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Documento 61978CC0177

Conclusioni dell'avvocato generale Warner del 15 maggio 1979.
Pigs and Bacon Commission contro Mc Carren and Company Limited.
Domanda di pronuncia pregiudiziale: High Court - Irlanda.
Organizzazione comune dei mercati nel settore delle carni suine.
Causa 177/78.

Raccolta della Giurisprudenza 1979 -02161

Identificatore ECLI: ECLI:EU:C:1979:127

CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE

JEAN-PIERRE WARNER

DEL 15 MAGGIO 1979 ( 1 )

Indice

 

Introduzione

 

La presente causa

 

Gli artt. 92-94 del Trattato CEE

 

L'art. 16 del Trattato

 

L'art. 34 del Trattato

 

L'art. 37 del Trattato e l'art. 44 dell'Atto di adesione

 

L'art. 40 del Trattato e l'organizzazione comune dei mercati nel settore delle carni suine

 

L'art. 85 del Trattato

 

L'art. 86 del Trattato

 

La domanda riconvenzionale

Signor Presidente,

signori Giudici,

Introduzione

Questa causa giunge dinanzi alla Corte come domanda di pronunzia pregiudiziale proposta dalla High Court d'Irlanda (Justice Costello). Essa riguarda la compatibilità con il Trattato CEE e con l'organizzazione comune dei mercati per le carni suine di determinate attività di un ente pubblico irlandese, la Pigs and Bacon Commission (o «PBC»).

Attrice nel procedimento dinanzi alla High Court è la PBC. Convenuta è la società denominata «McCarren and Company Limited», che esercita in Cavan l'attività commerciale di salatura del bacon.

Gli antefatti economici e giuridici della causa sono esaminati in modo molto approfondito nella sentenza del Justice Costello e mi è sufficiente richiamarne gli aspetti che hanno un particolare nesso con le questioni da lui sottoposte a questa Corte e con gli argomenti davanti a noi dedotti circa tali questioni.

L'industria irlandese delle carni suine è piccola rispetto a quella comunitaria nel suo complesso. Nel 1976 la produzione di suini in Irlanda ammontava all'1,5 % della produzione comunitaria. L'Irlanda possedeva, in passato, un grande numero di aziende per la lavorazione delle carni suine (40 nel 1965), ma tale numero è stato ora ridotto a 28 da una voluta politica di «razionalizzazione». La loro produzione rimane tuttavia, in media, di proporzioni ridotte: tutte insieme esse trattano approssimativamente 1 milione e mezzo di suini l'anno.

Il prodotto principale delle aziende irlandesi è il bacon. Il particolare procedimento usato per la produzione del bacon, noto come «curing» (salatura), è stato descritto nella risposta data dal Governo irlandese ad una delle domande scritte poste dalla Corte alle parti: esso consiste essenzialmente nel trattamento mediante salamoia di mezzene di suino ripulite; la carne può, in seguito, venire affumicata. Nella risposta ci viene anche detto che le carcasse di suino destinate alla produzione di bacon sono facilmente distinguibili dalle altre carcasse, perché soggette ad un sistema di marchiatura sorvegliato da dipendenti del ministero dell'agricoltura nei locali dei salatori di bacon autorizzati.

Il bacon è classificato secondo il suo tenore di carne magra e determinate categorie di elevata qualità, note come «specials», hanno particolare rilievo nel presente procedimento.

La struttura del commercio irlandese interno e di esportazione è illustrata dai dati per il 1976. Dei suini macellati in quell'anno, il 55 % è stato smerciato sul mercato interno del bacon, il 19 % sul mercato di esportazione del bacon, il 10 % sul mercato interno della carne suina fresca, il 12 % sul mercato di esportazione della carne suina fresca, mentre il rimanente 4 % è costituito da sottoprodotti. Secondo dati fornitici all'udienza, in risposta dalla domanda di uno di Lorsignori, l'85 % del bacon irlandese esportato è costituito da «specials» ed un terzo del bacon venduto sul mercato interno consiste in «specials». Praticamente tutte le esportazioni di bacon irlandese sono effettuate nel Regno Unito, dove rappresentavano, nel 1976, il 2 % del mercato e nel 1977 il 4 %. Gli altri fornitori del mercato del Regno Unito sono produttori britannici, danesi, olandesi e polacchi. La carne suina fresca è esportata dall'Irlanda, fra l'altro, in Belgio, Francia, Germania ed Italia; più recentemente un mercato di esportazione si è aperto nel Giappone.

Provvedimenti nazionali per l'organizzazione del mercato delle carni suine venivano adottati in Irlanda per la prima volta con il Pigs and Bacon Act 1935, emendato nel 1937, 1939, 1956 e 1961. Lo scopo dei provvedimenti nazionali era di stabilizzare il mercato, già soggetto a violente oscillazioni, e, con ciò — come dice il giudice a quo — «assicurare una produzione regolare (e di ragionevole profitto)». Una delle condizioni prescritte dalla legge del 1935 era che tutte le imprese di salatura del bacon dovessero essere titolari di una licenza del ministero dell'agricoltura.

La PBC veniva istituita dall'art. 4 della legge del 1939; ad essa venivano conferiti ampi poteri concernenti la disciplina ed il controllo della produzione e del commercio delle carni suine. Tali poteri includevano, a norma dell'art. 34 della legge del 1939, quello di imporre ai salatori titolari di licenza una tassa per ogni carcassa di suino destinata alla produzione di bacon. Descrivendo i poteri ulteriori della PBC il giudice a quo dice:

«Alla PBC veniva conferito il potere di versare sovvenzioni per il bacon esportato o venduto sul mercato interno. Essa esercitava un controllo diretto sulla produzione di bacon mediante il potere di stabilire periodi di produzione e di ripartire quote di produzione fra i singoli salatori e poteva inoltre ripartire fra i salatori la quantità di bacon da vendersi sul mercato interno e da esportarsi. Poteva stabilire prezzi sia per i suini, sia per il bacon e vietare la vendita a prezzi diversi da quelli autorizzati. Il suo potere di controllo dell'industria delle carni suine e della produzione e del commercio del bacon era esteso e, praticamente, onnicomprensivo.»

Un potere ulteriore, importante per la presente fattispecie, veniva conferito alla PBC nel 1961. Secondo le parole del giudice:

«Con il “Pigs and Bacon (Amendment) Act” di quell'anno, alla PBC veniva attribuita la competenza ad esportare essa stessa il bacon e ad esigere, a termini di legge, che i salatori titolari di licenza le vendessero bacon (art. 23); su autorizzazione del ministero dell'agricoltura essa poteva inoltre vietare esportazioni di bacon non effettuate per suo tramite. Nel 1965 questi poteri erano pienamente esercitati e da quel momento la PBC è divenuta un'organizzazione commerciale impegnata nell'esportazione di carni suine. Tutte le esportazioni di carni suine dovevano, per legge, essere effettuate dalla PBC, col risultato che essa diveniva un monopolio statale per l'esportazione delle carni suine.»

A parte ciò, alla PBC «veniva attribuita competenza specifica per l'esercizio di attività promozionali all'interno ed all'estero e le sue funzioni di determinazione e di garanzia dei diversi livelli qualitativi del bacon erano esercitate sotto la supervisione di suoi ispettori nelle aziende stesse dei salatori titolari di licenza».

Nel periodo immediatamente precedente all'adesione dell'Irlanda alle Comunità europee, le esportazioni irlandesi di bacon fruivano di due diversi tipi di sovvenzione. L'uno era costituito da un sistema di prezzi garantiti all'esportazione, in base al quale la differenza fra il prezzo garantito ed il prezzo effettivo all'esportazione era coperta dalla PBC. L'altro consisteva in un regime di premi, istituito nel 1970, per le esportazioni di bacon di qualità «specials». Il prezzo garantito all'esportazione ed il regime di prezzi erano finanziati, il primo parzialmente, il secondo interamente, mediante la tassa sulla produzione, che all'inizio del 1973 era di £ 1,15 per carcassa. Il gettito della tassa era a quell'epoca suddiviso come segue: 72 1/2 p. per il prezzo garantito all'esportazione; 20 p. per il premio all'esportazione di «specials»; 121/2 p. per spese amministrative e 10 p. per il piano di razionalizzazione della produzione di bacon.

È pacifico che le autorità irlandesi si sono sforzate di adattare i dispositivi in questione alle esigenze dell'organizzazione comune dei mercati per le carni suine fin dal momento della sua entrata in vigore in Irlanda, il 1o febbraio 1973. I «Pigs and Bacon Acts» non venivano modificati, ma il ministero dell'agricoltura e la PBC cessavano di esercitare i propri poteri legali considerati incompatibili con l'appartenenza dell'Irlanda alle Comunità. I poteri non più esercitati dalla PBC comprendevano quelli di stabilire periodi di produzione e di vendita e di stabilire quote per il mercato interno e per l'esportazione. Avevano termine anche il sistema dei prezzi garantiti all'esportazione ed il divieto di esportare se non tramite la PBC.

Le principali caratteristiche del nuovo sistema da istituire venivano concordate l'11 gennaio 1973 nel corso di una riunione fra rappresentanti della PBC, del ministero dell'agricoltura e dell'associazione dei salatori di bacon irlandesi. I salatori convenivano di continuare a servirsi della PBC, su base volontaria, come organo commerciale centrale per le loro esportazioni di bacon. La PBC avrebbe continuato a riscuotere la tassa su tutte le carcasse destinate alla produzione di bacon ed a corrispondere il premio all'esportazione di «specials» ai salatori che si valevano dei suoi servizi come organo commerciale. Così, come osserva il giudice a quo, la struttura ha un aspetto volontario, «nel senso che il sistema di smercio centralizzato resta in vigore, sulla base di un accordo con i produttori di bacon, che possono servirsene o no» ed un aspetto coattivo «nel senso che tutti i salatori sono tenuti a contribuire, mediante una tassa, al finanziamento del sistema, ma perdono il diritto al rimborso (al premio), se decidono di esportare in modo indipendente dalla PBC».

La PBC continuava ad esercitare determinate altre attività a vantaggio dell'industria del bacon. Esse ci sono state variamente descritte: comprendono la promozione delle vendite, ricerche di mercato, il controllo della qualità, la fornitura di servizi d'istruzione e addestramento del personale e la ricerca relativa ai metodi di produzione. Per praticità, le chiamerò «attività promozionali» della PBC. Il giudice a quo sottolinea che si tratta di attività secondarie.

La PBC continuava anche a gestire il piano di razionalizzazione.

L'abolizione del sistema di prezzi garantiti all'esportazione consentiva di ridurre, dal 1o febbraio 1973, l'ammontare della tassa, che diveniva di 50 p. per carcassa, di cui 20 p. rappresentavano il costo del premio all'esportazione, 20 p. ciò che il giudice a quo descrive come «spese amministrative della PBC» e 10 p. il costo del piano di razionalizzazione.

Dal 1973 si è verificata una serie di aumenti degli importi della tassa e del premio. Il 1o gennaio 1978 la tassa ammontava a £ 1,30, di cui 80 p. costituivano il costo del premio. Il Governo irlandese e la PBC hanno cercato di spiegare tali aumenti come una normale reazione all'inflazione. Il giudice a quo chiarisce tuttavia che essi sono dovuti, almeno in parte, ad altri fattori.

Secondo quanto da lui rilevato, un cambiamento nella struttura del sistema tassa/premio (levy/bonus system) si verificava nell'ottobre 1974. Tale cambiamento consisteva nell'istituzione di un premio per il superamento di un livello di base («base line bonus»), in aggiunta al premio già esistente. Tale premio veniva versato per esportazioni che superassero un livello di base («base line») predeterminato per ciascun produttore. Per finanziare questo premio, la tassa veniva aumentata di 20 p. Il sistema subiva una nuova modifica nel 1977. Il concetto di «base line» era abbandonato ed i due premi erano unificati. Attualmente essi vengono versati per tutte le esportazioni di «specials» effettuate tramite la PBC.

Un altro motivo di aumento della tassa era la necessità di compensare le perdite subite dalla PBC in seguito al suo tentativo di intraprendere il commercio all'ingrosso sul mercato inglese. A tal fine la PBC rilevava nel 1975 una ditta, la Bearfield Stratfield. L'affare si risolse in un fallimento e venne abbandonato nel luglio 1976. Nel 1977, la tassa veniva aumentata di 10 p. per compensare le perdite dell'investimento Bearfield Stratfield.

Il giudice a quo registra anche, come cambiamento nel sistema tassa/premio il fatto che, per un certo periodo nel 1974, una parte del gettito della tassa veniva usato per pagare un premio all'esportazione di carne suina fresca in Giappone.

Per dovere di completezza riferisco che il giudice a quo ha accertato che il sistema di tassa e di premio recava beneficio alla maggioranza dei produttori di suini e dei trasformatori di carni suine in Irlanda; che esso era da questi sostenuto (la prova ne è stata invero fornita davanti a questa Corte); che esso non incideva in misura rilevante sugli interessi dei consumatori, né in Irlanda, né altrove nella Comunità, né influiva sui prezzi comunitari; ma che esso causava ostacoli e restrizioni per le esportazioni dall'Irlanda da parte di ditte che intendessero esportare indipendentemente dalla PBC.

La presente causa

Il presente procedimento dinanzi alla High Court in Dublino è nato dal fatto che la convenuta comunicava il proprio ritiro «dalla Pigs and Bacon Commission» con effetto dal 30 aprile 1975 e da allora esportava per proprio conto, rifiutando di pagare la tassa. La PBC pretende la somma di £ 28594, corrispondente alla tassa dal 1o gennaio 1975 al 30 settembre 1975. La convenuta ha chiesto in via riconvenzionale la somma di £ 52787, corrispondente all'importo versato alla PBC, come tassa, fra il 1o febbraio 1973 ed il 31 dicembre 1974. A seconda dell'esito della causa, ulteriori pretese potrebbero essere fatte valere per il periodo successivo al settembre 1975.

La convenuta non nega di dover pagare la tassa in base alle norme di legge irlandesi da applicarsi nella fattispecie, ma eccepisce che le norme comunitarie la liberano da tale obbligo.

Tra i fatti accertati dal giudice a quo e relativi alla specifica situazione della convenuta, i seguenti mi sembrano degni di nota.

In primo luogo, lo stabilimento della convenuta, uno dei più grandi d'Irlanda, si trova nella contea di Cavan, non lontano dai porti della costa orientale, cioè in buona posizione per esportare in Gran Bretagna. L'esportazione di bacon di elevata qualità sul mercato britannico è stata una caratteristica dell'attività commerciale della convenuta prima di essere costretta ad esportare tramite la PBC.

In secondo luogo, la convenuta, nel periodo dal 1o febbraio 1973 al 30 aprile 1975 non solo ha pagato la tassa per l'importo oggetto della domanda riconvenzionale, ma ha anche percepito premi per un totale di £ 18823.

In terzo luogo, dall'aprile 1975 la convenuta ha ottenuto dalle proprie esportazioni un profitto maggiore di quello che avrebbe realizzato continuando ad esportare attraverso la PBC, persino tenendo conto del fatto che non ha percepito premi. La sua capacità di esportare con successo sarebbe però notevolmente ridotta, se le venisse imposto di pagare la tassa. In effetti, il giudice a quo si è dichiarato convinto che, se la convenuta fosse obbligata per legge a pagare la tassa, troverebbe sempre più difficile «rimanere fuori dal sistema».

Infine, la convenuta e la PBC sono concorrenti sul mercato del Regno Unito.

A sostegno della tesi che il sistema tassa/premio viola il diritto comunitario, la convenuta si è richiamata, dinanzi alla High Court, ad un ampio elenco di norme comunitarie. Queste sono:

1)

l'art. 16 del Trattato CEE, che vieta fra gli Stati membri dazi doganali all'esportazione e tasse di effetto equivalente;

2)

l'art. 34 del Trattato, che vieta fra gli Stati membri restrizioni quantitative all'esportazione e qualsiasi misura d'effetto equivalente;

3)

l'art. 37 del Trattato, relativo ai monopoli nazionali di carattere commerciale;

4)

l'art. 40 del Trattato, relativo alla politica agricola comune ed i regolamenti del Consiglio che istituiscono l'organizzazione comune dei mercati nel settore delle carni suine;

5)

l'art. 85 del Trattato, che vieta accordi restrittivi della concorrenza nel mercato comune;

6)

l'art. 86 del Trattato, che vieta qualsiasi abuso di posizione dominante nell'ambito del mercato comune;

7)

gli artt. 92-94 del Trattato, relativi agli aiuti attribuiti dagli Stati membri.

Per controbattere tale tesi la PBC si fonda principalmente, anche se non esclusivamente, sugli artt. 92-94, sostenendo che il sistema tassa/premio è un regime di aiuti statali, sulla cui compatibilità col mercato comune possono decidere, a norma dei detti articoli, solo la Commissione o il Consiglio. In mancanza di un atto di condanna del sistema da parte di una di dette istituzioni, né il giudice nazionale, né, persino, questa Corte sarebbero competenti a pronunciarsi in materia. La PBC deduce inoltre che, anche se un particolare aspetto di un aiuto statale costituisse una violazione del Trattato, una tassa destinata a finanziare l'aiuto non sarebbe per ciò stesso illegittima.

Tale è la situazione in cui il giudice nazionale ha deciso di sottoporre a questa Corte non meno di 10 questioni, molte delle quali ulteriormente suddivise, alcune in modo elaborato. Tutte insieme tali questioni sollevano un formidabile complesso di problemi.

La Commissione ha dedotto che, in una fattispecie, come la presente, relativa ad un settore agricolo in cui esiste un'organizzazione comune dei mercati, bisogna prendere in considerazione per prima la questione della compatibilità con detta organizzazione delle disposizioni nazionali la cui legittimità è stata impugnata. Vi sono certo buoni motivi per ritenere valido tale modo di procedere perché, come la Corte ha affermato nella causa 83/78 (Pigs Marketing Board (Northern Ireland) c/ Redmond, Racc. 1978, pag. 2347), che citerò, per brevità, come «la causa Redmond»:

«dall'art. 38, n. 2, del Trattato CEE, risulta che le norme del Trattato relative alla politica agricola comune prevalgono, in caso di divergenze, sulle altre norme relative all'instaurazione del mercato comune.» (Punto 37 della motivazione).

Trovo tuttavia opportuno trattare le questioni nell'ordine in cui il giudice a quo le ha poste. Mi sia consentito di dire che quell'ordine, tenuto conto degli argomenti dedotti nella presente causa, mi pare logico. È necessario tenere presente che nella causa Redmond non è stata sollevata alcuna questione relativa agli artt. 92-94. Questi invece occupano nella presente controversia, una posizione di primo piano. Un argomento della convenuta, dedotto con riferimento all'art. 93, n. 3, condurrebbe alla conclusione che l'intera tassa fosse illegittima, mentre gli argomenti della stessa basati sulle disposizioni dell'organizzazione comune dei mercati nel settore delle carni suine può condurre, al massimo, alla conclusione che una parte della tassa (la parte destinata a finanziare il premio) è illegittima.

Gli artt. 92-94 del Trattato CEE

Lorsignori ricorderanno che, a norma dell'art. 42 del Trattato, le disposizioni del capo relativo alle norme sulla concorrenza, comprendente anche gli artt. 92-94, si applicano alla produzione e al commercio dei prodotti agricoli soltanto nella misura determinata dal Consiglio a norma dell'art. 43. Per i presenti fini è sufficiente ricordare che i regolamenti istitutivi dell'organizzazione comune dei mercati nel settore delle carni suine, primo dei quali fu il regolamento (CEE) del Consiglio n. 121/67, ora rifusi nel regolamento (CEE) del Consiglio n. 2759/75, rendono gli artt. 92-94 applica bili alla produzione ed al commercio dei prodotti soggetti a detta organizzazione (vedi l'art. 21 del regolamento n. 121/67 e, rispettivamente, del regolamento n. 2759/75, che inizia, comunque, in entrambi i casi con le parole: «Fatte salve disposizioni contrarie del presente regolamento»). Questa precisazione è importante per la questione della «precedenza» fra gli artt. 92-94, da un lato, e le norme relative all'organizzazione comune dei mercati, dall'altro.

L'art. 60, n. 1, dell'Atto di adesione ha stabilito che, per i prodotti soggetti ad una organizzazione comune dei mercati alla data dell'adesione (cioè il 1o gennaio 1973), «il regime applicabile nella Comunità nella sua composizione originaria in materia di dazi doganali e tasse di effetto equivalente e di restrizioni quantitative e misure di effetto equivalente» si applicava nei nuovi Stati membri con alcune modifiche non sostanziali, dal 1o febbraio 1973. Non sussisteva comunque alcun motivo per rinviare fino a quest'ultima data l'entrata in vigore nei nuovi Stati membri degli artt. 92-94 per i prodotti soggetti ad un'organizzazione comune dei mercati.

Prima di passare alla questione posta dal giudice a quo debbo ancora menzionare l'argomento della convenuta secondo il quale il sistema tassa/premio, gestito dalla PBC, in quanto distinto dalle sue attività promozionali e dal piano di razionalizzazione, non dev'essere affatto considerato un aiuto statale ricadente nel campo di applicazione degli artt. 92-94, perché costituisce un'aggiunta all'attività della PBC quale ufficio centrale di esportazione, che costituisce un'impresa commerciale gestita a beneficio di uno specifico gruppo di produttori e per loro desiderio.

A mio parere queste circostanze non sono tali da escludere l'applicazione dell'art. 92. Come la Corte ha detto nella causa 173/73, Italia c/ Commissione, Racc. 1974, pag. 709 (punti 26 e 27 della motivazione) :

«L'art. 92 ha lo scopo di evitare che sugli scambi fra Stati membri incidano eventuali vantaggi concessi dalle pubbliche autorità, i quali, sotto varie forme, alterino o rischino di alterare la concorrenza, favorendo determinate imprese o determinati prodotti.

L'art. 92 non distingue gli interventi di cui trattasi a seconda della loro causa o del loro scopo, ma li definisce in funzione dei loro effetti.»

Nella causa 73/76, Steinike & Weinlig c/ Germania, Racc. 1977, pag. 595, la Corte ha nuovamente affermato (punto 21 della motivazione):

«Il divieto di cui all'art. 92, n. 1, riguarda il complesso degli aiuti concessi dagli Stati o mediante risorse statali, prescindendo dalla distinzione tra l'aiuto concesso direttamente dallo Stato e quello concesso da enti pubblici o privati ch'esso istituisce o designa al fine della gestione. Quanto all'applicazione dell'art. 92, sono però sostanzialmente gli effetti dell'aiuto nei confronti delle imprese o dei produttori beneficiari dello stesso che vanno presi in considerazione, non già la situazione degli enti che distribuiscono o gestiscono l'aiuto.»

Passo ora alle questioni sottoposte dal giudice nazionale.

La prima suona:

«1.

a)

Se gli artt. 92 e 93 vadano interpretati nel senso ch'essi impone vano l'obbligo di comunicare alla Commissione, a norma dell'art. 93, n. 3, l'accordo, relativo all'organizzazione di mercato, che sarebbe stato applicato dopo il 1o febbraio 1973 e/o le modifiche apportate a tale organizzazione a partire dal febbraio 1973.

b)

In caso affermativo, se la mancata comunicazione alla Commissione implichi l'invalidità dell'organizzazione per l'intero periodo trascorso dal 1973 o per parte di esso.

Nell'ipotesi in cui le questioni sub a) e b) vengano risolte affermativamente, se la tassa debba essere pagata per il periodo durante il quale l'organizzazione era invalida.»

La questione riflette un assunto principale ed uno subordinato della convenuta.

L'assunto principale è che il sistema tassa/premio, se è un aiuto statale ai sensi degli artt. 92-94, è invalido perché l'Irlanda non ne ha mai informato la Commissione a norma dell'art. 93, n. 3, del Trattato. La convenuta sostiene che, essendo l'Irlanda entrata nella Comunità il 1o gennaio 1973, né un aiuto nuovo, istituito in Irlanda dopo tale data, né qualsiasi modifica apportata dopo tale data ad un aiuto già esistente possono essere validi, qualora la Commissione non ne sia stata informata «in tempo utile», ai fini dell'art. 93, n. 3. Non vi è stata alcuna notifica alla Commissione degli accordi conclusi nella riunione dell'11 gennaio 1973 e posti in attuazione il 1o febbraio 1973. Tali accordi costituiscono un nuovo aiuto o, almeno, modifiche di un aiuto esistente. Perciò l'intero sistema istituito con tali accordi è illegittimo.

L'assunto in subordine della convenuta è che almeno i successivi mutamenti nel sistema, nessuno dei quali è stato notificato alla Commissione a norma dell'art. 93, n. 3, sono illegittimi. Tali mutamenti comprendono, a parte gli aumenti periodici dell'importo della tassa e del premio, l'istituzione del premio per il superamento del livello di base («base line bonus»), il pagamento del premio all'esportazione di carni suine fresche in Giappone e l'episodio Bearfield Stratfield.

Né la PBC né il Governo irlandese hanno sostenuto che sia stata fatta alla Commissione alcuna notifica ai sensi dell'art. 93, n. 3. I documenti allegati alle osservazioni scritte del Governo irlandese e della Commissione presentate alla Corte indicano che alcune informazioni riguardo alle attività della PBC furono fornite alla Commissione dal Governo irlandese, ma che tali informazioni sono schematiche e dai documenti si ricava che furono date in riposta ad indagini condotte dalla Commissione in forza dell'art. 93, n. 1.

La PBC e il Governo irlandese deducono in proposito che, dopo il 1o gennaio 1973, non è stato istituito alcun nuovo aiuto, né alcun aiuto già esistente è stato modificato in modo così rilevante da rendere necessaria la notifica ai sensi dell'art. 93, n. 3.

A mio parere, non spetta a questa Corte scegliere fra tali opposte tesi. Far ciò significherebbe applicare i principi rilevanti di diritto comunitario nel caso concreto, compito che dev'essere lasciato al giudice irlandese. Questa Corte deve però indicare al giudice irlandese quali siano detti principi.

Lo scopo della prescrizione contenuta nell'art. 93, n. 3, secondo la quale uno Stato membro che si proponga di istituire un nuovo aiuto o di modificare un aiuto esistente deve anzitutto informare la Commissione dei propri progetti, è naturalmente di permettere alla Commissione di prendere provvedimenti il cui risultato può essere il divieto di realizzare tali progetti, ai sensi dell'art. 93. n. 2. Tale essendo la situazione, non credo che la modifica dell'aiuto di cui si parla nell'art. 93, n. 3, possa essere interpretato in modo da ricomprendervi anche l'abolizione o la riduzione dell'aiuto. L'art. 93, n. 2, non attribuisce alla Commissione né al Consiglio il compito di vietare l'abolizione o la riduzione di un aiuto.

Mi sembra plausibile che l'accordo dell'11 gennaio 1973, entrato in vigore il 1o febbraio di quell'anno, consistesse praticamente nella riduzione della portata dell'aiuto di cui trattasi. Se è così e se le mie considerazioni sono esatte in diritto, l'Irlanda non era obbligata ad informare la Commissione di quanto veniva allora proposto e, in quello stadio, non si verificava alcuna violazione dell'art. 93, n. 3. Spetterà tuttavia alla High Court d'Irlanda procedere eventualmente all'accertamento dei fatti che conduce a tale conclusione.

Per quanto riguarda le modifiche successive, da parte mia non posso ammettere il punto di vista della PBC e del Governo irlandese, secondo cui esse possono essere trascurate come «variazioni di poca importanza nell'amministrazione e aumenti di poco peso degli importi monetari» (Registrazione, pag. 7). A mio parere, vi è un pericolo reale che l'adozione di formule così elastiche per interpretare l'art. 93, n. 3, conduca in pratica ad eluderne lo scopo. Né si trova nel suo tenore letterale alcun appiglio per un' interpretazione del genere. Ammetterei naturalmente in base ad un noto principio giuridico generale («de minimis non curat lex»), l'ignorare, ai fini della disposizione di cui trattasi, una variazione veramente trascurabile. Ammetterei anche che, nel caso di un aiuto pecuniario calcolato secondo una determinata formula, variazioni automatiche degli importi risultanti dalla formula in una situazione d'inflazione (da tener distinte da quelle risultanti dal cambiamento della formula) non siano considerate modificazioni dell'aiuto nel senso dell'art. 93, n. 3. Ma, a mio parere, non vi è in generale alcuna ragione per interpretare l'art. 93, n. 3, altrimenti che restrittivamente. Su questo punto la PBC attribuisce grande importanza alla causa 2/73 Gedda c/ Ente nazionale Risi (Racc. 1973, pag. 865). Tuttavia in quella causa non fu sollevata né decisa alcuna questione relativa all'interpretazione degli artt. 92-94. Non si tratta quindi, a mio parere, di un precedente rilevante.

È stato sostenuto dinanzi a noi, particolarmente da parte del Governo irlandese che, anche se il pagamento del premio fosse illegittimo per difetto di conformità all'art. 93, n. 3, la legittimità della tassa resterebbe intatta. Evidentemente, quando un aiuto è finanziato col gettito fiscale generale, il metodo di finanziamento non dev'essere valutato a norma degli artt. 92-94. La causa 47/69, Francia c/ Commissione (Racc. 1970, pag. 487) mostra però che la situazione è diversa quando l'aiuto sia finanziato mediante un tributo riscosso specificamente a tale scopo, perché in tal caso un aiuto di per sé innocuo può essere reso «incompatibile con il mercato comune» dal sistema di finanziamento. In tale ipotesi la Commissione deve, a norma degli artt. 92 e 93 valutare globalmente la situazione, compreso il sistema di finanziamento dell'aiuto. Ne consegue che l'art. 93, n. 3, impone di informare la Commissione del sistema di finanziamento.

Che l'attribuzione di un aiuto o la modifica di un aiuto in violazione dell'art. 93, n. 3, sia illegittima e che tale norma sia direttamente efficace nel senso che i singoli possono farla valere dinanzi ai giudici nazionali, sono principi stabiliti da sentenze di questa Corte tanto numerose e note da renderne superflua la citazione.

Pertanto sono del parere che la prima questione sottoposta alla Corte dal giudice nazionale vada risolta come segue:

a)

L'art. 93, n. 3, del Trattato CEE impone agli Stati membri l'obbligo di informare la Commissione di ogni progetto di attribuzione o di modifica di un aiuto, a differenza dei progetti di abolizione o di riduzione di un aiuto. La modifica progettata che sia veramente trascurabile esula da tale obbligo, ma per il resto l'art. 93, n. 3, va interpretato restrittivamente.

b)

L'aiuto attribuito o modificato in violazione dell'art. 93, n. 3, è illegittimo.

c)

Se l'aiuto è finanziato mediante un'imposta specificamente destinata a tale scopo, anziché mediante il gettito fiscale generale, il metodo di finanziamento rientra nel campo di applicazione dell'art. 93, n. 3. In tal caso la pretesa d'adempimento dell'obbligo tributario non può essere fatta valere dinanzi al giudice nazionale qualora l'imposta sia stata istituita o modificata in violazione di detta disposizione.

La seconda questione del giudice nazionale è:

«2.

Nell'ipotesi in cui la questione sub 1. a), venga risolta negativamente, se Vart. 92 vada interpretato nel senso che esso impone al giudice nazionale, qualora questi ritenga che un aiuto statale può essere incompatibile con l'art. 92, l'obbligo di sottoporre alla Corte di giustizia delle Comunità europee la questione dell'eventuale incompatibilità dell'organizzazione di mercato con quanto disposto dall'art. 92, nn. 1 e 2, e se il giudice nazionale sia tenuto, in caso di soluzione affermativa di tale questione da parte della suddetta Corte, a sospendere il procedimento dinanzi ad esso pendente, in attesa di una decisione della Commissione sull'organizzazione stessa, a norma dell'art. 93.»

È ormai fuori discussione che:

«Mentre per i progetti intesi ad istituire nuove sovvenzioni, o a modificare quelle esistenti, l'art. 93, n. 3, ultimo inciso, stabilisce dei criteri procedurali cui il giudice nazionale può attenersi, la situazione è diversa per le sovvenzioni in atto, contemplate dall'art. 93, n. 1.

Per quanto riguarda queste ultime, l'art. 92, n. 1, produce effetti nell'ordinamento giuridico interno degli Stati membri, in guisa da poter esser fatto valere dinanzi ai giudici nazionali, qualora si sia concretato in atti di carattere generale, ai sensi dell'art. 94, ovvero in decisioni, nei casi particolari contemplati dall'art. 93, n. 2.» (Causa 77/72 Capolongo c/ Maya, Racc. 1973, pag. 611, punto 6 della motivazione).

Tale principio è stato ulteriormente spiegato nella causa 78/76 Steinike & Weinlig c/ Germania (Racc. 1977, pag. 595; punti 5-15 della motivazione), in cui la Corte ha detto che lo speciale dispositivo contemplato dall'art. 93 non impedisce al giudice nazionale di chiedere una pronunzia pregiudiziale sull'interpretazione dell'art. 92, ad esempio quando debba decidere se un provvedimento statale configuri un aiuto che si sarebbe dovuto notificare alla Commissione a norma dell'art. 93, n. 3. Ciò che il giudice nazionale non può fare, tuttavia, è applicare i criteri di cui all'art. 92 per determinare se un aiuto sia o no compatibile col mercato comune, in mancanza di un'apposita decisione della Commissione o atto del Consiglio.

La questione del giudice a quo rispecchia una tesi della convenuta, del seguente tenore. L'art. 5 del Trattato CEE impone a tutti gli Stati membri e, perciò ai loro giudici, l'obbligo generale di garantire il conseguimento degli scopi del Trattato. Di conseguenza, il giudice nazionale che sospetta l'esistenza di un conflitto potenziale fra una legge nazionale e l'art. 92 ha il dovere di astenersi dall'applicare tale legge fino a che non abbia raggiunto il convincimento che l'incompatibilità non sussiste. Ciò può richiedere che il giudice sospenda il procedimento fino a che la Commissione non si sia pronunziata sulla questione della compatibilità a norma dell'art. 93. Come minimo, nel caso di aiuti esistenti si deve interpretare l'art. 92 nel senso che esso attribuisce al giudice nazionale il potere di rifiutare l'applicazione di un sistema o di un provvedimento nazionali, la cui compatibilità con il mercato comune sia dubbia, fino a che non vi sia stata in proposito una decisione della Commissione. Altrimenti il giudice nazionale si vedrebbe obbligato, contro il proprio convincimento, ad applicare norme nazionali destinate a rivelarsi in seguito illegittime.

A mio parere questa tesi è infondata. Un aiuto «esistente», istituito legittimamente, rimane interamente legittimo a meno che, e fino a che, la Commissione non decida, a norma dell'art. 93, n. 2, che lo Stato membro interessato deve abolirlo o modificarlo ed anche allora, in effetti, rimane legittimo fino alla scadenza del termine assegnato dalla Commissione per la sua abolizione o modificazione. Come ho avuto occasione di porre in rilievo nella causa 173/73, Italia c/ Commissione (Racc. 1974, pag. 723) e come, in effetti, è implicito nella sentenza della Corte in quella causa, tale decisione della Commissione non può avere alcun effetto retroattivo o dichiarativo. Ne consegue che il giudice nazionale non ha alcun dovere, né alcun potere discrezionale di rifiutare l'applicazione della legge nazionale relativa ad un aiuto del genere fino a che non sia intervenuta una decisione della Commissione sulla compatibilità di tale aiuto col mercato comune. (Nella causa 70/72, Commissione c/ Germania, Racc. 1973, pag. 813, punto 13 della motivazione, la Corte ha menzionato la possibilità che la Commissione adotti una decisione retroattiva in base all'art. 93, n. 2, ma questo nell'ipotesi di un aiuto istituito o mantenuto in vigore in violazione del Trattato).

Sono quindi del parere che la seconda questione del giudice nazionale vada risolta nel senso che per quanto concerne gli artt. 92 e 93, l'aiuto attribuito da uno Stato membro senza violare l'art. 93, n. 3, resta legittimo fino a che la Commissione non abbia deciso, a norma dell'art. 93, n. 2, che esso va abolito o modificato e fino a che non sia spirato il termine assegnato dalla Commissione a tale scopo; che tale decisione ha effetto solo per il futuro e che perciò il giudice nazionale non può prendere in considerazione alcuna questione relativa alla compatibilità dell'aiuto col mercato comune nel periodo precedente alla presa d'effetto della decisione.

Non penso di dover leggere il testo integrale della terza questione. Essa riguarda essenzialmente i problemi sollevati dalla tesi principale della PBC secondo cui, in quanto regime di aiuti statali, le sue attività sono immuni da critiche basate su disposizioni del Trattato che non siano gli artt. 92-94, ed alla sua ulteriore tesi secondo cui, anche se un aspetto particolare del regime di aiuti viola il Trattato, il tributo destinato a finanziare detto regime è cionondimeno dovuto.

Il precedente su cui si fonda la PBC a sostegno della sua tesi principale è la causa 74/76, Iannelli c/ Meroni (Racc. 1977, pag. 557). Vi sono certo nella sentenza della Corte affermazioni le quali, considerate in sé, potrebbero essere interpretate nel senso che, una volta che una misura o un complesso di misure adottate da uno Stato membro siano state definite come un sistema di aiuti, nessun aspetto di tale sistema può più essere criticato, alla luce del diritto comunitario, se non in forza degli artt. 92-94 a meno che si tratti di un aspetto non necessario per il conseguimento dello scopo dell'aiuto o per il suo corretto funzionamento. La causa 91/78, Hansen c/ HZA Flensburg (13 marzo 1979, non ancora pubblicata nella Raccolta) indica, tuttavia, che tale interpretazione sarebbe errata (v. in particolare, il punto 13 della motivazione). Vi si afferma che la stessa misura può risultare in contrasto sia con l'art. 37 del Trattato, sia con gli artt. 92 e 93. Il punto essenziale deciso nella causa Iannelli, per quanto qui c'interessa, è che l'art. 30 del Trattato, il quale vieta fra gli Stati membri restrizioni quantitative all'importazione e qualsiasi misura di effetto equivalente non può essere interpretato in modo così ampio da comprendere gli ostacoli per il commercio che, come tali, ricadono sotto gli artt. 92 e 93. Nel pervenire a tale conclusione la Corte ha tenuto conto del fatto che altrimenti gli artt. 92-94 diverrebbero in gran parte lettera morta. Il principio vero è, quindi, a mio parere, che la questione se ed in quale misura una disposizione di diritto comunitario diversa dagli artt. 92-94 possa essere applicata ad un sistema di aiuti contemporaneamente a tali articoli è una questione d'interpretazione della disposizione stessa, la quale va interpretata alla luce del contenuto degli artt. 92-94. La questione se il metodo di finanziamento di un aiuto sia incompatibile con qualche norma di diritto comunitario diversa dagli artt. 92-94 è quindi, a mio parere, una questione d'interpretazione di tale norma.

Sono quindi dell'opinione che la terza questione del giudice a quo vada risolta nel senso che il fatto che ad un aiuto si applichino gli artt. 92 e 93 non rende di per sé ogni aspetto dell'aiuto (ivi compreso il metodo di finanziamento) immune da critiche dinanzi al giudice nazionale basate su qualsiasi altra norma di diritto comunitario.

L'articolo 16 del Trattato

La quarta questione è:

«4.

Se l'art. 16 vada interpretato nel senso che, qualora il funzionamento dell'organizzazione di mercato di cui sopra limiti o impedisca le esportazioni da parte di imprese che operano indipendentemente dall'ufficio centrale di disciplina del mercato, si ha violazione del suddetto articolo e la tassa destinata al finanziamento dell'organizzazione non può essere riscossa.»

Questa Corte ha ripetutamente definito l'onere di effetto equivalente ad un dazio doganale, all'importazione o all'esportazione, come quello imposto alle merci «in ragione del passaggio della frontiera» (v., per esempio, causa 63/74, Cadsky, Racc. 1975, pag. 281, punti 4 e 5 della motivazione; causa 87/75, Bresciani, Racc. 1976, pag. 129, punti 8 e 9 della motivazione; causa 78/76, Steinike & Weinlig c/ Germania, Racc. 1977, pag. 595, n. 29 della motivazione).

Qui, come Lorsignori avranno presente, il tributo grava su tutto il bacon prodotto in Irlanda, ma il premio è pagato solo per gli «specials» irlandesi esportati tramite la PBC. Il risultato netto è che la tassa grava in misura maggiore sul bacon venduto sul mercato interno, sul bacon esportato indipendentemente dalla PBC e sul bacon diverso dagli «specials» esportato tramite la PBC. A mio avviso, così stando le cose, sarebbe un arbitrio linguistico descrivere il sistema tassa/premio come onere all'esportazione. I dati da me citati mostrano che la maggior parte di esso grava sulle vendite sul mercato interno.

Sono di conseguenza del parere che la quarta questione vada risolta nel senso che l'art. 16 non si applica ad un sistema in base al quale un tributo grava sull'intera produzione di uno Stato membro di una particolare merce mentre il gettito del tributo è usato (in tutto o in parte) per pagare una' sovvenzione alle esportazioni di tale merce effettuate attraverso un ente prescritto, ad esclusione di altre esportazioni e delle vendite sul mercato interno.

L'articolo 34 del Trattato

La quinta questione è:

«5.

Se l'art. 34 vada interpretato nel senso che, qualora il funzionamento dell'organizzazione di mercato di cui sopra limiti o impedisca le esportazioni da parte di imprese che operano indipendentemente dall'ufficio centrale di disciplina del mercato, si ha violazione del suddetto articolo e la tassa dovuta, in quanto elemento dell'organizzazione, non può essere riscossa.»

Nel sostenere che tale questione dovrebbe essere risolta affermativamente la convenuta ha trovato un alleato nella Commissione. Ambedue si sono richiamate alla nota pronunzia di questa Corte nella causa 8/74, Procureur du Roi c/ Dassonville (Racc. 1974, pag. 837):

«Ogni normativa commerciale degli Stati membri che possa ostacolare direttamente o indirettamente, in atto o in potenza, gli scambi intracomunitari va considerata come una misura d'effetto equivalente a restrizioni quantitative.»

Gli autori del Trattato, tuttavia, hanno fatto una distinzione fra ostacoli per il commercio di natura pecuniaria e ostacoli di altra natura. Hanno chiamato i primi «dazi doganali e tasse di effetto equivalente» e ne hanno trattato, per quanto riguarda gli scambi fra gli Stati membri, negli artt. 12-17 del Trattato. I secondi li hanno chiamati «restrizioni quantitative e misure di effetto equivalente» e ne hanno trattato, per quanto riguarda gli scambi fra Stati membri, negli artt. 30-36 del Trattato. La distinzione è stata sottolineata da questa Corte nella causa 7/68 Commissione c/ Italia (Racc. 1968, pag. 423), in cui la Corte ha anche posto in rilievo, come ha fatto in molte altre sentenze, che «i dazi doganali e le tasse d'effetto equivalente» non sono soltanto quelli di carattere fiscale.

In nessun caso la Corte ha ritenuto che un ostacolo pecuniario per il commercio (con ciò intendo un onere pecuniario diretto, non misure come il controllo dei prezzi, che possono ostacolare indirettamente il commercio) possa costituire una misura d'effetto equivalente ad una restrizione quantitativa. Nella causa 2/73, Geddo (Racc. 1973, pag. 865) la Corte ha indicato che ciò non è possibile (v. punto 7 della motivazione) e nella causa 74/76, Iannelli (Racc. 1977, pag. 557) la Corte ha affermato che «… gli ostacoli di natura fiscale o di effetto equivalente contemplati dagli artt. 9-16 e 95 del Trattato esulano dal divieto stabilito dall'art. 30».

A mio parere il ritenere che un ostacolo pecuniario per il commercio costituisca una misura di effetto equivalente ad una restrizione quantitativa significherebbe forzare il significato delle parole e perdere di vista la struttura del Trattato. Non si può nemmeno sostenere che i concetti«dazi doganali e tasse di effetto equivalente» e «restrizioni quantitative e misure di effetto equivalente» debbono comprendere insieme, tutti gli ostacoli per il commercio (cosicché, se una mi sura non è compresa nel primo, deve esserlo nel secondo) perché, se così fosse, numerose altre disposizioni del Trattato (ad esempio l'art. 95) diverrebbero superflue.

Sono quindi d'opinione che la quinta questione vada risolta nel senso che l'art. 34 del Trattato non si applica ad ostacoli per il commercio di carattere pecuniario.

L'articolo 37 del Trattato e l'articolo 44 dell'Atto di adesione

Lorsignori ricorderanno che l'art. 44, n. 1, dell'Atto di adesione recita:

«I nuovi Stati membri procedono ad un progressivo riordinamento dei monopoli nazionali che presentano un carattere commerciale, ai sensi dell'art. 37, paragrafo 1, del Trattato CEE, in modo che venga esclusa, anteriormente al 31 dicembre 1977, qualsiasi discriminazione fra i cittadini degli Stati membri per quanto riguarda le condizioni relative all'approvvigionamento e agli sbocchi.»

La convenuta, mi par di capire, ammette — certo deve ammettere — che, come conseguenza di tale disposizione, l'art. 37, n. 1, ha efficacia diretta in Irlanda soltanto dopo il 31 dicembre 1977. La convenuta, tuttavia, si rifà all'art. 37, n. 2, che impone agli Stati membri di astenersi dall'introdurre qualsiasi nuova misura contraria ai principi enunciati nell'art. 37, n. 1. L'art. 37, n. 2, è senza dubbio direttamente efficace nei nuovi Stati membri fin dalla data dell'adesione. La convenuta sostiene che le modifiche adottate dalla PBC con effetto dal 1o febbraio 1973 configuravano l'istituzione di una nuova misura del genere, in violazione dell'art. 37, n. 2.

Tenendo conto di tale assunto, ed anche del fatto che, sebbene la domanda principale e la domanda riconvenzionale nel presente procedimento si riferiscono interamente a periodi anteriori al 31 dicembre 1977, la domanda dell'attrice riguarda una situazione che è continuata dopo tale data, il giudice a quo ha formulato la sesta questione come segue:

«6.

Se gli artt. 37 del Trattato e 44 dell'Atto di adesione vadano interpretati nel senso che il funzionamento della nuova organizzazione di mercato di cui sopra soddisfa gli obblighi imposti dagli stessi articoli, (a) fino al 31 dicembre 1977 e (b) successivamente a tale data. In caso negativo, se la tassa dovuta, in quanto elemento dell'organizzazione di mercato, possa essere riscossa dal 1o febbraio 1973 al 31 dicembre 1977 o (c) successivamente a tale data.»

La questione ha dato origine dinanzi a noi a dibattiti imperniati su tre punti:

1)

Se la PBC fosse un monopolio al quale si applicava l'art. 37.

2)

In caso affermativo, se si possa dire che, in conseguenza del sistema tassa/premio sussiste «una discriminazione fra i cittadini degli Stati membri per quanto riguarda le condizioni relative all'approvvigionamento e agli sbocchi»; e

3)

in caso affermativo, se la convenuta possa far valere la conseguente violazione dell'art. 37 per quanto riguarda qualsiasi periodo anteriore al 31 dicembre 1977.

Sul punto 1), la tesi della PBC e del Governo irlandese è essenzialmente che la PBC, sebbene possa essere stata un monopolio prima del 1o febbraio 1973 ha cessato di esserlo in tale data, perché da quel momento non ha più esercitato controlli sul mercato interno ed ha permesso esportazioni senza la propria mediazione (quantunque, per gli «specials», a costo della perdita del premio). Questa tesi è suggestiva, ma mi pare trascuri il secondo comma dell'art. 37, n. 1, il quale rende l'art. 37 applicabile «a qualsiasi organismo per mezzo del quale uno Stato membro, de jure o de facto, controlla, dirige o influenza sensibilmente, direttamente o indirettamente, le importazioni e le esportazioni fra gli Stati membri». Alla luce di quanto accertato dal giudice a quo, mi sembra difficile negare che la PBC influenzi sensibilmente le esportazioni di bacon dall'Irlanda.

Una tesi ancora più radicale, sostenuta dalla Commissione, è che l'art. 37 non si applica affatto in un settore dell'agricoltura soggetto ad organizzazione comune dei mercati. A sostegno di tale punto di vista la Commissione si richiama alla causa 82/71, SAIL (Racc. 1972, pag. 119) e alla causa Redmond, in cui la Corte, dopo aver sottolineato, nel punto della motivazione da me precedentemente citato, che in forza dell'art. 38, n. 2, del Trattato, le norme relative alla poli tica agricola comune prevalgono, in caso di divergenze, sulle altre norme relative all'instaurazione del mercato comune, continua:

«Le disposizioni specifiche che istituiscono un'organizzazione comune dei mercati hanno quindi la precedenza, nella specifica materia, sul regime contemplato dall'art. 37 a favore dei monopoli nazionali aventi carattere commerciale.

Di conseguenza, il termine speciale di cui all'art. 44 dell'Atto di adesione non può essere invocato al fine di giustificare la normativa nazionale e l'attività di un ente nazionale quale il Board, in un settore per il quale esiste un'organizzazione comune dei mercati.

È perciò irrilevante se il Pigs Marketing Scheme e il Board abbiano carattere di “monopolio nazionale” ai sensi dell'art. 37, poiché l'applicazione di questa norma è esclusa, in ogni caso, dal 1o febbraio 1973, a causa dell'estensione al Regno Unito dell'organizzazione comune dei mercati nel settore delle carni suine.» (Punti 38-40 della motivazione).

Non sono d'accordo sull'interpretazione di questo passo fatta dalla Commissione. A mio parere, tenuto conto in particolare del contesto in cui si trova, esso significa soltanto che un nuovo Stato membro non si può fondare sull'art. 37 del Trattato e sull'art. 44 dell'Atto di adesione per sostenere di non essere soggetto all'obbligo di garantire, fin dal 1o febbraio 1973 la piena efficacia delle norme di una organizzazione comune dei mercati per un prodotto agricolo. Ciò non tocca, però, la piena efficacia degli artt. 37 e 44 nella misura in cui essi si aggiungono a quelle norme imponendo agli Stati membri, per quanto riguarda i monopoli, obblighi da esse non contemplati.

Sul punto 2) la convenuta ha dedotto dinanzi al giudice a quo (cito dalla sentenza) che il sistema tassa/premio dà luogo ad una discriminazione «nel mercato d'esportazione al quale le merci sono destinate rispetto a merci analoghe vendute da cittadini di altri Stati membri». Dinanzi a questa Corte la convenuta ha sostenuto che vi era discriminazione nel senso dell'art. 37, n. 1, «a causa della posizione sfavorevole in cui è posta la convenuta rispetto agli esportatori che operano attraverso la PBC».

È evidente che il sistema tassa/premio è, in un certo senso, discriminatorio. La questione è se la discriminazione ch'esso implica sia di un tipo vietato dall'art. 37.

La convenuta si base sulla causa 59/75, Manghera (Racc. 1976, pag. 91) in cui la Corte ha affermato che il diritto esclusivo d'importazione spettante ad un monopolio statale costituisce una discriminazione vietata dall'art. 37, n. 1, perché impedisce la libera circolazione delle merci provenienti da altri Stati membri, a danno dei loro esportatori. Si potrebbe sostenere che, per ragioni simmetriche, l'art. 37, n. 1, rende illegittimo anche il diritto esclusivo ad esportazione del monopolio. Nel nostro caso, però, non si tratta di un diritto esclusivo del genere, ma di un sistema il cui effetto è di agire come remora finanziaria per le esportazioni non effettuate attraverso l'ente che si presume costituire un «monopolio».

Mi pare difficile ammettere l'assunto della convenuta dinanzi al giudice nazionale, secondo cui tale sistema è discriminatorio nei riguardi di cittadini di altri Stati membri. Senza dubbio esso influisce sulla concorrenza da parte loro, ma dire che è discriminatorio nei loro confronti mi sembra estendere in modo indebito il significato della parola «discriminazione».

Resta la questione se il sistema discrimini fra gli esportatori irlandesi in modo tale da violare l'art. 37, n. 1. Dopo qualche esitazione, sono pervenuto ad una conclusione negativa. Lascio da parte la questione se l'art. 37, n. 1, possa riguardare discriminazioni fra cittadini o fra prodotti dello stesso Stato membro. Il problema più complesso mi pare rappresentato dal fatto che le «condizioni relative … agli sbocchi» delle merci prodotte dai salatori irlandesi di bacon sono le stesse per tutti. Essi possono vendere liberamente i loro prodotti sul mercato interno ed esportarli liberamente. La sola differenza è che se scelgono di esportare «specials» attraverso la PBC ricevono il premio, mentre se esportano «specials» direttamente ne sono esclusi. Tale scelta è tuttavia possibile per tutti senza discriminazione.

Risolto in tal modo il punto 2), per il punto 3) posso solo dire che, a mio parere, il problema non sorge. Soltanto se si fosse dell'idea che ci sia stata una violazione dell'art. 37 da parte dell'Irlanda si potrebbe stabilire in quale data la violazione sia stata commessa.

Sono quindi del parere che la sesta questione del giudice a quo vada risolta nel senso che non ussiste violazione dell'art. 37 da parte di uno Stato membro se le condizioni di smercio dei prodotti sono le stesse per tutti gli interessati.

L'articolo 40 del Trattato e l'organizzazione comune dei mercati nel settore delle carni suine

La settima questione del giudice nazionale recita:

«7.

Se l'art. 40 del Trattato e il regolamento n. 2759/75 vadano interpretati nel senso che l'organizzazione di mercato di cui sopra è incompatibile con l'organizzazione comune dei mercati creata dalla Comunità nel settore delle carni suine e conseguentemente invalida. In caso affermativo, se la riscossione della tassa dovuta come elemento di detta organizzazione sia illegittima.»

Nel regolamento n. 2759/75, come Lorsignori ricordano, sono state rifuse le norme contenute nei precedenti regolamenti relativi all'organizzazione comune dei mercati nel settore delle carni suine. Lorsignori ricorderanno anche che l'art. 21 del regolamento n. 2759/75, che riproduce l'art. 21 del regolamento n. 121/67, rendendo gli artt. 92-94 del Trattato applicabili alla produzione ed al commercio delle carni suine, comincia con le parole «Fatte salve disposizioni contrarie del presente regolamento», le quali mi sembrano attribuire la precedenza, in caso di discordanza, al regolamento rispetto agli artt. 92-94.

Il giudice a quo, che ha emesso la sua sentenza il 30 giugno 1978, non poteva certo conoscere la sentenza di questa Corte nella causa Redmond, resa il 29 novembre 1978. A mio parere, i punti da 56 a 59 di tale sentenza potrebbero fornire la soluzione della sua settima questione. La Corte ha ivi affermato:

«Come la Corte ha ricordato nella sentenza 18 maggio 1977 (causa 111/76, Van den Hazel, Racc, pag. 901), quando, in forza dell'art. 40 del Trattato, la Comunità ha emanato una disciplina che istituisce un'organizzazione comune dei mercati in un determinato settore, gli Stati membri sono tenuti ad astenersi da qualsiasi provvedimento che vi deroghi o ne pregiudichi l'efficacia.

Per effettuare questa valutazione a proposito del Pigs Marketing Scheme, è opportuno tenere presente che l'organizzazione comune dei mercati nel settore delle carni suine, come altre organizzazioni comuni dei mercati, è basata sul principio di un mercato aperto, al quale tutti i produttori hanno libero accesso, e il cui funzionamento è retto unicamente sugli strumenti giuridici contemplati da detta organizzazione.

È quindi incompatibile coi principi di detta organizzazione dei mercati qualsiasi disposizione o prassi nazionale atta a modificare le correnti d'importazione o d'esportazione, o ad influire sulla formazione dei prezzi sul mercato, in quanto ai produttori venga impedito di effettuare liberamente gli acquisti e le vendite, nello Stato dove sono stabiliti o in qualsiasi altro Stato membro, alle condizioni stabilite dalla normativa comunitaria, e di giovarsi direttamente delle misure d'intervento e di qualsiasi altra misura normalizzatrice del mercato contemplata dall'organizzazione comune.

Un'azione siffatta, svolta sul mercato da un ente istituito da uno Stato membro al difuori di quanto stabilito dalla normativa comunitaria, non può giustificarsi con il perseguimento di scopi particolari di politica economica, nazionale o regionale, dal momento che l'organizzazione comune dei mercati — come si evince dal 3o considerando del regolamento n. 2759/75 — persegue per l'appunto scopi del genere a livello comunitario, a condizioni accettabili per l'intera Comunità e tenendo conto delle esigenze di tutte le sue regioni.»

In base a quanto accertato dal giudice di merito, in particolare, che il sistema tassa/premio crea ostacoli e restrizioni per le esportazioni dall'Irlanda da parte di ditte che intendono esportare indipendentemente dalla PBC, mi sembra chiaro che il sistema pregiudica l'efficacia della organizzazione comune dei mercati nel settore delle carni suine in quanto impedisce ai produttori irlandesi di vendere liberamente in altri Stati membri. Sono quindi dell'opinione che il sistema sia illegittimo.

Debbo tuttavia porre in rilievo che, a mio parere, le altre attività della PBC, le sue attività promozionali, il piano di razionalizzazione (sul quale ci è stato detto molto poco) e il suo comportamento come organo comune di esportazione, in quanto interamente volontario, non mi sembrano incompatibili con l'organizzazione comune dei mercati, benché possano essere soggette all'esame della Commissione a norma degli artt. 92 e 93 (v. causa 3/73, Geddo, Racc. 1973, pag. 865). Pertanto, illegittima per il motivo ora esposto è soltanto la parte della tassa destinata a finanziare il premio.

Partendo da questo punto di vista, non è necessario accertare se il premio, di per sé, sia incompatibile con l'organizzazione comune dei mercati, sebbene la Commissione lo abbia sostenuto con ragioni molto convincenti. Il vizio essenziale risiede qui nella combinazione di tassa e premio.

La PBC ha posto in rilievo che le misure d'intervento contemplate dall'organizzazione comune dei mercati (aiuti all'ammasso privato e acquisto da parte degli enti d'intervento) riguardano solo le carcasse e mezzene fresche o refrigerate, la pancetta e il lardo non fuso (v. art. 3 del regolamento n. 2759/75) e non forniscono quindi alcun aiuto all'industria del bacon. Ciò tuttavia, benché possa significare che la portata di tali misure d'intervento dovrebbe essere estesa in qualche modo (si tratta di una questione politica) non è qui rilevante. Ciò che conta è che, come è pacifico, il bacon è compreso nell'organizzazione comune dei mercati (v. art. 1 del regolamento).

Né può aver rilievo, a mio parere, il fatto, accertato dal giudice di merito e sottolineato dinanzi a noi particolarmente dal Governo irlandese, che l'industria irlandese del bacon e la sua quota del mercato britannico hanno dimensioni così ridotte che le attività della PBC non influiscono praticamente sui prezzi. In mancanza di una deroga espressa, le norme dell'organizzazione comune dei mercati si debbono applicare uniformemente in tutti gli Stati membri.

A mio avviso quindi la settima questione del giudice di merito dovrebbe essere risolta nel senso che i regolamenti relativi all'organizzazione comune dei mercati nel settore delle carni suine rendano illegittimo qualsiasi sistema, creato dal diritto nazionale o in forza di esso, che ostacoli o restringa la libertà dei produttori di merci soggette all'organizzazione di vendere tali merci in qualsiasi punto del mercato comune, con la conseguenza che la pretesa al pagamento di un tributo imposto da norme interne non può essere fatta valere dinanzi al giudice nazionale qualora faccia parte del sistema.

L'articolo 85 del Trattato

L'ottava questione recita:

«8.

Se l'art. 83 vada interpretato nel senso che l'accordo di cui sopra, in forza del quale l'organizzazione di mercato ha funzionato dal 1o febbraio 1973, costituisce una violazione del suddetto articolo in quanto impedisce o limita l'esportazione da parte di imprese che operano indipendentemente dall'ufficio centrale di disciplina del mercato, ovvero in quanto talune esportazioni sono sovvenzionate in forza dell'accordo stesso. In caso affermativo, se la riscossione della tassa dovuta, in quanto elemento dell'organizzazione, sia illegittima.»

Mi sembra che, se ci occupassimo qui di un prodotto non agricolo, avremmo un argomento convincente a sostegno della tesi secondo cui un sistema tassa/premio, del tipo di quello gestito dalla PBC d'accordo con i salatori irlandesi di bacon, viola l'art. 85, richiamato dall'art. 90. Al bacon, comunque, si applica l'art. 42 del Trattato e, a quanto pare, il solo atto del Consiglio che renda applicabile l'art. 85 in quel settore commerciale è il regolamento n. 26 del 4 aprile 1962.

L'art. 2, n. 1, di tale regolamento esclude dal campo d'applicazione dell'art. 85, n. 1, accordi, decisioni e pratiche «che sono necessari per il conseguimento degli obiettivi enunciati nell'art. 39 del Trattato». Nei numeri successivi dell'art. 2 è prescritta la procedura mediante la quale «la Commissione, fatto salvo il controllo della Corte di giustizia, è sola competente per accertare, mediante decisione da pubblicarsi, per quali accordi, decisioni e pratiche ricorrano le condizioni previste al paragrafo 1».

Il risultato, mi pare, è che l'art. 85, come applicato dal regolamento n. 26 non ha efficacia diretta e non può essere fatto valere dinanzi ai giudici nazionali fino a che la Commissione non abbia pubblicato una decisione in materia ai termini dell'art. 2. Questa mi è parsa la posizione assunta dalla Commissione in risposta ad una mia domanda all'udienza.

A mio parere quindi l'ottava questione del giudice a quo va risolta nel senso che quando si tratti di un prodotto al quale si applica l'art. 42, alla cui produzione ed al cui commercio l'art. 85 è stato reso applicabile soltanto dal regolamento n. 26, quest'ultimo articolo non può essere fatto valere dinanzi al giudice nazionale qualora manchi una decisione in materia della Commissione, ai sensi dell'art. 2 di detto regolamento.

L'articolo 86 del Trattato

Non mi pare necessario leggere la nona questione, relativa all'art. 86 del Trattato.

La PBC, il Governo irlandese e la Comissione propongono, come rapida soluzione, la pronunzia della Corte nella causa 2/73, Geddo, (Racc. 1973, pag. 865) che «l'art. 86 del Trattato non si applica ad un tributo destinato a finanziare degli aiuti nazionali». Questa non è, a mio parere, una soluzione completa.

Né, secondo me, la soluzione completa va ricercata nel fatto che la PBC è un ente pubblico, perché l'art. 90 del Trattato estende in effetti la disciplina di cui all'art. 86 ad un ente del genere. Né tale soluzione va ricercata nell'art. 42 del Trattato, giacché il regolamento n. 26 rende l'art. 86 applicabile nel settore di cui trattasi, senza limitazioni.

Ritengo che la soluzione si trovi nel fatto che la PBC non occupa «una posizione dominante sul mercato comune o su una parte sostanziale di questo». La PBC è semplicemente un ente al quale il legislatore di uno Stato membro e la maggioranza dei produttori di un particolare tipo di merce in quello Stato hanno, di comune accordo, conferito determinati poteri. La PBC evidentemente non detiene una «posizione dominante» sul mercato comune considerato nel suo complesso e non è neppure facile identificare, in base a quanto accertato dal giudice di merito, una parte del mercato comune sulla quale essa la detenga. Non v'è dubbio che l'esistenza di tali poteri ponga la PBC in una posizione dominante nel commercio di esportazione del bacon irlandese in Gran Bretagna, ma non mi pare che una particolare corrente di traffico commerciale costituisca «una parte» del mercato comune nel senso dell'art. 86.

Pur volendo ammettere che, contrariamente al mio punto di vista, la PBC detenga una posizione dominante su una parte sostanziale del mercato comune, nulla fa ritenere che essa l'abbia sfruttata abusivamente. La PBC ha semplicemente esercitato, in modo assolutamente corretto, i poteri conferitile dal legislatore irlandese e dai salatori irlandesi di bacon.

A mio avviso quindi la nona questione del giudice a quo va risolta nel senso che l'art. 86 non si applica ad una situazione in cui un'impresa istituita per legge detiene una posizione dominante soltanto nel commercio di esportazione di un determinato Stato membro ed esercita, senza abusarne, i poteri conferitile per svolgere tale commercio.

La domanda riconvenzionale

È evidente che, se non mi sono ingannato per quanto riguarda la soluzione da dare alla prima ed alla settima questione, la convenuta non è obbligata a versare almeno una parte della tassa. Un problema sorge allora a proposito della sua domanda riconvenzionale. Tale problema costituisce oggetto della decima ed ultima questione del giudice a quo, la quale recita:

«10.

Qualora la tassa di cui sopra sia imposta illegalmente, in contrasto col diritto comunitario, se il giudice nazionale debba applicare, nel decidere in merito ad una domanda di restituzione della tassa, i principi del proprio diritto nazionale o quelli del diritto comunitario. Qualora debba applicarsi il diritto comunitario, se i principi di questo giustifichino la restituzione delle somme già pagate, con o senza riduzione in proporzione del premio percepito dalla convenuta.»

Il giudice del merito ha spiegato di essere pervenuto alla conclusione che, applicando alla situazione della convenuta i principi del diritto irlandese la domanda riconvenzionale andrebbe respinta giacché, egli dice:

«Sono convinto che i pagamenti furono effettuati dalla convenuta in seguito ad un accordo (alla cui elaborazione essa ha partecipato), nel senso che la PBC avrebbe continuato ad agire come organo commerciale centrale e ad esercitare il potere, conferitole dalla legge, di riscuotere la tassa … Se ora la convenuta vuole recedere dall'accordo, è libera di farlo, ma non può pretendere la restituzione delle somme pagate in forza dell'accordo stesso.»

A mio parere il diritto comunitario, se ed in quanto rende la tassa illegittima, invalida non soltanto le disposizioni di legge che la impongono, ma anche qualsiasi accordo in base al quale la tassa è stata pagata. Mi sembra che, almeno entro questi limiti, il diritto comunitario debba, nella fattispecie, prevalere sul diritto irlandese poiché, come questa Corte ha affermato nella causa 33/76, Rewe c/ Landwirtschaftskammer Saarland (Racc. 1976, pag. 1989; punto 5 della motivazione) e nella causa 45/76, Comet c/ Produktschaap voor Siergewassen (ivi, pag. 2043; punto 16 della motivazione), le norme del diritto nazionale non debbono rendere impossibile per i singoli l'esercizio di diritti loro conferiti dal diritto comunitario che i giudici nazionali sono tenuti a tutelare e, come l'avvocato generale Reischl ha sostenuto nella causa 77/76, Cucchi c/ Auer (Racc. 1977, pag. 987, a pag. 1022) l'onere che sia stato riscosso in violazione del diritto comunitario va normalmente restituito.

La portata del rimedio costituisce comunque una questione di diritto nazionale.

Nella sentenza Rewe (Racc. 1976, pag. 1998) la Corte ha detto:

«Secondo il principio della collaborazione, enunciato dall'art. 5 del Trattato, è ai giudici nazionali che è affidato il compito di garantire la tutela giurisdizionale spettante ai singoli in forza delle norme di diritto comunitario aventi efficacia diretta.

Conseguentemente, in mancanza di una specifica disciplina comunitaria, è l'ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro che designa il giudice competente e stabilisce le modalità procedurali delle azioni giudiziali intese a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza delle norme comunitarie aventi efficacia diretta, modalità che non possono, beninteso, essere meno favorevoli di quelle relative ad analoghe azioni del sistema processuale nazionale.

In assenza di … provvedimenti di armonizzazione, i diritti attribuiti dalle norme comunitarie devono essere esercitati, dinanzi ai giudici nazionali, secondo le modalità stabilite dalle norme interne.» (v. anche la sentenza nella causa Comet, nn. 12, 13 e 15).

Spetta pertanto al diritto nazionale stabilire se l'azione di ripetizione sia soggetta a decadenza (v. le sentenze Rewe e Comet), se debbano essere versati interessi sulle somme restituite (v. causa 6/60, Humblet c/ Belgio, Racc. 1960, pag. 559 e cfr. causa 26/74, Roquette c/ Commissione, Racc. 1976, pag. 677) e, nel caso di un tributo che violi l'art. 95, se l'interessata abbia diritto al rimborso dell'intero tributo pagato o solo dell'eccedenza illegittima (v. causa 74/76, Iannelli, Racc. 1977, pag. 557 e i precedenti richiamati nelle mie conclusioni a pag. 592).

Ne consegue, a mio parere, che nella fattispecie la questione se il rimborso ordinato a favore della convenuta debba essere compensato con la totalità, o con parte, delle somme ricevute dalla convenuta a titolo di premio, va deciso a norma del diritto irlandese.

Sono quindi del parere che la decima questione del giudice proponente vada risolta come segue:

a)

Se una norma di diritto comunitario rende illegittima la riscossione di un tributo, tale illegittimità si estende al contenuto di un accordo in base al quale il tributo sia riscosso.

b)

Il tributo che sia stato riscosso in violazione del diritto nazionale deve normalmente essere rimborsato, ma la portata del rimedio esperibile a tale scopo dinanzi al giudice nazionale, ivi compresa qualsiasi questione relativa alla compensazione con somme illegittimamente percepite dall'interessato, va determinata a norma del diritto nazionale.


( 1 ) Traduzione dall'inglese.

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