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Documento 61998CJ0037

Sentenza della Corte (Sesta Sezione) dell'11 maggio 2000.
The Queen contro Secretary of State for the Home Department, ex parte Abdulnasir Savas.
Domanda di pronuncia pregiudiziale: High Court of Justice, Queen's Bench Division - Regno Unito.
Associazione CEE-Turchia - Restrizioni alla libertà di stabilimento e al diritto di soggiorno - Artt. 13 dell'accordo di associazione e 41 del protocollo addizionale - Effetto diretto - Portata - Cittadino turco in situazione irregolare nello Stato membro ospitante.
Causa C-37/98.

Raccolta della Giurisprudenza 2000 I-02927

Identificatore ECLI: ECLI:EU:C:2000:224

61998J0037

Sentenza della Corte (Sesta Sezione) dell'11 maggio 2000. - The Queen contro Secretary of State for the Home Department, ex parte Abdulnasir Savas. - Domanda di pronuncia pregiudiziale: High Court of Justice, Queen's Bench Division - Regno Unito. - Associazione CEE-Turchia - Restrizioni alla libertà di stabilimento e al diritto di soggiorno - Artt. 13 dell'accordo di associazione e 41 del protocollo addizionale - Effetto diretto - Portata - Cittadino turco in situazione irregolare nello Stato membro ospitante. - Causa C-37/98.

raccolta della giurisprudenza 2000 pagina I-02927


Massima
Parti
Motivazione della sentenza
Decisione relativa alle spese
Dispositivo

Parole chiave


1 Accordi internazionali - Accordi della Comunità - Effetto diretto - Presupposti - Mancanza di effetto diretto dell'art. 13 dell'accordo di associazione CEE-Turchia e dell'art. 41, n. 2, del protocollo addizionale - Effetto diretto dell'art. 41, n. 1, del protocollo addizionale

(Accordo di associazione CEE-Turchia, art. 13; protocollo addizionale all'accordo di associazione CEE-Turchia, art. 41, nn. 1 e 2)

2 Accordi internazionali - Accordo di associazione CEE-Turchia - Libera circolazione delle persone - Libertà di stabilimento - Regola di standstill dell'art. 41, n. 1, del protocollo addizionale - Portata - Divieto per gli Stati membri di istituire nuove restrizioni per lo stabilimento e, correlativamente, per il soggiorno di un cittadino turco nel territorio nazionale

(Protocollo addizionale all'accordo di associazione CEE-Turchia, art. 41, n. 1)

Massima


1 Va considerata direttamente efficace la disposizione di un accordo stipulato dalla Comunità con paesi terzi qualora, tenuto conto del suo tenore letterale nonché dello scopo e della natura dell'accordo, essa implichi un obbligo chiaro e preciso la cui esecuzione ed i cui effetti non siano subordinati all'adozione di alcun atto ulteriore.

Anche se tali condizioni non sono soddisfatte dall'art. 13 dell'accordo che crea un'associazione tra la CEE e la Turchia, articolo che si limita a prevedere, in termini generali e facendo riferimento alle corrispondenti disposizioni del Trattato, il principio dell'eliminazione tra le parti contraenti delle restrizioni alla libertà di stabilimento, senza che la detta disposizione stabilisca di per sé regole precise ai fini del conseguimento di tale obiettivo, né dall'art. 41, n. 2, del protocollo addizionale, non essendo stata adottata alcuna misura ai sensi di tale ultima disposizione per attuare concretamente il principio generale dell'eliminazione graduale tra le parti contraenti degli ostacoli al diritto di stabilimento, diverso rilievo vale per l'art. 41, n. 1, del protocollo addizionale, il quale stabilisce in termini chiari, precisi e incondizionati una clausola di «standstill», che vieta alle parti contraenti di introdurre nuove restrizioni alla libertà di stabilimento a partire dalla data di entrata in vigore del protocollo addizionale. Infatti, tale disposizione stabilisce un principio preciso e incondizionato sufficientemente operativo per essere applicato da un giudice nazionale e, pertanto, atto a disciplinare la situazione giuridica dei singoli. L'effetto diretto che occorre quindi riconoscere a tale disposizione implica che i singoli ai quali essa si applica hanno il diritto di farla valere dinanzi ai giudici degli Stati membri. (v. punti 39, 42, 44, 46, 54, 71 e dispositivo)

2 I principi sanciti nell'ambito dell'interpretazione delle disposizioni dell'associazione CEE-Turchia, dirette a realizzare progressivamente la libera circolazione dei lavoratori turchi nella Comunità, debbono valere altresì, in via analogica, nell'ambito delle disposizioni della detta associazione relative al diritto di stabilimento. Ne discende che la clausola di «standstill» di cui all'art. 41, n. 1, del protocollo addizionale all'accordo di associazione CEE-Turchia non è di per sé tale da conferire ad un cittadino turco il beneficio del diritto di stabilimento nonché del diritto di soggiorno che ne costituisce il corollario. Di conseguenza, la prima ammissione di un cittadino turco nel territorio di uno Stato membro è disciplinata esclusivamente dal diritto nazionale di detto Stato e l'interessato può far valere, in base al diritto comunitario, taluni diritti in materia di esercizio di un'occupazione o di un'attività autonoma e, correlativamente, in materia di soggiorno solo se si trova in una situazione regolare nello Stato membro interessato.

Di conseguenza, l'art. 41, n. 1, del protocollo addizionale non è di per sé tale da conferire ad un cittadino turco un diritto di stabilimento e, correlativamente, un diritto di soggiorno nello Stato membro nel cui territorio egli ha risieduto e ha esercitato attività lavorative come lavoratore autonomo in violazione della normativa nazionale in materia di immigrazione. Invece, questa disposizione vieta l'introduzione di nuove restrizioni nazionali alla libertà di stabilimento e al diritto di soggiorno dei cittadini turchi a partire dalla data di entrata in vigore del detto protocollo nello Stato membro ospitante. (v. punti 63-65, 69, 71 e dispositivo)

Parti


Nel procedimento C-37/98,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, a norma dell'art. 177 del Trattato CE (divenuto art. 234 CE), dalla High Court of Justice (England & Wales), Queen's Bench Division (Regno Unito), nella causa dinanzi ad essa pendente tra

The Queen

e

Secretary of State for the Home Department,

ex parte: Abdulnasir Savas,

" domanda vertente sull'interpretazione dell'art. 13 dell'accordo che crea un'associazione tra la Comunità economica europea e la Turchia, sottoscritto ad Ankara il 12 settembre 1963 dalla Repubblica di Turchia, da un lato, nonché dagli Stati membri della CEE e dalla Comunità, dall'altro, e concluso, approvato e confermato a nome della Comunità mediante la decisione del Consiglio 23 dicembre 1963, 64/732/CEE (GU 1964, n. 217, pag. 3685), e dell'art. 41 del protocollo addizionale, sottoscritto il 23 novembre 1970 a Bruxelles e concluso, approvato e confermato a nome della Comunità mediante il regolamento (CEE) del Consiglio 19 dicembre 1972, n. 2760 (GU L 293, pag. 1),

LA CORTE

(Sesta Sezione),

composta dai signori R. Schintgen (relatore), presidente della Seconda Sezione, facente funzione di presidente della Sesta Sezione, P.J.G. Kapteyn, G. Hirsch, H. Ragnemalm e V. Skouris, giudici,

avvocato generale: A. La Pergola

cancelliere: signora L. Hewlett, amministratore

viste le osservazioni scritte presentate:

- per il signor Savas, dal signor J. Walsh, barrister, su incarico di Ronald Fletcher Baker & Co., solicitors;

- per il governo del Regno Unito, dalla signora S. Ridley, del Treasury Solicitor's Department, in qualità di agente, assistita dalla signora E. Sharpston, barrister;

- per il governo tedesco, dai signori E. Röder e C.-D. Quassowski, rispettivamente Ministerialrat e Regierungsdirektor presso il Ministero federale dell'Economia, in qualità di agenti;

- per il governo ellenico, dalle signore A. Samoni-Rantou e L. Pneumatikou, rispettivamente consigliere giuridico aggiunto e collaboratore scientifico specializzato presso il servizio speciale del contenzioso comunitario del Ministero degli Affari esteri, presso il medesimo servizio, in qualità di agenti;

- per il governo francese, dalle signore K. Rispal-Bellanger e A. de Bourgoing, rispettivamente vicedirettore e chargé de mission presso la direzione degli affari giuridici del Ministero degli Affari esteri, in qualità di agenti;

- per il governo italiano, dal professor U. Leanza, capo del servizio del contenzioso diplomatico del Ministero degli Affari esteri, in qualità di agente, assistito dalla signora F. Quadri, avvocato dello Stato;

- per la Commissione delle Comunità europee dal signor P.J. Kuijper, consigliere giuridico, e dalla signora N. Yerrell, funzionario nazionale distaccato presso il servizio giuridico, in qualità di agenti,

vista la relazione d'udienza,

sentite le osservazioni orali del signor Savas, con il signor J. Walsh, del governo del Regno Unito, rappresentato dalla signora R. Magrill, del Treasury Solicitor's Department, in qualità di agente, assistita dalla signora E. Sharpston, del governo italiano, rappresentato dal signor G. Aiello, avvocato dello Stato, e della Commissione, rappresentata dal signor P.J. Kuijper e dalla signora N. Yerrell, all'udienza del 16 settembre 1999,

sentite le conclusioni dell'avvocato generale, presentate all'udienza del 25 novembre 1999,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

Motivazione della sentenza


1 Con ordinanza 24 aprile 1997, pervenuta in cancelleria il 16 febbraio 1998, la High Court of Justice (England & Wales), Queen's Bench Division, ha sottoposto a questa Corte, ai sensi dell'art. 177 del Trattato CE (divenuto art. 234 CE), sei questioni pregiudiziali relative all'interpretazione dell'art. 13 dell'accordo che crea un'associazione tra la Comunità economica europea e la Turchia, sottoscritto ad Ankara il 12 settembre 1963 dalla Repubblica di Turchia, da un lato, nonché dagli Stati membri della CEE e dalla Comunità, dall'altro, e concluso, approvato e confermato a nome della Comunità mediante la decisione del Consiglio 23 dicembre 1963, 64/732/CEE (GU 1964, n. 217, pag. 3685; in prosieguo: l'«accordo di associazione»), e dell'art. 41 del protocollo addizionale, sottoscritto il 23 novembre 1970 a Bruxelles e concluso, approvato e confermato a nome della Comunità mediante il regolamento (CEE) del Consiglio 19 dicembre 1972, n. 2760 (GU L 293, pag. 1; in prosieguo: il «protocollo addizionale»).

2 Tali questioni sono state sollevate nell'ambito di una controversia tra il signor Savas, cittadino turco, e il Secretary of State for the Home Department (in prosieguo: il «Secretary of State»), in merito ad una decisione con cui viene rifiutato all'interessato il rilascio di un'autorizzazione al soggiorno nel Regno Unito e in merito ad un decreto con cui viene ordinata la sua espulsione dal territorio di tale Stato membro.

L'associazione CEE-Turchia

3 Conformemente al suo art. 2, n. 1, l'accordo di associazione ha lo scopo di promuovere un rafforzamento continuo ed equilibrato delle relazioni commerciali ed economiche tra le parti contraenti, ivi compreso il settore della manodopera attraverso la graduale realizzazione della libera circolazione dei lavoratori (art. 12), nonché attraverso l'eliminazione delle restrizioni alla libertà di stabilimento (art. 13) ed alla libera prestazione dei servizi (art. 14), al fine di elevare il livello di vita del popolo turco e di facilitare ulteriormente l'adesione della Repubblica di Turchia alla Comunità (quarto `considerando' del preambolo ed art. 28).

4 A questo proposito l'accordo di associazione prevede una fase preparatoria diretta a consentire alla Repubblica di Turchia di rafforzare la propria economia con l'aiuto della Comunità (art. 3), una fase transitoria, nel corso della quale vengono assicurate la progressiva attuazione di un'unione doganale ed il ravvicinamento delle politiche economiche (art. 4), ed una fase definitiva che è basata sull'unione doganale ed implica il rafforzamento della coordinazione delle politiche economiche delle parti contraenti (art. 5).

5 L'art. 6 dell'accordo di associazione recita:

«Per assicurare l'applicazione ed il progressivo sviluppo del regime di Associazione, le Parti Contraenti si riuniscono in un Consiglio di Associazione che agisce nei limiti delle attribuzioni conferitegli dall'Accordo».

6 Gli artt. 12, 13 e 14 dell'accordo di associazione figurano al titolo II di quest'ultimo, dedicato all'«Attuazione della fase transitoria», capitolo 3, relativo alle «Altre disposizioni di carattere economico».

7 L'art. 12 dispone:

«Le Parti Contraenti convengono di ispirarsi agli articoli 48, 49 e 50 del Trattato che istituisce la Comunità per realizzare gradualmente tra di loro la libera circolazione dei lavoratori».

8 L'art. 13 recita:

«Le Parti Contraenti convengono d'ispirarsi agli articoli da 52 a 56 incluso e all'articolo 58 del Trattato che istituisce la Comunità per eliminare tra loro le restrizioni alla libertà di stabilimento».

9 L'art. 14 prevede:

«Le Parti Contraenti convengono di ispirarsi agli articoli 55, 56 e da 58 a 65 incluso del Trattato che istituisce la Comunità per eliminare tra loro le restrizioni alla libera prestazione dei servizi».

10 A termini dell'art. 22, n. 1, dell'accordo di associazione:

«Per il raggiungimento degli obiettivi fissati dall'Accordo e nei casi da questo previsti, il Consiglio di Associazione dispone di un potere di decisione. Ognuna delle due parti è tenuta a prendere le misure necessarie all'esecuzione delle decisioni adottate (...)».

11 Il protocollo addizionale, il quale, conformemente al suo art. 62, costituisce parte integrante dell'accordo di associazione, stabilisce, ai sensi del suo art. 1, le condizioni, modalità e ritmi di realizzazione della fase transitoria di cui all'art. 4 dell'accordo di associazione.

12 Tale protocollo addizionale contiene un titolo II, intitolato «Circolazione delle persone e dei servizi», il cui capitolo I riguarda «I lavoratori» ed il cui capitolo II è intitolato «Diritto di stabilimento, servizi e trasporti».

13 Esso fissa al suo art. 36, che rientra nel capitolo I, i tempi della graduale realizzazione della libera circolazione dei lavoratori tra gli Stati membri della Comunità e la Repubblica di Turchia, conformemente ai principi enunciati all'art. 12 dell'accordo di associazione, e prevede, al secondo comma della detta disposizione, che il consiglio di associazione stabilisca le modalità all'uopo necessarie.

14 Ai sensi dell'art. 41 del protocollo addizionale, che figura al titolo II, capitolo II, dello stesso:

«1. Le parti contraenti si astengono dall'introdurre tra loro nuove restrizioni alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi.

2. Conformemente ai principi enunciati agli articoli 13 e 14 dell'Accordo di associazione, il Consiglio di Associazione stabilisce il ritmo e le modalità secondo le quali le parti contraenti sopprimono progressivamente tra loro le restrizioni alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi.

Il Consiglio di Associazione stabilisce tale ritmo e tali modalità per le diverse categorie di attività, tenendo conto delle disposizioni analoghe già adottate dalla Comunità in questi settori, nonché della particolare situazione economica e sociale della Turchia. Sarà accordata priorità alle attività che contribuiscono particolarmente allo sviluppo della produzione e degli scambi».

15 E' pacifico che, a tutt'oggi, il consiglio di associazione non ha adottato alcuna misura ai sensi dell'art. 41, n. 2, del protocollo addizionale.

La causa a qua

16 Risulta dal fascicolo della causa a qua che il signor e la signora Savas, entrambi cittadini turchi, hanno ottenuto, il 22 dicembre 1984, l'autorizzazione ad entrare nel Regno Unito in qualità di turisti per un periodo di un mese.

17 Il loro visto d'ingresso in tale Stato membro era accompagnato da una condizione espressa che vietava loro di prestare lavoro subordinato e di esercitare attività commerciali o una professione in qualità di lavoratori autonomi.

18 Nonostante il fatto che il loro visto fosse scaduto il 21 gennaio 1985, i coniugi Savas non hanno lasciato il Regno Unito, di modo che, a partire da tale data, essi si sono trovati in posizione irregolare rispetto alla normativa di detto Stato membro in materia di immigrazione.

19 Nel novembre 1989 il signor Savas ha iniziato a gestire un'impresa di confezione di camicie in Hackney (Regno Unito).

20 Né lui né sua moglie hanno chiesto l'autorizzazione a lavorare o ad esercitare un'attività in qualità di lavoratore autonomo.

21 Con lettera del 31 gennaio 1991 hanno tuttavia sollecitato, per il tramite dei loro avvocati, la regolarizzazione del loro soggiorno chiedendo all'Immigration and Nationality Department of the Home Office (servizio incaricato delle questioni di immigrazione e di cittadinanza presso il Ministero degli Interni), sulla base delle pertinenti disposizioni della normativa nazionale, l'autorizzazione a rimanere nel Regno Unito.

22 Dopo uno scambio di corrispondenza tra gli avvocati del signor Savas e le autorità britanniche ed a causa dell'errata classificazione della pratica fino al 21 luglio 1993, solo il 21 marzo 1994 il Secretary of State ha respinto tale domanda di autorizzazione al soggiorno ed ha informato gli interessati dell'intenzione delle competenti autorità di emanare un ordine di espulsione nei loro confronti.

23 Conformemente al potere discrezionale di cui dispone in materia, il Secretary of State ha esaminato la domanda del signor e della signora Savas alla luce della normativa relativa alla «long residence concession» (permesso di lungo soggiorno) in forza della quale una persona che risieda da almeno dieci anni in modo continuo e regolare nel Regno Unito o la cui residenza continuata, regolare oppure no, in tale Stato membro sia di quattordici anni, può soddisfare le condizioni che le consentono di ottenere un permesso di soggiorno illimitato. Tuttavia, secondo il Secretary of State, il signor e la signora Savas non soddisfacevano alcuno di tali criteri, ed ha considerato che nessun'altra circostanza potesse giustificare l'esercizio del suo potere discrezionale in loro favore.

24 Nel frattempo il signor Savas aveva aperto un primo centro di ristorazione rapida in Hythe (Regno Unito) nel dicembre 1992; un secondo ristorante è entrato in esercizio il 1_ settembre 1994 in Folkestone (Regno Unito).

25 Il 29 marzo 1994 il signor e la signora Savas hanno proposto opposizione contro la decisione di espulsione.

26 Il 13 dicembre 1994 l'Immigration Adjucator ha respinto tale opposizione.

27 La domanda di autorizzazione ad impugnare tale decisione di rigetto, presentata dai coniugi Savas dinanzi all'Immigration Appeal Tribunal, è stata respinta in quanto presentata fuori termine.

28 Un decreto di espulsione del signor e della signora Savas è stato firmato l'11 luglio 1995 e notificato agli stessi il 31 agosto seguente.

29 E' pacifico che, fino al 30 ottobre 1995, tutte le domande dei coniugi Savas erano state presentate sulla base del solo diritto nazionale.

30 Il 30 ottobre 1995 gli avvocati del signor Savas hanno fatto valere, per la prima volta, che l'art. 41 del protocollo addizionale ostava all'introduzione da parte del Regno Unito di limitazioni al diritto dei cittadini turchi di stabilirsi nel suo territorio più restrittive di quelle applicabili alla data dell'adesione di tale Stato membro alla Comunità. Il Secretary of State avrebbe dovuto limitarsi quindi a valutare la situazione dei coniugi Savas alla luce delle norme in materia di immigrazione in vigore a tale data, cioè il 1_ gennaio 1973, vale a dire della HC 510, in particolare del suo n. 21, ai sensi del quale:

«Le persone ammesse in virtù di un visto turistico possono chiedere al Secretary of State l'autorizzazione a stabilirsi [nel territorio del Regno Unito] per esercitarvi attività d'impresa, per conto proprio ovvero come socio di un'impresa nuova o preesistente. Dette richieste vanno esaminate nel merito (...). Se la domanda è accolta, il soggiorno dell'istante può essere prorogato per un periodo massimo di dodici mesi, subordinatamente a condizioni che restringono la sua libertà di svolgere attività di lavoro (...)».

31 Il 1_ maggio 1996 il Secretary of State ha respinto tale nuova argomentazione in considerazione del fatto che, alla data in cui aveva presentato la sua domanda tesa ad ottenere la regolarizzazione del suo soggiorno nel Regno Unito, il signor Savas non era più titolare di un'autorizzazione di soggiorno in tale Stato membro e non poteva quindi in nessun caso beneficiare delle disposizioni della HC 510 allora applicabile in materia di immigrazione.

32 Il signor Savas ha quindi proposto dinanzi al giudice a quo di una domanda di controllo giurisdizionale di tale decisione, domanda che è stata accolta l'11 luglio 1996.

33 Dinanzi a tale giudice il signor Savas ha sostenuto che l'art. 41 del protocollo addizionale ha un effetto diretto e che esso imponeva al Secretary of State di esaminare la sua domanda del 30 ottobre 1995 alla luce del paragrafo 21 della HC 510. A suo avviso, occorre interpretare detta disposizione come riguardante tutte le persone ammesse nel Regno Unito con visto turistico, indipendentemente dal loro status in materia di immigrazione al momento della presentazione della loro domanda. Quanto meno, il Secretary of State, in sede di esame della domanda del signor Savas, avrebbe dovuto tener conto dell'art. 13 dell'accordo di associazione, del primo e del quarto `considerando' del preambolo di quest'ultimo, nonché dell'art. 41 del protocollo addizionale per dedurne che l'espulsione era sproporzionata nel caso di specie.

34 Per contro, secondo il Secretary of State, l'accordo di associazione non può essere fatto valere da una persona che non soggiorna legalmente nel territorio di uno Stato membro. Comunque, l'art. 41 del protocollo addizionale non avrebbe effetto diretto e non potrebbe avere l'effetto di obbligare le autorità del Regno Unito ad applicare, in materia di immigrazione, le norme in vigore al 1_ gennaio 1973. Inoltre, il paragrafo 21 della HC 510 riguarderebbe solo le persone che risiedono legalmente nel Regno Unito come turisti al momento in cui esse presentano la propria domanda e l'espulsione non rappresenterebbe una sanzione sproporzionata per uno straniero che, come il signor Savas, sia rimasto per un periodo così lungo in posizione irregolare rispetto alla normativa in materia di immigrazione.

35 Anche se nutre solo dubbi minimi in merito all'effetto diretto dell'art. 41 del protocollo addizionale, il giudice nazionale si chiede tuttavia se l'accordo di associazione abbia l'effetto di conferire diritti a stranieri che, come il signor Savas, si trovino illegalmente nel territorio di uno Stato membro.

Le questioni pregiudiziali

36 Ritenendo pertanto che la soluzione della controversia dipendesse dall'interpretazione dell'accordo di associazione, la High Court of Justice (England & Wales), Queen's Bench Division, ha deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte le sei questioni pregiudiziali seguenti:

«1) Se l'Accordo di associazione tra la Comunità economica europea e la Turchia firmato ad Ankara il 12 settembre 1963, unitamente al protocollo addizionale a detto accordo firmato a Bruxelles il 23 novembre 1970 vada interpretato nel senso che conferisce diritti a un cittadino turco che è: a) entrato o b) rimasto nel territorio di uno Stato membro in violazione della legge sull'immigrazione di detto Stato membro.

2) Qualora la soluzione dell'uno o dell'altro punto della questione sub 1) sia affermativa, se: a) l'art. 13 dell'Accordo o b) l'art. 41 del protocollo addizionale abbia effetto diretto negli ordinamenti giuridici nazionali degli Stati membri.

3) Se l'Accordo, unitamente al protocollo addizionale osti all'applicazione da parte di uno Stato membro di una norma della propria legislazione nazionale che nega ad un cittadino turco l'autorizzazione a soggiornare nel territorio di detto Stato membro per il solo motivo che il suo permesso di ingresso o di soggiorno nel predetto territorio è scaduto.

4) Se l'autorità competente di uno Stato membro, qualora esamini, nell'esercizio del proprio potere discrezionale, nonostante le disposizioni della legge nazionale, una domanda presentata da un cittadino turco per rimanere nel territorio di detto Stato, debba prendere in considerazione l'esistenza dell'accordo, unitamente al protocollo addizionale.

5) Qualora la soluzione della questione sub 4) sia affermativa, se l'autorità competente dello Stato membro sia tenuta a prendere in considerazione il principio di proporzionalità nell'esercizio del proprio potere discrezionale.

6) Qualora la soluzione della questione sub 5) sia affermativa, quali fattori debbano essere presi in considerazione dall'autorità nazionale competente nel determinare se il provvedimento di espulsione è proporzionato».

Sulle prime tre questioni

37 Con le sue prime tre questioni, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice a quo chiede in sostanza se gli artt. 13 dell'accordo di associazione e 41 del protocollo addizionale siano tali da conferire ad un cittadino turco un diritto di stabilimento, con un correlativo diritto di soggiorno, nello Stato membro sul territorio del quale egli ha risieduto ed ha esercitato attività lavorative come lavoratore autonomo in violazione della normativa nazionale in materia di immigrazione.

38 Al fine di risolvere utilmente tali questioni così riformulate, occorre esaminare anzitutto se le disposizioni alle quali esse fanno riferimento possano essere fatte valere da un singolo dinanzi ad un giudice nazionale e, in caso affermativo, determinare poi la loro portata.

Sull'effetto diretto delle disposizioni controverse nella causa principale

39 In via preliminare, occorre ricordare che, secondo la costante giurisprudenza della Corte, va considerata direttamente efficace la disposizione di un accordo stipulato dalla Comunità con paesi terzi qualora, tenuto conto del suo tenore letterale nonché dello scopo e della natura dell'accordo, essa implichi un obbligo chiaro e preciso la cui esecuzione ed i cui effetti non siano subordinati all'adozione di alcun atto ulteriore (v., in particolare, sentenza 4 maggio 1999, causa C-262/96, Sürül, Racc. pag. I-2685, punto 60).

40 Occorre quindi verificare se gli artt. 13 dell'accordo di associazione e 41 del protocollo addizionale soddisfino tali criteri.

Sull'effetto diretto dell'art. 13 dell'accordo di associazione

41 Al riguardo si deve rilevare che la Corte ha già dichiarato che l'art. 12 dell'accordo di associazione ha una portata essenzialmente programmatica e che le sue disposizioni non sono sufficientemente precise e incondizionate per costituire norme di diritto comunitario direttamente efficaci nell'ordinamento interno degli Stati membri (sentenza 30 settembre 1987, causa 12/86, Demirel, Racc. pag. 3719, punti 23 e 25).

42 Ora, è giocoforza constatare che, come il citato art. 12, relativo alla libera circolazione dei lavoratori, l'art. 13 dell'accordo di associazione si limita a prevedere, in termini generali e facendo riferimento alle corrispondenti disposizioni del Trattato CE, il principio dell'eliminazione tra le parti contraenti delle restrizioni alla libertà di stabilimento, senza che la detta disposizione stabilisca di per sé regole precise ai fini del conseguimento di tale obiettivo.

43 In applicazione dell'art. 22, n. 1, dell'accordo di associazione, che conferisce al consiglio di associazione un potere di decisione per il raggiungimento degli obiettivi fissati dal detto accordo, l'art. 41, n. 2, del protocollo addizionale attribuisce così al consiglio di associazione la competenza di stabilire, conformemente al principio enunciato all'art. 13 dell'accordo di associazione, il ritmo e le modalità della soppressione progressiva delle restrizioni alla libertà di stabilimento tra le parti contraenti.

44 Il consiglio di associazione non ha tuttavia adottato alcuna misura ai sensi di tale ultima disposizione per attuare concretamente il principio generale dell'eliminazione graduale tra le parti contraenti degli ostacoli al diritto di stabilimento.

45 Pertanto, si deve concludere che l'art 13 dell'accordo di associazione, come d'altronde l'art. 41, n. 2, del protocollo addizionale, anch'esso menzionato dal giudice a quo, non è atto a disciplinare direttamente la situazione giuridica dei singoli e non può, quindi, vedersi attribuire un effetto diretto.

Sull'effetto diretto dell'art. 41, n. 1, del protocollo addizionale

46 Al riguardo occorre constatare che, come risulta dalla sua stessa lettera, tale disposizione stabilisce in termini chiari, precisi e incondizionati, una clausola di «standstill», che vieta alle parti contraenti di introdurre nuove restrizioni alla libertà di stabilimento a partire dalla data di entrata in vigore del protocollo addizionale.

47 Infatti, la Corte ha già dichiarato che l'art. 53 del Trattato CE (abrogato dal Trattato di Amsterdam), ai sensi del quale gli Stati membri non introducono nuove restrizioni allo stabilimento nel loro territorio dei cittadini degli altri Stati membri, implica un obbligo sottoscritto dagli Stati membri che si risolve giuridicamente in una semplice astensione. Secondo la Corte, una proibizione così formale, non accompagnata da alcuna condizione né subordinata, nella sua esecuzione o nei suoi effetti, all'emanazione di alcun altro provvedimento, è completa, giuridicamente perfetta e, di conseguenza, atta a produrre effetti diretti nei rapporti fra gli Stati membri ed i loro cittadini (sentenza 15 luglio 1964, causa 6/64, Costa, Racc. pag. 1129, in particolare pag. 1147).

48 Ora, essendo il tenore letterale dell'art. 41, n. 1, del protocollo addizionale quasi identico a quello dell'art. 53 del Trattato CE, per gli stessi motivi esso dev'essere considerato come avente effetto diretto.

49 Per quanto riguarda più in particolare l'associazione CEE-Turchia, tale interpretazione è del resto corroborata dalla giurisprudenza della Corte secondo cui le clausole di «standstill» previste dagli artt. 7 della decisione 20 dicembre 1976, n. 2/76, del consiglio di associazione, relativa all'attuazione dell'art. 12 dell'accordo di Ankara (non pubblicata), e 13 della decisione 19 settembre 1980, n. 1/80, del consiglio di associazione, relativa allo sviluppo dell'associazione (non pubblicata), hanno effetto diretto tra gli Stati membri circa l'introduzione di nuove restrizioni all'accesso al lavoro dei lavoratori che si trovino in posizione regolare per quanto concerne il soggiorno e l'occupazione nel territorio degli Stati contraenti (sentenza 20 settembre 1990, causa C-192/89, Sevince, Racc. pag. I-3461, punti 18 e 26).

50 Pertanto, non esiste alcuna ragione per negare un simile effetto diretto all'art. 41, n. 1, del protocollo addizionale, che, per quanto riguarda la libertà di stabilimento, è una disposizione avente la stessa natura di quelle menzionate al punto precedente.

51 D'altronde, la constatazione secondo cui il divieto di nuove restrizioni alla libertà di stabilimento, divieto previsto dall'art. 41, n. 1, del protocollo addizionale, è atto a disciplinare direttamente la situazione giuridica dei singoli non è inficiata dall'esame dell'oggetto e della finalità dell'accordo di associazione, nell'ambito del quale deve essere interpretata tale disposizione.

52 Detto accordo, infatti, mira ad istituire un'associazione diretta alla promozione e allo sviluppo delle relazioni commerciali ed economiche tra le parti contraenti, ivi compreso il settore delle attività autonome per mezzo dell'eliminazione progressiva delle restrizioni alla libertà di stabilimento, al fine di elevare il livello di vita del popolo turco e di facilitare ulteriormente l'adesione della Repubblica di Turchia alla Comunità (v. quarto `considerando' del preambolo e art. 28 dell'accordo di associazione).

53 Inoltre, la circostanza che l'accordo di associazione mira essenzialmente a favorire lo sviluppo economico della Turchia ed implica, quindi, uno squilibrio negli obblighi assunti dalla Comunità nei confronti del paese terzo de quo non è tale da impedire l'applicabilità diretta di talune sue disposizioni (v. sentenze Sürül, citata, punto 72, e, per analogia, 5 febbraio 1976, causa 87/75, Bresciani, Racc. pag. 129, punto 23; 31 gennaio 1991, causa C-18/90, Kziber, Racc. pag. I-199, punto 21, e 12 dicembre 1995, causa C-469/93, Chiquita Italia, Racc. pag. I-4533, punto 34).

54 Dalle considerazioni che precedono risulta che l'art. 41, n. 1, del protocollo addizionale stabilisce un principio preciso e incondizionato sufficientemente operativo per essere applicato da un giudice nazionale e, pertanto, atto a disciplinare la situazione giuridica dei singoli. L'effetto diretto che occorre quindi riconoscere a tale disposizione implica che i singoli ai quali essa si applica hanno il diritto di farla valere dinanzi ai giudici degli Stati membri.

55 Occorre di conseguenza determinare la portata della detta disposizione.

Sulla portata dell'art. 41, n. 1, del protocollo addizionale

56 Nelle sue osservazioni scritte presentate dinanzi alla Corte il signor Savas ha fatto valere in sostanza che la detta disposizione del protocollo addizionale è tale da conferirgli un diritto di stabilimento, nonché un correlativo diritto di soggiorno nello Stato membro sul territorio del quale egli è stato autorizzato ad entrare, nonostante il fatto di avervi risieduto e di avervi esercitato attività lavorative come lavoratore autonomo in violazione della normativa nazionale in materia di immigrazione.

57 Durante l'udienza il signor Savas ha precisato al riguardo che egli non sostiene più di poter derivare direttamente dall'art. 41, n. 1, del protocollo addizionale diritti in materia di stabilimento e di soggiorno in uno Stato membro; ha invece asserito che l'effetto diretto di tale disposizione implica che il cittadino turco interessato possa chiedere a un giudice nazionale di verificare se la normativa interna in base alla quale è stata decisa l'espulsione dell'interessato sia più restrittiva, per quanto attiene alla libertà di stabilimento e al diritto di soggiorno, di quella che era applicabile alla data dell'entrata in vigore del protocollo addizionale nello Stato membro di cui trattasi e, per tale ragione, sia stata adottata in violazione della clausola di «standstill» prevista dalla detta disposizione.

58 In primo luogo, per quanto riguarda la tesi sostenuta dal signor Savas nelle sue osservazioni scritte, occorre ricordare, innanzi tutto, la giurisprudenza costante secondo cui, allo stato attuale del diritto comunitario, le disposizioni relative all'associazione CEE-Turchia non incidono sul potere degli Stati membri di disciplinare tanto l'ingresso sul proprio territorio dei cittadini turchi quanto le condizioni della loro prima occupazione, bensì si limitano a disciplinare la posizione dei lavoratori turchi già regolarmente inseriti nel mercato del lavoro degli Stati membri (v., in particolare, sentenza 23 gennaio 1997, causa C-171/95, Tetik, Racc. pag. I-329, punto 21).

59 Inoltre, la Corte ha ripetutamente affermato che i lavoratori turchi, contrariamente ai cittadini degli Stati membri, non hanno il diritto di circolare liberamente all'interno della Comunità, ma fruiscono solo di taluni diritti nello Stato membro ospite sul cui territorio sono entrati legalmente e hanno svolto una regolare attività lavorativa durante un determinato periodo (v., in particolare, sentenza Tetik, citata, punto 29).

60 Infine, è vero che i diritti così conferiti ai lavoratori turchi sul piano dell'occupazione implicano necessariamente, a meno di non rendere totalmente inefficace il diritto di accedere al mercato del lavoro e di esercitarvi un'occupazione, l'esistenza di un correlativo diritto di soggiorno in capo agli interessati (v. sentenze Sevince, citata, punto 29; 16 dicembre 1992, causa C-237/91, Kus, Racc. pag. I-6781, punto 29, 6 giugno 1995, causa C-434/93, Bozkurt, Racc. pag. I-1475, punto 28, e 10 febbraio 2000, causa C-340/97, Nazli, Racc. pag. I-952, punto 28) e che questi ultimi possono quindi pretendere la proroga del loro soggiorno nello Stato membro interessato per continuare ad esercitarvi una regolare attività lavorativa subordinata (v., in particolare, sentenze Kus, citata, punto 36; 30 settembre 1997, causa C-36/96, Günaydin, Racc. pag. I-5143, punto 55, e causa C-98/96, Ertanir, Racc. pag. I-5179, punto 62, e 26 novembre 1998, causa C-1/97, Birden, Racc. pag. I-7747, punto 69). Tuttavia, risulta da questa stessa giurisprudenza che la regolarità dell'occupazione di un cittadino turco nello Stato membro ospitante presuppone una situazione stabile e non precaria sul mercato del lavoro di detto Stato membro ed implica pertanto un diritto di soggiorno incontestato (citate sentenze Sevince, punto 30, Kus, punti 12 e 22, e Bozkurt, punto 26).

61 In tale contesto, la Corte ha già affermato che i periodi di occupazione compiuti da un cittadino turco in possesso di un permesso di soggiorno rilasciatogli solo grazie ad un comportamento fraudolento che ha determinato la condanna dell'interessato non sono basati su una situazione stabile e debbono considerarsi effettuati in via meramente provvisoria, in quanto, durante i periodi considerati, l'interessato non aveva legalmente fruito di un diritto di soggiorno (sentenza 5 giugno 1997, causa C-285/95, Kol, Racc. pag. I-3069, punto 27).

62 Al punto 28 della citata sentenza Kol, la Corte ha considerato più specificamente da escludersi che un'occupazione svolta da un cittadino turco in base ad un permesso di soggiorno ottenuto in un tale contesto di frode possa far sorgere diritti a suo vantaggio.

63 Ora, tali principi, sanciti nell'ambito dell'interpretazione delle disposizioni dell'associazione CEE-Turchia dirette a realizzare progressivamente la libera circolazione dei lavoratori turchi nella Comunità, debbono valere altresì, in via analogica, nell'ambito delle disposizioni della detta associazione relative al diritto di stabilimento.

64 Ne discende, come ha giustamente rilevato dalla Commissione, che la clausola di «standstill» di cui all'art. 41, n. 1, del protocollo addizionale non è di per sé tale da conferire ad un cittadino turco il beneficio del diritto di stabilimento nonché del diritto di soggiorno che ne costituisce il corollario.

65 Di conseguenza, la prima ammissione di un cittadino turco nel territorio di uno Stato membro è disciplinata esclusivamente dal diritto nazionale di detto Stato e l'interessato può far valere, in base al diritto comunitario, taluni diritti in materia di esercizio di un'occupazione o di un'attività autonoma e, correlativamente, in materia di soggiorno solo se si trova in una situazione regolare nello Stato membro interessato.

66 Ora, nella causa principale risulta dall'ordinanza di rinvio che, dopo la scadenza del suo visto turistico, la cui validità era limitata a un mese, il signor Savas non ha più ottenuto alcun permesso di soggiorno nel Regno Unito ed ha quindi continuato a risiedervi in violazione della normativa nazionale. Inoltre, il suo visto gli vietava espressamente di svolgere una qualsiasi attività lavorativa in tale Stato membro.

67 Pertanto, il fatto che il signor Savas non abbia lasciato il Regno Unito dopo la scadenza del suo visto e in realtà, e senza aver ricevuto un'autorizzazione a tal fine, abbia esercitato un'attività lavorativa autonoma in detto Stato membro non è tale da far sorgere in suo favore un diritto di stabilimento né un diritto di soggiorno direttamente derivanti dalla normativa comunitaria.

68 In secondo luogo, per quanto riguarda l'argomento fatto valere dal signor Savas durante l'udienza dinanzi alla Corte, occorre ricordare, da un lato, che l'effetto diretto da riconoscere all'art. 41, n. 1, del protocollo addizionale implica che tale disposizione conferisca ai singoli diritti individuali che i giudici nazionali devono tutelare.

69 Si deve d'altro canto constatare che la clausola di «standstill» prevista dalla detta disposizione del protocollo addizionale osta all'adozione da parte di uno Stato membro di qualsiasi nuova misura che abbia per oggetto o per effetto di sottoporre lo stabilimento e, correlativamente, il soggiorno di un cittadino turco nel suo territorio a condizioni più restrittive di quelle che erano applicabili al momento dell'entrata in vigore del detto protocollo addizionale nei confronti dello Stato membro considerato.

70 Ne consegue che spetta al giudice a quo, il solo competente per l'interpretazione del diritto nazionale, stabilire se la normativa interna applicata al signor Savas dalle autorità competenti abbia la conseguenza di aggravare la sua situazione rispetto alle norme che gli erano applicabili nel Regno Unito alla data di entrata in vigore del protocollo addizionale nei confronti di tale Stato membro.

71 Alla luce dell'insieme delle considerazioni che precedono, occorre risolvere le tre prime questioni nel modo seguente:

- l'art. 13 dell'accordo di associazione e l'art. 41, n. 2, del protocollo addizionale non costituiscono disposizioni di diritto comunitario direttamente applicabili nell'ordinamento giuridico interno degli Stati membri.

- L'art. 41, n. 1, del protocollo addizionale ha effetto diretto negli Stati membri.

- Il detto art. 41, n. 1, non è di per sé tale da conferire ad un cittadino turco un diritto di stabilimento e, correlativamente, un diritto di soggiorno nello Stato membro nel cui territorio egli ha risieduto e ha esercitato attività lavorative come lavoratore autonomo in violazione della normativa nazionale in materia di immigrazione.

- Invece, l'art. 41, n. 1, del protocollo addizionale vieta l'introduzione di nuove restrizioni nazionali alla libertà di stabilimento e al diritto di soggiorno dei cittadini turchi a partire dalla data di entrata in vigore del detto protocollo nello Stato membro ospitante. Spetta al giudice nazionale interpretare il diritto interno per determinare se la normativa applicata al ricorrente nella causa principale sia meno favorevole di quella applicabile al momento dell'entrata in vigore del protocollo addizionale.

Sulla quarta, quinta e sesta questione

72 Considerata la soluzione apportata alle prime tre questioni, non occorre risolvere le altre questioni.

Decisione relativa alle spese


Sulle spese

73 Le spese sostenute dai governi del Regno Unito, tedesco, ellenico, francese e italiano, nonché dalla Commissione, che hanno presentato osservazioni alla Corte, non possono dar luogo a rifusione. Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese.

Dispositivo


Per questi motivi,

LA CORTE

(Sesta Sezione),

pronunciandosi sulle questioni sottopostele dalla High Court of Justice (England & Wales), Queen's Bench Division, con ordinanza 24 aprile 1997, dichiara:

- L'art. 13 dell'Accordo che crea un'associazione tra la Comunità economica europea e la Turchia, sottoscritto ad Ankara il 12 settembre 1963 dalla Repubblica di Turchia, da un lato, nonché dagli Stati membri della CEE e dalla Comunità, dall'altro, e concluso, approvato e confermato a nome della Comunità mediante la decisione del Consiglio 23 dicembre 1963, 64/732/CEE, e l'art. 41, n. 2, del protocollo addizionale, sottoscritto il 23 novembre 1970 a Bruxelles e concluso, approvato e confermato a nome della Comunità mediante il regolamento (CEE) del Consiglio 19 dicembre 1972, n. 2760, non costituiscono disposizioni di diritto comunitario direttamente applicabili nell'ordinamento giuridico interno degli Stati membri.

- L'art. 41, n. 1, del protocollo addizionale ha effetto diretto negli Stati membri.

- Il detto art. 41, n. 1, non è di per sé tale da conferire ad un cittadino turco un diritto di stabilimento e, correlativamente, un diritto di soggiorno nello Stato membro sul territorio del quale egli ha risieduto e ha esercitato attività lavorative come lavoratore autonomo in violazione della normativa nazionale in materia di immigrazione.

- Invece, l'art. 41, n. 1, del protocollo addizionale vieta l'introduzione di nuove restrizioni nazionali alla libertà di stabilimento e al diritto di soggiorno dei cittadini turchi a partire dalla data di entrata in vigore del detto protocollo nello Stato membro ospitante. Spetta al giudice nazionale interpretare il diritto interno per determinare se la normativa applicata al ricorrente nella causa principale sia meno favorevole di quella applicabile al momento dell'entrata in vigore del protocollo addizionale.

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