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Document 62021CJ0512

Sentenza della Corte (Decima Sezione) del 1° dicembre 2022.
Aquila Part Prod Com SA contro Nemzeti Adó- és Vámhivatal Fellebbviteli Igazgatósága.
Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Fővárosi Törvényszék.
Rinvio pregiudiziale – Fiscalità – Sistema comune d’imposta sul valore aggiunto (IVA) – Direttiva 2006/112/CE – Articolo 168 – Diritto a detrazione dell’IVA – Principi di neutralità fiscale, di effettività e di proporzionalità – Frode – Prova – Obbligo di diligenza del soggetto passivo – Presa in considerazione di una violazione degli obblighi derivanti da disposizioni nazionali e dal diritto dell’Unione relative alla sicurezza della catena alimentare – Mandato conferito dal soggetto passivo a un terzo per effettuare le operazioni soggette ad imposta – Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Articolo 47 – Diritto ad un processo equo.
Causa C-512/21.

Court reports – general

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2022:950

 SENTENZA DELLA CORTE (Decima Sezione)

1o dicembre 2022 ( *1 )

«Rinvio pregiudiziale – Fiscalità – Sistema comune d’imposta sul valore aggiunto (IVA) – Direttiva 2006/112/CE – Articolo 168 – Diritto a detrazione dell’IVA – Principi di neutralità fiscale, di effettività e di proporzionalità – Frode – Prova – Obbligo di diligenza del soggetto passivo – Presa in considerazione di una violazione degli obblighi derivanti da disposizioni nazionali e dal diritto dell’Unione relative alla sicurezza della catena alimentare – Mandato conferito dal soggetto passivo a un terzo per effettuare le operazioni soggette ad imposta – Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Articolo 47 – Diritto ad un processo equo»

Nella causa C‑512/21,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dalla Fővárosi Törvényszék (Corte di Budapest-Capitale, Ungheria), con decisione del 31 maggio 2021, pervenuta in cancelleria il 17 agosto 2021, nel procedimento

Aquila Part Prod Com SA

contro

Nemzeti Adó- és Vámhivatal Fellebbviteli Igazgatósága,

LA CORTE (Decima Sezione),

composta da D. Gratsias, presidente di sezione, M. Ilešič e I. Jarukaitis (relatore), giudici,

avvocato generale: P. Pikamäe

cancelliere: A. Calot Escobar

vista la fase scritta del procedimento,

considerate le osservazioni presentate:

per la Aquila Part Prod Com SA, da L. Réti, ügyvéd;

per il governo ungherese, da M.Z. Fehér e K. Szíjjártó, in qualità di agenti;

per il governo ceco, da O. Serdula, M. Smolek e J. Vláčil, in qualità di agenti;

per la Commissione europea, da B. Béres e J. Jokubauskaitė, in qualità di agenti,

vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1

La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 9, paragrafo 1, degli articoli 10 e 167, dell’articolo 168, lettera a), e dell’articolo 178, lettera a), della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto (GU 2006, L 347, pag. 1), in combinato disposto con i principi di neutralità fiscale, di proporzionalità e di certezza del diritto, nonché con l’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»).

2

Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la Aquila Part Prod Com SA e la Nemzeti Adó- és Vámhivatal Fellebbviteli Igazgatósága (direzione dei ricorsi dell’Ufficio nazionale delle imposte e delle dogane, Ungheria) (in prosieguo: la «direzione dei ricorsi»), in merito all’importo dell’imposta sul valore aggiunto (IVA) dovuta da tale società per i mesi da agosto a novembre 2012.

Contesto normativo

Diritto dell’Unione

3

L’articolo 9, paragrafo 1, della direttiva 2006/112 così dispone:

«Si considera “soggetto passivo” chiunque esercita, in modo indipendente e in qualsiasi luogo, un’attività economica, indipendentemente dallo scopo o dai risultati di detta attività.

Si considera “attività economica” ogni attività di produzione, di commercializzazione o di prestazione di servizi, comprese le attività estrattive, agricole, nonché quelle di professione libera o assimilate. Si considera, in particolare, attività economica lo sfruttamento di un bene materiale o immateriale per ricavarne introiti aventi carattere di stabilità».

4

Ai sensi dell’articolo 10 di tale direttiva:

«La condizione che l’attività economica sia esercitata in modo indipendente, di cui all’articolo 9, paragrafo 1, esclude dall’imposizione i lavoratori dipendenti ed altre persone se sono vincolati al rispettivo datore di lavoro da un contratto di lavoro subordinato o da qualsiasi altro rapporto giuridico che preveda vincoli di subordinazione in relazione alle condizioni di lavoro e di retribuzione ed alla responsabilità del datore di lavoro».

5

L’articolo 167 della suddetta direttiva prevede che il diritto a detrazione sorge quando l’imposta detraibile diventa esigibile.

6

L’articolo 168 della direttiva 2006/112 così dispone:

«Nella misura in cui i beni e i servizi sono impiegati ai fini di sue operazioni soggette ad imposta, il soggetto passivo ha il diritto, nello Stato membro in cui effettua tali operazioni, di detrarre dall’importo dell’imposta di cui è debitore gli importi seguenti:

a)

l’IVA dovuta o assolta in tale Stato membro per i beni che gli sono o gli saranno ceduti e per i servizi che gli sono o gli saranno resi da un altro soggetto passivo;

(...)».

7

Ai sensi dell’articolo 178 di tale direttiva:

«Per poter esercitare il diritto a detrazione, il soggetto passivo deve soddisfare le condizioni seguenti:

a)

per la detrazione di cui all’articolo 168, lettera a), relativa alle cessioni di beni e alle prestazioni di servizi, essere in possesso di una fattura redatta conformemente agli articoli da 220 a 236 e agli articoli 238, 239 e 240;

(...)».

Diritto ungherese

8

L’articolo 1 dell’adózás rendjéről szóló 2003. évi XCII. törvény (legge n. XCII del 2003, che istituisce il codice di procedura tributaria) (Magyar Közlöny 2003/131, 14 novembre 2003, pag. 9990; in prosieguo: il «codice di procedura tributaria»), al suo paragrafo 7, prevede quanto segue:

«I contratti, le operazioni e altri atti analoghi devono essere qualificati in funzione del loro contenuto reale. Un contratto o qualsiasi altro atto giuridico privo di validità è rilevante ai fini dell’imposizione, purché sia possibile dimostrarne il risultato economico».

9

L’articolo 2, paragrafo 1, del codice di procedura tributaria stabilisce quanto segue:

«Nei rapporti giuridici in materia tributaria i diritti sono esercitati conformemente al loro scopo. Ai fini dell’applicazione delle leggi tributarie, la conclusione di contratti o l’esecuzione di altre operazioni il cui scopo è quello di eludere le disposizioni delle leggi tributarie non può essere qualificata come esercizio di diritti conforme al loro scopo».

10

Ai sensi dell’articolo 97, paragrafi 4 e 6, di detto codice:

«4.   Durante il controllo, l’amministrazione tributaria ha l’obbligo di accertare e dimostrare i fatti, tranne nel caso in cui, in forza di una legge, l’onere della prova incomba al contribuente.

(...)

6.   Quando accerta i fatti, l’amministrazione tributaria ha l’obbligo di esaminare anche i fatti a favore del contribuente. Un fatto o una circostanza non dimostrati non possono essere valutati a sfavore del contribuente, salvo nella procedura di valutazione».

11

L’articolo 26 dell’általános forgalmi adóról szóló 2007. évi CXXVII. törvény (legge n. CXXVII del 2007, relativa all’imposta sul valore aggiunto) (Magyar Közlöny 2007/155, 16 novembre 2007, pag. 10893; in prosieguo: la «legge sull’IVA») dispone quanto segue:

«Qualora la spedizione o il trasporto siano effettuati dal fornitore, dall’acquirente oppure, per conto dell’uno o dell’altro, da un terzo, il luogo della cessione del bene è il luogo dove quest’ultimo si trova al momento della spedizione o della partenza del trasporto che indichi l’acquirente come destinatario».

12

L’articolo 27 della legge sull’IVA, al paragrafo 1, prevede quanto segue:

«Qualora un bene sia oggetto di diverse vendite successive in modo tale da essere spedito o trasportato direttamente dal fornitore iniziale all’acquirente finale menzionato come destinatario, l’articolo 26 si applica esclusivamente ad una sola cessione del bene».

13

Ai sensi dell’articolo 119, paragrafo 1, della legge sull’IVA:

«Salvo disposizioni contrarie, il diritto a detrazione dell’imposta sorge nel momento in cui si deve determinare l’imposta dovuta corrispondente all’imposta calcolata a monte (articolo 120)».

14

L’articolo 120 della legge sull’IVA prevede quanto segue:

«Nella misura in cui il soggetto passivo – che agisce in quanto tale – utilizzi, o impieghi in altro modo, beni e servizi per eseguire cessioni di beni o prestazioni di servizi soggette ad imposta, avrà diritto a detrarre dall’imposta di cui è debitore:

a)

l’imposta addebitatagli da qualsiasi altro soggetto passivo – comprese le persone o gli organismi soggetti ad imposta semplificata sulle società – in occasione dell’acquisto dei beni o della fruizione dei servizi

(...)».

15

L’articolo 127, paragrafo 1, della legge sull’IVA così dispone:

«L’esercizio del diritto a detrazione è subordinato alla condizione sostanziale che il soggetto passivo disponga personalmente:

a)

nel caso di cui all’articolo 120, lettera a), di una fattura emessa a suo nome che comprovi la realizzazione dell’operazione;

(...)».

Procedimento principale e questioni pregiudiziali

16

La Aquila Part Prod Com SA è succeduta alla Agrirom SRL, una società rumena che, dal 2 giugno 2010, dispone di un numero di registrazione IVA in Ungheria. L’attività principale della Aquila Part Prod Com’è quella di fungere da intermediario per il commercio all’ingrosso di prodotti alimentari, bevande e prodotti del tabacco. Il 1o aprile 2011 tale società ha stipulato con un’altra società un contratto di mandato, mediante il quale ha affidato a quest’ultima lo svolgimento dell’attività di acquisto e di vendita di beni a nome del mandante.

17

Nel corso degli anni dal 2012 al 2017, l’amministrazione tributaria ha effettuato una verifica relativa all’IVA per quanto riguarda i mesi da agosto a novembre 2012, svolgendo numerose indagini. A seguito di tale verifica, l’autorità tributaria ha adottato quattro decisioni con le quali ha effettuato una rettifica dell’IVA di un importo pari a 86815000 fiorini ungheresi (HUF) (circa EUR 206000) per il mese di agosto 2012, HUF 66012000 (circa EUR 157000) per il mese di settembre 2012, HUF 109400000 (circa EUR 260000) per il mese di ottobre 2012 e HUF 24607000 (circa EUR 58500) per il mese di novembre 2012, corrispondente, per la maggior parte, a una richiesta di rimborso dell’IVA ritenuta infondata e, per una parte minore, a un debito tributario. È stata, inoltre, inflitta una sanzione tributaria e sono stati imposti interessi di mora.

18

In tali decisioni, l’amministrazione tributaria ha constatato che, durante i periodi esaminati, il soggetto passivo aveva partecipato ad una frode di tipo carosello. Tale constatazione è fondata, in particolare, sulla violazione di disposizioni di diritto nazionale relative alla sicurezza della catena alimentare e di disposizioni del regolamento (CE) n. 178/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 gennaio 2002, che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare (GU 2002, L 31, pag. 1), che dimostrerebbe che l’obiettivo perseguito era il dirottamento dei prodotti di cui trattasi dalla Slovacchia verso l’Ungheria. Essa è fondata, altresì, sulle operazioni finanziarie delle varie società che hanno partecipato alla catena di cessioni, sull’esiguo margine commerciale applicato da ciascuna di tali società e sul comportamento irragionevole in materia commerciale di talune di esse, che dimostrerebbero che si trattava di una catena di fatturazione diretta ad acquisire un vantaggio fiscale illecito e ad eludere consapevolmente l’imposizione.

19

In dette decisioni, l’amministrazione tributaria ha preso in considerazione un gran numero di elementi che dimostrerebbero la partecipazione attiva del soggetto passivo a una frode, tra cui il fatto che i contratti erano conclusi con la partecipazione di quest’ultimo, l’esistenza di una clausola inusuale nei contratti di trasporto, il fatto che il cliente slovacco abbia rivenduto verso l’Ungheria i beni che si era procurato lo stesso giorno in Ungheria e l’esistenza di legami tra le persone coinvolte nella catena di fatturazione. Essa ha, altresì, menzionato elementi che dimostrerebbero che il soggetto passivo non aveva dato prova di sufficiente diligenza, tra cui il fatto che il gestore della società con cui il soggetto passivo aveva concluso un contratto di mandato aveva già partecipato in precedenza ad una frode in materia di IVA, il fatto che tale società avesse partecipato alla catena di fatturazione fraudolenta nonché altri fatti che dimostrerebbero la partecipazione di tale gestore alla frode.

20

Poiché le quattro decisioni dell’amministrazione tributaria sono state confermate da una decisione della direzione dei ricorsi, in data 8 dicembre 2017, la Aquila Part Prod Com ha presentato alla Fővárosi Törvényszék (Corte di Budapest-Capitale, Ungheria), giudice del rinvio, un ricorso a sostegno del quale la stessa afferma che il procedimento tributario è stato condotto con un’idea preconcetta e deduce, in sostanza, l’assenza di elementi di prova che dimostrino che essa poteva essere a conoscenza dell’esistenza di una frode commessa a monte. Detta società afferma di aver dato prova della diligenza dovuta al fine di evitare di partecipare ad una frode, avendo stabilito norme interne in materia di acquisti che impongono che i fornitori siano sottoposti a verifiche prima della conclusione di un contratto e che vietano qualsiasi pagamento in contanti. In tali circostanze, la Aquila Part Prod Com addebita, in particolare, all’amministrazione tributaria di aver ignorato il contratto di mandato che essa aveva concluso con un’altra società e di aver assimilato la conoscenza che il rappresentante legale aveva avuto da quest’ultima dei fatti costitutivi della frode alla propria conoscenza di tali fatti.

21

La direzione dei ricorsi contesta, dinanzi al giudice del rinvio, tali argomenti facendo valere, in particolare, che una violazione delle norme in materia di sicurezza della catena alimentare può costituire uno dei diversi elementi che indicano che il soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere di partecipare a un’operazione che si iscriveva in una frode in materia di IVA.

22

Il giudice del rinvio ritiene necessario che la Corte fornisca indicazioni per stabilire se le circostanze dedotte dalla direzione dei ricorsi possano essere considerate come elementi oggettivi, ai sensi della sentenza del 21 giugno 2012, Mahagében e Dávid (C‑80/11 e C‑142/11, EU:C:2012:373), da cui si possa concludere che il soggetto passivo abbia commesso una frode, e se, data la natura della catena di fornitura riscontrata nel procedimento principale, l’entità dell’obbligo di diligenza richiesto dall’amministrazione tributaria nel procedimento principale sia conforme alle regole probatorie interpretate dalla Corte, alle disposizioni della direttiva 2006/112 e ai principi che disciplinano l’esercizio del diritto a detrazione dell’IVA.

23

In particolare, il giudice del rinvio s’interroga, in primo luogo, sulla questione se l’amministrazione tributaria potesse assimilare la conoscenza dei fatti costitutivi della frode che aveva avuto una persona fisica, rappresentante legale di una società con la quale il soggetto passivo aveva concluso un contratto di mandato per l’esercizio della sua attività, alla conoscenza che tale soggetto passivo aveva della stessa, senza esaminare il contenuto del contratto di mandato. In secondo luogo, esso si interroga, alla luce dei fatti della controversia di cui al procedimento principale, sulla diligenza che può essere richiesta al soggetto passivo al fine di evitare di partecipare ad una frode e, nell’ambito di una frode di tipo carosello, sulle circostanze che possono essere prese in considerazione per dimostrare che il soggetto passivo poteva essere a conoscenza di tale frode. In terzo luogo, esso chiede se l’amministrazione tributaria possa, per negare il diritto alla detrazione dell’IVA, fondarsi su una violazione di norme diverse da quelle rientranti nel diritto tributario, come quelle relative alla sicurezza della catena alimentare.

24

In tale contesto, la Fővárosi Törvényszék (Corte di Budapest-Capitale) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)

Se sia compatibile con il diritto dell’Unione e, in particolare, con gli articoli 9, paragrafo 1, e 10 della direttiva [2006/112], nonché con il principio di neutralità fiscale, una prassi dell’amministrazione tributaria secondo cui quest’ultima, automaticamente e senza effettuare alcuna verifica, desume dalla consapevolezza della persona fisica legata da un rapporto giuridico con una persona giuridica che agisce in qualità di mandatario, che è indipendente dal soggetto passivo in veste di mandante e che è dotata di una personalità giuridica propria, senza che tale persona fisica sia giuridicamente legata al soggetto passivo, la consapevolezza di quest’ultimo, non tenendo conto né delle disposizioni del contratto concluso tra il mandante e il mandatario né del diritto estero che disciplina il rapporto giuridico del mandato.

2)

Se [l’articolo] 167, [l’articolo] 168, lettera a), e [l’articolo] 178, lettera a), della direttiva [2006/112] debbano essere interpretati nel senso che, qualora l’amministrazione tributaria accerti l’esistenza di una catena di fatturazione circolare, tale circostanza sia sufficiente, di per sé, a valere quale circostanza oggettiva per accertare la frode fiscale, o se invece, in tal caso, l’amministrazione tributaria debba altresì indicare quale partecipante o quali partecipanti della catena abbiano commesso la frode fiscale e quale sia stato il loro modus operandi.

3)

Se i citati articoli della direttiva [2006/112], alla luce dei requisiti di proporzionalità e di razionalità, debbano essere interpretati nel senso che, nemmeno quando l’amministrazione tributaria ritiene, sulla base delle circostanze specifiche del caso, che il soggetto passivo avrebbe dovuto essere più diligente, si possa pretendere da quest’ultimo la verifica di circostanze che l’amministrazione tributaria ha potuto scoprire solo dopo un’indagine durata circa cinque anni, che ha richiesto diverse verifiche supplementari mediante strumenti di diritto pubblico, di modo che la tutela dei segreti commerciali dei soggetti passivi non ha rappresentato un ostacolo alla verifica. Nel caso in cui si richieda una maggiore diligenza, se sia sufficiente, affinché si possa ritenere dimostrata una sufficiente diligenza, il fatto che il soggetto passivo estenda il suo controllo anche a circostanze che vanno oltre quelle menzionate nella sentenza [del 21 giugno 2012, Mahagében e Dávid (C‑80/11 e C‑142/11, EU:C:2012:373),] per quanto riguarda i potenziali partner commerciali, cosicché disponga di regole interne di approvvigionamento per la verifica di tali partner, non accetti pagamenti in contanti, inserisca nei contratti che conclude clausole su eventuali rischi ed esamini anche altre circostanze nel corso dell’operazione.

4)

Se i citati articoli della direttiva [2006/112] debbano essere interpretati nel senso che, qualora l’amministrazione tributaria accerti che il soggetto passivo ha partecipato attivamente a una frode fiscale, sia sufficiente al riguardo che le prove da essa acquisite comprovino che il soggetto passivo, impiegando la dovuta diligenza, avrebbe potuto sapere di partecipare a una frode fiscale, senza dover dimostrare che quest’ultimo sapesse di partecipare a una frode fiscale mediante il suo comportamento attivo nella stessa. Per quanto riguarda la dimostrazione della partecipazione attiva a una frode fiscale o del fatto di esserne a conoscenza, se l’amministrazione tributaria debba dimostrare l’azione fraudolenta del soggetto passivo che si è concretizzata nella sua condotta concordata con i membri che lo precedono nella catena o se sia sufficiente che si basi su prove oggettive della conoscenza reciproca fra i membri della catena.

5)

Se sia compatibile con i summenzionati articoli della direttiva [2006/112] e con il diritto a un equo processo riconosciuto come principio generale dall’articolo 47 della [Carta], nonché con il principio della certezza del diritto, una prassi dell’amministrazione tributaria che consiste nel fondare la propria decisione su una presunta violazione di norme in materia di sicurezza della catena alimentare che non hanno alcun effetto sull’osservanza degli obblighi fiscali da parte del soggetto passivo o sui movimenti dei suoi conti, disposizioni che la normativa fiscale non pone in alcuna relazione con il soggetto passivo e che non hanno alcun effetto sulla realtà delle operazioni controllate dall’amministrazione tributaria e sulla consapevolezza del soggetto passivo esaminata nell’ambito del procedimento tributario.

In caso di risposta affermativa alla precedente questione pregiudiziale:

6)

Se sia compatibile con i summenzionati articoli della direttiva [2006/112] e con il diritto a un equo processo, riconosciuto come principio generale dall’articolo 47 della [Carta], nonché con il principio della certezza del diritto, una prassi dell’amministrazione tributaria secondo cui, in assenza dell’intervento di un’autorità amministrativa specializzata in materia di sicurezza della catena alimentare che abbia una competenza oggettiva e territoriale, tale amministrazione effettui nella sua decisione valutazioni relative al soggetto passivo che rientrano nella sfera di competenza di detta autorità specializzata, in modo tale che, sulla base delle violazioni riscontrate in materia di sicurezza della catena alimentare – materia che esula dalla sua competenza –, trae conseguenze giuridico-fiscali a carico del soggetto passivo, senza che quest’ultimo abbia potuto contestare l’accertamento della violazione delle norme in materia di sicurezza della catena alimentare in un procedimento indipendente da quello tributario e che rispetti le garanzie fondamentali e i diritti delle parti».

Sulle questioni pregiudiziali

Sulla seconda questione

25

Con la seconda questione, che occorre esaminare per prima, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la direttiva 2006/112 debba essere interpretata nel senso che essa osta, qualora l’amministrazione tributaria intenda negare ad un soggetto passivo il beneficio del diritto alla detrazione dell’IVA assolta a monte in quanto tale soggetto passivo ha partecipato a una frode in materia di IVA di tipo carosello, a che tale autorità tributaria si limiti a dimostrare che tale operazione fa parte di una catena di fatturazione circolare, senza individuare tutti i soggetti che hanno partecipato a tale frode e i loro rispettivi comportamenti.

26

Come ricordato in più occasioni dalla Corte, la lotta contro evasioni, elusioni ed eventuali abusi costituisce un obiettivo riconosciuto e incoraggiato dalla direttiva 2006/112. A tale riguardo, la Corte ha stabilito che i singoli non possono avvalersi fraudolentemente o abusivamente delle norme del diritto dell’Unione e che, pertanto, spetta alle autorità e ai giudici nazionali negare il beneficio del diritto a detrazione se è dimostrato, alla luce di elementi obiettivi, che tale diritto viene invocato in modo fraudolento o abusivo (v., in tal senso, sentenze del 6 luglio 2006, Kittel e Recolta Recycling, C‑439/04 e C‑440/04, EU:C:2006:446, punti 5455, nonché dell’11 novembre 2021, Ferimet, C‑281/20, EU:C:2021:910, punto 45 e giurisprudenza ivi citata).

27

Per quanto riguarda l’evasione, secondo una giurisprudenza costante il beneficio del diritto a detrazione deve essere negato non solamente quando un’evasione dell’IVA sia commessa dal soggetto passivo stesso, ma anche qualora si dimostri che il soggetto passivo, al quale sono stati ceduti i beni o prestati i servizi posti a fondamento del diritto a detrazione, sapeva o avrebbe dovuto sapere che, con l’acquisto di tali beni e servizi, partecipava ad un’operazione che si iscriveva in un’evasione dell’IVA (v., in tal senso, sentenze del 6 luglio 2006, Kittel e Recolta Recycling, C‑439/04 e C‑440/04, EU:C:2006:446, punto 59; del 21 giugno 2012, Mahagében e Dávid, C‑80/11 e C‑142/11, EU:C:2012:373, punto 45, nonché dell’11 novembre 2021, Ferimet, C‑281/20, EU:C:2021:910, punto 46).

28

La Corte ha altresì ripetutamente precisato, con riferimento a casi in cui le condizioni sostanziali del diritto a detrazione erano soddisfatte, che il beneficio del diritto a detrazione può essere negato al soggetto passivo soltanto qualora si dimostri, alla luce di elementi oggettivi, che questi sapeva o avrebbe dovuto sapere che, con l’acquisto dei beni e servizi posti a fondamento del diritto a detrazione, lo stesso partecipava a un’operazione che si iscriveva in una siffatta evasione commessa dal fornitore o da altro operatore intervenuto a monte o a valle nella catena delle cessioni o prestazioni (sentenza dell’11 novembre 2021, Ferimet, C‑281/20, EU:C:2021:910, punto 48 e giurisprudenza ivi citata).

29

A tale riguardo, la Corte ha infatti stabilito che non è compatibile con il regime del diritto a detrazione previsto dalla direttiva 2006/112 sanzionare con il diniego di tale diritto un soggetto passivo che non sapeva e non avrebbe potuto sapere che l’operazione interessata si iscriveva in un’evasione commessa dal fornitore, o che un’altra operazione nell’ambito della catena delle cessioni, anteriore o posteriore a quella realizzata da detto soggetto passivo, era viziata da evasione dell’IVA, posto che l’istituzione di un sistema di responsabilità oggettiva andrebbe al di là di quanto necessario per garantire i diritti dell’Erario (sentenza dell’11 novembre 2021, Ferimet, C‑281/20, EU:C:2021:910, punto 49 e giurisprudenza ivi citata).

30

Inoltre, secondo una giurisprudenza costante della Corte, poiché il diniego del diritto a detrazione è un’eccezione all’applicazione del principio fondamentale che tale diritto costituisce, incombe alle autorità tributarie dimostrare adeguatamente gli elementi oggettivi che consentono di concludere che il soggetto passivo ha commesso un’evasione dell’IVA o sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione si iscriveva in una simile evasione. Spetta poi ai giudici nazionali verificare se le amministrazioni finanziarie interessate abbiano dimostrato l’esistenza di detti elementi oggettivi (sentenza dell’11 novembre 2021, Ferimet, C‑281/20, EU:C:2021:910, punto 50 e giurisprudenza ivi citata).

31

Poiché il diritto dell’Unione non prevede norme relative alle modalità dell’assunzione delle prove in materia di evasione dell’IVA, tali elementi oggettivi devono essere stabiliti dall’autorità tributaria secondo le norme in materia di prova previste dal diritto nazionale. Tuttavia, tali norme non devono pregiudicare l’efficacia del diritto dell’Unione (sentenza dell’11 novembre 2021, Ferimet, C‑281/20, EU:C:2021:910, punto 51 e giurisprudenza ivi citata).

32

Dalla giurisprudenza rammentata ai punti da 27 a 31 della presente sentenza deriva che il beneficio del diritto a detrazione può essere negato a tale soggetto passivo solo se, dopo aver proceduto ad una valutazione globale di tutti gli elementi e di tutte le circostanze di fatto del caso di specie, effettuata conformemente alle norme in materia di prova del diritto nazionale, è accertato che quest’ultimo ha commesso un’evasione dell’IVA o sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata a fondamento di tale diritto rientrava in una siffatta evasione. Il beneficio del diritto a detrazione può essere negato solo qualora tali fatti siano stati sufficientemente dimostrati con mezzi che non siano supposizioni (v., in tal senso, sentenza dell’11 novembre 2021, Ferimet, C‑281/20, EU:C:2021:910, punto 52 e giurisprudenza ivi citata).

33

Se ne deve dedurre che l’autorità tributaria che intende negare il beneficio del diritto a detrazione deve dimostrare in modo adeguato, conformemente alle norme in materia di prova previste dal diritto nazionale e senza pregiudicare l’efficacia del diritto dell’Unione, sia gli elementi oggettivi che provino l’esistenza dell’evasione stessa dell’IVA, sia quelli che dimostrino che il soggetto passivo ha commesso tale evasione o sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata a fondamento di tale diritto rientrava in detta evasione.

34

Tale requisito della prova vieta, indipendentemente dal tipo di evasione o dai comportamenti esaminati, il ricorso a supposizioni o a presunzioni che abbiano l’effetto, confutando l’onere della prova, di violare il principio fondamentale del sistema comune dell’IVA costituito dal diritto a detrazione e, pertanto, l’efficacia del diritto dell’Unione.

35

Di conseguenza, sebbene l’esistenza di una catena di fatturazione circolare costituisca un indizio serio che suggerisce l’esistenza di un’evasione, di cui occorre tener conto nell’ambito della valutazione globale di tutti gli elementi e di tutte le circostanze di fatto del caso di specie, non si può ammettere che l’autorità tributaria possa limitarsi, al fine di dimostrare l’esistenza di una frode di tipo carosello, a stabilire che l’operazione di cui trattasi fa parte di una catena di fatturazione circolare.

36

Spetta all’autorità tributaria, da un lato, individuare con precisione gli elementi costitutivi della frode e fornire la prova delle condotte fraudolente e, dall’altro, dimostrare che il soggetto passivo ha partecipato attivamente a tale frode o sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata a fondamento di tale diritto si iscriveva in detta frode. Tuttavia, la prova dell’esistenza della frode e della partecipazione del soggetto passivo alla stessa non implica necessariamente che tutti i soggetti che hanno partecipato a tale frode nonché i rispettivi comportamenti degli stessi siano stati identificati. Come ricordato al punto 30 della presente sentenza, spetta ai giudici nazionali verificare che le autorità tributarie abbiano adeguatamente fornito tale prova.

37

Dalle considerazioni che precedono risulta che occorre rispondere alla seconda questione dichiarando che la direttiva 2006/112 deve essere interpretata nel senso che:

essa osta, qualora l’amministrazione tributaria intenda negare ad un soggetto passivo il beneficio del diritto alla detrazione dell’IVA assolta a monte in quanto tale soggetto passivo ha partecipato ad una frode dell’IVA di tipo carosello, a che tale autorità tributaria si limiti a stabilire che tale operazione fa parte di una catena di fatturazione circolare;

spetta a detta autorità tributaria, da un lato, individuare con precisione gli elementi costitutivi della frode e dimostrare le condotte fraudolente e, dall’altro, dimostrare che il soggetto passivo ha partecipato attivamente a tale frode o che sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata a fondamento di tale diritto si iscriveva in detta frode, il che non implica necessariamente l’identificazione di tutti i soggetti che hanno partecipato alla frode nonché dei loro rispettivi comportamenti.

Sulla quarta questione

38

Con la sua quarta questione, che occorre esaminare in secondo luogo, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la direttiva 2006/112 debba essere interpretata nel senso che essa osta, qualora l’autorità tributaria attesti una partecipazione attiva del soggetto passivo a una frode dell’IVA per negare il diritto a detrazione, a che tale autorità tributaria fondi tale diniego su elementi di prova che dimostrino non una siffatta partecipazione, bensì il fatto che tale soggetto passivo avrebbe potuto sapere, dando prova di tutta la necessaria diligenza, che l’operazione di cui trattasi si iscriveva in una tale evasione. Esso chiede, inoltre, se la circostanza che i membri della catena di cessioni, di cui fa parte tale operazione, si conoscessero costituisca una circostanza sufficiente per dimostrare la partecipazione del soggetto passivo all’evasione.

39

Dalla giurisprudenza della Corte richiamata al punto 27 della presente sentenza risulta che, in caso di evasione dell’IVA, il diritto a detrazione deve essere negato in tre casi, vale a dire, in primo luogo, nel caso in cui sia dimostrato che il soggetto passivo ha commesso esso stesso un’evasione dell’IVA, in secondo luogo, nel caso in cui sia dimostrato che il soggetto passivo sapeva che, con il suo acquisto, partecipava ad un’operazione che si iscriveva in una evasione dell’IVA e, in terzo luogo, nel caso in cui sia dimostrato che il soggetto passivo avrebbe dovuto sapere che, con il suo acquisto, partecipava ad un’operazione che si iscriveva in una tale evasione.

40

Per quanto riguarda il secondo e il terzo caso, che riguardano una partecipazione passiva all’evasione, è stato ritenuto che un soggetto passivo che sapeva o avrebbe dovuto sapere che, con il proprio acquisto, partecipava ad un’operazione che si iscriveva in una evasione dell’IVA debba essere considerato, ai fini della direttiva 2006/112, partecipante a tale evasione, e ciò indipendentemente dalla circostanza di trarre o meno beneficio dalla rivendita dei beni o dall’utilizzo dei servizi nell’ambito delle operazioni soggette a imposta da esso effettuate a valle, dal momento che in una tale situazione detto soggetto passivo collabora con gli autori di tale evasione e ne diviene complice (sentenza dell’11 novembre 2021, Ferimet, C‑281/20, EU:C:2021:910, punto 47 e giurisprudenza ivi citata).

41

Nel caso in cui sia accertato che il soggetto passivo sapeva, in qualsiasi modo, che, con il suo acquisto, partecipava ad un’operazione che si iscriveva in una evasione dell’IVA commessa a monte nella catena delle cessioni o delle prestazioni, l’unico atto positivo che è determinante per fondare un diniego del diritto a detrazione è l’acquisto dei beni o dei servizi interessati. Non è quindi affatto necessario, a tal fine, stabilire che il soggetto passivo ha partecipato attivamente a tale evasione, in un modo o in un altro, anche solo promuovendola o facilitandola (v., in tal senso, ordinanza del 14 aprile 2021, Finanzamt Wilmersdorf, C‑108/20, EU:C:2021:266, punto 26).

42

Nel caso in cui sia accertato che il soggetto passivo avrebbe dovuto sapere che, con il suo acquisto, partecipava ad un’operazione che si iscriveva in una evasione dell’IVA commessa a monte nella catena delle cessioni o delle prestazioni, il diniego del diritto a detrazione si fonda sulla mancata adozione di una certa diligenza (v., in tal senso, ordinanza del 14 aprile 2021, Finanzamt Wilmersdorf, C‑108/20, EU:C:2021:266, punto 27).

43

Qualora l’amministrazione tributaria rilevi una partecipazione attiva del soggetto passivo alla evasione dell’IVA per negare il diritto a detrazione, essa è tenuta, in forza della giurisprudenza ricordata al punto 30 della presente sentenza, a fornirne la prova. Tuttavia, nulla osta a che essa fondi in un caso del genere tale rifiuto, in via complementare o subordinata, su elementi di prova che dimostrino che, in ogni caso, il soggetto passivo avrebbe dovuto sapere, se avesse dato prova della diligenza che si poteva esigere dal medesimo, che, con il suo acquisto, partecipava ad un’operazione che si iscriveva in un’evasione. Infatti, la prova di tale fatto, se fornita, è sufficiente a dimostrare la partecipazione del soggetto passivo all’evasione e, pertanto, a giustificare tale rifiuto.

44

In ogni caso, la mera circostanza che i membri della catena di cessioni si conoscessero, qualora fosse da prendere in considerazione nella valutazione globale di tutti gli elementi e di tutte le circostanze di fatto del caso di specie, non costituisce un elemento sufficiente per dimostrare la partecipazione del soggetto passivo all’evasione.

45

Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alla quarta questione dichiarando che la direttiva 2006/112 deve essere interpretata nel senso che:

essa non osta, qualora l’autorità tributaria attesti una partecipazione attiva del soggetto passivo a una frode dell’IVA per negare il diritto alla detrazione, a che tale autorità tributaria fondi tale diniego, in via complementare o subordinata, su elementi di prova che dimostrino non una siffatta partecipazione, bensì il fatto che tale soggetto passivo, dando prova di tutta la diligenza richiesta, avrebbe potuto sapere che l’operazione di cui trattasi si iscriveva in una siffatta frode;

la mera circostanza che i membri della catena di cessioni, di cui fa parte tale operazione, si conoscessero non costituisce un elemento sufficiente per dimostrare la partecipazione del soggetto passivo alla frode.

Sulla terza questione

46

Con la sua terza questione, che occorre esaminare in terzo luogo, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la direttiva 2006/112, in combinato disposto con il principio di proporzionalità, debba essere interpretata nel senso che essa osta, qualora sussistano indizi che consentano di sospettare l’esistenza di irregolarità o di una frode, a che sia richiesto al soggetto passivo di dar prova di una maggiore diligenza per assicurarsi che l’operazione da esso effettuata non lo conduca a partecipare a una frode e di procedere a verifiche complesse e approfondite, come quelle che possono essere effettuate dall’amministrazione finanziaria.

47

Il giudice del rinvio chiede, a tale proposito, se si possa ritenere che il soggetto passivo abbia dato prova di sufficiente diligenza laddove dimostri, in particolare, di aver stabilito norme interne in materia di acquisti dirette a verificare la situazione dei suoi partner e rifiuti qualsiasi pagamento in contanti.

48

La Corte ha ripetutamente stabilito che non è contrario al diritto dell’Unione esigere che il fornitore adotti tutte le misure che gli si possono ragionevolmente richiedere al fine di assicurarsi che l’operazione effettuata non lo conduca a partecipare ad un’evasione fiscale, fermo restando che la determinazione delle misure che, in una fattispecie concreta, possono essere ragionevolmente imposte ad un soggetto passivo che intenda esercitare il diritto alla detrazione dell’IVA perché questi si assicuri che le sue operazioni non si iscrivano in un’evasione commessa da un operatore a monte dipendono, essenzialmente, dalle circostanze di detta fattispecie (v., in tal senso, sentenze del 21 giugno 2012, Mahagében e Dávid, C‑80/11 e C‑142/11, EU:C:2012:373, punti 5459; del 19 ottobre 2017, Paper Consult, C‑101/16, EU:C:2017:775, punto 52, nonché ordinanza del 14 aprile 2021, Finanzamt Wilmersdorf, C‑108/20, EU:C:2021:266, punto 28).

49

La Corte ha precisato che, qualora sussistano indizi che consentono di sospettare l’esistenza di irregolarità o di un’evasione, un operatore accorto potrebbe, secondo le circostanze del caso di specie, vedersi obbligato ad assumere informazioni su un altro operatore, presso il quale prevede di acquistare beni o servizi, al fine di sincerarsi della sua affidabilità (sentenza del 21 giugno 2012, Mahagében e Dávid, C‑80/11 e C‑142/11, EU:C:2012:373, punto 60; ordinanze del 3 settembre 2020, Vikingo Fővállalkozó, C‑610/19, EU:C:2020:673, punto 55, nonché del 14 aprile 2021, Finanzamt Wilmersdorf, C‑108/20, EU:C:2021:266, punto 29).

50

Tuttavia, l’autorità tributaria non può imporre a un soggetto passivo di compiere controlli complessi e approfonditi relativi al suo fornitore, trasferendo di fatto su di esso gli atti di controllo incombenti a tale autorità (sentenza del 19 ottobre 2017, Paper Consult, C‑101/16, EU:C:2017:775, punto 51).

51

In particolare, la Corte ha già dichiarato che l’autorità tributaria non può esigere in maniera generale che il soggetto passivo il quale intende esercitare il diritto alla detrazione dell’IVA, da un lato – al fine di assicurarsi che non sussistano irregolarità o evasioni a livello degli operatori a monte – verifichi che l’emittente della fattura correlata ai beni e ai servizi a titolo dei quali viene richiesto l’esercizio di tale diritto abbia la qualità di soggetto passivo, che disponga dei beni di cui trattasi e sia in grado di fornirli e che abbia soddisfatto i propri obblighi di dichiarazione e di pagamento dell’IVA, o, dall’altro lato, che il suddetto soggetto passivo disponga di documenti a tale riguardo [sentenze del 21 giugno 2012, Mahagében e Dávid, C‑80/11 e C‑142/11, EU:C:2012:373, punto 61, nonché del 4 giugno 2020, C.F. (Verifica fiscale), C‑430/19, EU:C:2020:429, punto 47].

52

Ne consegue che la diligenza dovuta dal soggetto passivo e le misure che gli si possono ragionevolmente richiedere al fine di assicurarsi che, con il suo acquisto, non partecipi ad un’operazione che si iscrive in una frode commessa da un operatore a monte dipendono dalle circostanze del caso di specie e, in particolare, dalla questione se esistano o meno indizi che consentano al soggetto passivo, al momento dell’acquisto da lui effettuato, di sospettare l’esistenza di irregolarità o di una frode. Pertanto, in presenza di indizi di una frode, ci si può attendere una maggiore diligenza dal soggetto passivo. Tuttavia, non si può esigere da quest’ultimo che esso proceda a verifiche complesse e approfondite, come quelle che l’amministrazione finanziaria ha i mezzi per effettuare.

53

La questione se il soggetto passivo abbia dato prova di sufficiente diligenza laddove dimostri, in particolare, di aver stabilito norme interne in materia di acquisti dirette a verificare la situazione dei suoi partner e di rifiutare qualsiasi pagamento in contanti, rientra nella valutazione dei fatti di cui alla controversia principale e, pertanto, nella competenza esclusiva dei giudici nazionali (v., in tal senso, sentenza del 16 giugno 2022, DuoDecad, C‑596/20, EU:C:2022:474, punto 37). Spetta a tali giudici valutare se, alla luce delle circostanze del caso di specie, il soggetto passivo abbia dato prova di sufficiente diligenza e abbia adottato le misure che gli si possono ragionevolmente richiedere in tali circostanze.

54

Dalle considerazioni che precedono risulta che occorre rispondere alla terza questione dichiarando che la direttiva 2006/112, in combinato disposto con il principio di proporzionalità, deve essere interpretata nel senso che:

essa non osta, qualora sussistano indizi che consentano di sospettare l’esistenza di irregolarità o di una frode, a che sia richiesto al soggetto passivo di dar prova di una maggiore diligenza per sincerarsi che l’operazione effettuata non lo conduca a partecipare a una frode;

non si può tuttavia pretendere che esso proceda a verifiche complesse e approfondite come quelle che possono essere effettuate dall’amministrazione finanziaria;

spetta al giudice nazionale valutare se, alla luce di tutte le circostanze del caso di specie, il soggetto passivo abbia dato prova di sufficiente diligenza e abbia adottato le misure che gli si possono ragionevolmente richiedere in tali circostanze.

Sulla quinta e sesta questione

55

Con le sue questioni quinta e sesta, che occorre esaminare congiuntamente, in quarto luogo, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la direttiva 2006/112, il diritto a un equo processo, sancito all’articolo 47 della Carta, e il principio della certezza del diritto debbano essere interpretati nel senso che ostano a che l’autorità tributaria neghi ad un soggetto passivo, in quanto esso non ha rispettato gli obblighi derivanti dalle disposizioni nazionali o dal diritto dell’Unione relative alla sicurezza della catena alimentare, il beneficio del diritto a detrazione, e ciò in mancanza di una previa decisione dell’organo amministrativo competente a constatare una violazione siffatta.

56

Poiché il giudice del rinvio non ha esposto le ragioni per le quali esso interroga la Corte sull’interpretazione del principio della certezza del diritto, queste due questioni non soddisfano a tale riguardo i requisiti di cui all’articolo 94 del regolamento di procedura della Corte, cosicché esse, nella parte in cui riguardano tale principio, sono manifestamente irricevibili.

57

Per quanto riguarda la direttiva 2006/112, la Corte ha dichiarato, al punto 41 della sentenza del 3 ottobre 2019, Altic (C‑329/18, EU:C:2019:831), che l’articolo 168, lettera a), di quest’ultima deve essere interpretato nel senso che osta a che il diritto alla detrazione dell’IVA assolta a monte venga negato a un soggetto passivo partecipante alla catena alimentare per il solo motivo, ammesso che sia debitamente accertato, che tale soggetto passivo non ha rispettato gli obblighi relativi all’individuazione dei suoi fornitori, ai fini della rintracciabilità degli alimenti, incombentigli in forza dell’articolo 18, paragrafo 2, del regolamento n. 178/2002. Essa ha aggiunto che l’inosservanza di tali obblighi può tuttavia costituire uno dei vari elementi che, congiuntamente e in maniera concordante, tendono ad indicare che il soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere di partecipare a un’operazione che si iscriveva in un’evasione dell’IVA.

58

Lo stesso vale, per estensione, per quanto riguarda la violazione delle disposizioni nazionali e di tutte le disposizioni del diritto dell’Unione relative alla sicurezza della catena alimentare e per quanto riguarda la prova tanto dell’esistenza di un’evasione dell’IVA quanto della partecipazione sia attiva sia passiva del soggetto passivo a tale evasione. Infatti, una siffatta violazione non è, di per sé, un elemento che consenta di accertare tali fatti, ma può costituire uno dei vari indizi dell’esistenza della stessa nonché un elemento che può essere preso in considerazione, nell’ambito della valutazione globale di tutti gli elementi e di tutte le circostanze di fatto del caso di specie, per dimostrare che il soggetto passivo ha partecipato a tale evasione, nonostante il fatto che la violazione di cui trattasi non sia stata previamente constatata dall’organo amministrativo competente a conoscere di una siffatta violazione.

59

Poiché il giudice del rinvio si interroga sulla conformità di una prassi dell’autorità tributaria, consistente nel prendere in considerazione una siffatta violazione nonostante non sia stata previamente constatata dall’organo amministrativo competente, con il diritto a un equo processo sancito dall’articolo 47 della Carta, occorre ricordare che, in forza di quest’ultimo, ogni persona i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell’Unione siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice alle condizioni previste da tale articolo. Quest’ultimo, pertanto, non è destinato ad essere applicato al fine di esaminare la regolarità di una prassi amministrativa.

60

Nella misura in cui il giudice del rinvio si chiede se il diritto a un equo processo sancito dall’articolo 47 della Carta debba essere interpretato nel senso che esso osta a che il giudice investito di un ricorso contro la decisione dell’autorità tributaria prenda in considerazione, come elemento di prova dell’esistenza di un’evasione dell’IVA o della partecipazione del soggetto passivo a tale evasione, una violazione degli obblighi derivanti dalle disposizioni nazionali o dal diritto dell’Unione in materia di sicurezza della catena alimentare invocata dall’autorità tributaria, anche in assenza di una previa decisione dell’organo amministrativo nazionale competente a constatare tale violazione, si deve ricordare che, per soddisfare le condizioni connesse al diritto a un equo processo, occorre che le parti abbiano conoscenza e possano discutere in contraddittorio gli elementi di fatto e di diritto decisivi per l’esito del procedimento (sentenza del 16 ottobre 2019, Glencore Agriculture Hungary, C‑189/18, EU:C:2019:861, punto 62 e giurisprudenza ivi citata).

61

Di conseguenza, la facoltà, per il giudice investito del ricorso avverso la decisione dell’autorità tributaria, di prendere in considerazione, quale elemento di prova dell’esistenza di una frode dell’IVA o della partecipazione del soggetto passivo alla stessa, la violazione degli obblighi derivanti dalle disposizioni nazionali o dal diritto dell’Unione relative alla sicurezza della catena alimentare non pregiudica il diritto a un equo processo, se detto elemento di prova può essere contestato e discusso in contraddittorio dinanzi a tale giudice.

62

Per contro, qualora detto giudice non sia competente a esaminare l’esistenza di una violazione degli obblighi derivanti dalle disposizioni nazionali o dal diritto dell’Unione relative alla sicurezza della catena alimentare, dedotta come elemento di prova dell’esistenza di una evasione dell’IVA o della partecipazione del soggetto passivo a tale evasione, tale elemento non può essere preso in considerazione senza violare il diritto a un ricorso giurisdizionale effettivo e deve, di conseguenza, essere scartato (v., per analogia, sentenze del 17 dicembre 2015, WebMindLicenses, C‑419/14, EU:C:2015:832, punti da 87 a 89, e del 16 ottobre 2019, Glencore Agriculture Hungary, C‑189/18, EU:C:2019:861, punti da 66 a 68).

63

Alla luce delle suesposte considerazioni, occorre rispondere alle questioni quinta e sesta dichiarando che:

la direttiva 2006/112 deve essere interpretata, da un lato, nel senso che essa osta a che l’autorità tributaria neghi ad un soggetto passivo, per il solo motivo che lo stesso non ha rispettato gli obblighi derivanti dalle disposizioni nazionali o dal diritto dell’Unione relative alla sicurezza della catena alimentare, l’esercizio del diritto a detrazione dell’IVA e, dall’altro, che l’inosservanza di tali obblighi può tuttavia costituire uno degli elementi che può essere preso in considerazione dall’autorità tributaria per accertare tanto l’esistenza di una frode dell’IVA quanto la partecipazione di detto soggetto passivo alla frode di cui trattasi, anche in assenza di una previa decisione dell’organo amministrativo competente a constatare una tale violazione;

il diritto a un equo processo, sancito dall’articolo 47 della Carta, deve essere interpretato nel senso che esso non osta a che il giudice investito del ricorso avverso la decisione dell’autorità tributaria prenda in considerazione, quale elemento di prova dell’esistenza di una frode dell’IVA o della partecipazione del soggetto passivo a tale frode, una violazione di detti obblighi, qualora tale elemento di prova possa essere contestato e discusso in contraddittorio dinanzi ad esso.

Sulla prima questione

64

Con la sua prima questione, che occorre esaminare in quinto e ultimo luogo, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la direttiva 2006/112 e il principio di neutralità fiscale debbano essere interpretati nel senso che ostano ad una prassi tributaria consistente, al fine di negare ad un soggetto passivo il beneficio del diritto a detrazione dell’IVA per il motivo che ha partecipato a una frode dell’IVA, nel prendere in considerazione il fatto che il legale rappresentante del mandatario del soggetto passivo era venuto a conoscenza dei fatti costitutivi di tale frode, indipendentemente dalle disposizioni nazionali applicabili relative al mandato e dalle clausole del contratto di mandato concluso nel caso di specie.

65

Come ricordato al punto 26 della presente sentenza, la lotta contro le evasioni costituisce un obiettivo riconosciuto e incoraggiato dalla direttiva 2006/112.

66

Inoltre, dai punti 29 e 40 della presente sentenza, secondo cui, da un lato, l’istituzione di un sistema di responsabilità oggettiva andrebbe al di là di quanto necessario per garantire i diritti dell’Erario e, dall’altro, il soggetto passivo che sapeva o avrebbe dovuto sapere che, con il proprio acquisto, partecipava a un’operazione che si iscriveva in un’evasione collabora con gli autori di detta evasione e ne diviene complice, risulta che una siffatta partecipazione integra una condotta colposa di cui il soggetto passivo de quo è chiamato a rispondere (v., in tal senso, ordinanza del 14 aprile 2021, Finanzamt Wilmersdorf, C‑108/20, EU:C:2021:266, punto 36).

67

A prescindere dalle norme nazionali che disciplinano il mandato e le clausole del contratto di mandato con il quale il soggetto passivo ha affidato ad un terzo l’esecuzione delle operazioni imponibili, il soggetto passivo non può, nei confronti dell’Erario, sottrarsi a tale responsabilità avvalendosi dell’esistenza di un contratto di mandato, delle norme nazionali che disciplinano quest’ultimo o delle clausole di tale contratto e sostenendo di ignorare i fatti costitutivi di un’evasione dell’IVA noti al suo mandatario. Infatti, ammettere che il soggetto passivo possa agire in tal modo faciliterebbe l’evasione e contrasterebbe così con l’obiettivo della lotta alle evasioni all’IVA.

68

Dalle considerazioni che precedono risulta che si deve rispondere alla prima questione dichiarando che la direttiva 2006/112 e il principio di neutralità fiscale devono essere interpretati nel senso che non ostano ad una prassi tributaria consistente, per negare ad un soggetto passivo il beneficio del diritto a detrazione per il motivo che ha partecipato a una frode dell’IVA, nel prendere in considerazione il fatto che il legale rappresentante del mandatario del soggetto passivo era venuto a conoscenza dei fatti costitutivi di tale frode, indipendentemente dalle disposizioni nazionali applicabili relative al mandato e dalle clausole del contratto di mandato concluso nel caso di specie.

Sulle spese

69

Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

 

Per questi motivi, la Corte (Decima Sezione) dichiara:

 

1)

La direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto,

deve essere interpretata nel senso che:

essa osta, qualora l’autorità tributaria intenda negare ad un soggetto passivo il beneficio del diritto alla detrazione dell’imposta sul valore aggiunto (IVA) assolta a monte per il motivo che tale soggetto passivo ha partecipato ad una frode dell’IVA di tipo carosello, a che tale autorità tributaria si limiti a stabilire che tale operazione fa parte di una catena di fatturazione circolare;

spetta a detta autorità tributaria, da un lato, individuare con precisione gli elementi costitutivi della frode e dimostrare le condotte fraudolente e, dall’altro, dimostrare che il soggetto passivo ha partecipato attivamente a tale frode o che sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata a fondamento di tale diritto si iscriveva in detta frode, il che non implica necessariamente l’identificazione di tutti i soggetti che hanno partecipato alla frode nonché dei loro rispettivi comportamenti.

 

2)

La direttiva 2006/112

deve essere interpretata nel senso che:

essa non osta, qualora l’autorità tributaria attesti una partecipazione attiva del soggetto passivo a una frode dell’imposta sul valore aggiunto per negare il diritto alla detrazione, a che tale autorità tributaria fondi tale diniego, in via complementare o subordinata, su elementi di prova che dimostrino non una siffatta partecipazione, bensì il fatto che tale soggetto passivo, dando prova di tutta la diligenza richiesta, avrebbe potuto sapere che l’operazione di cui trattasi si iscriveva in una siffatta frode;

la mera circostanza che i membri della catena di cessioni, di cui fa parte tale operazione, si conoscessero non costituisce un elemento sufficiente per dimostrare la partecipazione del soggetto passivo alla frode.

 

3)

La direttiva 2006/112, in combinato disposto con il principio di proporzionalità,

deve essere interpretata nel senso che:

essa non osta, qualora sussistano indizi che consentano di sospettare l’esistenza di irregolarità o di una frode, a che sia richiesto al soggetto passivo di dar prova di una maggiore diligenza per assicurarsi che l’operazione effettuata non lo conduca a partecipare a una frode;

non si può tuttavia pretendere che esso proceda a verifiche complesse e approfondite come quelle che possono essere effettuate dall’amministrazione finanziaria;

spetta al giudice nazionale valutare se, alla luce di tutte le circostanze del caso di specie, il soggetto passivo abbia dato prova di sufficiente diligenza e abbia adottato le misure che gli si possono ragionevolmente richiedere in tali circostanze.

 

4)

La direttiva 2006/112

deve essere interpretata nel senso che:

essa osta a che l’autorità tributaria neghi ad un soggetto passivo, per il solo motivo che lo stesso non ha rispettato gli obblighi derivanti dalle disposizioni nazionali o dal diritto dell’Unione relative alla sicurezza della catena alimentare, l’esercizio del diritto a detrazione dell’imposta sul valore aggiunto (IVA);

l’inosservanza di tali obblighi può tuttavia costituire uno degli elementi che può essere preso in considerazione dall’autorità tributaria per accertare tanto l’esistenza di una frode dell’IVA quanto la partecipazione di detto soggetto passivo alla frode di cui trattasi, anche in assenza di una previa decisione dell’organo amministrativo competente a constatare una tale violazione;

 

5)

Il diritto a un equo processo, sancito dall’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea,

deve essere interpretato nel senso che:

esso non osta a che il giudice investito del ricorso avverso la decisione dell’autorità tributaria prenda in considerazione, quale elemento di prova dell’esistenza di una frode dell’imposta sul valore aggiunto o della partecipazione del soggetto passivo a tale frode, una violazione di detti obblighi, qualora tale elemento di prova possa essere contestato e discusso in contraddittorio dinanzi ad esso.

 

6)

La direttiva 2006/112 e il principio di neutralità fiscale

devono essere interpretati nel senso che:

non ostano ad una prassi tributaria consistente, per negare ad un soggetto passivo il beneficio del diritto a detrazione per il motivo che ha partecipato a una frode dell’imposta sul valore aggiunto, nel prendere in considerazione il fatto che il legale rappresentante del mandatario del soggetto passivo era venuto a conoscenza dei fatti costitutivi di tale frode, indipendentemente dalle disposizioni nazionali applicabili relative al mandato e dalle clausole del contratto di mandato concluso nel caso di specie.

 

Firme


( *1 ) Lingua processuale: l’ungherese.

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