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Documento 61996CC0210

    Conclusioni dell'avvocato generale Mischo del 12 marzo 1998.
    Gut Springenheide GmbH e Rudolf Tusky contro Oberkreisdirektor des Kreises Steinfurt - Amt für Lebensmittelüberwachung.
    Domanda di pronuncia pregiudiziale: Bundesverwaltungsgericht - Germania.
    Norme di commercializzazione delle uova - Indicazioni intese a promuovere le vendite e idonee a indurre in errore l'acquirente - Consumatore di riferimento.
    Causa C-210/96.

    Raccolta della Giurisprudenza 1998 I-04657

    Identificatore ECLI: ECLI:EU:C:1998:102

    61996C0210

    Conclusioni dell'avvocato generale Mischo del 12 marzo 1998. - Gut Springenheide GmbH e Rudolf Tusky contro Oberkreisdirektor des Kreises Steinfurt - Amt für Lebensmittelüberwachung. - Domanda di pronuncia pregiudiziale: Bundesverwaltungsgericht - Germania. - Norme di commercializzazione delle uova - Indicazioni intese a promuovere le vendite e idonee a indurre in errore l'acquirente - Consumatore di riferimento. - Causa C-210/96.

    raccolta della giurisprudenza 1998 pagina I-04657


    Conclusioni dell avvocato generale


    1 Il regolamento (CEE) del Consiglio 29 ottobre 1975, n. 2771, relativo all'organizzazione comune dei mercati nel settore delle uova (1), prevede l'adozione di norme di commercializzazione che possono riguardare, in particolare, la classificazione per categoria di qualità e di peso, l'imballaggio, il magazzinaggio, il trasporto, la presentazione e la marcatura dei prodotti del settore delle uova.

    2 Sulla base di questo regolamento, il Consiglio ha adottato, il 26 giugno 1990, il regolamento (CEE) n. 1907, relativo a talune norme di commercializzazione applicabili alle uova (2). Questo definisce, al suo articolo 10, il regime giuridico delle diciture che possono essere apposte sulle confezioni in cui vengono immesse in commercio le uova. Tale disposizione è formulata come segue:

    «1. I grandi imballaggi ed i piccoli imballaggi, anche se contenuti in grandi imballaggi, recano su uno dei lati esterni in lettere chiaramente visibili e perfettamente leggibili:

    a) il nome o la ragione sociale e l'indirizzo dell'azienda che ha imballato o fatto imballare le uova; il nome, la ragione sociale o il marchio d'impresa utilizzato da tale azienda, il quale può essere un marchio d'impresa utilizzato collettivamente da varie aziende, può essere indicato se non reca diciture incompatibili con il presente regolamento, relative alla qualità o alla freschezza delle uova, al sistema di produzione seguito o all'origine delle uova;

    (...)

    2. Tanto i piccoli quanto i grandi imballaggi possono tuttavia recare su uno o più lati interni o esterni, le seguenti informazioni supplementari:

    a) (...)

    e) diciture intese a promuovere la vendita, a condizione che tali diciture e la loro formulazione non siano tali da trarre in errore l'acquirente.

    3 Altre date e indicazioni relative al sistema di produzione e all'origine delle uova possono essere apposte in conformità di norme da stabilire secondo la procedura prevista all'articolo 17 del regolamento (CEE) n. 2771/75. Dette norme concerneranno in particolare i termini usati per indicare il sistema di allevamento ed i criteri relativi all'origine delle uova».

    3. L'art. 14 del regolamento n. 1907/90 precisa che gli imballaggi non devono recare nessuna indicazione diversa da quelle previste nel presente regolamento.

    4 Le modalità di applicazione di quest'ultimo sono state adottate dalla Commissione con il regolamento 15 maggio 1991, n. 1274 (3), il cui art. 18 elenca le indicazioni relative al sistema di produzione ai sensi del citato art. 10, n. 3, del regolamento n. 1907/90.

    5 La società Gut Springenheide GmbH, ricorrente nel procedimento principale (in prosieguo: la «Gut Springenheide»), immette in commercio confezioni di uova recanti la dicitura «6-Korn-10 frische Eier» (6 cereali - 10 uova fresche). In ciascun imballaggio delle uova, inoltre, viene inserito un foglietto informativo del seguente tenore:

    «Le uova 6-Korn-Eier provengono da galline nutrite con 6 diversi tipi di cereali naturali. Ingrediente naturale di tale mangime sono perciò le proteine di origine vegetale - un consumo di uova sanissimo. Ognuno dei 6 tipi di cereali (...) contiene vitamine, minerali ed oligoelementi particolarmente importanti. Per sfruttare al meglio queste caratteristiche il mangime viene composto in maniera corrispondente. Le uova "6-Korn-Eier" si distinguono per il gusto eccezionale e la naturale qualità».

    6 Dopo numerose contestazioni fatte alla Gut Springenheide in merito alla dicitura «uova ai 6 cereali» ed alle dichiarazioni pubblicitarie contenute nel foglietto informativo, gli uffici di vigilanza sull'igiene degli alimenti hanno, in data 24 luglio 1989, ingiunto alla società, per il tramite del suo amministratore, signor Tusky, di cessare l'utilizzo della dicitura e del foglietto contestati. Il 5 settembre 1990 veniva, inoltre, irrogata un'ammenda al signor Tusky.

    7 La Gut Springenheide e il suo amministratore hanno allora presentato ricorso per cassazione («Revision») dinanzi al Verwaltungsgericht, al fine di far dichiarare che la dicitura usata sulle confezioni e il contenuto del foglietto informativo non erano in contrasto con la normativa vigente. Respinto tale ricorso sia in primo grado che in appello, essi hanno quindi presentato ricorso in Cassazione dinanzi al Bundesverwaltungsgericht.

    8 Il Bundesverwaltungsgericht rileva che la soluzione del contenzioso dipende dall'interpretazione del succitato art. 10, n. 2, sub e), del regolamento n. 1907/90. Esso ha deciso dunque di sospendere il procedimento per sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

    «1) Se, per valutare a norma dell'art. 10, n. 2, sub e), del regolamento (CEE) n. 1907/90 se determinate dichiarazioni pubblicitarie siano idonee a trarre in errore l'acquirente, si debbano accertare le effettive aspettative dei consumatori, oppure se alla base della norma di cui sopra vi sia una nozione oggettiva del consumatore da interpretare in maniera esclusivamente giuridica.

    2) Nel caso in cui si debbano accertare le effettive aspettative dei consumatori, si pongono le seguenti questioni:

    a) se si tratti del punto di vista del consumatore medio attento ed accorto oppure del consumatore disattento ed acritico;

    b) se si possa determinare qual è la percentuale dei consumatori necessaria per fondare una aspettativa "tipo" dei consumatori.

    3. Qualora la nozione di consumatore vada interpretata in maniera esclusivamente oggettiva e giuridica, si pone la questione di come interpretare tale concetto».

    Considerazioni preliminari

    9 Il governo francese ritiene che la Corte non sia tenuta a risolvere le questioni poste, per due ragioni.

    10 Innanzitutto, viene chiesto alla Corte di verificare la sua competenza. Tale governo rileva, infatti, giustamente che i fatti di specie si sono verificati anteriormente al 1_ ottobre 1990, data di entrata in vigore del regolamento n_ 1907/90, ai sensi dell' art. 24 del detto regolamento.

    11 Emerge tuttavia dagli atti che il ricorso di cui è investito il giudice a quo non mira direttamente ad ottenere l'annullamento delle misure adottate dalle autorità nazionali, bensì alla declaratoria che il comportamento della ricorrente è conforme alla normativa vigente. Senza alcun dubbio le questioni poste dal giudice del rinvio si riferiscono alla normativa vigente al momento del ricorso. Ritengo dunque che, nel caso di specie, non sussista alcun problema di ricevibilità della questione pregiudiziale.

    12 Occorrerebbe tuttavia precisare che il regolamento n. 1907/90 è stato modificato nel 1993 (4) e nel 1994 (5). Solo la prima delle due modifiche interessa il caso in esame, in quanto l'altra non riguarda l'art. 10. A seguito di tale modifica, l'art. 10, n. 1, sub a), appare oggi come segue:

    «a) il nome o la ragione sociale e l'indirizzo dell'azienda che ha imballato o fatto imballare le uova; il nome e la ragione sociale o il marchio d'impresa utilizzato da tale azienda, che può essere un marchio d'impresa utilizzato collettivamente da varie aziende, può essere indicato se non reca indicazioni o simboli relativi alla qualità o alla freschezza delle uova, al sistema di produzione seguito o all'origine delle uova, incompatibili con il presente regolamento».

    L'art. 10, n. 2, sub e), è ora redatto nel seguente modo:

    «e) indicazioni o simboli intesi a promuovere la vendita di uova o di altri prodotti, purchè non siano, di per sè o per la loro formulazione, tali da indurre in inganno l'acquirente».

    Tali modifiche, tuttavia, non esercitano alcuna influenza sui termini delle questioni poste dal Bundesverwaltungsgericht.

    13 Il governo francese adduce una seconda ragione per cui ritiene che la Corte non debba risolvere le questioni sollevate.

    14 Esso osserva che la dicitura «uova ai 6 cereali» è, in ogni caso, vietata ai sensi degli artt. 10, n. 1, sub a), e n. 3, e 14 del regolamento n. 1907/90. Quindi non si porrebbe nemmeno il problema di interpretare l'espressione «trarre in errore l'acquirente», di cui all'art. 10, n. 2, sub e), del regolamento.

    15 Il ragionamento del governo francese è il seguente: la dicitura contestata riguarda il sistema di produzione, in quanto la stessa cerca di attirare l'attenzione dell'acquirente sulla composizione del mangime delle galline ovaiole, che costituisce un aspetto della forma di allevamento degli animali. Il governo francese ammette che il regolamento n. 1907/90 non definisce la nozione di sistema di produzione, ma ritiene potersi riferire al regolamento (CEE) della Commissione 5 giugno 1991, n. 1538, recante disposizioni di applicazione del regolamento (CEE) del Consiglio, n. 1906/90, che stabilisce talune norme di commercializzazione per le carni di pollame (6), da cui emerge che le indicazioni relative agli ingredienti dei mangimi sono connesse alla forma di allevamento del pollame.

    16 Il regolamento n. 1907/90, al suo art. 10, n. 3, succitato, dispone che le indicazioni relative al sistema di produzione possono essere apposte soltanto in conformità di norme da stabilire secondo la procedura prevista dall'art. 17 del regolamento n. 2771/75. In tale ambito, la Commissione ha adottato il regolamento (CEE) n. 1274/91, sopraccitato.

    17 Al suo art. 18 esso elenca, tassativamente, le indicazioni relative al sistema di produzione, che possono comparire sugli imballaggi delle uova. L'indicazione «6 cereali» non figura tra quelle enunciate nel regolamento e il suo impiego è quindi, per il governo francese, illecito. Ne consegue che non sarebbe nemmeno più necessario risolvere le questioni formulate dal Bundesverwaltungsgericht.

    18 Il governo francese precisa che, se la dicitura in esame è un marchio d'impresa, essa è assoggettata ai termini dell'art. 10, n. 1, sub a), che stabilisce che «(...) il nome, la ragione sociale o il marchio d'impresa utilizzato da tale azienda (...) può essere indicato se non reca diciture incompatibili con il presente regolamento, relative alle qualità o alla freschezza delle uova al sistema di produzione seguito o all'origine delle uova», e risultano quindi egualmente applicabili le considerazioni svolte sopra.

    19 In tale contesto, dagli atti sembra emergere che la dicitura in esame sia un marchio d'impresa. Il giudice a quo tuttavia non ci pone il problema dell'interpretazione dell'art. 10, n. 1, sub a), che è la disposizione del regolamento riguardante i marchi d'impresa. Questo potrebbe essere dovuto al fatto, sottolineato giustamente dal governo francese, che il problema di sapere se la denominazione «6 cereali» sia usata o meno come marchio è irrilevante per il regime giuridico da applicare alla dicitura: in ogni caso, essa deve essere conforme al regolamento e, in particolare, alle altre prescrizioni del suo art. 10.

    20 E' innegabile che la dicitura «6 cereali» non appartiene a quelle relative al sistema di produzione ammesse dalla normativa. Occorre, perciò, necessariamente concluderne che il suo impiego sia illecito?

    21 Il sistema istituito dal regolamento n. 1907/90 individua tre categorie distinte di informazioni, che possono figurare sulle confezioni in cui vengono commercializzate le uova.

    22 L'art. 10, n. 1, del detto regolamento, indica le informazioni obbligatorie. Il n. 3 dello stesso articolo elenca le informazioni facoltative: si tratta delle date supplementari, e delle indicazioni sul sistema di produzione e sull'origine delle uova. Le indicazioni di cui al n. 3 possono essere apposte soltanto nel rispetto delle rigorose condizioni previste dal citato regolamento della Commissione n. 1274/91. Infine, l'art. 10, n. 2, del regolamento n. 1907/90, enuncia una serie di informazioni la cui apposizione è autorizzata, tra cui le «diciture intese a promuovere la vendita, a condizione che tali diciture e la loro formulazione non siano tali da trarre in errore l'acquirente», che costituiscono l'oggetto della presente causa.

    23 Tale dispositivo è completato dall'art. 14 del regolamento n. 1907/90, che statuisce che «Gli imballaggi non devono recare nessuna indicazione diversa da quelle previste dal presente regolamento».

    24 L'argomento del governo francese fa sorgere la questione se le indicazioni che non soddisfano le rigorose condizioni previste dall'art. 10, n. 3, e dal suo regolamento di applicazione possano tuttavia essere considerate come «previste dal presente regolamento» ai sensi dell'art. 14, in quanto rientrano nella categoria delle «diciture intese a promuovere la vendita» di cui all'art. 10, n. 2, sub e).

    25 Ritengo che la risposta debba essere affermativa. In effetti, uno degli obiettivi della normativa è quello di assicurare la più ampia informazione al consumatore, per consentirgli una scelta della merce in condizioni ottimali. Inoltre, permettendo l'impiego di dichiarazioni pubblicitarie, la normativa offre chiaramente ai produttori la possibilità di evidenziare al pubblico i loro prodotti rispetto alla concorrenza. In tale ottica, i produttori sono incentivati a presentare agli acquirenti una offerta più variegata.

    26 Il tredicesimo `considerando' del regolamento n. 1907/90, è, d'altronde, orientato nello stesso senso, quando precisa che:

    «si deve permettere a chiunque commercializzi "uova fresche" di stampigliare su tali uova altre indicazioni a scopi pubblicitari».

    27 In questo caso si parla di uova e non di imballaggi, ma non si spiega la ragione per cui tale osservazione non possa valere anche per questi ultimi.

    28 Quindi, le «diciture intese a promuovere la vendita» sono finalizzate a caratterizzare le uova del produttore che fa uso di tali mezzi. Inoltre, tali dichiarazioni si presumono lecite, salvo non siano espressamente vietate dalla normativa o non siano tali da trarre in errore l'acquirente.

    29 Il precitato regolamento n. 1274/91, contenente le prescrizioni relative al sistema di produzione, non menziona affatto la composizione del mangime degli animali. Esso effettua, infatti, un unico riferimento al sistema di produzione, al suo art. 18. Quest'ultimo elenca le diciture consentite per descrivere l'habitat delle galline ovaiole, e tace sulla loro alimentazione.

    30 Bisogna concluderne che il legislatore comunitario abbia voluto implicitamente proibire qualsiasi riferimento al riguardo? Visti i principi sopra esposti, mi sembra, al contrario, che egli abbia voluto disciplinare unicamente le indicazioni riguardanti l'ambiente nel quale il pollame è allevato. Il suo silenzio sulla composizione del mangime implica invece che i produttori possono informare liberamente i consumatori in proposito, nel rispetto delle disposizioni dell'art. 10, n. 2, sub e).

    31 Il principale argomento sollevato contro tale tesi è quello che il governo francese ricava dal citato regolamento n. 1538/91. E' vero che questo, nel suo art. 10 relativo alla forma di allevamento, include indicazioni sul metodo di alimentazione. Ciò non mi pare, tuttavia, determinante.

    32 Le definizioni fornite da tale regolamento, infatti, sono finalizzate a disciplinare il commercio delle carni di pollame, attività economica ben distinta dal commercio delle uova. D'altronde, il regolamento n. 1538/91 prevede, per ciò che concerne l'habitat del pollame, indicazioni diverse da quelle previste, sullo stesso tema, dall'art. 18 del regolamento n. 1274/91. E' dunque chiaro che non è possibile ricorrere, senza le opportune riserve, alle disposizioni del regolamento n. 1538/91 per interpretare il regolamento n. 1274/91.

    33 E questo è ancor più evidente parlando di componenti del mangime per gli animali. Essi, infatti, rivestono estrema importanza per gli acquirenti di carne di pollame in quanto, come sottolineato dalla Commissione in udienza, esistono informazioni chiare ed indiscusse circa l'influenza dell'alimentazione animale sulle caratteristiche della carne. In tale contesto, era inevitabile che il legislatore abbia voluto disciplinare le indicazioni relative alla composizione dei mangimi, al fine di assicurare, in un ambito così importante, la massima informazione e protezione per il consumatore.

    34 Questo emerge, d'altronde, dal settimo `considerando' del regolamento n. 1538/91, secondo cui:

    «considerando che tra le indicazioni che possono venir facoltativamente utilizzate nell'etichettatura figurano quelle relative al metodo di refrigerazione e a particolari forme di allevamento; che, ai fini della tutela del consumatore, l'indicazione della forma di allevamento dev'essere subordinata al rispetto di criteri ben definiti riguardanti sia le condizioni relative al governo degli animali, sia i limiti quantitativi cui fare riferimento nel citare aspetti quali l'età alla macellazione, la durata del periodo di ingrasso o il tenore di determinati ingredienti dei mangimi».

    35 Invece, il settore del commercio di uova è apparso in modo diverso agli occhi del legislatore. Questi ha ritenuto che l'aspetto del sistema di produzione che maggiormente preoccupava i consumatori e che era necessario tutelare fosse l'ambiente nel quale veniva allevato il pollame. Si è quindi concentrato sulla regolamentazione di tali diciture, di notevole importanza - come egli poteva supporre - per gli acquirenti.

    36 Il diciassettesimo `considerando' del regolamento della Commissione n. 1274/91, il solo riguardante i sistemi di produzione, è particolarmente chiaro in proposito:

    «considerando che, data l'attuale prassi commerciale, non sono necessarie indicazioni specifiche per le uova di galline allevate in batteria; che per le uova di galline non allevate in batteria si deve invece prevedere un numero limitato di indicazioni, onde evitare che i consumatori vengano indotti in errore quanto ai principali sistemi di produzione fuori batteria».

    37 Risulta quindi che nel regolamento n. 1274/91 dedicato ai sistemi di produzione non si è ritenuto necessario disciplinare le diciture relative alle caratteristiche dei mangimi, contrariamente a quanto avvenuto per il settore della carne.

    38 In tale contesto, non si può desumere che il silenzio del legislatore implichi la volontà di proibire qualsiasi informazione sulla composizione del mangime quando, proprio per la carne, in cui il rischio di indurre in errore il consumatore è ritenuto più elevato, un tale riferimento è ammesso, sebbene nel rispetto della normativa.

    39 Ne concludo quindi che la denominazione «6 cereali», pur facendo riferimento alla composizione del mangime del pollame, non è necessariamente illecita, ai sensi dell'art. 10, n. 3, del regolamento n. 1907/90, ma che essa è, al contrario, idonea a beneficiare di quanto disposto dal n. 2, sub e), dello stesso articolo.

    40 E' quindi il momento di esaminare le questioni che ci sono state sottoposte dal Bundesverwaltungsgericht.

    41 Le tre questioni possono essere riassunte nel seguente modo. Il giudice nazionale ci chiede se la nozione di acquirente che può essere tratto in inganno, ai sensi del citato regolamento n. 1907/90, faccia riferimento alle concrete aspettative dei consumatori, oppure, al contrario, ad una nozione oggettiva ed astratta di acquirente, da interpretare in maniera esclusivamente giuridica.

    42 Nel primo caso, il giudice nazionale ci domanda se, per stabilire il contenuto delle aspettative concrete, occorra riferirsi al consumatore medio attento ed accorto oppure al consumatore superficiale, e se si possa determinare quale sia la percentuale dei consumatori da cui desumere una aspettativa «tipo».

    43 Nel secondo caso, il giudice nazionale ci domanda l'interpretazione giuridica ed oggettiva della nozione di acquirente.

    Sulla prima questione

    44 Occorre, in primo luogo, precisare al giudice del rinvio la nozione di acquirente idoneo ad essere tratto in errore, ai sensi del regolamento n. 1907/90.

    45 L'art. 10, n. 2, sub e), del detto regolamento n. 1907/90 utilizza - è vero - il termine «acquirente» e non quello di «consumatore», che è tuttavia impiegato nei `considerando' del regolamento. Ritengo pertanto i due termini sostituibili fra loro e farò riferimento alla nozione di consumatore nell'esaminare la giurisprudenza della Corte.

    46 I ricorrenti nel procedimento principale ricordano che, ai sensi dell'art. 129 A del Trattato CE, il consumatore ha il diritto di ricevere un'informazione adeguata. La nozione di consumatore non è pertanto puramente giuridica. Essa si basa altresì sulle concrete aspettative degli acquirenti, intendendo per questi ultimi quelli mediamente accorti.

    47 Il governo francese ritiene che è compito del giudice nazionale valutare se le indicazioni siano tali da indurre in errore gli acquirenti e determinare, a tal fine e con mezzi adeguati (come, eventualmente, il ricorso ad un sondaggio), il consumatore «tipo». Così in Francia il giudice nazionale valuta il carattere ingannevole di un'indicazione facendo riferimento al «consumatore medio».

    48 Il governo austriaco considera che le disposizioni dell'art. 10, n. 2, sub e), richiamino una nozione oggettiva di acquirente e richiedano un'interpretazione puramente giuridica. Per esso, infatti, l'espressione «trarre in errore l'acquirente» che figura in tale disposizione è una questione di diritto e non di fatto.

    49 Secondo il governo svedese, le diciture contestate nella fattispecie riguardano un prodotto di largo consumo e si rivolgono all'insieme dei consumatori. In tale Stato, il carattere ingannevole delle dichiarazioni viene valutato considerando il senso che può essere presumibilmente attribuito dalla generalità dei consumatori, senza bisogno di ricorrere ad indagini sulle loro specifiche aspettative. Tale governo giudica non sia necessario procedere diversamente nel presente contenzioso.

    50 A parere della Commissione, per analizzare se le diciture pubblicitarie riguardanti le uova sono idonee a trarre in errore l'acquirente, è opportuno basarsi sui criteri contenuti nel regolamento, tenendo altresì presente la giurisprudenza della Corte in merito ad ulteriori disposizioni finalizzate a proibire la pubblicità ingannevole. Non è assolutamente necessario, in tali condizioni, stabilire quale sia l'aspettativa concreta dell'acquirente, prodotta dalla pubblicità, attraverso un sondaggio o una perizia. Tuttavia, se il giudice nazionale continua ad avere dubbi sul carattere ingannevole o meno di una dicitura, egli può ricorrere ad una perizia o ad un sondaggio presso i consumatori.

    51 Il governo tedesco ha esposto in udienza che occorre appurare se la norma in esame tuteli dalla pubblicità ingannevole un gruppo delimitato di individui ovvero la generalità dei consumatori.

    52 E' solo nel caso in cui la norma giuridica tuteli la generalità dei consumatori da possibili errori e, d'altra parte, la dichiarazione da interpretare si rivolga, anch'essa, a tutti i consumatori, che prevarrà la questione giuridica su quella di fatto. I giudici possono capire se l'espressione è idonea a trarre in errore, appartenendo essi stessi al gruppo di persone interessate. Ma essi debbono distanziarsi dalla specifica comprensione dell'insieme dei consumatori, per basarsi su un criterio oggettivo. Essi devono procedere ad una valutazione giuridica dei fatti e, in tale ambito, comprendere ugualmente quale sia la finalità della disposizione in esame e la sua collocazione nel sistema del diritto comunitario.

    53 Secondo il governo tedesco, è necessario procedere a mezzi istruttori solo quando l'espressione da valutare si rivolga ad un gruppo delimitato di persone, come gli esperti, oppure individui che possono facilmente essere indotti in errore, come i bambini. Nel caso di specie, le norme adottate si indirizzano a tutti i consumatori di uova. Del pari, anche l'espressione che il giudice deve valutare è rivolta alla generalità dei consumatori. Pertanto, non è necessario procedere a mezzi istruttori.

    54 Da parte mia, propongo di utilizzare una soluzione vicina a quanto suggerito dal governo francese e dalla Commissione, che può scomporsi in due elementi:

    - in presenza di dichiarazioni pubblicitarie rivolte a tutti i consumatori (come nel caso di specie), il giudice nazionale potrà riferirsi ad una nozione oggettiva di consumatore;

    - tuttavia, il diritto comunitario non gli impedisce di svolgere un'inchiesta sulle concrete aspettative del consumatore, qualora il giudice conservi dubbi in merito all'errore che una tale dichiarazione può generare sui soggetti destinatari.

    55 Emerge, in primo luogo, in modo evidente dalla giurisprudenza della Corte che questa ha sempre fatto riferimento ad una nozione astratta e giuridica del termine consumatore. Si tratta del consumatore medio, «munito di un normale potere di discernimento», secondo le parole utilizzate dalla Corte al punto 24 della sentenza Mars (7).

    56 Mi sembra che questa definizione sia identica, in sostanza, a quella esposta dal Bundesverwaltungsgericht, alla pagina 2 del rinvio pregiudiziale, in cui si parla di «consumatore mediamente accorto, che riceve le informazioni relative al prodotto in vendita, e con ciò la descrizione complessiva del prodotto, in maniera critica», in opposizione al consumatore «che prende conoscenza delle informazioni relative al prodotto in vendita e delle indicazioni pubblicitarie solo in maniera superficiale ed acritica, senza approfondire il contenuto delle dichiarazioni pubblicitarie».

    57 Possiamo anche citare, nello stesso senso, la sentenza Langguth (8), riguardante l'impiego, all'interno di un marchio d'impresa, di diciture oggetto di disciplina normativa.

    58 Il fatto che nel diritto comunitario la nozione di consumatore sia intesa in modo oggettivo ed astratto deriva non solo dalla giurisprudenza citata, relativa all'art. 30 del Trattato, ma anche da pronunce riguardanti più specificamente norme applicabili in precedenza allo smercio delle uova (9), identiche a quelle nel caso di specie.

    59 Poichè la Corte ha inteso, in modo generale, come consumatori l'insieme dei «consumatori muniti di un normale potere di discernimento», essa ha necessariamente fatto ricorso ad un'interpretazione astratta di tale nozione.

    60 Tuttavia, nella sua sentenza X (o Nissan) (10), la Corte, oltre ad elaborare la sua concezione astratta di consumatore, ha indicato al giudice nazionale che poteva prendere in considerazione la concreta reazione di un significativo numero di acquirenti nei confronti di una certa pubblicità, al fine di risolvere il contenzioso.

    61 Nel dispositivo di tale sentenza, la Corte ha infatti constatato che la direttiva 84/450/CEE del Consiglio (11), riguardante la pubblicità ingannevole, non impediva che una pubblicità presentasse veicoli venduti in altro Stato membro:

    - come fossero nuovi, malgrado già immatricolati al fine dell'importazione, senza tuttavia aver mai circolato su strada;

    - come meno costosi, quando la pubblicità non specificava che la gamma di accessori di cui erano dotati era ridotta rispetto a quella dei veicoli in vendita nello Stato membro d'importazione.

    62 In tal modo, la Corte ha quindi ritenuto che tale pubblicità, in linea di principio, non era idonea ad indurre in errore e ad influenzare il comportamento del consumatore, astrattamente considerato.

    63 Tuttavia, nei motivi della stessa sentenza (12), la Corte ha dichiarato che spettava comunque al giudice nazionale accertare (13), alla luce delle particolarità del caso, se, considerando i consumatori ai quali era rivolta, una pubblicità del genere integrasse gli estremi della pubblicità ingannevole, poiché mirava a nascondere il fatto che i veicoli presentati come nuovi erano stati immatricolati prima di essere importati e in quanto una simile circostanza avrebbe potuto indurre un numero significativo di consumatori a rinunziare all'acquisto.

    64 Per quanto concerne, in secondo luogo, la pubblicità del prezzo meno elevato dei veicoli, la Corte ha dichiarato al punto 16 che «tale pubblicità potrebbe essere considerata ingannevole solo nell'ipotesi in cui fosse assodato (14) che un numero significativo di consumatori, ai quali essa è rivolta, ha deciso l'acquisto dei veicoli, ignorando che la riduzione di prezzo s'accompagna ad una riduzione del numero di accessori, per i veicoli venduti dall'importatore parallelo».

    65 La Corte non ha precisato in quale maniera il giudice nazionale doveva «accertare» o «assodare» se gli acquisti dei consumatori fossero stati o potessero essere influenzati da tale pubblicità.

    66 Secondo il testo citato, il giudice nazionale può pervenire ad una tale constatazione dopo aver ascoltato le parti e, nel caso, un perito, oppure può trarre la sua conclusione al termine di una indagine presso i consumatori.

    67 Emerge comunque da tale sentenza che il diritto comunitario non impone al giudice di accertare le reali aspettative dei consumatori, nel caso in cui il giudice nazionale giunga alla conclusione che una data pubblicità sia ingannevole o meno, in base al modo in cui è prodotta e all'influenza che può esercitare sul consumatore medio, «munito di un normale potere di discernimento».

    68 Viceversa, il diritto comunitario non impedisce al giudice di ricorrere a sondaggi, quando ritiene che la pubblicità non sia del tutto scorretta e sia incerta la sua influenza sul consumatore «munito di un normale potere di discernimento».

    69 Essendo così pervenuti alla conclusione che il diritto comunitario non impone indagini sulle concrete aspettative degli acquirenti, vi propongo di risolvere la prima questione stabilendo che, per valutare se una dichiarazione pubblicitaria sia idonea a trarre in errore l'acquirente, occorre interpretare la nozione di acquirente in maniera esclusivamente oggettiva e giuridica. Il giudice nazionale può, tuttavia, far eseguire indagini o sondaggi sulle aspettative dei consumatori, se lo ritiene opportuno.

    70 Con la sua terza questione il Bundesverwaltungsgericht ci chiede di definire la nozione oggettiva di acquirente.

    71 E' opportuno, quindi, passare subito all'esame di tale questione.

    Sulla terza questione

    72 Il Bundesverwaltungsgericht ritiene che, se occorre considerare la nozione di consumatore in modo oggettivo, questa valutazione sarebbe il frutto di un'interpretazione letterale e teleologica della fattispecie di una norma comunitaria, nella quale occorre contemperare i beni giuridici tutelati dalla norma.

    73 Considerato quanto sopra esposto, sembra possibile riformulare la terza questione nel seguente modo.

    74 Se resta inteso che il consumatore da proteggere è l'acquirente medio, «munito di un normale potere di discernimento», su quali criteri può basarsi il giudice per decidere se quel consumatore può essere indotto in errore da una certa dichiarazione pubblicitaria?

    75 Il problema di stabilire se anche il consumatore con un normale potere di discernimento possa essere indotto in errore dipende evidentemente, e prima di tutto, dal tenore dello slogan pubblicitario. Anch'io, come la Commissione, penso che il giudice debba determinare preliminarmente il significato dell'enunciato pubblicitario secondo l'uso linguistico e la rispondenza di tale accezione alla realtà.

    76 Successivamente, egli dovrà valutare gli effetti che la dichiarazione pubblicitaria può suscitare sul consumatore munito di un normale potere di discernimento.

    77 A parere della ricorrente, la dicitura «10 uova - 6 cereali», così come le notizie contenute nel foglietto informativo allegato alle confezioni di uova, costituiscono informazioni corrette, e non possono, per definizione, indurre in errore l'acquirente, indipendentemente dalle conclusioni che quest'ultimo può trarne.

    78 Ma le cose non sono così semplici. Mi sembra opportuno, in effetti, distinguere tra

    - dichiarazioni oggettivamente corrette;

    - dichiarazioni oggettivamente scorrette;

    - dichiarazioni oggettivamente corrette, che possono tuttavia ingannare il consumatore, in quanto non completamente fedeli alla realtà.

    79 Per quanto riguarda le dichiarazioni oggettivamente corrette, la Corte ritiene, come ricordato dalla Commissione, che indicazioni conformi alla verità non siano idonee, in via di principio, a trarre in errore il consumatore (15).

    80 Bisogna notare, tuttavia, che in certi casi anche le dichiarazioni pubblicitarie corrette possono essere tali da indurre in errore il consumatore. Ciò si verifica, principalmente, ove vi sia il rischio di confusione tra le indicazioni pubblicitarie e le diciture previste dal regolamento n. 1907/90 (16).

    81 Un altro criterio da considerare è quello della verificabilità o meno delle dichiarazioni in esame. L'importanza di tale criterio emerge principalmente dalla giurisprudenza della Corte in merito all'apposizione della data di deposizione delle uova sulle stesse. Così, nella citata causa Paris, la Corte ha sottolineato l'importanza dell'esattezza dell'informazione fornita al consumatore. Nel caso di cui ci occupiamo, bisognerebbe quindi confermare che le autorità possono controllare, se necessario, le dichiarazioni in esame, relative al mangime delle galline che hanno deposto le uova.

    82 Peraltro, le dichiarazioni che richiamano l'attenzione del pubblico, anche se non pertinenti, possono essere ricomprese nelle categoria delle informazioni corrette e non contestabili. Se un produttore, ad esempio, facesse figurare sulle confezioni la dicitura «pollo allevato in salubre aria di montagna» o «pollo allevato al sole del Mezzogiorno», si avrebbe probabilmente un'informazione esatta, ma senza alcun rapporto con la qualità delle uova. Essa potrebbe influenzare il consumatore superficiale, ma farebbe sorridere quello accorto.

    83 Quanto alle dichiarazioni oggettivamente scorrette, esse sono in linea di principio ingannevoli e vietate, a meno che l'effetto ingannevole non sia, come osservato dalla Commissione, eliminato da circostanze particolari.

    84 E' compito del giudice nazionale valutare se la descrizione delle uova della Gut Springenheide, quale appare nel foglietto informativo inserito nelle confezioni, sia oggettivamente scorretta, in quanto le stesse non differiscono dalle uova comuni.

    85 Ricordiamo, in tale contesto, l'art. 2, n. 1, sub a), della direttiva (CEE) del Consiglio 18 dicembre 1978, n. 112, relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernenti l'etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari destinati al consumatore finale, nonchè la relativa pubblicità (17), che dispone quanto segue:

    «1. L'etichettatura e le relative modalità di realizzazione non devono:

    a) essere tali da indurre in errore l'acquirente, specialmente:

    i) (...)

    ii) attribuendo al prodotto alimentare effetti o proprietà che non possiede;

    iii) suggerendo che il prodotto alimentare possiede caratteristiche particolari, quando tutti i prodotti alimentari analoghi possiedono caratteristiche identiche».

    86 Rimane, infine, la categoria delle dichiarazioni oggettivamente corrette, che però non corrispondono totalmente alla verità. E' qui che si pongono i maggiori problemi.

    87 Se la parte di informazione omessa è tale da far apparire l'informazione data in modo nettamente diverso, bisogna concludere che il consumatore è indotto in errore.

    88 La dicitura «6 cereali» può essere ricompresa in questa categoria, se si accerta che il mangime destinato alle galline della Gut Springenheide è composto da 6 cereali solo al 60%, mentre essa lascia intendere che le galline ricevano unicamente tale tipo di mangime.

    89 Il giudice d'appello, menzionato dal Bundesverwaltungsgericht, è dell'opinione che questa dichiarazione si ricolleghi alla «moda dei cereali», e suggerisce l'idea che tali uova siano speciali, mentre il detto organo giurisdizionale è convinto che queste non abbiano nulla di superiore rispetto alla norma (pagina 5 della domanda di pronuncia pregiudiziale).

    90 Resta, quindi , da determinare se, considerata l'influenza che esercita la «moda dei cereali» sul consumatore tedesco, anche il consumatore munito di un normale potere di discernimento possa esserne condizionato e indotto, perciò, ad acquistare le uova in esame.

    91 Il Bundesverwaltungsgericht potrà prendere una decisione in merito, se lo giudica opportuno. Altrimenti, il diritto comunitario non impedisce di ricorrere ad un sondaggio su un campione rilevante di consumatori o all'opinione di un esperto.

    92 Propongo, quindi, di risolvere la terza questione stabilendo che la nozione oggettiva di acquirente è quella del consumatore medio, munito di un normale potere di discernimento. Per valutare se una dichiarazione pubblicitaria ai sensi dell'art. 10, n. 2, sub e), del citato regolamento n. 1907/90, sia tale da indurre in errore un acquirente, occorre tener conto dei termini e della finalità del regolamento, della rispondenza della dichiarazione alla verità, dell'assenza di ambiguità e della verificabilità, da parte delle autorità, dell'informazione data.

    Sulla seconda questione

    93 Tale questione è posta alla Corte nell'ipotesi in cui la soluzione della prima faccia emergere la necessità di determinare quali siano concretamente le reali aspettative dei consumatori.

    94 Dato che ho concluso nel senso che il giudice nazionale non è obbligato a compiere siffatta ricerca, e nel senso però che il diritto comunitario, se egli lo ritiene opportuno, non gli preclude tale attività, penso che sia utile risolvere la seconda questione.

    Sulla seconda questione, sub a)

    95 Il giudice a quo ci chiede, innanzi tutto, se è la nozione del consumatore medio attento ed accorto che rileva, ovvero quella del consumatore disattento ed acritico.

    96 Propongo di ritenere che, anche nell'ipotesi oggetto della seconda questione, rilevi l'opinione del consumatore medio, attento e accorto.

    97 Il consumatore superficiale, infatti, non presta sufficiente attenzione alle diciture che figurano su un prodotto, e si lascia piuttosto influenzare dal colore o dal disegno posto sulla confezione, o da slogans talmente esagerati da rendere inutile il loro divieto, come «L'uovo che vi darà energia per tutto il giorno».

    98 Abbiamo visto in precedenza che la giurisprudenza della Corte ha sempre fatto ricorso ad una interpretazione della nozione di consumatore corrispondente ad un individuo con un normale potere di discernimento, capace di notare, con una certa attenzione, le informazioni poste sui prodotti in commercio.

    99 A giusto titolo l'avvocato generale Tesauro ha ricordato, nelle sue conclusioni in merito alla causa X (o Nissan), già citata, che «vigilantibus, non dormientibus iura succurrunt» (18).

    100 E' d'altronde chiaro che anche i vari regolamenti esaminati presuppongono un consumatore mediamente attento, in quanto capace di notare distinzioni, talvolta sottili, tra indicazioni come «uova di allevamento all'aperto» e «uova di galline allevate all'aperto - sistema estensivo» (19).

    Sulla seconda questione, sub b)

    101 Questa parte di questione è redatta come segue:

    «Si può determinare qual è la percentuale dei consumatori necessaria per fondare una aspettativa "tipo" dei consumatori?»

    102 La giurisprudenza della Corte fornisce una sola indicazione al riguardo. Si tratta della sentenza X (o Nissan), sopraccitata, dove la Corte parla di un «numero significativo di consumatori». Essa non ha, tuttavia, precisato, nè in questa sentenza, nè in altre, a partire da che soglia si ritiene significativo il numero di consumatori indotti in errore.

    103 Come la Commissione, sono dell'avviso che sarà il giudice nazionale, sulla base delle circostanze di ciascun caso specifico, a stabilire se il numero dei consumatori caduto in errore sia significativo.

    104 Considerato, come abbiamo visto, che il consumatore è da ritenersi a priori munito di una normale capacità di discernimento, la detta percentuale dovrà essere fissata ad un livello abbastanza elevato.

    105 Al contrario, l'accoglimento di una concezione troppo pessimistica delle abitudini del consumatore, che richiederebbe la fissazione di una percentuale molto bassa, rischia di falsare l'equilibrio perseguito dalla giurisprudenza della Corte tra le esigenze della protezione dei consumatori e la libera circolazione delle merci. Quest'ultima potrebbe, in effetti, essere coinvolta quando si tratta di merci importate.

    106 La Commissione rileva, peraltro, che «i giudici tedeschi, nel quadro di una giurisprudenza pluridecennale, in particolare sul diritto di concorrenza, hanno adottato il principio che considera una percentuale dal 10 al 15% dei consumatori indotti in errore - secondo i casi - non ancora significativa. Certamente, è opportuno applicare criteri più rigorosi nei confronti di pubblicità riguardanti prodotti alimentari e legati alla salute, e ritenere significativa anche una percentuale inferiore al 10% dei consumatori indotti in errore».

    107 L'orientamento della giurisprudenza tedesca mi sembra del tutto adeguato. Posto che nel caso di specie le dichiarazioni pubblicitarie non riguardano un prodotto pericoloso per la salute, la percentuale del 15% potrebbe essere adeguata, qualora il Bundesverwaltungsgericht ritenga necessario indagare sulle concrete aspettative dei consumatori.

    108 Trovandomi completamente d'accordo con la Commissione per ciò che concerne la seconda questione, sub a) e b), vi propongo di risolvere i quesiti nel modo da questa suggerito.

    109 Mi resta ancora un piccolo appunto in merito al ruolo del giudice nazionale. La Commissione, infatti, si chiede con insistenza se è compito della Corte o del giudice nazionale verificare se, nella fattispecie, la dichiarazione possa trarre in errore il consumatore. Essa nota che in alcuni casi è stata la Corte a risolvere il problema (20). Bisogna, però, notare che tali casi differivano dalla fattispecie in esame.

    110 Si trattava infatti in detti casi di valutare la legittimità rispetto al diritto comunitario di misure nazionali che limitavano la libera circolazione delle merci, assertivamente motivate da esigenze imperative ai sensi della giurisprudenza della Corte sulla libera circolazione delle merci. Invece, nella fattispecie, il problema è diverso: si chiede alla Corte di indicare al giudice nazionale gli elementi interpretativi necessari per consentirgli di applicare un atto di diritto derivato ai fatti su cui è chiamato a pronunciarsi.

    111 Non vedo quindi ragioni per allontanarsi dai criteri adottati nella giurisprudenza della Corte sul regolamento n. 1907/90, e cioè nelle cause Gutshof-Ei e Gold-Ei Erzeugerverbund, succitate, come nella causa Paris, riguardante una analoga regolamentazione precedente. In tutti questi casi, la Corte si è limitata a precisare i criteri che consentono al giudice nazionale di valutare se le dichiarazioni contestate siano ingannevoli o meno.

    Conclusione

    112 Sulla base di quanto precede, ritengo che le questioni poste dal Bundesverwaltungsgericht vadano risolte come segue.

    Prima questione

    «Per valutare se una dichiarazione pubblicitaria è idonea a trarre in errore l'acquirente, ai sensi del regolamento (CEE) del Consiglio 26 giugno 1990, n. 1907, relativo a talune norme di commercializzazione applicabili alle uova, e in particolare del suo art. 10, n. 2, sub e), occorre fare riferimento ad una nozione oggettiva e giuridica dell'acquirente. Il diritto comunitario, tuttavia, non impedisce al giudice nazionale di compiere indagini o sondaggi per accertare la reale aspettativa dei consumatori, se lo ritiene opportuno».

    Terza questione

    «La nozione oggettiva di acquirente, cui fare riferimento, è quella del consumatore medio, munito di un normale potere di discernimento. Per valutare se una dichiarazione pubblicitaria è idonea a trarre in errore tale acquirente, ai sensi dell'art. 10, n. 2, sub e), del regolamento n. 1907/90, occorre tener conto dei termini e della finalità del regolamento, della rispondenza della dichiarazione alla verità, dell'assenza di ambiguità e della verificabilità, da parte delle autorità, dell'informazione data».

    Seconda questione

    «a) Per valutare se una dichiarazione pubblicitaria sia idonea a trarre in errore, occorre far riferimento alla nozione del consumatore medio, attento e accorto.

    b) E' compito del giudice nazionale cui è affidato il contenzioso sul carattere ingannevole di una dichiarazione pubblicitaria stabilire quando la percentuale dei consumatori indotti in errore sia significativa, e quindi sia giustificato il divieto del suo utilizzo, tenendo presenti le circostanze del caso e il principio che il diritto comunitario tutela il consumatore medio, attento ed accorto».

    (1) - GU L 282, pag. 49.

    (2) - GU L 173, pag. 5.

    (3) - GU L 121, pag. 11.

    (4) - Regolamento (CEE) del Consiglio 21 settembre 1993, n. 2617 (GU L 240, pag. 1).

    (5) - Regolamento (CE) del Consiglio 12 dicembre 1994, n. 3117 (GU L 330, pag. 4).

    (6) - GU L 143, pag. 11.

    (7) - Sentenza 6 luglio 1995, causa C-470/93 (Racc. pag. I-1923).

    (8) - Sentenza 29 giugno 1995, causa C-456/93 (Racc. pag. I-1737).

    (9) - Sentenze 15 gennaio 1991, causa C-372/89, Gold-Ei Erzeugerverbund (Racc. pag. I-43); 25 febbraio 1992, causa C-203/90, Gutshof-Ei (Racc. pag. I-1003) e 13 dicembre 1989, causa C-204/88, Paris (Racc. pag. 4361, punto 11).

    (10) - Sentenza 16 gennaio 1992, causa C-373/90 (Racc. pag. I-131).

    (11) - Direttiva 10 settembre 1984, relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri in materia di pubblicità ingannevole (GU L 250, pag. 17).

    (12) - Punti 15 e 16.

    (13) - Il corsivo è mio.

    (14) - Il corsivo è mio.

    (15) - Sentenze 7 marzo 1990, causa C-362/88, GB INNO/BM (Racc. pag. I-667, punto 17); X (o Nissan), citata, punto 17; v. anche le conclusioni dell'avvocato generale Léger, nella causa Mars, citata, paragrafo 51, che rinvia alle sentenze della Corte di giustizia nelle cause X (o Nissan) e 18 maggio 1993, causa C-126/91, Yves Rocher (Racc. pag. I-2361).

    (16) - V. Gutshof-Ei, citata, punti 17-19.

    (17) - GU 1979, L 33, p. 1.

    (18) - Racc. 1992, pag. I-145.

    (19) - Allegato 2 del regolamento n. 1274/91, sopraccitato.

    (20) - V. sentenze 13 dicembre 1990, causa C-238/89, Pall (Racc. pag. I-4827); Yves Rocher e X (Nissan), citate, e 2 febbraio 1994, causa C-315/92, Verband Sozialer Wettbewerb (Racc. pag. I-317).

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