento n. 258/97, quali conseguenze derivino in relazione:

    - al potere degli Stati membri di adottare, in forza del principio della precauzione - di cui l'art. 12 del regolamento n. 258/97 costituisce una specifica applicazione - misure come il decreto 4 agosto 2000;

    - alla distribuzione dell'onere della prova dei rischi per la salute umana e per l'ambiente che il nuovo prodotto comporta.

    3) Se per risolvere la seconda questione sia importante stabilire se la procedura semplificata implichi un consenso tacito della Commissione e se, conseguentemente, nel caso di un'eventuale soluzione negativa della seconda questione, tale consenso tacito debba considerarsi illegittimo.

    4) In caso di soluzione affermativa della prima questione, se l'art. 5 del regolamento n. 258/97 sia compatibile con gli artt. 153 e 174 CE, nonché con il principio della precauzione e con i principi di proporzionalità e di ragionevolezza, nonostante che:

    - esso non richieda una valutazione completa della sicurezza dei prodotti e degli ingredienti alimentari in relazione ai rischi per la salute umana e per l'ambiente e non garantisca l'informazione e la partecipazione degli Stati membri e dei loro enti scientifici, benché tale intervento risulti irrinunciabile per tutelare i predetti beni, come sta a dimostrare la procedura ordinaria prevista all'art. 6;

    - siffatta procedura semplificata possa essere applicata, per semplici ragioni di celerità e di semplificazione dell'azione amministrativa, all'immissione sul mercato di prodotti e ingredienti alimentari rispetto ai quali, attesa la presenza in essi di residui di proteine transgeniche, non si dispone di informazioni complete su tutti i loro effetti sulla salute dei consumatori, sul consumo umano e sull'ambiente, come può desumersi, in via generale, dalla raccomandazione 97/618/CE».

    33. Hanno presentato osservazioni alla Corte la Monsanto e a., i governi italiano e norvegese, nonché il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione. Il contenuto di tali osservazioni verrà esposto nel corso della valutazione giuridica delle singole questioni pregiudiziali.

    IV - Valutazione giuridica

    A - Applicabilità della procedura semplificata a prodotti alimentari derivati da organismi geneticamente modificati, contenenti ancora residui di proteine transgeniche (prima questione pregiudiziale)

    1. Argomenti dei soggetti che hanno presentato osservazioni alla Corte

    34. La Monsanto e a. prima di tutto rilevano che la questione verte essenzialmente sull'interpretazione del concetto di equivalenza sostanziale. A loro parere, tuttavia, la valutazione dell'equivalenza sostanziale non rappresenta una questione di interpretazione del diritto comunitario, bensì una questione di natura scientifica.

    35. La procedura di cui all'art. 5 del regolamento n. 258/97 si applica ai prodotti alimentari prodotti a partire da organismi geneticamente modificati, ma che non li contengono, qualora essi siano sostanzialmente equivalenti ai tradizionali prodotti alimentari. Poiché, a parere della Monsanto e a., è pacifico che le proteine transgeniche in essi ancora rinvenibili non costituiscono organismi geneticamente modificati, assume rilievo esclusivo il tema dell'equivalenza sostanziale.

    36. Il concetto di equivalenza sostanziale - così come esso è stato elaborato in diverse sedi (FAO/OMS e OCSE) ed accolto nella raccomandazione 97/618 - non richiede necessariamente l'identità dei prodotti alimentari messi a confronto. Pertanto, la presenza di proteine transgeniche nel prodotto derivato da organismi geneticamente modificati non costituisce un impedimento all'equivalenza sostanziale.

    37. Secondo il governo italiano la procedura semplificata si applica solo qualora sussista l'equivalenza sostanziale - concetto di natura scientifica, e non giuridica. Dal punto 3.3 della raccomandazione 97/618 si evince che il criterio dell'equivalenza sostanziale ha natura strumentale e risulta soddisfatto solo in caso di coincidenza di tutti gli aspetti individuati dal regolamento n. 258/97 (composizione, valore nutrizionale, ecc.).

    38. L'ISS ha, invece, constatato la presenza nei prodotti di granturco, anche dopo i processi di trasformazione, di tracce delle proteine codificate dai geni inseriti. Per verificare se tali prodotti alimentari siano dannosi per la salute umana sarebbe, pertanto, necessario effettuare le verifiche previste dalla procedura d'autorizzazione con l'intervento delle competenti autorità degli Stati membri. La procedura semplificata non sarebbe applicabile.

    39. Il governo norvegese prende in rassegna diverse fonti nelle quali il concetto di equivalenza sostanziale viene elaborato ed illustrato; tale governo richiama segnatamente i punti 3.3 e 3.7 della raccomandazione 97/618, il verbale della riunione del 18 e 19 ottobre 2000 del comitato permanente per i prodotti alimentari, vari pareri della FAO/OMS e dell'OCSE, nonché una ricerca del 1996 dell'International Life Science Institute.

    40. Dall'analisi di tale documentazione il governo norvegese trae le seguenti conclusioni:

    - l'accertamento dell'equivalenza sostanziale non costituisce, di per sé, una valutazione della sicurezza del prodotto, ma rappresenta solo il punto di partenza di tale valutazione;

    - per dimostrare l'equivalenza sostanziale è necessario un confronto tra la composizione dell'organismo geneticamente modificato e la composizione del suo corrispondente omologo tradizionale;

    - per tale confronto sono richiesti dati sul DNA transgenico;

    - sussiste un certo margine di discrezionalità nella scelta degli oggetti del confronto per quanto concerne il prodotto alimentare, la sua fonte e la scala molecolare;

    - i vegetali o i prodotti alimentari, nei quali è stata inserita una caratteristica che non si ritrova in natura nell'organismo parentale, possono essere considerati sostanzialmente equivalenti tranne che per la caratteristica inserita, sulla quale si deve concentrare la valutazione dell'innocuità;

    - occorre maggiore unanimità sull'applicazione pratica del principio dell'equivalenza sostanziale.

    41. Il governo norvegese ritiene che per valutare l'equivalenza sostanziale dei prodotti alimentari derivati da organismi geneticamente modificati sia necessaria un'autonoma analisi della modifica genetica e dei suoi effetti. Esso considera, invece, inadeguata una valutazione dell'alimento complessivamente considerato. In linea generale, il governo norvegese ritiene che i prodotti alimentari contenenti proteine transgeniche non possano essere considerati sostanzialmente equivalenti e che, pertanto, ad essi non sia applicabile la procedura semplificata. Poiché l'inserimento artificiale di un gene può produrre effetti secondari imprevedibili, i prodotti alimentari derivati da organismi geneticamente modificati non potrebbero essere immessi sul mercato senza una previa valutazione completa della loro innocuità.

    42. Secondo il Parlamento europeo, la questione attinente all'equivalenza sostanziale e all'applicabilità della procedura semplificata è una questione di fatto di competenza del giudice a quo.

    43. La Commissione preliminarmente sostiene che i prodotti in questione contengono soltanto proteine transgeniche, ma non sono organismi geneticamente modificati capaci di riprodursi. Pertanto, in via di principio, l'ambito di applicazione dell'art. 5 del regolamento n. 258/97 si estende anche ad essi.

    44. Il regolamento n. 258/97 e la raccomandazione 97/618 individuano una serie di criteri per verificare la sussistenza dell'equivalenza sostanziale. Tuttavia, secondo la Commissione, il dibattito scientifico ha ridimensionato l'importanza della nozione di equivalenza sostanziale . Il suo accertamento, benché sia unanimemente considerato una fase importante nel processo di valutazione, tuttavia, di per sé, non costituisce una valutazione completa dell'innocuità del prodotto. Per tale ragione la Commissione ha convenuto con gli Stati membri di non applicare più la procedura semplificata a partire dal gennaio 1998 e non ha più accolto tale procedura neanche nella sua proposta di un (nuovo) regolamento relativo agli alimenti e ai mangimi geneticamente modificati .

    45. Nel frattempo, i prodotti alimentari contenenti proteine transgeniche non potrebbero più essere considerati con tanta facilità sostanzialmente equivalenti ad un prodotto alimentare tradizionale. Invece, all'epoca della notifica dell'immissione sul mercato dei prodotti oggetto del presente procedimento, è stata ancora utilizzata, in quel caso, la nozione di equivalenza sostanziale, sicché l'applicazione della procedura semplificata è risultata giustificata in considerazione della situazione normativa e dello stato della scienza di quel periodo. E' peraltro pacifico che i prodotti in questione non presentano rischi per l'ambiente o per la salute umana.

    46. A parere della Commissione, è principalmente una questione di fatto verificare se i controversi prodotti alimentari siano stati correttamente qualificati come sostanzialmente equivalenti. Al momento della loro immissione sul mercato non vi erano conoscenze scientifiche che potessero far sorgere dubbi su tale conclusione. Considerato che tali prodotti alimentari sono in effetti non pericolosi, l'emanazione del decreto appare dovuta a perplessità di ordine generale sull'applicazione della procedura semplificata, più che a specifiche conoscenze scientifiche sull'eventuale pericolosità dei prodotti.

    2. Valutazione

    a) Considerazioni preliminari sui fatti e sull'esatta portata delle questioni pregiudiziali

    47. Né dalla domanda di pronuncia pregiudiziale, né dagli atti di causa risulta in modo chiaro quali prodotti o ingredienti alimentari derivati dalle tre linee di granturco geneticamente modificato, oggetto del presente procedimento, siano stati in concreto immessi sul mercato e a quale preciso uso essi siano destinati. Probabilmente si tratta essenzialmente di farine.

    48. In ogni caso i soggetti che hanno presentato osservazioni alla Corte concordano sul fatto che i processi di produzione alimentare - l'ACNFP menziona la macinatura a secco e la macinatura in umido (dry milling e wet milling) - comportano la distruzione del DNA geneticamente modificato delle piante di granturco. Pertanto, si può ritenere che non ci si trovi più in presenza di organismi capaci di riprodursi o di trasferire materiale genetico, di cui si parla all'art. 2, punto 1, della direttiva sull'emissione. L'applicazione della procedura semplificata verrebbe, quindi, in rilievo qualora risulti soddisfatto anche l'ulteriore presupposto della sussistenza dell'equivalenza sostanziale.

    49. Con la prima questione il giudice a quo chiede di interpretare la nozione di equivalenza sostanziale. Egli desidera soprattutto sapere se possa esserci equivalenza sostanziale anche nel caso in cui nel prodotto alimentare siano ancora rinvenibili tracce di proteine transgeniche.

    50. La possibile presenza di siffatte tracce nei prodotti alimentari derivati dal granturco geneticamente modificato è stata ammessa in udienza dai rappresentanti della Monsanto e a. Si tratta, tuttavia, di quantità di proteine transgeniche inferiori allo 0,04-0,30 parti per milione. Tale valore, menzionato nella motivazione del decreto e nel parere dell'ISS del 4 luglio 2000, cui fa riferimento anche il giudice a quo , si riferisce, infatti, ai residui di proteine transgeniche presenti nella pianta di granturco prima della sua trasformazione in farina. Tuttavia il processo di trasformazione comporta la denaturazione delle proteine transgeniche presenti nella pianta . D'altro canto, alla luce delle osservazioni presentate dai partecipanti alla Corte, risulta non corretta l'affermazione dell'ACNFP , secondo cui la trasformazione del granturco comporta l'integrale denaturazione di qualsiasi prodotto genico.

    51. Occorre inoltre segnalare che nessuno dei partecipanti - neanche il governo italiano - ha affermato che dai prodotti alimentari in questione derivino pericoli per la salute umana. Così, ad esempio, nei pareri dell'ISS, nonostante si esprimano riserve sull'equivalenza sostanziale dei prodotti derivati da granturco geneticamente modificato con i prodotti tradizionali, si giunge alla conclusione che, in base all'attuale stato delle conoscenze, vada esclusa la presenza di pericoli. Anche il comitato scientifico dell'alimentazione umana, nel suo parere del 7 settembre 2000, conferma che dalle valutazioni dell'ISS non emergono dettagliate motivazioni scientifiche a sostegno di una presunta esposizione a pericolo della salute umana.

    52. La questione relativa all'interpretazione del concetto di equivalenza sostanziale è una questione di diritto che la Corte deve risolvere in sede di procedimento pregiudiziale. Essa va tenuta distinta dall'accertamento, a livello di fatto, dell'effettiva equivalenza sostanziale dei prodotti alimentari derivati dal granturco geneticamente modificato con i prodotti derivati dal granturco tradizionale. Tale accertamento spetta, nell'ambito della procedura semplificata, eventualmente al competente organismo nazionale preposto alla valutazione dei prodotti alimentari, ovvero, nell'ambito della procedura di cui all'art. 13 del regolamento n. 258/97, alle autorità ivi indicate.

    b) Possibili interpretazioni alternative basate sul disposto letterale dell'art. 3, n. 4, del regolamento n. 258/97

    53. Secondo il disposto letterale dell'art. 3, n. 4, del regolamento n. 258/97, l'accertamento dell'equivalenza sostanziale si basa su un confronto tra il prodotto alimentare prodotto a partire dal granturco geneticamente modificato, e i corrispondenti prodotti derivati da granturco tradizionale. In tale sede devono essere raffrontati la composizione, il valore nutritivo, il metabolismo, l'uso cui sono destinati e il tenore di sostanze indesiderabili.

    54. Non si precisa, tuttavia, il grado di specificità di tale comparazione. Ci si potrebbe, ad esempio, limitare a confrontare, con l'impiego di elementari metodi d'analisi chimica, il rispettivo tenore dei principali componenti sostanziali, come lipidi, carboidrati, proteine, minerali e vitamine. Le modifiche in tal modo accertabili potrebbero essere valutate quale indizio di un effetto, previsto o non previsto, del nuovo gene inserito. In tal caso probabilmente verrebbe esclusa l'equivalenza sostanziale dei prodotti messi a confronto. D'altro lato, con questo confronto superficiale non si terrebbe conto di eventuali proteine transgeniche presenti in quantità modestissime ed accertabili solo con specifici metodi d'analisi. Dal testo del regolamento non è possibile desumere alcuna indicazione univoca circa il livello di specificità di questa analisi comparativa.

    55. Se il confronto viene esteso anche ai prodotti del gene inserito, è evidente che il nuovo prodotto alimentare differisca in ogni caso, quanto a composizione, dal suo omologo tradizionale qualora tali sostanze non siano state completamente eliminate durante la trasformazione del nuovo prodotto alimentare. Se si ritiene che le proteine transgeniche, nel caso in esame, svolgano una specifica funzione soltanto nella fase della crescita delle piante di granturco, ma non nei prodotti alimentari successivamente derivati dalla pianta, le si potrebbe considerare anche come sostanze indesiderabili ai sensi dell'art. 3, n. 4, del regolamento 258/97. La presenza di tali sostanze indesiderabili costituirebbe in tal modo un'ulteriore tratto differenziale tra i nuovi prodotti alimentari e quelli tradizionali.

    56. Ciò considerato, sono possibili due interpretazioni:

    - se si interpreta restrittivamente il concetto di equivalenza sostanziale - come ad esempio fanno i governi italiano e norvegese - ogni differenza nella composizione o nel tenore di sostanze indesiderabili fa venir meno l'equivalenza sostanziale;

    - se, invece, se ne adotta l'ampia nozione, proposta dalla Monsanto e a., l'equivalenza sostanziale permane anche qualora si riscontrino differenze, purché si possa dimostrare che dalle sostanze o dalle caratteristiche presenti soltanto nel nuovo prodotto alimentare non derivino pericoli per la salute umana.

    57. Il disposto letterale del regolamento è a prima vista compatibile con entrambe le interpretazioni. Poiché ivi si parla di equivalenza sostanziale e non di identità o di coincidenza della composizione, potrebbe privilegiarsi l'interpretazione estensiva. D'altro canto, la corretta nozione di equivalenza sostanziale potrebbe essere anche scelta alla luce della considerazione che si ritengono innocue soltanto limitate alterazioni nel tenore dei vari componenti significativi per la nutrizione (carboidrati, lipidi, proteine, minerali, ecc.) .

    58. Il concetto di equivalenza sostanziale, a seguito della sua ricezione nel regolamento n. 258/97, è divenuto un concetto giuridico di diritto comunitario. Nondimeno, per interpretarlo occorre tener presente anche il contesto scientifico in cui tale concetto si è formato. Pertanto, prima di tutto è necessario verificare se tale concetto sia stato illustrato in dettaglio nel corso dell'iter normativo. Subito dopo si devono prendere in considerazione i dati scientifici posti alla base del concetto di equivalenza sostanziale, illustrati nei lavori delle varie organizzazioni internazionali, in seno alle quali il concetto di equivalenza sostanziale è stato originariamente elaborato, e nella raccomandazione 97/618.

    c) Il concetto di equivalenza sostanziale nell'iter normativo

    59. Nell'originaria proposta della Commissione del 1992 non compare ancora alcuna traccia del concetto di equivalenza sostanziale . Tuttavia, in base a tale proposta il regolamento era comunque destinato ad applicarsi soltanto ai prodotti alimentari ottenuti mediante processi produttivi che provocassero una significativa modificazione della loro composizione, del loro valore nutritivo e/o della loro destinazione. Il Parlamento europeo, in sede di prima lettura, tra i vari punti criticati, contestava anche la restrizione del campo di applicazione ai prodotti alimentari significativamente modificati .

    60. Nella proposta modificata del 1993 la Commissione non ha quindi voluto sottoporre ad alcuna regolamentazione i prodotti alimentari derivati da organismi geneticamente modificati, che non avessero subito alcuna modificazione significativa rispetto ai corrispondenti prodotti tradizionali .

    61. Solo nel punto di vista comune elaborato dal Consiglio due anni dopo, la definizione dell'ambito di applicazione, contenuta all'art. 1, e gli artt. 3, n. 4, e 5 ricevevano l'attuale formulazione. Ma dalla motivazione del punto di vista comune non è possibile ricavare alcuna indicazione utile ai fini dell'interpretazione del concetto di equivalenza sostanziale, qui per la prima volta introdotto in correlazione con la procedura semplificata. Nelle successive fasi dell'iter normativo tale concetto non è stato più messo in discussione né illustrato. Il dibattito si incentrava, invece, principalmente sulle norme relative all'etichettatura .

    62. In sintesi, si può constatare che i prodotti alimentari derivati da organismi geneticamente modificati, sostanzialmente equivalenti ai corrispondenti prodotti tradizionali, in base alle originarie proposte della Commissione probabilmente non sarebbero stati affatto ricompresi nel regolamento e - salva la loro autorizzazione in base alla direttiva sull'emissione - avrebbero pertanto potuto essere immessi sul mercato senza alcun tipo di autorizzazione prevista dal diritto alimentare. Solo nelle successive fasi dell'iter normativo si giungeva ad un ampliamento dell'ambito di applicazione del regolamento, ma veniva comunque introdotta soltanto una procedura semplificata per l'autorizzazione di questi prodotti. Tuttavia, i lavori preparatori dell'iter normativo che ha portato all'emanazione del regolamento n. 258/97 non forniscono alcuna indicazione per l'interpretazione del concetto di equivalenza sostanziale.

    d) I dati scientifici posti alla base del concetto di equivalenza sostanziale

    63. La valutazione dei nuovi prodotti alimentari presenta particolari difficoltà . I prodotti alimentari sono di solito costituiti da un complesso insieme di diverse sostanze. Pertanto essi si distinguono dagli additivi alimentari sintetici e anche dai prodotti medicinali costituiti da particolari sostanze attive. E' possibile analizzare ed isolare, sia in vitro che in vivo, ad esempio nella sperimentazione animale, gli effetti tossicologici e gli effetti secondari di tali ultime sostanze, la cui composizione è ben nota. Invece, gli esperimenti di alimentazione degli animali con prodotti alimentari destinati al consumo umano spesso non forniscono un esito positivo, in quanto una «elevata dose» di tali prodotti alimentari non è tollerata dagli animali sottoposti a sperimentazione già per motivi di ordine nutrizionale.

    64. In considerazione di tali difficoltà di fondo, nel 1993 l'OCSE, nel suo rapporto Safety Evaluation of Foods Derived by Modern Biotechnology (in prosieguo: il «rapporto OCSE del 1993») , ha elaborato la nozione di equivalenza sostanziale e ha posto l'accertamento di essa come prima fase della valutazione di sicurezza dei prodotti ottenuti con l'impiego delle biotecnologie . L'ormai secolare esperienza dell'uomo con gli alimenti tradizionali costituisce il punto di partenza di tale metodo. Anche se gli alimenti tradizionali non sono privi di sostanze dannose, tuttavia vi è un ampio consenso sul fatto che, in forza della predetta esperienza e purché si tenga conto delle nuove conoscenze acquisite, essi possano essere considerati sicuri. La medesima valutazione può essere attribuita anche ad un nuovo alimento sostanzialmente equivalente ad un alimento tradizionale. In particolare l'OCSE richiede le seguenti condizioni per dimostrare l'equivalenza sostanziale:

    «A demonstration of substantial equivalence takes into consideration a number of factors, such as:

    - knowledge of the composition and characteristics of the traditional or parental product or organism;

    - knowledge of the characteristics of the new component(s) or trait(s) derived, as appropriate, from information concerning: the component(s) or trait(s) as expressed in the precursor(s) or parental organism(s); transformation techniques (as related to understanding the characteristics of the product) including the vector(s) and any marker genes used; possible secondary effects of the modification; and the characterisation of the components or trait(s) as expressed in the new organism; and

    - knowledge of the new product/organism with the new components or trait(s), including the characteristics and composition [i.e. the amount of the components or the range(s) of expression(s) of the new trait(s)] as compare with the conventional counterpart(s) (i.e. the existing food or food component).

    Based on a consideration of the factors in the paragraph above, knowledge that a new food or food component(s) was derived from organism(s) whose newly introduced traits have been well-characterised, together with a conclusion that there is reasonable certainty of no harm as compared with its conventional or traditional counterpart, means that a new food or food component(s) can be considered substantially equivalent».

    65. Tale metodo dell'OCSE, quindi, presuppone evidentemente che in sede di verifica dell'equivalenza sostanziale si prendano necessariamente in esame anche le nuove caratteristiche inserite e le sostanze che esse esprimono nel vegetale. Pertanto, l'accertamento dell'equivalenza sostanziale non può ridursi ad un (superficiale) confronto analitico delle sostanze contenute più facilmente riscontrabili.

    66. D'altro canto, in base a questo metodo l'equivalenza sostanziale non può essere negata per il solo fatto che nel nuovo prodotto alimentare sono presenti determinate quantità di proteine transgeniche. Si deve, invece, procedere - oltre che ad un confronto della composizione dei prodotti alimentari - anche ad una valutazione di sicurezza della nuova caratteristica inserita, prendendo in esame il suo modo di agire nell'organismo d'origine e le tecniche di trasferimento utilizzate.

    67. Nel 1996 un gruppo misto di lavoro della FAO e dell'OMS si è occupato di questo tema ed ha pubblicato il rapporto Joint FAO/WHO Expert Consultation on Biotechnology and Food Safety (in prosieguo: il «rapporto FAO/OMS del 1996») . In tale rapporto si sottolinea prima di tutto che l'accertamento dell'equivalenza sostanziale non costituisce ancora, di per sé, un esame della sicurezza del prodotto. Tale esame consiste piuttosto in un processo dinamico-analitico inteso a verificare la sicurezza del nuovo prodotto alimentare in confronto con il suo omologo tradizionale. Secondo il gruppo di esperti, l'esame dell'equivalenza può fornire i seguenti tre esiti:

    - il nuovo prodotto alimentare è sostanzialmente equivalente a quello tradizionale;

    - vi è equivalenza sostanziale ad eccezione di specifiche determinate caratteristiche;

    - il nuovo prodotto alimentare non è sostanzialmente equivalente.

    68. A parere del gruppo di esperti FAO/OMS, le specifiche differenze presenti nei prodotti alimentari del secondo gruppo derivano, di solito, dal fatto che è stato inserito materiale genetico il quale codifica nuove proteine o determina la produzione di nuovi componenti nell'organismo ospite. Qualora si riscontri l'equivalenza sostanziale con eccezione della nuova o delle nuove caratteristiche, l'ulteriore valutazione della sicurezza dovrebbe concentrarsi su tali caratteristiche.

    69. I partecipanti ad un workshop dell'OCSE hanno aderito a questa posizione del gruppo di esperti FAO/OMS . Degno di nota è il fatto che, nel rapporto finale di questo workshop, i vegetali che hanno sviluppato resistenza contro determinati insetti per effetto dell'inserimento di un gene del bacillus thuringensis sono menzionati proprio come esempio del secondo gruppo di prodotti alimentari . I vegetali in tal modo modificati e i prodotti da essi derivati vengono quindi considerati quali nuovi prodotti alimentari sostanzialmente equivalenti ai loro omologhi tradizionali ad eccezione della nuova caratteristica inserita, vale a dire la resistenza agli insetti.

    70. Non è chiaro, tuttavia, quali conseguenze derivino qualora dopo ulteriori, congrue analisi risulti che le caratteristiche o i componenti specifici del nuovo prodotto non siano pericolosi per la salute umana. Per l'interpretazione del concetto giuridico accolto nel regolamento n. 258/97 sarebbe essenziale stabilire se in siffatta ipotesi il nuovo prodotto alimentare possa considerarsi nel suo complesso sostanzialmente equivalente.

    71. Il concetto di equivalenza sostanziale è stato mantenuto ed ulteriormente specificato in successive pubblicazioni dell'OCSE e della FAO/OMS . Contemporaneamente si faceva strada l'elaborazione di ulteriori tipi di test per analizzare, ad esempio, la potenziale tossicità o il potenziale allergenico delle proteine codificate in seguito alla modifica genetica.

    72. Il metodo in parola, d'altro canto, è sempre stato anche oggetto di critiche . Si obietta, ad esempio, che esso è troppo impreciso e che in definitiva viene usato come paravento per non dover sottoporre i nuovi prodotti alimentari a completi test tossicologici e allergologici . Ulteriori critiche riguardano la contraddizione implicita relativa al fatto che prodotti alimentari, di cui sono note le reciproche differenze dovute all'inserimento di nuove caratteristiche, vengono valutati in relazione alla loro equivalenza . Infine, si sottolinea che l'esame dell'equivalenza sostanziale - che consiste in un confronto delle composizioni dei prodotti - fornisce solo limitate informazioni sugli effetti imprevisti della modifica genetica . Tali critiche hanno indotto la Commissione a non prevedere più, nella sua proposta di un (nuovo) regolamento relativo agli alimenti e ai mangimi geneticamente modificati del 2001, una procedura semplificata per gli alimenti geneticamente modificati sostanzialmente equivalenti ai corrispondenti alimenti tradizionali .

    73. A parte tali critiche, si deve conclusivamente constatare che, nei lavori sopra esposti delle organizzazioni internazionali, non è, in definitiva, possibile trovare risposta al quesito se possa ritenersi sussistente l'equivalenza sostanziale di cui al regolamento n. 258/97 anche nel caso in cui il nuovo prodotto alimentare presenti residui di proteine transgeniche delle quali, tuttavia, sia dimostrata l'innocuità per la salute umana. E' chiaro soltanto che l'esame dell'equivalenza sostanziale non si limita semplicemente ad un confronto del tenore dei componenti nutrizionali importanti più facilmente rilevabili.

    e) La raccomandazione 97/618

    74. Nei passaggi sopra riportati della raccomandazione 97/618 la Commissione si occupa della nozione di equivalenza sostanziale. Sul punto le affermazioni della Commissione ricalcano evidentemente le valutazioni del rapporto OCSE del 1993 e del rapporto FAO/OMS del 1996. Emerge, in questa sede, il medesimo quesito, già sorto a proposito del rapporto FAO/OMS del 1996, relativo alla problematica valutazione delle ipotesi in cui si accerti l'equivalenza sostanziale ad eccezione di determinate caratteristiche le quali, tuttavia, nel corso di ulteriori analisi, risultino innocue.

    75. Occorre d'altro lato considerare che la raccomandazione, in ossequio al suo fondamento normativo (l'art. 4, n. 4, del regolamento n. 258/97), si riferisce agli aspetti scientifici riguardanti la presentazione della domanda di autorizzazione. Nella procedura semplificata di cui all'art. 3, n. 4, e all'art. 5 del regolamento n. 258/97 - su cui verte l'attuale procedimento - non è però necessaria una domanda per il rilascio di un'autorizzazione all'immissione sul mercato. Le raccomandazioni, invece, si rivolgono alle imprese che intendono presentare una domanda all'organismo nazionale preposto alla valutazione dei prodotti alimentari ai sensi dell'art. 4, n. 1, nell'ambito della procedura d'autorizzazione, nonché a tali organismi di valutazione, che sottopongono le domande alla valutazione iniziale di cui all'art. 6.

    76. Anche se il criterio dell'equivalenza sostanziale viene menzionato nel regolamento n. 258/97 soltanto in relazione alla procedura semplificata, non deve tuttavia sorprendere che esso venga ugualmente affrontato nella raccomandazione in relazione alla procedura d'autorizzazione. Si tratta, infatti, di un metodo di valore generale per valutare i prodotti alimentari geneticamente modificati. Il criterio dell'equivalenza sostanziale può così svolgere un ruolo importante anche nella valutazione di prodotti alimentari contenenti o costituiti da organismi geneticamente modificati, e ai quali, quindi, non si applica la procedura semplificata.

    77. Ciò considerato, non sorprende che la raccomandazione non fornisca indicazioni per una chiara risposta, in senso affermativo o negativo, alla domanda relativa all'equivalenza sostanziale. Infatti, per l'autorizzazione formale l'accertamento dell'equivalenza sostanziale è sì un aspetto importante, ma non è di per sé decisivo. L'autorizzazione all'immissione sul mercato di nuovi prodotti alimentari presuppone, a norma dell'art. 3, n. 1, del regolamento n. 258/97, che essi non presentino rischi per il consumatore, che non lo inducano in errore e/o che non differiscano dai prodotti alimentari tradizionali al punto che il loro consumo normale possa comportare svantaggi sotto il profilo nutrizionale. Pertanto, in teoria è possibile autorizzare anche nuovi prodotti alimentari che non siano affatto sostanzialmente equivalenti agli omologhi prodotti tradizionali o che lo siano solo in parte. Infatti, l'assenza di equivalenza sostanziale non significa che il nuovo prodotto alimentare non è sicuro, bensì soltanto che esso deve essere valutato sulla base della sua specifica composizione e delle sue caratteristiche .

    78. In definitiva, quindi, né dalla raccomandazione 97/618, né - come si è visto sopra - dai lavori delle organizzazioni internazionali è possibile desumere indicazioni decisive per l'interpretazione del concetto di equivalenza sostanziale di cui all'art. 3, n. 4, del regolamento n. 258/97, in un caso come quello in esame.

    79. Occorre, pertanto, verificare quale delle due alternative interpretative, formulate sopra al paragrafo 56, sia più conforme alla ratio del regolamento e si inserisca meglio nel complessivo contesto normativo.

    f) Interpretazione in base alla ratio della disciplina e al complessivo contesto normativo

    80. Nell'interpretare il regolamento si deve tener presente che l'immissione sul mercato di prodotti alimentari tradizionali non richiede, in genere, alcuna autorizzazione. D'altro lato, rispetto ai nuovi prodotti alimentari non si dispone della lunga esperienza acquisita, invece, con i prodotti alimentari tradizionali. Peraltro non si può escludere che dai nuovi prodotti alimentari possano sorgere pericoli per la salute umana.

    81. Per prevenire tali pericoli, senza d'altro canto porre troppi ostacoli all'immissione sul mercato di quei nuovi prodotti alimentari che quasi non si differenziano dai prodotti alimentari tradizionali, il legislatore comunitario ha adottato un modello di disciplina articolato, ispirato al principio di proporzionalità . Per il gruppo di nuovi prodotti alimentari, la cui potenziale pericolosità è stata ritenuta minima dal legislatore comunitario e tra i quali rientrano anche i prodotti alimentari, indicati all'art. 1, n. 2, lett. b), derivati da organismi geneticamente modificati ma che non li contengono, egli ha previsto, per il caso in cui sussista equivalenza sostanziale, la mera procedura semplificata di cui agli artt. 3, n. 4, e 5 del regolamento n. 258/97. In tal modo il legislatore si è discostato dalla proposta della Commissione, secondo la quale - in presenza comunque di mere modificazioni non essenziali - non sarebbe stata necessaria alcuna autorizzazione.

    82. Contro un'interpretazione restrittiva del concetto di equivalenza sostanziale depone la circostanza che il campo di applicazione pratica della procedura semplificata risulterebbe estremamente ridotto qualora la presenza di minime tracce di proteine transgeniche fosse già sufficiente ad impedire il ricorso a tale procedura. La modifica genetica delle piante da coltura ha per effetto, di regola, proprio la codificazione di proteine non presenti in natura nella pianta. Sembra verificarsi assai raramente nella prassi che tali proteine transgeniche vengano completamente eliminate in occasione della trasformazione della pianta in alimento .

    83. Se si adottasse l'interpretazione restrittiva, potrebbero essere immessi sul mercato in base alla procedura semplificata soltanto quei prodotti alimentari che - pur differendo dai prodotti alimentari tradizionali per la loro derivazione da un organismo geneticamente modificato - tuttavia, nella loro composizione, non presentino alcuna differenza nota da essi. Ma, allora, ci si deve chiedere come mai in questi casi sia proprio necessaria una specifica notifica della loro immissione sul mercato. La ragione di tale necessità può al massimo risiedere nel fatto che potrebbero essere intervenute modifiche non note rispetto ai prodotti alimentari tradizionali. Sennonché una specifica notifica o una specifica autorizzazione hanno senso solo se le eventuali modifiche del prodotto alimentare possono essere anche scientificamente individuate e dimostrate.

    84. In base all'interpretazione estensiva, invece, potrebbero essere immessi sul mercato con la procedura semplificata anche gli alimenti prodotti a partire da un organismo geneticamente modificato che - senza più contenere l'organismo in quanto tale - presentano ancora tracce delle sostanze sviluppatesi per effetto della modifica genetica. In definitiva, sono proprio tali differenze nella composizione a giustificare la sottoposizione dei nuovi prodotti alimentari a speciali procedure per la loro immissione sul mercato.

    85. Ciò nondimeno, tuttavia, anche se si adotta l'interpretazione estensiva occorre rispettare il requisito basilare posto dall'art. 3, n. 1, primo trattino, secondo cui i prodotti alimentari non devono presentare rischi per il consumatore. A tal proposito si deve notare che le conoscenze disponibili, che possono essere impiegate in sede di valutazione dell'equivalenza, non sono solo quelle relative alla pianta ospite. In genere anche l'organismo da cui proviene la caratteristica inserita e le proteine da essa codificate sono note. Se grazie all'ulteriore analisi della specifica caratteristica inserita e dei nuovi componenti del prodotto alimentare si accerta che gli effetti sulla salute umana sono trascurabili e si possono pertanto tranquillamente escludere rischi per il consumatore, il predetto requisito basilare viene tenuto in debito conto anche in caso di immissione sul mercato in base alla procedura semplificata.

    86. Contro l'accoglimento dell'interpretazione estensiva potrebbe essere fatta valere la previsione, per l'immissione sul mercato in base alla procedura semplificata, di requisiti relativamente poco rigorosi. Infatti, chi intende immettere sul mercato un nuovo prodotto alimentare, in base all'art. 3, n. 4, del regolamento 258/97, ha due possibilità per dimostrarne l'equivalenza sostanziale. Può basarsi sui dati scientifici disponibili e universalmente riconosciuti, oppure - come è avvenuto nel caso di specie - su un parere di un organismo nazionale preposto alla valutazione dei prodotti alimentari. Nel primo caso l'interessato può quindi immettere sul mercato il nuovo prodotto alimentare senza bisogno di un previo esame o riconoscimento della sua equivalenza sostanziale da parte di un'autorità amministrativa. Poiché l'art. 5 del regolamento non prevede nemmeno un termine moratorio , durante il quale la Commissione o uno Stato membro possano sollevare eccezioni contro l'immissione sul mercato, in questo caso, in definitiva, è possibile solo un controllo a posteriori.

    87. Quest'aspetto potrebbe costituire un difetto della procedura semplificata, che andrà valutato in occasione della soluzione della quarta questione pregiudiziale. Tuttavia, questo possibile inconveniente non è d'impedimento all'interpretazione estensiva del concetto di equivalenza sostanziale. Poiché, infatti, non è prevista obbligatoriamente una previa verifica, da parte di un'autorità amministrativa, dei presupposti per l'immissione sul mercato in base alla procedura semplificata, non può essere evitata un'eventuale inosservanza di tali presupposti, indipendentemente dal fatto che essi siano più o meno rigorosi.

    88. Infine, a favore dell'accoglimento dell'interpretazione estensiva depone il complessivo contesto normativo. A norma dell'art. 5 del regolamento n. 258/97, anche per l'etichettatura dei prodotti alimentari considerati sostanzialmente equivalenti valgono le disposizioni dell'art. 8. In base all'art. 8, n. 1, lett. a), l'etichettatura deve in particolare indicare al consumatore le caratteristiche o le proprietà alimentari che hanno reso il nuovo prodotto alimentare non più (del tutto) equivalente ad un prodotto alimentare esistente.

    89. Il concetto di «equivalenza» che compare all'art. 8 è più circoscritto del concetto di «equivalenza sostanziale» di cui all'art. 3, n. 4. Il legislatore evidentemente ha qui considerato che vi sono dei prodotti alimentari i quali, pur essendo sostanzialmente equivalenti, comunque devono essere etichettati in modo particolare poiché non sono propriamente del tutto equivalenti. Pertanto, certe differenze non impediscono l'accertamento dell'equivalenza sostanziale, ma semplicemente fanno sorgere l'obbligo di un'etichettatura particolare.

    90. In base all'art. 8, n. 1, lett. b), dall'etichettatura deve inoltre potersi desumere se nel nuovo prodotto alimentare siano presenti sostanze che non sono presenti in un alimento del tutto equivalente e che possono avere ripercussioni sulla salute di taluni gruppi di popolazione. Quindi, anche quando si fa riferimento al più circoscritto concetto di equivalenza di cui all'art. 8, non è escluso che la composizione del nuovo prodotto alimentare sia difforme da quella dell'alimento tradizionale. Il nuovo prodotto alimentare può addirittura contenere - a differenza dell'omologo prodotto tradizionale - sostanze che possono avere ripercussioni sulla salute per lo meno di taluni gruppi di popolazione.

    91. Infine, si deve ancora una volta sottolineare che la nozione di equivalenza sostanziale costituisce semplicemente uno strumento di valutazione dei nuovi prodotti alimentari. In occasione della loro valutazione non si deve dimenticare il vero obiettivo del regolamento, vale a dire evitare rischi per la salute umana. Verso tale obiettivo deve orientarsi anche il concetto di equivalenza sostanziale.

    g) Conclusione

    92. Si deve, quindi, risolvere la prima questione pregiudiziale affermando che l'art. 3, n. 4, del regolamento n. 258/97 deve essere interpretato nel senso che i prodotti e gli ingredienti alimentari contemplati dall'art. 1, n. 2, lett. b), del citato regolamento possono essere considerati sostanzialmente equivalenti a prodotti o a ingredienti alimentari esistenti e possono conseguentemente essere immessi sul mercato in base alla procedura semplificata per effetto di una notifica, a norma dell'art. 5 del regolamento, anche nell'ipotesi in cui in tali prodotti e ingredienti alimentari siano ancora presenti residui di proteine transgeniche, purché sia dimostrato che tali sostanze non rappresentano un rischio per il consumatore.

    93. A fini di chiarezza si deve sottolineare ancora una volta che con tale soluzione non ci si pronuncia anche in merito all'equivalenza sostanziale dei concreti alimenti, che hanno costituito l'oggetto del decreto italiano impugnato. Né viene in tal modo risolta l'ulteriore questione se i relativi accertamenti dell'ACNFP, in particolare sull'innocuità delle proteine codificate dai geni inseriti, siano stati effettuati correttamente e siano esatti. In base all'art. 3, n. 4, secondo comma, in combinato disposto con l'art. 13 del regolamento n. 258/97, spetta, invece, primariamente alla Commissione, con la collaborazione del comitato permanente per i prodotti alimentari, verificare se sussistano i presupposti per l'applicazione della procedura semplificata.

    B - Potere degli Stati membri di adottare misure protettive contro la commercializzazione di nuovi prodotti alimentari (seconda questione)

    94. Il giudice a quo formula la seconda questione pregiudiziale soltanto per il caso di soluzione negativa della prima questione, vale a dire per il caso in cui i nuovi prodotti alimentari non possano essere considerati sostanzialmente equivalenti a prodotti alimentari esistenti a causa della presenza in essi di tracce di materiale transgenico. In base alla soluzione da me proposta, tuttavia, tale circostanza non esclude l'equivalenza sostanziale, sicché non sarebbe necessario risolvere la seconda questione pregiudiziale.

    95. Ciò nondimeno, per i seguenti motivi risulta opportuno affrontare tale questione. In primo luogo, nonostante la soluzione da me proposta per la prima questione, non si è ancora stabilito se i prodotti alimentari di cui è causa possano effettivamente essere considerati sostanzialmente equivalenti. In secondo luogo, lo Stato membro avrebbe potuto avere il diritto di emanare misure protettive in forza dell'art. 12 del regolamento n. 258/97, anche nell'ipotesi in cui i prodotti alimentari in questione - al momento della loro immissione sul mercato - fossero stati correttamente ritenuti sostanzialmente equivalenti a prodotti tradizionali. In terzo luogo, infine, risulta necessaria una soluzione per l'ipotesi in cui la Corte non condivida l'interpretazione del concetto di equivalenza sostanziale da me proposta, e pervenga ad una diversa soluzione della prima questione pregiudiziale.

    1. Argomenti dei soggetti che hanno presentato osservazioni alla Corte

    96. A parere della Monsanto e a., il testo dell'art. 12 del regolamento è univoco. In base ad esso, gli Stati membri possono attivarsi solo qualora dispongano di nuove conoscenze scientifiche - ipotesi che non si sarebbe verificata in occasione dell'emanazione del decreto.

    97. Conseguentemente la questione riguarderebbe essenzialmente la possibilità di uno Stato membro, che ritenga invalide le disposizioni sulla procedura semplificata, di emanare, basandosi sul principio della precauzione, misure protettive anche in assenza dei presupposti dell'art. 12. Ciò presupporrebbe, in sostanza, la possibilità di uno Stato membro di sindacare unilateralmente la validità di un regolamento comunitario - competenza negata, però, dalla giurisprudenza . Pertanto, secondo la Monsanto e a., a fondamento delle misure nazionali non si potrebbe invocare né l'art. 12, né il principio della precauzione.

    98. Secondo il governo italiano, l'art. 12, in combinato disposto con l'art. 13, descrive un procedimento - al quale partecipano congiuntamente lo Stato membro e la Commissione - preordinato al riesame dell'autorizzazione del nuovo prodotto alimentare.

    99. A norma dell'art. 12, uno Stato membro può sospendere provvisoriamente la commercializzazione di un nuovo prodotto alimentare, immesso sul mercato con la procedura semplificata e quindi senza una previa completa valutazione della sua sicurezza. Ciò presuppone, sempre a parere del governo italiano, che lo Stato membro fornisca una motivazione scientifica della carenza di equivalenza sostanziale e della conseguente inapplicabilità della procedura semplificata. La Commissione procede quindi a verificare tale motivazione scientifica secondo la procedura prevista dall'art. 13.

    100. Secondo il governo norvegese, se uno Stato membro nutre dubbi sulla sussistenza dell'equivalenza sostanziale, può richiedere l'esperimento della procedura prevista dall'art. 13, cui l'art. 3, n. 4, espressamente rinvia. Se nell'ambito di tale procedura, sulla base di tutte le informazioni scientifiche disponibili, si accerta che il nuovo prodotto alimentare in effetti non è sostanzialmente equivalente ad un prodotto tradizionale, la sua commercializzazione deve essere sospesa fino a quando esso non venga autorizzato in base alla procedura d'autorizzazione.

    101. Finché non vengono compiuti i necessari accertamenti previsti dall'art. 13, lo Stato membro può interrompere la commercializzazione del nuovo prodotto alimentare in base all'art. 12, purché sussistano i presupposti per l'applicazione di tale clausola di salvaguardia. Pertanto, lo Stato membro può intervenire qualora a seguito di nuove informazioni o di una nuova valutazione di informazioni già esistenti sussistano fondati motivi per ritenere che l'utilizzazione del nuovo prodotto alimentare presenti rischi per la salute umana o per l'ambiente.

    102. Siffatte clausole di salvaguardia, come ha affermato la Corte , sono espressione del principio della precauzione e devono pertanto essere interpretate in sintonia con tale principio, previsto dall'art. 174, n. 2, CE. Secondo il governo norvegese, in base al principio della precauzione non è necessario fornire una prova completa dei rischi per l'ambiente o per la salute umana; le misure di protezione risultano, invece, già giustificate qualora a seguito di una preliminare ed obiettiva valutazione scientifica dei rischi vi sia un ragionevole motivo per temere che gli effetti potenzialmente pericolosi sull'ambiente e sulla salute umana, animale o vegetale possano essere incompatibili con l'elevato livello di protezione assicurato dalla Comunità .

    103. In subordine, il governo norvegese formula il seguente argomento. L'art. 12 consente di emanare misure qualora si rendano disponibili nuove informazioni su un nuovo prodotto alimentare «conforme al presente regolamento». Risulta oltremodo dubbio se i prodotti alimentari di cui è causa siano conformi al regolamento, in quanto essi sono stati immessi sul mercato in base alla procedura semplificata benché vi fossero dubbi sulla loro equivalenza sostanziale.

    104. Il governo italiano, dopo aver invano tentato di ottenere un riesame dei prodotti in base alla procedura di cui all'art. 13, ha potuto invocare la clausola di salvaguardia di cui all'art. 12 per ottenere le informazioni necessarie alla valutazione dell'equivalenza sostanziale.

    105. Secondo il governo norvegese, è compito della Commissione riesaminare il divieto italiano di commercializzazione ed eventualmente intervenire ai sensi dell'art. 13. Poiché la Commissione non ha adottato alcuna misura sulla base di tale disposizione, possono essere mantenute in vigore le misure nazionali. Il riesame del decreto alla luce dell'art. 12 spetta esclusivamente alla Commissione e non al giudice a quo.

    2. Valutazione

    a) Considerazioni preliminari sulla giustificazione della misura nazionale sulla base direttamente del principio della precauzione

    106. La seconda questione concerne il potere degli Stati membri di adottare misure protettive in forza del «principio della precauzione - di cui l'art. 12 del regolamento n. 258/97 costituisce una specifica applicazione». Tuttavia, nella motivazione del decreto italiano il principio della precauzione non viene espressamente menzionato. Tenuto conto della formulazione della questione pregiudiziale, prima di una più precisa illustrazione delle disposizioni del regolamento stesso, è opportuno soffermarsi brevemente sulla rilevanza del principio della precauzione nel presente contesto.

    107. Il decreto italiano costituisce una misura di effetto equivalente ad una restrizione quantitativa all'importazione, di cui all'art. 28 CE. In base ad una costante giurisprudenza, per giustificare una siffatta restrizione uno Stato membro non può più invocare l'art. 30 CE e le esigenze fondamentali ivi riconosciute, laddove vi sia una misura comunitaria d'armonizzazione normativa, emanata proprio per realizzare lo specifico obiettivo che verrebbe perseguito invocando l'art. 30 .

    108. Il principio della precauzione serve a proteggere l'ambiente e la vita degli uomini, degli animali e dei vegetali già in una fase in cui non si dispone ancora della prova di un rischio concreto per tali beni, ma sulla base di preliminari conoscenze scientifiche risulti possibile una loro esposizione a pericolo. Il principio della precauzione stabilisce, pertanto, una regola di condotta in caso di incertezza sulla presenza di pericoli - tenendo conto, altresì, dell'inscindibile legame tra tale principio e la protezione dei beni giuridici potenzialmente esposti a pericolo.

    109. Il decreto mira essenzialmente a proteggere i consumatori dai rischi per la loro salute che possono eventualmente provenire dai prodotti alimentari derivati da granturco geneticamente modificato. Tale normativa italiana, tuttavia, non può più invocare a suo fondamento lo scopo della tutela della salute di cui all'art. 30 CE, in quanto si tratta proprio dello scopo perseguito anche dal regolamento n. 258/97 . Per giunta, con il regolamento n. 258/97 è stata emanata una disciplina unitaria per tutta la Comunità per l'autorizzazione dei nuovi prodotti alimentari, sicché in tale materia gli Stati membri non dispongono di alcun residuo spazio di manovra per ulteriori restrizioni nazionali.

    110. Il potere degli Stati membri di emanare misure protettive è invece disciplinato, in via residuale, all'art. 12 del regolamento n. 258/97. Non è pertanto possibile invocare direttamente i principi giuridici generali o i motivi imperativi di interesse generale per giustificare le restrizioni alla libera circolazione delle merci. Ciò vale anche nell'ipotesi in cui lo Stato membro non ritenga valide le specifiche disposizioni comunitarie relative all'immissione sul mercato in base alla procedura semplificata. Infatti un regolamento comunitario deve essere considerato valido e deve essere osservato dallo Stato membro fintantoché non sia stato dichiarato nullo o invalido dal competente giudice comunitario . Nell'esaminare la quarta questione pregiudiziale verrà verificata l'eventuale invalidità delle disposizioni del regolamento per insufficiente considerazione del principio della precauzione.

    111. Peraltro, come la Corte ha stabilito, «nella comunità di diritto costituita dalla Comunità europea, uno Stato membro è tenuto a rispettare le disposizioni del Trattato e, in particolare, ad agire nel quadro delle procedure previste da esso e dalla normativa applicabile» .

    112. Tuttavia, ciò non significa che nel presente contesto il principio della precauzione non abbia assolutamente alcun rilievo. Infatti, in base ad una costante giurisprudenza, una norma di diritto derivato comunitario deve essere interpretata per quanto possibile in modo da renderla conforme al Trattato CE ed ai principi generali del diritto comunitario . Nell'ambito dell'interpretazione in esame occorre prendere in considerazione, in particolare, anche il principio della precauzione.

    b) Potere degli Stati membri di adottare misure protettive sulla base del regolamento n. 258/97.

    113. Il governo italiano ha espressamente fondato il decreto sull'art. 12 del regolamento n. 258/97 . Prima di affrontare in dettaglio tale disposizione, occorre preliminarmente verificare quali poteri l'art. 3, n. 4, secondo comma, in combinato disposto con l'art. 13, conceda agli Stati membri. Infatti il governo italiano ha motivato tale misura sostenendo, in particolare, che esso nutre dubbi sull'equivalenza sostanziale degli alimenti prodotti a partire dal granturco geneticamente modificato. Come ha esattamente osservato il governo norvegese, in caso di dubbi sulla sussistenza dei presupposti per l'applicazione della procedura semplificata - quindi, principalmente, sull'equivalenza sostanziale - viene in rilievo prima di tutto la procedura di cui all'art. 3, n. 4, secondo comma, in combinato disposto con l'art. 13.

    114. A tal proposito occorre osservare che l'art. 13 descrive una procedura generale per l'intervento della Commissione con l'assistenza del comitato permanente per i prodotti alimentari, senza però fornire alcun chiarimento sui poteri sostanziali della Commissione e degli Stati membri. I casi, nei quali si può ricorrere a tale procedura, risultano di volta in volta dalle disposizioni sostanziali del regolamento che rinviano alla procedura di cui all'art. 13 - in particolare, l'art. 3, n. 4, secondo comma, e l'art. 12, n. 2.

    i) L'art. 3, n. 4, secondo comma, in combinato disposto con l'art. 13

    115. Ai sensi dell'art. 3, n. 4, secondo comma, si può decidere, secondo la procedura di cui all'art. 13, se un prodotto alimentare soddisfi i presupposti per l'applicazione della procedura semplificata. Pertanto spetta in primo luogo alla Commissione, con l'assistenza del comitato permanente per i prodotti alimentari, verificare se un nuovo prodotto alimentare sia sostanzialmente equivalente ad un prodotto tradizionale. Nel caso in cui il comitato permanente per i prodotti alimentari non approvi il progetto della decisione della Commissione sull'esito della relativa verifica, la Commissione, in base all'art. 13, n. 4, può provocare una decisione del Consiglio, oppure - in caso di inerzia del Consiglio - adottare essa stessa la decisione proposta.

    116. L'art. 3, n. 4, secondo comma, in combinato disposto con l'art. 13, rappresenta, quindi, uno strumento per verificare la possibilità di applicare la procedura semplificata. Le suddette disposizioni tengono conto del fatto che tale possibilità viene verificata, in un primo momento, soltanto dal soggetto che immette sul mercato il prodotto alimentare in base alla procedura semplificata stessa. In questa fase solo il profilo dell'equivalenza sostanziale è stato eventualmente già oggetto di valutazione da parte di un organismo statale qualora il responsabile dell'immissione produca il parere di un organismo nazionale preposto alla valutazione dei prodotti alimentari, anziché basarsi sui «dati scientifici [...] universalmente riconosciuti», ai sensi dell'art. 3, n. 4.

    117. A parte la questione relativa alla corretta valutazione dell'equivalenza sostanziale del prodotto alimentare, in questa procedura non viene effettuata alcuna indagine sui rischi. Se la Commissione giungesse alla conclusione che non sussistono i presupposti per l'applicazione della procedura semplificata, si dovrebbe conseguentemente sospendere la commercializzazione del prodotto alimentare e si dovrebbe presentare domanda di autorizzazione in base alla procedura d'autorizzazione. Solo nell'ambito di quest'ultima procedura si potrebbe valutare a fondo la presenza di eventuali rischi.

    118. Dalla lettera dell'art. 3, n. 4, secondo comma, non è possibile desumere su iniziativa di chi debba essere avviata la procedura, prevista dall'art. 13, diretta a verificare i presupposti per l'applicazione della procedura semplificata. E' vero che il comitato permanente per i prodotti alimentari, in base all'art. 13, n. 2, può essere convocato, tra l'altro, a richiesta del rappresentante di uno Stato membro. Tuttavia l'art. 13, n. 3, riconosce soltanto alla Commissione il diritto di sottoporre al comitato permanente per i prodotti alimentari una proposta delle misure da adottare.

    119. La seguente considerazione, tuttavia, induce a ritenere che gli Stati membri abbiano il diritto di richiedere una decisione della Commissione ai sensi dell'art. 3, n. 4, comma 2, in combinato disposto con l'art. 13: a differenza di quanto avviene nella procedura semplificata, nella procedura d'autorizzazione gli Stati membri hanno ampie possibilità di partecipare. In particolare, a norma dell'art. 6, n. 4, essi possono presentare obiezioni all'autorizzazione e, in tal modo, provocare una decisione sull'autorizzazione nell'ambito della procedura prevista dall'art. 13 con il coinvolgimento del comitato permanente. Il riesame effettuato a norma dell'art. 3, n. 4, secondo comma, in combinato disposto con l'art. 13, può essere decisivo per stabilire se, al posto della procedura semplificata, debba essere applicata la procedura d'autorizzazione. Per una piena tutela dei diritti di partecipazione degli Stati membri alla procedura d'autorizzazione, si deve allora ammettere la possibilità che uno Stato membro richieda il riesame dei presupposti per l'applicazione della procedura semplificata. In tal modo, infatti, lo Stato membro può ottenere, in caso di esito negativo di tale riesame, che venga esperita la procedura d'autorizzazione con la partecipazione degli Stati membri.

    120. Affinché uno Stato membro possa valutare l'opportunità di richiedere il riesame ai sensi dell'art. 3, n. 4, secondo comma, in combinato disposto con l'art. 13, spetta ad esso, in base all'art. 5, il diritto d'essere informato sui nuovi prodotti alimentari immessi sul mercato in base alla procedura semplificata.

    121. Al diritto dello Stato membro di richiedere il riesame, corrisponde l'obbligo della Commissione di compiere, qualora gli pervenga una richiesta in tal senso, tutti i passi necessari per adottare, basandosi sulla procedura di cui all'art. 13, una decisione che lo Stato membro può impugnare se ritiene errata la valutazione della Commissione. Qualora, invece, non venga adottata nessuna decisione, spetta allo Stato membro l'azione d'inadempimento.

    122. Rimane, tuttavia, da precisare che uno Stato membro - a parte il suddetto diritto di richiedere il riesame - non ha il potere di adottare esso stesso misure sulla base delle disposizioni appena illustrate, qualora abbia dubbi sull'applicabilità della procedura semplificata.

    123. Non è chiaro quale significato possa essere attribuito, in questo contesto, alle note del governo italiano del 23 novembre 1998, del 4 febbraio 1999, del 2 aprile 1999 e del 23 dicembre 1999.

    124. Le prime due note si riferiscono esclusivamente a prodotti derivati dal granturco MON 809. In tali note il governo italiano sottolinea l'esigenza di esperire la procedura d'autorizzazione. Nella seconda nota elenca una serie di informazioni che avrebbero dovuto essere ancora fornite per effettuare una completa analisi della sicurezza dei prodotti. In particolare si sarebbero dovuti ancora integrare i dati relativi alle sostanze indesiderabili ai fini della valutazione dell'equivalenza sostanziale.

    125. La terza nota, invece, si riferisce, tra l'altro, anche alle notifiche d'immissione sul mercato dei prodotti alimentari derivati dal granturco MON 810 e Bt 11. In tale nota il governo italiano richiede alla Commissione, ai sensi dell'art. 5 del regolamento n. 258/97, l'accesso alla documentazione necessaria per una valutazione dei prodotti. Tale governo, richiamando l'art. 12, profila già la possibile adozione di misure protettive nazionali sulla base del principio della precauzione.

    126. La seconda e la terza nota sono principalmente dirette ad ottenere ulteriori informazioni. Così le ha intese anche la Commissione che, in ossequio alla propria prassi, le ha trasmesse alle imprese responsabili affinché quest'ultime fornissero direttamente le risposte necessarie. Tali imprese - stando a quanto dichiarato in udienza dalla Monsanto e a., e non eccepito dal governo italiano - hanno fornito alle autorità italiane tutte le informazioni richieste.

    127. Con la nota del 23 dicembre 1999, tuttavia, il Ministro della sanità afferma chiaramente di sollevare eccezioni contro l'applicazione della procedura semplificata, in quanto non vi sarebbe stata equivalenza sostanziale. Inoltre richiama espressamente la procedura di riesame di cui all'art. 3, n. 4, secondo comma, in combinato disposto con l'art. 13.

    128. A tale nota la Commissione ha risposto con una propria nota del 10 marzo 2000 richiedendo al governo italiano prove scientifiche della carenza dell'equivalenza sostanziale. Non risulta, tuttavia, che la Commissione abbia poi avviato la procedura di riesame con la partecipazione del comitato permanente per i prodotti alimentari dopo che il governo italiano aveva meglio illustrato la propria posizione con nota del 5 giugno 2000. La Commissione, invece, con nota del 10 luglio 2000, riconosceva semplicemente l'esigenza di un esame più approfondito.

    129. Tale condotta della Commissione è tanto più sorprendente in quanto essa, proprio a causa dei problemi connessi con la nozione di equivalenza sostanziale, aveva convenuto con gli Stati membri, già all'inizio del 1998, una moratoria dell'applicazione della procedura semplificata.

    130. Si deve altresì segnalare che, sebbene da un lato sia necessario un tempestivo controllo dei presupposti per l'applicazione della procedura semplificata, tuttavia l'art. 3, n. 4, secondo comma, non prevede alcun termine perentorio per tale controllo. Tutt'al più, la tutela dell'affidamento delle imprese responsabili potrebbe ostare, nel singolo caso concreto, all'effettuazione di tale controllo dopo il decorso di un certo lasso di tempo successivamente all'immissione sul mercato.

    131. Tuttavia la sola inerzia della Commissione - vale a dire in mancanza dei presupposti di cui all'art. 12 - non sarebbe ancora sufficiente a giustificare un intervento di propria iniziativa del governo italiano. Detto governo dovrebbe, invece, reagire all'inerzia della Commissione, cui sola compete l'avvio della procedura di riesame, con gli apposti strumenti giuridici.

    ii) Art. 12

    132. D'altro canto, l'art. 12 concede espressamente agli Stati membri il potere di attivarsi di propria iniziativa. In base a tale disposizione, ad essi spetta una sorta di potere di supervisione nelle situazioni d'emergenza qualora i nuovi prodotti alimentari, già regolarmente giunti sul mercato in conformità al regolamento, a seguito di nuove conoscenze ovvero di una nuova valutazione di precedenti informazioni siano comunque successivamente considerati non sicuri. Tale potere sussiste a prescindere dal tipo di procedura in base alla quale i prodotti controversi sono stati autorizzati.

    133. Diversamente da quanto previsto nella proposta della Commissione di una nuova disciplina dell'autorizzazione degli alimenti geneticamente modificati , il regolamento n. 258/97 non impone una sistematica supervisione sui prodotti già immessi sul mercato in base ad una specifica procedura. L'art. 12, tuttavia, autorizza gli Stati membri ad intervenire qualora sulla base di concreti elementi risulti necessaria una nuova valutazione, consentendo in tal modo una possibile supervisione sui prodotti a livello nazionale.

    134. In base all'art. 12, n. 1, lo Stato membro deve avere «motivi fondati» per supporre la presenza di possibili rischi. Tale requisito va interpretato alla luce del principio della precauzione . Anche se tale principio viene menzionato espressamente solo nell'art. 174, n. 2, CE come uno dei principi sui quali si fonda la politica in materia ambientale, dalla giurisprudenza emerge, tuttavia, la necessità di osservare il principio della precauzione anche in altri settori .

    135. Il principio della precauzione non è stato ancora del tutto definito nella giurisprudenza della Corte. Tuttavia, nella sentenza BSE, la Corte ha già stabilito quanto segue :

    «quando sussistono incertezze riguardo all'esistenza o alla portata di rischi per la salute delle persone, le istituzioni possono adottare misure protettive senza dover attendere che siano esaurientemente dimostrate la realtà e la gravità di tali rischi».

    136. Nei settori nei quali non si è ancora raggiunta un'armonizzazione delle disposizioni normative, la Corte concede parimenti agli Stati membri, in caso di incertezza sulla presenza di rischi, un ampio spazio di manovra per misure protettive della salute umana che restringano la libera circolazione delle merci, nel rispetto, comunque, del principio di proporzionalità .

    137. In base al principio della precauzione, così come esso viene inteso dalla Commissione nella sua comunicazione sull'applicazione del principio della precauzione , non occorre una completa prova scientifica della presenza di rischi . Un intervento è invece già necessario quando, sulla base di conoscenze scientifiche ancora provvisorie, vi è motivo di preoccupazione. In considerazione della notevole importanza del bene giuridico da tutelare - la salute umana - viene abbassata la soglia a partire dalla quale può scattare un intervento dello Stato ovvero della Comunità.

    138. D'altra parte, in questo contemperamento d'interessi non va del tutto trascurata nemmeno la libertà di circolazione delle merci. Pertanto, non ogni affermazione o supposizione non scientificamente fondata di eventuali rischi per la salute umana o per l'ambiente può già giustificare l'adozione di misure protettive nazionali. Il rischio deve, invece, essere sufficientemente sorretto da dati scientifici .

    139. Per assicurare un'applicazione omogenea del regolamento, l'art. 12, n. 2, rinviando alla procedura di cui all'art. 13, impone un esame delle misure provvisorie nazionali da parte della Commissione. Tale esame si incentra sulla questione se i motivi, che hanno spinto lo Stato membro ad intervenire, giustifichino effettivamente le restrizioni. In tale occasione è compito dello Stato membro, che intende restringere la commercializzazione di un prodotto regolarmente immesso sul mercato, esporre e dimostrare tali motivi. Tuttavia, in virtù del principio della precauzione, lo Stato membro deve solo fornire la prova della presenza di provvisorie conoscenze scientifiche che destino preoccupazione.

    140. La Commissione, se condivide le preoccupazioni dello Stato membro, adotta, conformemente all'art. 13, misure dal contenuto analogo con effetto su tutto il territorio comunitario. Fino all'entrata in vigore di tali misure, lo Stato membro può mantenere le proprie misure temporanee. Non è chiaro, invece, quale sia la sorte delle misure nazionali qualora la Commissione non condivida la valutazione dello Stato membro e non adotti misure a livello comunitario.

    141. Questa ipotesi non è espressamente disciplinata nel regolamento. Tuttavia, è conforme alla ratio del regolamento che la Commissione, anche in quest'ipotesi, adotti con la procedura di cui all'art. 13 una decisione espressa, nella quale dichiari che i motivi scientifici riferiti dallo Stato membro non giustificano l'adozione di misure. Se la Commissione non riesce a trovare una posizione comune con il comitato permanente per i prodotti alimentari, essa dovrebbe convocare il Consiglio e, in caso di inerzia di questo, adottare essa stessa una decisione. In conseguenza di siffatta decisione della Commissione dovrebbe sorgere l'obbligo per lo Stato membro di annullare le sue misure temporanee.

    142. Solo una decisione della Commissione in merito ristabilisce la necessaria certezza del diritto. E' vero che anche la mera inerzia della Commissione, protratta per un certo tempo, esprime che essa non ritiene necessaria l'adozione di misure. Infatti, specialmente nelle questioni di sicurezza alimentare, è necessario, di solito, un rapido intervento allorché vengano individuati nuovi rischi.

    143. Tuttavia, lo Stato membro e le imprese interessate rimangono per un certo tempo nell'incertezza, senza sapere se la Commissione effettivamente non intenda intervenire, ovvero se stia ancora esaminando la necessità delle misure, ovvero ancora se stia già preparando misure. Tale incertezza sussiste in particolare anche per il fatto che né dall'art. 12, n. 2, né dall'art. 13 risulta un termine per l'intervento della Commissione. All'art. 12, n. 2, si afferma, invece, semplicemente che la Commissione esamina «quanto prima» i motivi.

    144. Se si analizza la condotta della Commissione successiva al ricevimento dell'informazione sul decreto, si deve constatare che essa ha sì acquisito un parere del comitato scientifico dell'alimentazione umana , ma ha omesso di presentare al comitato permanente per i prodotti alimentari, con la procedura di cui all'art. 13, una proposta di misure, o meglio ha ritirato la proposta dopo averla presentata.

    145. Dalle precedenti considerazioni risulta, tuttavia, che la Commissione sarebbe stata in ogni caso obbligata ad adottare una decisione o a convocare il Consiglio. In via di principio l'obbligo per la Repubblica italiana di annullare la propria misura temporanea sorge solo dopo che i competenti organi comunitari abbiano deciso se tale misura protettiva sia giustificata e debba, pertanto, essere adottata una misura a livello comunitario dal contenuto analogo, oppure se tale misura non sia giustificata.

    146. Resta, però, il dubbio se il governo italiano abbia in assoluto presentato motivi sufficienti per l'adozione del decreto. Nel valutare le complesse relazioni scientifiche sottoposte al loro esame nella procedura di cui all'art. 13, la Commissione ed il Consiglio dispongono di un ampio potere discrezionale. La Corte può solo verificare se le decisioni dei competenti organi comunitari non siano viziate da un manifesto errore di valutazione o da uno sviamento di potere o se l'organo non abbia palesemente sconfinato dai limiti del suo potere discrezionale . Non è, invece, compito della Corte sostituire la valutazione della Commissione rimasta inerte con una propria valutazione.

    147. Ciò considerato, si può semplicemente constatare che non è sufficiente censurare l'applicazione della procedura semplificata per presunta mancanza di equivalenza. Infatti, come ho precedentemente esposto, la mancanza di equivalenza sostanziale non significa necessariamente che dal prodotto alimentare possono derivare rischi per la salute umana o per l'ambiente. Solo siffatti rischi possono giustificare un intervento ai sensi dell'art. 12. Inoltre l'art. 3, n. 4, secondo comma, in combinato disposto con l'art. 13, prevede una specifica procedura per verificare la corretta applicazione della procedura semplificata.

    148. Quantunque la presunta assenza dell'equivalenza sostanziale costituisca anche il principale argomento del governo italiano, risulta che oltre a tale argomento il predetto governo abbia anche espresso perplessità sulla innocuità dei prodotti alimentari in questione, come si può ad esempio evincere dal parere del comitato scientifico dell'alimentazione umana del 7 settembre 2000.

    149. E' vero che il predetto comitato ha ritenuto tali perplessità non fondate. Tuttavia, la circostanza che la Commissione e gli Stati membri abbiano convenuto, già all'inizio del 1998, una moratoria dell'applicazione in futuro della procedura semplificata, potrebbe costituire un indizio della presenza di dubbi sulla sicurezza dei prodotti alimentari che contengono residui di proteine transgeniche e che sono stati controllati soltanto sotto il profilo della loro equivalenza sostanziale. Non convincono le spiegazioni della Commissione dei motivi per cui essa, nonostante la moratoria, in due casi specifici ha continuato ad applicare tale procedura in ossequio alla propria precedente prassi. Infatti devono davvero esserci dubbi scientificamente fondati sulla innocuità dei prodotti che contengono residui di proteine transgeniche, se la tutela dell'affidamento dei relativi produttori non riesce a giustificare una loro autorizzazione in base alla procedura semplificata.

    150. Tuttavia, in questa sede, si può tralasciare di verificare quali conclusioni si possano trarre dalla moratoria e dalla contraddittoria condotta della Commissione. Infatti, il fatto se i dubbi esposti dal governo italiano in relazione agli specifici prodotti derivati da granturco geneticamente modificato, colpiti dal divieto di commercializzazione, siano o siano stati in effetti scientificamente fondati, deve essere valutato, caso per caso, dalla Commissione o dal Consiglio con la procedura di cui all'art. 13. Ma un siffatto accertamento - questo è il punto - non è stato finora effettuato.

    151. In conclusione si deve quindi ritenere che il governo italiano poteva adottare misure temporanee conformemente all'art. 12, n. 1, del regolamento n. 258/97, qualora esso, a seguito di nuove informazioni o di una nuova valutazione di informazioni già esistenti - tra cui sicuramente rientra anche la moratoria - avesse motivi fondati per ritenere che l'utilizzazione dei prodotti alimentari in questione presentasse rischi per la salute umana o per l'ambiente. La fondatezza di tali motivi deve essere accertata con una decisione della Commissione o del Consiglio conformemente all'art. 12, n. 2, in combinato disposto con l'art. 13 del regolamento. Le misure temporanee possono essere mantenute fino all'adozione della predetta decisione.

    C - Classificazione degli atti compiuti dalla Commissione nell'ambito della procedura semplificata (terza questione pregiudiziale)

    1. Argomenti dei soggetti che hanno presentato osservazioni alla Corte

    152. A parere del governo italiano, l'accertamento dell'equivalenza sostanziale viene effettuato, in un primo momento, sotto l'esclusiva responsabilità dell'impresa che immette sul mercato il controverso prodotto alimentare. La Commissione non verifica la notifica di immissione sul mercato e non adotta pertanto alcuna decisione d'autorizzazione. Essa, tuttavia, potrebbe verificare la sussistenza dei presupposti per l'applicazione della procedura semplificata con la procedura di cui all'art. 3, n. 4, in combinato disposto con l'art. 13 del regolamento n. 258/97 e, in tale occasione, adottare una decisione, positiva o negativa, in merito all'equivalenza sostanziale.

    153. Anche il Consiglio, come il governo italiano, ritiene irrilevante, in relazione ai poteri degli Stati membri previsti dall'art. 12, la natura giuridica degli atti compiuti dalla Commissione nella procedura semplificata. Piuttosto gli Stati membri, in presenza di motivi fondati, potrebbero adottare misure protettive indipendentemente dal tipo di autorizzazione.

    154. Il governo norvegese ritiene parimenti che la Commissione, mediante il ricevimento della notifica, ai sensi dell'art. 5 del regolamento n. 258/97, non adotti alcuna decisione tacita d'autorizzazione. Perfino nel caso in cui la Commissione non desse seguito ad una richiesta di riesame della sussistenza dell'equivalenza sostanziale in base alla procedura di cui all'art. 13, ciò non costituirebbe una tacita conferma dell'equivalenza sostanziale. Comunque sia, un eventuale accertamento tacito da parte della Commissione non costituisce un atto impugnabile ai sensi dell'art. 230 CE, in quanto esso non produce effetti giuridici pregiudizievoli per i diritti dello Stato membro, il quale potrebbe, invece, autonomamente attivarsi in base all'art. 12.

    2. Valutazione

    155. Con la terza questione pregiudiziale il Tribunale Amministrativo Regionale desidera sostanzialmente sapere se la Commissione, nell'ambito della procedura semplificata, adotti una decisione (tacita) in merito all'autorizzazione dei nuovi prodotti alimentari. In caso di risposta positiva, il giudice a quo si chiede inoltre quali conseguenze si ripercuotano sul potere, di cui all'art. 12, degli Stati membri, qualora la decisione d'autorizzazione dovesse rivelarsi illegittima, ad esempio perché era errato l'accertamento dell'equivalenza sostanziale.

    156. La lettera dell'art. 5 non fornisce alcun elemento per ritenere che la Commissione verifichi la notifica di immissione sul mercato di un nuovo prodotto alimentare o, addirittura, adotti una decisione d'autorizzazione. Come giustamente rileva il governo italiano, in un primo momento spetta al soggetto, che immette il prodotto sul mercato, valutare egli stesso l'equivalenza sostanziale sulla scorta dei dati scientifici universalmente riconosciuti, ovvero farla accertare da un competente organismo nazionale preposto alla valutazione dei prodotti alimentari.

    157. La Commissione si limita a ricevere la notifica e le informazioni pertinenti, a trasmetterle a sua volta agli Stati membri e a pubblicare la notifica nella Gazzetta ufficiale. Essa adotta una decisione solo nell'ipotesi in cui si proceda alla verifica dei presupposti per l'applicazione della procedura semplificata ai sensi dell'art. 3, n. 4, secondo comma, in combinato disposto con l'art. 13.

    158. A questo punto, quindi, non sarebbe più necessario esaminare la seconda parte della questione pregiudiziale. Occorre, tuttavia, ancora una volta ricordare che il potere degli Stati membri di adottare misure protettive ai sensi dell'art. 12, n. 1, dipende esclusivamente dalla sussistenza di nuovi elementi che facciano ritenere che un nuovo prodotto alimentare presenti rischi per la salute umana o per l'ambiente.

    159. Per contro, la legittimità delle misure protettive non dipende né dal fatto che il prodotto alimentare controverso sia stato immesso sul mercato in base alla procedura semplificata ovvero in base alla procedura d'autorizzazione, né dal fatto che l'una o l'altra procedura fossero o meno corrette. Infatti, anche una decisione illegittima adottata all'esito della procedura d'autorizzazione deve essere osservata da uno Stato membro fintanto che non venga annullata dal competente organo comunitario . D'altra parte, se l'autorizzazione è viziata, possono sorgere incertezze in merito alla valutazione dei rischi, le quali giustificano, alla luce del principio della precauzione, un intervento degli Stati membri conformemente all'art. 12.

    160. La terza questione pregiudiziale deve, pertanto, essere risolta affermando che la Commissione, nella procedura semplificata di cui all'art. 5 del regolamento n. 258/97, non adotta alcuna decisione tacita in merito all'autorizzazione dei prodotti alimentari, di cui le viene notificata l'immissione sul mercato.

    D - Validità dell'art. 5 del regolamento n. 258/97 (quarta questione pregiudiziale)

    1. Argomenti dei soggetti che hanno presentato osservazioni alla Corte

    161. La Monsanto e a., il governo norvegese ed il Consiglio rilevano, prima di tutto, che il legislatore comunitario dispone di un ampio potere discrezionale nel delineare la procedura per l'immissione sul mercato di nuovi prodotti alimentari e nell'individuare gli obiettivi da perseguire in tale ambito . Il legislatore, nell'effettuare le sue scelte, deve tener presenti complessi fattori tecnici e scientifici. Il sindacato della Corte sull'esercizio di tale potere discrezionale si limita a verificare che non vi sia un manifesto errore di valutazione o uno sviamento di potere o che l'organo non abbia palesemente sconfinato dai limiti del suo potere discrezionale.

    162. La Monsanto e a. ritengono che l'art. 5 non violi i principi indicati dal giudice a quo.

    163. I prodotti alimentari, ai quali si può applicare la procedura semplificata, non presentano rischi per l'ambiente in quanto non contengono organismi geneticamente modificati e non sono quindi in grado di svilupparsi ulteriormente o di riprodursi.

    164. Nemmeno la salute umana viene messa in pericolo. In mancanza di dati scientifici universalmente riconosciuti, solo un organismo nazionale preposto alla valutazione dei prodotti alimentari può confermare l'equivalenza sostanziale. Il competente organismo - contrariamente alle preoccupazioni del giudice a quo - effettua a tal fine un'accurata valutazione della sicurezza. Ciò è avvenuto anche nel presente caso di specie, come risulta dai pareri delle autorità competenti.

    165. Inoltre, secondo la Monsanto e a., la procedura semplificata consente un'adeguata partecipazione degli Stati membri. Prima dell'immissione sul mercato, intervengono le varie autorità nazionali coinvolte, verificando l'equivalenza sostanziale. Se un organismo nazionale accerta l'equivalenza sostanziale, le autorità degli altri Stati membri sono tenute al rispetto di tale accertamento, in virtù del principio del reciproco riconoscimento. Dopo l'immissione sul mercato, agli Stati membri spettano soltanto i poteri di cui all'art. 12.

    166. Secondo il governo norvegese, i prodotti alimentari derivati da organismi geneticamente modificati non sono mai sostanzialmente equivalenti ai corrispondenti prodotti tradizionali, nemmeno se non contengono più siffatti organismi in quanto tali. L'immissione sul mercato di questi prodotti alimentari in base alla procedura semplificata viola le disposizioni degli artt. 95, n. 3, 152, n. 1, 153, n. 1, e 174, n. 2, CE, relative alla protezione della salute umana e alla protezione dei consumatori. L'art. 3, n. 4, del regolamento n. 258/97 è, pertanto, invalido nella parte in cui fa riferimento ai prodotti alimentari di cui all'art. 1, n. 2, lett. b).

    167. Il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione difendono la validità del regolamento.

    168. A tal proposito il Parlamento europeo osserva che in realtà non si discute sulla validità dell'art. 5 di per sé, bensì sulla validità dell'art. 3, n. 4.

    169. Benché come fondamento giuridico del regolamento sia stato invocato l'art. 100a del Trattato CE (ora, dopo la modifica, art. 95 CE), le disposizioni di detto regolamento hanno rilevanza anche per la salute umana; pertanto, devono essere osservati anche l'art. 153, n. 2, e l'art. 174, n. 1, CE .

    170. L'art. 3, n. 1, del regolamento pone precise condizioni a tutela della salute. Inoltre un nuovo prodotto alimentare necessita in ogni caso di autorizzazione, sia che si applichi la procedura semplificata, sia che si applichi la procedura d'autorizzazione. Ciò è conforme al principio della precauzione, il quale trova espressione anche nell'art. 12. Per giunta i nuovi prodotti alimentari devono essere etichettati in modo particolare, ai sensi dell'art. 8.

    171. Sempre a parere del Parlamento europeo, se le disposizioni relative all'autorizzazione vengono correttamente applicate non sorge alcun dubbio sulla validità del regolamento. Sulla scorta della documentazione prodotta ai sensi dell'art. 5, la Commissione è in grado di sottoporre a verifica i presupposti per l'applicazione della procedura semplificata - in particolare, la sussistenza dell'equivalenza sostanziale -, a norma dell'art. 3, n. 4, secondo comma. Sulla base delle informazioni ricevute, anche gli Stati membri possono richiedere un'adeguata verifica. Se in tal modo risulta che la procedura semplificata non è applicabile, deve essere esperita la procedura d'autorizzazione.

    172. Il Consiglio osserva che un atto normativo non è invalido per il fatto che esso si rivela, a posteriori, inadeguato. Non ha nessun rilievo, pertanto, la circostanza che nella proposta della Commissione per una nuova regolamentazione della materia non sia più prevista la procedura semplificata. Anche nel settore farmaceutico è prevista una procedura semplificata d'autorizzazione, che la Corte ha ritenuto legittima .

    173. Le disposizioni relative alla procedura semplificata tengono in debito conto la protezione della salute. Tale procedura si applica esclusivamente a prodotti alimentari che non presentano particolari rischi. Essa assicura, grazie alla verifica dell'equivalenza sostanziale nel singolo caso, che si può escludere ogni rischio. Nel caso in cui vi siano dubbi sull'equivalenza sostanziale, il regolamento prevede una procedura per il riesame.

    174. Infine, anche i prodotti alimentari, regolarmente autorizzati, possono in ogni momento essere ritirati dal mercato in applicazione della clausola di salvaguardia di cui all'art. 12, qualora emergano motivi fondati per temere rischi per la salute.

    175. La Commissione, per dimostrare che la protezione della salute umana, in conformità agli artt. 153 e 174 CE, è adeguatamente considerata, richiama in sostanza le medesime caratteristiche della procedura semplificata, segnalate dal Consiglio. Essa rileva, in particolare, che i prodotti alimentari, di cui è causa, sono stati sottoposti ad un approfondito esame dell'equivalenza sostanziale da parte dell'organismo britannico preposto alla valutazione dei prodotti alimentari e che gli organismi italiani hanno confermato la loro innocuità.

    176. Secondo la Commissione, il regolamento tiene conto anche del principio della precauzione e del principio di proporzionalità. A tal proposito occorre osservare che il regolamento costituisce la prima regolamentazione di questa materia e si è basato sulle conoscenze disponibili al momento della sua emanazione. In particolare, poi, la clausola di salvaguardia di cui all'art. 12 costituisce un'espressione del principio della precauzione. Tuttavia, tale disposizione non può essere invocata dagli Stati membri al fine di dare attuazione alle proprie politiche. Essa, invece, deve costituire la base per una costruttiva collaborazione tra Stati membri e Commissione.

    177. Sempre a parere della Commissione, le disposizioni relative alla procedura semplificata si ispirano al principio di proporzionalità, in quanto rendono possibile l'immissione sul mercato di un determinato gruppo di prodotti alimentari a basso rischio a condizioni agevolate, senza d'altra parte trascurare la protezione della salute.

    2. Valutazione

    178. Il giudice a quo solleva, in sostanza, la questione se le disposizioni del regolamento n. 258/97 relative alla procedura semplificata siano in grado di assicurare una sufficiente protezione della salute umana dai rischi provenienti dai prodotti alimentari derivati da organismi geneticamente modificati. Le norme rilevanti sono, da una parte, l'art. 3, n. 4, il quale disciplina i presupposti per l'applicazione della procedura semplificata, e, dall'altra parte, l'art. 5, che costituisce la vera norma procedurale. Entrambe le disposizioni costituiscono un corpo unitario. Benché la questione posta dal giudice a quo si riferisca soltanto alla validità dell'art. 5, tale disposizione può pertanto essere giudicata solo in correlazione con l'art. 3, n. 4 - come del resto hanno segnalato anche alcuni dei partecipanti.

    179. A parere del giudice a quo, tali disposizioni potrebbero essere invalide per violazione delle seguenti norme gerarchicamente superiori:

    - art. 153, n. 1 e 2, CE, in base al quale la Comunità contribuisce a tutelare la salute dei consumatori e la protezione dei consumatori viene presa in considerazione nell'ambito delle altre politiche comunitarie;

    - art. 174, nn. 1 e 2, CE, il quale individua la protezione della salute umana come un obiettivo della politica della Comunità in materia ambientale e impone alla Comunità il principio della precauzione come linea guida per la sua attività nel settore della politica ambientale; nonché

    - principi di proporzionalità e di adeguatezza.

    180. Tali disposizioni del Trattato ed i principi giuridici generali, tuttavia, non possono essere considerati isolatamente. Prima dell'emanazione del regolamento la situazione era tale per cui le imprese, salva l'applicazione delle norme della direttiva sull'emissione e di eventuali disposizioni nazionali, potevano immettere sul mercato prodotti alimentari derivati da organismi geneticamente modificati senza bisogno di autorizzazione o di previa notifica. Siffatti prodotti regolarmente immessi sul mercato potevano essere commercializzati all'interno della Comunità senza alcun ostacolo nell'ambito della libertà di circolazione delle merci. La situazione di partenza, quindi, era quella della libera iniziativa delle imprese e della libera circolazione delle merci.

    181. D'altra parte, fin dall'inizio si aveva consapevolezza del fatto che i nuovi prodotti alimentari - in parte ancora del tutto sconosciuti - possono presentare rischi per la salute umana. Il legislatore, pertanto, era chiamato a sottoporre a restrizioni la commercializzazione dei nuovi prodotti alimentari per prevenire rischi per la salute umana. Per evitare che sorgessero ostacoli alla circolazione di tali prodotti a causa della disparità delle normative nazionali, la Comunità è intervenuta sul fondamento dell'allora vigente art. 100a del Trattato CE ed ha emanato il regolamento n. 258/97 . Al fine di tutelare la salute dei consumatori, tale normativa restringe, attraverso l'introduzione di specifiche procedure d'autorizzazione, la libertà delle imprese di immettere sul mercato nuovi prodotti alimentari .

    182. Nel delineare i contenuti del regolamento n. 258/97, quindi, il legislatore comunitario doveva rendere tra loro compatibili il diritto delle imprese di immettere sul mercato i nuovi prodotti alimentari e il diritto dei consumatori ad un'adeguata tutela della loro salute, nonché la protezione dell'ambiente. Ciò richiedeva una complessa valutazione di dati scientifici, resa ancor più difficile dal fatto che nel 1997 lo sviluppo dei prodotti alimentari derivati da organismi geneticamente modificati si trovava ancora in uno stadio iniziale, nonché dal fatto che in parte non si disponeva ancora di conoscenze scientifiche del tutto affidabili.

    183. In un caso del genere, per individuare il metro di giudizio che la Corte dovrà applicare, occorre tener conto della seguente affermazione :

    «per quanto riguarda un settore ove il legislatore comunitario è chiamato ad effettuare valutazioni complesse sulla scorta di elementi tecnici e scientifici che possono evolversi rapidamente, il controllo giurisdizionale dell'esercizio di una competenza siffatta deve limitarsi a esaminare se esso non sia inficiato da errore manifesto o sviamento di potere o se il legislatore non abbia manifestamente oltrepassato i limiti della sua discrezionalità».

    184. Le disposizioni relative alla procedura semplificata, pertanto, sarebbero da ritenersi invalide solo nel caso in cui il legislatore comunitario, nel definirle, avesse disconosciuto la portata delle norme citate al precedente paragrafo 179 a tal punto che in esse sia rinvenibile un errore manifesto o un manifesto superamento dei limiti della discrezionalità.

    185. L'art. 129a del Trattato CE (ora, dopo la modifica, art. 153 CE), nella versione del Trattato di Maastricht vigente al momento della emanazione del regolamento n. 258/97, non menzionava ancora espressamente la protezione della salute umana tra gli obiettivi della politica di protezione dei consumatori.

    186. Tuttavia, la protezione della salute era già allora contemplata in altri punti del Trattato. Così l'art. 3, lett. o), del Trattato CE (ora, dopo la modifica, art. 3, n. 1, lett. p), CE) individuava, come obiettivo della Comunità, il contributo ad un elevato livello di protezione della salute. Inoltre, in base all'art. 129, n. 1, comma terzo, del Trattato CE (ora, dopo la modifica, art.152 CE), le esigenze di protezione della salute umana costituivano una componente delle altre politiche della Comunità. Infine, ai sensi dell'art. 130r, n. 1, del Trattato CE (ora, dopo la modifica, art. 174, n. 1, CE), la Comunità, nell'ambito della sua politica in materia ambientale, doveva perseguire lo scopo di proteggere la salute umana.

    187. Anche nella giurisprudenza risalente al periodo precedente all'entrata in vigore del Trattato di Amsterdam, la protezione della salute umana è stata riconosciuta quale componente delle altre politiche della Comunità . L'obiettivo della protezione della salute umana può, in particolare, essere perseguito anche mediante l'emanazione di disposizioni preordinate al ravvicinamento delle legislazioni .

    188. Come ho precedentemente esposto , la protezione della salute umana si pone in stretta connessione con il principio della precauzione, il quale ha valore di principio generale del diritto comunitario anche al di fuori dell'ambito della politica in materia ambientale .

    189. Occorre verificare se la procedura semplificata sia strutturata in modo tale da assicurare un adeguato esame dei nuovi prodotti alimentari che consenta di scoprirne gli eventuali pericoli e renda possibile una congrua valutazione dell'opportunità di immetterli sul mercato.

    190. A tal proposito si deve in primo luogo precisare che la procedura si applica soltanto ad un determinato gruppo di nuovi prodotti alimentari, segnatamente a quelli ottenuti a partire da organismi geneticamente modificati ma che non contengono detti prodotti. Benché tali prodotti alimentari di per sé non siano privi di rischi, in quanto, pur non contenendo più il DNA, presentano pur sempre residui di altro materiale transgenico, tali rischi risultano comunque inferiori rispetto a quelli direttamente derivanti dagli organismi geneticamente modificati.

    191. Un ulteriore presupposto per l'applicazione della procedura semplificata consiste nell'equivalenza sostanziale del nuovo prodotto alimentare con un omologo prodotto tradizionale. L'equivalenza sostanziale, conformemente all'interpretazione sopra proposta, sussiste solo qualora si sia appurato che dalle caratteristiche difformi inserite non derivi alcun rischio significativo per la salute umana.

    192. Conseguentemente, la tesi del giudice a quo, secondo cui in base alla procedura semplificata possono essere immessi sul mercato prodotti alimentari non sottoposti previamente ad un'adeguata valutazione della loro sicurezza, è comunque da respingere in una fattispecie come quella attualmente considerata. Inoltre non è vero che l'esame dell'equivalenza sostanziale - per come esso è stato qui inteso - non fornisca alcuna indicazione sugli effetti per la salute umana dei residui di materiale transgenico rinvenibili nel nuovo prodotto alimentare.

    193. Se in base alla procedura semplificata possono essere immessi sul mercato soltanto prodotti alimentari conformi ai requisiti di cui all'art. 3, n. 4, alla Commissione non può essere rimproverato alcun errore manifesto nell'esercizio del potere discrezionale in occasione della definizione di tale procedura. Affinché, tuttavia, sia effettivamente assicurato il rispetto dei presupposti per la sua applicazione, è necessario un meccanismo di controllo.

    194. Da una parte, un siffatto controllo è assicurato dalla procedura prevista dall'art. 3, n. 4, secondo comma, in combinato disposto con l'art. 13. Tale procedura presenta, tuttavia, l'inconveniente che in questo caso l'esame interviene quando ormai il prodotto alimentare è già stato immesso sul mercato dal soggetto responsabile - l'art. 5, infatti, non obbliga il responsabile ad attendere, per l'immissione sul mercato, fino al momento in cui la Commissione abbia ricevuto la notifica e l'abbia a sua volta trasmessa agli Stati membri. Conseguentemente, i prodotti alimentari possono essere già in commercio nel momento in cui la Commissione - di propria iniziativa o su richiesta di uno Stato membro - si attiva ai sensi dell'art. 3, n. 4, secondo comma, in combinato disposto con l'art. 13.

    195. D'altra parte - almeno nei casi in cui il responsabile non si basi sui dati scientifici universalmente riconosciuti - un esame dell'equivalenza sostanziale viene effettuato da un organismo nazionale preposto alla valutazione dei prodotti alimentari. In tale ipotesi l'art. 3, n. 4, deve essere interpretato nel senso che il responsabile deve acquisire il parere del predetto organismo prima di immettere il prodotto sul mercato. In tal modo, quindi, si garantisce l'effettuazione anche ex ante di un controllo sul principale presupposto per l'applicazione della procedura semplificata.

    196. Tuttavia, il responsabile, nella sua notifica, per dimostrare l'equivalenza sostanziale può basarsi, anziché sulla perizia di un organismo nazionale preposto alla valutazione dei prodotti alimentari, anche sui dati scientifici universalmente riconosciuti. Sennonché il concetto di dati scientifici universalmente riconosciuti è molto impreciso e consente diverse interpretazioni. Soprattutto, in questo caso, non viene effettuata alcuna verifica dell'equivalenza sostanziale da parte di un'autorità amministrativa prima dell'immissione sul mercato del nuovo prodotto alimentare. La procedura, quindi, non è strutturata in modo tale da assicurare adeguatamente che gli eventuali rischi per la salute umana vengano individuati prima dell'immissione sul mercato - come invece sarebbe necessario in virtù del principio della precauzione.

    197. D'altro canto la quarta questione pregiudiziale non si riferisce a questa ipotesi, poiché nella causa principale non si è ricorsi alla possibilità di dimostrare l'equivalenza sostanziale mediante il rinvio ai dati scientifici universalmente riconosciuti. Pertanto, per la decisione della causa principale non è necessario pronunciarsi anche sulla validità di questa parte dell'art. 3, n. 4, del regolamento. Vi sono, tuttavia, alcuni elementi per ritenere invalida al riguardo tale disposizione.

    198. Il giudice a quo fonda le sue critiche alla validità anche sul rilievo che agli Stati membri non spetta una sufficiente possibilità di partecipare alla procedura semplificata. Tali critiche vanno respinte.

    199. Prima di tutto non si comprende per quale motivo tutti gli Stati membri dovrebbero essere coinvolti in tutte le fasi procedurali per garantire la protezione della salute e il rispetto del principio della precauzione. E', invece, sufficiente che il controllo ex ante dell'equivalenza sostanziale rientri nell'esclusiva responsabilità dell'organismo di uno Stato membro preposto alla valutazione dei prodotti alimentari e che gli altri Stati membri debbano riconoscere la decisione di tale organismo - salvo un eventuale riesame in base alla procedura di cui all'art. 3, n. 4, secondo comma, in combinato disposto con l'art. 13.

    200. Attraverso la richiesta di riesame dei presupposti per l'applicazione della procedura semplificata, gli altri Stati membri hanno ancora la possibilità di far valere il loro punto di vista in una successiva fase procedurale. Se le critiche di uno Stato membro si rivelano fondate e si accerta conseguentemente che la procedura semplificata non era applicabile, deve essere esperita la procedura d'autorizzazione, nel corso della quale spettano agli Stati membri ulteriori diritti di partecipazione.

    201. Per completezza, si deve infine osservare che l'art. 12 riconosce agli Stati membri la possibilità di adottare in ogni momento misure protettive qualora sussistano motivi fondati per temere un'esposizione a pericolo della salute umana.

    202. Le disposizioni relative alla procedura semplificata, che assumono rilievo nella causa principale, prendono quindi adeguatamente in considerazione la protezione della salute e il principio della precauzione.

    203. Il giudice a quo menziona altresì il principio di proporzionalità. Non è tuttavia chiaro come tale principio possa avere influenza, nel presente contesto, sulla validità delle disposizioni relative alla procedura semplificata.

    204. Il principio di proporzionalità, che fa parte dei principi generali del diritto comunitario, richiede che gli atti delle istituzioni comunitarie non superino i limiti di ciò che è idoneo e necessario per il conseguimento degli scopi legittimamente perseguiti dalla normativa di cui trattasi, fermo restando che, qualora sia possibile una scelta tra più misure appropriate, si deve ricorrere alla misura meno restrittiva e che gli inconvenienti causati non devono essere sproporzionati rispetto agli scopi perseguiti .

    205. Il giudice a quo, tuttavia, non ritiene affatto che le misure adottate - vale a dire l'introduzione della procedura semplificata per l'immissione sul mercato di determinati nuovi prodotti alimentari - superino i limiti di ciò che è necessario per conseguire lo scopo di proteggere la salute umana. Al contrario tale giudice ritiene che esse non siano sufficienti a raggiungere tale scopo. Egli non invoca affatto l'adozione di misure meno restrittive - come invece potrebbero fare le imprese interessate richiamandosi al principio di proporzionalità -, bensì misure più gravi.

    206. In questo caso non si può applicare il principio di proporzionalità. Se la misura non fosse sufficiente ad assicurare la protezione della salute, la violazione consisterebbe nella inadeguata considerazione della protezione della salute e non nell'inosservanza del principio di proporzionalità.

    207. In conclusione si deve, quindi, constatare che in sede d'esame della quarta questione pregiudiziale non sono emersi motivi per ritenere che il legislatore comunitario, nel disciplinare la procedura semplificata, abbia commesso un manifesto errore di valutazione o abbia palesemente sconfinato dai limiti del suo potere discrezionale.

    V - Conclusione

    208. Alla luce delle considerazioni sopra svolte, propongo alla Corte di risolvere le questioni pregiudiziali nel seguente modo:

    1) L'art. 3, n. 4, del regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio n. 258/97, sui nuovi prodotti e i nuovi ingredienti alimentari, deve essere interpretato nel senso che i prodotti e gli ingredienti alimentari contemplati dall'art. 1, n. 2, lett. b), del citato regolamento possono essere considerati sostanzialmente equivalenti a prodotti o a ingredienti alimentari esistenti e possono conseguentemente essere immessi sul mercato in base alla procedura semplificata per effetto di una notifica, a norma dell'art. 5 del regolamento, anche nell'ipotesi in cui in tali prodotti e ingredienti alimentari siano ancora presenti residui di proteine transgeniche, purché sia dimostrato che tali sostanze non rappresentano un rischio per il consumatore.

    2) Uno Stato membro può adottare misure temporanee conformemente all'art. 12, n. 1, del regolamento n. 258/97, qualora esso a seguito di nuove informazioni o di una nuova valutazione di informazioni già esistenti abbia motivi fondati per ritenere che l'utilizzazione dei prodotti in questione presenti rischi per la salute umana o per l'ambiente. La fondatezza di tali motivi deve essere accertata con decisione della Commissione o del Consiglio conformemente all'art. 12, n. 2, in combinato disposto con l'art. 13 del regolamento. Le misure temporanee possono essere mantenute fino all'adozione della predetta decisione.

    3) La Commissione, nella procedura semplificata di cui all'art. 5 del regolamento n. 258/97, non adotta alcuna decisione tacita in merito all'autorizzazione dei prodotti alimentari, di cui le viene notificata l'immissione sul mercato.

    4) Dall'esame della quarta questione pregiudiziale non sono emersi vizi di validità delle disposizioni relative alla procedura semplificata di cui all'art. 3, n. 4, e all'art. 5 del regolamento n. 258/97, nella parte in cui tali disposizioni richiedono - come è avvenuto nel presente caso - la produzione del parere di un organismo nazionale preposto alla valutazione dei prodotti alimentari per dimostrare l'equivalenza sostanziale.

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