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Document 62022CJ0211

Sentenza della Corte (Terza Sezione) del 29 giugno 2023.
Super Bock Bebidas SA e a. contro Autoridade da Concorrência.
Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunal da Relação de Lisboa.
Rinvio pregiudiziale – Concorrenza – Intese – Articolo 101 TFUE – Accordi verticali – Prezzi minimi di rivendita fissati da un fornitore ai suoi distributori – Nozione di “restrizione della concorrenza per oggetto” – Nozione di “accordo” – Prova della comune volontà tra il fornitore e i suoi distributori – Pratica diffusa sulla quasi totalità del territorio di uno Stato membro – Pregiudizio per il commercio tra Stati membri – Regolamento (CE) n. 2790/1999 e regolamento (UE) n. 330/2010 – Restrizione fondamentale.
Causa C-211/22.

Court reports – general – 'Information on unpublished decisions' section

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2023:529

 SENTENZA DELLA CORTE (Terza Sezione)

29 giugno 2023 ( *1 )

«Rinvio pregiudiziale – Concorrenza – Intese – Articolo 101 TFUE – Accordi verticali – Prezzi minimi di rivendita fissati da un fornitore ai suoi distributori – Nozione di “restrizione della concorrenza per oggetto” – Nozione di “accordo” – Prova della comune volontà tra il fornitore e i suoi distributori – Pratica diffusa sulla quasi totalità del territorio di uno Stato membro – Pregiudizio per il commercio tra Stati membri – Regolamento (CE) n. 2790/1999 e regolamento (UE) n. 330/2010 – Restrizione fondamentale»

Nella causa C‑211/22,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Tribunal da Relação de Lisboa (Corte d’appello di Lisbona, Portogallo), con decisione del 24 febbraio 2022, pervenuta in cancelleria il 17 marzo 2022, nel procedimento

Super Bock Bebidas SA,

AN,

BQ

contro

Autoridade da Concorrência,

LA CORTE (Terza Sezione),

composta da K. Jürimäe (relatrice), presidente di sezione, M. Safjan, N. Piçarra, N. Jääskinen e M. Gavalec, giudici,

avvocato generale: J. Kokott

cancelliere: A. Calot Escobar

vista la fase scritta del procedimento,

considerate le osservazioni presentate:

per la Super Bock Bebidas SA, AN e BQ, da J. Caimoto Duarte, R. da Silva, F. Espregueira Mendes, R. Mesquita Guimarães, A. Navarro de Noronha, R. Sarabando Pereira, A. Veloso Pedrosa e J. Whyte, advogados;

per l’Autoridade da Concorrência, da S. Assis Ferreira e A. Cruz Nogueira, advogadas;

per il governo portoghese, da C. Alves e P. Barros da Costa, in qualità di agenti;

per il governo ellenico, da K. Boskovits, in qualità di agente;

per il governo spagnolo, da L. Aguilera Ruiz, in qualità di agente;

per il governo austriaco, da A. Posch e G. Eberhard, in qualità di agenti;

per la Commissione europea, da S. Baches Opi, P. Berghe e P. Caro de Sousa, in qualità di agenti;

vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1

La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE nonché dell’articolo 4, lettera a), del regolamento (UE) n. 330/2010 della Commissione, del 20 aprile 2010, relativo all’applicazione dell’articolo 101, paragrafo 3, [TFUE] a categorie di accordi verticali e pratiche concordate (GU 2010, L 102, pag. 1), e degli orientamenti sulle restrizioni verticali (GU 2010, C 130, pag. 1).

2

Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia sorta tra, da un lato, la Super Bock Bebidas SA (in prosieguo: la «Super Bock»), AN e BQ e, dall’altro, l’Autoridade da Concorrência (autorità della concorrenza, Portogallo) in merito alla legittimità della decisione di quest’ultima che constata che la Super Bock, AN e BQ avevano commesso un’infrazione alle regole di concorrenza e che infligge loro ammende a tale titolo.

Contesto normativo

Diritto dell’Unione

3

Il regolamento n. 330/2010 è subentrato, con effetto dal 1o giugno 2010, al regolamento (CE) n. 2790/1999 della Commissione, del 22 dicembre 1999, relativo all’applicazione dell’articolo 81, paragrafo 3, [CE] a categorie di accordi verticali e pratiche concordate (GU 1999, L 336, pag. 21). Conformemente al suo articolo 10, secondo comma, il regolamento n. 330/2010 è scaduto il 31 maggio 2022.

4

I considerando 5 e 10 del regolamento n. 330/2010, ai quali corrispondono, in sostanza, i considerando 5 e 10 del regolamento n. 2790/1999, erano così formulati:

«(5)

Il beneficio dell’esenzione per categoria di cui al presente regolamento deve essere limitato agli accordi verticali per i quali si può presupporre con sufficiente certezza la conformità alle condizioni di cui all’articolo 101, paragrafo 3, [TFUE].

(...)

(10)

Il presente regolamento non deve esentare gli accordi verticali che contengono restrizioni dalle quali è probabile che derivi una restrizione della concorrenza e un danno per i consumatori o che non sono indispensabili per il conseguimento degli incrementi di efficienza. In particolare, accordi verticali che contengano determinati tipi di gravi restrizioni della concorrenza, come l’imposizione di un prezzo di rivendita minimo o fisso e talune forme di protezione territoriale, devono essere esclusi dal beneficio dell’esenzione per categoria di cui al presente regolamento indipendentemente dalla quota di mercato delle imprese interessate».

5

L’articolo 1, paragrafo 1, lettere a) e b), del regolamento n. 330/2010 conteneva le seguenti definizioni:

«Ai fini del presente regolamento si applicano le seguenti definizioni:

a)

per “accordi verticali” si intendono gli accordi o le pratiche concordate conclusi tra due o più imprese, operanti ciascuna, ai fini dell’accordo o della pratica concordata, ad un livello differente della catena di produzione o di distribuzione, e che si riferiscono alle condizioni in base alle quali le parti possono acquistare, vendere o rivendere determinati beni o servizi;

b)

per “restrizioni verticali” si intendono le restrizioni della concorrenza rientranti nel campo di applicazione dell’articolo 101, paragrafo 1, [TFUE]».

6

Definizioni, in sostanza, identiche figuravano all’articolo 2, paragrafo 1, del regolamento n. 2790/1999.

7

Gli articoli 2 dei regolamenti n. 2790/1999 e n. 330/2010 stabilivano una norma di esenzione. Ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, del regolamento n. 330/2010, che corrisponde, in sostanza, all’articolo 2, paragrafo 1, del regolamento n. 2790/1999:

«Conformemente all’articolo 101, paragrafo 3, [TFUE], e salvo il disposto del presente regolamento, l’articolo 101, paragrafo 1, [TFUE] è dichiarato inapplicabile agli accordi verticali.

La presente esenzione si applica nella misura in cui tali accordi contengano restrizioni verticali».

8

Gli articoli 4 dei regolamenti n. 2790/1999 e n. 330/2010 riguardavano le «restrizioni fondamentali» che non potevano beneficiare dell’esenzione per categoria. L’articolo 4 del regolamento n. 330/2010, che corrisponde, nella sostanza, all’articolo 4 del regolamento n. 2790/1999, così prevedeva:

«L’esenzione di cui all’articolo 2 non si applica agli accordi verticali che, direttamente o indirettamente, isolatamente o congiuntamente con altri fattori sotto il controllo delle parti, hanno per oggetto quanto segue:

a)

la restrizione della facoltà dell’acquirente di determinare il proprio prezzo di vendita, fatta salva la possibilità per il fornitore di imporre un prezzo massimo di vendita o di raccomandare un prezzo di vendita, a condizione che questi non equivalgano ad un prezzo fisso o ad un prezzo minimo di vendita per effetto di pressioni esercitate o incentivi offerti da una delle parti;

(...)».

Diritto portoghese

9

L’articolo 9, paragrafo 1, lettera a), della lei n. 19/2012 – Aprova o novo regime jurídico da concorrência, revogando as leis n.os 18/2003, de 11 de junho, e 39/2006, de 25 de agosto, e procede à segunda alteração à lei n.o2/99, de 13 de janeiro (legge n. 19/2012 che approva il nuovo regime giuridico della concorrenza, che abroga le leggi n. 18/2003, dell’11 giugno, e n. 39/2006, del 25 agosto, e che apporta una seconda modifica alla legge n. 2/99, del 13 gennaio), dell’8 maggio 2012 (Diário da República, 1a serie, n. 89/2012, dell’8 maggio 2012; in prosieguo: il «NRGC»), prevede quanto segue:

«Sono vietati gli accordi tra imprese, le pratiche concordate tra imprese e le decisioni di associazioni di imprese che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, falsare o restringere totalmente o parzialmente il gioco della concorrenza all’interno del mercato nazionale ed in particolare quelli consistenti nel:

a)

fissare direttamente o indirettamente i prezzi d’acquisto o di vendita ovvero altre condizioni di transazione (...)».

Procedimento principale e questioni pregiudiziali

10

La Super Bock è una società con sede in Portogallo, che produce e commercializza birre, acque in bottiglia, bevande rinfrescanti, tè freddo, vini, sangria e sidri. La sua attività principale si basa sui mercati della birra e dell’acqua in bottiglia.

11

AN e BQ sono, rispettivamente, membro del consiglio di amministrazione della Super Bock e direttore del suo dipartimento commerciale per le vendite nel canale di distribuzione «HoReCa», noto anche come canale «on-trade».

12

Tale canale, sul quale verte il comportamento di cui trattasi nel procedimento principale, corrisponde agli acquisti di bevande effettuati negli alberghi, nei ristoranti e nei bar, vale a dire per un consumo fuori casa. Ai fini della distribuzione delle bevande attraverso il suddetto canale in Portogallo, la Super Bock ha stipulato accordi di distribuzione esclusiva con distributori indipendenti. Questi ultimi rivendono le bevande acquistate presso la Super Bock nella quasi totalità del territorio portoghese. Solo alcune zone sono rifornite da vendite dirette effettuate dalla Super Bock. Si tratta di Lisbona, Porto, Madeira, Coimbra (Portogallo) (fino al 2013) e, dal 2014, delle isole di Pico e Faial (Portogallo).

13

Secondo i fatti ritenuti accertati dal giudice del rinvio, la Super Bock, almeno nel periodo compreso tra il 15 maggio 2006 e il 23 gennaio 2017, ha fissato e imposto in modo regolare, generalizzato e senza alcun cambiamento, alla totalità di tali distributori le condizioni commerciali che questi dovevano rispettare al momento della rivendita dei prodotti che essa vendeva loro. In particolare, la Super Bock ha fissato prezzi minimi di rivendita allo scopo di garantire il mantenimento di un livello di prezzo minimo stabile e allineato su tutto il mercato nazionale.

14

In concreto, la direzione vendite della Super Bock approvava, di regola ogni mese, un listino prezzi minimi di rivendita, che trasmetteva ai distributori. I responsabili di rete o di mercato in seno alla Super Bock trasmettevano i prezzi di rivendita ai distributori o oralmente o per iscritto (mediante posta elettronica). Tali prezzi venivano, in generale, applicati dai distributori. A loro volta, questi ultimi, nell’ambito di un sistema di controllo e di sorveglianza istituito dalla Super Bock, avevano l’obbligo di comunicare a quest’ultima i dati relativi alla rivendita, ad esempio in termini di quantità e di importi. In caso di mancato rispetto dei prezzi, i distributori erano esposti, secondo le condizioni commerciali stabilite dalla Super Bock, a «rappresaglie», quali la revoca degli incentivi finanziari, consistenti in sconti commerciali sull’acquisto dei prodotti e nel rimborso degli sconti da loro applicati sulla rivendita, nonché la revoca delle forniture e della ricostituzione delle scorte. Essi rischiavano, in tal modo, di perdere la garanzia di margini di distribuzione positivi ad essi accordata nell’ambito di dette condizioni commerciali.

15

L’autorità garante della concorrenza ha ritenuto che tale pratica di fissazione, con mezzi diretti e indiretti, dei prezzi e delle altre condizioni applicabili alla rivendita di prodotti da parte di una rete di distributori indipendenti nel canale di distribuzione HoReCa nella quasi totalità del territorio portoghese costituisse un’infrazione alle regole di concorrenza, ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 1, lettera a), del NRGC e dell’articolo 101, paragrafo 1, lettera a), TFUE. Essa ha, quindi, inflitto ammende alla Super Bock, a AN e a BQ.

16

Adito da questi ultimi, il Tribunal da Concorrência, Regulação e Supervisão (Tribunale della concorrenza, regolamentazione e vigilanza, Portogallo) ha confermato la decisione dell’autorità garante della concorrenza.

17

È avverso la sentenza di tale tribunale che la Super Bock, AN e BQ hanno interposto appello dinanzi al Tribunal da Relação de Lisboa (Corte d’appello di Lisbona, Portogallo), giudice del rinvio nella presente causa.

18

Alla luce degli argomenti dedotti dinanzi ad esso e delle questioni pregiudiziali proposte dalle parti della controversia sottopostagli, il giudice del rinvio ritiene necessario ottenere chiarimenti sull’interpretazione dell’articolo 101 TFUE. In sostanza, esso si chiede, in primo luogo, se la nozione di «restrizione della concorrenza per oggetto» possa ricomprendere, e, se del caso, a quali condizioni, un accordo verticale di fissazione di prezzi minimi di rivendita. In secondo luogo, i suoi interrogativi vertono sulla nozione di «accordo» nel caso in cui prezzi minimi di rivendita siano imposti da un fornitore ai suoi distributori. In terzo luogo, esso si chiede se la nozione di «pregiudizio per il commercio tra Stati membri» possa riguardare le conseguenze di un accordo di distribuzione che si applica soltanto nella quasi totalità del territorio di uno Stato membro.

19

In tali circostanze, il Tribunal da Relação de Lisboa (Corte d’appello di Lisbona) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)

Se la fissazione verticale di prezzi minimi costituisca di per sé una violazione per oggetto, che non presuppone un’analisi previa del grado sufficiente di dannosità dell’accordo.

2)

Se la dimostrazione dell’elemento del tipo “accordo” della violazione per fissazione (tacita) di prezzi minimi nei confronti dei distributori costituisca dimostrazione concreta del fatto che i distributori hanno effettivamente applicato i prezzi fissati, segnatamente per mezzo di prova diretta.

3)

Se[,in primo luogo,] l’invio di tabelle con indicazione di prezzi minimi e di margini di distribuzione, [in secondo luogo] la richiesta di prezzi di vendita da parte dei distributori, [in terzo luogo] la presentazione di reclami da parte dei distributori – quando consideravano che i prezzi di rivendita ad essi imposti non erano competitivi o quando constatavano che distributori concorrenti non si allineavano con quei prezzi –, [in quarto luogo] l’esistenza di meccanismi di vigilanza dei prezzi (medi minimi) e[, in quinto luogo,] di misure di ritorsione (senza che ne sia stata dimostrata l’applicazione in concreto) costituiscano elementi sufficienti per considerare che è stata commessa una violazione per fissazione (tacita) di prezzi minimi nei confronti dei distributori.

4)

Se, tenuto conto dell’articolo 101, paragrafo 1, lettera a), TFUE, dell’articolo 4, lettera a), del regolamento [n. 330/2010], degli orientamenti della Commissione europea sulle restrizioni verticali e della giurisprudenza dell’Unione [europea], si debba presumere che l’accordo tra il fornitore e i distributori avente come oggetto la fissazione (verticale) di prezzi minimi e di altre condizioni commerciali applicabili alla rivendita rappresenti un grado sufficiente di dannosità per la concorrenza, fatta salva l’analisi di eventuali effetti economici positivi decorrenti da tale pratica, ai sensi del paragrafo 3 dell’articolo 101 TFUE.

5)

Se sia da considerarsi conforme all’articolo 101, paragrafo 1, lettera a), TFUE e alla giurisprudenza dell’Unione (...), la decisione giudiziale che considera sussistere l’elemento del tipo oggettivo “accordo” tra fornitore e distributori tenuto conto:

a)

della fissazione ed imposizione, da parte del primo nei confronti dei secondi, in modo regolare, generalizzato e senza modifiche durante il periodo di applicazione della pratica, delle condizioni commerciali che i distributori devono osservare nella rivendita dei prodotti che acquistano dal fornitore, segnatamente i prezzi che applicano ai rispettivi clienti, principalmente in termini di prezzi minimi o prezzi minimi medi;

b)

della comunicazione dei prezzi di rivendita imposti oralmente o per iscritto (per mezzo di messaggi di posta elettronica);

c)

dell’impossibilità per i distributori di determinare autonomamente la fissazione dei propri prezzi di rivendita;

d)

della pratica abituale e generalizzata (per telefono o in presenza) con cui i collaboratori del fornitore richiedono ai distributori di rispettare i prezzi indicati;

e)

dell’osservanza generalizzata da parte dei distributori dei prezzi di rivendita fissati dal fornitore (fatti salvi singoli casi di inosservanza) e della verifica che il comportamento dei distributori nel mercato corrispondeva, in termini generali, alle condizioni definite dal fornitore;

f)

del fatto che, per evitare di trovarsi in situazioni di inadempimento, molto spesso sono i distributori medesimi a richiedere l’indicazione dei prezzi di rivendita al fornitore;

g)

del fatto che spesso i distributori si lamentano con il fornitore dei prezzi da applicare, invece di praticare semplicemente altri prezzi;

h)

della fissazione, da parte del fornitore, di margini di distribuzione (ridotti) e nell’accettazione, da parte dei distributori, [del] fatto che tali margini rappresentano il livello di remunerazione delle rispettive attività;

i)

della constatazione che, con l’imposizione di margini molto ridotti, il fornitore imponeva un prezzo minimo di rivendita tale da generare margini negativi per i distributori;

j)

della politica di sconti concessi dal fornitore ai distributori in funzione del prezzo di rivendita da quelli effettivamente praticato – essendo il prezzo minimo previamente fissato dal fornitore il valore di riferimento delle integrazioni da esso effettuate in sell out;

k)

dell’obbligo per i distributori – tenuto conto, in molti casi, del margine di distribuzione negativo – di rispettare i livelli di prezzo di rivendita imposti dal fornitore; l’applicazione di prezzi di rivendita inferiori si verificava unicamente in situazioni molto puntuali e dietro richiesta dei distributori al fornitore di un nuovo sconto in sell out;

l)

della fissazione, da parte del fornitore, e dell’osservanza, da parte dei distributori, di sconti massimi da applicare nei confronti dei propri clienti, risultando in un prezzo minimo di rivendita, con il rischio di un margine di distribuzione negativo;

m)

dell’approccio diretto del fornitore nei confronti dei clienti dei distributori e della fissazione delle condizioni di rivendita successivamente imposte ad essi;

n)

dell’intervento del fornitore, su iniziativa dei distributori, affinché fosse il primo a decidere di applicare un determinato sconto commerciale o di rinegoziare le condizioni commerciali di rivendita;

o)

della richiesta dei distributori ad essere autorizzati dal fornitore alla realizzazione di un certo affare a determinate condizioni al fine di garantire il rispettivo margine di distribuzione.

6)

Se un accordo di fissazione di prezzi minimi di rivendita, con le caratteristiche sopra descritte e con un ambito di applicazione che si estende a quasi tutto il territorio nazionale, sia suscettibile di incidere sul commercio tra gli Stati membri».

Sulle questioni pregiudiziali

Osservazioni preliminari

20

Senza eccepire l’irricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale né mettere formalmente in discussione la ricevibilità di talune questioni, la Super Bock e la Commissione europea hanno espresso dubbi, rispettivamente, quanto alla comprensibilità della quinta questione e alla necessità della seconda questione ai fini del procedimento principale.

21

Occorre ricordare che il rinvio pregiudiziale, strumento di cooperazione tra la Corte e i giudici nazionali, si basa su un dialogo da giudice a giudice. Se spetta a un siffatto giudice valutare se l’interpretazione di una norma del diritto dell’Unione risulti necessaria per consentirgli di pronunciarsi sulla lite dinanzi ad esso pendente, alla luce del meccanismo procedurale previsto dall’articolo 267 TFUE, esso è tenuto, altresì, a decidere in quali termini dette questioni debbano essere formulate. Se è vero che detto giudice è libero di invitare le parti della lite dinanzi ad esso pendente a suggerire formulazioni che possano essere raccolte nella redazione dei quesiti pregiudiziali, resta tuttavia il fatto che è solamente al giudice medesimo cui spetta decidere, da ultimo, in merito tanto alla forma quanto al contenuto dei quesiti stessi (v., in tal senso, sentenza del 21 luglio 2011, Kelly, C‑104/10, EU:C:2011:506, punti da 63 a 65).

22

Le questioni relative all’interpretazione del diritto dell’Unione sollevate dal giudice nazionale nel contesto normativo e fattuale che egli definisce sotto la propria responsabilità, e del quale non spetta alla Corte verificare l’esattezza, godono di una presunzione di rilevanza. Il diniego, da parte della Corte, di statuire su una domanda presentata da un giudice nazionale è possibile solo qualora risulti in maniera manifesta che la richiesta interpretazione del diritto dell’Unione non ha alcun rapporto con la realtà effettiva o l’oggetto del procedimento principale, qualora la questione sia di natura ipotetica oppure quando la Corte non disponga degli elementi di fatto e di diritto necessari per fornire una soluzione utile alle questioni che le sono sottoposte (sentenza del 23 gennaio 2018, F. Hoffmann-La Roche e a., C‑179/16, EU:C:2018:25, punto 45 e giurisprudenza ivi citata).

23

A quest’ultimo riguardo, occorre ricordare che, in forza di una giurisprudenza costante, ormai riflessa nell’articolo 94, lettere a) e b), del regolamento di procedura della Corte, l’esigenza di giungere ad un’interpretazione del diritto dell’Unione che sia utile per il giudice nazionale impone che quest’ultimo definisca il contesto di fatto e di diritto in cui si inseriscono le questioni sollevate o che esso spieghi almeno le ipotesi di fatto su cui tali questioni sono fondate. Tali obblighi valgono specialmente nel settore della concorrenza, che è caratterizzato da situazioni di fatto e di diritto complesse (v., in tal senso, sentenze del 26 gennaio 1993, Telemarsicabruzzo e a., da C‑320/90 a C‑322/90, EU:C:1993:26, punti 67, nonché del 19 gennaio 2023, Unilever Italia Mkt. Operations,C‑680/20, EU:C:2023:33, punto 18 e giurisprudenza ivi citata).

24

Inoltre, è indispensabile che, come enunciato all’articolo 94, lettera c), del regolamento di procedura, la domanda di pronuncia pregiudiziale contenga l’illustrazione dei motivi che hanno indotto il giudice del rinvio ad interrogarsi sull’interpretazione o sulla validità di determinate disposizioni del diritto dell’Unione, ed indichi il collegamento che esso stabilisce tra dette disposizioni e la normativa nazionale applicabile al procedimento principale.

25

Nel caso di specie, nello spirito di cooperazione inerente al dialogo da giudice a giudice e per consentire alla Corte di emettere una decisione il più utile possibile, sarebbe stato auspicabile che il giudice del rinvio esponesse, in modo più sintetico e chiaro, la propria comprensione della controversia di cui è investito nonché delle questioni di diritto sottese alla sua domanda di pronuncia pregiudiziale, piuttosto che riprodurre, in modo eccessivamente lungo, numerosi estratti dei documenti del fascicolo che gli è stato sottoposto. Allo stesso modo, sebbene il giudice del rinvio abbia, certamente, esposto le ragioni che l’hanno indotto ad adire la Corte in via pregiudiziale, sarebbe stato nell’interesse di una cooperazione utile che esso procedesse anche ad una riformulazione delle questioni che gli sono state suggerite dalle parti nel procedimento principale, al fine di evitare inutili sovrapposizioni tra tali questioni. Sarebbe stato altresì utile chiarire le premesse di diritto e di fatto sulle quali tali questioni si fondano in modo da consentire alla Corte di fornire risposte più precise e mirate.

26

In tali circostanze, sebbene il presente rinvio pregiudiziale sia ricevibile in quanto soddisfa le condizioni di cui all’articolo 94 del regolamento di procedura, la Corte è in grado di fornire al giudice del rinvio solo indicazioni minime e generali, al fine di guidarlo nell’applicazione dell’articolo 101 TFUE nelle circostanze del procedimento principale.

Sulla prima e sulla quarta questione, relative alla nozione di «restrizione della concorrenza per oggetto», ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE

27

Con le sue questioni prima e quarta, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 101, paragrafo 1, TFUE debba essere interpretato nel senso che la constatazione che un accordo verticale di fissazione di prezzi minimi di rivendita costituisce una «restrizione della concorrenza per oggetto» può essere effettuata senza esaminare in via preliminare se tale accordo riveli un grado sufficiente di dannosità per la concorrenza o se si possa presumere che tale accordo presenti, di per sé, un siffatto grado di dannosità.

28

In limine, occorre ricordare che, nell’ambito del procedimento previsto dall’articolo 267 TFUE, basato su una netta separazione di funzioni tra i giudici nazionali e la Corte, il ruolo di quest’ultima è limitato all’interpretazione delle disposizioni del diritto dell’Unione sulle quali essa viene interpellata nella fattispecie, nella specie l’articolo 101, paragrafo 1, TFUE. Pertanto non spetta alla Corte, bensì al giudice del rinvio, valutare in definitiva se, alla luce dell’insieme degli elementi pertinenti che caratterizzano la situazione oggetto del procedimento principale, nonché del contesto economico e giuridico nel quale quest’ultima si colloca, l’accordo in questione abbia per oggetto una restrizione della concorrenza (sentenza del 18 novembre 2021, Visma Enterprise, C‑306/20, EU:C:2021:935, punto 51 e giurisprudenza ivi citata).

29

Tuttavia, la Corte, nel pronunciarsi su un rinvio pregiudiziale, può, in base agli elementi del fascicolo a sua disposizione, fornire precisazioni dirette a guidare il giudice del rinvio nella sua interpretazione, affinché quest’ultimo possa risolvere la controversia (sentenza del 18 novembre 2021, Visma Enterprise, C‑306/20, EU:C:2021:935, punto 52 e giurisprudenza ivi citata).

30

In via principale, occorre ricordare che, in forza dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, sono incompatibili con il mercato interno e vietati tutti gli accordi conclusi tra imprese, tutte le decisioni di associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra gli Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza nel mercato interno.

31

Per ricadere nel divieto sancito da tale disposizione, un accordo deve avere «per oggetto o per effetto» di impedire, restringere o falsare la concorrenza nel mercato interno. Secondo una giurisprudenza costante della Corte a partire dalla sentenza del 30 giugno 1966, LTM (56/65, EU:C:1966:38), l’alternatività di tale condizione, espressa dalla disgiunzione «o», rende necessario innanzitutto considerare l’oggetto stesso dell’accordo (v., in tal senso, sentenze del 26 novembre 2015, Maxima Latvija, C‑345/14, EU:C:2015:784, punto 16, e giurisprudenza ivi citata, nonché del 18 novembre 2021, Visma Enterprise, C‑306/20, EU:C:2021:935, punti 5455, e giurisprudenza ivi citata). Pertanto, nel caso in cui venga dimostrato l’oggetto anticoncorrenziale di un accordo, non è necessario indagare i suoi effetti sulla concorrenza (sentenza del 20 gennaio 2016, Toshiba Corporation/Commissione, C‑373/14 P, EU:C:2016:26, punto 25 e giurisprudenza ivi citata).

32

La nozione di «restrizione della concorrenza per oggetto» deve essere interpretata restrittivamente. Infatti, tale nozione può essere applicata solo ad alcuni tipi di coordinamento tra imprese che presentano un grado di dannosità per la concorrenza sufficiente perché si possa ritenere che l’esame dei loro effetti non sia necessario (v., in tal senso, sentenze del26 novembre 2015, Maxima Latvija, C‑345/14, EU:C:2015:784, punto 18 e giurisprudenza ivi citata, nonché del 18 novembre 2021, Visma Enterprise, C‑306/20, EU:C:2021:935, punto 60 e giurisprudenza ivi citata).

33

Ciò premesso, la circostanza che un accordo costituisca un accordo verticale non esclude la possibilità che esso determini una restrizione della concorrenza «per oggetto». Infatti, se è vero che gli accordi verticali spesso sono, per loro natura, meno dannosi per la concorrenza degli accordi orizzontali, anch’essi possono però, in determinate circostanze, avere un potenziale restrittivo particolarmente elevato (v., in tal senso, sentenze del 14 marzo 2013, Allianz Hungária Biztosító e a., C‑32/11, EU:C:2013:160, punto 43, nonché del 18 novembre 2021, Visma Enterprise, C‑306/20, EU:C:2021:935, punto 61).

34

Il criterio giuridico essenziale per determinare se un accordo, sia esso orizzontale o verticale, comporti una restrizione della concorrenza «per oggetto» risiede quindi nel rilievo che un simile accordo presenta, di per sé, un grado sufficiente di dannosità per la concorrenza (v., in tal senso, sentenze dell’11 settembre 2014, CB/Commissione, C‑67/13 P, EU:C:2014:2204, punto 57, e del 18 novembre 2021, Visma Enterprise, C‑306/20, EU:C:2021:935, punto 59 e giurisprudenza ivi citata).

35

Al fine di valutare se tale criterio sia soddisfatto, occorre riferirsi al tenore delle sue disposizioni, agli obiettivi che esso mira a raggiungere, nonché al contesto economico e giuridico nel quale esso si colloca. Nella valutazione di tale contesto, occorre prendere in considerazione anche la natura dei beni o dei servizi coinvolti e le condizioni reali del funzionamento e della struttura del mercato o dei mercati in questione (sentenza del 14 marzo 2013, Allianz Hungária Biztosító e a., C‑32/11, EU:C:2013:160, punto 36 e giurisprudenza ivi citata).

36

Inoltre, quando le parti dell’accordo deducono effetti favorevoli alla concorrenza collegati a quest’ultimo, tali elementi devono essere presi in considerazione in quanto elementi del contesto di tale accordo. Infatti, a condizione che siano provati, pertinenti, specifici all’accordo in questione e sufficientemente significativi, siffatti effetti potrebbero far sorgere un ragionevole dubbio sul fatto che l’accordo sia sufficientemente dannoso per la concorrenza [v., in tal senso, sentenza del 30 gennaio 2020, Generics (UK) e a., C‑307/18, EU:C:2020:52, punti 103, 105107].

37

Da tale giurisprudenza risulta che, al fine di valutare se un accordo verticale di fissazione di prezzi minimi di rivendita comporti una restrizione della concorrenza «per oggetto», ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, spetta al giudice del rinvio verificare se tale accordo presenti un grado sufficiente di dannosità per la concorrenza, alla luce dei criteri ricordati ai punti 35 e 36 della presente sentenza.

38

Nell’ambito di tale valutazione, che spetta al giudice del rinvio, quest’ultimo dovrà anche tenere conto del fatto, da esso stesso evidenziato, che un accordo verticale di fissazione di prezzi minimi di rivendita può rientrare nella categoria delle «restrizioni fondamentali», ai sensi dell’articolo 4, lettera a), dei regolamenti n. 2790/1999 e n. 330/2010, in quanto elemento del contesto giuridico.

39

Per contro, tale circostanza non è idonea a esonerare il giudice del rinvio dal procedere alla valutazione di cui al punto 37 della presente sentenza.

40

Infatti, l’articolo 4, lettera a), del regolamento n. 2790/1999, letto alla luce del suo considerando 10, nonché l’articolo 4, lettera a), del regolamento n. 330/2010, letto alla luce del suo considerando 10, hanno il solo scopo di escludere talune restrizioni verticali dall’ambito di applicazione dell’esenzione per categoria. Tale esenzione, enunciata all’articolo 2 di ciascuno di tali regolamenti, letto alla luce del loro rispettivo considerando 5, va a favore di accordi verticali che si presumono non dannosi per la concorrenza.

41

Per contro, dette disposizioni dei regolamenti n. 2790/1999 e n. 330/2010 non contengono indicazioni sulla qualificazione di dette restrizioni come restrizione «per oggetto» o «per effetto». Inoltre, come osservato dalla Commissione nelle sue osservazioni scritte dinanzi alla Corte, le nozioni di «restrizione fondamentale» e di «restrizione per oggetto» non sono concettualmente intercambiabili e non coincidono necessariamente. Occorre quindi procedere ad un esame, caso per caso, delle restrizioni escluse da detta esenzione, alla luce dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE.

42

Ne consegue che il giudice del rinvio non può esimersi dalla valutazione di cui al punto 37 della presente sentenza, per il motivo che un accordo verticale di fissazione di prezzi minimi di rivendita costituirebbe in ogni caso o si presume costituisca una siffatta restrizione per oggetto.

43

Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre rispondere alle questioni prima e quarta dichiarando che l’articolo 101, paragrafo 1, TFUE deve essere interpretato nel senso che la constatazione che un accordo verticale di fissazione di prezzi minimi di rivendita comporta una restrizione della concorrenza «per oggetto» può essere effettuata solo dopo aver stabilito che tale accordo rivela un grado sufficiente di dannosità per la concorrenza, tenuto conto del tenore delle sue disposizioni, degli obiettivi che esso mira a raggiungere nonché dell’insieme degli elementi che caratterizzano il contesto economico e giuridico nel quale esso si inserisce.

Sulle questioni terza e quinta, relative alla nozione di «accordo», ai sensi dell’articolo 101 TFUE

44

Con le sue questioni terza e quinta, che occorre esaminare in secondo luogo e congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 101, paragrafo 1, TFUE debba essere interpretato nel senso che sussiste un «accordo», ai sensi di tale articolo, quando un fornitore impone ai suoi distributori prezzi minimi di rivendita dei prodotti da esso commercializzati.

45

Il giudice del rinvio chiede, quindi, chiarimenti sulla nozione di «accordo», ai sensi della detta disposizione, al fine di poter stabilire se esista, nelle circostanze di cui al procedimento principale, un siffatto accordo tra la Super Bock e i suoi distributori. Poiché il suo quesito è fondato su numerose ipotesi di fatto elencate nella terza e nella quinta questione poste, che divergono in parte e alcune delle quali sono contestate dalla Super Bock, occorre ricordare che non spetta alla Corte pronunciarsi sui fatti del procedimento principale conformemente alla separazione delle funzioni tra i giudici nazionali e la Corte ricordata al punto 28 della presente sentenza.

46

Ciò posto, si può ritenere, leggendo gli accertamenti di fatto effettuati dal giudice del rinvio, che tali questioni si inseriscano in un contesto in cui la Super Bock trasmette regolarmente ai suoi distributori listini di prezzi minimi di rivendita e di margini di distribuzione. Da tali accertamenti risulta che i prezzi di rivendita così indicati sono, in pratica, seguiti dai distributori che talvolta chiedono una siffatta indicazione e non esitano a dolersi presso la Super Bock dei prezzi trasmessi invece di praticare altri prezzi. Infine, secondo tali accertamenti, l’indicazione dei prezzi minimi di rivendita è accompagnata da meccanismi di sorveglianza dei prezzi e il mancato rispetto di tali prezzi può dar luogo a misure di ritorsione e portare all’applicazione di margini di distribuzione negativi.

47

Fatta tale precisazione preliminare, occorre ricordare che, conformemente a una giurisprudenza costante della Corte, affinché sussista un «accordo», ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, è sufficiente che le imprese di cui trattasi abbiano espresso la loro volontà comune di comportarsi sul mercato in un determinato modo (sentenza del 18 novembre 2021, Visma Enterprise, C‑306/20, EU:C:2021:935, punto 94 e giurisprudenza ivi citata).

48

Un accordo non può quindi fondarsi sull’espressione di una politica puramente unilaterale di una parte di un contratto di distribuzione (v., in tal senso, sentenza del 6 gennaio 2004, BAI e Commissione/Bayer, C‑2/01 P e C‑3/01 P, EU:C:2004:2, punti 101102).

49

Tuttavia, un atto o un comportamento apparentemente unilaterale costituisce un accordo, ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, qualora sia l’espressione della comune volontà di almeno due parti, non essendo di per sé determinate il modo con cui tale comune volontà si manifesta (v., in tal senso, sentenza del 13 luglio 2006, Commissione/Volkswagen, C‑74/04 P, EU:C:2006:460, punto 37).

50

Tale comune volontà delle parti può risultare sia dalle clausole del contratto di distribuzione di cui trattasi, laddove esso contenga un invito esplicito a rispettare i prezzi minimi di rivendita o autorizzi, quanto meno, il fornitore a imporre tali prezzi, sia dal comportamento delle parti e, in particolare, dall’eventuale esistenza di un assenso, esplicito o tacito, dei distributori a un invito a rispettare i prezzi minimi di rivendita (v., in tal senso, sentenze del 6 gennaio 2004, BAI e Commissione/Bayer, C‑2/01 P e C‑3/01 P, EU:C:2004:2, punti 100102, nonché del 13 luglio 2006, Commissione/Volkswagen, C‑74/04 P, EU:C:2006:460, punti 39, 4046).

51

Spetta al giudice del rinvio valutare le circostanze del procedimento principale alla luce di tale giurisprudenza.

52

In tale contesto, la circostanza che un fornitore trasmetta regolarmente ai distributori listini indicanti i prezzi minimi da lui determinati e i margini di distribuzione, nonché il fatto che egli chieda loro di rispettarli, sotto la sua sorveglianza, a pena di misure di ritorsione e con il rischio, in caso di inosservanza di tali misure, di applicare margini di distribuzione negativi, sono altrettanti elementi che possono condurre alla conclusione che tale fornitore cerca di imporre ai suoi distributori prezzi minimi di rivendita. Se, di per sé, tali fatti sembrano riflettere un comportamento apparentemente unilaterale di detto fornitore, la situazione sarebbe diversa laddove i distributori avessero rispettato tali prezzi. A tale titolo, la circostanza che i prezzi minimi di rivendita siano, in pratica, seguiti dai distributori o che la loro indicazione sia sollecitata da questi ultimi, i quali, pur lamentandosi presso il fornitore dei prezzi indicati, non ne praticano tuttavia altri di propria iniziativa, potrebbe essere tale da riflettere l’assenso dei distributori alla fissazione, da parte del fornitore, di prezzi minimi di rivendita.

53

Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre rispondere alle questioni terza e quinta dichiarando che l’articolo 101, paragrafo 1, TFUE deve essere interpretato nel senso che sussiste un «accordo», ai sensi di tale articolo, quando un fornitore impone ai suoi distributori prezzi minimi di rivendita dei prodotti da esso commercializzati, nei limiti in cui l’imposizione di tali prezzi da parte del fornitore e il loro rispetto da parte dei distributori siano l’espressione della comune volontà di tali parti. Tale comune volontà può risultare sia dalle clausole del contratto di distribuzione di cui trattasi, qualora esso contenga un invito esplicito a rispettare prezzi minimi di rivendita o autorizzi, quanto meno, il fornitore ad imporre siffatti prezzi, sia dal comportamento delle parti e, in particolare, dall’eventuale esistenza di un assenso, esplicito o tacito, da parte dei distributori ad un invito a rispettare prezzi minimi di rivendita.

Sulla seconda questione, relativa alla prova dell’esistenza di un «accordo», ai sensi dell’articolo 101 TFUE

54

Con la sua seconda questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 101 TFUE debba essere interpretato nel senso che l’esistenza di un «accordo», ai sensi di tale articolo, tra un fornitore e i suoi distributori può essere dimostrata unicamente mediante prove dirette.

55

Secondo la giurisprudenza della Corte, in mancanza di norme dell’Unione relative ai principi che disciplinano la valutazione delle prove e il grado di intensità della prova richiesto nei procedimenti nazionali ai sensi dell’articolo 101 TFUE, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro stabilirle, in forza del principio di autonomia procedurale, a condizione, tuttavia, che esse non siano meno favorevoli rispetto a quelle relative a situazioni analoghe assoggettate al diritto interno (principio di equivalenza) e che non rendano in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dal diritto dell’Unione (principio di effettività) (v., in tal senso, sentenza del 21 gennaio 2016, Eturas e a., C‑74/14, EU:C:2016:42, punti da 30 a 32 e giurisprudenza ivi citata).

56

Orbene, da tale giurisprudenza risulta altresì che il principio di effettività esige che la prova di una violazione del diritto della concorrenza dell’Unione possa essere apportata non solo mediante prove dirette, ma anche attraverso indizi, purché questi ultimi siano oggettivi e concordanti. Infatti, l’esistenza di una pratica concordata o di un accordo, nella maggior parte dei casi, deve essere dedotta da un certo numero di coincidenze e di indizi, i quali, considerati nel loro insieme, possono costituire, in mancanza di un’altra spiegazione coerente, la prova di una violazione delle regole di concorrenza (sentenza del 21 gennaio 2016, Eturas e a., C‑74/14, EU:C:2016:42, punti 3637 e giurisprudenza ivi citata).

57

Ne consegue che l’esistenza di un «accordo», ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, vertente su prezzi minimi di rivendita può essere dimostrata non solo mediante prove dirette, ma anche in base a coincidenze e indizi concordanti, qualora se ne possa dedurre che un fornitore ha invitato i suoi distributori a seguire tali prezzi e che questi ultimi hanno, in pratica, rispettato i prezzi indicati dal fornitore.

58

Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre rispondere alla seconda questione dichiarando che l’articolo 101 TFUE, in combinato disposto con il principio di effettività, deve essere interpretato nel senso che l’esistenza di un «accordo», ai sensi di tale articolo, tra un fornitore e i suoi distributori può essere dimostrata non solo mediante prove dirette, ma anche mediante indizi, oggettivi e concordanti, da cui si può dedurre l’esistenza di un siffatto accordo.

Sulla sesta questione, relativa alla nozione di «pregiudizio per il commercio tra Stati membri», ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE

59

Con la sua sesta questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 101, paragrafo 1, TFUE debba essere interpretato nel senso che la circostanza che un accordo verticale di fissazione di prezzi minimi di rivendita si estenda alla quasi totalità, ma non alla totalità, del territorio di uno Stato membro impedisce che tale accordo possa pregiudicare il commercio tra Stati membri.

60

Secondo una costante giurisprudenza, perché sia ritenuta soddisfatta la condizione secondo la quale un accordo, ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, deve essere tale da pregiudicare il commercio fra gli Stati membri, è necessario che, in base ad un complesso di elementi di fatto o di diritto, appaia sufficientemente probabile che tale accordo sia atto ad esercitare un’influenza diretta o indiretta, attuale o potenziale sui flussi di scambi tra Stati membri, in un modo tale da far temere che esso possa nuocere al conseguimento di un mercato unico fra Stati membri. Tale influenza non deve, inoltre, essere insignificante (sentenze dell’11 luglio 2013, Ziegler/Commissione, C‑439/11 P, EU:C:2013:513, punto 92 e giurisprudenza ivi citata, nonché del 16 luglio 2015, ING Pensii, C‑172/14, EU:C:2015:484 punto 48 e giurisprudenza ivi citata).

61

Un impatto sugli scambi tra gli Stati membri risulta, in generale, dalla combinazione di più fattori che di per sé non sarebbero necessariamente determinanti. Per verificare se un’intesa pregiudichi in modo significativo il commercio fra Stati membri è necessario esaminarla nel suo contesto economico e giuridico (sentenza dell’11 luglio 2013, Ziegler/Commissione, C‑439/11 P, EU:C:2013:513, punto 93 e giurisprudenza ivi citata).

62

A tale proposito, la circostanza che un’intesa abbia per oggetto soltanto la commercializzazione dei prodotti in un unico Stato membro non è sufficiente ad escludere che il commercio tra Stati membri possa essere pregiudicato. In tal senso, la Corte ha già avuto modo di affermare che un’intesa che si estenda a tutto il territorio di uno Stato membro ha, per sua natura, l’effetto di consolidare la compartimentazione nazionale, ostacolando così l’integrazione economica voluta dal Trattato FUE (v., in tal senso, sentenze del 26 novembre 1975, Groupement des fabricants de papiers peints de Belgique e a./Commissione, 73/74, EU:C:1975:160, punti 2526, nonché del 16 luglio 2015, ING Pensii, C‑172/14, EU:C:2015:484, punto 49 e giurisprudenza ivi citata).

63

Analogamente, la Corte ha affermato che un’intesa che copre solo una parte del territorio di uno Stato membro può, in determinate circostanze, essere in grado di pregiudicare il commercio tra Stati membri (v., in tal senso, sentenza del 3 dicembre 1987, Aubert, 136/86, EU:C:1987:524, punto 18).

64

Spetta al giudice del rinvio determinare se, alla luce del contesto economico e giuridico dell’accordo di cui trattasi nel procedimento principale, quest’ultimo sia in grado di pregiudicare sensibilmente il commercio tra Stati membri.

65

Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre rispondere alla sesta questione dichiarando che l’articolo 101, paragrafo 1, TFUE deve essere interpretato nel senso che la circostanza che un accordo verticale di fissazione di prezzi minimi di rivendita si estenda alla quasi totalità, ma non alla totalità, del territorio di uno Stato membro non impedisce che tale accordo possa pregiudicare il commercio tra Stati membri.

Sulle spese

66

Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

 

Per questi motivi, la Corte (Terza Sezione) dichiara:

 

1)

L’articolo 101, paragrafo 1, TFUE

deve essere interpretato nel senso che:

la constatazione che un accordo verticale di fissazione di prezzi minimi di rivendita comporta una restrizione della concorrenza «per oggetto» può essere effettuata solo dopo aver stabilito che tale accordo rivela un grado sufficiente di dannosità per la concorrenza, tenuto conto del tenore delle sue disposizioni, degli obiettivi che esso mira a raggiungere nonché dell’insieme degli elementi che caratterizzano il contesto economico e giuridico nel quale esso si inserisce.

 

2)

L’articolo 101, paragrafo 1, TFUE

deve essere interpretato nel senso che:

sussiste un «accordo», ai sensi di tale articolo, quando un fornitore impone ai suoi distributori prezzi minimi di rivendita dei prodotti da esso commercializzati, nei limiti in cui l’imposizione di tali prezzi da parte del fornitore e il loro rispetto da parte dei distributori siano l’espressione della comune volontà di tali parti. Tale comune volontà può risultare sia dalle clausole del contratto di distribuzione di cui trattasi, qualora esso contenga un invito esplicito a rispettare prezzi minimi di rivendita o autorizzi, quanto meno, il fornitore ad imporre siffatti prezzi, sia dal comportamento delle parti e, in particolare, dall’eventuale esistenza di un assenso, esplicito o tacito, da parte dei distributori ad un invito a rispettare prezzi minimi di rivendita.

 

3)

L’articolo 101 TFUE, in combinato disposto con il principio di effettività,

deve essere interpretato nel senso che:

l’esistenza di un «accordo», ai sensi di tale articolo, tra un fornitore e i suoi distributori può essere dimostrata non solo mediante prove dirette, ma anche mediante indizi, oggettivi e concordanti, da cui si può dedurre l’esistenza di un siffatto accordo.

 

4)

L’articolo 101, paragrafo 1, TFUE

deve essere interpretato nel senso che:

la circostanza che un accordo verticale di fissazione di prezzi minimi di rivendita si estenda alla quasi totalità, ma non alla totalità, del territorio di uno Stato membro non impedisce che tale accordo possa pregiudicare il commercio tra Stati membri.

 

Firme


( *1 ) Lingua processuale: il portoghese.

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