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Documento 61999CJ0366

Sentenza della Corte del 29 novembre 2001.
Joseph Griesmar contro Ministre de l'Economie, des Finances et de l'Industrie e Ministre de la Fonction publique, de la Réforme de l'Etat et de la Décentralisation.
Domanda di pronuncia pregiudiziale: Conseil d'Etat - Francia.
Politica sociale - Parità di trattamento tra gli uomini e le donne - Applicabilità dell'art. 119 del Trattato CE (gli artt. 117-120 del Trattato CE sono stati sostituiti dagli artt. 136 CE-143 CE) o della direttiva 79/7 CEE - Regime francese delle pensioni di vecchiaia civili e militari - Maggiorazione di anzianità per figli riservata ai dipendenti pubblici di sesso femminile - Ammissibilità con riguardo all'art. 6, n. 3, dell'accordo sulla politica sociale o alle disposizioni della direttiva 79/7/CEE.
Causa C-366/99.

Raccolta della Giurisprudenza 2001 I-09383

Identificatore ECLI: ECLI:EU:C:2001:648

61999J0366

Sentenza della Corte del 29 novembre 2001. - Joseph Griesmar contro Ministre de l'Economie, des Finances et de l'Industrie et Ministre de la Fonction publique, de la Réforme de l'Etat et de la Décentralisation. - Domanda di pronuncia pregiudiziale: Conseil d'Etat - Francia. - Politica sociale - Parità di trattamento tra gli uomini e le donne - Applicabilità dell'art. 119 del Trattato CE (gli artt. 117-120 del Trattato CE sono stati sostituiti dagli artt. 136 CE-143 CE) o della direttiva 79/7 CEE - Regime francese delle pensioni di vecchiaia civili e militari - Maggiorazione di anzianità per figli riservata ai dipendenti pubblici di sesso femminile - Ammissibilità con riguardo all'art. 6, n. 3, dell'accordo sulla politica sociale o alle disposizioni della direttiva 79/7/CEE. - Causa C-366/99.

raccolta della giurisprudenza 2001 pagina I-09383


Massima
Parti
Motivazione della sentenza
Decisione relativa alle spese
Dispositivo

Parole chiave


1. Politica sociale Lavoratori di sesso maschile e lavoratori di sesso femminile Parità di retribuzione Retribuzione Nozione Regime delle pensioni di vecchiaia dei dipendenti pubblici versate a causa del rapporto di lavoro Inclusione

[Trattato CE, art. 119 (gli artt. 117-120 del Trattato CE sono stati sostituiti con gli artt. 136 CE - 143 CE)]

2. Politica sociale Lavoratori di sesso maschile e lavoratori di sesso femminile Parità di retribuzione Art. 119 del Trattato (gli artt. 117-120 del Trattato CE sono stati sostituiti con gli artt. 136 CE - 143 CE) Maggiorazione di anzianità per il calcolo della pensione di vecchiaia riservata ai dipendenti di sesso femminile aventi avuto figli Esclusione dal beneficio di detta maggiorazione dei dipendenti di sesso maschile in grado di provare di aver preso a carico l'educazione dei figli Inammissibilità

[Trattato CE, art. 119 (gli artt. 117-120 del Trattato CE sono stati sostituiti con gli artt. 136 CE - 143 CE); Accordo sulla politica sociale, art. 6, n. 3]

Massima


1. Le pensioni erogate sulla base di un regime quale il regime pensionistico francese dei pubblici dipendenti rientrano nella sfera di applicazione dell'art. 119 del Trattato CE (gli artt. 117-120 del Trattato CE sono stati sostituiti dagli artt. 136 CE - 143 CE).

Infatti, la pensione erogata in base a detto regime, che è direttamente in funzione della durata del servizio prestato e il cui importo è calcolato sulla base dello stipendio percepito dall'interessato nel corso degli ultimi sei mesi di attività, risponde al criterio relativo alla constatazione che la pensione è corrisposta al lavoratore per il rapporto di lavoro tra l'interessato e il suo ex datore di lavoro, vale a dire il criterio dell'impiego, che la Corte, nella sentenza 28 settembre 1994, causa C-7/93, Beune, ha ritenuto determinante ai fini della qualificazione, con riguardo all'art. 119 del Trattato, delle pensioni corrisposte sulla base di un regime pensionistico dei dipendenti pubblici.

( v. punti 28, 34-35, 38 e dispositivo )

2. Malgrado il disposto dell'art. 6, n. 3, dell'accordo sulla politica sociale, che consente agli Stati membri di mantenere o di emanare misure che prevedano vantaggi specifici intesi a facilitare l'esercizio di un'attività professionale da parte delle donne ovvero ad evitare o compensare svantaggi nella loro carriera professionale, il principio della parità delle retribuzioni è violato da una disposizione nazionale che riservi ai dipendenti pubblici di sesso femminile aventi avuto figli una maggiorazione di anzianità per il calcolo della pensione di vecchiaia, in quanto esclude dal beneficio di detta maggiorazione i dipendenti pubblici di sesso maschile che siano in grado di provare di aver preso a carico l'onere di allevare i propri figli.

A tale riguardo, in primo luogo, sebbene la maggiorazione controversa nella causa principale venga concessa, in particolare, ai dipendenti di sesso femminile per i loro figli biologici, la sua concessione non è connessa al congedo di maternità o agli svantaggi che deriverebbero, ai fini della carriera, ad un dipendente pubblico di sesso femminile in conseguenza della sua lontananza dal servizio per il periodo successivo al parto. Al contrario, tale maggiorazione è connessa ad un altro periodo, vale a dire a quello dedicato ad allevare figli. In secondo luogo, non consentendo ad un dipendente pubblico di sesso maschile il quale abbia preso a carico l'onere di allevare i propri figli di chiedere la maggiorazione di cui trattasi, anche ove sia in grado di provare di aver effettivamente preso a carico tale onere, la disposizione nazionale introduce una disparità di trattamento in base al sesso nei confronti dei dipendenti pubblici di sesso maschile che abbiano effettivamente preso a carico l'onere di allevare i propri figli.

Peraltro, la maggiorazione istituita dalla disposizione nazionale non costituisce un provvedimento a misura di cui all'art. 6, n. 3, dell'accordo sulla politica sociale, in quanto i provvedimenti nazionali contemplati da tale disposizione debbono, in ogni caso, contribuire ad aiutare la donna a vivere la propria vita lavorativa su un piano di parità rispetto all'uomo. Orbene, il provvedimento di cui trattasi si limita a concedere ai dipendenti pubblici di sesso femminile che abbiano la qualità di madre una maggiorazione di anzianità al momento del loro collocamento a riposo, senza porre rimedio ai problemi che essi possono incontrare nel corso della loro carriera lavorativa.

( v. punti 52-53, 57-58, 62-65 e dispositivo )

Parti


Nel procedimento C-366/99,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, a norma dell'art. 234 CE, dal Conseil d'État (Francia), nella causa dinanzi ad esso pendente tra

Joseph Griesmar

e

Ministre de l'Économie, des Finances et de l'Industrie,

Ministre de la Fonction publique, de la Réforme de l'État et de la Décentralisation,

domanda vertente sull'interpretazione degli artt. 119 del Trattato CE (gli artt. 117-120 del Trattato CE sono stati sostituiti dagli artt. 136 CE-143 CE) e 6, n. 3, dell'accordo sulla politica sociale (GU 1992, C 191, pag. 91), nonché della direttiva del Consiglio 19 dicembre 1978, 79/7/CEE, relativa alla graduale attuazione del principio di parità di trattamento tra gli uomini e le donne in materia di sicurezza sociale (GU 1979, L 6, pag. 24),

LA CORTE,

composta dai sigg. G.C. Rodríguez Iglesias, presidente, P. Jann, dalle sigg.re F. Macken e N. Colneric, e dal sig. S. von Bahr, presidenti di sezione, dai sigg. A. La Pergola, J.-P. Puissochet, L. Sevón, M. Wathelet, V. Skouris (relatore) e J.N. Cunha Rodrigues, giudici,

avvocato generale: S. Alber

cancelliere: sig.ra L. Hewlett, amministratore

viste le osservazioni scritte presentate:

per il sig. Griesmar, dall'avv. H. Masse-Dessen, avocat;

per il governo francese, dalla sig.ra K. Rispal-Bellanger e dal sig. A. Lercher, in qualità di agenti;

per il governo belga, dal sig. P. Rietjens, in qualità di agente;

per la Commissione delle Comunità europee, dalla sig.ra H. Michard, in qualità di agente,

vista la relazione d'udienza,

sentite le osservazioni orali del sig. Griesmar, rappresentato dall'avv. H. Masse-Dessen, del governo francese, rappresentato dalla sig.ra C. Bergeot, in qualità di agente, e della Commissione, rappresentata dalla sig.ra H. Michard, all'udienza del 9 gennaio 2001,

sentite le conclusioni dell'avvocato generale, presentate all'udienza del 22 febbraio 2001,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

Motivazione della sentenza


1 Con ordinanza 28 luglio 1999, pervenuta alla Corte il 4 ottobre seguente, il Conseil d'État ha sottoposto a questa Corte, ai sensi dell'art. 234 CE, due questioni pregiudiziali relative all'interpretazione degli artt. 119 del Trattato CE (gli artt. 117-120 del Trattato CE sono stati sostituiti dagli artt. 136 CE-143 CE) e 6, n. 3, dell'accordo sulla politica sociale (GU 1992, C 191, pag. 91), nonché della direttiva del Consiglio 19 dicembre 1978, 79/7/CEE, relativa alla graduale attuazione del principio di parità di trattamento tra gli uomini e le donne in materia di sicurezza sociale (GU 1979, L 6, pag. 24).

2 Tali questioni sono state sollevate nell'ambito di una controversia tra il sig. Griesmar, da un lato, e il Ministre de l'Economie, des Finances et de l'Industrie nonch0é il Ministre de la Fonction publique, de la Réforme de l'État e de la Décentralisation, dall'altro, in merito alla legittimità del decreto con cui è stata concessa al sig. Griesmar una pensione di vecchiaia.

Il contesto normativo

Il diritto comunitario

3 L'art. 119, primo e secondo comma, del Trattato recita:

«Ciascuno Stato membro assicura durante la prima tappa, e in seguito mantiene, l'applicazione del principio della parità delle retribuzioni fra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile per uno stesso lavoro.

Per retribuzione deve essere inteso, ai sensi del presente articolo, il salario o trattamento normale di base o minimo e tutti gli altri vantaggi pagati direttamente o indirettamente, in contanti o in natura, dal datore di lavoro al lavoratore in ragione dell'impiego di quest'ultimo».

4 L'accordo sulla politica sociale è entrato in vigore alla stessa data del Trattato CE, vale a dire il 1° novembre 1993.

5 L'art. 6, nn. 1 e 2, dell'accordo sulla politica sociale richiama le norme stabilite dall'art. 119 del Trattato. L'art. 6, n. 3, del detto accordo, così recita:

«3. Il presente articolo non osta a che uno Stato membro mantenga o adotti misure che prevedano vantaggi specifici intesi a facilitare l'esercizio di un'attività professionale da parte delle donne ovvero a evitare o compensare svantaggi nella loro carriera professionale».

6 A partire dal 1° maggio 1999, l'art. 141 CE così dispone:

«1. Ciascuno Stato membro assicura l'applicazione del principio della parità di retribuzione tra lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore.

(...)

4. Allo scopo di assicurare l'effettiva e completa parità tra uomini e donne nella vita lavorativa, il principio della parità di trattamento non osta a che uno Stato membro mantenga o adotti misure che prevedano vantaggi specifici diretti a facilitare l'esercizio di un'attività professionale da parte del sesso sottorappresentato ovvero a evitare o compensare svantaggi nelle carriere professionali».

7 La direttiva 79/7, all'art. 3, n. 1, lett. a), prevede quanto segue:

«La presente direttiva si applica:

a) ai regimi legali che assicurano una protezione contro i rischi seguenti:

(...)

(...)

vecchiaia,

(...)».

8 L'art. 4 dispone:

«1. Il principio della parità di trattamento implica l'assenza di qualsiasi discriminazione direttamente o indirettamente fondata sul sesso, in particolare mediante riferimento allo stato matrimoniale o di famiglia, specificamente per quanto riguarda:

il campo di applicazione dei regimi e le condizioni di ammissione ad essi,

l'obbligo di versare i contributi e il calcolo degli stessi,

il calcolo delle prestazioni, comprese le maggiorazioni da corrispondere per il coniuge e per le persone a carico, nonché le condizioni relative alla durata e al mantenimento del diritto alle prestazioni.

2. Il principio della parità di trattamento non pregiudica le disposizioni relative alla protezione della donna a motivo della maternità».

9 Ai sensi dell'art. 7 della direttiva medesima:

«1. La presente direttiva non pregiudica la facoltà degli Stati membri di escludere dal suo campo di applicazione:

a) la fissazione del limite di età per la concessione della pensione di vecchiaia e di fine lavoro e le conseguenze che possono derivarne per altre prestazioni;

b) i vantaggi accordati in materia di assicurazione vecchiaia alle persone che hanno provveduto all'educazione dei figli; l'acquisto di diritti alle prestazioni a seguito di periodi di interruzione del lavoro dovuti all'educazione dei figli;

(...)

2. Gli Stati membri esaminano periodicamente le materie escluse ai sensi del paragrafo 1 al fine di valutare se, tenuto conto dell'evoluzione sociale in materia, sia giustificato mantenere le esclusioni in questione».

Il diritto nazionale

10 Il regime pensionistico francese dei dipendenti pubblici è stabilito dal code des pensions civiles et militaires de retraite (codice delle pensioni di vecchiaia civili e militari; in prosieguo: il «codice»). Il codice attualmente in vigore è quello risultante dalla legge 26 dicembre 1964, n. 64-1339 (JORF del 30 dicembre 1964), che ha sostituito il precedente codice allegato al decreto 23 maggio 1951, n. 51-590, nonché da diverse modifiche successive.

11 L'art. L. 1 del codice recita:

«La pensione consiste in un assegno pecuniario personale e vitalizio concesso ai dipendenti pubblici civili e militari e, successivamente al loro decesso, ai rispettivi aventi causa designati dalla legge, a titolo di retribuzione per il servizio prestato sino alla regolare cessazione delle funzioni.

L'importo della pensione, che tiene conto del livello, della durata e della natura del servizio prestato, garantisce al beneficiario, al termine della carriera, condizioni materiali di vita corrispondenti alla dignità delle rispettive funzioni».

12 A termini dell'art. L. 12, lett. b), del codice:

«Al servizio effettivamente prestato si aggiungono, alle condizioni stabilite con regolamento amministrativo, le seguenti maggiorazioni:

(...)

b) maggiorazione concessa ai dipendenti pubblici di sesso femminile per ciascun figlio legittimo, per ciascun figlio naturale riconosciuto o per ciascun figlio adottivo nonché, a condizione che sia stato provveduto alla loro educazione per almeno nove anni prima del compimento del loro ventunesimo anno di età, per ciascuno degli altri figli elencati all'art. L. 18, n. II».

13 I figli di cui all'art. L. 18, n. II, del codice, sono i seguenti:

«I figli legittimi, i figli naturali riconosciuti ed i figli adottivi del titolare della pensione;

I figli del coniuge nati da precedente matrimonio, i figli naturali riconosciuti ed i figli adottivi del coniuge medesimo;

I minori per i quali la patria potestà sia stata delegata al titolare della pensione o al coniuge del medesimo;

I minori posti sotto tutela del titolare della pensione o del coniuge del medesimo, qualora la tutela sia accompagnata dall'affidamento effettivo e permanente del minore;

I minori accolti nel nucleo familiare dal titolare della pensione o dal coniuge del medesimo che comprovi, alle condizioni stabilite con decreto previo parere del Conseil d'État, di averli presi effettivamente e permanentemente a proprio carico».

14 L'art. R. 13 del codice dispone:

«La maggiorazione prevista dall'art. L. 12, lett. b), a favore dei dipendenti pubblici di sesso femminile è di un anno per ciascun loro figlio legittimo, naturale riconosciuto nonché per ciascun altro loro figlio che, alla data della loro cancellazione dai ruoli, sia stato educato alle condizioni e per la durata prevista dal detto articolo».

15 Per quanto attiene alla determinazione dell'importo della pensione, gli artt. L. 13-L. 15, primo comma, del codice stabiliscono:

«Art. L. 13.

La durata del servizio e delle maggiorazioni di anzianità utili ai fini della liquidazione è espressa in annualità liquidabili. Ogni quota annua liquidabile è retribuita in ragione del 2% degli emolumenti base relativi al coefficiente retributivo stabilito all'art. L. 15.

Art. L. 14.

Il tetto massimo delle annualità liquidabili ai fini della pensione civile o militare è fissato in trentasette quote e mezza.

Tale massimale può essere elevato a quaranta annualità per effetto delle maggiorazioni previste all'art. L. 12.

Art. L. 15.

Gli emolumenti base sono costituiti dagli ultimi emolumenti assoggettati a ritenuta relativi al coefficiente corrispondente al posto, al grado, alla classe e allo scatto effettivamente attribuiti, da almeno sei mesi, al dipendente pubblico civile o militare al momento della cessazione del servizio utile ai fini pensionistici (...)».

I fatti della causa principale e le questioni pregiudiziali

16 Al sig. Griesmar, magistrato, padre di tre figli, veniva concessa, con decreto 1° luglio 1991, ai sensi del codice, una pensione di vecchiaia.

17 Ai fini del calcolo di tale pensione venivano presi in considerazione gli anni di servizio effettivi compiuti dal sig. Griesmar, senza però tener conto della maggiorazione prevista dall'art. L. 12, lett. b), del codice, di cui i dipendenti pubblici di sesso femminile beneficiano per ciascuno dei propri figli.

18 Con ricorso iscritto a ruolo il 7 settembre 1992, integrato con memoria del 25 novembre 1992, il sig. Griesmar impugnava dinanzi al Conseil d'État il decreto 1º luglio 1991 chiedendone l'annullamento nella parte in cui il decreto aveva preso in considerazione unicamente le quote annue corrispondenti agli anni di servizio effettivi, senza aggiungervi la maggiorazione prevista dall'art. L. 12, lett. b), del codice a favore dei dipendenti pubblici di sesso femminile per ciascun loro figlio.

19 A sostegno del ricorso, il sig. Griesmar faceva valere, segnatamente, che l'art. L. 12, lett. b), del codice era in contrasto con l'art. 119 del Trattato, con gli obiettivi della direttiva del Consiglio 24 luglio 1986, 86/368/CEE, relativa all'attuazione del principio della parità di trattamento tra gli uomini e le donne nel settore dei regimi professionali di sicurezza sociale (GU L 225, pag. 40), nonché con gli obiettivi della direttiva 79/7.

20 Ciò premesso, il Conseil d'État decideva di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1) Se le pensioni erogate dal regime pensionistico francese dei dipendenti pubblici rientrino nel novero delle retribuzioni di cui all'art. 119 del Trattato di Roma (art. 141 del Trattato che istituisce la Comunità europea). In caso affermativo, tenuto conto di quanto stabilito dall'art. 6, n. 3, dell'accordo allegato al protocollo n. 14 sulla politica sociale, se il principio della parità delle retribuzioni sia violato dall'art. L. 12, lett b), del code des pensions civiles et militaires de retraite.

2) Se, nell'ipotesi in cui non dovesse trovare applicazione l'art. 119 del Trattato di Roma, le disposizioni della direttiva 19 dicembre 1978, 79/7/CEE, ostino a che la Francia mantenga in vigore disposizioni come quelle dell'art. L. 12, lett. b), del code des pensions civiles et militaires de retraite».

Sulla prima questione

Quanto all'applicazione ratione temporis delle disposizioni comunitarie di cui alla prima questione

21 Dato che, da un lato, l'accordo sulla politica sociale è entrato in vigore il 1º novembre 1993 e che, dall'altro, a decorrere dal 1º maggio 1999, data di entrata in vigore del Trattato di Amsterdam, l'art. 119 del Trattato è divenuto l'art. 141 CE, il quale ha aggiunto al testo del detto art. 119 un quarto comma che riproduce quasi esattamente l'art. 6, n. 3, dell'accordo sulla politica sociale, il governo francese si chiede quale testo debba essere preso in considerazione ai fini della soluzione della prima questione.

22 A tal riguardo il governo francese fa presente che, prendendo in considerazione la data del decreto di concessione della pensione di vecchiaia al sig. Griesmar, vale a dire il 1º luglio 1991, il testo applicabile risulterebbe quello dell'art. 119 del Trattato, senza necessità di far riferimento all'accordo sulla politica sociale, concluso successivamente. Per contro, ove si prende in considerazione la data della decisione di rinvio pregiudiziale, vale a dire il 28 luglio 1999, il testo applicabile sarebbe quella dell'art. 141 CE. A quest'ultima data potrebbe essere parimenti invocato, ad ogni buon fine, l'accordo sulla politica sociale, atteso che il Trattato di Amsterdam non ha abrogato il protocollo cui tale accordo è allegato, vale a dire il protocollo n. 14 sulla politica sociale allegato al Trattato CE (in prosieguo: il «protocollo sulla politica sociale»). A parere del governo francese, non vi sarebbe motivo per porsi ad una data successiva all'entrata in vigore del Trattato CE e anteriore all'entrata in vigore del Trattato di Amsterdam.

23 Risulta tuttavia chiaramente dalla lettura della decisione di rinvio pregiudiziale nel suo complesso che, con la prima questione, il Conseil d'État ha inteso interpellare la Corte in ordine all'interpretazione degli artt. 119 del Trattato e 6, n. 3, dell'accordo sulla politica sociale. L'art. 141 CE è sì menzionato nella prima questione accanto all'art. 119 del Trattato, ma in via incidentale e al fine di indicare la numerazione attribuita, a seguito dell'entrata in vigore del Trattato di Amsterdam, alla norma che ha sostituito l'art. 119 del Trattato. Infatti, non vi sono elementi, nella decisione di rinvio, che consentano di ritenere che il Conseil d'État abbia intesto proporre alla Corte una questione relativa all'interpretazione dell'art. 141 CE e, in particolare, del n. 4 del medesimo.

24 Ciò premesso, per risolvere la prima questione occorre prendere in considerazione gli artt. 119 del Trattato e 6, n. 3, dell'accordo sulla politica sociale.

Quanto alla prima parte

25 Con la prima parte della prima questione il giudice a quo chiede, sostanzialmente, se le pensioni erogate in base ad un regime quale il regime pensionistico francese dei dipendenti pubblici rientrino nella sfera di applicazione dell'art. 119 del Trattato.

26 A termini dell'art. 119, secondo comma, del Trattato, si deve intendere per «retribuzione», ai sensi di tale articolo, «il salario o trattamento normale di base o minimo e tutti gli altri vantaggi pagati direttamente o indirettamente, in contanti o in natura, dal datore di lavoro al lavoratore in ragione dell'impiego di quest'ultimo».

27 Secondo una giurisprudenza costante, se vantaggi aventi il carattere di prestazioni previdenziali non sono, in linea di principio, estranei alla nozione di retribuzione, non si può tuttavia ricomprendere in questa nozione, quale è stata circoscritta dall'art. 119, i regimi o le prestazioni previdenziali, come le pensioni di vecchiaia, direttamente disciplinati dalla legge al di fuori di qualsiasi concertazione nell'ambito dell'impresa o della categoria professionale interessata e obbligatori per categorie generali di lavoratori. Questi regimi permettono infatti ai lavoratori di fruire di un sistema legale al cui finanziamento i lavoratori, i datori di lavoro ed eventualmente la pubblica amministrazione contribuiscono non tanto in funzione del rapporto di lavoro tra il datore di lavoro e il lavoratore, quanto in base a considerazioni di politica sociale. (V., in particolare, sentenze 25 maggio 1971, causa 80/70, Defrenne, Racc. pag. 445, punti 7 e 8; 13 maggio 1986, causa 170/84, Bilka, Racc. pag. 1607, punti 17 e 18; 17 maggio 1990, causa C-262/88, Barber, Racc. pag. I-1889, punti 22 e 23, e 28 settembre 1994, causa C-7/93, Beune, Racc. pag. I-4471, punto 24).

28 Nel risolvere la questione se le pensioni erogate sulla base di un regime pensionistico dei dipendenti pubblici come quello istituito dalla Allgemene Burgerlijke Pensioenwet (legge olandese che detta il regime generale delle pensioni civili) rientrassero nella sfera di applicazione dell'art. 119 del Trattato, la Corte ha precisato, ai punti 23 e 43 della citata sentenza Beune, che, tra i criteri da essa accolti a seconda delle situazioni sottopostele ai fini della qualificazione di un regime pensionistico, soltanto il criterio relativo alla constatazione che la pensione è corrisposta al lavoratore per il rapporto di lavoro tra l'interessato e il suo ex datore di lavoro, vale a dire il criterio dell'impiego, desunto dalla lettera stessa dell'art. 119 del Trattato, poteva avere carattere determinante.

29 E' vero che la Corte ha riconosciuto che a tale criterio non si può attribuire carattere esclusivo, atteso che le pensioni corrisposte dai regimi legali previdenziali possono, in tutto o in parte, tener conto della retribuzione dell'attività lavorativa. (v. citata sentenza Beune, punto 44).

30 Tuttavia, le considerazioni di politica sociale, di organizzazione dello Stato, di etica o anche le preoccupazioni di bilancio che hanno avuto o hanno potuto avere un ruolo nella determinazione di un regime da parte del legislatore nazionale non possono considerarsi prevalenti se la pensione interessi soltanto una categoria particolare di lavoratori, se sia direttamente funzione degli anni di servizio prestati e se il suo importo sia calcolato in base all'ultimo stipendio del dipendente pubblico. La pensione corrisposta dal datore di lavoro pubblico è in tal caso del tutto simile a quella che verserebbe un datore di lavoro privato ai suoi ex dipendenti (v. citata sentenza Beune, punto 45).

31 Per quanto attiene al regime controverso nella causa principale, si deve rilevare, in primo luogo, che i dipendenti pubblici che ne beneficiano devono essere considerati come una categoria particolare di lavoratori. Infatti, essi si distinguono dai lavoratori di un'impresa o di un gruppo di imprese, di un comparto economico o di un settore professionale o interprofessionale soltanto in ragione delle caratteristiche peculiari che disciplinano il loro rapporto di lavoro con lo Stato, con altri enti o datori di lavoro pubblici (v., in tal senso, citata sentenza Beune, punto 42).

32 In secondo luogo, emerge dall'art. L. 1 del codice che la pensione ivi prevista è concessa a titolo di retribuzione per il servizio prestato dai dipendenti pubblici sino alla regolare cessazione delle funzioni e che il suo importo tiene conto del livello, della durata e della natura del servizio prestato.

33 Dagli artt. L. 13-L. 15 del codice e dalle precisazioni fornite dal governo francese nel corso del procedimento dinanzi alla Corte risulta che tale importo deriva dal prodotto di una percentuale applicata ad un importo base. La percentuale è costituita da annualità, le quali sono in funzione degli anni di servizio riconosciuti. Ogni annualità è pari al 2%, fermo restando che la percentuale risultante dal computo degli anni di servizio non può superare il 75%. L'importo base è costituito dallo stipendio corrispondente all'ultimo coefficiente retributivo applicabile al dipendente pubblico nel corso degli ultimi sei mesi di attività. Tale coefficiente dipende dal livello di impiego, vale a dire dal grado, e dal periodo di durata dell'impiego, vale a dire dall'anzianità, che si traduce in scatti. Al numero di annualità possono essere aggiunte varie maggiorazioni.

34 Ne consegue che la pensione erogata in base al regime pensionistico francese dei pubblici dipendenti è direttamente in funzione della durata del servizio prestato e che il suo importo è calcolato sulla base dello stipendio percepito dall'interessato nel corso degli ultimi sei mesi di attività.

35 Tale pensione risponde pertanto al criterio del rapporto di lavoro che, nella menzionata sentenza Beune, la Corte ha ritenuto determinante ai fini della qualificazione, con riguardo all'art. 119 del Trattato, delle pensioni corrisposte sulla base di un regime pensionistico dei dipendenti pubblici.

36 E' vero che il governo francese ha rilevato, senza essere contraddetto, che, a differenza del regime olandese oggetto della citata sentenza Beune, che costituiva un regime di pensioni integrative funzionante mediante capitalizzazione e fondato su una gestione paritetica, il regime pensionistico francese dei dipendenti pubblici costituisce un regime di base, nell'ambito del quale l'importo delle pensioni erogate non è garantito da un ente previdenziale, ma risulta direttamente dalla legge finanziaria annuale, senza che si verifichi quindi alcuna gestione né capitalizzazione di un qualsiasi fondo.

37 Tuttavia, come emerge dai punti 37 e 38 della menzionata sentenza Beune, né il criterio relativo al carattere integrativo di una pensione rispetto ad una pensione base erogata da un regime legale previdenziale né il criterio relativo alle modalità di finanziamento e di gestione di un regime pensionistico sono determinanti al fine di valutare se il regime interessato rientri o meno nella sfera di applicazione dell'art. 119 del Trattato.

38 Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre quindi risolvere la prima parte della prima questione nel senso che le pensioni erogate sulla base di un regime quale il regime pensionistico francese dei dipendenti pubblici rientrano nella sfera di applicazione dell'art. 119 del Trattato.

Quanto alla seconda parte

Sull'esistenza di una disparità di trattamento in base al sesso

39 Si deve rilevare, in via preliminare, che il principio di uguaglianza delle retribuzioni, sancito dall'art. 119 del Trattato, così come il divieto generale di discriminazione di cui esso è espressione particolare, presuppone che i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile che ne beneficiano si trovino in situazioni paragonabili (v. sentenza 16 settembre 1999, causa C-218/98, Abdoulaye e a., Racc. pag. I-5723, punto 16).

40 Pertanto, ai fini della soluzione della seconda parte della prima questione, occorre accertare se, con riguardo alla concessione della maggiorazione d'anzianità controversa nella causa principale, le situazioni di un dipendente pubblico di sesso maschile e di un dipendente pubblico di sesso femminile, rispettivamente padre e madre di figli, siano paragonabili.

41 Al riguardo, risulta dalla giurisprudenza della Corte che, ai fini dell'applicazione del principio della parità delle retribuzioni, la situazione di un lavoratore di sesso maschile non è paragonabile a quella di un lavoratore di sesso femminile qualora il vantaggio concesso al solo lavoratore di sesso femminile sia destinato a compensare svantaggi professionali derivanti ad un tale lavoratore in seguito all'allontanamento dal posto di lavoro che il congedo di maternità comporta (v. la menzionata sentenza Abdoulaye, punti 18, 20 e 22).

42 La Corte ha precisato la portata della tutela, che il diritto comunitario garantisce alla donna in considerazione della maternità, nella propria giurisprudenza in ordine all'art. 2, n. 3, della direttiva del Consiglio 9 febbraio 1976, 76/207/CEE, relativa all'attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l'accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro (GU L 39, pag. 40), ai sensi del quale «la presente direttiva non pregiudica le disposizioni relative alla protezione della donna, in particolare per quanto riguarda la gravidanza e la maternità».

43 Ai sensi di tale giurisprudenza, l'art. 2, n. 3, della direttiva 76/207 mira a garantire, da una parte, la protezione della condizione biologica della donna e, dall'altra, le relazioni particolari tra la donna e il figlio durante il periodo successivo alla gravidanza ed al parto, evitando che queste relazioni siano turbate dal cumulo degli oneri derivanti dal fatto di dover contemporaneamente svolgere un'attività lavorativa (v. sentenze 12 luglio 1984, causa 184/83, Hofmann, Racc. pag. 3047, punto 25; 15 maggio 1986, causa 222/84, Johnston, Racc. pag. 1651, punto 44; 25 ottobre 1988, causa 312/86, Commissione/Francia, Racc. pag. 6315, punto 13, e 11 gennaio 2000, causa C-285/98, Kreil, Racc. pag. I-69, punto 30).

44 Se la Corte ha affermato che il permesso di maternità, concesso alla donna dopo la scadenza del periodo legale di tutela, rientra nella sfera di applicazione dell'art. 2, n. 3, della direttiva n. 76/207 (sentenza Hofmann, citata, punto 26), essa ha parimenti precisato che provvedimenti intesi alla protezione della donna in qualità di genitore, qualità che può essere propria dei lavoratori di sesso maschile come di quelli di sesso femminile, non possono trovare giustificazione nella detta disposizione della direttiva (v. citata sentenza Commissione/Francia, punto 14).

45 Le considerazioni svolte ai punti 43 e 44 della presente sentenza sono valide anche per valutare se le situazioni di un lavoratore di sesso maschile e di un lavoratore di sesso femminile siano paragonabili, ai fini dell'applicazione del principio della parità delle retribuzioni, con riguardo ad un provvedimento che riservi ai lavoratori di sesso femminile che abbiano avuto figli una maggiorazione di anzianità ai fini del calcolo della pensione di vecchiaia.

46 Occorre quindi accertare se tale maggiorazione sia diretta a compensare svantaggi professionali derivanti ai dipendenti pubblici di sesso femminile dalla loro lontananza dal posto di lavoro durante il periodo successivo al parto, nel qual caso la situazione di un lavoratore di sesso maschile non è paragonabile a quella di un lavoratore di sesso femminile, ovvero se tale maggiorazione sia essenzialmente intesa a compensare svantaggi professionali derivanti ai dipendenti pubblici di sesso femminile dal fatto di aver provveduto all'educazione dei figli, ipotesi in cui occorrerà esaminare se le situazioni di un dipendente pubblico di sesso maschile e di un dipendente pubblico di sesso femminile siano paragonabili.

47 Si deve rilevare al riguardo che, per quanto attiene ai requisiti di concessione della maggiorazione controversa nella causa principale, l'art. L. 12, lett. b), del codice opera una distinzione tra i figli legittimi, i figli naturali riconosciuti ed i figli adottivi del titolare della pensione, da un lato, e, dall'altro, gli altri figli indicati all'art. L. 18, n. II del codice.

48 Mentre, per quanto attiene alla prima categoria di figli, la maggiorazione è concessa al dipendente pubblico di sesso femminile senza ulteriori condizioni, la concessione della maggiorazione al dipendente pubblico di sesso femminile per la seconda categoria di figli è subordinata alla condizione di aver provveduto alla loro educazione per almeno nove anni prima del compimento del loro ventunesimo anno di età.

49 Il sig. Griesmar fa valere che la sua qualità di padre deriva dalla presenza di figli della prima categoria e che, a tal riguardo, la sua situazione è paragonabile a quella di un dipendente di sesso femminile avente figli del genere. Egli ha rilevato, in particolare, che, a differenza della maggiorazione stabilita mediante rinvio all'art. L. 18, n. II, del codice, quella per i figli della prima categoria è concessa al dipendente pubblico di sesso femminile unicamente in ragione della sua qualità di madre, senza che debba provare di aver provveduto all'educazione di tali figli.

50 Il sig. Griesmar aggiunge che, per quanto riguarda tali figli, la maggiorazione non è diretta a compensare svantaggi professionali connessi alla condizione di madre, in quanto la sua concessione non è legata all'assenza dal servizio conseguente al congedo di maternità. Da una parte, la maggiorazione verrebbe concessa addirittura per figli nati quando la madre non aveva ancora o aveva già perduto la qualità di dipendente pubblico. D'altra parte, la maggiorazione si applicherebbe anche per figli adottivi, mentre il congedo di adozione viene concesso indifferentemente al padre o alla madre. Inoltre, la maggiorazione sarebbe di un anno, mentre né il congedo di maternità né quello di adozione raggiungono tale durata.

51 Il governo francese precisa, dal canto suo, che la maggiorazione controversa nella causa principale è stata riservata ai dipendenti pubblici di sesso femminile che abbiano avuto figli al fine di tener conto di una realtà sociale, vale a dire gli svantaggi che tali dipendenti subiscono nello sviluppo della propria carriera lavorativa a seguito del ruolo preponderante loro assegnato nell'educazione dei figli. Tale maggiorazione avrebbe dunque ad oggetto la compensazione degli svantaggi incontrati nella loro vita lavorativa dai dipendenti pubblici di sesso femminile che abbiano avuto figli, quand'anche essi non abbiano cessato di lavorare per provvedere alla loro educazione.

52 A tal riguardo si deve rilevare, in primo luogo, che, sebbene la maggiorazione controversa nella causa principale venga concessa, in particolare, ai dipendenti di sesso femminile per i loro figli legittimi e naturali, quindi per i loro figli biologici, la sua concessione non è connessa al congedo di maternità o agli svantaggi che deriverebbero, ai fini della carriera, ad un dipendente pubblico di sesso femminile in conseguenza della sua lontananza dal servizio per il periodo successivo al parto. Infatti, da un lato, l'art. L. 12, lett. b), del codice non contiene alcun elemento che stabilisca un nesso tra la maggiorazione prevista ed eventuali svantaggi di carriera risultanti da un congedo di maternità. Tale disposizione non esige nemmeno che i figli che danno diritto alla maggiorazione siano nati in un momento in cui la madre avesse la qualità di pubblico dipendente. D'altro lato, la maggiorazione di cui trattasi viene riconosciuta anche per figli adottivi, senza essere connessa alla previa concessione alla madre di un congedo di adozione.

53 I chiarimenti forniti dal governo francese in ordine alla finalità dell'art. L. 12, lett. b), del codice non solo confermano l'assenza di un nesso tra la maggiorazione oggetto della causa principale ed il periodo successivo al parto durante il quale la madre beneficia di un congedo di maternità ed è assente dal servizio, bensì sottolineano, al contrario, come tale maggiorazione sia connessa ad un altro periodo, vale a dire a quello dedicato all'educazione dei figli.

54 Tale analisi non è contraddetta dalla circostanza che, per i figli legittimi, naturali o adottivi del titolare della pensione, l'art. L. 12, lett. b), del codice non subordina la concessione della maggiorazione alla condizione di aver provveduto alla loro educazione, condizione invece imposta per gli altri figli elencati all'art. L. 18, n. II, del codice.

55 E' chiaro, infatti, che il legislatore nazionale ha utilizzato un unico criterio per la concessione della maggiorazione controversa nella causa principale, vale a dire quello relativo all'educazione dei figli e che, per i figli legittimi, naturali o adottivi, ha semplicemente presunto che essi siano stati educati nel nucleo familiare della madre. Si deve d'altronde rilevare in proposito che, come ha sottolineato senza essere contraddetto il difensore del sig. Griesmar all'udienza dibattimentale, l'origine di tale maggiorazione risale al 1924 ed il suo obiettivo, come illustrato nei lavori preparatori, era quello di agevolare il ritorno del dipendente pubblico di sesso femminile nel proprio contesto domestico, perché fosse meglio in grado di provvedere all'educazione dei propri figli.

56 In secondo luogo, si deve rilevare che le situazioni di un dipendente pubblico di sesso maschile e di un dipendente pubblico di sesso femminile possono essere paragonabili per quanto attiene all'educazione dei figli. In particolare, la circostanza che i dipendenti pubblici di sesso femminile sono più colpiti dagli svantaggi professionali risultanti dall'educazione dei figli, in quanto sono in generale le donne che prendono a loro carico tale onere, non è tale da escludere la comparabilità della loro situazione con quella di un dipendente pubblico di sesso maschile che abbia preso a carico l'onere di educare i propri figli e sia stato, in tal modo, esposto agli stessi svantaggi di carriera.

57 Orbene, l'art. L. 12, lett. b), del codice non consente ad un dipendente pubblico di sesso maschile che si trovi in tale situazione di ottenere la maggiorazione controversa nella causa principale, anche ove sia in grado di provare di aver effettivamente preso a carico l'onere dell'educazione dei propri figli.

58 Pertanto, indipendentemente dalla questione se tale prova debba essere pretesa anche dai dipendenti pubblici di sesso femminile con figli, si deve rilevare che l'art. L. 12, lett. b), del codice introduce una disparità di trattamento in base al sesso nei confronti dei dipendenti pubblici di sesso maschile che abbiano effettivamente preso a carico l'onere dell'educazione dei propri figli.

59 Resta da verificare se l'art. L. 12, lett. b), del codice possa essere giustificato in base all'art. 6, n. 3, dell'accordo sulla politica sociale.

Sull'art. 6, n. 3, dell'accordo sulla politica sociale

60 Il sig. Griesmar sostiene che il protocollo sulla politica sociale, avendo introdotto, attraverso l'accordo allegato al medesimo, una norma completamente nuova, vale a dire la possibilità di una discriminazione non più in materia di parità di trattamento, bensì di parità di retribuzioni, non potrebbe essere applicato retroattivamente alle pensioni liquidate prima della sua entrata in vigore. In subordine, egli sostiene che, poiché la maggiorazione controversa nella causa principale non è connessa ad alcuno svantaggio relativo alla condizione di madre, in quanto viene concessa indipendentemente da qualsiasi congedo o da qualsiasi pregiudizio quanto alla carriera, il principio della parità delle retribuzioni di cui all'art. 119 del Trattato sarebbe violato dall'art. L.12, lett. b), del codice, anche qualora si dovesse ritenere applicabile l'art. 6, n. 3, dell'accordo sulla politica sociale.

61 Richiamandosi a dati statistici, il governo francese pone l'accento sul fatto che sono le donne ad avvalersi più frequentemente del congedo parentale, con conseguenti ripercussioni sui propri diritti alla pensione, nonché sulla durata delle carriere dei dipendenti pubblici di sesso femminile che risulterebbe, in media, più breve di due anni rispetto a quella dei dipendenti pubblici di sesso maschile. Secondo il governo francese, anche se le statistiche non provano un nesso diretto tra il beneficio del congedo parentale e la durata delle carriere, è indubbio che l'onere di provvedere all'educazione dei figli costituisca un elemento importante e, forse, l'elemento principale per spiegare la minore durata delle carriere dei dipendenti pubblici di sesso femminile al momento del collocamento a riposo. La maggiorazione istituita dall'art. L. 12, lett. b), del codice sarebbe quindi intesa a compensare, a favore della donna, gli svantaggi risultanti da un'interruzione di carriera per educare i figli, operando sulla percentuale e sulla base di calcolo delle pensioni di vecchiaia.

62 Si deve ricordare, a tal riguardo, che l'art. 6, n. 3, dell'accordo sulla politica sociale consente agli Stati membri di mantenere o di emanare misure che prevedano vantaggi specifici intesi a facilitare l'esercizio di un'attività professionale da parte delle donne ovvero ad evitare o compensare svantaggi nella loro carriera professionale.

63 Senza che sia necessario pronunciarsi sulla questione se l'art. 6, n. 3, del detto accordo introduca una nuova norma, si deve necessariamente rilevare che la maggiorazione prevista dall'art. L. 12, lett. b), del codice non costituisce un provvedimento considerato da tale disposizione dell'accordo sulla politica sociale.

64 Infatti, l'art. 6, n. 3, dell'accordo sulla politica sociale autorizza i provvedimenti nazionali aventi lo scopo di eliminare o ridurre le disparità di fatto che risultano dalla realtà della vita sociale e che pregiudicano la donna nella sua vita lavorativa. Ne consegue che i provvedimenti nazionali contemplati da tale disposizione debbono, in ogni caso, contribuire ad aiutare la donna a vivere la propria vita lavorativa su un piano di parità rispetto all'uomo.

65 Orbene, alla luce degli elementi fatti valere dinanzi alla Corte, il provvedimento controverso nella causa principale non appare idoneo a compensare gli svantaggi ai quali sono esposte le carriere dei dipendenti pubblici di sesso femminile aiutando tali donne nella propria vita lavorativa. Al contrario, esso si limita a concedere ai dipendenti pubblici di sesso femminile che abbiano la qualità di madre una maggiorazione di anzianità al momento del collocamento a riposo, senza porre rimedio ai problemi che essi possono incontrare nel corso della loro carriera lavorativa.

66 E' significativo a tal riguardo il fatto che, mentre l'origine del provvedimento previsto dall'art. L. 12, lett. b), del codice risale al 1924, i problemi incontrati nella carriera da tali dipendenti pubblici di sesso femminile non hanno potuto, sino ad oggi, essere risolti mediante tale disposizione.

67 Occorre quindi risolvere la seconda parte della prima questione nel senso che, malgrado il disposto dell'art. 6, n. 3, dell'accordo sulla politica sociale, il principio della parità delle retribuzioni è violato da una disposizione quale l'art. L. 12, lett. b), del codice nei limiti in cui essa esclude dal beneficio della maggiorazione di anzianità da essa istituita ai fini del calcolo delle pensioni di vecchiaia i dipendenti pubblici di sesso maschile che siano in grado di provare di aver preso a carico l'onere di aver provveduto all'educazione dei propri figli.

Sulla seconda questione

68 Tale questione viene proposta nell'ipotesi in cui l'art. 119 del Trattato non sia applicabile a pensioni corrisposte in base ad un regime quale il regime pensionistico francese dei dipendenti pubblici. Orbene, dalla soluzione fornita alla prima parte della prima questione risulta che le pensioni corrisposte sulla base di un siffatto regime rientrano nella sfera di applicazione della detta norma del Trattato.

69 Conseguentemente, non occorre risolvere la seconda questione.

Sulla limitazione nel tempo degli effetti della presente sentenza

70 All'udienza dibattimentale, il governo francese ha chiesto alla Corte di limitare nel tempo gli effetti della presente sentenza nell'ipotesi in cui la prima questione dovesse essere risolta nel senso contrario alla tesi da esso sostenuta.

71 A sostegno di tale domanda, il governo francese ha fatto valere che l'eventuale erronea interpretazione da parte delle autorità francesi degli artt. 119 del Trattato e 6, n. 3, dell'accordo sulla politica sociale sarebbe conseguenza di un'incertezza giuridica ravvisabile nella giurisprudenza della Corte in materia di azioni positive a favore della donna. Tale governo si è richiamato al riguardo alle sentenze 17 ottobre 1995, causa C-450/93, Kalanke (Racc. pag. I-3051); 11 novembre 1997, causa C-409/95, Marschall (Racc. pag. I-6363), 28 marzo 2000, causa C-158/97, Badeck e a. (Racc. pag. I-1875), e Abdoulaye e a., già citata. Quest'ultima sentenza avrebbe potuto indurre le autorità francesi a ritenere giustificato l'art. L. 12, lett. b), del codice.

72 Il governo francese ha inoltre affermato che l'equilibrio finanziario delle pensioni di vecchiaia dei dipendenti pubblici verrebbe ad essere sconvolto se la maggiorazione prevista all'art. L. 12, lett. b), del codice dovesse essere concessa retroattivamente a tutti i dipendenti pubblici di sesso maschile in quiescenza che abbiano avuto figli. Un tale versamento di arretrati comporterebbe un costo valutabile tra i 3 e i 5 miliardi di FRF all'anno. Tali cifre non terrebbero conto degli effetti della sentenza della Corte sulle pensioni di reversibilità, in quanto sarebbe molto difficile procedere a stime in merito a queste ultime.

73 Va ricordato che l'interpretazione di una norma diritto comunitario fornita dalla Corte si limita a chiarire e precisare il significato e la portata della norma stessa, quale avrebbe dovuto essere intesa e applicata dal momento della sua entrata in vigore [v. sentenza 20 settembre 2001, causa C-184/99, Grzelczyk (Racc. pag. I-6193, punto 50), e giurisprudenza citata].

74 Solo in via eccezionale la Corte, applicando il principio generale della certezza del diritto inerente all'ordinamento giuridico comunitario, può essere indotta a limitare la possibilità per gli interessati di far valere una disposizione da essa interpretata allo scopo di rimettere in discussione rapporti giuridici costituiti in buona fede (v. citata sentenza Grzelczyk, punto 51).

75 Inoltre, secondo la costante giurisprudenza della Corte, le conseguenze finanziarie che potrebbero derivare per uno Stato membro da una sentenza pronunciata in via pregiudiziale non giustificano, di per sé, la limitazione dell'efficacia nel tempo di tale sentenza (v. citata sentenza Grzelczyk, punto 52).

76 Infatti, la Corte ha adottato tale soluzione soltanto in presenza di circostanze ben precise, quando, da un lato, vi era un rischio di gravi ripercussioni economiche dovute in particolare all'elevato numero di rapporti giuridici costituiti in buona fede sulla base della normativa ritenuta validamente vigente, e quando, dall'altro lato, risultava che i singoli e le autorità nazionali erano stati indotti ad un comportamento non conforme alla normativa comunitaria in ragione di una obiettiva e rilevante incertezza circa la portata delle disposizioni comunitarie, incertezza alla quale avevano eventualmente contribuito gli stessi comportamenti tenuti da altri Stati membri o dalle istituzioni comunitarie (v. citata sentenza Grzelczyk, punto 53).

77 E' sufficiente rilevare, al riguardo, che la maggiorazione controversa nella causa principale è completamente differente, per le sue modalità e per la sua finalità, dai provvedimenti oggetto delle sentenze invocate dal governo francese, di modo che quest'ultimo non può richiamarsi a tali sentenze al fine di dimostrare l'esistenza di un'incertezza oggettiva e rilevante in ordine alla validità, con riguardo al diritto comunitario, di tale maggiorazione. Peraltro, in considerazione della constatazione operata al precedente punto 67 della presente sentenza, non risulta provato che il numero dei dipendenti pubblici di sesso maschile in quiescenza che siano in grado di provare di aver preso a carico l'onere di educare i propri figli sia tale da provocare ripercussioni economiche gravi.

78 Conseguentemente, non vi sono motivi per limitare nel tempo gli effetti della presente sentenza.

Decisione relativa alle spese


Sulle spese

79 Le spese sostenute dai governi francese e belga, nonché dalla Commissione delle Comunità europee, che hanno presentato osservazioni alla Corte, non possono dar luogo a rifusione. Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese.

Dispositivo


Per questi motivi,

LA CORTE,

pronunciandosi sulle questioni sottopostele dal Conseil d'État con ordinanza 28 luglio 1999, dichiara e statuisce:

Le pensioni erogate sulla base di un regime quale il regime pensionistico francese dei pubblici dipendenti rientrano nella sfera di applicazione dell'art. 119 del Trattato CE (gli artt. 117-120 del Trattato CE sono stati sostituiti dagli artt. 136 CE-143 CE).

Malgrado il disposto dell'art. 6, n. 3, dell'accordo sulla politica sociale, il principio della parità delle retribuzioni è violato da una disposizione quale l'art. L. 12, lett. b), del code des pensions civiles et militaires de retraite, nella parte in cui esclude dal beneficio delle maggiorazioni di anzianità da essa istituita ai fini del calcolo delle pensioni di vecchiaia i dipendenti pubblici di sesso maschile che siano in grado di provare di aver preso a carico l'onere di educare i propri figli.

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