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Document 62022CJ0140

    Sentenza della Corte (Nona Sezione) del 7 dicembre 2023.
    SM e a. contro mBank S.A.
    Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Sąd Rejonowy dla Warszawy - Śródmieścia w Warszawie.
    Rinvio pregiudiziale – Tutela dei consumatori – Direttiva 93/13/CEE – Clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori – Articolo 6, paragrafo 1, e articolo 7, paragrafo 1 – Effetti dell’accertamento del carattere abusivo di una clausola – Contratto di mutuo ipotecario indicizzato in una valuta estera contenente clausole abusive relative al tasso di cambio – Nullità di tale contratto – Azioni di restituzione – Interessi legali – Termine di prescrizione.
    Causa C-140/22.

    Court reports – general

    ECLI identifier: ECLI:EU:C:2023:965

     SENTENZA DELLA CORTE (Nona Sezione)

    7 dicembre 2023 ( *1 )

    «Rinvio pregiudiziale – Tutela dei consumatori – Direttiva 93/13/CEE – Clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori – Articolo 6, paragrafo 1, e articolo 7, paragrafo 1 – Effetti dell’accertamento del carattere abusivo di una clausola – Contratto di mutuo ipotecario indicizzato in una valuta estera contenente clausole abusive relative al tasso di cambio – Nullità di tale contratto – Azioni di restituzione – Interessi legali – Termine di prescrizione»

    Nella causa C‑140/22,

    avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Sąd Rejonowy dla Warszawy-Śródmieścia w Warszawie (Tribunale circondariale di Varsavia-centro, Polonia), con decisione del 18 gennaio 2022, pervenuta in cancelleria il 25 febbraio 2022, nel procedimento

    SM,

    KM

    contro

    mBank S.A.,

    con l’intervento di:

    Rzecznik Finansowy,

    LA CORTE (Nona Sezione),

    composta da O. Spineanu-Matei, presidente di sezione, S. Rodin (relatore) e L.S. Rossi, giudici,

    avvocato generale: A.M. Collins

    cancelliere: A. Calot Escobar

    vista la fase scritta del procedimento,

    considerate le osservazioni presentate:

    per KM e SM, da W. Bochenek e P. Stalski, radcowie prawni;

    per mBank S.A., da A. Cudna-Wagner e K. Stokłosa, radcowie prawni, e B. Miąskiewicz, adwokat;

    per il governo polacco, da B. Majczyna e S. Żyrek, in qualità di agenti;

    per il governo portoghese, da C. Alves, P. Barros da Costa, A. Cunha, B. Lavrador e A. Pimenta, in qualità di agenti;

    per la Commissione europea, da N. Ruiz García e A. Szmytkowska, in qualità di agenti,

    vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,

    ha pronunciato la seguente

    Sentenza

    1

    La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 6, paragrafo 1, e dell’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (GU 1993, L 95, pag. 29).

    2

    Tale domanda è stata presentata nell’ambito della controversia tra, da un lato, SM e KM e, dall’altro, la mBank S.A., un istituto bancario, in relazione al rimborso di somme versate a quest’ultima a titolo di un contratto di mutuo ipotecario che deve essere annullato per il motivo che esso contiene clausole abusive.

    Contesto normativo

    Diritto dell’Unione

    3

    Il decimo considerando della direttiva 93/13 enuncia quanto segue:

    «considerando che si può realizzare una più efficace protezione del consumatore adottando regole uniformi in merito alle clausole abusive; (…)».

    4

    L’articolo 6, paragrafo 1, di tale direttiva è del seguente tenore:

    «Gli Stati membri prevedono che le clausole abusive contenute in un contratto stipulato fra un consumatore ed un professionista non vincolano il consumatore, alle condizioni stabilite dalle loro legislazioni nazionali, e che il contratto resti vincolante per le parti secondo i medesimi termini, sempre che esso possa sussistere senza le clausole abusive».

    5

    L’articolo 7, paragrafo 1, di detta direttiva prevede quanto segue:

    «Gli Stati membri, nell’interesse dei consumatori e dei concorrenti professionali, provvedono a fornire mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione di clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e dei consumatori».

    Diritto polacco

    6

    L’articolo 60 della ustawa - Kodeks cywilny (legge recante il codice civile), del 23 aprile 1964 (Dz. U. n. 16, posizione 93), nella versione applicabile al procedimento principale (in prosieguo: il «codice civile»), enuncia quanto segue:

    «Fatte salve le eccezioni previste dalla legge, la volontà di un soggetto che compie un negozio giuridico può essere espressa mediante un qualsiasi suo comportamento, che esteriorizza la sua volontà in modo sufficiente, incluso in forma elettronica».

    7

    L’articolo 117 di tale codice è così formulato:

    «§1.   Fatte salve le eccezioni previste dalla legge, i diritti aventi natura patrimoniale sono soggetti a prescrizione.

    §2.   Decorso il termine di prescrizione, la persona contro la quale il diritto di credito è fatto valere può rifiutarsi di soddisfarlo, a meno che non rinunci a far valere l’eccezione di prescrizione. Tuttavia, è nulla la rinuncia all’eccezione di prescrizione prima del decorso del termine».

    §21.   Decorso il termine di prescrizione, non può pretendersi l’adempimento del diritto di credito spettante nei confronti del consumatore».

    8

    L’articolo 1171 di detto codice prevede quanto segue:

    «§1. In casi eccezionali il giudice, dopo aver valutato gli interessi delle parti, può non tener conto del decorso del termine di prescrizione di un diritto di credito nei confronti del consumatore se ciò è imposto da ragioni di equità.

    §2. Nell’esercizio del potere di cui al paragrafo 1, il giudice dovrebbe considerare in particolare:

    1)

    la durata del termine di prescrizione;

    2)

    la durata del periodo intercorrente tra la scadenza del termine di prescrizione e il momento in cui viene fatto valere il diritto di credito;

    3)

    la natura delle circostanze che hanno causato il mancato esercizio del diritto di credito da parte dell’avente diritto, compresa l’incidenza del comportamento del debitore sul ritardo dell’avente diritto nell’esercizio del diritto stesso».

    9

    L’articolo 118 del medesimo codice, nella versione in vigore fino all’8 luglio 2018, era così formulato:

    «Salvo i casi in cui una disposizione speciale disponga diversamente, il termine di prescrizione è di dieci anni, mentre per i diritti a prestazioni periodiche e i diritti connessi all’esercizio di un’attività economica è di tre anni».

    10

    L’articolo 118 del codice civile, nella versione in vigore a partire dall’8 luglio 2018, così recita:

    «Salvo i casi in cui una disposizione speciale disponga diversamente, il termine di prescrizione è di sei anni, mentre per i diritti a prestazioni periodiche e i diritti connessi all’esercizio di un’attività economica è di tre anni. Tuttavia, il termine di prescrizione scade l’ultimo giorno dell’anno civile, a meno che il termine di prescrizione non sia inferiore a due anni».

    11

    Ai sensi dell’articolo 120, paragrafo 1, di detto codice:

    «Il termine di prescrizione decorre dal giorno in cui il credito è divenuto esigibile. Quando l’esigibilità del credito dipende dal compimento di un determinato atto da parte dell’avente diritto, il termine di prescrizione decorre dal giorno in cui il credito sarebbe divenuto esigibile se l’avente diritto avesse compiuto tale atto appena possibile».

    12

    L’articolo 385 1 di detto codice così dispone:

    «§1. Le clausole di un contratto concluso con un consumatore che non sono state negoziate individualmente non sono vincolanti per il consumatore qualora determinino i suoi diritti e obblighi in modo contrario al buon costume, con grave violazione dei suoi interessi (clausole contrattuali illecite). Ciò non si applica alle clausole che determinano le prestazioni principali delle parti, compreso il prezzo o il corrispettivo, purché siano formulate in modo univoco.

    §2. Qualora una clausola contrattuale non sia vincolante per il consumatore ai sensi del paragrafo 1, la restante parte del contratto rimane vincolante tra le parti.

    §3. Per clausole contrattuali che non sono state negoziate individualmente si intendono le clausole sul contenuto delle quali il consumatore non ha avuto reale influenza. In particolare, ciò si riferisce alle clausole contrattuali riprese da un contratto standard proposto al consumatore dalla controparte.

    §4. L’onere della prova che una clausola sia stata negoziata individualmente grava su colui che invoca tale fatto».

    13

    L’articolo 405 del medesimo codice prevede quanto segue:

    «Chiunque abbia conseguito un arricchimento patrimoniale senza causa in danno ad un’altra persona è obbligato a restituire tale arricchimento in natura o, se questo non è possibile, a restituirne il valore».

    14

    L’articolo 410 del codice civile così recita:

    «§1.   Le disposizioni precedenti si applicano in particolare alla prestazione indebita.

    §2.   Una prestazione è indebita se colui che l’ha eseguita non era affatto obbligato o non era obbligato nei confronti della persona a favore della quale l’ha eseguita, o se la causa della prestazione è venuta meno o lo scopo perseguito della prestazione non è stato raggiunto, o se l’atto giuridico su cui si basava l’obbligo di eseguire la prestazione era invalido e non è diventato valido dopo l’esecuzione della prestazione».

    15

    L’articolo 455 del medesimo codice dispone quanto segue:

    «Se il termine per adempiere non è determinato e non emerge dalla natura dell’obbligazione, la prestazione deve essere adempiuta immediatamente dopo che il debitore sia stato intimato ad adempiere».

    16

    L’articolo 481, paragrafo 1, del codice civile così recita:

    «Se il debitore è in ritardo nell’adempimento di una prestazione pecuniaria, il creditore può esigere gli interessi di mora, anche se non ha subito alcun danno e anche se il ritardo è dovuto a circostanze non imputabili al debitore».

    Procedimento principale e questioni pregiudiziali

    17

    Il 18 febbraio 2009 SM e KM hanno stipulato con la mBank un contratto di mutuo ipotecario con interessi a tasso variabile, espresso in zloty polacchi (PLN) e indicizzato al franco svizzero (CHF) (in prosieguo: il «contratto di mutuo»).

    18

    Secondo i termini di tale contratto, SM e KM erano tenuti a versare rate mensili in zloty polacchi, il cui importo era determinato applicando il tasso di cambio di vendita del franco svizzero pubblicato nella tabella dei tassi di cambio della mBank alla data del pagamento di tali rate mensili (in prosieguo: le «clausole di conversione»).

    19

    Ritenendo che le clausole di conversione fossero abusive, il 4 luglio 2019 SM e KM hanno presentato un reclamo alla mBank. Con tale reclamo, SM e KM hanno chiesto il rimborso, entro un termine di 30 giorni, delle rate mensili del credito indebitamente percepite da tale banca a motivo dell’invalidità del contratto di mutuo, per un importo di PLN 242238,61 (circa EUR 52277), e, nel caso in cui non esistesse alcun fondamento che consentisse di dichiarare invalido tale contratto, il pagamento di un importo di PLN 52298,92 (circa EUR 11288) a titolo di rimborso dell’eccedenza di rate mensili (capitale e interessi) percepita da detta banca nel periodo compreso tra il 20 luglio 2009 e il 18 marzo 2019.

    20

    Con lettera del 16 luglio 2019, la mBank ha risposto a tale reclamo indicando che il contratto di mutuo era lecito, valido e non conteneva clausole abusive.

    21

    Il 31 luglio 2019 SM e KM hanno presentato presso il Sąd Rejonowy dla Warszawy-Śródmieścia w Warszawie (Tribunale circondariale di Varsavia-centro, Polonia), giudice del rinvio, una domanda di conciliazione diretta al versamento in loro favore da parte della mBank degli importi di cui al punto 19 della presente sentenza.

    22

    Il 4 dicembre 2019 la mBank ha risposto a tale domanda che non le sembrava possibile raggiungere un accordo.

    23

    Il 13 dicembre 2019, in un’udienza pubblica alla quale la mBank non era presente, SM e KM sono comparsi dinanzi al giudice del rinvio e hanno confermato il loro ricorso. Tale giudice ha pertanto constatato che non era stato raggiunto alcun accordo e ha ordinato la chiusura del fascicolo di conciliazione.

    24

    Il 10 agosto 2020 SM e KM hanno indicato di acconsentire a che il contratto di mutuo fosse dichiarato integralmente nullo, di considerare che l’annullamento di tale contratto era loro favorevole e di accettare le conseguenze di tale nullità, comprese le conseguenze giuridiche e finanziarie.

    25

    Dopo essere stati informati dal giudice del rinvio delle conseguenze dell’annullamento del contratto di mutuo, SM e KM, nel corso di un’udienza tenutasi il 27 ottobre 2020 dinanzi a tale giudice, hanno dichiarato di comprendere tali conseguenze e di accettare l’annullamento del contratto in parola.

    26

    Detto giudice constata che le clausole di conversione contenute nel contratto di mutuo sono abusive e che tale contratto non potrebbe restare in vigore se tali clausole fossero annullate.

    27

    Alla luce della giurisprudenza della Corte relativa alla direttiva 93/13, il giudice del rinvio osserva che, nei limiti in cui la nullità delle clausole abusive implica l’annullamento, nella sua interezza, del contratto di mutuo, la conseguenza di tale annullamento sarebbe che le controparti contrattuali disporrebbero di crediti reciproci di rimborso dell’equivalente di tutte le somme indebite versate in esecuzione di tale contratto.

    28

    Il giudice del rinvio precisa che l’interpretazione del diritto polacco relativo agli effetti dell’assenza di carattere vincolante delle clausole contrattuali illecite era considerata consolidata fino a una risoluzione del Sąd Najwyższy (Corte suprema, Polonia) del 7 maggio 2021.

    29

    Secondo il giudice del rinvio, con tale risoluzione, il Sąd Najwyższy (Corte suprema) ha considerato che l’interpretazione secondo cui i giudici polacchi sono tenuti ad esaminare d’ufficio l’eventuale esistenza di clausole abusive nei contratti stipulati con consumatori e a dichiarare la nullità assoluta di tali clausole non era conforme alla giurisprudenza della Corte secondo la quale un consumatore può acconsentire all’applicazione di una clausola abusiva. Infatti, da un lato, nei limiti in cui, in un caso del genere, la clausola abusiva di cui trattasi produce pienamente i suoi effetti, la sanzione che deve essere applicata sarebbe non già la nullità assoluta di tale clausola, bensì, piuttosto, la sua «inopponibilità sospesa». Dall’altro lato, il Sąd Najwyższy (Corte suprema) ha constatato che, nei limiti in cui, in caso di annullamento di un contratto di mutuo contenente una clausola abusiva, il professionista interessato ha il diritto di chiedere il rimborso del capitale prestato, deve essergli riconosciuto anche il diritto di far valere l’inopponibilità di tale clausola e l’annullamento di detto contratto che ne consegue.

    30

    Il giudice del rinvio nutre dubbi quanto alla compatibilità della nozione di «inopponibilità sospesa» con la direttiva 93/13. Tale giudice precisa che detta nozione implica che un atto resti valido, ma sia privato dei suoi effetti fino a quando il consumatore non esprima, se del caso, il proprio consenso. Orbene, dalla giurisprudenza della Corte risulterebbe che una clausola abusiva deve essere considerata come mai esistita e che un giudice nazionale deve trarre tutte le conseguenze dall’inopponibilità di una clausola contrattuale di cui sia stato accertato il carattere abusivo, senza attendere che il consumatore presenti una dichiarazione in tal senso.

    31

    Inoltre, il giudice del rinvio sottolinea che dalla risoluzione del Sąd Najwyższy (Corte suprema) del 7 maggio 2021 risulta che una clausola abusiva rimane in stato di «sospensione» fino al momento della presentazione da parte del consumatore di una dichiarazione formalizzata con la quale afferma, in primo luogo, di non acconsentire al mantenimento di tale clausola, in secondo luogo, di essere a conoscenza, da un lato, del fatto che la nullità di detta clausola implica l’annullamento del contratto di cui essa fa parte nonché, dall’altro, delle conseguenze di tale annullamento e, in terzo luogo, di acconsentire all’annullamento di tale contratto (in prosieguo: la «dichiarazione formalizzata»). Tuttavia, secondo il giudice del rinvio, l’obbligo di presentare una siffatta dichiarazione non risulta né dalla direttiva 93/13 né dalla giurisprudenza della Corte. Il giudice del rinvio ne trae la conclusione che il fatto di subordinare l’applicabilità dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 alla presentazione di una dichiarazione formalizzata viola tale disposizione.

    32

    Il giudice del rinvio sottolinea altresì che, finché perdura lo stato di sospensione di un contratto, il professionista interessato non può chiedere l’esecuzione delle prestazioni convenute in tale contratto, cosicché il termine di prescrizione non può iniziare a decorrere nei suoi confronti.

    33

    Inoltre, secondo detto giudice, qualora un consumatore presenti una domanda stragiudiziale diretta all’annullamento di una clausola abusiva, un professionista non è in grado di verificare se tale consumatore sia stato informato dei suoi diritti e delle conseguenze dell’annullamento di detta clausola. Orbene, il momento in cui un consumatore ha presentato una domanda di annullamento e ha dichiarato di essere consapevole dei suoi diritti nonché delle conseguenze dell’annullamento di una clausola abusiva è importante in quanto determina il dies a quo della prescrizione dei crediti di restituzione del creditore, la possibilità di renderli esigibili e di assoggettarli ad una compensazione.

    34

    Il giudice del rinvio nutre dubbi riguardo all’interpretazione del diritto polacco adottata dal Sąd Najwyższy (Corte suprema) nella sua risoluzione del 7 maggio 2021, secondo la quale il termine di prescrizione dell’azione di un professionista diretta ad ottenere il rimborso, da parte di un consumatore, di una prestazione ricevuta da quest’ultimo a motivo dell’annullamento di un contratto inizia a decorrere solo dalla data in cui tale consumatore presenta una dichiarazione formalizzata, in quanto essa sarebbe contraria al principio di effettività.

    35

    Il giudice del rinvio osserva che, secondo detta interpretazione, se il consumatore non presenta una dichiarazione formalizzata, tale azione non sarà mai prescritta. Inoltre, anche se il consumatore presenta una siffatta dichiarazione, ma il professionista contesta che essa costituisca «una dichiarazione espressa del consumatore che conferma di aver ricevuto informazioni complete», come richiesto dal Sąd Najwyższy (Corte suprema), e sostiene di conseguenza che essa non ha prodotto alcun effetto, il termine di prescrizione di detta azione non comincerà a decorrere.

    36

    Il giudice del rinvio considera che una siffatta interpretazione pone il professionista in una posizione giuridica migliore rispetto al consumatore, in quanto il termine di prescrizione dell’azione del professionista inizia sempre a decorrere più tardi di quello dell’azione del consumatore. Esso inizierebbe a decorrere anche più tardi di quello dell’azione della banca in caso di invalidità di un contratto non contenente clausole abusive, di modo che verrebbe violato il principio di equivalenza. Inoltre, esso ritiene che il fatto che il professionista si trovi in una posizione giuridica così favorevole violi altresì il principio di effettività e l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13, dato che un professionista che redige un contratto contenente clausole abusive ha, de facto, la garanzia che la sua azione non si prescriverà se il consumatore non lo informa previamente ed espressamente di essere a conoscenza del fatto che tale contratto contiene clausole abusive e delle conseguenze giuridiche che ne derivano.

    37

    Il giudice del rinvio considera che la data a partire dalla quale inizia a decorrere il termine di prescrizione dell’azione del professionista deve essere, al più tardi, quella in cui quest’ultimo riceve la prima lettera del consumatore che invoca la nullità del contratto o l’esistenza di clausole abusive. In tal caso, il professionista dovrebbe comprendere che il consumatore è consapevole delle conseguenze dell’annullamento di tale contratto e che le accetta.

    38

    Tale giudice ritiene anche che, conformemente alla regola generale, il termine di prescrizione dell’azione del professionista debba iniziare a decorrere dalla data in cui egli esegue la sua prestazione o da una data leggermente successiva. A tale riguardo, esso afferma che, in considerazione del suo livello di competenza, si può ritenere che una banca che redige un contratto contenente clausole abusive debba sapere, fin dall’inizio, che tale contratto contiene siffatte clausole e che ciò comporta la restituzione delle prestazioni reciproche previste da detto contratto. Detto giudice aggiunge che, il 27 dicembre 2010, il Sąd Okręgowy w Warszawie – Sąd Ochrony Konkurencji i Konsumentów (Tribunale regionale di Varsavia – Tribunale per la tutela della concorrenza e del consumatore, Polonia) ha già dichiarato, in una causa in cui la mBank era una delle parti, che una clausola come quella di cui trattasi nel procedimento principale era illecita. Esso ne conclude che ammettere che il termine di prescrizione dell’azione di una banca diretta al rimborso del capitale prestato inizi a decorrere solo a partire dalla data in cui il consumatore interessato presenta una dichiarazione formalizzata equivale non solo ad accettare un comportamento illecito del professionista, ma anche ad incitare quest’ultimo ad adottare un siffatto comportamento, in violazione della direttiva 93/13.

    39

    Il giudice del rinvio rileva che una parte dei giudici polacchi ammette che dall’interpretazione adottata dal Sąd Najwyższy (Corte suprema) consegue che il credito di un consumatore nei confronti di una banca diviene esigibile solo dopo che lo stesso abbia dichiarato in modo libero e informato di acconsentire all’annullamento del contratto.

    40

    Orbene, se tale interpretazione fosse accolta, ne conseguirebbe, secondo il giudice del rinvio, che, anche se un consumatore chiedesse previamente a una banca di rimborsare le somme indebitamente pagate a motivo della nullità di un contratto stipulato con quest’ultima, il suo credito non sarebbe esigibile, cosicché egli sarebbe in grado di pretendere interessi moratori al tasso legale solo a partire dalla data di presentazione di una siffatta dichiarazione. Orbene, secondo tale giudice, il fatto di subordinare a una nuova condizione l’esercizio del diritto del consumatore di ottenere interessi moratori viola il principio di equivalenza, in quanto, conformemente ai principi generali del diritto civile polacco, un credito imprescrittibile diviene esigibile a partire dalla domanda di rimborso. Oltre al fatto che detta interpretazione sarebbe contraria alla giurisprudenza della Corte, essa favorirebbe il comportamento di un professionista consistente nel ritardare deliberatamente il rimborso del credito di un consumatore e prolungherebbe così la durata del procedimento giudiziario di cui trattasi.

    41

    Infine, il giudice del rinvio espone che, secondo l’interpretazione del Sąd Najwyższy (Corte suprema), il credito di un consumatore a titolo di rimborso dei pagamenti che ha effettuato in forza di un contratto di credito invalido per il motivo che contiene clausole abusive deve essere ridotto in misura pari agli interessi sul capitale che tale consumatore avrebbe dovuto versare alla banca interessata se, per ipotesi, il contratto di credito fosse stato valido. Tale giudice si chiede se la direttiva 93/13 nonché i principi di effettività e di equivalenza consentano di limitare in tal modo l’azione di rimborso del consumatore.

    42

    A tale riguardo, il giudice del rinvio indica che la necessità di una siffatta riduzione del credito del consumatore si spiega con il fatto che la restituzione di tutte le prestazioni per il loro importo totale comporterebbe un arricchimento senza causa del consumatore. Tuttavia, esso ritiene che tale interpretazione sia contraria al principio di equivalenza, in quanto limita il diritto di un consumatore al rimborso delle somme che egli ha indebitamente pagato a una banca, mentre quest’ultima può chiedere il rimborso di tutte le prestazioni indebite che ha fornito a tale consumatore.

    43

    Inoltre, detta interpretazione sarebbe altresì contraria al principio di effettività. Il giudice del rinvio considera che una siffatta interpretazione, da un lato, viola tale principio allo stesso modo che nel caso in cui alle banche fosse concesso il diritto di recuperare crediti nei confronti dei consumatori per un utilizzo non contrattuale del capitale e, dall’altro, è assimilabile a una limitazione temporale della domanda di restituzione del consumatore, che sarebbe contraria alla direttiva 93/13, con riferimento alla sentenza del 21 dicembre 2016, Gutiérrez Naranjo e a. (C‑154/15, C‑307/15 e C‑308/15, EU:C:2016:980).

    44

    In tali circostanze, il Sąd Rejonowy dla Warszawy-Śródmieścia w Warszawie (Tribunale circondariale di Varsavia-centro) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

    «Se l’articolo 6, paragrafo 1, e l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva [93/13] nonché i principi di effettività e di equivalenza debbano essere interpretati nel senso che ostano ad un’interpretazione giurisprudenziale delle disposizioni nazionali ai sensi della quale nel caso in cui in un contratto venga inserita una clausola abusiva senza la quale il contratto non possa essere eseguito:

    1.

    tale contratto diventa definitivamente inefficace (nullo) con effetto retroattivo dal momento della sua conclusione solo dopo che il consumatore ha dichiarato di non prestare il consenso alla permanenza in vigore della clausola abusiva, di essere consapevole delle conseguenze della nullità del contratto e di prestare il consenso alla nullità del contratto stesso;

    2.

    il termine di prescrizione del diritto del professionista alla restituzione delle prestazioni indebitamente eseguite in base al contratto comincia a decorrere solo dalla data in cui il consumatore ha reso la dichiarazione indicata al punto 1, anche nell’ipotesi in cui il consumatore abbia già precedentemente intimato il pagamento [delle somme ad esso indebitamente versate] e il professionista poteva già prevedere che il contratto da esso redatto conteneva clausole abusive;

    3.

    il consumatore può pretendere il pagamento degli interessi legali di mora solo dalla data in cui ha reso la dichiarazione indicata al punto 1, anche nell’ipotesi in cui abbia precedentemente intimato il pagamento [di tali somme] al professionista,

    4.

    il diritto del consumatore al rimborso delle prestazioni eseguite in base a un contratto di mutuo nullo (rate mensili del mutuo, spese, commissioni e premi assicurativi) deve essere ridotto di un importo equivalente agli interessi sul capitale che spetterebbero alla banca qualora il contratto di mutuo fosse valido, mentre la banca può pretendere il rimborso integrale della prestazione eseguita in base allo stesso contratto di mutuo nullo (il capitale del mutuo)».

    Sulla competenza della Corte

    45

    La mBank fa valere che i punti da 1 a 3 della questione pregiudiziale mirano, in sostanza, ad ottenere dalla Corte l’interpretazione di norme del diritto polacco, il che esulerebbe dalla competenza di quest’ultima.

    46

    A tale riguardo, la mBank fa valere che la scelta delle sanzioni che devono essere applicate nell’ipotesi in cui un contratto non sia conforme alla direttiva 93/13 e, pertanto, non possa sussistere in assenza di una clausola considerata abusiva, rientra nel diritto nazionale, cosicché spetterebbe non già alla Corte, bensì ai giudici nazionali interpretare e applicare tale diritto.

    47

    Occorre ricordare che il procedimento istituito dall’articolo 267 TFUE è uno strumento di cooperazione tra la Corte e i giudici nazionali per mezzo del quale la prima fornisce ai secondi gli elementi di interpretazione del diritto dell’Unione che sono loro necessari per la soluzione della controversia che sono chiamati a dirimere. Nell’ambito di tale cooperazione, spetta al giudice nazionale cui è stata sottoposta la controversia nel procedimento principale, che è il solo ad avere una conoscenza precisa dei fatti all’origine di quest’ultima e che deve assumersi la responsabilità dell’emananda decisione giurisdizionale, valutare tanto la necessità di una pronuncia pregiudiziale per essere in grado di emettere la propria decisione, quanto la rilevanza delle questioni che esso sottopone alla Corte. Di conseguenza, allorché le questioni sollevate riguardano l’interpretazione del diritto dell’Unione, la Corte, in via di principio, è tenuta a statuire (ordinanza del 16 dicembre 2021, Fedasil, C‑505/21, EU:C:2021:1049, punto 38 e giurisprudenza ivi citata).

    48

    A tale riguardo, occorre ricordare che la circostanza che la tutela garantita dalla direttiva 93/13 ai consumatori sia regolata dal diritto nazionale non può modificare la portata né, di riflesso, la sostanza di tale tutela, rimettendo in questione il rafforzamento dell’efficacia di detta tutela tramite adozione di norme uniformi in merito alle clausole abusive, che è stato voluto dal legislatore dell’Unione, come emerge dal decimo considerando di tale direttiva [sentenza del 15 giugno 2023, Bank M. (Conseguenze dell’annullamento del contratto), C‑520/21, EU:C:2023:478, punto 60 e giurisprudenza ivi citata].

    49

    Inoltre, nell’applicare il diritto interno, i giudici nazionali sono tenuti a interpretarlo quanto più possibile alla luce del testo e della finalità della direttiva 93/13, così da conseguire il risultato perseguito da quest’ultima, e l’esigenza di un’interpretazione conforme include l’obbligo, per i giudici nazionali, di modificare, se del caso, una giurisprudenza consolidata se questa si basa su un’interpretazione del diritto nazionale incompatibile con gli scopi di una direttiva (sentenza del 4 giugno 2020, Kancelaria Medius, C‑495/19, EU:C:2020:431, punti 4750 e giurisprudenza ivi citata).

    50

    Nel caso di specie, nei limiti in cui i punti da 1 a 3 della questione pregiudiziale vertono sull’interpretazione di disposizioni della direttiva 93/13 e non su quella di norme nazionali, l’argomento della mBank relativo all’incompetenza della Corte deve essere respinto.

    51

    Ne consegue che la Corte è competente a rispondere ai punti da 1 a 3 della questione pregiudiziale.

    Sulla questione pregiudiziale

    52

    Con la sua questione pregiudiziale, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 6, paragrafo 1, e l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13 debbano essere interpretati nel senso che, nel contesto dell’annullamento integrale di un contratto di mutuo ipotecario stipulato tra un consumatore e un istituto bancario, per il motivo che tale contratto contiene una clausola abusiva senza la quale esso non può sussistere:

    essi ostano all’interpretazione giurisprudenziale del diritto nazionale secondo cui l’esercizio dei diritti che tale consumatore trae da detta direttiva è subordinato alla presentazione dinanzi a un giudice, da parte di detto consumatore, di una dichiarazione con la quale egli afferma, in primo luogo, di non acconsentire al mantenimento di tale clausola, in secondo luogo, di essere a conoscenza, da un lato, del fatto che la nullità di detta clausola implica l’annullamento del contratto in parola nonché, dall’altro, delle conseguenze di tale annullamento e, in terzo luogo, di acconsentire all’annullamento dello stesso contratto;

    essi ostano a che la compensazione richiesta dal consumatore interessato a titolo di restituzione delle somme che egli ha versato in esecuzione del contratto di cui trattasi sia ridotta dell’equivalente degli interessi che tale istituto bancario avrebbe percepito se detto contratto fosse rimasto in vigore.

    53

    Per rispondere a tale questione, occorre ricordare che l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 prevede che le clausole abusive non vincolino i consumatori. Come si evince dalla giurisprudenza, si tratta di una norma imperativa che mira a sostituire all’equilibrio formale che il contratto determina fra i diritti e gli obblighi delle parti un equilibrio reale, atto a ristabilire l’uguaglianza tra queste ultime (sentenza del 17 maggio 2018, Karel de Grote – Hogeschool Katholieke Hogeschool Antwerpen, C‑147/16, EU:C:2018:320, punto 27 e giurisprudenza ivi citata).

    54

    Peraltro, nell’ambito delle funzioni che incombono al giudice nazionale, in forza delle disposizioni della direttiva 93/13, quest’ultimo è tenuto ad esaminare d’ufficio il carattere abusivo di una clausola contrattuale e, in tal modo, a porre un argine allo squilibrio che esiste tra il consumatore e il professionista (sentenza del 17 maggio 2018, Karel de Grote – Hogeschool Katholieke Hogeschool Antwerpen, C‑147/16, EU:C:2018:320, punto 29 e giurisprudenza ivi citata).

    55

    Pertanto, a termini dell’articolo 6, paragrafo 1, di tale direttiva, spetta ai giudici nazionali escludere l’applicazione delle clausole abusive affinché non producano effetti vincolanti nei confronti del consumatore, tranne nel caso in cui il consumatore vi si opponga (sentenza del 26 marzo 2019, Abanca Corporación Bancaria e Bankia, C‑70/17 e C‑179/17, EU:C:2019:250, punto 52 e giurisprudenza ivi citata).

    56

    Tuttavia, la possibilità riservata a un consumatore di opporsi all’applicazione della direttiva 93/13 non può essere intesa nel senso che gli impone, al fine di far valere i diritti che egli trae da tale direttiva, l’obbligo positivo di invocare le disposizioni di detta direttiva mediante una dichiarazione formalizzata presentata dinanzi ad un giudice.

    57

    Infatti, tale possibilità consiste unicamente nella facoltà lasciata al consumatore, dopo essere stato avvisato dal giudice nazionale, di non far valere il carattere abusivo e non vincolante di una clausola contrattuale, dando così un consenso libero e informato alla clausola in questione (v., in tal senso, sentenza del 3 ottobre 2019, Dziubak, C‑260/18, EU:C:2019:819, punto 53 e giurisprudenza ivi citata). La possibilità di esercitare tale facoltà, che costituisce una rinuncia ad avvalersi della tutela prevista dalla direttiva 93/13, implica, di per sé, che il consumatore benefici a priori di tale tutela.

    58

    Come risulta dalla giurisprudenza costante ricordata ai punti 53 e 55 della presente sentenza, quindi, l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 esige che le clausole abusive non vincolino i consumatori, senza che una siffatta conseguenza possa essere sospesa o subordinata a condizioni previste dal diritto nazionale o derivanti dalla giurisprudenza nazionale.

    59

    Pertanto, l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 osta a un’interpretazione del diritto nazionale secondo la quale un consumatore, al fine di far valere i diritti che egli trae da tale direttiva, è tenuto a presentare, dinanzi a un giudice, una dichiarazione formalizzata.

    60

    Peraltro, osta parimenti a una siffatta interpretazione l’obbligo, ricordato ai punti 54 e 55 della presente sentenza, per un giudice nazionale di escludere, eventualmente d’ufficio, l’applicazione delle clausole abusive affinché non producano effetti vincolanti nei confronti del consumatore, e ciò anche in assenza di comparizione di quest’ultimo (v., in tal senso, sentenza del 4 giugno 2020, Kancelaria Medius, C‑495/19, EU:C:2020:431, punto 52).

    61

    Inoltre, imporre al consumatore di presentare una dichiarazione formalizzata per poter far valere i diritti potrebbe pregiudicare l’effetto deterrente che l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13, in combinato disposto con l’articolo 7, paragrafo 1, di tale direttiva, mira a collegare alla dichiarazione del carattere abusivo delle clausole contenute nei contratti stipulati tra un professionista e i consumatori (sentenza del 21 dicembre 2016, Gutiérrez Naranjo e a., C‑154/15, C‑307/15 e C‑308/15, EU:C:2016:980, punto 63), nei limiti in cui essa inciterebbe i professionisti a respingere le domande stragiudiziali di consumatori dirette all’annullamento di clausole abusive, sapendo che questi ultimi sono tenuti, per far valere i diritti che essi traggono da detta direttiva, a presentare una dichiarazione formalizzata dinanzi a un giudice.

    62

    Inoltre, per quanto riguarda la possibilità, per un giudice investito di una domanda di restituzione a seguito dell’annullamento di un contratto di mutuo ipotecario stipulato tra un consumatore e un istituto bancario per il motivo che lo stesso contiene clausole abusive senza le quali non può sussistere, di ridurre la compensazione richiesta da tale consumatore a titolo di restituzione delle somme che ha versato in esecuzione di tale contratto per l’equivalente degli interessi che tale istituto bancario avrebbe percepito se detto contratto fosse rimasto in vigore, la Corte ha dichiarato che, in un contesto del genere, l’articolo 6, paragrafo 1, e l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13 ostano a un’interpretazione giurisprudenziale del diritto di uno Stato membro secondo la quale detto istituto bancario ha il diritto di chiedere al consumatore una compensazione che vada oltre il rimborso del capitale versato per l’esecuzione del medesimo contratto nonché il pagamento degli interessi di mora al tasso legale a decorrere dalla domanda di pagamento [v., in tal senso, sentenza del 15 giugno 2023, Bank M. (Conseguenze dell’annullamento del contratto), C‑520/21, EU:C:2023:478, punto 84].

    63

    Fatta salva tale riserva relativa agli interessi di mora al tasso legale, la Corte ha precisato che un’interpretazione del diritto nazionale secondo la quale l’istituto bancario avrebbe il diritto di chiedere al consumatore una compensazione che vada oltre il rimborso del capitale versato per l’esecuzione di tale contratto e, pertanto, di ricevere una remunerazione per l’utilizzo di tale capitale da parte del consumatore, contribuirebbe ad eliminare l’effetto deterrente esercitato sui professionisti dall’annullamento di detto contratto, pregiudicando così la realizzazione dell’obiettivo di lungo termine di cui all’articolo 7 della direttiva 93/13 [v., in tal senso, sentenza del 15 giugno 2023, Bank M. (Conseguenze dell’annullamento del contratto), C‑520/21, EU:C:2023:478, punti da 76 a 78].

    64

    Di conseguenza, nei limiti in cui la direttiva 93/13 esclude la possibilità, per un istituto bancario, di chiedere una compensazione che vada oltre il rimborso del capitale versato per l’esecuzione del contratto annullato nonché il pagamento degli interessi di mora al tasso legale a decorrere dalla domanda di pagamento, tale direttiva esclude altresì che a tale istituto sia concessa una compensazione mediante una riduzione della compensazione richiesta dal consumatore interessato a titolo di restituzione delle somme che ha versato in esecuzione del contratto di cui trattasi per l’equivalente degli interessi che detto istituto avrebbe percepito se tale contratto fosse rimasto in vigore.

    65

    Alla luce di quanto precede, l’articolo 6, paragrafo 1, e l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13 devono essere interpretati nel senso che, nel contesto dell’annullamento integrale di un contratto di mutuo ipotecario stipulato tra un consumatore e un istituto bancario, per il motivo che tale contratto contiene una clausola abusiva senza la quale esso non può sussistere:

    essi ostano all’interpretazione giurisprudenziale del diritto nazionale secondo cui l’esercizio dei diritti che tale consumatore trae da detta direttiva è subordinato alla presentazione dinanzi a un giudice, da parte di detto consumatore, di una dichiarazione con la quale egli afferma, in primo luogo, di non acconsentire al mantenimento di tale clausola, in secondo luogo, di essere a conoscenza, da un lato, del fatto che la nullità di detta clausola implica l’annullamento dello stesso contratto nonché, dall’altro, delle conseguenze di tale annullamento e, in terzo luogo, di acconsentire all’annullamento del medesimo contratto;

    essi ostano a che la compensazione richiesta dal consumatore interessato a titolo di restituzione delle somme che egli ha versato in esecuzione del contratto di cui trattasi sia ridotta dell’equivalente degli interessi che tale istituto bancario avrebbe percepito se detto contratto fosse rimasto in vigore.

    Sulle spese

    66

    Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

     

    Per questi motivi, la Corte (Nona Sezione) dichiara:

     

    L’articolo 6, paragrafo 1, e l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che, nel contesto dell’annullamento integrale di un contratto di mutuo ipotecario stipulato tra un consumatore e un istituto bancario, per il motivo che tale contratto contiene una clausola abusiva senza la quale esso non può sussistere:

     

    essi ostano all’interpretazione giurisprudenziale del diritto nazionale secondo cui l’esercizio dei diritti che tale consumatore trae da detta direttiva è subordinato alla presentazione dinanzi a un giudice, da parte di detto consumatore, di una dichiarazione con la quale egli afferma, in primo luogo, di non acconsentire al mantenimento di tale clausola, in secondo luogo, di essere a conoscenza, da un lato, del fatto che la nullità di detta clausola implica l’annullamento dello stesso contratto nonché, dall’altro, delle conseguenze di tale annullamento e, in terzo luogo, di acconsentire all’annullamento del medesimo contratto;

    essi ostano a che la compensazione richiesta dal consumatore interessato a titolo di restituzione delle somme che egli ha versato in esecuzione del contratto di cui trattasi sia ridotta dell’equivalente degli interessi che tale istituto bancario avrebbe percepito se detto contratto fosse rimasto in vigore.

     

    Firme


    ( *1 ) Lingua processuale: il polacco.

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