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Document 62022CC0184

    Conclusioni dell’avvocato generale A. Rantos, presentate il 16 novembre 2023.


    Court reports – general – 'Information on unpublished decisions' section

    ECLI identifier: ECLI:EU:C:2023:879

    Edizione provvisoria

    CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

    ATHANASIOS RANTOS

    presentate il 16 novembre 2023 (1)

    Cause riunite C184/22 e C185/22

    IK (C184/22),

    CM (C185/22)

    contro

    KfH Kuratorium für Dialyse und Nierentransplantation e.V.

    [domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Bundesarbeitsgericht, (Corte federale del lavoro, Germania)]

    «Rinvio pregiudiziale – Politica sociale – Articolo 157 TFUE – Direttiva 2006/54/CE – Pari opportunità e parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego – Articolo 2, paragrafo 1, lettera b), e articolo 4, primo comma – Divieto di qualsiasi discriminazione fondata sul sesso – Discriminazione indiretta – Contratto collettivo che prevede una maggiorazione per le ore di lavoro straordinario eccedenti l’orario mensile di lavoro di un lavoratore a tempo pieno – Differenza di trattamento tra i lavoratori a tempo pieno e i lavoratori a tempo parziale – Disposizione che pone in una posizione di particolare svantaggio le persone di un determinato sesso rispetto a persone dell’altro sesso – Discriminazione indiretta accertata sulla base di dati statistici – Modalità di presa in considerazione dei dati»






    I.      Introduzione

    1.        Le presenti domande di pronuncia pregiudiziale, introdotte dal Bundesarbeitsgericht (Corte federale del lavoro, Germania) riguardano, in particolare, l’interpretazione dell’articolo 157 TFUE nonché dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera b), e dell’articolo 4, primo comma, della direttiva 2006/54/CE (2) .

    2.        Tali domande sono state presentate nell’ambito di controversie tra, da un lato, IK (causa C‑184/22) e CM (causa C‑185/22) (3), due infermiere impiegate a tempo parziale (in prosieguo: le «ricorrenti»), e, dall’altro, il loro datore di lavoro, il KfH Kuratorium für Dialyse und Nierentransplantation e.V. (in prosieguo: il «convenuto»), in merito al loro diritto a maggiorazioni per le ore di lavoro straordinario eccedenti l’orario di lavoro concordato nei loro contratti di lavoro.

    3.        Conformemente alla richiesta della Corte, le presenti conclusioni si focalizzeranno sull’analisi delle seconde questioni pregiudiziali, sub a), in tali due cause, redatte negli stessi termini. Esse riguardano la valutazione dell’esistenza di una discriminazione indiretta, ai sensi della direttiva 2006/54, e, più specificamente, le modalità di presa in considerazione dei dati statistici al fine di stabilire se una disposizione metta in una situazione di particolare svantaggio le persone di un determinato sesso, rispetto a persone dell’altro sesso.

    4.        Le presenti cause offrono alla Corte l’opportunità di precisare ulteriormente la metodologia appropriata, ossia se occorra esaminare esclusivamente i dati statistici relativi al gruppo di persone svantaggiate dalla misura nazionale di cui trattasi o se si debba fare riferimento anche ai dati relativi al gruppo di persone non soggette a tale misura.

    II.    Contesto normativo

    A.      Diritto dell’Unione

    5.        Ai sensi del considerando 30 della direttiva 2006/54:

    «L’adozione di norme sull’onere della prova contribuisce in modo significativo a che il principio della parità di trattamento possa essere applicato efficacemente. Pertanto, come dichiarato dalla Corte di giustizia, occorre adottare provvedimenti affinché l’onere della prova sia a carico della parte convenuta quando si può ragionevolmente presumere che vi sia stata discriminazione, a meno che si tratti di procedimenti in cui l’istruzione dei fatti spetta all’organo giurisdizionale o ad altro organo nazionale competente. Occorre tuttavia chiarire che la valutazione dei fatti in base ai quali si può presumere che ci sia stata discriminazione diretta o indiretta rimane di competenza dell’organo nazionale competente, secondo il diritto e/o la prassi nazionali. Inoltre, spetta agli Stati membri prevedere, in qualunque fase del procedimento, un regime probatorio più favorevole alla parte attrice».

    6.        L’articolo 1 di tale direttiva, intitolato «Scopo», enuncia quanto segue:

    «Lo scopo della presente direttiva è assicurare l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego.

    A tal fine, essa contiene disposizioni intese ad attuare il principio della parità di trattamento per quanto riguarda:

    (...)

    b)      le condizioni di lavoro, compresa la retribuzione;

    (...)

    Inoltre, la presente direttiva contiene disposizioni intese a renderne più efficace l’attuazione mediante l’istituzione di procedure adeguate».

    7.        L’articolo 2 di detta direttiva, intitolato «Definizioni», così prevede, al paragrafo 1, lettere a) e b):

    «Ai sensi della presente direttiva si applicano le seguenti definizioni:

    a)      discriminazione diretta: situazione nella quale una persona è trattata meno favorevolmente in base al sesso di quanto un’altra persona sia, sia stata o sarebbe trattata in una situazione analoga;

    b)      discriminazione indiretta: situazione nella quale una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono mettere in una situazione di particolare svantaggio le persone di un determinato sesso, rispetto a persone dell’altro sesso, a meno che detta disposizione, criterio o prassi siano oggettivamente giustificati da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari».

    8.        L’articolo 4 della stessa direttiva, intitolato «Divieto di discriminazione», dispone quanto segue:

    «Per quanto riguarda uno stesso lavoro o un lavoro al quale è attribuito un valore uguale, occorre eliminare la discriminazione diretta e indiretta basata sul sesso e concernente un qualunque aspetto o condizione delle retribuzioni.

    In particolare, qualora si utilizzi un sistema di classificazione professionale per determinare le retribuzioni, questo deve basarsi su principi comuni per i lavoratori di sesso maschile e per quelli di sesso femminile ed essere elaborato in modo da eliminare le discriminazioni fondate sul sesso».

    9.        L’articolo 14 della direttiva 2006/54, intitolato «Divieto di discriminazione», è così formulato, al paragrafo 1, lettera c):

    «È vietata qualsiasi discriminazione diretta o indiretta fondata sul sesso nei settori pubblico o privato, compresi gli enti di diritto pubblico, per quanto attiene:

    (...)

    c)      all’occupazione e alle condizioni di lavoro, comprese le condizioni di licenziamento e la retribuzione come previsto all’articolo 141 [CE]».

    B.      Diritto tedesco

     Legge sul lavoro a tempo parziale e sui contratti a tempo determinato

    10.      L’articolo 4 del Gesetz über Teilzeitarbeit und befristete Arbeitsverträge (legge sul lavoro a tempo parziale e sui contratti a tempo determinato), del 21 dicembre 2000 (4), nella versione applicabile alle controversie di cui ai procedimenti principali, intitolato «Divieto di discriminazione», enuncia quanto segue, al paragrafo 1:

    «Un lavoratore a tempo parziale non deve essere trattato in modo meno favorevole, rispetto a un lavoratore a tempo pieno comparabile, per il solo motivo di lavorare a tempo parziale, a meno che esistano ragioni obiettive atte a giustificare un trattamento differente. Il lavoratore a tempo parziale deve percepire una retribuzione o un’altra prestazione a titolo oneroso divisibile, la cui portata deve corrispondere almeno alla quota parte della sua durata del lavoro rispetto a quella di un lavoratore a tempo pieno comparabile».

     AGG

    11.      L’articolo 1 dell’Allgemeines Gleichbehandlungsgesetz (legge generale sulla parità di trattamento) del 14 agosto 2006 (5), nella versione applicabile alle controversie nei procedimenti principali (in prosieguo: l’«AGG»), intitolato «Obiettivo della legge», prevede quanto segue:

    «L’obiettivo della presente legge è la prevenzione o l’eliminazione di qualsiasi discriminazione fondata sulla razza o l’origine etnica, il sesso, la religione o le convinzioni personali, una disabilità, l’età o l’identità sessuale».

    12.      L’articolo 7 di tale legge, intitolato «Divieto di discriminazione», così dispone, al paragrafo 1:

    «I lavoratori non devono essere soggetti a discriminazione per alcuno dei motivi elencati all’articolo 1; ciò vale anche quando l’autore della discriminazione si limiti a supporre la presenza di uno dei motivi di cui all’articolo 1 nell’ambito del fatto discriminatorio».

    13.      L’articolo 15 di detta legge, intitolato «Indennità e risarcimento del danno», è così formulato, ai paragrafi 1 e 2:

    «1.      In caso di violazione del divieto di discriminazione, il datore di lavoro è tenuto a risarcire il danno che ne deriva. Tale norma non si applica qualora il datore di lavoro non sia responsabile della violazione di detto obbligo.

    2.      Per quanto riguarda il danno non patrimoniale, il lavoratore ha diritto a un adeguato risarcimento pecuniario. (...)».

     Legge sulla promozione della trasparenza retributiva tra donne e uomini

    14.      L’articolo 3 del Gesetz zur Förderung der Entgelttransparenz zwischen Frauen und Männern (Entgelttransparenzgesetz) (legge sulla trasparenza delle retribuzioni) del 30 giugno 2017 (6), intitolato «Divieto di discriminazione retributiva diretta e indiretta fondata sul sesso», così stabilisce al paragrafo 1:

    «Nel caso di uno stesso lavoro o di un lavoro di pari valore è vietata ogni discriminazione diretta o indiretta fondata sul sesso con riguardo a tutti gli elementi e le condizioni della retribuzione».

    15.      L’articolo 7 di tale legge, intitolato «Obbligo di parità retributiva», così prevede:

    «Nei rapporti di lavoro non può essere concordata o pagata per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore, in ragione del sesso del lavoratore, una retribuzione inferiore a quella di un lavoratore dell’altro sesso».

     MTV

    16.      Il Manteltarifvertrag (contratto collettivo; in prosieguo l’«MTV»), concluso tra il sindacato ver.di e il convenuto l’8 marzo 2017, all’articolo 10, intitolato «Orario di lavoro», è così formulato:

    «1.      L’orario normale settimanale di lavoro di un lavoratore a tempo pieno è mediamente di 38 ore e mezza, escluse le pause.

    (...)

    L’orario normale giornaliero di lavoro di un lavoratore a tempo pieno è di 7 ore e 42 minuti.

    (...)

    6.      Qualora il carico di lavoro richieda il lavoro straordinario, quest’ultimo può essere disposto, in linea di principio. (...) Il lavoro straordinario deve essere limitato a casi urgenti e deve essere distribuito il più uniformemente possibile tra tutti i lavoratori.

    7.      Il lavoro straordinario consiste in ore di lavoro prestate a seguito di apposita disposizione oltre l’orario normale di lavoro di cui al punto 1, prima e terza frase, conformemente ai turni di servizio e alla prassi aziendale. Il lavoro straordinario che eccede l’orario mensile di un lavoratore a tempo pieno e che non può essere compensato dalla concessione di tempo libero nel rispettivo mese di calendario in cui viene effettuata la prestazione lavorativa è soggetto a una maggiorazione ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 1 (…)».

    17.      L’articolo 13 dell’MTV, intitolato «Retribuzione del lavoro straordinario, maggiorazioni e indennità per servizi in orari disagiati», al paragrafo 1 dispone quanto segue:

    «La compensazione per il lavoro straordinario di cui all’articolo 10, paragrafo 7, dell’MTV è pari a 1/167° del salario mensile stabilito dalla contrattazione collettiva per ciascuna ora di straordinario. Le maggiorazioni per il lavoro straordinario di cui all’articolo 10, punto 7, seconda frase, ammontano al 30%».

    III. Procedimenti principali, questioni pregiudiziali e procedimento dinanzi alla Corte

    18.      Il convenuto è un fornitore di cure dialitiche ambulatoriali che opera in varie sedi in tutto il territorio tedesco, impiegando medici e personale non medico. L’MTV trova applicazione in tutte queste sedi, in particolare ai contratti di lavoro delle ricorrenti, impiegate come infermiere a tempo parziale con un orario di lavoro per IK (causa C‑184/22) pari al 40% dell’orario normale di lavoro settimanale di un lavoratore a tempo pieno, e per CM (causa C‑185/22) pari all’80% di un tale orario di lavoro.

    19.      Secondo le informazioni fornite dal convenuto, sul totale dei suoi dipendenti, pari a oltre 5 000 persone, il 76,96% sono donne e il 52,78% di tutti i dipendenti sono a tempo parziale. Di tali persone che lavorano a tempo parziale, l’84,74% sono donne e il 15,26% sono uomini, mentre tra i lavoratori a tempo pieno il 68,20% sono donne e il 31,80% sono uomini.

    20.      Il convenuto gestisce banche del tempo, nello specifico per le ricorrenti. Alla fine di marzo 2018, tali banche mostravano un credito di 129 ore e 24 minuti per IK e, alla fine di febbraio 2018, un credito di 49 ore per CM, corrispondenti alle ore lavorate oltre l’orario di lavoro indicato nel contratto di lavoro delle ricorrenti. Il convenuto non ha corrisposto a queste ultime alcuna maggiorazione per il lavoro straordinario, ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 7, seconda frase, dell’MTV (in prosieguo: la «disposizione nazionale di cui trattasi»), né ha registrato nelle loro banche del tempo un credito corrispondente alle maggiorazioni.

    21.      Le ricorrenti hanno presentato un ricorso al fine di ottenere, in particolare, un credito di tempo corrispondente a una maggiorazione per le ore di lavoro straordinario, nonché il pagamento di un risarcimento ai sensi dell’articolo 15, paragrafo 2, dell’AGG. Al riguardo, esse sostenevano che, non riconoscendo loro una maggiorazione per le ore di lavoro straordinario e non registrando un credito di tempo corrispondente a tale maggiorazione nelle loro banche del tempo, il convenuto le avrebbe illegittimamente discriminate in quanto lavoratrici a tempo parziale rispetto ai lavoratori a tempo pieno. Inoltre, esse sarebbero state indirettamente discriminate sulla base del loro sesso, poiché il convenuto impiega a tempo parziale prevalentemente donne. Il convenuto, da parte sua, sosteneva che la disposizione nazionale di cui trattasi non comporta né una discriminazione illegittima sulla base della qualità di lavoratore a tempo parziale né una tale discriminazione fondata sul sesso.

    22.      Il Landesarbeitsgericht (Tribunale superiore del lavoro del Land, Germania) ha ritenuto che le ricorrenti fossero state discriminate in ragione del loro impiego a tempo parziale e ha condannato il convenuto ad accreditare sulle loro banche del tempo le maggiorazioni per le ore di lavoro straordinario. Per contro, tale giudice ha respinto il ricorso delle ricorrenti nella parte in cui era diretto ad ottenere il versamento di un risarcimento ai sensi dell’articolo 15, paragrafo 2, dell’AGG. Questa ultime hanno presentato un ricorso per cassazione (Revision)  dinanzi al Bundesarbeitsgericht (Corte federale del lavoro, Germania), giudice del rinvio, al fine di ottenere il versamento di un risarcimento. Il convenuto ha introdotto un ricorso incidentale per cassazione avverso la sua condanna ad accreditare le maggiorazioni sulle banche del tempo delle ricorrenti.

    23.      Il giudice del rinvio sottolinea che la questione della discriminazione fondata sul sesso e quella basata sul lavoro a tempo parziale sono decisive ai fini della risoluzione delle controversie di cui ai procedimenti principali. Per quanto riguarda le seconde questioni pregiudiziali, sub a), nelle presenti cause, tale giudice dichiara di partire dal principio secondo cui, nell’ambito dell’applicazione dell’articolo 157 TFUE nonché dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera b), e dell’articolo 4, primo comma, della direttiva 2006/54/CE, la risposta alla questione se una disparità di trattamento riguardi un numero significativamente più elevato di donne che di uomini dipende dalla cerchia di persone a cui si applica la normativa di cui trattasi (7) e che, a tale proposito, è essenziale prendere in considerazione l’insieme dei lavoratori soggetti alla normativa nazionale da cui trae origine la differenza di trattamento (8). Per quanto riguarda tali lavoratori, si dovrebbe comparare tanto tra i lavoratori di sesso maschile quanto tra i lavoratori di sesso femminile – ovvero all’interno di ciascun gruppo – le rispettive proporzioni di lavoratori che sono colpiti dalla norma di cui trattasi e di quelli che non lo sono (9).

    24.      Secondo il giudice del rinvio, l’MTV si applica all’insieme dei siti del convenuto e, ai sensi delll’articolo 1, a tutti i lavoratori e lavoratrici impiegati da quest’ultimo. L’articolo 2, punto 1, dell’MTV escluderebbe dal suo ambito di applicazione solo i «lavoratori la cui retribuzione supera l’ultimo scatto del gruppo tariffario più elevato, (...) il personale direttivo e i medici». L’articolo 2, punto 2, dell’MTV stabilirebbe inoltre che gli apprendisti sono soggetti ad altri contratti collettivi, se esistenti. Nell’ipotesi in cui, in base alla risposta della Corte alle seconde questioni pregiudiziali, sub a), la risoluzione delle controversie nei procedimenti principali richiedesse di stabilire se, ed eventualmente in che modo, le eccezioni all’ambito di applicazione dell’MTV producano effetti sulle proporzioni di uomini e di donne tra i lavoratori impiegati a tempo pieno e a tempo parziale dal convenuto, spetterebbe al Landesarbeitsgericht (Tribunale superiore del lavoro del Land) procedere ai necessari accertamenti di fatto.

    25.      Il giudice del rinvio ritiene che, nel caso di specie, per verificare se la disparità di trattamento riguardi un numero significativamente più elevato di donne che di uomini, sia necessario comparare, tra i lavoratori e le lavoratrici impiegati dal convenuto, la rispettiva proporzione di persone colpite negativamente dalla disposizione nazionale di cui trattasi. Nelle controversie di cui ai procedimenti principali, le quote percentuali non sarebbero ancora state accertate in modo definitivo. Sembrerebbe, tuttavia, che il gruppo delle donne sia fortemente rappresentato tanto tra i lavoratori a tempo parziale quanto tra i lavoratori a tempo pieno. Allo stesso tempo, il gruppo degli uomini, anche se in significativa minoranza, sarebbe più fortemente rappresentato tra i lavoratori a tempo pieno che tra quelli a tempo parziale.

    26.      Date In tali circostanze, il giudice del rinvio chiede se l’articolo 157 TFUE nonché l’articolo 2, paragrafo 1, lettera b), e l’articolo 4, primo comma, della direttiva 2006/54 debbano essere interpretati nel senso che, in un caso del genere, è sufficiente, per constatare che la disparità di trattamento riguarda un numero considerevolmente più elevato di donne che di uomini, che tra i lavoratori a tempo parziale vi sia un numero notevolmente maggiore di donne che di uomini, oppure se vi si debba aggiungere la circostanza che, tra i lavoratori a tempo pieno, vi è un numero significativamente più elevato di uomini, o addirittura una quota di uomini considerevolmente più elevata.

    27.      Il giudice del rinvio sottolinea che quest’ultima situazione non si verificherebbe nelle controversie di cui ai procedimenti principali, poiché il 68,20% dei lavoratori a tempo pieno è costituito da donne e solo il 31,80% da uomini. Le donne sarebbero quindi notevolmente più rappresentate presso il convenuto tanto nel gruppo dei lavoratori a tempo parziale, quanto in quello dei lavoratori a tempo pieno. Lo stesso giudice non sarebbe in grado di giudicare con la necessaria certezza come stabilire, in un simile contesto, se la disparità di trattamento riguardi significativamente più donne che uomini, ai sensi del diritto dell’Unione.

    28.      Date tali circostanze, il Bundesarbeitsgericht (Corte federale del lavoro) ha deciso di sospendere i procedimenti e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

    «1)      Se l’articolo 157 TFUE nonché l’articolo 2, paragrafo 1, lettera b), e l’articolo 4, primo comma, della direttiva 2006/54/CE debbano essere interpretati nel senso che una normativa nazionale di un contratto collettivo la quale prevede la corresponsione di maggiorazioni per il lavoro straordinario per le sole ore di lavoro eccedenti l’orario normale di un lavoratore a tempo pieno implica una disparità di trattamento tra lavoratori a tempo pieno e lavoratori a tempo parziale.

    2)      Qualora la Corte fornisca una risposta affermativa alla prima questione:

    a)      Se l’articolo 157 TFUE nonché l’articolo 2, paragrafo 1, lettera b), e l’articolo 4, primo comma, della direttiva 2006/54 debbano essere interpretati nel senso che, in un caso del genere, per stabilire se la disparità di trattamento danneggi un numero notevolmente più elevato di donne che di uomini, non è sufficiente accertare una significativa prevalenza, tra i lavoratori a tempo parziale, di donne rispetto agli uomini, ma deve altresì risultare che tra i lavoratori a tempo pieno siano presenti molti più uomini o che la percentuale di uomini sia notevolmente più elevata.

    b)      Oppure, se possa trarsi una diversa conclusione, anche con riguardo all’articolo 157 TFUE e alla direttiva 2006/54/CE, dalle osservazioni della Corte nella sentenza del 26 gennaio 2021, C‑16/19, EU:C:2021:64, Szpital Kliniczny im. dra J. Babińskiego Samodzielny Publiczny Zaktad Opieki Zdrowotnej w Krakowie punti da 25 a 36, secondo cui anche una differenza di trattamento che si verifica all’interno di un gruppo di persone disabili può rientrare nella «nozione di discriminazione» di cui all’articolo 2 della direttiva 2000/78/CE [(10)] .

    3)      Qualora la Corte fornisca una risposta alla prima questione in senso affermativo e alla seconda questione sub a) e b) nel senso che, in un caso come quello di cui al procedimento principale, potrebbe affermarsi che la disparità di trattamento nella retribuzione danneggi un numero notevolmente più elevato di donne che di uomini, se l’articolo 157 TFUE, nonché gli articoli 2, paragrafo 1, lettera b), e 4, prima frase della direttiva 2006/54/CE debbano essere interpretati nel senso che può costituire una finalità legittima il fatto che le parti di un contratto collettivo, pur perseguendo, da un lato, mediante una normativa, quale quella di cui alla prima questione, lo scopo di dissuadere il datore di lavoro dal disporre il lavoro straordinario e di ricompensare con una corrispondente maggiorazione il ricorso ai lavoratori oltre la misura concordata, abbiano però altresì l’obiettivo di evitare un trattamento meno favorevole dei lavoratori a tempo pieno rispetto a quelli a tempo parziale, prevedano pertanto che le maggiorazioni siano dovute solo per il lavoro straordinario prestato in eccesso rispetto all’orario mensile di un lavoratore a tempo pieno.

    4)      Se la clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale allegato alla direttiva 97/81/CE [(11)] debba essere interpretata nel senso che una normativa nazionale del contratto collettivo, la quale prevede la corresponsione di maggiorazioni per il lavoro straordinario per le sole ore di lavoro eccedenti l’orario normale di un lavoratore a tempo pieno, implica una disparità di trattamento tra lavoratori a tempo pieno e lavoratori a tempo parziale.

    5)      Qualora la Corte fornisca una risposta affermativa alla quarta questione: se la clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale allegato alla direttiva 97/81/CE debba essere interpretata nel senso che può costituire una ragione obiettiva il fatto che le parti di un contratto collettivo, pur perseguendo, da un lato, mediante una normativa, quale quella di cui alla quarta questione, lo scopo di dissuadere il datore di lavoro dal disporre il lavoro straordinario e di ricompensare con una corrispondente maggiorazione il ricorso ai lavoratori oltre la misura concordata, abbiano però altresì l’obiettivo di evitare un trattamento meno favorevole dei lavoratori a tempo pieno rispetto a quelli a tempo parziale, prevedano pertanto che le maggiorazioni siano dovute solo per il lavoro straordinario prestato in eccesso rispetto all’orario mensile di un lavoratore a tempo pieno».

    29.      Hanno presentato osservazioni scritte alla Corte le ricorrenti, il convenuto, i governi danese, polacco e norvegese nonché la Commissione europea.

    IV.    Analisi

    30.      Con le seconde questioni pregiudiziali, sub a), nelle cause C‑184/22 e C‑185/22, su cui la Corte ha chiesto di focalizzare le presenti conclusioni, il giudice nazionale chiede, in sostanza, se l’articolo 157 TFUE nonché l’articolo 2, paragrafo 1, lettera b), e l’articolo 4, primo comma, della direttiva 2006/54 debbano essere interpretati nel senso che, nell’ambito della valutazione dell’esistenza di una discriminazione indiretta, per stabilire che una disposizione nazionale apparentemente neutra mette «in una situazione di particolare svantaggio le persone di un determinato sesso, rispetto a persone dell’altro sesso», è sufficiente che nel gruppo dei lavoratori svantaggiati da tale disposizione vi sia una percentuale significativamente maggiore di persone di un determinato sesso o che sia altresì necessario che il gruppo dei lavoratori non soggetti a detta disposizione comprenda una percentuale significativamente più elevata di persone dell’altro sesso.

    31.      Ai sensi dell’articolo 157, paragrafo 1, TFUE, «[c]iascuno Stato membro assicura l’applicazione del principio della parità di retribuzione tra lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore». Inoltre, l’articolo 4, primo comma, della direttiva 2006/54 stabilisce che, «[p]er quanto riguarda uno stesso lavoro o un lavoro al quale è attribuito un valore uguale, occorre eliminare la discriminazione diretta e indiretta basata sul sesso e concernente un qualunque aspetto o condizione delle retribuzioni». Conformemente all’articolo 2, paragrafo 1, lettera b), di tale direttiva, la nozione di «discriminazione indiretta» è definita come la situazione nella quale una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono mettere in una situazione di particolare svantaggio le persone di un determinato sesso, rispetto a persone dell’altro sesso, a meno che detta disposizione, criterio o prassi siano oggettivamente giustificati da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari.

    32.      Da tale definizione si evince che, ai sensi della direttiva 2006/54, una «discriminazione indiretta» si verifica quando sono presenti tre elementi, a prescindere dalle intenzioni dell’autore della misura nazionale di cui trattasi. In primo luogo, dev’essere presente una misura apparentemente neutra, nel senso che non fa distinzioni formali tra categorie di persone per uno stesso lavoro o per un lavoro al quale è attribuito pari valore. In secondo luogo, tale misura deve comportare un particolare svantaggio per le persone di un determinato sesso, rispetto a persone dell’altro sesso. In terzo luogo, un tale particolare svantaggio non è giustificato da fattori oggettivi ed estranei a qualsiasi discriminazione fondata sul sesso (12).

    33.      Nel caso di specie, in primo luogo, per quanto riguarda l’elemento relativo all’apparente neutralità della disposizione nazionale di cui trattasi, esso non solleva particolari difficoltà. Infatti, dalle decisioni di rinvio emerge che tale disposizione del contratto collettivo in questione (13), in base alla quale le ore di lavoro straordinario eccedenti l’orario mensile di lavoro di un lavoratore a tempo pieno sono soggette a una maggiorazione, si applica a tutti i siti del convenuto e, salvo eccezioni, a tutte le persone da questi impiegate (14). Di conseguenza, detta disposizione, poiché riguarda indistintamente i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile, non introduce una discriminazione diretta, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2006/54.

    34.      In secondo luogo, quanto all’elemento relativo all’esistenza di un particolare svantaggio, esso implica, innanzitutto, che un gruppo di persone subisca uno svantaggio, ossia, nella fattispecie, i lavoratori a tempo parziale quanto al pagamento di maggiorazioni per le ore di lavoro straordinario. Rilevo che il giudice del rinvio ha indicato che le seconde questioni pregiudiziali nelle presenti cause sono sollevate solo in caso di risposta affermativa alle prime questioni pregiudiziali. A tale proposito, ritengo che la disposizione nazionale di cui trattasi metta i lavoratori a tempo parziale in una posizione di svantaggio, in quanto le ore di lavoro straordinario che essi effettuano in eccesso rispetto all’orario di lavoro concordato nei loro contratti di lavoro e fino al numero di ore di lavoro di un lavoratore a tempo pieno (15) non comportano per essi alcuna maggiorazione. In altri termini, tali ore di lavoro straordinario sono meno remunerate rispetto alle ore di lavoro straordinario effettuate da un lavoratore a tempo pieno (16).

    35.      In secondo luogo, la misura apparentemente neutra deve avere l’effetto, in pratica, di mettere le persone di un sesso in una situazione di particolare svantaggio rispetto a persone dell’altro sesso. A tale proposito, la Corte ha da tempo riconosciuto l’utilità delle statistiche nell’ambito dell’analisi dell’esistenza o meno di una discriminazione indiretta, in particolare nella sentenza del 31 marzo 1981, Jenkins (96/80, EU:C:1981:80, punto 13). In tale sentenza, la Corte ha fatto riferimento a una «percentuale notevolmente inferiore» di lavoratrici rispetto a colleghi maschi che possono fruire della paga oraria ad aliquota intera. Tale riferimento è stato ripreso, in particolare, nella sentenza del 13 maggio 1986, Bilka-Kaufhaus (170/84, EU:C:1986:204, punto 29). In tal senso, la Corte ha seguito una via pragmatica nell’ambito dell’esame delle discriminazioni (17).

    36.      La nozione di «discriminazione indiretta» è stata successivamente sancita dal legislatore dell’Unione, in particolare nella direttiva 2002/73/CE (18), sostituita dalla direttiva 2006/54. Quest’ultima direttiva ha accolto, all’articolo 2, paragrafo 1, lettera b), una definizione di «discriminazione indiretta» formulata esattamente negli stessi termini di quella contenuta all’articolo 1, paragrafo 2, secondo trattino, della direttiva 2002/73. Tale definizione, come del resto le altre disposizioni della direttiva 2006/54, non fa riferimento a elementi quantitativi nell’esame della discriminazione indiretta. Infatti, detta definizione prende in considerazione un approccio qualitativo: occorre, cioè, verificare se la misura nazionale di cui trattasi sia atta, per sua stessa natura, a «mettere in una posizione di particolare svantaggio» le persone di un determinato sesso, rispetto a persone dell’altro sesso. Ne consegue che il giudice nazionale deve esaminare complessivamente tutti gli elementi pertinenti di natura qualitativa al fine di determinare se un tale svantaggio esista, ad esempio senza limitarsi all’impresa cui si applica la disposizione controversa, per esaminare la situazione nello Stato membro interessato o nell’Unione in generale. Inoltre, in determinate situazioni, può rivelarsi molto difficile ottenere dati statistici (19) o i dati ottenuti possono sollevare difficoltà di utilizzo (20) o di interpretazione (21).

    37.      Tuttavia, anche all’interno di tale quadro qualitativo, la Corte ha continuato a fare riferimento a dati statistici, quando esistono, al fine di accertare l’esistenza di una discriminazione indiretta nell’ambito dell’attuazione del principio della parità di trattamento tra gli uomini e le donne. In tal senso, secondo la giurisprudenza costante della Corte relativa alla direttiva 2006/54, l’esistenza di un siffatto particolare svantaggio potrebbe essere dimostrata, segnatamente, se fosse provato che una normativa nazionale colpisce negativamente in proporzione significativamente maggiore persone di un sesso, rispetto a persone dell’altro sesso (22). Come si evince dal considerando 30 di tale direttiva, la valutazione dei fatti che consentono di presumere l’esistenza di una discriminazione indiretta è una questione di competenza del giudice nazionale, secondo il diritto o le prassi nazionali, che possono prevedere, in particolare, che la discriminazione indiretta possa essere accertata con qualsiasi mezzo, compresa l’evidenza statistica (23).

    38.      Vorrei sottolineare che i dati statistici succitati costituiscono solo un elemento tra gli altri e che, inoltre, vi può essere una varietà di tali dati. In tal senso, la Corte ha dichiarato che un lavoratore che si ritenga leso da una discriminazione indiretta fondata sul sesso può suffragare un’apparenza di discriminazione fondandosi su dati statistici generali relativi al mercato del lavoro nello Stato membro interessato, nell’ipotesi in cui non ci si possa aspettare dall’interessato la produzione di dati più precisi relativi al gruppo di lavoratori pertinente, ove tali dati siano difficilmente accessibili, se non indisponibili (24). Non è sufficiente prendere in considerazione il numero di persone interessate, dal momento che tale numero dipende dal numero di lavoratori attivi nell’intero Stato membro nonché dalla ripartizione dei lavoratori e delle lavoratrici nello stesso Stato membro (25).

    39.      Nell’ipotesi in cui il giudice nazionale disponga di dati statistici, la Corte ha dichiarato che spetta a quest’ultimo prendere in considerazione l’insieme dei lavoratori soggetti alla normativa nazionale da cui trae origine la differenza di trattamento (26) e che il miglior metodo di raffronto delle statistiche consiste nel confrontare la percentuale di lavoratori colpiti da tale differenza di trattamento, da un lato, all’interno della forza lavoro maschile e, dall’altro, all’interno della forza lavoro femminile (27).

    40.      Occorre sottolineare che, se l’uso di dati statistici può rivelarsi utile per accertare l’esistenza di una discriminazione indiretta, tali dati devono essere considerati con cautela, poiché il modo in cui sono stati elaborati determina la validità dei risultati ottenuti (28). In tale contesto, secondo una giurisprudenza costante della Corte, spetta al giudice nazionale valutare in che misura i dati statistici prodotti dinanzi ad esso siano affidabili e se possano essere presi in considerazione, vale a dire se, in particolare, essi non riflettano fenomeni puramente fortuiti o congiunturali e se siano sufficientemente significativi (29).

    41.      In terzo luogo, se le statistiche che il giudice del rinvio può prendere in considerazione dovessero effettivamente far risultare che la percentuale dei lavoratori di un sesso è pregiudicata dalla normativa nazionale di cui trattasi in modo considerevolmente più elevato rispetto a quella dei lavoratori dell’altro sesso parimenti rientranti nell’ambito di applicazione di tale normativa, si dovrebbe ritenere che una situazione del genere riveli una discriminazione indiretta fondata sul sesso, contraria all’articolo 14, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2006/54, a meno che detta normativa non sia giustificata da fattori obiettivi ed estranei a qualsiasi discriminazione fondata sul sesso (30).

    42.      Vorrei sottolineare che non esiste una soglia di riferimento oltre la quale le statistiche sarebbero considerate sufficienti, poiché tale valutazione è essenzialmente di natura empirica (31). Tuttavia, tali dati statistici devono essere rilevanti, nel senso che devono riguardare un numero sufficiente di individui per essere rappresentativi, ma anche rigorosi e non ambigui.

    43.      Per quanto riguarda le controversie di cui ai procedimenti principali, dalle decisioni di rinvio risulta che l’analisi volta a determinare se la disposizione nazionale di cui trattasi introduca una discriminazione indiretta, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2006/54, tiene conto di dati statistici relativi al convenuto. Dalla giurisprudenza della Corte citata al paragrafo 39 delle presenti conclusioni emerge che il giudice del rinvio deve stabilire la percentuale di lavoratori colpiti da tale differenza di trattamento, da un lato, all’interno della forza lavoro maschile e, dall’altro, all’interno della forza lavoro femminile.

    44.      Nel caso di specie, dalla decisione di rinvio risulta che il convenuto impiega più di 5 000 persone, il 76,98% delle quali sono donne. Sulla totalità di tali dipendenti, il 52,78% lavora a tempo parziale. Tra i lavoratori a tempo parziale, l’84,74% sono donne e il 15,26% sono uomini.

    45.      Con le seconde questioni pregiudiziali, sub a), il giudice del rinvio chiede se, nell’esame dell’esistenza di un particolare svantaggio in relazione alle lavoratrici, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2006/54, sia sufficiente che il gruppo dei lavoratori a tempo parziale sia composto da un numero di donne considerevolmente maggiore a quello degli uomini o se, parimenti, il gruppo dei lavoratori a tempo pieno debba essere composto da un numero di uomini considerevolmente superiore o che la percentuale di uomini sia considerevolmente più elevata.

    46.      Nel caso di specie, le lavoratrici sono in maggioranza tanto nel gruppo degli «avvantaggiati» quanto in quello degli «svantaggiati» dalla disposizione nazionale di cui trattasi. In una situazione del genere, comprendo che non è possibile stabilire con evidenza che tale disposizione metta le donne in una posizione di particolare svantaggio rispetto agli uomini.

    47.      Al riguardo, come ho già indicato, sono del parere che il giudice nazionale debba seguire un approccio qualitativo, senza limitarsi ai soli dati statistici. Un tale approccio presuppone l’esame del mercato del lavoro nel suo complesso e non solo dell’impresa interessata.

    48.      Per quanto riguarda i dati statistici, in relazione ai quali il giudice del rinvio solleva una questione di diritto relativa alle modalità con cui tenerne conto, occorre ricordare la logica dell’analisi della discriminazione indiretta nell’ambito della direttiva 2006/54.

    49.      Innanzitutto, secondo la formulazione stessa dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera b), di tale direttiva, la discriminazione indiretta fa esclusivamente riferimento a una disposizione, un criterio o una prassi che «possono mettere in una situazione di (…) svantaggio» le persone di un determinato sesso, rispetto a persone dell’altro sesso. Di conseguenza, tale articolo 2, paragrafo 1, lettera b), si concentra sul gruppo di persone «svantaggiate», nella fattispecie i lavoratori a tempo parziale. Tale disposizione non menziona le persone «avvantaggiate», ossia quelle che non sono soggette alla misura di cui trattasi. Pertanto, dai termini di detta disposizione deriva che una discriminazione indiretta può essere caratterizzata dal semplice fatto che persone di un determinato sesso sono particolarmente svantaggiate rispetto a persone dell’altro sesso.

    50.      Inoltre, secondo la giurisprudenza della Corte citata al paragrafo 39 delle presenti conclusioni, il miglior metodo di raffronto delle statistiche consiste nel confrontare la percentuale di lavoratori colpiti da tale differenza di trattamento, da un lato, all’interno della forza lavoro maschile e, dall’altro, all’interno della forza lavoro femminile. Di conseguenza, la Corte si è espressamente pronunciata sull’approccio da seguire e ha dichiarato che occorre fare riferimento alle persone svantaggiate per determinare se la misura nazionale introduca una discriminazione indiretta. Al riguardo, ritengo utile citare i termini di una recente sentenza della Corte, ovvero la sentenza del 24 febbraio 2022, TGSS (Disoccupazione dei collaboratori domestici) (C‑389/20, EU:C:2022:120). In tale sentenza, la Corte ha dichiarato quanto segue, relativamente ad una disposizione nazionale che esclude le prestazioni di disoccupazione dalle prestazioni di sicurezza sociale riconosciute ai collaboratori domestici da un regime legale di sicurezza sociale:

    «45       (…), [s]i deve constatare che dai dati statistici presentati (…) risulta che, da un lato, al 31 maggio 2021, il numero dei lavoratori subordinati soggetti [al] regime generale era di 15 872 720, di cui 7 770 798 donne (il 48,96% dei lavoratori subordinati) e 8 101 899 uomini (il 51,04% dei lavoratori subordinati). D’altro, alla stessa data, il gruppo di lavoratori iscritti al sistema speciale per i collaboratori domestici contava 384 175 lavoratori, di cui 366 991 donne (il 95,53% degli iscritti a tale sistema speciale, ossia il 4,72% dei lavoratori subordinati di sesso femminile) e 17 171 uomini (il 4,47% degli iscritti a detto sistema speciale, ossia lo 0,21% dei lavoratori subordinati di sesso maschile).

    46      Pertanto, da tali dati statistici emergerebbe che la proporzione dei lavoratori subordinati di sesso femminile soggetti al regime generale di sicurezza sociale spagnolo colpiti dalla disparità di trattamento derivante dalla disposizione nazionale di cui trattasi nel procedimento principale è significativamente più elevata di quella dei lavoratori subordinati di sesso maschile».

    51.      Pertanto, secondo la giurisprudenza in materia di discriminazione indiretta, la Corte ha esaminato solo il gruppo delle persone svantaggiate, ovvero i collaboratori domestici, composto per il 95,53% da donne, senza prendere in considerazione la totalità delle persone soggette al regime generale di sicurezza sociale, ripartite in maniera equilibrata tra le donne (48,96% dei lavoratori subordinati) e gli uomini (51,04% dei lavoratori subordinati).

    52.      Infine, l’obiettivo della direttiva 2006/54 è quello di vietare qualsiasi discriminazione fondata sul sesso, in particolare la discriminazione indiretta. Finora la Corte ha ritenuto che tale obiettivo implicasse un esame specifico della situazione del gruppo di persone svantaggiate da una misura nazionale. Non mi sembra che detto obiettivo possa condurre a prendere in considerazione anche la situazione del gruppo di persone non soggette a tale misura. Supponendo che la misura nazionale di cui trattasi ponga in una situazione di particolare svantaggio i lavoratori di un determinato sesso rispetto ai lavoratori dell’altro sesso, sarebbe allora necessario esaminare se essa sia giustificata da fattori oggettivi ed estranei a qualsiasi discriminazione fondata sul sesso.

    53.      Di conseguenza, ritengo che, per stabilire l’esistenza di un particolare svantaggio per le lavoratrici, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2006/54, occorra esaminare solo il gruppo di lavoratori svantaggiati. Aggiungo che, poiché l’approccio qualitativo diretto a determinare se una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri mettano in una situazione di particolare svantaggio le persone di un determinato sesso, rispetto a persone dell’altro sesso, può presentare difficoltà di attuazione, mi sembra che la questione della discriminazione fondata sul lavoro a tempo parziale, oggetto delle quarte e quinte questioni pregiudiziali nelle presenti cause, possa costituire una base adeguata a garantire la parità di trattamento tra i lavoratori a tempo pieno e quelli a tempo parziale (32).

    54.      Propongo pertanto di rispondere alle seconde questioni pregiudiziali, sub a), nel senso che l’articolo 157 TFUE nonché l’articolo 2, paragrafo 1, lettera b), e l’articolo 4, primo comma, della direttiva 2006/54 devono essere interpretati nel senso che, nell’ambito della valutazione dell’esistenza di una discriminazione indiretta, per stabilire che una prassi apparentemente neutra mette «in una situazione di particolare svantaggio le persone di un determinato sesso, rispetto a persone dell’altro sesso», il giudice nazionale deve esaminare complessivamente tutti gli elementi pertinenti di natura qualitativa al fine di determinare se un tale svantaggio esista. Per quanto riguarda i dati statistici, che sono solo un elemento tra gli altri, è necessario verificare se nel gruppo dei lavoratori svantaggiati da tale disposizione vi sia una percentuale significativamente maggiore di persone di un determinato sesso, senza che sia altresì necessario che il gruppo dei lavoratori non soggetti a detta disposizione comprenda una percentuale significativamente più elevata di persone dell’altro sesso.

    V.      Conclusione

    55.      Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di rispondere alle seconde questioni pregiudiziali, sub a), sollevate dal Bundesarbeitsgericht (Corte federale del lavoro, Germania) nelle cause riunite C‑184/22 e C‑185/22 come segue:

    L’articolo 157 TFUE nonché l’articolo 2, paragrafo 1, lettera b), e l’articolo 4, primo comma, della direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego,

    devono essere interpretati nel senso che:

    nell’ambito della valutazione dell’esistenza di una discriminazione indiretta, per stabilire che una prassi apparentemente neutra mette «in una situazione di particolare svantaggio le persone di un determinato sesso, rispetto a persone dell’altro sesso», il giudice nazionale deve esaminare complessivamente tutti gli elementi pertinenti di natura qualitativa al fine di determinare se un tale svantaggio esista. Per quanto riguarda i dati statistici, che sono solo un elemento tra gli altri, è necessario verificare se nel gruppo dei lavoratori svantaggiati da tale disposizione vi sia una percentuale significativamente maggiore di persone di un determinato sesso, senza che sia altresì necessario che il gruppo dei lavoratori non soggetti a detta disposizione comprenda una percentuale significativamente più elevata di persone dell’altro sesso.


    1      Lingua originale: il francese.


    2      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego (GU 2006, L 204, pag. 23).


    3      Con ordinanza del presidente della Corte di giustizia del 19 aprile 2022, tali due cause sono state riunite ai fini della fase scritta e orale del procedimento nonché della sentenza.


    4      BGBl. 2000 I, pag. 1966.


    5      BGBl. 2006 I, pag. 1897.


    6      BGBl. 2017 I, pag. 2152.


    7      Il giudice del rinvio menziona, al riguardo, la sentenza del 13 gennaio 2004, Allonby (C‑256/01, EU:C:2004:18, punti 73 e segg.).


    8      Il giudice del rinvio fa riferimento alle sentenze del 6 dicembre 2007, Voß (C‑300/06, EU:C:2007:757, punto 40), nonché del 3 ottobre 2019, Schuch-Ghannadan (C‑274/18, EU:C:2019:828, punti 47 e 52).


    9      Il giudice del rinvio cita la sentenza del 3 ottobre 2019, Schuch-Ghannadan (C‑274/18, EU:C:2019:828, punti 47 e 52).


    10      Direttiva del Consiglio del 27 novembre 2000 che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro (GU 2000, L 303, pag. 16).


    11      Direttiva del Consiglio del 15 dicembre relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall’UNICE, dal CEEP e dalla CES (GU 1998, L 14, pag. 9).


    12      Per un’applicazione di tali tre elementi, v., in particolare, sentenza del 5 maggio 2022, BVAEB (C‑405/20, EU:C:2022:347, punti da 47 a 69).


    13      Secondo la giurisprudenza della Corte, nel contesto della direttiva 2006/54, il divieto di discriminazione tra lavoratori di sesso maschile e lavoratori di sesso femminile si estende a tutti gli accordi che disciplinano in modo collettivo il lavoro subordinato (v. sentenza del 18 novembre 2020, Syndicat CFTC, C‑463/19, EU:C:2020:932, punto 48 e giurisprudenza citata).


    14      Le eccezioni all’applicazione dell’MTV non sembrano, in tale fase, rilevanti nell’ambito della risposta da dare alle seconde questioni pregiudiziali, sub a), nelle presenti cause (v., in tal senso, paragrafo 24 delle presenti conclusioni).


    15      Vale a dire 38,5 ore settimanali, come previsto dall’articolo 10, paragrafo 1, dell’MTV.


    16      V., al riguardo, sentenza del 27 maggio 2004, Elsner-Lakeberg (C‑285/02, EU:C:2004:320, punto 17).


    17      V. conclusioni dell’avvocato generale Lenz nella causa Enderby (C‑127/92, EU:C:1993:313, paragrafo 15).


    18      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 settembre 2002, che modifica la direttiva 76/207/CEE del Consiglio relativa all’attuazione del principio della parità di trattamento tra gli uomini e le donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro (GU 2002, L 269, pag. 15).


    19      V. Ellis, E., e Watson, P., EU Anti-Discrimination Law, 2a éd., Oxford University Press, Oxford, 2012, in particolare pag. 151.


    20      V, in tal senso, conclusioni dell’avvocato generale Medina nella causa INSS (Cumulo di pensioni d’invalidità professionale permanente) (C‑625/20, EU:C:2022:132, paragrafo 1), che rileva che l’uso di numeri e statistiche può essere problematico per accertare una discriminazione indiretta, poiché il risultato può variare a seconda del gruppo di riferimento utilizzato per il confronto.


    21      V. Barnard, C., e Hepple, B., «Indirect Discrimination: Interpreting Seymour-Smith», Cambridge Law Journal, 58(2), 1999, pagg da 399 a 412. Questi autori forniscono una visione critica dell’approccio adottato dalla Corte che consiste nel fare riferimento a dati statistici, in particolare nell’ambito di una domanda di pronuncia pregiudiziale.


    22      Sentenza del 5 maggio 2022, BVAEB (C‑405/20, EU:C:2022:347, punto 49 e giurisprudenza citata).


    23      V. sentenze del 24 settembre 2020, YS (Pensioni aziendali del personale dirigente) (C‑223/19, EU:C:2020:753, punto 50), e del 5 maggio 2022, BVAEB (C‑405/20, EU:C:2022:347, punto 50).


    24      V., in tal senso, sentenza del 3 ottobre 2019, Schuch-Ghannadan (C‑274/18, EU:C:2019:828, punto 56).


    25      V. sentenza dell’8 maggio 2019, Villar Láiz (C‑161/18, EU:C:2019:382, punto 39 e giurisprudenza citata).


    26      V., in particolare, sentenza del 30 giugno 2022, INSS (Cumulo di pensioni d’invalidità professionale permanente) (C‑625/20, EU:C:2022:508, punto 50 e giurisprudenza citata). Al riguardo, rilevo che il giudice del rinvio ha indicato che le quote percentuali non sono ancora state accertate in via definitiva nelle cause di cui ai procedimenti principali.


    27      V., in particolare, sentenza del 6 dicembre 2007, Voß (C‑300/06, EU:C:2007:757, punto 41 e giurisprudenza citata).


    28      V., in dottrina, Robin-Olivier, S., «L’émergence de la notion de discrimination indirecte: évolution ou révolution?», in Fines, F., Gauthier, C., Gautier, M., La non-discrimination entre les Européens, Pedone, 2012, Parigi, 2012, pagg. da 23 a 36, in particolare pag. 30.


    29      V., in particolare, sentenza del 3 ottobre 2019, Schuch-Ghannadan (C‑274/18, EU:C:2019:828, punto 48 e giurisprudenza citata).


    30      V., in tal senso, sentenza del 5 maggio 2022, BVAEB (C‑405/20, EU:C:2022:347, punti 50 e 51 e giurisprudenza citata).


    31      V., in particolare, in dottrina, Alberton, G., «Et la Cour de cassation se fit plus “européaniste” que la CJUE», AJDA, 2018, no 6, pag. 340.


    32      V., al riguardo, sentenza del 19 ottobre 2023, Lufthansa CityLine (C‑660/20, EU:C:2023:789).

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