EUR-Lex L'accesso al diritto dell'Unione europea

Torna alla homepage di EUR-Lex

Questo documento è un estratto del sito web EUR-Lex.

Documento 61994CC0319

Conclusioni dell'avvocato generale Lenz del 11 luglio 1996.
Jules Dethier Équipement SA contro Jules Dassy e Sovam SPRL.
Domanda di pronuncia pregiudiziale: Cour du travail de Liège - Belgio.
Salvaguardia dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di aziende o di parti di aziende - Trasferimento di un'azienda in liquidazione volontaria o giudiziale - Potere del cedente e del cessionario di licenziare lavoratori per ragioni economiche, tecniche o di organizzazione - Lavoratori licenziati poco tempo prima del trasferimento e non riassunti dal cessionario.
Causa C-319/94.

Raccolta della Giurisprudenza 1998 I-01061

Identificatore ECLI: ECLI:EU:C:1996:291

61994C0319

Conclusioni dell'avvocato generale Lenz dell'11 luglio 1996. - Jules Dethier Équipement SA contro Jules Dassy e Sovam SPRL. - Domanda di pronuncia pregiudiziale: Cour du travail de Liège - Belgio. - Salvaguardia dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di aziende o di parti di aziende - Trasferimento di un'azienda in liquidazione volontaria o giudiziale - Potere del cedente e del cessionario di licenziare lavoratori per ragioni economiche, tecniche o di organizzazione - Lavoratori licenziati poco tempo prima del trasferimento e non riassunti dal cessionario. - Causa C-319/94.

raccolta della giurisprudenza 1998 pagina I-01061


Conclusioni dell avvocato generale


Introduzione

1 Nella presente fattispecie la Cour du travail di Liegi ha sottoposto alla Corte di giustizia questioni relative all'applicabilità e all'interpretazione della direttiva del Consiglio 14 febbraio 1977, 77/187/CEE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di stabilimenti (1) (in prosieguo: la «direttiva»), e in particolare, la questione se la direttiva si applichi al trasferimento di un'azienda in liquidazione.

2 In origine si tratta di una controversia tra il signor Dassy e la Sprl Sovam, suo ex datore di lavoro, da un lato, e la SA Jules Dethier Équipement, dall'altro.

3 Dall'inizio del 1974 il signor Dassy lavorava presso la Sprl Sovam in qualità di responsabile del servizio assistenza ai clienti. All'inizio del 1990 la società aveva difficoltà economiche e doveva registrare una notevole diminuzione del fatturato. La relazione redatta nel marzo 1991 da un revisore contabile rivelava che l'attivo netto della società si era ridotto ad un importo inferiore al capitale sociale. Non avendo potuto i soci accordarsi sulla via da seguire, la società presentava alla fine una domanda di liquidazione giudiziale. In seguito a tale domanda il Tribunal de commerce di Huy, con ordinanza 15 maggio 1991, pronunciava la liquidazione giudiziale e designava un liquidatore.

4 Secondo il giudice a quo e la Commissione, nel diritto belga per liquidazione di una società si deve intendere l'insieme delle operazioni che, a seguito dello scioglimento di una società commerciale, tendono al pagamento dei creditori tramite l'attivo sociale e alla ripartizione dell'eventuale residuo tra i soci. Questo procedimento si applica a tutte le società commerciali munite di personalità giuridica. Al riguardo è irrilevante il motivo per il quale la società si è sciolta. Durante la liquidazione la società agisce tramite il liquidatore. Esso è un organo della società e la rappresenta nei confronti dei terzi. Secondo la legge, i liquidatori vengono nominati o nello statuto o dall'assemblea generale. Se nel corso dell'assemblea generale la maggioranza necessaria per la nomina di un candidato non viene raggiunta, il liquidatore viene designato dal tribunale. In quest'ultima ipotesi si tratta di una liquidazione giudiziale, come nel caso di specie. La sola differenza rispetto alla liquidazione volontaria sussiste a livello di procedura di nomina dei liquidatori.

5 Il 5 giugno 1991 il liquidatore, che nella presente fattispecie era stato nominato dal tribunale, licenziava il signor Dassy.

6 Con contratto 27 giugno 1991 il liquidatore cedeva la società in liquidazione alla SA Jules Dethier Équipement. Questa cessione, avvenuta tra il liquidatore e la SA Jules Dethier Équipement, veniva omologata dal Tribunal de commerce il 10 luglio 1991. Sia il giudice a quo sia la Commissione ritengono che questa omologazione non fosse indispensabile. Essa non è in ogni caso richiesta dalla procedura di liquidazione.

7 Il 22 maggio 1992 il signor Dassy presentava una citazione contro la SA Jules Dethier Équipement da lui considerata responsabile in solido del pagamento delle somme dovute dalla Sprl SOVAM in liquidazione, in quanto il trasferimento di azienda era contrattuale. Il Tribunal de commerce fissava il credito nei confronti della società in liquidazione nella somma di 1 643 726 BFR e condannava in solido la SA Jules Dethier Équipement.

8 La Cour du travail di Liegi, che ha proposto la domanda di pronuncia pregiudiziale, è attualmente adita con l'appello interposto dalla SA Jules Dethier Équipement. Secondo il giudice a quo, nella presente fattispecie si tratta di un trasferimento di impresa ai sensi della direttiva. Tuttavia, esso si interroga sull'applicabilità della direttiva alla presente fattispecie, in quanto considera non pacifico che il trasferimento di una società in liquidazione costituisca una cessione contrattuale ai sensi dell'art. 1, n. 1, della direttiva.

9 L'art. 1, n. 1, della direttiva stabilisce quanto segue:

«La presente direttiva si applica ai trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di stabilimenti ad un nuovo imprenditore in seguito a cessione contrattuale o a fusione».

10 Il mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di imprese è disciplinato dall'art. 3, n. 1:

«I diritti e gli obblighi che risultano per il cedente da un contratto di lavoro o da un rapporto di lavoro esistente alla data del trasferimento ai sensi dell'articolo 1, paragrafo 1, sono, in conseguenza di tale trasferimento, trasferiti al cessionario.

(...)».

11 Onde evitare che questa disposizione venga elusa, l'art. 4 vieta il licenziamento dovuto solo a trasferimento di impresa. L'art. 4, n. 1, dispone quanto segue:

«Il trasferimento di un'impresa, di uno stabilimento o di una parte di stabilimento non è di per sé motivo di licenziamento da parte del cedente o del cessionario. Tale dispositivo non pregiudica i licenziamenti che possono aver luogo per motivi economici, tecnici o d'organizzazione che comportano variazioni sul piano dell'occupazione».

12 Infine, l'art. 7 prevede la facoltà degli Stati membri di applicare o di introdurre disposizioni legislative, regolamentari o amministrative più favorevoli ai lavoratori.

13 Secondo il giudice a quo, le disposizioni della direttiva vengono recepite nel diritto belga attraverso il contratto collettivo n. 32 bis nella versione del contratto n. 32 quater. Questo contratto prevede il mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di cambiamento di datore di lavoro a seguito del trasferimento contrattuale dell'azienda. Inoltre, esso attribuisce taluni diritti ai lavoratori riassunti in caso di rilevamento dell'attivo dopo un fallimento o un concordato giudiziario per abbandono di attivo. Il contratto collettivo n. 32 non si applica all'ipotesi di fallimento né alle procedure analoghe. Gli estensori del contratto n. 32 bis hanno ritenuto che i lavoratori di un'impresa fallita o che ha formato oggetto di un concordato giudiziario per abbandono di attivo si trovassero in una situazione simile a quella in cui si trovava il personale di un'azienda trasferita e che, di conseguenza, anch'essi meritassero un minimo di tutela.

14 Inoltre, il contratto collettivo dispone che cedente e cessionario sono tenuti in solido al pagamento dei debiti esistenti alla data del trasferimento e risultanti dai contratti di lavoro esistenti a tale data.

15 Qualora la direttiva si applichi alla presente fattispecie, il giudice a quo si chiede peraltro come si debba valutare, in considerazione delle disposizioni della direttiva, la risoluzione di un contratto di lavoro avvenuta immediatamente prima del trasferimento della società.

16 Per questo esso deferisce alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1) Se la direttiva del Consiglio 77/187 si applichi qualora il trasferimento sia operato da una società in liquidazione volontaria, procedura il cui obiettivo, in mancanza di ogni prosecuzione di attività, è la liquidazione dei beni attraverso il realizzo dell'attivo. Se la soluzione sia la stessa qualora il cedente sia una società in liquidazione giudiziale.

2) Qualora i contratti di lavoro dell'insieme del personale siano stati risolti dal liquidatore e solo alcuni di tali dipendenti siano stati riassunti per le esigenze della liquidazione, se i licenziamenti di dipendenti in seguito non riassunti dal cessionario possano essere considerati come avvenuti per motivi economici, tecnici o di organizzazione ai sensi dell'art. 4, n. 1, della direttiva. Se si debba invece lasciare il potere di licenziare per tali motivi al solo cessionario.

Se i dipendenti non riassunti dal cessionario, per il solo fatto che un'entità economica è stata appunto trasferita poco tempo dopo il loro licenziamento avvenuto per motivi di ordine economico, tecnico o di organizzazione, possano far valere, nei confronti del cessionario, l'illegittimità del provvedimento preso nei loro riguardi dal cedente se il contratto di cessione non prevede la loro riassunzione».

B - Presa di posizione

Sulla prima questione

17 Nella prima questione il giudice a quo domanda se la direttiva si applichi qualora il trasferimento sia operato da una società in liquidazione. In considerazione della formulazione della questione e del testo della decisione di rinvio sembra che, secondo il giudice a quo, vi sia un trasferimento di impresa ai sensi della direttiva. Al riguardo esso precisa che il liquidatore della Sprl Sovam e la SA Jules Dethier Équipement hanno stipulato un contratto di cessione di azienda commerciale. Questo contratto prevede fra l'altro che il liquidatore ceda, per un importo di 2 milioni di franchi belgi, l'azienda commerciale (commercio di importazione, di distribuzione di elettrodomestici, di sistemazione e di attrezzatura di stabili) comprendente:

- la clientela, la denominazione commerciale e l'insegna;

- il mobilio d'ufficio, le macchine, l'attrezzatura e il materiale circolante;

- ogni brevetto, concessione e licenza di proprietà della cedente; - il contratto d'affitto.

Accanto ad altre disposizioni il contratto contiene anche l'impegno del cessionario a riassumere alle stesse condizioni tre membri del personale nominativamente designati e ad avvisare il cedente di altre eventuali riassunzioni. Secondo il giudice a quo, l'accordo verte dunque sull'intera attività della Sprl Sovam. Richiamandosi alla giurisprudenza della Corte esso arriva alla conclusione che nel caso di specie si tratta di un trasferimento di azienda ai sensi della direttiva.

18 Secondo la costante giurisprudenza della Corte, spetta al giudice nazionale verificare, attraverso criteri precisati dalla Corte, se nel caso di specie si tratti di un trasferimento convenzionale di azienda ai sensi della direttiva (2).

19 Tuttavia, il giudice a quo si chiede se nel caso di specie il trasferimento sia anche contrattuale, in quanto l'azienda ceduta era in liquidazione.

20 Al riguardo è opportuno richiamarsi alla sentenza della Corte nella causa Abels (3). In quella causa la Corte ha statuito che non si può valutare la portata dell'art. 1, n. 1, della direttiva in base alla sola interpretazione letterale. Vi ostano le varie versioni linguistiche di questa disposizione e la differenza a livello di contenuto della nozione di cessione contrattuale nel diritto fallimentare dei vari Stati membri. Per questo, secondo la Corte, è opportuno chiarire il significato di questa disposizione «alla luce dello spirito della direttiva, della sua posizione nel sistema del diritto comunitario rispetto ai regimi fallimentari, nonché del suo scopo» (4).

21 Per quanto riguarda i rapporti fra la direttiva e il diritto fallimentare, la Corte rinvia ai procedimenti speciali che caratterizzano il diritto fallimentare e che mirano al contemperamento dei vari interessi, in ispecie quelli delle varie categorie di creditori. Questa specificità sussiste in tutti gli ordinamenti giuridici degli Stati membri ed è confermata anche nel diritto comunitario. Tenuto conto del fatto che il diritto fallimentare è soggetto, tanto negli ordinamenti giuridici degli Stati membri quanto nell'ordinamento giuridico comunitario, a norme specifiche e che queste norme sono molto diverse nei vari Stati membri, la Corte dichiara che, se la direttiva fosse stata destinata ad applicarsi anche ai trasferimenti di aziende effettuati nell'ambito di siffatti procedimenti, vi sarebbe stata inserita all'uopo una disposizione espressa.

22 Secondo la Corte, questa interpretazione resta valida anche dopo l'esame dello scopo della direttiva. Esso consiste nell'impedire che la ristrutturazione nell'ambito del mercato comune si effettui a danno dei lavoratori delle imprese coinvolte. Dato che gli effetti di un'applicazione della direttiva in caso di fallimento sono, per quanto riguarda la tutela dei lavoratori, valutati in modo estremamente diverso, non si può escludere il rischio grave di deterioramento, sul piano generale, delle condizioni di vita e di lavoro della manodopera, in contrasto con gli obiettivi sociali del Trattato. Un'estensione della sfera di applicazione della direttiva al procedimento fallimentare potrebbe eventualmente dissuadere il potenziale cessionario dall'acquisto dell'azienda a condizioni accettabili per la massa dei creditori, il che potrebbe indurre quest'ultima a vendere separatamente le voci attive dell'azienda. Orbene, ciò implicherebbe la perdita di tutti i posti di lavoro dell'impresa, in contrasto con l'efficacia pratica della direttiva.

23 La Corte ne deduce che gli Stati membri non sono tenuti a estendere le norme della direttiva ai trasferimenti di aziende o di parti di aziende avvenuti nell'ambito di un procedimento fallimentare. Tuttavia, gli Stati membri sono liberi di applicare in modo autonomo, in tutto o in parte, i principi di questa direttiva, in forza del loro solo diritto nazionale (5).

24 In seguito, la Corte doveva ancora pronunciarsi sulla questione se la direttiva si applichi anche all'ipotesi della sospensione dei pagamenti. Per questo essa ha confrontato il procedimento di sospensione dei pagamenti di cui trattasi con il procedimento fallimentare. Così, anzitutto essa ha rilevato che il procedimento di sospensione dei pagamenti ha anch'esso carattere giurisdizionale, ma che il controllo esercitato dal giudice ha portata più limitata che in caso di fallimento. Infatti, non si riscontrano in tale procedimento o vi si riscontrano soltanto in misura estremamente ridotta norme specifiche come quelle applicabili in caso di fallimento.

25 Quale ulteriore criterio la Corte sceglie lo scopo del procedimento e rileva che questo è anzitutto la salvaguardia del patrimonio ed eventualmente il proseguimento dell'attività dell'azienda onde giungere ad una soluzione che consenta di garantire l'attività dell'azienda in futuro. Essa ne deduce che i motivi che ostano all'applicazione della direttiva nell'ambito del procedimento fallimentare non sono validi per il procedimento di sospensione dei pagamenti. E' irrilevante peraltro che tale procedimento possa risolversi nella dichiarazione di fallimento del debitore, in quanto ciò dimostra che questo procedimento avviene in una fase anteriore al fallimento (6).

26 In un'altra importante decisione, la sentenza relativa alla causa D'Urso e a. (7), la Corte doveva risolvere la questione se la direttiva si applichi anche alle alienazioni di aziende compiute da imprese soggette ad amministrazione straordinaria.

27 Per l'esame di tale questione la Corte si richiama anzitutto al criterio del raggio del controllo esercitato dal giudice, criterio da essa già richiamato nella causa Abels. Tenuto conto delle differenze fra i sistemi giuridici degli Stati membri, del pari menzionate nella causa Abels, la Corte ha considerato che la sfera di applicazione della nozione di cessione convenzionale non può essere definita in base alla natura del controllo esercitato dall'autorità amministrativa o giudiziaria sui trasferimenti di aziende nell'ambito di un determinato procedimento concorsuale. La Corte ne deduce che «alla luce del complesso delle considerazioni esposte dalla Corte nella sentenza Abels, il criterio determinante da seguire è quindi quello dell'obiettivo perseguito dal procedimento in questione» (8).

28 Il procedimento di amministrazione straordinaria di cui trattasi viene applicato mediante decreto, decreto che comporta o può comportare due tipi di effetti. Da un lato, esso va equiparato al decreto che dispone la liquidazione coatta amministrativa, i cui effetti sono in sostanza identici a quelli del fallimento. Dall'altro, il decreto può anche pronunciarsi sulla continuazione dell'attività dell'azienda in gestione commissariale per un determinato periodo. Rientra nelle competenze del commissario stabilire un programma comprendente un piano di risanamento.

29 A giudizio della Corte, la direttiva si applica o meno a seconda che venga disposta o meno la continuazione dell'attività dell'azienda. Se non vi è un provvedimento circa la continuazione dell'attività o quando è scaduta la validità di tale provvedimento, «la finalità, le conseguenze e i rischi di un procedimento come quello della liquidazione coatta amministrativa sono comparabili a quelli che hanno indotto la Corte a concludere, nella sentenza 7 febbraio 1985, Abels, già ricordata, che l'art. 1, n. 1, della direttiva va disapplicato nel caso di trasferimenti di impresa, di stabilimento o di una parte di stabilimento in una situazione nella quale il cedente è stato dichiarato fallito. Come il fallimento, questo procedimento mira alla liquidazione dei beni del debitore per soddisfare collettivamente i creditori e i trasferimenti operati in quest'ambito giuridico sono di conseguenza esclusi dalla sfera di applicazione della direttiva». In caso contrario, non si può escludere il rischio di un deterioramento delle condizioni di vita e di lavoro della manodopera (9).

30 Se viene disposta invece la continuazione dell'attività aziendale in regime commissariale, la finalità di questo procedimento sta anzitutto nel restituire all'impresa un equilibrio che consenta di garantire la sua attività futura. «L'obiettivo economico e sociale così perseguito non può spiegare né giustificare il fatto che, quando l'impresa interessata costituisce oggetto di un trasferimento totale o parziale, i suoi lavoratori vengano privati dei diritti che la direttiva conferisce alle condizioni in essa precisate» (10).

31 Il criterio principale seguito dalla Corte è quindi la finalità perseguita dal procedimento di cui trattasi. Gli altri criteri sono la finalità della stessa direttiva e le modalità del procedimento di cui trattasi.

32 Questi criteri vanno ora applicati alla liquidazione in esame nel caso di specie. Secondo le indicazioni del giudice a quo, per liquidazione si deve intendere l'insieme delle operazioni che, a seguito dello scioglimento di una società commerciale, tendono al pagamento dei creditori tramite l'attivo sociale e alla ripartizione dell'eventuale residuo tra i soci. Per questo, secondo la dottrina, è preferibile ricorrere alla liquidazione anziché al fallimento, dato che la liquidazione consente una realizzazione ottimale o, per meglio dire, la meno sfavorevole realizzazione dell'attivo e la salvaguardia, se del caso, totale o parziale delle attività economiche ancora valide.

33 La Commissione dichiara che i liquidatori hanno il compito di procedere al realizzo dell'attivo, di pagare i debiti e di ripartire l'eventuale residuo tra i soci. L'obiettivo sarebbe quindi la liquidazione dei beni attraverso il realizzo degli attivi. Nel caso della liquidazione, ciò avverrebbe a vantaggio della società, mentre nel caso del fallimento il curatore agirebbe esclusivamente a vantaggio dei creditori. Si dovrebbero allora realizzare gli attivi nella maniera più vantaggiosa possibile. In base a quanto asserito dalla Commissione, per le esigenze della liquidazione il legislatore belga ha fatto ricorso ad una fictio juris. Sebbene la personalità giuridica della società commerciale sia venuta meno necessariamente con il suo scioglimento, ciononostante la si ritiene ancora esistente ai fini della liquidazione. La personalità giuridica sussiste unicamente per il realizzo dell'attivo, il pagamento del passivo e la distribuzione del saldo. Non è più consentito l'esercizio dell'attività della società sciolta, salvo in via eccezionale in quanto ciò possa contribuire alla realizzazione del nuovo oggetto - la liquidazione - che ha preso il posto della precedente attività economica della società. Per questo la società in liquidazione può, in base a quanto affermato dalla Commissione, soltanto portare a termine le operazioni iniziate. Essa non ha il diritto di compiere nuove operazioni, neppure nell'ambito del suo precedente scopo sociale (a meno che ciò sia utile per la liquidazione). La continuazione temporanea dell'attività della società è spesso necessaria per evitare la svalutazione dell'entità economica che dev'essere ceduta. L'entità deve ancora restare in attività onde agevolare la successiva cessione. In questo caso, il liquidatore può anche compiere nuove operazioni senza specifica autorizzazione. Tuttavia, egli non deve mai dimenticare che la prosecuzione dell'attività è consentita solo in via provvisoria e per il successivo realizzo, nelle migliori condizioni possibili, del patrimonio sociale. A giudizio della Commissione, qualora il liquidatore continuasse a tempo illimitato l'attività, sarebbe personalmente responsabile per eventuali perdite. In tal caso, non sarebbe necessario dimostrare che queste sono dovute ad errori di gestione.

34 La continuazione temporanea dell'attività della società viene decisa in assemblea generale con la maggioranza necessaria. Essa non deve essere autorizzata dal giudice.

35 Come si evince anche dalle osservazioni scritte della Commissione, la liquidazione volontaria non è mai una soluzione alternativa al fallimento. Quando ricorrono i presupposti per una dichiarazione di fallimento, il ricorso alla liquidazione non è più possibile. Un'eccezione sussiste soltanto nel caso in cui la società si trovi dinanzi a difficoltà passeggere o nell'impossibilità provvisoria di accertare se l'attivo eccede il passivo. Si deve precisare che in via di principio i creditori godono di garanzie maggiori nel procedimento di fallimento rispetto alla liquidazione. Inoltre, i creditori sono direttamente rappresentati dal curatore. Se ne potrebbe dedurre che nella liquidazione l'obiettivo della soddisfazione dei creditori non occupa un posto così importante come nel procedimento fallimentare.

36 Tuttavia, è pacifico che anche la liquidazione ha quale obiettivo la realizzazione dell'attivo, obiettivo che è quasi identico a quello del fallimento. Tuttavia, mi sembra che la liquidazione miri piuttosto al disbrigo degli affari della società, mentre il fallimento è inteso unicamente alla soddisfazione dei creditori. Mi chiedo però se ciò possa essere sufficiente per applicare la direttiva al caso di specie, come propone il governo belga.

37 Anche la Commissione, indubbiamente ritiene, che gli obiettivi del fallimento siano praticamente identici a quelli della liquidazione, ma nella soluzione da essa proposta si richiama quasi esclusivamente alla sentenza pronunciata nella causa D'Urso e a. In altri termini, essa assume quale unico criterio la questione se la continuazione delle attività della società sia stata o meno decisa. Essa considera irrilevante che l'attività sia continuata non per consentire la sopravvivenza della società, ma per raggiungere più facilmente gli obiettivi della liquidazione. Secondo la Commissione, è importante che l'impresa conservi la propria identità e che nel periodo della continuazione dell'attività abbia la possibilità di continuare le stesse attività. Inoltre, essa si basa sulla tutela prevista dalla direttiva, a tenore della quale non si può ammettere che non sia più garantita la tutela dei lavoratori a causa della decisione dell'assemblea generale di liquidare la società.

38 Tuttavia, la Commissione ritiene che la direttiva non si applichi allorché la società in liquidazione decide di cessare l'attività aziendale per vendere gli attivi. Questa interruzione definitiva dell'attività impedirebbe l'applicazione della direttiva. La liquidazione avrebbe allora l'unico scopo di vendere gli attivi e di porre fine all'esistenza dell'impresa. In questa ipotesi l'applicazione della direttiva accrescerebbe invece il rischio corso dai lavoratori subordinati. Inoltre, in caso di interruzione troppo lunga dell'attività, non si potrebbe più sostenere che sussiste la stessa entità e che l'attività è proseguita.

39 A mio giudizio, non è possibile applicare senz'altro all'ipotesi della liquidazione la distinzione operata dalla Corte nella causa D'Urso e a. In quella causa l'impresa era stata mantenuta in vita per il risanamento dell'azienda, onde garantire la continuazione della sua attività anche in futuro. Lo stesso dicasi per il procedimento di sospensione dei pagamenti nella causa Abels. Invece, nella presente fattispecie, l'attività viene proseguita solo ai fini dello scioglimento della società. L'attività è orientata verso il futuro, ma viene proseguita solo fino alla vendita dell'azienda.

40 Se è vero che nella causa D'Urso e a. l'azienda alla fine è stata ceduta, è possibile tuttavia che, tenuto conto della tutela prevista dalla direttiva, sia opportuno considerare questa cessione in maniera diversa da quella verificatasi nella presente fattispecie. Nella causa D'Urso e a. la cessione riguardava un'azienda risanata o in corso di risanamento, per la quale è probabilmente più agevole trovare un acquirente rispetto ad un'azienda in liquidazione. In tal caso l'applicazione della direttiva non arrecherebbe danni ai lavoratori subordinati. Ciò non vale - in conformità a quanto stabilito dalla Corte nella causa Abels - nel caso di un procedimento fallimentare. In questo caso l'applicazione della direttiva rischierebbe di avere conseguenze sfavorevoli per i lavoratori subordinati.

41 Tuttavia, nella causa D'Urso e a. la Corte ha assunto quale unico criterio la continuazione dell'attività. Fintantoché viene proseguita l'attività, la direttiva è applicabile, in quanto - secondo la Corte - nulla giustificherebbe che i lavoratori non godano più della tutela della direttiva allorché viene continuata l'attività dell'azienda. Tuttavia, quando quest'attività si interrompe, si è in presenza degli stessi criteri operanti nel caso del fallimento e la direttiva non è più applicabile a decorrere da questo momento. Ciò significa che, nonostante l'esistenza di criteri analoghi a quelli applicabili in caso di fallimento, la direttiva si applica soltanto in funzione della prosecuzione dell'attività societaria.

42 Di conseguenza, nella presente fattispecie si dovrebbe a maggior ragione applicare la direttiva in caso di prosecuzione dell'attività. La dichiarazione di liquidazione non esige, quale condizione, che il passivo superi l'attivo. Le condizioni del fallimento non devono per l'appunto essere soddisfatte, dato che altrimenti la liquidazione non è più autorizzata. E' vero che la liquidazione può essere una fase che precede il fallimento, tuttavia essa può anche - come sostiene il governo belga - intervenire allorché i soci non intendono più collaborare. Ciò significa che la società non deve necessariamente incontrare difficoltà economiche. Così, la direttiva sarebbe applicabile in caso di liquidazione se viene proseguita l'attività dell'azienda.

43 E' irrilevante al riguardo che la liquidazione possa essere una fase che precede il procedimento fallimentare. Nella causa Abels la Corte ha dichiarato che la direttiva si applicava alla sospensione dei pagamenti proprio perché quest'ultima era soltanto una fase che precedeva il fallimento (11). Inoltre, nella causa Danmols Inventar la Corte ha statuito che la direttiva si applica anche ad un trasferimento «che si effettua nell'ambito di un procedimento o in una fase precedente all'instaurazione di un eventuale procedimento fallimentare» (12).

44 Infine, desidero richiamare un'altra sentenza nella quale la Corte si è pronunciata sulla questione dell'applicabilità della direttiva al trasferimento di un'azienda di cui sia stato dichiarato lo stato di crisi (13). La Corte ha statuito quanto segue:

«Di conseguenza, un'impresa di cui sia stato dichiarato lo stato di crisi è oggetto di un procedimento che, lungi dal tendere alla liquidazione dell'impresa, mira al contrario a favorire la prosecuzione della sua attività nella prospettiva di una futura ripresa» (14).

Tuttavia, lo stesso può dirsi nella presente fattispecie. Se nell'ambito di una liquidazione viene proseguita l'attività aziendale, questa prosecuzione è finalizzata - come esposto in precedenza - ad una futura ripresa. Ne discende che anche nella presente liquidazione con prosecuzione dell'attività aziendale non si può spiegare né giustificare il fatto «che, allorché l'impresa interessata costituisce oggetto di un trasferimento totale o parziale, i suoi lavoratori vengano privati dei diritti che la direttiva conferisce loro» (15).

45 Così, la direttiva sarebbe applicabile in caso di liquidazione se, nell'ambito di questa liquidazione, vengono proseguite le attività dell'azienda.

46 Si perviene allo stesso risultato anche se si confrontano il procedimento di liquidazione e quello fallimentare. In base a quanto dichiarato dal giudice a quo, nell'ambito della liquidazione non vigono le norme specifiche applicabili al fallimento, le quali hanno come conseguenza che la direttiva non si applica in caso di fallimento. Così, è l'assemblea generale che decide di procedere alla dichiarazione di liquidazione, nomina i liquidatori e stabilisce i loro poteri. In caso di fallimento, invece, la società può fare una dichiarazione di fallimento ma può anche essere dichiarata fallita per istanza di un creditore o a seguito del lavoro della commissione di indagine, mentre il tribunale designa il curatore e la legge ne fissa i poteri.

47 In materia di fallimento esiste una procedura speciale di accertamento del passivo sotto il controllo del tribunale. Ciò non vale in materia di liquidazione. Il liquidatore può riconoscere l'esistenza di un debito, senza dover riferire ad alcuno e senza bisogno di veder sancire la sua decisione con una sentenza.

48 Se il creditore, nell'ambito di un fallimento, può solo veder fissare l'importo del proprio credito, diversamente avviene in materia di liquidazione nei limiti in cui il creditore può ottenere la condanna della società in liquidazione. E' anche possibile procedere all'esecuzione contro la società in liquidazione. Il liquidatore può opporvisi solo se tali atti abbiano l'effetto di ledere i diritti degli altri creditori. In materia di fallimento tali atti di esecuzione sono vietati in quanto la legge disciplina la gestione e la liquidazione dei beni assegnati al soddisfacimento dei creditori.

49 Il liquidatore è un organo della società, mentre il curatore, che rappresenta i creditori, si trova in posizione di terzietà rispetto alla società.

50 Il curatore procede alla vendita dell'attivo sotto la sorveglianza del giudice commissario, mentre il liquidatore di una società esercita tale funzione sotto la tutela dell'assemblea generale di guisa che il trasferimento dell'azienda non deve ottenere l'avallo del giudice.

51 Di conseguenza, si possono riscontrare numerose differenze rispetto al procedimento fallimentare; in particolare, risulta chiaramente che in caso di liquidazione l'influenza esercitata dal tribunale è molto meno rilevante e che quest'ultimo non è adito con un procedimento speciale come quello fallimentare.

52 Si deve quindi ritenere pacifico che la direttiva si applica ad un trasferimento di azienda se quest'ultima è in liquidazione, ma la prosecuzione delle attività è stata decisa dall'assemblea generale. Al riguardo è irrilevante che si tratti di una liquidazione volontaria o giudiziale. La sola differenza fra queste due forme di liquidazione risiede nel fatto che la liquidazione giudiziale presuppone che l'assemblea generale non sia riuscita a raggiungere la maggioranza richiesta per la nomina dei liquidatori. In questo caso essi vengono nominati dal tribunale.

53 A prescindere da ciò, occorre pronunciarsi sulla questione se la direttiva o le sue disposizioni non si applichino già alla liquidazione in base al diritto nazionale, nell'ambito del contratto collettivo n. 32 bis. Come ha dichiarato la Corte nella sentenza Abels (16), gli Stati membri sono liberi di applicare in modo autonomo, in tutto o in parte, i principi della direttiva, in forza del loro solo diritto nazionale. Spetta al giudice nazionale accertare se ciò si verifichi per la liquidazione.

Sulla seconda questione

54 Nella prima parte della seconda questione il giudice a quo mira ad accertare se i licenziamenti ai quali procede il liquidatore, possano essere considerati avvenuti per motivi di ordine economico, tecnico o di organizzazione ai sensi dell'art. 4, n. 1, della direttiva. In altri termini, si tratta di stabilire se il potere di licenziare per tali motivi spetti unicamente al cessionario o anche al cedente.

55 Tale incertezza deriva dalla formulazione dell'art. 4, n. 1, della direttiva. Questa disposizione vieta il licenziamento solo a seguito del trasferimento. Essa si applica espressamente al cedente e al cessionario. La seconda frase, che consente i licenziamenti per motivi economici, tecnici o di organizzazione comportanti cambiamenti sul piano dell'occupazione, non stabilisce se questo diritto spetti al cedente e/o al cessionario.

56 Sia la Commissione sia il governo belga ritengono - a mio parere giustamente - che questa possibilità debba spettare anche al cedente. Per questo motivo, il governo belga fa riferimento alla sentenza nella causa Bork e a. (17). In quella sentenza la Corte menziona la sentenza relativa alla causa Ny Mølle Kro (18) a tenore della quale la direttiva può essere fatta valere unicamente dai lavoratori il cui contratto o rapporto di lavoro è in corso alla data del trasferimento. L'esistenza di un contratto o di un rapporto di lavoro in corso a tale data dev'essere valutata con riguardo al diritto nazionale, purché tuttavia siano osservate le norme imperative della direttiva relative alla tutela dei lavoratori contro il licenziamento a causa del trasferimento.

«Di conseguenza, i dipendenti dell'impresa il cui contratto o il rapporto di lavoro siano stati risolti con effetto da una data precedente a quella del trasferimento, in contrasto con l'art. 4, n. 1, della direttiva, devono essere considerati ancora dipendenti dell'impresa alla data del trasferimento, con la conseguenza, in particolare, che le obbligazioni del datore di lavoro nei loro confronti sono trasferite ipso iure dal cedente al cessionario, ai sensi dell'art. 3, n. 1, della direttiva. Per stabilire se il licenziamento sia stato motivato dal solo fatto del trasferimento, in contrasto con il suddetto art. 4, n. 1, si devono prendere in considerazione le circostanze oggettive in cui il licenziamento è avvenuto e in particolare, in un caso come quello di specie, il fatto che esso ha acquistato effetto in una data vicina a quella del trasferimento e che i lavoratori interessati sono stati riassunti dal cessionario» (19).

57 Neppure la sentenza Bork e a. ha stabilito se il cedente possa licenziare per motivi economici, tecnici o di organizzazione. Tuttavia, a mio parere, questo diritto deriva dalla seguente considerazione: a tenore della sentenza Bork e a., l'art. 4, n. 1, osta ad un licenziamento motivato dal solo fatto del trasferimento. Dalla formulazione «dal solo fatto del trasferimento» discende che il cedente può procedere a licenziamenti per altri motivi. Deve trattarsi quanto meno dei motivi elencati nell'art. 4, n. 1, seconda frase, e questi motivi devono poter essere fatti valere anche dal cedente.

58 Se si prende in esame il presente caso di liquidazione, anche altri motivi - economici - corroborano questa interpretazione. Il liquidatore ha dunque la possibilità di procedere a misure di razionalizzazione prima della cessione. Il potenziale acquirente sarà per questo più propenso a rilevare la società in liquidazione. Se si concede al cedente la possibilità di licenziare per motivi economici, tecnici o di organizzazione, ciò agevola anche la stessa liquidazione, pur garantendo la salvaguardia dei posti di lavoro dell'azienda in liquidazione, aumentando perciò la tutela dei lavoratori subordinati.

59 Per quanto riguarda la seconda parte della seconda questione, il giudice a quo mira ad accertare se i dipendenti licenziati per motivi economici, tecnici o di organizzazione possano far valere, nei confronti del cessionario, l'illegittimità di questi licenziamenti per il solo fatto che un'entità economica è stata trasferita poco tempo dopo il loro licenziamento, anche se il contratto di cessione non prevede la loro riassunzione.

60 Tale questione, come dichiara giustamente la Commissione, è formulata in modo impreciso. Se i licenziamenti sono avvenuti per motivi di ordine economico, tecnico o di organizzazione, non può trattarsi - come ho appena rilevato - di licenziamenti illegittimi, per cui non si può far valere un'illegittimità nei confronti del cedente, né nei confronti del cessionario. Il fatto che poco tempo dopo il loro licenziamento sia stata trasferita un'entità economica non modifica affatto tale conclusione. Se il licenziamento non è avvenuto solo a causa del trasferimento, esso non viene reso invalido a seguito del trasferimento.

61 Quest'ultima questione potrebbe essere interpretata anche in modo diverso. Essa fa riferimento chiaramente al citato brano della sentenza Bork e a., in quanto contiene i due criteri in essa citati, vale a dire la vicinanza temporale fra il licenziamento e la cessione di un'entità economica e la riassunzione dopo il trasferimento dell'azienda. Nella sentenza Bork e a. questi criteri erano stati richiamati quali elementi attestanti che il licenziamento è motivato soltanto dal trasferimento e che, di conseguenza, viola l'art. 4, n. 1, della direttiva. Nella presente fattispecie soltanto uno di questi criteri è soddisfatto, vale a dire la vicinanza temporale fra il licenziamento da parte del cedente e il trasferimento dell'azienda. Non vi è stata riassunzione dopo il trasferimento. Pertanto, la questione pregiudiziale potrebbe essere intesa nel senso che si mira ad accertare se il fatto che uno solo dei criteri richiamati nella sentenza Bork e a. sia soddisfatto sia sufficiente per ritenere che il licenziamento sia motivato solo dal trasferimento e che, pertanto, sia avvenuto illegittimamente.

62 Per risolvere tale questione è opportuno nuovamente richiamarsi proprio alla formulazione contenuta nella sentenza Bork e a. A tenore di quest'ultima, per valutare l'illegittimità di un licenziamento, si devono prendere in considerazione anzitutto le circostanze oggettive in cui il licenziamento è avvenuto. A mo' d'esempio, nella causa Bork e a. la Corte menziona i due criteri della vicinanza temporale rispetto al trasferimento dell'azienda e la riassunzione dopo l'avvenuto trasferimento. Poiché nella presente fattispecie la situazione di partenza appare tuttavia diversa, per la sua valutazione il giudice nazionale deve basarsi su altri elementi. E' vero che anche nella presente fattispecie vi è vicinanza temporale fra il licenziamento e la successiva cessione della società. Il fatto che al momento del licenziamento la società fosse in liquidazione costituisce tuttavia anche un aspetto importante. Questa circostanza fa ritenere che si tratti di un licenziamento per motivi di organizzazione. Anche la Commissione ritiene che per questo motivo il datore di lavoro possa più agevolmente dimostrare che il licenziamento è basato su motivi economici, tecnici o di organizzazione.

63 Pertanto, l'ultima questione deve essere risolta nel senso che nella presente fattispecie l'illegittimità di un licenziamento non può essere basata solo sulla circostanza che poco tempo dopo detto licenziamento l'azienda è stata ceduta. Il giudice nazionale deve invece tener conto di tutte le circostanze oggettive in relazione con il licenziamento, vale a dire nella presente fattispecie, in particolare, del fatto che la società era in liquidazione.

64 Soltanto per completezza intendo aggiungere che nel caso di un licenziamento disposto illegittimamente dal cedente, tale illegittimità può essere fatta valere nei confronti del cessionario se si ritiene che il contratto di lavoro continui ad essere valido e venga quindi trasmesso al cessionario attraverso il trasferimento. Per questo, il lavoratore subordinato può far valere nei confronti del cessionario diritti derivanti dal contratto di lavoro.

65 Al riguardo è irrilevante che i vari Stati membri prevedano eventuali sanzioni per questa ipotesi. Il governo belga ha osservato che nel diritto belga non è prevista la nullità di un licenziamento, per cui il contratto di lavoro non può essere salvaguardato.

66 La seconda questione pregiudiziale deve essere pertanto risolta dichiarando che la risoluzione di contratti di lavoro da parte del cedente può essere considerata una risoluzione dovuta a motivi di ordine economico, tecnico o di organizzazione, ai sensi dell'art. 4, n. 1, della direttiva, e che tale facoltà non spetta soltanto al cessionario. I licenziamenti avvenuti per motivi economici, tecnici o di organizzazione non sono illegittimi solo per il fatto che, poco tempo dopo questi licenziamenti, vi è stata cessione di un'entità economica. Il giudice nazionale deve invece prendere in considerazione tutte le circostanze oggettive in relazione con il licenziamento, vale a dire, nel caso di specie, in particolare il fatto che la società era in liquidazione.

Conclusione

67 Tenuto conto di queste considerazioni, propongo di risolvere nel modo seguente le questioni pregiudiziali:

«1) La direttiva del Consiglio 14 febbraio 1977, 77/187/CEE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di stabilimenti, si applica qualora il trasferimento sia operato da una società in liquidazione volontaria, ma soltanto a condizione che in quest'ambito venga proseguita l'attività dell'azienda. E' irrilevante al riguardo che il liquidatore sia stato nominato dal tribunale o dall'assemblea generale.

2) Il diritto di procedere a licenziamenti per motivi di ordine economico, tecnico o di organizzazione spetta anche al liquidatore.

I dipendenti non riassunti dal cessionario non possono far valere nei confronti dello stesso l'illegittimità del licenziamento solo per il fatto che, poco tempo dopo il loro licenziamento, l'azienda è stata ceduta in quanto entità economica.

Tuttavia, nella valutazione dei licenziamenti attraverso i criteri stabiliti dalla Corte, il giudice a quo deve prendere in considerazione tutte le circostanze oggettive in relazione con il licenziamento, vale a dire, nel caso di specie, anzitutto il fatto che la società era in liquidazione».

(1) - GU L 61, pag. 26.

(2) - Sentenze 18 marzo 1986, causa 24/85, Spijkers (Racc. pag. 1119, punto 14), e 19 maggio 1992, causa C-29/91, Redmond Stichting (Racc. pag. I-3189, punti 23, 24 e 25).

(3) - Sentenza 7 febbraio 1985, causa 135/83 (Racc. pag. 469).

(4) - Sentenza Abels, citata (nota 3), punti 11-13.

(5) - Sentenza Abels, citata (nota 3), punti 23 e 24.

(6) - Sentenza Abels, citata (nota 3), punti 28 e 29.

(7) - Sentenza 25 luglio 1991, causa C-362/89 (Racc. pag. I-4105).

(8) - Sentenza D'Urso e a., citata (nota 7), punti 25 e 26.

(9) - Sentenza D'Urso e a., citata (nota 7), punto 31.

(10) - Sentenza D'Urso e a., citata (nota 7), punto 32.

(11) - Sentenza Abels, citata (nota 3), punto 29.

(12) - Sentenza 11 luglio 1985, causa 105/84 (Racc. pag. 2639, punto 10).

(13) - Sentenza 7 dicembre 1995, causa C-472/93, Spano e a. (Racc. pag. I-4321).

(14) - Sentenza Spano e a., citata (nota 13), punto 28 (il corsivo è mio).

(15) - Sentenza Spano e a., citata (nota 13), punto 30, e sentenza D'Urso e a., citata (nota 7), punto 32.

(16) - Citata (nota 3), punto 24.

(17) - Sentenza 15 giugno 1988, causa 101/87 (Racc. pag. 3057).

(18) - Sentenza 17 dicembre 1987, causa 287/86 (Racc. pag. 5465).

(19) - Sentenza Bork e a., citata (nota 17), punti 17 e 18.

In alto