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Document 62021CJ0478

Sentenza della Corte (Seconda Sezione) del 21 settembre 2023.
China Chamber of Commerce for Import and Export of Machinery and Electronic Products e a. contro Commissione europea.
Impugnazione – Dumping – Regolamento di esecuzione (UE) 2018/140 – Importazioni di determinati lavori di ghisa originari della Repubblica popolare cinese e dell’India – Dazio antidumping definitivo – Ricorso di annullamento – Ricevibilità – Legittimazione ad agire – Associazione rappresentativa di esportatori – Regolamento (UE) 2016/1036 – Articolo 3, paragrafi 2, 3, 6 e 7 – Pregiudizio – Calcolo del volume delle importazioni – Prove positive – Esame obiettivo – Estrapolazione – Calcolo del costo di produzione dell’industria dell’Unione europea – Prezzi fatturati infragruppo – Nesso causale – Analisi del pregiudizio per segmento – Insussistenza – Articolo 6, paragrafo 7 – Articolo 20, paragrafi 2 e 4 – Diritti procedurali.
Causa C-478/21 P.

Court reports – general – 'Information on unpublished decisions' section

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2023:685

 SENTENZA DELLA CORTE (Seconda Sezione)

21 settembre 2023 ( *1 )

Indice

 

I. Contesto normativo

 

A. Diritto dell’OMC

 

B. Diritto dell’Unione

 

II. Fatti

 

III. Procedimento dinanzi al Tribunale e sentenza impugnata

 

IV. Conclusioni delle parti

 

V. Sull’impugnazione

 

A. Sulla ricevibilità del ricorso dinanzi al Tribunale

 

1. Sulla legittimazione ad agire della CCCME a nome proprio

 

a) Argomenti delle parti

 

b) Giudizio della Corte

 

2. Sul potere della CCCME di rappresentare i suoi membri in giudizio

 

a) Argomenti delle parti

 

b) Giudizio della Corte

 

3. Sulla regolarità dei mandati forniti dalle altre nove ricorrenti ai loro avvocati

 

a) Argomenti delle parti

 

b) Giudizio della Corte

 

4. Conclusioni sulla ricevibilità del ricorso dinanzi al Tribunale

 

B. Nel merito

 

1. Sul primo motivo

 

a) Argomenti delle parti

 

b) Giudizio della Corte

 

1) Considerazioni preliminari

 

2) Sulla prima parte del primo motivo

 

3) Sulla seconda parte del primo motivo

 

2. Sul secondo motivo

 

a) Argomenti delle parti

 

b) Giudizio della Corte

 

3. Sul terzo motivo

 

a) Sulla prima parte del terzo motivo

 

1) Argomenti delle parti

 

2) Giudizio della Corte

 

b) Sulla seconda parte del terzo motivo

 

1) Argomenti delle parti

 

2) Giudizio della Corte

 

4. Sul quarto motivo

 

a) Argomenti delle parti

 

b) Giudizio della Corte

 

5. Sul quinto motivo

 

a) Considerazioni preliminari

 

b) Sulla prima parte del quinto motivo

 

1) Argomenti delle parti

 

2) Giudizio della Corte

 

Sulle spese

«Impugnazione – Dumping – Regolamento di esecuzione (UE) 2018/140 – Importazioni di determinati lavori di ghisa originari della Repubblica popolare cinese e dell’India – Dazio antidumping definitivo – Ricorso di annullamento – Ricevibilità – Legittimazione ad agire – Associazione rappresentativa di esportatori – Regolamento (UE) 2016/1036 – Articolo 3, paragrafi 2, 3, 6 e 7 – Pregiudizio – Calcolo del volume delle importazioni – Prove positive – Esame obiettivo – Estrapolazione – Calcolo del costo di produzione dell’industria dell’Unione europea – Prezzi fatturati infragruppo – Nesso causale – Analisi del pregiudizio per segmento – Insussistenza – Articolo 6, paragrafo 7 – Articolo 20, paragrafi 2 e 4 – Diritti procedurali»

Nella causa C‑478/21 P,

avente ad oggetto l’impugnazione, ai sensi dell’articolo 56 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, proposta il 2 agosto 2021,

China Chamber of Commerce for Import and Export of Machinery and Electronic Products, con sede in Pechino (Cina),

Cangzhou Qinghong Foundry Co. Ltd, con sede in Cangzhou City (Cina),

Botou City Qinghong Foundry Co. Ltd, con sede in Botou City (Cina),

Lingshou County Boyuan Foundry Co. Ltd, con sede in Sanshengyuan Town (Cina),

Handan Qunshan Foundry Co. Ltd, con sede in Xiaozhai Town (Cina),

Heping Cast Co. Ltd Yi County, con sede in Liang Village (Cina),

Hong Guang Handan Cast Foundry Co. Ltd, con sede in Xiaozhai Town,

Shanxi Yuansheng Casting and Forging Industrial Co. Ltd, con sede in Shenshan (Cina),

Botou City Wangwu Town Tianlong Casting Factory, con sede in Wangwu Town (Cina),

Tangxian Hongyue Machinery Accessory Foundry Co. Ltd, con sede in Beiluo Town (Cina),

rappresentate da R. Antonini, avvocato, B. Maniatis e E. Monard, avocats,

ricorrenti,

procedimento in cui le altre parti sono:

Commissione europea, rappresentata inizialmente da T. Maxian Rusche e P. Němečková, successivamente da K. Blanck, P. Němečková e T. Maxian Rusche, e infine da T. Maxian Rusche e P. Němečková, in qualità di agenti,

convenuta in primo grado,

EJ Picardie, con sede in Saint-Crépin Ibouvillers (Francia),

Fondatel Lecomte, con sede in Andenne (Belgio),

Fonderies Dechaumont, con sede in Muret (Francia),

Fundiciones de Ódena SA, con sede in Ódena (Spagna),

Heinrich Meier Eisengießerei GmbH & Co. KG, con sede in Rahden (Germania),

Saint-Gobain Construction Products UK Ltd, con sede in East Leake (Regno Unito),

Saint-Gobain PAM Canalisation, già Saint-Gobain PAM, con sede in Pont-à-Mousson (Francia),

Ulefos Oy, con sede in Vantaa (Finlandia),

rappresentate inizialmente da M. Hommé e B. O’Connor, avocats, successivamente da M. Hommé, B. O’Connor, avocats, e U. O’Dwyer, solicitor,

intervenienti in primo grado,

LA CORTE (Seconda Sezione),

composta da A. Prechal (relatrice), presidente di sezione, M.L. Arastey Sahún, F. Biltgen, N. Wahl e J. Passer, giudici,

avvocato generale: L. Medina

cancelliere: M. Longar, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 5 ottobre 2022,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 16 febbraio 2023,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1

Con la loro impugnazione, la China Chamber of Commerce for Import and Export of Machinery and Electronic Products (camera di commercio cinese per l’importazione e l’esportazione di macchinari e prodotti elettronici; in prosieguo: la «CCCME»), la Cangzhou Qinghong Foundry Co. Ltd, la Botou City Qinghong Foundry Co. Ltd, la Lingshou County Boyuan Foundry Co. Ltd, la Handan Qunshan Foundry Co. Ltd, la Heping Cast Co. Ltd Yi County, la Hong Guang Handan Cast Foundry Co. Ltd, la Shanxi Yuansheng Casting and Forging Industrial Co. Ltd, la Botou City Wangwu Town Tianlong Casting Factory e la Tangxian Hongyue Machinery Accessory Foundry Co. Ltd (in prosieguo: le «altre nove ricorrenti») chiedono l’annullamento della sentenza del Tribunale dell’Unione europea del 19 maggio 2021, China Chamber of Commerce for Import and Export of Machinery and Electronic Products e a./Commissione (T‑254/18, in prosieguo: la sentenza impugnata, EU:T:2021:278), con la quale quest’ultimo ha respinto il ricorso delle ricorrenti diretto all’annullamento del regolamento di esecuzione (UE) 2018/140 della Commissione, del 29 gennaio 2018, che istituisce un dazio antidumping definitivo e dispone la riscossione definitiva del dazio provvisorio sulle importazioni di determinati lavori di ghisa originari della Repubblica popolare cinese e chiude l’inchiesta sulle importazioni di determinati lavori di ghisa originari dell’India (GU 2018, L 25, pag. 6; in prosieguo: il «regolamento controverso»), nella misura in cui tale regolamento di esecuzione le riguardava.

I. Contesto normativo

A. Diritto dell’OMC

2

Con la decisione 94/800/CE del Consiglio, del 22 dicembre 1994, relativa alla conclusione a nome della Comunità europea, per le materie di sua competenza, degli accordi dei negoziati multilaterali dell’Uruguay Round (1986-1994) (GU 1994, L 336, pag. 1), il Consiglio dell’Unione europea ha approvato l’accordo che istituisce l’Organizzazione mondiale del commercio (OMC), firmato a Marrakech il 15 aprile 1994, e gli accordi contenuti negli allegati da 1 a 3 di tale accordo, tra i quali figura l’accordo relativo all’applicazione dell’articolo VI dell’accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio 1994 (GU 1994, L 336, pag. 103; in prosieguo: l’«accordo antidumping»).

3

L’articolo 3.1 dell’accordo antidumping così prevede:

«La determinazione di un pregiudizio ai fini dell’articolo VI [dell’accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio (GATT) del 1994] deve basarsi su elementi di prova diretti e comportare un esame obiettivo a) del volume delle importazioni oggetto di dumping e del loro effetto sui prezzi dei prodotti simili sul mercato interno e b) dell’incidenza di tali importazioni sui produttori nazionali di tali prodotti».

4

L’articolo 6.11 di tale accordo così dispone:

«Ai fini del presente accordo, con l’espressione “parti interessate” s’intende:

i)

un esportatore o produttore straniero o l’importatore di un prodotto oggetto d’inchiesta, ovvero un’associazione commerciale o di categoria i cui membri siano in maggioranza produttori, esportatori o importatori del prodotto in questione;

ii)

il governo dell’esportatore membro, e

iii)

un produttore del prodotto simile nell’importatore membro, ovvero un’associazione commerciale o di categoria, la maggioranza dei cui membri produce il prodotto simile nel territorio dell’importatore.

Il succitato elenco non impedisce ai membri di includere in tale elenco come parti interessate soggetti nazionali o stranieri diversi da quelli sopra indicati».

B. Diritto dell’Unione

5

Il considerando 12 del regolamento (UE) 2016/1036 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’8 giugno 2016, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri dell’Unione europea (GU 2016, L 176, pag. 21 e rettifica in GU 2017, L 320, pag. 33; in prosieguo: il «regolamento di base»), è così formulato:

«È necessario stabilire le modalità secondo le quali si comunicano alle parti interessate le informazioni richieste dalle autorità. Alle parti interessate devono essere accordate ampie possibilità per la presentazione di tutti gli elementi di prova pertinenti e la difesa dei propri interessi. È inoltre opportuno fissare chiaramente le norme e le procedure da seguire durante l’inchiesta, precisando che le parti interessate devono manifestarsi, presentare le loro osservazioni e comunicare le informazioni pertinenti entro termini precisi, affinché le osservazioni e i dati comunicati possano essere presi in considerazione. È inoltre opportuno fissare a quali condizioni le parti interessate possono avere accesso alle informazioni comunicate dalle altre parti e presentare osservazioni in merito. Gli Stati membri e la Commissione [europea] dovrebbero collaborare riguardo alla raccolta di informazioni».

6

Ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 4, di tale regolamento:

«Ai fini del presente regolamento, per “prodotto simile” si intende un prodotto identico, vale a dire simile sotto tutti gli aspetti al prodotto considerato oppure, in mancanza di un tale prodotto, un altro prodotto che, pur non essendo simile sotto tutti gli aspetti, abbia caratteristiche molto somiglianti a quelle del prodotto considerato».

7

L’articolo 3 di detto regolamento, intitolato «Accertamento di un pregiudizio», recita:

«1.   Ai fini del presente regolamento si intende per pregiudizio, salvo altrimenti disposto, un pregiudizio notevole, la minaccia di un pregiudizio notevole a danno dell’industria dell’Unione [europea], oppure un grave ritardo nella creazione di tale industria. Il termine è interpretato a norma del presente articolo.

2.   L’accertamento di un pregiudizio si basa su prove positive e implica un esame obiettivo:

a)

del volume delle importazioni oggetto di dumping e dei loro effetti sui prezzi dei prodotti simili sul mercato dell’Unione; e

b)

dell’incidenza di tali importazioni sull’industria dell’Unione.

3.   Per quanto riguarda il volume delle importazioni oggetto di dumping, occorre esaminare se queste ultime sono aumentate in misura significativa, tanto in termini assoluti quanto in rapporto alla produzione o al consumo nell’Unione. Riguardo agli effetti sui prezzi si esamina se le importazioni oggetto di dumping sono state effettuate a prezzi sensibilmente inferiori a quelli dei prodotti simili dell’industria dell’Unione oppure se tali importazioni hanno comunque l’effetto di deprimere notevolmente i prezzi o di impedire in misura notevole aumenti che altrimenti sarebbero intervenuti. Tali fattori, singolarmente o combinati, non costituiscono necessariamente una base di giudizio determinante.

(...)

5.   L’esame dell’incidenza delle importazioni oggetto di dumping sull’industria dell’Unione interessata comprende una valutazione di tutti i fattori e indicatori economici pertinenti in rapporto con la situazione dell’industria, quali il fatto che l’industria non abbia ancora completamente superato le conseguenze di precedenti pratiche di dumping o di sovvenzioni; l’entità del margine di dumping effettivo; la diminuzione reale e potenziale delle vendite, dei profitti, della produzione, della quota di mercato, della produttività, dell’utile sul capitale investito e dell’utilizzazione della capacità produttiva; i fattori che incidono sui prezzi nell’Unione; gli effetti negativi, reali e potenziali, sul flusso di cassa, sulle scorte, sull’occupazione, sui salari, sulla crescita e sulla capacità di ottenere capitale o investimenti. Detto elenco non è tassativo, né tali fattori, singolarmente o combinati, costituiscono necessariamente una base di giudizio determinante.

6.   Deve essere dimostrato, in base a tutti gli elementi di prova, presentati a norma del paragrafo 2, che le importazioni oggetto di dumping causano pregiudizio ai sensi del presente regolamento. In particolare, occorre dimostrare che il volume e/o i prezzi individuati a norma del paragrafo 3 hanno sull’industria dell’Unione gli effetti contemplati nel paragrafo 5 e che tale incidenza si manifesta in maniera che può essere considerata [notevole].

7.   Oltre alle importazioni oggetto di dumping, sono esaminati anche i fattori noti che contemporaneamente causano pregiudizio all’industria dell’Unione per evitare che il pregiudizio dovuto a tali fattori sia attribuito alle importazioni oggetto di dumping a norma del paragrafo 6. I fattori che possono essere presi in considerazione a tale proposito comprendono, tra l’altro, il volume e i prezzi delle importazioni non vendute a prezzi di dumping; la contrazione della domanda oppure le variazioni dell’andamento dei consumi; le restrizioni commerciali attuate da produttori di paesi terzi e dell’Unione nonché la concorrenza tra gli stessi; e gli sviluppi tecnologici e le prestazioni dell’industria dell’Unione in materia di esportazioni e di produttività.

(...)».

8

L’articolo 5, paragrafi 10 e 11, del medesimo regolamento, così dispone:

«10.   L’avviso di apertura del procedimento annuncia l’inizio dell’inchiesta, indica il prodotto e i paesi interessati, fornisce un riassunto delle informazioni ricevute e dispone che tutte le informazioni pertinenti devono essere comunicate alla Commissione.

L’avviso fissa inoltre i termini entro i quali le parti interessate possono manifestarsi, comunicare per iscritto le loro osservazioni e presentare le informazioni necessarie affinché tali osservazioni e informazioni possano essere prese in considerazione nel corso dell’inchiesta. L’avviso precisa inoltre il periodo entro il quale le parti interessate possono chiedere di essere sentite dalla Commissione conformemente all’articolo 6, paragrafo 5.

11.   La Commissione informa gli esportatori, importatori e associazioni rappresentative degli importatori o degli esportatori notoriamente interessati, nonché i rappresentanti dei paesi esportatori e i denuncianti, in merito all’apertura del procedimento e, tenendo debitamente conto dell’esigenza di tutelare le informazioni riservate, fornisce il testo integrale della denuncia scritta ricevuta a norma del paragrafo 1, agli esportatori interessati e alle autorità del paese esportatore, nonché alle altre parti interessate implicate nell’inchiesta che ne facciano richiesta. Se gli esportatori interessati sono molto numerosi, il testo integrale della denuncia scritta può essere fornito unicamente alle autorità del paese esportatore e alle relative associazioni di categoria».

9

L’articolo 6 del regolamento di base, intitolato «Inchiesta», prevede quanto segue:

«1.   Dopo l’apertura del procedimento, la Commissione, in collaborazione con gli Stati membri, avvia un’inchiesta a livello dell’Unione. Tale inchiesta riguarda tanto le pratiche di dumping quanto il pregiudizio, i cui aspetti sono esaminati simultaneamente.

(...)

3.   La Commissione può chiedere agli Stati membri di fornirle informazioni e gli Stati membri adottano le disposizioni necessarie per soddisfare tali richieste.

Essi comunicano alla Commissione le informazioni richieste, nonché i risultati delle verifiche, dei controlli o delle inchieste effettuati.

Quando tali informazioni sono di interesse generale, o sono richieste da uno Stato membro, la Commissione le comunica agli Stati membri, a condizione che non siano riservate. Se tali informazioni sono riservate è comunicato un riassunto non riservato.

4.   La Commissione può chiedere agli Stati membri di svolgere le verifiche e i controlli necessari, in particolare presso gli importatori, gli operatori commerciali ed i produttori dell’Unione e di effettuare inchieste in paesi terzi, a condizione che le imprese interessate siano d’accordo e che il governo del paese considerato sia stato ufficialmente informato e non abbia sollevato obiezioni.

Gli Stati membri adottano le disposizioni necessarie per soddisfare tali richieste della Commissione.

Funzionari della Commissione possono, a richiesta di quest’ultima o di uno Stato membro, assistere gli agenti degli Stati membri nell’adempimento delle loro funzioni.

5.   Le parti interessate, che si sono manifestate a norma dell’articolo 5, paragrafo 10, sono sentite a condizione che, nel termine fissato dall’avviso pubblicato nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea, presentino una domanda scritta nella quale dimostrino di essere parti in causa che potrebbero essere coinvolte dall’esito del procedimento e di avere particolari motivi per chiedere di essere sentite.

(...)

7.   I denuncianti, gli importatori, gli esportatori e le loro associazioni rappresentative, gli utenti e le organizzazioni di consumatori che si sono manifestati a norma dell’articolo 5, paragrafo 10, nonché i rappresentanti del paese esportatore, che ne facciano richiesta per iscritto possono prendere conoscenza di tutte le informazioni fornite dalle parti interessate all’inchiesta, tranne i documenti interni preparati dalle autorità dell’Unione o degli Stati membri, purché tali informazioni siano pertinenti per la tutela dei loro interessi, non siano riservate ai sensi dell’articolo 19 e siano utilizzate nell’inchiesta.

Le parti possono rispondere presentando le loro osservazioni, che sono prese in considerazione, purché siano accompagnate da sufficienti elementi di prova.

(...)

9.   Per i procedimenti avviati a norma dell’articolo 5, paragrafo 9, l’inchiesta è conclusa, ove possibile, entro un anno. In ogni caso, essa si conclude entro quindici mesi dall’inizio, conformemente alle conclusioni raggiunte a norma [dell’articolo 8 in materia di impegni o dell’articolo 9 in materia di azione definitiva]».

10

Ai sensi dell’articolo 17 di tale regolamento, intitolato «Campionamento»:

«1.   Nei casi in cui il numero di denuncianti, esportatori o importatori, tipi di prodotto o operazioni è molto elevato, l’inchiesta può essere limitata ad un numero adeguato di parti, prodotti o operazioni con l’utilizzazione di campioni statisticamente validi, sulla base delle informazioni disponibili al momento della selezione, oppure al massimo volume rappresentativo della produzione, delle vendite o delle esportazioni che possa essere adeguatamente esaminato entro il periodo di tempo disponibile.

2.   La selezione definitiva di parti, tipi di prodotti o operazioni a norma delle disposizioni in materia di campionamento spetta alla Commissione, anche se di preferenza la scelta del campione avviene previa consultazione e con il consenso delle parti interessate, a condizione che dette parti, entro tre settimane dalla data di apertura dell’inchiesta, si siano manifestate e abbiano comunicato informazioni sufficienti ai fini della selezione di un campione rappresentativo.

(...)».

11

L’articolo 20 di detto regolamento, intitolato «Divulgazione di informazioni», dispone:

«1.   I denuncianti, gli importatori, gli esportatori e le loro associazioni rappresentative e i rappresentanti del paese esportatore possono chiedere di essere informati degli elementi specifici dei principali fatti e considerazioni in base ai quali sono state istituite le misure provvisorie. Le domande di informazioni devono essere presentate per iscritto immediatamente dopo l’istituzione delle misure provvisorie e le informazioni sono comunicate il più rapidamente possibile per iscritto.

2.   Le parti di cui al paragrafo 1 possono chiedere di essere informate dei principali fatti e considerazioni in base ai quali si intende raccomandare l’istituzione di misure definitive oppure la chiusura di un’inchiesta o di un procedimento senza l’istituzione di misure definitive, in particolare per quanto riguarda eventuali fatti e considerazioni diversi da quelli utilizzati per le misure provvisorie.

3.   Le domande di informazioni a norma del paragrafo 2 devono essere inviate alla Commissione per iscritto e, qualora sia stato istituito un dazio provvisorio, devono pervenire entro un mese a decorrere dalla data di pubblicazione dell’istituzione del dazio. Se non è stato istituito un dazio provvisorio, le parti hanno la possibilità di chiedere informazioni finali entro i termini fissati dalla Commissione.

(...)».

12

L’articolo 21, paragrafo 2, del medesimo regolamento è formulato nei termini seguenti:

«Affinché le autorità possano tener conto, in base a validi elementi, di tutte le osservazioni e informazioni per decidere se l’istituzione delle misure sia nell’interesse dell’Unione, i denuncianti, gli importatori e le loro associazioni rappresentative, gli utenti rappresentativi e le organizzazioni rappresentative dei consumatori possono manifestarsi e comunicare informazioni alla Commissione, entro i termini indicati nell’avviso di apertura dell’inchiesta antidumping. Tali informazioni oppure i relativi riassunti sono comunicati alle altre parti citate nel presente articolo, le quali possono esprimersi in merito».

II. Fatti

13

I fatti all’origine della controversia, presentati ai punti da 1 a 9 della sentenza impugnata, possono essere riassunti come segue ai fini della presente sentenza.

14

Il 31 ottobre 2016 sette produttori di lavori di ghisa dell’Unione hanno presentato una denuncia alla Commissione, affinché essa avviasse un procedimento antidumping riguardante le importazioni di taluni di tali lavori originari della Repubblica popolare cinese (in prosieguo: la «RPC») e della Repubblica dell’India. Tale denuncia è stata sostenuta da altri due produttori di lavori di ghisa dell’Unione (questi nove produttori sono denominati, in prosieguo: i «denuncianti»).

15

Il 10 dicembre 2016 la Commissione ha pubblicato un avviso di apertura di un procedimento antidumping relativo alle importazioni di determinati lavori di ghisa originari della Repubblica popolare cinese e dell’India (GU 2016, C 461, pag. 22). Il prodotto oggetto di tale procedimento corrisponde a chiusini per pozzetti. Esso è stato definito, al punto 2 di tale avviso, come costituito da determinati lavori di ghisa a grafite lamellare, detta anche «ghisa grigia», o ghisa a grafite sferoidale, detta anche «ghisa duttile», e loro parti, utilizzati per coprire sistemi superficiali o sotterranei e/o accessi a sistemi superficiali o sotterranei, e anche per dare accesso a sistemi superficiali o sotterranei e/o consentire la visuale su sistemi superficiali o sotterranei (in prosieguo: il «prodotto in esame»).

16

L’inchiesta relativa al dumping e al pregiudizio ha riguardato il periodo compreso tra il 1o ottobre 2015 e il 30 settembre 2016 (in prosieguo: il «periodo dell’inchiesta»). L’analisi delle tendenze utili per valutare il pregiudizio ha riguardato il periodo compreso tra il 1o gennaio 2013 e il 30 settembre 2016 (in prosieguo: «il periodo considerato»).

17

La CCCME è un’associazione di diritto cinese che annovera tra i suoi membri produttori esportatori cinesi del prodotto in esame. Essa ha partecipato al procedimento antidumping relativo alle importazioni del prodotto in esame. Le altre nove persone giuridiche sono produttori esportatori cinesi del prodotto in esame, due dei quali sono stati selezionati dalla Commissione per far parte del campione di produttori esportatori cinesi impiegati ai fini di tale procedimento.

18

Il 16 agosto 2017 la Commissione ha adottato il regolamento di esecuzione (UE) 2017/1480, che istituisce un dazio antidumping provvisorio sulle importazioni di determinati lavori di ghisa originari della Repubblica popolare cinese (GU 2017, L 211, pag. 14; in prosieguo: il «regolamento provvisorio»).

19

Il 29 gennaio 2018 la Commissione ha adottato il regolamento controverso, con il quale ha imposto un dazio antidumping definitivo sulle importazioni di determinati lavori di ghisa originari della RPC.

III. Procedimento dinanzi al Tribunale e sentenza impugnata

20

Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 23 aprile 2018 le ricorrenti hanno chiesto l’annullamento del regolamento controverso.

21

Con ordinanza del 24 ottobre 2018 il presidente della Prima Sezione del Tribunale ha ammesso la EJ Picardie, la Fondatel Lecomte, le Fonderies Dechaumont, la Fundiciones de Ódena SA, la Heinrich Meier Eisengießerei GmbH & Co. KG, la Saint Gobain Construction Products UK Ltd, la Saint Gobain PAM Canalisation, già Saint-Gobain PAM, e la Ulefos Oy (in prosieguo: le «intervenienti») a intervenire a sostegno delle conclusioni della Commissione.

22

A sostegno del ricorso dinanzi al Tribunale, le ricorrenti hanno dedotto sei motivi. La Commissione ha contestato sia la ricevibilità che la fondatezza di tale ricorso.

23

Per quanto riguarda la ricevibilità di detto ricorso, solo le valutazioni del Tribunale vertenti, da un lato, sulla legittimazione ad agire in giudizio della CCCME a nome proprio e a nome dei suoi membri e, dall’altro, sui mandati conferiti dalle altre nove ricorrenti ai loro avvocati per rappresentarle in giudizio sono pertinenti nell’ambito della presente impugnazione.

24

Per quanto riguarda la legittimazione ad agire in giudizio della CCCME a nome proprio al fine di tutelare i suoi diritti procedurali, la Commissione ha sostenuto che essa non possedeva tale legittimazione in quanto dei diritti procedurali le erano stati concessi per errore nel corso del procedimento amministrativo. Il Tribunale ha respinto tale eccezione di irricevibilità considerando, in sostanza, che nel corso dell’intero procedimento amministrativo la CCCME era stata considerata una parte interessata alla quale dovevano essere concessi diritti procedurali e che un errore a tale riguardo, ammesso che fosse accertato, non poteva incidere su quanto era stato riconosciuto e conferito durante il procedimento amministrativo.

25

Per quanto riguarda la legittimazione ad agire in giudizio della CCCME a nome dei suoi membri, il Tribunale ha respinto l’obiezione della Commissione secondo cui la CCCME non poteva rappresentare i suoi membri in giudizio in quanto non era un’associazione rappresentativa, ai sensi della tradizione giuridica comune degli Stati membri. Secondo il Tribunale, un siffatto requisito non è richiesto affinché un’associazione possa agire a nome dei suoi membri dinanzi ai giudici dell’Unione.

26

Per quanto attiene ai mandati conferiti dalle altre nove ricorrenti ai loro avvocati, la Commissione ha asserito che essi non erano validi in quanto la funzione dei loro firmatari non era ivi chiaramente individuata e il potere di questi ultimi di firmare tali mandati non era dimostrato. Il Tribunale ha respinto tale obiezione considerando che il suo regolamento di procedura non richiedeva la prova che il mandato dato all’avvocato gli fosse stato conferito da un rappresentante a ciò legittimato.

27

Per quanto riguarda la fondatezza del ricorso delle ricorrenti, solo le valutazioni del Tribunale relative alla prima e alla quinta parte del primo motivo, alla seconda e alla terza parte del secondo motivo nonché alla seconda e alla terza parte del terzo motivo sono pertinenti ai fini della presente impugnazione.

28

Nell’ambito del suo esame della prima parte del primo motivo, il Tribunale ha respinto le censure delle ricorrenti vertenti sugli adeguamenti che la Commissione aveva apportato ai dati dell’Ufficio statistico dell’Unione europea (Eurostat), classificati secondo i numeri di controllo dei prodotti (NCP), al fine di procedere al calcolo del volume delle importazioni oggetto di dumping, conformemente all’articolo 3 del regolamento di base.

29

Nell’ambito della sua valutazione della quinta parte del primo motivo, il Tribunale ha respinto la censura delle ricorrenti secondo la quale, per calcolare il pregiudizio subito dalla Saint-Gobain PAM, la Commissione aveva utilizzato prezzi fatturati per rivendite all’interno del gruppo di società di cui tale produttore faceva parte senza valutare il carattere autonomo di tali prezzi.

30

Con la seconda parte del secondo motivo, le ricorrenti sostenevano che la Commissione aveva erroneamente rifiutato di procedere a un’analisi per segmento al fine di dimostrare un nesso causale tra le importazioni oggetto di dumping e il pregiudizio accertato. In risposta a tale affermazione, il Tribunale ha considerato, in sostanza, che un’analisi per segmento non è necessaria quando i prodotti sono sufficientemente intercambiabili e che né l’appartenenza dei prodotti a gamme diverse né il fatto che i consumatori abbiano espresso una priorità o una preferenza per taluni prodotti sono sufficienti a dimostrare la loro assenza di intercambiabilità e quindi l’opportunità di effettuare una siffatta analisi.

31

Con la terza parte del secondo motivo, le ricorrenti contestavano in particolare alla Commissione di non avere sufficientemente valutato l’importanza della sottoquotazione alla luce del fatto che per il 37,4% delle vendite totali effettuate nell’Unione dai produttori dell’Unione inclusi nel campione non era stata constatata alcuna sottoquotazione dei prezzi. Il Tribunale ha respinto tale parte considerando che, poiché il prodotto in esame comprendeva una varietà di tipi di prodotti che rimanevano intercambiabili, l’esistenza di un margine di sottoquotazione compreso tra il 31,6 e il 39,2%, riguardante il 62,6% delle vendite dei produttori dell’Unione inclusi nel campione, appariva sufficiente per concludere nel senso dell’esistenza di una sottoquotazione notevole del prezzo, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 3, del regolamento di base.

32

Per quanto riguarda il terzo motivo, vertente sulla violazione dei diritti procedurali delle ricorrenti in quanto non sarebbero state loro comunicate informazioni essenziali per la difesa dei propri interessi, il Tribunale lo ha dichiarato ricevibile in quanto dedotto dalla CCCME a nome proprio. Per contro, esso l’ha respinto in quanto irricevibile in quanto sollevato dai membri della CCCME e dalle altre nove ricorrenti, con la motivazione che tali membri e tali ricorrenti non avevano partecipato all’inchiesta né formulato domande dirette a ottenere la comunicazione delle informazioni in questione. Il Tribunale ha inoltre respinto l’argomento delle ricorrenti secondo il quale, nel corso di tale inchiesta, la CCCME aveva esercitato i diritti procedurali di detti membri e di dette ricorrenti a loro nome poiché la CCCME aveva agito come un’entità che rappresentava l’industria cinese considerata nel suo complesso e non alcuni dei suoi membri individualmente.

33

Per quanto riguarda la fondatezza di tale terzo motivo, la CCCME ha sostenuto, con la seconda e la terza parte di detto motivo, che la Commissione aveva violato i suoi diritti procedurali non fornendole, da un lato, taluni dati, in forma aggregata, vertenti in particolare sui calcoli del valore normale, sugli effetti delle importazioni cinesi sui prezzi e sul livello di eliminazione del pregiudizio nonché, dall’altro, stime relative agli indicatori macroeconomici, informazioni sul confronto tra i prodotti importati e i prodotti dei produttori indiani e dell’Unione nonché i calcoli relativi al volume delle importazioni provenienti dai paesi terzi interessati. Il Tribunale ha respinto le parti seconda e terza ritenendo, in sostanza, che la Commissione avesse fornito alla CCCME elementi che le consentivano di difendere utilmente i propri interessi.

34

Con la sentenza impugnata il Tribunale ha respinto il ricorso delle ricorrenti.

IV. Conclusioni delle parti

35

Le ricorrenti chiedono che la Corte voglia:

annullare la sentenza impugnata;

annullare il regolamento controverso nella parte in cui le riguarda;

condannare la Commissione a sopportare le spese del procedimento dinanzi al Tribunale e dinanzi alla Corte, comprese le spese sostenute dalle ricorrenti, e

condannare le intervenienti a sopportare le proprie spese.

36

La Commissione chiede che la Corte voglia:

annullare la sentenza impugnata nella parte in cui dichiara il ricorso in primo grado ricevibile;

dichiarare il ricorso in primo grado irricevibile;

respingere l’impugnazione, e

condannare le ricorrenti alle spese dei due gradi di giudizio.

37

Le intervenienti chiedono che la Corte voglia:

respingere integralmente l’impugnazione;

dichiarare che la CCCME non può essere considerata un’associazione rappresentativa ai fini del regolamento di base, e

condannare le ricorrenti alle spese.

V. Sull’impugnazione

38

A sostegno della loro impugnazione, le ricorrenti deducono cinque motivi. I motivi dal primo al quarto riguardano errori che il Tribunale avrebbe commesso non avendo constatato che la Commissione aveva violato l’articolo 3, paragrafi 2, 3 e da 5 a 7 del regolamento di base in sede di adozione del regolamento controverso. Con il quinto motivo, le ricorrenti sostengono che il Tribunale ha erroneamente dichiarato parzialmente irricevibile il terzo motivo del loro ricorso dinanzi al Tribunale stesso, vertente sulla violazione dei loro diritti procedurali, e che è incorso in errori di diritto nell’esaminare tali diritti, in applicazione dell’articolo 6, paragrafo 7, dell’articolo 19, paragrafi 1 e 2, nonché dell’articolo 20, paragrafi 2 e 4, del regolamento di base.

39

La Commissione e le intervenienti ritengono che il ricorso in primo grado delle ricorrenti avrebbe dovuto essere dichiarato irricevibile e, in ogni caso, che la loro impugnazione è infondata.

A. Sulla ricevibilità del ricorso dinanzi al Tribunale

40

La Commissione sostiene che il ricorso in primo grado era irricevibile poiché la CCCME non era legittimata ad agire in giudizio a nome proprio, non aveva il potere di rappresentare i suoi membri in giudizio, e le altre nove ricorrenti non avevano debitamente conferito mandato ai loro avvocati.

41

Le ricorrenti contestano tali argomenti per il motivo che, chiedendo alla Corte di annullare la sentenza impugnata nella parte in cui dichiara ricevibile il ricorso in primo grado e di dichiarare tale ricorso irricevibile, la Commissione ha proposto un’impugnazione incidentale senza rispettare i requisiti di cui all’articolo 176, paragrafo 2, del regolamento di procedura della Corte.

42

A tale proposito, occorre ricordare che le questioni relative alla ricevibilità di un ricorso di annullamento costituiscono questioni di ordine pubblico che spetta ai giudici dell’Unione esaminare in qualsiasi momento, anche d’ufficio (v., in tal senso, sentenze del 27 febbraio 2014, Stichting Woonlinie e a./Commissione, C‑133/12 P, EU:C:2014:105, punto 32, nonché del 2 settembre 2021, Ja zum Nürburgring/Commissione,C‑647/19 P, EU:C:2021:666, punto 53 e giurisprudenza citata).

43

Ne consegue che, nell’ambito dell’esame di un’impugnazione, la Corte può valutare la ricevibilità di un ricorso di primo grado, indipendentemente dal fatto che essa sia stata messa in discussione da una parte che ha presentato una comparsa di risposta senza aver presentato un’impugnazione incidentale ai sensi dell’articolo 176, paragrafo 2, del regolamento di procedura della Corte (v., in tal senso, sentenza del 28 febbraio 2019, Consiglio/Growth Energy e Renewable Fuels Association, C‑465/16 P, EU:C:2019:155, punti da 56 a 59 e giurisprudenza citata).

44

Pertanto, l’obiezione delle ricorrenti esposta al punto 41 della presente sentenza dev’essere respinta.

1.   Sulla legittimazione ad agire della CCCME a nome proprio

a)   Argomenti delle parti

45

La Commissione sostiene che, ai punti da 52 a 75 della sentenza impugnata, il Tribunale ha commesso un errore di diritto nel ritenere che il riconoscimento della CCCME come associazione rappresentativa nel corso del procedimento amministrativo fosse sufficiente a dimostrare che la condizione secondo la quale il ricorrente dev’essere direttamente e individualmente interessato dall’atto oggetto del suo ricorso, previsto all’articolo 263, quarto comma, TFUE, era soddisfatta rispetto alla CCCME. La questione se un soggetto sia legittimato ad agire dinanzi al Tribunale dipenderebbe non dal riconoscimento di tale legittimazione a detto soggetto nel corso del procedimento amministrativo, bensì dalle norme applicabili in materia. Spetterebbe quindi al Tribunale valutare esso stesso se la CCCME soddisfacesse le condizioni richieste per essere considerata un’associazione rappresentativa conformemente al regolamento di base e se avesse, pertanto, la legittimazione ad agire in giudizio a nome proprio.

46

Le intervenienti aderiscono agli argomenti della Commissione e sostengono che la CCCME non è un’associazione rappresentativa di produttori esportatori cinesi del prodotto in esame, bensì un’entità di controllo di tali produttori esportatori attraverso il governo cinese. La CCCME agirebbe sotto la supervisione, la gestione e l’orientamento professionale del ministero degli Affari civili e del ministero del Commercio della RPC.

47

Le ricorrenti ritengono che la CCCME sia un’associazione rappresentativa ai sensi del regolamento di base e che sia quindi una parte interessata contemplata da tale regolamento. Essa sarebbe stata considerata tale dalla Commissione sia nel corso dell’inchiesta sfociata nell’adozione del regolamento controverso sia in altre inchieste antidumping precedenti. Per le ragioni esposte dal Tribunale nella sentenza impugnata, essa sarebbe direttamente e individualmente interessata dal regolamento controverso.

b)   Giudizio della Corte

48

Occorre ricordare, in limine, che la ricevibilità di un ricorso proposto da una persona fisica o giuridica contro un atto che non è stato adottato nei suoi confronti, a norma dell’articolo 263, quarto comma, TFUE, è subordinata alla condizione che le sia riconosciuta la legittimazione ad agire, la quale sussiste in due ipotesi. Da un lato, un simile ricorso può essere proposto a condizione che l’atto la riguardi direttamente e individualmente. Dall’altro lato, siffatta persona può proporre un ricorso contro un atto regolamentare che non comporti misure di esecuzione se quest’ultimo la riguarda direttamente (sentenza del 16 marzo 2023, Commissione/Jiangsu Seraphim Solar System e Consiglio/Jiangsu Seraphim Solar System e Commissione, C‑439/20 P e C‑441/20 P, EU:C:2023:211, punto 53 e giurisprudenza citata).

49

Con la sua eccezione di irricevibilità, la Commissione ritiene che, esaminando la prima di queste due ipotesi, il Tribunale abbia erroneamente dichiarato che la CCCME era legittimata ad agire in giudizio a nome proprio al fine di tutelare i suoi diritti procedurali. Ai punti da 52 a 75 della sentenza impugnata, il Tribunale avrebbe fondato la sua valutazione della legittimazione ad agire in giudizio della CCCME a nome proprio sul fatto che, nel corso del procedimento antidumping sfociato nell’adozione del regolamento controverso, la Commissione le aveva concesso tali diritti. Esso non avrebbe tuttavia verificato la legittimità di tale concessione. Orbene, la concessione di detti diritti alla CCCME sarebbe illegittima in quanto quest’ultima non sarebbe un’associazione rappresentativa, ai sensi del regolamento di base, bensì un’emanazione dello Stato cinese.

50

Secondo costante giurisprudenza, i soggetti diversi dai destinatari di una decisione possono sostenere di essere individualmente interessati, ai sensi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE, solo se detta decisione li concerne a causa di determinate qualità loro personali o di una situazione di fatto che li caratterizza rispetto a chiunque altro e, quindi, li distingue in modo analogo ai destinatari (sentenza del 12 luglio 2022, Nord Stream 2/Parlamento e Consiglio, C‑348/20 P, EU:C:2022:548, punto 156 e giurisprudenza ivi citata).

51

Tra i soggetti che possono essere contraddistinti da un atto dell’Unione allo stesso titolo dei destinatari di una decisione figurano quelli che hanno partecipato al processo di adozione di tale atto. Tuttavia, il fatto che un soggetto intervenga nel processo di adozione di un atto del genere è tale da contraddistinguerlo rispetto all’atto di cui trattasi solo nel caso in cui siano state previste garanzie procedurali a favore di tale soggetto dalla normativa dell’Unione (v., in tal senso, sentenza del 4 ottobre 1983, Fediol/Commissione,191/82, EU:C:1983:259, punto 31, e ordinanza del 17 febbraio 2009, Galileo Lebensmittel/Commissione,C‑483/07 P, EU:C:2009:95, punto 53). Infatti, la portata esatta del diritto di ricorso di un singolo contro un atto dell’Unione dipende dalla posizione giuridica definita a suo favore dal diritto dell’Unione, volta a tutelare i legittimi interessi così riconosciuti (sentenza del 28 febbraio 2019, Consiglio/Growth Energy e Renewable Fuels Association, C‑465/16 P, EU:C:2019:155, punto 107 e giurisprudenza citata).

52

Ne consegue che a una persona devono essere concessi diritti procedurali legittimamente affinché essa possa essere considerata individualmente interessata da tali diritti ed essere legittimata a proporre un ricorso di annullamento contro un atto adottato in violazione di detti diritti.

53

Nel caso di specie, nel suo controricorso dinanzi al Tribunale la Commissione ha contestato la ricevibilità del ricorso proposto dalla CCCME al fine di dedurre una violazione dei suoi diritti procedurali, in quanto essa non era una parte interessata cui tali diritti erano conferiti dal regolamento di base. Pertanto, per valutare la ricevibilità di tale ricorso, il Tribunale avrebbe dovuto valutare se tale regolamento conferisse alla CCCME diritti procedurali.

54

Ai punti da 53 a 60 della sentenza impugnata, il Tribunale ha tuttavia ritenuto che la CCCME fosse individualmente interessata dal regolamento controverso per il motivo che, nel corso dell’intero procedimento sfociato nell’adozione di tale regolamento, la Commissione l’aveva considerata una parte interessata che rappresentava in particolare l’industria cinese delle fusioni, avendole concesso diritti procedurali comprendenti il diritto di accedere al fascicolo dell’inchiesta, il diritto di ricevere comunicazione delle conclusioni provvisorie e definitive, il diritto di presentare osservazioni su queste ultime nonché il diritto di partecipare a due audizioni organizzate nell’ambito di tale procedimento.

55

Di conseguenza, si deve constatare che il Tribunale ha omesso di esaminare la legittimità della concessione di tali diritti procedurali alla CCCME e, pertanto, ha commesso un errore di diritto nell’esaminare se la condizione secondo la quale il ricorrente dev’essere individualmente interessato dall’atto oggetto del suo ricorso, previsto all’articolo 263, quarto comma, TFUE, fosse soddisfatta nei confronti della CCCME.

56

Tale constatazione non è rimessa in discussione dalla considerazione del Tribunale, contenuta nel punto 64 della sentenza impugnata, secondo la quale, anche se l’errore commesso dalla Commissione nel concedere detti diritti alla CCCME fosse accertato, essa non potrebbe cancellare quanto era stato riconosciuto e conferito durante il procedimento amministrativo, tanto più che, dopo la chiusura di quest’ultimo, la Commissione conservava la possibilità di revocare il regolamento controverso e di riprendere tale procedimento correggendo tale errore nella fase in cui quest’ultimo era stato commesso. Infatti, le decisioni adottate dalla Commissione nel corso di un procedimento amministrativo e la possibilità per quest’ultima di correggerle non possono avere l’effetto di limitare l’esame, da parte del giudice dell’Unione, della ricevibilità dei ricorsi di cui è investito.

57

Lo stesso errore di diritto vizia l’esame, effettuato dal Tribunale ai punti da 71 a 75 della sentenza impugnata, della condizione secondo la quale il ricorrente deve essere direttamente interessato dall’atto oggetto del suo ricorso, previsto all’articolo 263, quarto comma, TFUE, in quanto tale esame è, anch’esso, fondato sulla concessione, da parte della Commissione, di diritti procedurali alla CCCME nel corso del procedimento amministrativo.

58

Tuttavia, tali errori sono tali da comportare l’irricevibilità del ricorso della CCCME a nome proprio soltanto ove si dimostri che essa non poteva legittimamente ottenere l’attribuzione dei diritti procedurali in questione. Pertanto, occorre valutare se, in forza del regolamento di base, tali diritti dovessero essere concessi alla CCCME.

59

A tale riguardo, la CCCME ritiene che il regolamento di base le conferisca tali diritti poiché essa è un’associazione rappresentativa degli importatori o degli esportatori del prodotto in esame.

60

Sebbene l’articolo 5, paragrafo 11, l’articolo 6, paragrafo 7, l’articolo 20, paragrafi 1 e 2, nonché l’articolo 21, paragrafo 2, del regolamento di base conferiscano alle associazioni rappresentative degli importatori o degli esportatori del prodotto oggetto di dumping taluni diritti procedurali, tale regolamento non definisce la nozione di «associazione rappresentativa degli importatori o degli esportatori», contenuta in tali disposizioni.

61

Conformemente a una giurisprudenza costante, occorre quindi interpretare tale nozione tenendo conto non soltanto della lettera delle disposizioni in cui essa è contenuta, ma anche del loro contesto e degli scopi perseguiti dalla normativa di cui esse fanno parte [v., in tal senso, sentenza del 22 giugno 2021, Venezuela/Consiglio (Incidenza su di uno Stato terzo),C‑872/19 P, EU:C:2021:507, punto 42 e giurisprudenza citata]. Inoltre, tenuto conto della prevalenza degli accordi internazionali conclusi dall’Unione sulle norme di diritto derivato dell’Unione, detta nozione dev’essere interpretata in maniera per quanto possibile conforme a tali accordi, di cui l’accordo antidumping fa parte (v., in tal senso, sentenza del 28 aprile 2022, Yieh United Steel/Commissione,C‑79/20 P, EU:C:2022:305, punto 101 e giurisprudenza citata).

62

Secondo un’interpretazione testuale, la nozione di «associazione rappresentativa degli importatori o degli esportatori» designa un raggruppamento di persone che rappresenta gli importatori o gli esportatori in generale.

63

Ne discende, in primo luogo, che tale nozione non designa persone o entità che rappresentano interessi diversi da quelli degli importatori o degli esportatori, quali, in particolare, interessi statali. Tale interpretazione è confermata dal contesto in cui si inserisce detta nozione. Infatti, l’articolo 5, paragrafo 11, l’articolo 6, paragrafo 7, e l’articolo 20, paragrafo 1, del regolamento di base designano le «associazioni rappresentative degli importatori o degli esportatori», da un lato, e le «autorità» o i «rappresentanti» del paese esportatore, dall’altro, come parti interessate distinte di un procedimento antidumping.

64

L’obiettivo del regolamento di base consistente nel consentire alla Commissione di imporre dazi antidumping adeguati nel rispetto del principio di buona amministrazione conferma parimenti detta interpretazione. Tale obiettivo richiede che la Commissione possa conoscere i punti di vista delle diverse parti interessate che partecipano a un procedimento antidumping. Il considerando 12 di tale regolamento enuncia quindi che a tali parti devono essere accordate ampie possibilità per la presentazione di tutti gli elementi di prova pertinenti e la difesa dei propri interessi. Orbene, gli elementi di prova che possono essere presentati da associazioni rappresentative degli importatori o degli esportatori e dai rappresentanti del paese esportatore nonché i loro rispettivi interessi non coincidono necessariamente. Da un lato, tali associazioni difendono gli interessi commerciali e industriali degli importatori o degli esportatori, mentre, dall’altro, tali rappresentanti cercano di promuovere gli interessi politici e diplomatici del paese esportatore.

65

Peraltro, l’interpretazione in questione è conforme all’articolo 6.11 dell’accordo antidumping, dal momento che tale articolo distingue, tra le parti interessate contemplate da tale accordo, i governi degli Stati esportatori parti di detto accordo dalle associazioni commerciali o di categoria i cui membri siano in maggioranza produttori, esportatori o importatori del prodotto oggetto di un’inchiesta antidumping.

66

Dalla scelta del legislatore dell’Unione di operare una distinzione tra le associazioni rappresentative degli importatori o degli esportatori e le autorità nonché i rappresentanti del paese esportatore risulta che, per poter essere considerata un’associazione rappresentativa ai sensi delle disposizioni di cui al punto 63 della presente sentenza, l’entità che si presenta come tale non deve essere soggetta all’ingerenza dello Stato esportatore, ma deve, al contrario, godere dell’indipendenza necessaria nei confronti di tale Stato affinché possa effettivamente agire in qualità di rappresentante degli interessi generali e collettivi degli importatori o degli esportatori e non in quanto prestanome di detto Stato.

67

Tale indipendenza delle associazioni rappresentative di cui al regolamento di base riflette quella riconosciuta alle associazioni in forza della libertà di associazione definita all’articolo 12 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, in quanto quest’ultima riconosce il diritto alle associazioni di proseguire le loro attività e di funzionare senza ingerenza statale ingiustificata [v., in tal senso, sentenza del 18 giugno 2020, Commissione/Ungheria (Trasparenza associativa),C‑78/18, EU:C:2020:476, punti da 110 a 113]. Una siffatta convergenza si limita tuttavia all’assenza di ingerenza dello Stato interessato che metta in discussione la rappresentanza, da parte di un’associazione, degli interessi generali e collettivi degli importatori o degli esportatori, dal momento che tale regolamento mira a trasporre le norme dell’accordo antidumping, il quale ha lo scopo di promuovere il commercio mondiale e non la libertà di associazione.

68

In secondo luogo, dall’interpretazione testuale e dal contesto della nozione di «associazione rappresentativa degli importatori o degli esportatori», di cui ai punti 62 e 63 della presente sentenza, risulta che l’oggetto di una siffatta associazione deve comprendere la rappresentanza degli importatori o degli esportatori del prodotto oggetto dell’inchiesta antidumping. Tale rappresentanza richiede che tra i membri dell’associazione figurino un numero rilevante di importatori o di esportatori di tale prodotto. Inoltre, essa esige che le importazioni o le esportazioni di detto prodotto da parte di tali membri siano significative, di modo che l’associazione di cui trattasi possa riferire sulle caratteristiche dell’attività degli importatori o degli esportatori di tale medesimo prodotto in generale.

69

Tale interpretazione è confermata dall’obiettivo perseguito dal regolamento di base, esposto al punto 64 della presente sentenza, che richiede la partecipazione delle associazioni rappresentative degli importatori o degli esportatori, in quanto parti interessate, al procedimento antidumping. Infatti, gli interessi di tali associazioni potranno essere legittimi solo a condizione che esse siano realmente rappresentative degli importatori o degli esportatori del prodotto oggetto di dumping.

70

Tenuto conto di tutte le considerazioni che precedono, la nozione di «associazione rappresentativa degli importatori o degli esportatori», ai sensi di detto regolamento, dev’essere intesa nel senso che designa un raggruppamento il cui oggetto comprende la rappresentanza degli interessi collettivi e generali degli importatori o degli esportatori di un prodotto oggetto di dumping, il che richiede che tale raggruppamento, da un lato, goda di indipendenza rispetto alle autorità statali al fine di poter garantire tale rappresentanza e, dall’altro, annoveri tra i suoi membri un numero rilevante di importatori o di esportatori le cui importazioni o esportazioni di tale prodotto siano significative.

71

Poiché l’onere di provare la legittimazione ad agire in giudizio incombe al ricorrente, nel caso di specie spettava alla CCCME dimostrare di essere un’associazione rappresentativa degli importatori o degli esportatori del prodotto in esame.

72

A tale proposito, la CCCME ha sostenuto, nel suo ricorso dinanzi al Tribunale, che essa annoverava tra i suoi membri 19 produttori esportatori del prodotto in esame ai quali il regolamento controverso ha imposto dazi antidumping. Inoltre, dallo statuto della CCCME risulta che quest’ultima è un’organizzazione sociale senza scopo di lucro costituita volontariamente da imprese e istituzioni registrate nella RPC, attive nell’importazione e nell’esportazione, nell’investimento e nella cooperazione nel settore dei macchinari e dei prodotti elettronici (articolo 2), e che il suo obiettivo è segnatamente quello di tutelare i diritti e gli interessi legittimi dei suoi membri nonché di promuovere uno sviluppo sano delle industrie meccaniche ed elettroniche (articolo 3). Di conseguenza, la CCCME ricomprende esportatori del prodotto oggetto di dumping ed è autorizzata a tutelare i loro interessi.

73

Tuttavia, come indicato dalla Commissione, lo statuto della CCCME indica che il gruppo si trova sotto la supervisione, la gestione e la direzione commerciale di due ministeri della RPC (articolo 4) e svolge le sue attività pertinenti conformemente alle designazioni e alle autorizzazioni del governo della RPC (articolo 6, paragrafo 2), elementi che dimostrano che la CCCME non dispone di un’indipendenza sufficiente dagli organi statali cinesi per poter essere considerata un’«associazione rappresentativa» degli esportatori del prodotto in esame.

74

Inoltre, la CCCME non dimostra di essere rappresentativa degli importatori o degli esportatori del prodotto in esame. Infatti, nel corso del procedimento dinanzi al Tribunale, la Commissione ha rilevato che la CCCME era attiva in tutti i settori dei macchinari e dell’elettronica e che essa contava più di 10000 membri. Inoltre, nel corso di tale procedimento, posta di fronte all’obiezione della Commissione secondo cui essa non rappresentava un numero congruo di produttori esportatori del prodotto in esame, la CCCME si è limitata a fare riferimento, in primo luogo, al considerando 25 del regolamento controverso, nel quale la Commissione ha ritenuto che essa rappresentasse in particolare l’industria cinese delle fusioni, e, in secondo luogo, alla prova dell’adesione di 19 produttori esportatori del prodotto in esame, contenuta nell’allegato A.4 del suo ricorso dinanzi al Tribunale, indicando che tale numero era congruo. Inoltre, nella risposta ai quesiti della Corte, le ricorrenti hanno indicato di aver comunicato alla Commissione un elenco di 58 produttori esportatori di ghisa cinesi membri della CCCME. Tale elenco non è stato tuttavia prodotto dinanzi ai giudici dell’Unione e le ricorrenti non hanno precisato il quantitativo di prodotti interessati esportati da tali membri. Ne consegue che la CCCME non ha dimostrato né di annoverare tra i suoi membri un numero rilevante di produttori esportatori del prodotto in esame né che le esportazioni di tale prodotto da parte dei suoi membri fossero significative.

75

Pertanto, la CCCME non era legittimata ad agire ai sensi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE, con la conseguenza che il ricorso da essa proposto a nome proprio dev’essere respinto in quanto irricevibile, avendo il Tribunale erroneamente esaminato i motivi vertenti sulla violazione dei diritti procedurali della CCCME dedotti a sostegno di tale ricorso.

2.   Sul potere della CCCME di rappresentare i suoi membri in giudizio

a)   Argomenti delle parti

76

La Commissione afferma che, ai punti da 98 a 103 della sentenza impugnata, il Tribunale ha commesso un errore di diritto considerando che non è necessario che un’associazione sia organizzata in modo democratico per poter agire in giudizio a nome dei suoi membri. A suo avviso, un’associazione professionale non può essere un’emanazione di uno Stato organizzato sulla base di un regime comunista a partito unico, poiché, in tal caso, tale associazione sarebbe tenuta a difendere gli interessi dei suoi membri, quali definiti democraticamente da questi ultimi, nei confronti di tale Stato, di cui essa costituisce l’emanazione. Un’interpretazione secondo la quale un’associazione professionale apparterrebbe a uno Stato e difenderebbe nel contempo gli interessi collettivi dei suoi membri contro tale Stato sarebbe contraria ai principi fondamentali della democrazia rappresentativa comuni agli Stati membri. Peraltro, la presa in considerazione delle caratteristiche specifiche del paese in cui l’associazione è costituita sarebbe in contrasto con il principio enunciato all’articolo 3, paragrafo 5, TUE, secondo il quale l’Unione, nelle relazioni con il resto del mondo, afferma e promuove i suoi valori.

77

La CCCME contesta l’argomento della Commissione.

b)   Giudizio della Corte

78

La Commissione sostiene che, ai punti da 98 a 103 della sentenza impugnata, il Tribunale ha erroneamente respinto l’eccezione di irricevibilità del ricorso in quanto proposto dalla CCCME a nome dei suoi membri. Infatti, secondo la Commissione, poiché la CCCME costituisce un’emanazione della RPC e non è organizzata in maniera democratica, essa non era legittimata a proporre un ricorso di annullamento a nome di alcuni dei suoi membri.

79

In via preliminare, occorre rilevare che la questione se un’associazione possa rappresentare i suoi membri nell’ambito di un ricorso di annullamento dinanzi ai giudici dell’Unione è una questione distinta da quella se essa sia un’«associazione rappresentativa degli importatori o degli esportatori», ai sensi del regolamento di base.

80

Per quanto riguarda la prima questione, da una giurisprudenza consolidata risulta che un’associazione incaricata della difesa degli interessi collettivi di talune imprese può, in linea di principio, proporre un ricorso di annullamento ai sensi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE solo se può vantare un proprio interesse o se le imprese che essa rappresenta o alcune di esse sono legittimate ad agire individualmente (v., in tal senso, sentenza del 13 marzo 2018, European Union Copper Task Force/Commissione,C‑384/16 P, EU:C:2018:176, punto 87 e giurisprudenza citata).

81

Pertanto, in forza di tale disposizione, è ricevibile il ricorso proposto da un’associazione che agisce in nome e per conto di uno o più dei suoi membri che avrebbero potuto essi stessi proporre un ricorso ricevibile (sentenza del 22 dicembre 2008, British Aggregates/Commissione,C‑487/06 P, EU:C:2008:757, punto 39 e giurisprudenza citata).

82

Come giustamente rilevato dal Tribunale al punto 84 della sentenza impugnata, la possibilità riconosciuta ad un’associazione di agire in nome dei suoi membri ha lo scopo di consentire un’amministrazione più efficace della giustizia evitando la proposizione di un numero elevato di ricorsi diretti contro gli stessi atti da parte di tali membri.

83

Da quanto precede risulta che, affinché un’associazione possa validamente proporre un ricorso dinanzi ai giudici dell’Unione a nome dei suoi membri, occorre, in primo luogo, che le persone fisiche o giuridiche a nome delle quali essa agisce facciano parte dei suoi membri, in secondo luogo, che essa possa agire in giudizio a loro nome, in terzo luogo, che tale ricorso sia proposto a loro nome, in quarto luogo, che almeno uno dei membri a nome dei quali essa agisce avrebbe potuto esso stesso proporre un ricorso ricevibile e, in quinto luogo, che i membri a nome dei quali essa agisce non abbiano proposto ricorsi paralleli dinanzi ai giudici dell’Unione.

84

Contrariamente a quanto sostiene la Commissione, la rappresentanza in giudizio dei membri di un’associazione da parte di quest’ultima non richiede, oltre alle cinque condizioni menzionate al punto precedente, che tale associazione sia organizzata in maniera democratica. Infatti, in occasione dell’esame della nozione di «persona giuridica», di cui all’articolo 263, quarto comma, TFUE, la Corte ha considerato che tale nozione comprendeva tanto persone giuridiche private quanto enti pubblici e Stati terzi senza che essa abbia menzionato o preso in considerazione la loro organizzazione democratica [v., in tal senso, sentenza del 22 giugno 2021, Venezuela/Consiglio (Incidenza su di uno Stato terzo),C‑872/19 P, EU:C:2021:507, punti da 41 a 52]. Ne consegue che la legittimazione ad agire di tali persone, enti e Stati, ai sensi di tale disposizione, non dipende da una siffatta organizzazione.

85

Nell’ambito di una controversia avente ad oggetto l’annullamento di un regolamento che istituisce un dazio antidumping definitivo, la Corte ha quindi dichiarato, come giustamente sottolineato dal Tribunale al punto 99 della sentenza impugnata, che l’assenza di un diritto di voto di taluni membri di un’associazione o di un altro strumento che consenta loro di difendere i propri interessi all’interno di quest’ultima non è sufficiente a dimostrare che tale associazione non abbia ad oggetto la rappresentanza di tali membri. Una siffatta assenza non osta pertanto alla proposizione, da parte di detta associazione, di un ricorso di annullamento a nome di tali membri (v., in tal senso, sentenza del 28 febbraio 2019, Consiglio/Growth Energy e Renewable Fuels Association, C‑465/16 P, EU:C:2019:155, punti da 120 a 125).

86

Ne consegue che il Tribunale non è incorso in alcun errore di diritto nel dichiarare, ai punti da 98 a 103 della sentenza impugnata, che il diritto di agire in giudizio di un’associazione a nome dei suoi membri non è subordinato ad una condizione relativa al «carattere rappresentativo di tale associazione, ai sensi della tradizione giuridica comune degli Stati membri» e quindi, in sostanza, al carattere democratico della sua organizzazione.

87

Pertanto, l’eccezione di irricevibilità sollevata dalla Commissione nei confronti del ricorso proposto dinanzi al Tribunale dalla CCCME a nome dei suoi membri dev’essere respinta.

3.   Sulla regolarità dei mandati forniti dalle altre nove ricorrenti ai loro avvocati

a)   Argomenti delle parti

88

La Commissione sostiene che, ai punti da 133 a 137 della sentenza impugnata, il Tribunale ha commesso un errore di diritto dichiarando ricevibili i ricorsi delle altre nove ricorrenti, allorché essa aveva contestato la regolarità dei mandati conferiti da tali ricorrenti ai loro avvocati. A suo avviso, il Tribunale non poteva respingere una siffatta contestazione per il motivo che il suo regolamento di procedura non richiedeva la prova che il mandato all’avvocato fosse stato conferito da un rappresentante a ciò legittimato. In caso di contestazione, l’obbligo incombente al Tribunale di verificare tale mandato deriverebbe dall’articolo 21 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea.

89

Le ricorrenti contestano l’argomento della Commissione.

b)   Giudizio della Corte

90

La Commissione afferma che i ricorsi delle altre nove ricorrenti erano irricevibili, dal momento che i mandati che designavano i loro avvocati erano irregolari e che il Tribunale non poteva respingere l’eccezione di irricevibilità da essa sollevata a tale riguardo invocando il fatto che il suo regolamento di procedura non richiedeva la prova che tali mandati fossero stati conferiti da un rappresentante a ciò legittimato.

91

A tale proposito, occorre ricordare che, in forza dell’articolo 19 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, applicabile al Tribunale ai sensi dell’articolo 53, primo comma, di tale Statuto, per poter agire dinanzi ai giudici dell’Unione, persone giuridiche quali le altre nove ricorrenti devono essere rappresentate da un avvocato abilitato al patrocinio dinanzi ad un organo giurisdizionale di uno Stato membro o di un altro Stato parte contraente dell’accordo sullo Spazio economico europeo, del 2 maggio 1992 (GU 1994, L 1, pag. 3).

92

Per quanto attiene al mandato conferito a un avvocato da tali persone, l’articolo 51, paragrafo 3, del regolamento di procedura del Tribunale prevede che gli avvocati, quando la parte che rappresentano è una persona giuridica di diritto privato, sono tenuti a depositare in cancelleria un mandato rilasciato da quest’ultima. A differenza della versione di tale regolamento applicabile anteriormente al 1o luglio 2015, tale disposizione non prevede l’obbligo, per tale persona, di fornire la prova che il mandato al suo avvocato è stato regolarmente conferito da un rappresentante a ciò legittimato.

93

La circostanza che tale articolo 51, paragrafo 3, non preveda tale obbligo non dispensa tuttavia il Tribunale dal verificare la regolarità del mandato di cui trattasi in caso di contestazione. Infatti, la circostanza che, al momento del deposito del suo ricorso, un ricorrente non debba fornire tale prova non incide sull’obbligo, per tale parte, di aver regolarmente incaricato il suo avvocato per poter agire in giudizio. L’alleggerimento dei requisiti in materia di prova al momento del deposito di un ricorso non incide sulla condizione sostanziale secondo la quale i ricorrenti devono essere debitamente rappresentati dai loro avvocati. Pertanto, in caso di contestazione della regolarità del mandato conferito da una parte al suo avvocato, tale parte deve dimostrare la regolarità di tale mandato (v., in tal senso, sentenza del 16 febbraio 1965, Barge/Alta Autorità,14/64, EU:C:1965:13, pag. 10).

94

Pertanto, come rilevato, in sostanza, dall’avvocato generale ai paragrafi 120 e 121 delle sue conclusioni, il Tribunale ha commesso un errore di diritto considerando, al punto 136 della sentenza impugnata, che, poiché il suo regolamento di procedura non richiedeva la prova che il mandato conferito all’avvocato fosse stato rilasciato da un rappresentante a ciò legittimato, la contestazione, da parte della Commissione, della regolarità dei mandati conferiti agli avvocati delle altre nove ricorrenti doveva essere respinta.

95

Pertanto, occorre valutare la ricevibilità dei ricorsi delle altre nove ricorrenti.

96

A tale proposito, occorre rilevare che, a sostegno della sua eccezione di irricevibilità, la Commissione invoca, da un lato, il fatto che taluni firmatari dei mandati in questione non hanno precisato la loro funzione e non hanno allegato documenti attestanti il loro potere di firmare tali atti nonché, dall’altro, il fatto che taluni firmatari di tali mandati, i quali hanno precisato la loro funzione di amministratore delegato, di direttore generale, di controllore finanziario o di direttore, non hanno dimostrato di essere autorizzati, in forza del diritto cinese, a firmare siffatti mandati.

97

Orbene, se è vero che i giudici dell’Unione devono esigere che la parte dimostri la regolarità del mandato conferito al suo avvocato in caso di contestazione sollevata da una parte avversa, tale requisito si impone solo nei limiti in cui tale contestazione si basi su indizi sufficientemente concreti e precisi.

98

Nel caso di specie, la Commissione non deduce tali indizi. Invero, il fatto che taluni firmatari dei mandati di cui trattasi non precisino le loro funzioni o che, ove le precisino, non dimostrino che, in forza del diritto cinese, fossero autorizzati a firmare siffatti mandati, non è costitutivo di indizi del genere.

99

Pertanto, l’eccezione di irricevibilità sollevata dalla Commissione nei confronti dei ricorsi delle altre nove ricorrenti dev’essere respinta.

4.   Conclusioni sulla ricevibilità del ricorso dinanzi al Tribunale

100

Alla luce di quanto precede, si deve concludere che i ricorsi in primo grado della CCCME a nome dei suoi membri e delle altre nove ricorrenti erano ricevibili. Per contro, poiché la CCCME non disponeva della legittimazione ad agire, in nome proprio, ai sensi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE, il suo ricorso in primo grado era irricevibile. Il Tribunale ha quindi erroneamente esaminato la violazione dei diritti procedurali dedotti in tale ricorso e i motivi invocati in sede di impugnazione vertenti su tale esame sono irricevibili.

B. Nel merito

1.   Sul primo motivo

a)   Argomenti delle parti

101

Con il primo motivo, articolato in due parti, le ricorrenti affermano che, ai punti da 152 a 211 e da 398 a 403 della sentenza impugnata, il Tribunale ha commesso errori nella valutazione del volume delle importazioni da prendere in considerazione al fine di determinare l’esistenza di un pregiudizio in applicazione dell’articolo 3 del regolamento di base.

102

Con la prima parte del primo motivo, le ricorrenti asseriscono che il Tribunale ha erroneamente avallato l’approccio della Commissione secondo cui, nel caso di specie, tale pregiudizio poteva essere determinato estrapolando i volumi assoluti e relativi delle importazioni per gli anni e i paesi di riferimento ad anni successivi e ad altri paesi. Una siffatta estrapolazione sarebbe fondata sull’ipotesi irragionevole, non plausibile e ingiustificata secondo la quale i volumi e i prezzi di riferimento rimarrebbero invariati nel tempo e da un paese all’altro.

103

In particolare, il Tribunale avrebbe commesso un errore, al punto 194 della sentenza impugnata, invocando la presa in considerazione dei dati di riferimento per respingere la prima parte del primo motivo del ricorso di annullamento delle ricorrenti senza affrontare la questione della loro estrapolazione ad altri anni e ad altri paesi. Tale approccio non si baserebbe su prove positive, come richiesto dall’articolo 3, paragrafo 2, del regolamento di base. L’ipotesi della Commissione secondo la quale non vi sarebbe stata alcuna evoluzione delle importazioni sarebbe assurda, dal momento che i dati riguardanti le importazioni sarebbero stati invocati proprio per valutare tale evoluzione e le differenze tra i paesi interessati.

104

Inoltre, al punto 179 di tale sentenza, il Tribunale avrebbe commesso un errore nel ritenere che i dati sulle esportazioni cinesi forniti dalla CCCME fossero privi di rilevanza. Il carattere intrinsecamente non plausibile dell’ipotesi della Commissione, combinato ai dati sulle esportazioni cinesi, che dimostrerebbero l’inattendibilità di tale ipotesi, proverebbe che i dati presi in considerazione dalla Commissione non costituivano prove positive, ai sensi di tale articolo 3, paragrafo 2. Qualsiasi altro approccio equivarrebbe ad imporre un onere della prova irragionevole.

105

Con la seconda parte del primo motivo, le ricorrenti ritengono che il Tribunale abbia erroneamente omesso di accertare che la Commissione non aveva esaminato tutti gli elementi pertinenti con cura e imparzialità, come era tenuta a fare in virtù del principio di buona amministrazione e del dovere di sollecitudine nonché in forza degli obblighi ad essa incombenti ai sensi dell’articolo 3, paragrafi 2, 3, da 5 a 7, del regolamento di base. A loro avviso, il Tribunale non poteva limitare l’obbligo della Commissione di prendere in considerazione tutte le informazioni disponibili invocando, da un lato, l’obbligo di quest’ultima di rispettare i termini procedurali e, dall’altro, il fatto che il rispetto di tali obblighi doveva poter condurre, con una probabilità sufficientemente significativa, a risultati più affidabili. L’obbligo di basarsi su elementi di prova positivi e di prendere in considerazione tutte le informazioni disponibili per ottenere tali elementi stabilirebbe una norma minima, indipendentemente da qualsiasi termine, e costituirebbe, in tal senso, un obbligo assoluto. Le considerazioni di cui al punto 68 della sentenza del 10 settembre 2015, Bricmate (C‑569/13, EU:C:2015:572) confermerebbero tale interpretazione.

106

Pertanto, al punto 200 della sentenza impugnata, il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto che occorresse tenere conto del fatto che i dati in questione potevano o meno condurre, con una probabilità sufficientemente significativa, a risultati più attendibili di quelli ottenuti entro i termini applicabili. Infatti, in primo luogo, sarebbe difficile stabilire un siffatto grado di probabilità prima di avere ottenuto questi primi risultati e, in secondo luogo, l’unico termine applicabile all’ottenimento di dati relativi alle importazioni sarebbe la durata totale dell’inchiesta, che si protrae per quindici mesi.

107

La valutazione del Tribunale di cui ai punti da 199 a 202 di tale sentenza violerebbe l’obbligo della Commissione di esaminare d’ufficio tutte le informazioni disponibili, dal momento che tale valutazione equivarrebbe a ritenere che la Commissione non dovesse fare assolutamente nulla per adempiere al suo obbligo di consultare tutte le fonti disponibili, a motivo del fatto che ciò sarebbe stato sproporzionato. Le ricorrenti contestano altresì la considerazione del Tribunale, contenuta nel punto 205 di detta sentenza, secondo la quale la Commissione non era tenuta a rivolgere una domanda alle autorità doganali in quanto ciò rappresenterebbe un carico di lavoro significativo e richiederebbe un tempo considerevole. Secondo le ricorrenti, presumere che un siffatto requisito sia sproporzionato priverebbe di qualsiasi significato l’articolo 6, paragrafi 3 e 4, del regolamento di base.

108

Contrariamente alle valutazioni del Tribunale contenute nei punti 205 e 206 della medesima sentenza, un esame di tutte le operazioni effettuate durante due periodi specifici, ma limitati, e per due paesi specifici, fornirebbe informazioni significative sul carattere ragionevole e plausibile dell’ipotesi secondo la quale non vi sarebbe stata alcuna evoluzione delle importazioni nel tempo e consentirebbe un’estrapolazione più precisa.

109

Al punto 209 della sentenza impugnata, il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto che gli importatori non abbiano fornito informazioni a tale riguardo. Infatti, la Commissione non avrebbe chiesto tali informazioni, che sarebbero state più rappresentative dell’estrapolazione effettuata in assenza di tali informazioni. In ogni caso, il Tribunale avrebbe commesso un errore manifesto nel considerare che gli importatori selezionati non fossero sufficientemente rappresentativi di tutti gli importatori del prodotto in esame, dal momento che lo sono stati sul fondamento dell’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento di base.

110

La Commissione e le intervenienti contestano l’argomento delle ricorrenti.

b)   Giudizio della Corte

1) Considerazioni preliminari

111

Con il primo motivo le ricorrenti sostengono, in sostanza, che il Tribunale ha commesso errori di diritto nel considerare che la Commissione aveva debitamente dimostrato il volume delle importazioni oggetto di dumping al fine di determinare l’esistenza di un pregiudizio, in applicazione dell’articolo 3 del regolamento di base.

112

A tale proposito occorre ricordare che, secondo una giurisprudenza costante della Corte, nel settore della politica commerciale comune e specialmente in materia di misure di difesa commerciale, le istituzioni dell’Unione godono di un ampio potere discrezionale in considerazione della complessità delle situazioni economiche e politiche che devono esaminare. Tale ampio potere discrezionale verte segnatamente sull’accertamento, nell’ambito di un procedimento antidumping, di un pregiudizio subito dall’industria dell’Unione (sentenza del 20 gennaio 2022, Commissione/Hubei Xinyegang Special Tube,C‑891/19 P, EU:C:2022:38, punti 3536 e giurisprudenza citata).

113

Il controllo giurisdizionale di una siffatta valutazione deve essere quindi limitato alla verifica del rispetto delle norme procedurali, dell’esattezza materiale dei fatti considerati, dell’assenza di errore manifesto di valutazione di tali fatti o dell’assenza di sviamento di potere. È quanto avviene, in particolare, per quanto concerne l’accertamento dei fattori che arrecano un pregiudizio all’industria dell’Unione nell’ambito di un’inchiesta antidumping (sentenza del 20 gennaio 2022, Commissione/Hubei Xinyegang Special Tube,C‑891/19 P, EU:C:2022:38, punto 36 e giurisprudenza citata).

114

Il controllo da parte del Tribunale degli elementi di prova sui quali le istituzioni dell’Unione fondano le proprie constatazioni non costituisce una nuova valutazione dei fatti che sostituisce quella di tali istituzioni. Tale controllo non incide sull’ampio potere discrezionale di dette istituzioni nell’ambito della politica commerciale, ma si limita a rilevare se i suddetti elementi siano idonei a suffragare le conclusioni cui sono giunte le istituzioni. Il Tribunale è quindi tenuto non solo a verificare l’esattezza materiale degli elementi di prova addotti, la loro attendibilità e la loro coerenza, ma altresì ad accertare se tali elementi costituiscano l’insieme dei dati rilevanti che devono essere presi in considerazione per valutare una situazione complessa e se siano di natura tale da corroborare le conclusioni che ne sono state tratte (sentenza del 28 aprile 2022, Yieh United Steel/Commissione,C‑79/20 P, EU:C:2022:305, punto 58 e giurisprudenza citata).

115

È alla luce di tali elementi che occorre valutare le diverse censure dedotte dalle ricorrenti nell’ambito del loro primo motivo.

2) Sulla prima parte del primo motivo

116

Con la prima parte del primo motivo, le ricorrenti sostengono che il Tribunale ha erroneamente qualificato come «giustificate» le ipotesi della Commissione per definire il volume delle importazioni nonché come «ragionevoli» e «plausibili» le stime che ne derivano. Il Tribunale non avrebbe potuto, pertanto, ritenere che la Commissione avesse fondato la sua valutazione di tale volume su prove positive, come richiesto dall’articolo 3, paragrafo 2, del regolamento di base.

117

A tale proposito occorre ricordare che, in forza di tale disposizione, l’accertamento di un pregiudizio si basa su prove positive e implica un esame obiettivo, in particolare, del volume delle importazioni oggetto di dumping. Detta disposizione precisa così l’acquisizione della prova e l’esame che incombono alla Commissione, in quanto autorità investigatrice, al fine di accertare l’esistenza di un pregiudizio per poter istituire dazi antidumping.

118

Il regolamento di base non definisce tuttavia la nozione di «prove positive». Tenuto conto del senso letterale di tale nozione, del suo contesto, che comprende in particolare la necessità di un esame obiettivo di cui all’articolo 3, paragrafo 2, di tale regolamento, e della finalità dell’accertamento dell’esistenza di un pregiudizio, ossia consentire l’imposizione di un dazio antidumping riguardo alle importazioni oggetto di dumping, detta nozione designa elementi materiali che dimostrano in maniera affermativa, obiettiva e verificabile la sussistenza degli indicatori di tale pregiudizio. Essa esclude in tal modo che semplici affermazioni, congetture o considerazioni aleatorie possano costituire siffatti indicatori.

119

Tale definizione rispetta il requisito, ricordato al punto 61 della presente sentenza, secondo cui le norme di diritto derivato devono essere interpretate, per quanto possibile, in conformità con gli accordi internazionali conclusi dall’Unione. Infatti, la nozione di «prove positive» che figura anche all’articolo 3, paragrafo 1, dell’accordo antidumping nella formulazione «elementi di prova diretti» il cui contenuto è identico a quello dell’articolo 3, paragrafo 2, del regolamento di base, è stata interpretata dall’organo di appello dell’OMC, al punto 192 della sua relazione del 24 luglio 2001 nel caso «Stati Uniti – Misure antidumping su alcuni prodotti in acciaio laminati a caldo originari del Giappone» (WT/DS184/AB/R), nel senso che significa che tali elementi di prova devono avere carattere affermativo, obiettivo e verificabile e che devono essere credibili.

120

Nel caso di specie, dalla sentenza impugnata risulta che, per calcolare il volume delle importazioni del prodotto in esame durante il periodo considerato, la Commissione ha utilizzato i dati di Eurostat classificati in base ai codici della nomenclatura combinata (NC). Essa ha tuttavia dovuto adeguare tali dati poiché essi riguardavano non soltanto il prodotto in esame, ma anche arredi urbani.

121

In particolare, per i prodotti in ghisa non malleabile rientranti nel codice ex 732510 00 della NC, la Commissione disponeva, per il periodo compreso tra la data di inizio del periodo considerato, vale a dire il 1o gennaio 2013, e il 1o gennaio 2014, dei dati ripartiti in sottocodici, due dei quali includevano esclusivamente tali prodotti e un terzo includeva questi ultimi nonché altri prodotti. Tale ripartizione per sottocodici è stata tuttavia abbandonata a partire dal 1o gennaio 2014. Al fine di isolare i dati relativi alla ghisa non malleabile per il periodo compreso tra il 1o gennaio 2014 e la data della fine del periodo d’inchiesta, ossia il 30 settembre 2016, la Commissione ha preso in considerazione il 60% del volume contabilizzato come importazioni cinesi con il codice ex 732510 00 della NC, percentuale corrispondente alla quota rappresentata dai prodotti in ghisa non malleabile importati con tale codice prima del 1o gennaio 2014 rispetto all’insieme dei prodotti importati con detto codice, tenuto conto della classificazione in tre sottocodici dei prodotti in ghisa non malleabile esistente prima di quest’ultima data. Per l’ultimo di tali sottocodici, che non comprendeva esclusivamente prodotti di ghisa non malleabile, la percentuale di questi ultimi è stata stimata al 30%. Un calcolo analogo è stato effettuato per le importazioni provenienti dalla Repubblica dell’India e per gli altri paesi terzi interessati (punti 159 e 160 della sentenza impugnata).

122

I prodotti di cui al codice ex73259910 della NC durante il periodo considerato comprendevano la ghisa malleabile e altri prodotti. Per prendere in considerazione solo i prodotti di ghisa malleabile, la Commissione ha tenuto conto del 100% delle operazioni contabilizzate come importazioni cinesi riprese sotto tale codice, da cui ha sottratto 14645 tonnellate. Tale sottrazione corrispondeva alle operazioni realizzate nel 2004 che non riguardavano il prodotto in esame, dal momento che, relativamente a tale anno, la Commissione disponeva di dati indicanti, per la RPC, le importazioni corrispondenti a detto codice, ma che non riguardavano il prodotto in esame. Un calcolo analogo è stato effettuato per le importazioni provenienti dalla Repubblica dell’India. La Commissione ha inoltre considerato, sulla base delle inchieste effettuate dai denuncianti, che le importazioni provenienti da altri paesi terzi rientranti nello stesso codice non contenevano prodotti di ghisa malleabile (punti da 162 a 164 della sentenza impugnata).

123

Ai punti da 183 a 196 della sentenza impugnata, il Tribunale ha respinto la censura delle ricorrenti secondo la quale i dati utilizzati dalla Commissione si basavano su ipotesi ingiustificate e irragionevoli che non erano fondate su alcuna prova positiva. Esso ha giustificato tale rigetto dichiarando che, in mancanza di informazioni più precise e più recenti che presentassero un grado di attendibilità simile o più elevato, tenuto conto della ragionevolezza e plausibilità delle stime presentate dalla Commissione e alla luce dell’ampio margine discrezionale riconosciuto a tale istituzione, il volume delle importazioni era stato debitamente determinato.

124

A sostegno della prima parte del primo motivo, le ricorrenti espongono due argomenti. In primo luogo, esse ritengono che l’ipotesi secondo cui la ripartizione dei diversi tipi di prodotti all’interno di un codice della NC è stata costante nel tempo ed equivalente in diversi paesi non sia né ragionevole né plausibile. In mancanza di prove in tal senso, sarebbe assurdo ritenere che tale ripartizione non abbia subìto un’evoluzione.

125

A tale proposito, occorre rilevare che, in mancanza di dati accessibili più attendibili, i dati ottenuti dopo un adeguamento di altri dati possono costituire prove positive, come definite al punto 118 della presente sentenza, a condizione, da un lato, che tali altri dati costituiscano essi stessi prove positive e, dall’altro, che gli adeguamenti in questione siano effettuati sulla base di ipotesi ragionevoli, di modo che il risultato di tali adeguamenti sia plausibile.

126

Nel caso di specie, è pacifico che i dati di Eurostat utilizzati dalla Commissione per determinare, a seguito di adeguamenti, il volume delle importazioni di cui trattasi costituivano prove positive, come definite al punto 118 della presente sentenza.

127

Inoltre, in mancanza di elementi di prova accessibili più attendibili, il Tribunale poteva, senza incorrere in errori di diritto, confermare l’ipotesi della Commissione secondo cui era ragionevole ritenere che, all’interno di uno stesso codice della NC, la proporzione delle importazioni di chiusini per pozzetti costituenti il prodotto in esame rispetto a quelle degli arredi urbani fosse rimasta stabile nel tempo. Contrariamente a quanto sostenuto dalle ricorrenti, il fatto che l’esame della Commissione miri a valutare l’evoluzione del volume delle importazioni non dimostra che tale ipotesi sia errata, dal momento che una siffatta evoluzione è possibile mantenendo una ripartizione stabile dei diversi tipi di prodotti all’interno di uno stesso codice della NC.

128

Analogamente, in mancanza di dati attendibili per i paesi terzi diversi dalla RPC relativi alla percentuale delle importazioni del prodotto in esame rispetto ad altri prodotti rientranti in uno stesso codice della NC, la Commissione poteva prendere in considerazione la percentuale di tali importazioni stabilita per le importazioni dalla RPC. Infatti, in assenza di altri dati attendibili e disponibili relativi a dette importazioni del prodotto in esame da parte di paesi terzi, la Commissione poteva ritenere che una siffatta estrapolazione fosse ragionevole.

129

Di conseguenza, occorre respingere il primo argomento dedotto dalle ricorrenti a sostegno della prima parte del primo motivo.

130

In secondo luogo, le ricorrenti contestano la valutazione del Tribunale secondo la quale le stime della Commissione ai fini della valutazione del volume delle importazioni potevano essere considerate ragionevoli e plausibili. A loro avviso, il Tribunale è incorso in errore nel considerare, al punto 179 della sentenza impugnata, che i dati sulle esportazioni cinesi da esse forniti erano privi di pertinenza, mentre, al contrario, tali dati dimostravano che i dati sulle importazioni della Commissione erano sovrastimati.

131

Al punto 179 della sentenza impugnata, il Tribunale ha dichiarato che, se un ricorrente intende contestare l’attendibilità dei dati relativi al volume delle importazioni utilizzati dalla Commissione e vincere la causa, non può limitarsi a produrre cifre alternative, ad esempio cifre ottenute sulla base di dati provenienti dalle autorità doganali da cui provengono le importazioni controverse, ma deve produrre elementi idonei a mettere in discussione i dati forniti dalla Commissione.

132

Così, al suddetto punto 179, il Tribunale ha precisato, senza commettere errori di diritto né imporre un onere della prova irragionevole, le condizioni alle quali un ricorrente può validamente contestare l’attendibilità di taluni dati utilizzati dalla Commissione. Infatti, una siffatta contestazione non può limitarsi a produrre dati alternativi, ma deve anche esporre le ragioni per le quali questi ultimi dati sarebbero più attendibili di quelli utilizzati dalla Commissione.

133

Di conseguenza, anche il secondo argomento dedotto dalle ricorrenti a sostegno della prima parte del primo motivo dev’essere respinto.

134

Pertanto, per tutte le ragioni che precedono, la prima parte del primo motivo dev’essere respinta.

3) Sulla seconda parte del primo motivo

135

Con la seconda parte del primo motivo, le ricorrenti sostengono, in primo luogo, che le valutazioni di cui ai punti 199 e 200 della sentenza impugnata sono viziate da un errore di diritto in quanto il Tribunale ha indebitamente limitato l’obbligo, incombente alla Commissione, di prendere in considerazione tutte le informazioni disponibili, per il motivo che si doveva tenere conto dei termini procedurali e del fatto che il rispetto di tale obbligo doveva poter condurre, con una probabilità sufficientemente significativa, a risultati più affidabili di quelli ottenuti entro tali termini. L’obbligo di fondarsi su elementi di prova positivi e di prendere in considerazione tutte le informazioni disponibili per ottenere tali elementi di prova sarebbe un obbligo assoluto, indipendente da qualsiasi termine, come la Corte avrebbe confermato al punto 68 della sua sentenza del 10 settembre 2015, Bricmate (C‑569/13, EU:C:2015:572).

136

A tale proposito, occorre ricordare che, a norma del regolamento di base, spetta alla Commissione, in quanto autorità investigatrice, determinare l’esistenza di un dumping, di un pregiudizio e di un nesso di causalità tra le importazioni oggetto di dumping e il pregiudizio (sentenza del 12 maggio 2022, Commissione/Hansol Paper,C‑260/20 P, EU:C:2022:370, punto 47).

137

Ne consegue che, come giustamente ricordato dal Tribunale al punto 198 della sentenza impugnata riferendosi al punto 32 della sentenza del 22 marzo 2012, GLS (C‑338/10, EU:C:2012:158), il ruolo della Commissione in un’inchiesta antidumping non è quello di arbitro, la cui competenza sia limitata a decidere unicamente alla luce delle informazioni e degli elementi di prova forniti dalle parti dell’inchiesta. La Commissione ha anche l’obbligo di esaminare d’ufficio tutte le informazioni pertinenti di cui non dispone, ma alle quali essa stessa può avere accesso. A tale riguardo, l’articolo 6, paragrafi 3 e 4, del regolamento di base autorizza la Commissione a chiedere agli Stati membri di fornirle informazioni nonché di effettuare tutte le verifiche e i controlli necessari.

138

Tale obbligo di esame d’ufficio incombente alla Commissione deve tuttavia conciliarsi con gli altri obblighi impostile dal regolamento di base. Pertanto, tale esame deve poter essere effettuato entro il termine per l’inchiesta di cui all’articolo 6, paragrafo 9, di tale regolamento, fatto salvo il requisito enunciato all’articolo 3, paragrafo 2, di detto regolamento, vale a dire che l’accertamento dell’esistenza di un pregiudizio deve basarsi su prove positive e implicare un esame obiettivo.

139

Peraltro, detto obbligo di esame d’ufficio riguarda unicamente le informazioni alle quali essa stessa può avere accesso che sono pertinenti per la sua inchiesta antidumping. Tale pertinenza dipenderà, in particolare, dal contenuto nonché dall’attendibilità delle informazioni e degli elementi di prova di cui essa già dispone a seguito della cooperazione delle parti interessate a tale inchiesta. Infatti, la Commissione è tenuta ad esaminare con tutta la diligenza richiesta tutte le informazioni di cui dispone (v., in tal senso, sentenza del 12 maggio 2022, Commissione/Hansol Paper,C‑260/20 P, EU:C:2022:370, punto 50 e giurisprudenza citata). Qualora la Commissione disponga di informazioni sufficientemente affidabili per condurre detta inchiesta in modo obiettivo e le informazioni alle quali può avere accesso essa stessa non siano presumibilmente più affidabili, essa non può essere tenuta ad esercitare i suoi poteri di indagine d’ufficio.

140

Tuttavia, in caso di contestazione circostanziata dell’esattezza di talune informazioni ad opera di una parte del procedimento antidumping, la Commissione è tenuta ad esaminare con diligenza la fondatezza di tale contestazione (v., in tal senso, sentenza del 10 settembre 2015, Bricmate,C‑569/13, EU:C:2015:572, punto 68) e, purché essa sia fondata, a formulare le proprie conclusioni su altre informazioni affidabili.

141

Di conseguenza, il Tribunale non ha commesso errori di diritto nel considerare, ai punti 199 e 200 della sentenza impugnata, che la valutazione dell’obbligo della Commissione di procedere a un esame d’ufficio doveva essere effettuata tenendo conto sia del suo obbligo di rispettare i termini procedurali sia del fatto che i dati in questione potessero o meno condurre, con una probabilità sufficientemente significativa, a risultati più attendibili di quelli ottenuti entro tali termini.

142

Con la seconda parte del primo motivo, le ricorrenti sostengono, in secondo luogo, che, ai punti da 202 a 210 della sentenza impugnata, il Tribunale ha applicato erroneamente l’obbligo, incombente alla Commissione, di esaminare d’ufficio tutte le informazioni disponibili giudicando che quest’ultima non era tenuta né a raccogliere dati presso le autorità doganali nazionali né a inviare questionari agli importatori al fine di ottenere dati più attendibili o di controllare le ipotesi da essa formulate.

143

A tale riguardo, occorre anzitutto ricordare che, come esposto al punto 126 della presente sentenza, la Commissione può basarsi su dati ottenuti a seguito di un adeguamento solo in mancanza di dati accessibili più attendibili, circostanza che spetta alla Commissione esaminare d’ufficio.

144

Inoltre, per quanto riguarda i dati che la Commissione avrebbe potuto raccogliere presso le autorità doganali nazionali, occorre rilevare, in primo luogo, che, al punto 202 della sentenza impugnata, il Tribunale ha ritenuto che sarebbe sproporzionato esigere che la Commissione raccolga elenchi di importazioni, transazione per transazione, dalle autorità doganali di tutti gli Stati membri, analizzandoli per stabilire se possano essere presi in considerazione ed elaborando poi i dati del prodotto in esame in un periodo di quattro anni per tutta l’Unione.

145

Una siffatta valutazione non costituisce un’applicazione errata dell’obbligo di esame d’ufficio della Commissione. Infatti, tale raccolta di dati presupporrebbe la verifica di ogni importazione di chiusini per pozzetti nell’Unione nel corso del periodo d’inchiesta, il che sarebbe praticamente impossibile da realizzare entro i termini impartiti. Orbene, come è stato esposto al punto 138 della presente sentenza, l’obbligo di esame d’ufficio della Commissione deve conciliarsi con gli altri obblighi impostile dal regolamento di base, in particolare con i termini previsti da quest’ultimo.

146

In secondo luogo, occorre rilevare che, ai punti 205 e 206 della sentenza impugnata, il Tribunale ha considerato che la Commissione non era neppure tenuta a costituire un campione di dati raccogliendo taluni dati più dettagliati presso le autorità doganali nazionali, dal momento che, da un lato, la costituzione di un siffatto campione rappresenterebbe un carico di lavoro significativo e richiederebbe un tempo considerevole, circostanza di cui si dovrebbe tenere conto alla luce dei rigidi termini procedurali imposti alla Commissione, e, dall’altro, la pertinenza di un siffatto campione poteva essere rimessa in discussione, poiché la rappresentatività delle operazioni selezionate potrebbe essere messa in dubbio e detto campione non consentirebbe di calcolare con precisione il volume delle importazioni del prodotto in esame.

147

Tale valutazione del Tribunale non viola neppure l’obbligo di esame d’ufficio della Commissione, dal momento che non risulta che la raccolta di un campione presso le autorità doganali nazionali avrebbe consentito di ottenere dati più attendibili dei dati adeguati presi in considerazione dalla Commissione nel caso di specie.

148

Infine, per quanto riguarda i dati che la Commissione avrebbe potuto raccogliere presso gli importatori, il Tribunale ha considerato, ai punti da 207 a 209 della sentenza impugnata, che la Commissione non era tenuta a raccogliere tali dati nel caso di specie in quanto non sarebbero stati più attendibili. Esso ha motivato tale valutazione indicando che, in primo luogo, i 28 importatori che si erano manifestati durante l’inchiesta avevano fornito, nelle risposte al questionario allegato all’avviso di apertura dell’inchiesta, una cifra globale che riprendeva il volume delle importazioni del prodotto in esame provenienti dalla RPC e dalla Repubblica dell’India, in secondo luogo, detti dati non erano divisi in funzione dei codici della NC in cui rientrava tale prodotto e, in terzo luogo, tali risposte avevano potuto essere verificate solo per i tre importatori inseriti nel campione che avevano risposto a tale questionario e per i quali non era stato dimostrato che fossero sufficientemente rappresentativi di tutti gli importatori di detto prodotto. Il Tribunale ha suffragato quest’ultima valutazione facendo riferimento al fatto che la Commissione aveva indicato che il mercato era frammentato e caratterizzato da un gran numero di piccole e medie imprese e che, in un contesto del genere, non era escluso che molti altri importatori indipendenti operanti sul mercato, i quali non avevano un interesse diretto a collaborare all’inchiesta, non si fossero manifestati.

149

A tale riguardo, occorre osservare che il solo fatto che le risposte degli importatori a detto questionario non contenessero informazioni sufficientemente dettagliate sulle importazioni di cui trattasi non era sufficiente a dispensare la Commissione dal suo obbligo di esaminare d’ufficio se tali importatori avessero dati più attendibili di quelli costruiti sulla base dei dati di Eurostat. Tuttavia, l’errore commesso a tale riguardo dal Tribunale è inconferente. Infatti, come indicato dalla Commissione nella comparsa di risposta, anche se avesse richiesto informazioni più dettagliate, tali informazioni sarebbero comunque state meno esaustive di quelle di Eurostat. Infatti, la valutazione di fatto secondo la quale non era escluso che molti altri importatori indipendenti operanti sul mercato non avessero un interesse diretto a collaborare all’inchiesta non è contestata. Pertanto, non è dimostrato che la raccolta di dati sulle importazioni presso gli importatori avrebbe consentito di ottenere dati più attendibili dei dati adeguati presi in considerazione dalla Commissione nel caso di specie.

150

Per le ragioni che precedono, la seconda parte del primo motivo e, pertanto, tale primo motivo nella sua interezza devono essere respinti.

2.   Sul secondo motivo

a)   Argomenti delle parti

151

Con il secondo motivo le ricorrenti sostengono che, ai punti da 305 a 311 della sentenza impugnata, il Tribunale ha erroneamente avallato le valutazioni della Commissione relative al pregiudizio subìto dalla Saint-Gobain PAM e al nesso causale tra le importazioni oggetto di dumping e tale pregiudizio. Tali valutazioni non si baserebbero su prove positive e su un esame obiettivo, ai sensi dell’articolo 3, paragrafi 2 e 3, del regolamento di base, poiché, al momento del calcolo di detto pregiudizio, non si sarebbe tenuto conto dei profitti derivanti dalle vendite effettuate alle entità di vendita collegate alla Saint-Gobain PAM. Prendendo in considerazione i costi di produzione sostenuti dalla Saint-Gobain PAM nell’ambito della fabbricazione, indipendentemente dal tipo di vendita che interverrebbe successivamente, la Commissione avrebbe omesso di tenere conto, in sede di calcolo della redditività globale di tale impresa, degli utili «occulti» che quest’ultima impresa avrebbe ottenuto da tali entità in occasione della vendita del prodotto in esame. Tali profitti sarebbero stati considerati come costi ai fini del calcolo del pregiudizio, di modo che la redditività della Saint-Gobain PAM sarebbe stata sottostimata e il pregiudizio sovrastimato.

152

La Commissione e le intervenienti sostengono, in via principale, che tale motivo è irricevibile in quanto l’errore di diritto dedotto sarebbe inintelligibile ed equivale a rimettere in discussione una valutazione di fatto non contestata nonché, in subordine, che esso è infondato.

b)   Giudizio della Corte

153

Con il secondo motivo le ricorrenti criticano il Tribunale per avere violato l’articolo 3, paragrafi 2 e 3, del regolamento di base confermando la valutazione, da parte della Commissione, del pregiudizio subito dalla Saint-Gobain PAM. Nell’ambito di tale valutazione, tale pregiudizio sarebbe stato sovrastimato in quanto la Commissione avrebbe erroneamente ritenuto che i profitti della Saint‑Gobain PAM provenienti dalle vendite effettuate alle sue entità di vendita collegate costituissero dei costi.

154

A tale proposito, si deve rilevare che, con la quinta parte del primo motivo del ricorso dinanzi al Tribunale, le ricorrenti hanno addebitato alla Commissione di aver utilizzato, ai fini del calcolo del pregiudizio subito dalla Saint‑Gobain PAM, prezzi fatturati per rivendite all’interno del gruppo di società di cui tale produttore dell’Unione fa parte, ossia prezzi di trasferimento, mentre la valutazione della redditività effettiva avrebbe dovuto essere effettuata confrontando il valore delle vendite realizzate a clienti indipendenti con i costi sostenuti per la produzione dei prodotti nonché con le spese di vendita, le spese amministrative e altre spese generali dei rivenditori.

155

Ai punti da 305 a 307 della sentenza impugnata, il Tribunale ha respinto tale censura considerando che il fatto che la Saint-Gobain PAM vendesse il prodotto in esame sia direttamente, a clienti indipendenti, sia indirettamente, tramite operatori commerciali collegati, non incideva sulla determinazione dei costi di produzione, poiché i due tipi di vendite riguardavano prodotti fabbricati da tale impresa e il valore preso in considerazione dalla Commissione corrispondeva ai costi di produzione sostenuti da detta impresa, indipendentemente dal tipo di vendita che avrebbe successivamente avuto luogo. Il Tribunale ne ha dedotto che il fatto che talune vendite fossero state effettuate tramite società collegate non aveva avuto alcuna incidenza sul calcolo dei costi di produzione della Saint-Gobain PAM e, pertanto, sulla valutazione del pregiudizio subito dall’industria dell’Unione.

156

Pertanto, il Tribunale non ha ritenuto che i profitti della Saint-Gobain PAM provenienti dalle vendite del prodotto in esame alle sue entità di vendita collegate facessero parte dei costi di tale società ai fini della determinazione del pregiudizio subito dall’industria dell’Unione. Infatti, sia per le vendite dirette che per le vendite indirette, effettuate tramite entità di vendita collegate, i costi presi in considerazione sono stati i costi di produzione della Saint-Gobain PAM.

157

La censura delle ricorrenti secondo la quale i costi della Saint-Gobain PAM presi in considerazione includevano gli utili di tale società derivanti dalle vendite effettuate da quest’ultima ad entità di vendita collegate mira a rimettere in discussione una valutazione di fatto del Tribunale, senza che sia stato dimostrato, né tantomeno dedotto, uno snaturamento degli elementi di prova. Orbene, tale censura è irricevibile conformemente ad una giurisprudenza costante secondo la quale il Tribunale è competente in via esclusiva ad accertare e valutare i fatti pertinenti, nonché gli elementi di prova allegati. La valutazione di detti fatti e di detti elementi di prova non costituisce, quindi, una questione di diritto, come tale soggetta al controllo della Corte nell’ambito dell’esame di un’impugnazione, salvo il caso di snaturamento di tali fatti o di tali elementi (sentenza del 2 febbraio 2023, Spagna e a./Commissione, C‑649/20 P, C‑658/20 P e C‑662/20 P, EU:C:2023:60, punto 98 e giurisprudenza citata).

158

Pertanto, alla luce delle ragioni che precedono, il secondo motivo dev’essere respinto in quanto irricevibile.

3.   Sul terzo motivo

159

Con il terzo motivo, suddiviso in due parti, le ricorrenti sostengono che il Tribunale è incorso in errore nel considerare, ai punti da 371 a 392 e al punto 397 della sentenza impugnata, che non occorreva effettuare un’analisi per segmento al fine di valutare l’esistenza di un nesso causale tra le importazioni del prodotto in esame e il pregiudizio subito dall’industria dell’Unione, nonostante le differenze esistenti tra i prodotti standard e i prodotti non standard nonché quelle esistenti tra i prodotti di ghisa grigia e i prodotti di ghisa duttile.

a)   Sulla prima parte del terzo motivo

1) Argomenti delle parti

160

Con la prima parte del terzo motivo, le ricorrenti sostengono che il Tribunale ha commesso un errore di diritto limitando i casi in cui occorre procedere a un’analisi del pregiudizio per segmento ai soli casi in cui i prodotti in esame non sono intercambiabili. Pertanto, al punto 378 della sentenza impugnata, esso avrebbe erroneamente ritenuto che un’analisi per segmento non fosse necessaria quando tali prodotti sono sufficientemente intercambiabili e, ai punti da 383 a 392 della sentenza impugnata, avrebbe erroneamente limitato la sua analisi alla questione se detti prodotti costituissero un unico prodotto ai fini del procedimento antidumping, basandosi sulla sentenza del 10 marzo 1992, Sanyo Electric/Consiglio (C‑177/87, EU:C:1992:111). Secondo le ricorrenti, esistono differenze significative tra i prodotti standard e i prodotti non standard nonché tra i prodotti di ghisa grigia e i prodotti di ghisa duttile. Orbene, tali differenze sarebbero importanti per i clienti di tali prodotti. Inoltre, le importazioni di cui trattasi riguarderebbero esclusivamente prodotti standard e quasi esclusivamente prodotti di ghisa duttile. Siffatti elementi giustificherebbero un’analisi per segmento che inciderebbe sulla valutazione del nesso di causalità.

161

La Commissione ritiene che tale prima parte sia irricevibile in quanto le ricorrenti non hanno individuato in maniera sufficientemente precisa un errore di diritto che vizierebbe la sentenza impugnata. Inoltre, la Commissione e le intervenienti ritengono che detta prima parte sia infondata.

2) Giudizio della Corte

162

Per quanto riguarda la ricevibilità della prima parte del terzo motivo, occorre ricordare che, conformemente a una giurisprudenza costante, dall’articolo 256, paragrafo 1, secondo comma, TFUE, dall’articolo 58, primo comma, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea nonché dall’articolo 168, paragrafo 1, lettera d), e dall’articolo 169, paragrafo 2, del regolamento di procedura della Corte risulta che un’impugnazione deve indicare in modo preciso gli elementi contestati della sentenza di cui è chiesto l’annullamento nonché gli argomenti di diritto dedotti a specifico sostegno di tale domanda, pena l’irricevibilità dell’impugnazione o del motivo in questione (v., in particolare, sentenze del 10 novembre 2022, Commissione/Valencia Club de Fútbol,C‑211/20 P, EU:C:2022:862, punto 29, e del 15 dicembre-2022, Picard/Commissione,C‑366/21 P, EU:C:2022:984, punto 52).

163

In questa prima parte, le ricorrenti indicano tuttavia con sufficiente precisione l’asserito errore di diritto nonché i motivi per i quali il Tribunale avrebbe commesso tale errore. Infatti, esse ritengono che quest’ultimo abbia erroneamente limitato l’analisi per segmento del pregiudizio causato dalle importazioni oggetto di dumping all’ipotesi in cui i prodotti in esame non siano intercambiabili e invocano a sostegno della loro affermazione le sentenze del 28 ottobre 2004, Shanghai Teraoka Electronic/Consiglio (T‑35/01, EU:T:2004:317), e del 24 settembre 2019, Hubei Xinyegang Special Tube/Commissione (T‑500/17, non pubblicata, EU:T:2019:691). Pertanto, occorre respingere l’eccezione di irricevibilità sollevata dalla Commissione.

164

Per quanto riguarda la fondatezza di detta prima parte, occorre rilevare che, in forza dell’articolo 3, paragrafo 2, del regolamento di base, l’accertamento di un pregiudizio implica un esame obiettivo del volume delle importazioni oggetto di dumping, degli effetti di tali importazioni sui prezzi dei prodotti simili sul mercato dell’Unione e dell’incidenza di dette importazioni sull’industria dell’Unione. L’articolo 3, paragrafo 3, di tale regolamento prevede che, per quanto riguarda gli effetti delle importazioni oggetto di dumping sui prezzi, occorre esaminare se tali importazioni siano state effettuate a prezzi sensibilmente inferiori a quelli dei prodotti simili dell’industria dell’Unione.

165

Sebbene il regolamento di base non imponga alcun metodo particolare per analizzare la sottoquotazione dei prezzi, dalla formulazione stessa di tale articolo 3, paragrafo 3, risulta che il metodo scelto per determinare un’eventuale sottoquotazione dei prezzi deve, in linea di principio, essere applicato a livello del «prodotto simile», ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 4, di detto regolamento, anche se quest’ultimo può essere composto da diversi tipi di prodotti rientranti in più segmenti di mercato. Pertanto, il regolamento di base non impone, in linea di principio, alcun obbligo alla Commissione di effettuare un’analisi dell’esistenza della sottoquotazione dei prezzi a un livello diverso da quello del prodotto simile (v., in tal senso, sentenza del 20 gennaio 2022, Commissione/Hubei Xinyegang Special Tube,C‑891/19 P, EU:C:2022:38, punti da 73 a 75).

166

Tuttavia, dal momento che, in forza dell’articolo 3, paragrafo 2, del regolamento di base, la Commissione è tenuta a procedere a un «esame obiettivo» degli effetti delle importazioni oggetto di dumping sui prezzi dei prodotti simili dell’industria dell’Unione, tale istituzione è obbligata a tenere conto, nella sua analisi della sottoquotazione dei prezzi, di tutte le prove positive pertinenti, ivi comprese, se del caso, quelle relative ai diversi segmenti di mercato del prodotto considerato (sentenza del 20 gennaio 2022, Commissione/Hubei Xinyegang Special Tube,C‑891/19 P, EU:C:2022:38, punto 77).

167

Quindi, al fine di garantire l’obiettività dell’analisi della sottoquotazione dei prezzi, la Commissione può, in talune circostanze, essere tenuta, nonostante il suo ampio potere discrezionale, a procedere a una siffatta analisi a livello dei segmenti del mercato del prodotto in esame. Ciò può avvenire in una situazione caratterizzata dall’esistenza di una segmentazione chiara del mercato del prodotto in esame e dal fatto che le importazioni oggetto dell’inchiesta antidumping erano concentrate in grandissima parte in uno dei segmenti del mercato del prodotto in esame, a condizione, tuttavia, che il prodotto simile nel suo insieme sia debitamente preso in considerazione. Ciò può accadere anche in una situazione particolare caratterizzata da una forte concentrazione delle vendite interne e delle importazioni oggetto di dumping in segmenti distinti, nonché da differenze di prezzo alquanto significative tra tali segmenti. Infatti, in tali circostanze, la Commissione può essere tenuta a prendere in considerazione le quote di mercato di ciascun tipo di prodotto e tali differenze di prezzo al fine di garantire l’obiettività dell’analisi relativa all’esistenza della sottoquotazione dei prezzi (v., in tal senso, sentenza del 20 gennaio 2022, Commissione/Hubei Xinyegang Special Tube,C‑891/19 P, EU:C:2022:38, punti da 78 a 81, 110111).

168

Alla luce di quanto precede, il Tribunale poteva considerare, come ha fatto al punto 378 della sentenza impugnata, che un’analisi per segmento non fosse necessaria quando i prodotti in questione sono sufficientemente intercambiabili. Infatti, il carattere sufficientemente intercambiabile di tali tipi di prodotto garantisce l’assenza di segmentazione chiara del mercato e, in tal modo, l’obiettività dell’analisi della sottoquotazione dei prezzi, in quanto ha come conseguenza che le vendite dei prodotti dell’Unione saranno influenzate dalle importazioni oggetto di dumping, indipendentemente dal segmento di tali prodotti o di tali importazioni.

169

Ne consegue che, qualora sia accertata una siffatta intercambiabilità, la percezione di differenze tra i prodotti standard e i prodotti non standard nonché tra i prodotti di ghisa grigia e i prodotti di ghisa duttile, da parte dei clienti di tali prodotti, e il fatto che le importazioni oggetto di dumping riguardino esclusivamente prodotti standard e quasi esclusivamente prodotti di ghisa duttile non possono giustificare un’analisi per segmento.

170

Peraltro, è senza commettere errori di diritto che il Tribunale ha dichiarato, al punto 383 della sentenza impugnata, che l’appartenenza di prodotti a gamme diverse non è sufficiente a dimostrare, di per sé, la mancanza di intercambiabilità e quindi l’opportunità di effettuare un’analisi per segmento. Infatti, come giustamente rilevato dal Tribunale in tale punto, prodotti appartenenti a gamme diverse possono avere funzioni identiche o soddisfare le stesse esigenze.

171

Pertanto, la prima parte del terzo motivo dev’essere respinta in quanto infondata.

b)   Sulla seconda parte del terzo motivo

1) Argomenti delle parti

172

Con la seconda parte del terzo motivo, le ricorrenti sostengono che, nella sentenza impugnata, il Tribunale ha commesso un errore in quanto non ha né considerato né risposto al loro argomento secondo cui la natura delle importazioni oggetto di dumping avrebbe dovuto essere presa in considerazione per valutare l’esistenza di un nesso di causalità. Secondo le ricorrenti, tenuto conto della natura di tali importazioni che consistono quasi esclusivamente in prodotti standard e in prodotti di ghisa duttile, nessun nesso di causalità poteva essere dimostrato, ai sensi dell’articolo 3, paragrafi 6 e 7, del regolamento di base, tra tali importazioni e il pregiudizio per il «prodotto simile» senza effettuare un esame più dettagliato di tale pregiudizio riguardante, da un lato, i prodotti di ghisa duttile rispetto ai prodotti di ghisa grigia e, dall’altro, i prodotti standard rispetto ai prodotti non standard.

173

Per illustrare la rilevanza dell’errore del Tribunale, le ricorrenti sostengono che la Commissione ha applicato un metodo di confronto dei prodotti basato sui NCP (in prosieguo: il «metodo NCP») unicamente nell’ambito dell’esame dell’esistenza di una sottoquotazione dei prezzi e non di quello degli indicatori dell’esistenza di un pregiudizio, quali il volume delle vendite e la redditività, che sarebbero stati valutati solo per l’intero prodotto simile. Di conseguenza, la Commissione si sarebbe trovata nell’impossibilità di stabilire se il pregiudizio accertato sulla base di ciascuno di tali indicatori si riferisse a un segmento interessato dalle importazioni cinesi e quindi se tale pregiudizio fosse stato causato da tali importazioni. Inoltre, il fatto che la Commissione avrebbe dimostrato l’esistenza di una sottoquotazione solo per il 62,6% delle vendite totali dei produttori dell’Unione rafforzerebbe la necessità di valutare se il pregiudizio constatato per il prodotto simile si riferisca a categorie di prodotti che non sono stati oggetto di nessuna importazione o di quasi nessuna importazione. In ogni caso, il Tribunale avrebbe erroneamente imposto alle ricorrenti un onere della prova eccessivo quanto alla determinazione delle differenze tra le categorie di prodotti che richiedono un’analisi per segmento.

174

Il Tribunale commetterebbe altresì un errore negando, ai punti 391 e 392 della sentenza impugnata, la rilevanza di una «preferenza» o di una «priorità» tra i diversi segmenti. È proprio questa preferenza che potrebbe determinare l’assenza di un nesso di causalità tra le importazioni oggetto di dumping e il pregiudizio subito dall’industria dell’Unione, qualora tali importazioni riguardino solo un segmento e tale pregiudizio sia accertato presso i produttori dell’Unione in un altro segmento. Il fatto che, ai punti 391 e 392 di tale sentenza, il Tribunale consideri l’esistenza di una priorità o di una preferenza dei consumatori, in taluni Stati membri, per l’uno o l’altro tipo di ghisa interessati, come un’«affermazione» che «non [è] sostenuta da elementi concreti», sarebbe manifestamente erroneo e ingannevole. Infatti, in primo luogo, la Commissione avrebbe ammesso l’esistenza di tale preferenza. In secondo luogo, tutte le parti interessate, compresi i denuncianti, avrebbero sottolineato le differenze esistenti tra i prodotti di ghisa duttile e i prodotti di ghisa grigia.

175

La Commissione e le intervenienti ritengono che la seconda parte del terzo motivo sia inconferente in quanto le ricorrenti non hanno dimostrato che i prodotti di cui trattasi non erano intercambiabili. In ogni caso, questa seconda parte sarebbe infondata, dal momento che l’intercambiabilità di tali prodotti osterebbe a una scissione artificiosa dell’analisi del pregiudizio da quella del nesso di causalità.

2) Giudizio della Corte

176

Con la seconda parte del terzo motivo, le ricorrenti contestano al Tribunale di non avere considerato né risposto al loro argomento secondo il quale non poteva essere dimostrato alcun nesso di causalità ai sensi dell’articolo 3, paragrafi 6 e 7, del regolamento di base senza effettuare un’analisi in funzione dei segmenti di prodotti standard, di prodotti non standard, di prodotti di ghisa duttile e di prodotti di ghisa grigia, dal momento che le importazioni oggetto di dumping consistevano quasi esclusivamente in prodotti standard e in prodotti di ghisa duttile.

177

A tale proposito occorre rilevare che, ai punti da 382 a 385 della sentenza impugnata, il Tribunale ha dichiarato che, tenuto conto dell’intercambiabilità dei prodotti standard e dei prodotti non standard nonché della mancanza di elementi forniti in senso contrario dalle ricorrenti, non si rendeva necessaria un’analisi segmentata del pregiudizio che distinguesse i prodotti standard dai prodotti non standard. Parimenti, ai punti da 387 a 392 della sentenza impugnata, esso ha rilevato che la Commissione aveva ritenuto che i prodotti di ghisa duttile e i prodotti di ghisa grigia fossero intercambiabili e che le ricorrenti non avessero fornito elementi che mettessero in discussione tale valutazione, dal momento che esse avevano invocato soltanto l’esistenza di una «priorità» o di una «preferenza», in taluni Stati membri, per l’uno o l’altro tipo di ghisa. Di conseguenza, il Tribunale ha dichiarato che non occorreva procedere a un’analisi segmentata del pregiudizio che distinguesse la ghisa duttile dalla ghisa grigia.

178

Poiché dalla valutazione fattuale del Tribunale risulta che tanto i prodotti standard e i prodotti non standard quanto i prodotti di ghisa duttile e i prodotti di ghisa grigia erano intercambiabili, non era necessaria un’analisi del pregiudizio in funzione dei segmenti dei prodotti in esame. Infatti, come è stato esposto al punto 169 della presente sentenza, dal carattere intercambiabile di tali prodotti si può dedurre che le vendite dei prodotti dell’Unione saranno influenzate dalle importazioni oggetto di dumping indipendentemente dal segmento di tali prodotti o di tali importazioni.

179

Occorre respingere in quanto inconferente l’argomento delle ricorrenti secondo il quale, avendo applicato il metodo NCP, la Commissione avrebbe preso in considerazione una segmentazione dei prodotti in esame senza tuttavia che tale metodo fosse soddisfacente, in quanto avrebbe avuto ad oggetto soltanto l’esame di uno solo dei diversi indicatori di un pregiudizio, ossia l’esistenza di una sottoquotazione dei prezzi, e avrebbe riguardato solamente il 62,6% delle vendite totali effettuate dai produttori dell’Unione inclusi nel campione. Infatti, poiché l’intercambiabilità dei prodotti in esame non imponeva un’analisi per segmento, le asserite carenze di tale metodo ai fini di un’analisi per segmento sono irrilevanti.

180

Nella misura in cui le ricorrenti contestano al Tribunale di non avere esaminato la loro censura vertente su una violazione dell’articolo 3, paragrafi 6 e 7, del regolamento di base a causa dell’assenza di un’analisi per segmento, si deve rilevare che, certamente, tale articolo 3, paragrafi 2 e 3, e detto articolo 3, paragrafi 6 e 7, hanno oggetti diversi in quanto il primo disciplina l’accertamento dell’esistenza di un pregiudizio per l’industria dell’Unione e il secondo precisa le condizioni per l’esistenza di un nesso di causalità tra le importazioni oggetto di dumping e tale pregiudizio. Tuttavia, tali disposizioni, come rilevato al punto 363 della sentenza impugnata, sono in rapporto tra loro. Infatti, l’articolo 3, paragrafo 6, di tale regolamento prevede espressamente che la dimostrazione che tali importazioni causano pregiudizio dev’essere fornita in base agli elementi di prova presentati in relazione al paragrafo 2 di tale articolo, il che implica la dimostrazione che il volume e/o i prezzi individuati a norma del paragrafo 3 di detto articolo hanno sull’industria dell’Unione un’incidenza notevole. Pertanto, al punto 364 di tale sentenza, il Tribunale ha giustamente ricordato che l’esame di cui all’articolo 3, paragrafo 3, di detto regolamento deve servire da fondamento all’analisi relativa al nesso di causalità tra dette importazioni e il pregiudizio subito dall’industria dell’Unione.

181

Ne consegue che la valutazione secondo la quale un’analisi per segmento non è richiesta in sede di esame del pregiudizio ai sensi dell’articolo 3, paragrafi 2 e 3, del regolamento di base vale anche per quanto concerne l’esame relativo al nesso di causalità ai sensi di tale articolo 3, paragrafi 6 e 7. Ritenendo, ai punti da 382 a 392 della sentenza impugnata, che un’analisi per segmento dei prodotti in esame non fosse giustificata nell’ambito dell’esame del pregiudizio, tenuto conto della loro intercambiabilità, il Tribunale ha pertanto implicitamente, ma necessariamente, respinto la censura delle ricorrenti vertente su una violazione dell’articolo 3, paragrafi 6 e 7, di tale regolamento a causa dell’assenza di una siffatta analisi.

182

Peraltro, occorre respingere in quanto infondato l’argomento delle ricorrenti secondo il quale il Tribunale ha imposto loro un onere della prova eccessivo quanto alla determinazione delle differenze tra le categorie di prodotti che richiedono un’analisi per segmento. Infatti, poiché un’analisi per segmento è giustificata solo al fine di garantire l’obiettività dell’esame dell’effetto delle importazioni oggetto di dumping sui prodotti simili dell’industria dell’Unione, l’obbligo di dimostrare che i prodotti in esame non sono sufficientemente intercambiabili, al fine di imporre un’analisi per segmento, non costituisce un onere della prova eccessivo.

183

Infine, nella misura in cui le ricorrenti sostengono che, al punto 392 della sentenza impugnata, il Tribunale ha commesso un errore negando la pertinenza, in sede di valutazione del pregiudizio, di una preferenza o di una priorità dei consumatori, in taluni Stati membri, per l’uno o l’altro tipo di ghisa interessati, occorre rilevare che, in tale punto, il Tribunale ha respinto i loro argomenti su due fondamenti autonomi. Da un lato, esso ha constatato che le loro affermazioni a tale riguardo non erano suffragate da elementi concreti e, dall’altro, ha ritenuto che una semplice priorità non consentisse di stabilire con certezza un’assenza o un’insufficienza di intercambiabilità dei prodotti. Poiché, nella loro impugnazione, le ricorrenti non mettono in discussione questo secondo fondamento, i loro argomenti relativi all’esistenza di elementi concreti a sostegno delle loro affermazioni devono essere respinti in quanto inconferenti.

184

Alla luce di quanto precede, la seconda parte del terzo motivo e, pertanto, tale terzo motivo nella sua interezza devono essere respinti.

4.   Sul quarto motivo

a)   Argomenti delle parti

185

Con il quarto motivo, le ricorrenti affermano che, al punto 425 della sentenza impugnata, il Tribunale ha violato l’articolo 3, paragrafi 6 e 7, del regolamento di base nonché il suo obbligo di motivazione dichiarando che l’esistenza di un margine di sottoquotazione riguardante il 62,6% delle vendite dei produttori dell’Unione inclusi nel campione appariva sufficiente per concludere nel senso dell’esistenza di una sottoquotazione notevole del prezzo, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 3, di tale regolamento. In tal modo, il Tribunale avrebbe omesso di valutare se l’assenza di una sottoquotazione dei prezzi per il 37,4% di tali vendite ostasse all’accertamento di un nesso di causalità ai sensi dell’articolo 3, paragrafi 6 e 7, di detto regolamento. Infatti, il pregiudizio accertato potrebbe riguardare tipi di prodotti che non sono interessati dalle importazioni oggetto di dumping, il che inciderebbe sull’obiettività dell’esame del pregiudizio causato da tali importazioni.

186

Inoltre, al punto 417 della sentenza impugnata, il Tribunale avrebbe commesso un errore di diritto subordinando l’analisi dell’incidenza dell’assenza di sottoquotazione dei prezzi per il 37,4% di dette vendite alla constatazione di una segmentazione del mercato dell’Unione. Orbene, l’esistenza di una siffatta segmentazione non sarebbe un prerequisito affinché la Commissione esamini con diligenza il nesso di causalità. L’assenza di sottoquotazione dei prezzi e di una categoria corrispondente di prodotti importati per gran parte delle vendite nell’Unione avrebbe potuto impedire l’accertamento di un nesso di causalità per il pregiudizio subito dall’industria dell’Unione nel suo complesso.

187

Le ricorrenti contestano altresì che il metodo NCP possa giustificare l’approccio seguito nel regolamento controverso. La mancanza di corrispondenza tra i NCP in questione al momento del campionamento presupporrebbe di verificare se, nonostante tale assenza, possa essere dimostrato un nesso di causalità. Esso potrebbe, ad esempio, comprendere un’analisi volta a stabilire se le importazioni, diverse da quelle dei soli produttori inclusi nel campione, comprendano i tipi di prodotto senza corrispondenza. Ciò non si verificherebbe però nel caso di specie.

188

La Commissione e le intervenienti contestano l’argomento delle ricorrenti.

b)   Giudizio della Corte

189

Ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 6, del regolamento di base, deve essere dimostrato, in base a tutti gli elementi di prova, presentati a norma del paragrafo 2 di tale articolo, che le importazioni oggetto di dumping causano pregiudizio, il che implica dimostrare che il volume e/o i prezzi di tali importazioni individuati a norma del paragrafo 3 di detto articolo hanno sull’industria dell’Unione un’incidenza notevole.

190

Ai punti da 417 a 425 della sentenza impugnata, il Tribunale ha considerato che, a differenza della situazione all’origine di altre due cause, nella fattispecie la Commissione non aveva constatato l’esistenza di diversi segmenti e, pur avendo suddiviso il prodotto in esame in codici NCP ai fini del confronto, tale prodotto comprendeva una varietà di tipi di prodotti che restavano intercambiabili. In tali circostanze, il Tribunale ha ritenuto che l’esistenza di un margine di sottoquotazione compreso tra il 31,6 e il 39,2%, riguardante il 62,6% delle vendite dei produttori dell’Unione inclusi nel campione, fosse sufficiente per concludere nel senso dell’esistenza di una sottoquotazione notevole del prezzo rispetto al prezzo di un prodotto simile dell’industria dell’Unione, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 3, del regolamento di base.

191

Le ricorrenti sostengono che il Tribunale ha commesso un errore di diritto e di motivazione omettendo di valutare se l’assenza di sottoquotazione dei prezzi per il 37,4% di tali vendite impedisse o meno l’accertamento di un nesso di causalità ai sensi dell’articolo 3, paragrafi 6 e 7, del regolamento di base. Esso avrebbe altresì commesso un errore di diritto subordinando la necessità di effettuare un’analisi dell’incidenza di tale assenza di sottoquotazione dei prezzi all’accertamento di una segmentazione del mercato dell’Unione.

192

Per quanto riguarda la censura vertente su un errore di diritto, occorre rilevare che, sebbene l’articolo 3 del regolamento di base esponga un certo numero di elementi da prendere in considerazione in sede di determinazione dell’esistenza di un pregiudizio causato da importazioni oggetto di dumping, esso non prevede, come indicato al punto 165 della presente sentenza, alcun metodo preciso per analizzare una sottoquotazione dei prezzi. Poiché tale determinazione implica valutazioni economiche complesse, la Commissione gode, conformemente alla giurisprudenza ricordata al punto 112 della presente sentenza, di un ampio potere discrezionale quanto alla sua scelta.

193

Inoltre, il regolamento di base non prevede che la Commissione sia tenuta, in qualsiasi circostanza, a prendere in considerazione la totalità dei prodotti venduti dall’industria dell’Unione, compresi i tipi del prodotto in esame non esportati dai produttori esportatori inclusi nel campione in sede di determinazione dell’esistenza di un pregiudizio causato da importazioni oggetto di dumping.

194

Infatti, la formulazione dell’articolo 3, paragrafi 2 e 3, del regolamento di base, cui fa riferimento l’articolo 3, paragrafo 6, di tale regolamento, non impone alla Commissione di prendere in considerazione, nel suo esame dell’incidenza di tali importazioni sui prezzi dell’industria dell’Unione, tutte le vendite di un prodotto simile di tale industria (sentenza del 20 gennaio 2022, Commissione/Hubei Xinyegang Special Tube,C‑891/19 P, EU:C:2022:38, punti 152, 153159).

195

Ciò è corroborato dal fatto che l’esame dell’incidenza delle importazioni oggetto di dumping sui prezzi dell’industria dell’Unione, che occorre effettuare ai fini della determinazione di un pregiudizio, implica un confronto di vendite non di una medesima impresa, come avviene nel caso della determinazione del margine di dumping che è calcolato sulla base dei dati del produttore esportatore interessato, ma di più imprese, ossia i produttori esportatori inclusi nel campione e le imprese facenti parte dell’industria dell’Unione incluse nel campione. Orbene, un confronto delle vendite di tali imprese sarà molto spesso più difficile nell’ambito dell’analisi di una sottoquotazione dei prezzi che in quello della determinazione del margine di dumping, dal momento che la gamma dei tipi di prodotti venduti da tali diverse imprese tenderà a sovrapporsi solo in parte (v., in tal senso, sentenza del 20 gennaio 2022, Commissione/Hubei Xinyegang Special Tube,C‑891/19 P, EU:C:2022:38, punti 154155).

196

Tale rischio relativo al fatto che taluni tipi di prodotti non possano essere presi in considerazione nell’ambito dell’analisi di una sottoquotazione dei prezzi a causa della differenza della gamma dei prodotti venduta da tali diverse imprese è ancora più elevato quando i NCP sono più dettagliati. Infatti, se un maggiore grado di dettaglio dei NCP ha come vantaggio che si confrontino tipi di prodotti che presentano più caratteristiche fisiche e tecniche comuni, esso presenta, per converso, lo svantaggio di aumentare la possibilità che taluni tipi di prodotti venduti dalle une o dalle altre società interessate non abbiano equivalenti e non possano quindi essere paragonati né presi in considerazione in tale analisi (sentenza del 20 gennaio 2022, Commissione/Hubei Xinyegang Special Tube,C‑891/19 P, EU:C:2022:38, punti 156157).

197

Pertanto, l’esercizio, da parte della Commissione, del suo ampio potere discrezionale quanto alla scelta del metodo da seguire per analizzare una sottoquotazione dei prezzi può avere come conseguenza inevitabile, come nel caso del metodo NCP, che taluni tipi di prodotti non possano essere comparati e, pertanto, non siano presi in considerazione nell’ambito di detta analisi. L’esercizio di tale potere discrezionale è tuttavia limitato dall’obbligo, imposto alla Commissione dall’articolo 3, paragrafo 2, del regolamento di base, di procedere a un esame obiettivo degli effetti delle importazioni oggetto di dumping sui prezzi dell’industria dell’Unione (v., in tal senso, sentenza del 20 gennaio 2022, Commissione/Hubei Xinyegang Special Tube,C‑891/19 P, EU:C:2022:38, punto 158).

198

Nel caso di specie, la scelta della Commissione di applicare il metodo NCP ha avuto come conseguenza che essa non abbia potuto confrontare il 37,4% delle vendite dei produttori dell’Unione inclusi nel campione.

199

Tuttavia, il fatto che la Commissione abbia potuto accertare l’esistenza di un margine di sottoquotazione attestantesi tra il 31,6 e il 39,2%, riguardante il 62,6% di tali vendite, costituisce una sottoquotazione notevole del prezzo di tali produttori che può essere qualificata come incidenza notevole sull’industria dell’Unione ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 6, del regolamento di base.

200

Inoltre, in ogni caso, le ricorrenti deducono erroneamente, dall’assenza di comparazione per il 37,4% di dette vendite, che esse non sono state influenzate dalle importazioni in questione. Infatti, dal momento che il prodotto in esame comprende diversi tipi di prodotti che sono intercambiabili e che, correlativamente, non esiste una segmentazione chiara del mercato del prodotto in esame (v. punto 167 della presente sentenza), è probabile che tali importazioni abbiano avuto un effetto anche sui prezzi dei prodotti dei produttori dell’Unione inclusi nel campione che non hanno potuto essere confrontati sulla base del metodo NCP. Il fatto che tale effetto non sia stato quantificato sulla base di tale metodo non è sufficiente a rimettere in discussione l’obiettività della valutazione secondo la quale dette importazioni hanno dovuto incidere sul prezzo di tutti i tipi di prodotti dei produttori dell’Unione, poiché tali prodotti sono intercambiabili.

201

Di conseguenza, la censura delle ricorrenti vertente su una violazione, da parte del Tribunale, dell’articolo 3, paragrafi 6 e 7, del regolamento di base a causa della mancata presa in considerazione dell’assenza di sottoquotazione dei prezzi per il 37,4% delle vendite dei produttori dell’Unione inclusi nel campione dev’essere respinta in quanto infondata, poiché esse ritengono erroneamente che non vi sia sottoquotazione per tale percentuale delle vendite e che la Commissione abbia stabilito, in applicazione del metodo NCP, una sottoquotazione notevole dei prezzi avente un’incidenza notevole sull’industria dell’Unione.

202

Per quanto riguarda la censura vertente su una violazione dell’obbligo di motivazione, occorre ricordare che, secondo una giurisprudenza costante della Corte, l’obbligo di motivare le sentenze, che incombe al Tribunale ai sensi dell’articolo 36 e dell’articolo 53, primo comma, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, non impone al Tribunale di fornire una spiegazione che ripercorra esaustivamente e singolarmente tutti i ragionamenti svolti dalle parti della controversia. La motivazione può quindi essere implicita, a condizione che consenta agli interessati di conoscere i motivi sui quali si fonda il Tribunale e alla Corte di disporre di elementi sufficienti per esercitare il suo controllo in sede di impugnazione (sentenza del 14 settembre 2016, Trafilerie Meridionali/Commissione,C‑519/15 P, EU:C:2016:682, punto 41 e giurisprudenza citata).

203

Orbene, nel caso di specie, alla luce della motivazione contenuta ai punti da 406 a 425 della sentenza impugnata e della valutazione di cui ai punti da 192 a 201 della presente sentenza, si deve constatare che tale motivazione ha consentito alle ricorrenti di conoscere i motivi sui quali si è fondato il Tribunale e alla Corte di esercitare il suo controllo. Pertanto, la censura delle ricorrenti relativa a una violazione dell’obbligo di motivazione dev’essere respinta.

204

Alla luce delle considerazioni che precedono, il quarto motivo dev’essere respinto.

5.   Sul quinto motivo

a)   Considerazioni preliminari

205

Con il quinto motivo, suddiviso in tre parti, le ricorrenti contestano la valutazione del Tribunale del terzo motivo del loro ricorso in primo grado, vertente sul mancato rispetto, da parte della Commissione, delle loro garanzie procedurali, in quanto quest’ultima non avrebbe comunicato loro informazioni utili alla determinazione del dumping e del pregiudizio.

206

La seconda e la terza parte di tale quinto motivo vertono più precisamente sulla fondatezza delle valutazioni del Tribunale relative alla valutazione del terzo motivo del ricorso in primo grado, che la CCCME aveva dedotto a nome proprio. Tuttavia, come è stato rilevato ai punti da 48 a 75 e 100 della presente sentenza, la CCCME non possedeva la legittimazione ad agire, a nome proprio, per l’annullamento del regolamento controverso. Pertanto, la seconda e la terza parte del quinto motivo sono irricevibili.

b)   Sulla prima parte del quinto motivo

1) Argomenti delle parti

207

Con la prima parte del quinto motivo le ricorrenti sostengono che, ai punti da 435 a 438 della sentenza impugnata, il Tribunale ha commesso un errore o, in subordine, ha snaturato i fatti dichiarando irricevibile il terzo motivo del loro ricorso di annullamento nella parte in cui riguardava le violazioni delle garanzie procedurali dedotte dai membri della CCCME e dalle altre nove ricorrenti, sulla base del rilievo che non avevano partecipato all’inchiesta. Tali membri e ricorrenti avevano partecipato all’inchiesta poiché essi erano o produttori esportatori inclusi nel campione o produttori esportatori indicati nel regolamento controverso in quanto avevano collaborato per costituire tale campione. La presentazione di un modulo di campionamento era la modalità per un produttore esportatore di «manifestarsi» in risposta a un avviso di apertura a norma dell’articolo 5, paragrafo 10, del regolamento di base. Inoltre, la Commissione aveva dichiarato, nel suo controricorso dinanzi al Tribunale, che le ricorrenti cinesi non inserite e inserite nel campione avevano da essa ricevuto «i documenti informativi di cui all’articolo 19, paragrafo 2, del regolamento di base».

208

Le ricorrenti affermano altresì che, ai punti da 443 a 447 della sentenza impugnata, il Tribunale ha erroneamente dichiarato che il fatto che la CCCME agisse in qualità di rappresentante dell’industria cinese della ghisa nel suo complesso non era sufficiente a dimostrare che essa agiva per conto dei suoi membri e delle altre nove ricorrenti nel corso del procedimento antidumping di cui trattasi e, pertanto, che essa non era legittimata a dedurre una violazione dei diritti procedurali di tali membri e di tali ricorrenti. Il Tribunale avrebbe applicato un criterio giuridico errato e avrebbe proceduto a una qualificazione giuridica erronea dei fatti. Nel valutare la rappresentanza da parte della CCCME dei suoi membri e delle altre nove ricorrenti, il Tribunale avrebbe ignorato elementi di prova, snaturato il contenuto delle osservazioni della CCCME del 15 settembre 2017 sul regolamento provvisorio e ignorato il fatto che la rappresentanza dei produttori esportatori cinesi da parte della CCCME era apparsa chiaramente alla Commissione.

209

La Commissione e le intervenienti contestano l’argomento delle ricorrenti.

2) Giudizio della Corte

210

In primo luogo, le ricorrenti sostengono, in via principale, che il Tribunale ha commesso un errore di diritto dichiarando che, nonostante il fatto che i membri della CCCME e le altre nove ricorrenti fossero stati inseriti nel campione o indicati come soggetti che avevano collaborato per costituire tale campione durante l’inchiesta antidumping, essi non erano legittimati a dedurre una violazione dei loro diritti alla comunicazione di informazioni utili alla determinazione del dumping e del pregiudizio nel corso di tale inchiesta.

211

A tale riguardo, occorre ricordare che il rispetto dei diritti della difesa costituisce un principio fondamentale del diritto dell’Unione (sentenza del 3 giugno 2021, Jumbocarry Trading, C‑39/20,-EU:C:2021:435, punto 31 e giurisprudenza citata). Di conseguenza, la Corte ha dichiarato che il rispetto di tali diritti riveste un’importanza capitale nei procedimenti di inchieste antidumping e che, in forza di tali diritti, le imprese interessate devono essere state messe in condizione, nel corso del procedimento amministrativo, di far conoscere efficacemente il loro punto di vista sulla sussistenza e sulla pertinenza dei fatti e delle circostanze allegati, nonché sugli elementi di prova posti dalla Commissione a fondamento delle proprie affermazioni e relativi all’esistenza di una pratica di dumping e del pregiudizio ad essa conseguente (v., in tal senso, sentenza del 16 febbraio 2012, Consiglio e Commissione/Interpipe Niko Tube e Interpipe NTRP, C‑191/09 P e C‑200/09 P, EU:C:2012:78, punti 7677 e giurisprudenza citata).

212

Il considerando 12 del regolamento di base enuncia quindi che alle parti interessate devono essere accordate ampie possibilità per la presentazione di tutti gli elementi di prova pertinenti e la difesa dei propri interessi. Inoltre, l’articolo 6, paragrafi 5 e 7, e l’articolo 20, paragrafi 1 e 2, di tale regolamento trascrivono i diritti della difesa di tali parti. Infatti, la prima disposizione prevede la possibilità, per queste ultime, tra le quali figurano in particolare gli importatori e gli esportatori del prodotto oggetto dell’inchiesta, di essere sentite e di prendere conoscenza di tutte le informazioni fornite dalle parti interessate dall’inchiesta, tranne i documenti interni preparati dalle autorità dell’Unione o degli Stati membri, purché tali informazioni siano pertinenti per la difesa dei loro interessi, non siano riservate, e siano utilizzate nell’inchiesta. La seconda disposizione consente a dette parti di essere informate degli elementi specifici dei principali fatti e considerazioni in base ai quali, da un lato, sono state istituite misure provvisorie o, dall’altro, si intende raccomandare l’istituzione di misure definitive.

213

Tali disposizioni assoggettano tuttavia l’esercizio di tali diritti a talune modalità al fine di garantire la buona amministrazione del procedimento antidumping. Così, in forza dell’articolo 6, paragrafi 5 e 7, del regolamento di base, le parti interessate sono tenute, da un lato, a manifestarsi e, dall’altro, a presentare una domanda scritta per prendere conoscenza delle informazioni in questione o per essere sentite. Per quanto riguarda la prima di tali modalità, l’articolo 5, paragrafo 10, di tale regolamento precisa che l’avviso di apertura del procedimento fissa i termini entro i quali le parti interessate possono manifestarsi, comunicare per iscritto le loro osservazioni e presentare le informazioni necessarie affinché tali osservazioni e informazioni possano essere prese in considerazione nel corso dell’inchiesta. Quest’ultima disposizione prevede inoltre che tale avviso precisa il periodo entro il quale le parti interessate possono chiedere di essere sentite dalla Commissione conformemente all’articolo 6, paragrafo 5, di detto regolamento. Ai sensi dell’articolo 20, paragrafi 1 e 3, del medesimo regolamento, le informazioni relative all’istituzione di misure provvisorie devono essere richieste per iscritto immediatamente dopo l’istituzione di tali misure provvisorie e quelle relative all’istituzione di misure definitive devono essere richieste anch’esse per iscritto entro un mese dalla pubblicazione dell’istituzione di un dazio provvisorio.

214

Il regolamento di base conferisce quindi ad alcuni soggetti interessati diritti e garanzie procedurali, l’esercizio dei quali dipende tuttavia dalla partecipazione attiva di tali soggetti al procedimento stesso che deve esprimersi, per lo meno, mediante la presentazione di una richiesta scritta entro termini determinati (sentenza del 9 luglio 2020, Donex Shipping and Forwarding,C‑104/19, EU:C:2020:539, punto 70).

215

Inoltre, l’articolo 17 di tale regolamento stabilisce che, nei casi in cui il numero di denunzianti, esportatori o importatori, tipi di prodotto o operazioni sia molto elevato, la Commissione può limitare l’inchiesta a un numero adeguato di parti, prodotti o operazioni con l’utilizzazione di campioni. Al fine di valutare l’opportunità di procedere al campionamento e di determinare la composizione del campione, è necessario che le parti interessate forniscano alla Commissione le informazioni necessarie a tale riguardo. Pertanto, qualora intenda basare la sua inchiesta su un campione di esportatori o di importatori, la Commissione può, nell’avviso di apertura, invitare gli esportatori o gli importatori interessati a manifestarsi e chiedere loro informazioni per poter definire un campione rappresentativo di questi ultimi.

216

Il fatto che le parti interessate si siano manifestate e forniscano informazioni pertinenti al fine di stabilire un campione rappresentativo di tali parti, o addirittura di essere selezionate a tal fine, costituisce una forma di partecipazione al procedimento antidumping. Tuttavia, tale partecipazione non conferisce a dette parti le garanzie procedurali enunciate all’articolo 6, paragrafi 5 e 7, e all’articolo 20, paragrafi 1 e 2, del regolamento di base. Infatti, come è stato esposto ai punti 213 e 214 della presente sentenza, la concessione di tali garanzie è soggetta a talune modalità che implicano una partecipazione particolare a tale procedimento delle stesse parti, sotto forma di una manifestazione di interesse e di domande scritte. Orbene, la partecipazione a un campionamento, ai sensi dell’articolo 17 di tale regolamento, non costituisce una siffatta partecipazione particolare.

217

Pertanto, anche se i membri della CCCME e le altre nove ricorrenti hanno partecipato al campionamento realizzato nel corso del procedimento antidumping di cui trattasi, il Tribunale non ha commesso un errore di diritto dichiarando, ai punti da 435 a 438 della sentenza impugnata, che tali membri e tali ricorrenti non erano legittimati a dedurre una violazione delle loro garanzie procedurali derivante dal fatto che la Commissione non aveva comunicato loro informazioni essenziali per la difesa dei loro interessi. Infatti, esso ha giustamente rilevato che detti membri e dette ricorrenti non avevano formulato domande dirette a ottenere la comunicazione di tali informazioni nel corso di tale procedimento.

218

In subordine, le ricorrenti sostengono che il Tribunale ha snaturato i fatti considerando che i membri della CCCME e le altre nove ricorrenti non avevano partecipato all’inchiesta in una maniera tale da consentire loro di dedurre una violazione dei loro diritti procedurali. A tale riguardo, esse avanzano il fatto che, nel suo controricorso dinanzi al Tribunale, la Commissione ha dichiarato che tali membri e ricorrenti avevano ricevuto i «documenti informativi di cui all’articolo 19, paragrafo 2, del regolamento di base».

219

In proposito, occorre ricordare che il ricorrente che alleghi uno snaturamento di elementi di prova da parte del Tribunale deve, ai sensi dell’articolo 256 TFUE, dell’articolo 58, primo comma, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea e dell’articolo 168, paragrafo 1, lettera d), del regolamento di procedura di quest’ultima, indicare con precisione gli elementi che sarebbero stati snaturati dal Tribunale e dimostrare gli errori di valutazione che, a suo avviso, avrebbero portato il Tribunale a compiere tale snaturamento. Peraltro, secondo costante giurisprudenza, uno snaturamento deve emergere in modo manifesto dagli atti di causa, senza che sia necessario procedere a una nuova valutazione dei fatti e delle prove (sentenza del 10 novembre 2022, Commissione/Valencia Club de Fútbol,C‑211/20 P, EU:C:2022:862, punto 55 e giurisprudenza citata).

220

L’affermazione contenuta nel controricorso presentato dalla Commissione dinanzi al Tribunale, secondo la quale i membri della CCCME e le altre nove ricorrenti «hanno ricevuto i documenti informativi di cui all’articolo 19, paragrafo 2, del regolamento di base», quand’anche riguardasse l’articolo 20, paragrafo 2, di tale regolamento, non è idonea a dimostrare che il Tribunale abbia snaturato i fatti riguardo a una partecipazione di tali membri e ricorrenti al procedimento antidumping tale da conferire loro le garanzie procedurali di cui all’articolo 6, paragrafo 7, e all’articolo 20, paragrafo 2, di detto regolamento. Infatti, tale affermazione non è sufficiente a dimostrare che detti membri o dette ricorrenti si siano manifestati e che abbiano chiesto per iscritto la divulgazione delle informazioni necessarie per poter esercitare i loro diritti procedurali conformemente a tali disposizioni.

221

Pertanto, nonostante la partecipazione dei membri della CCCME e delle altre nove ricorrenti al campionamento realizzato nel corso del procedimento antidumping, il Tribunale non ha né commesso un errore di diritto né ha snaturato i fatti dichiarando, ai punti da 435 a 438 della sentenza impugnata, che le censure di tali membri e di tali ricorrenti fondate sulla mancata comunicazione di informazioni essenziali per la difesa dei loro interessi erano irricevibili, in quanto essi non avevano formulato domande dirette a ottenere la comunicazione di tali informazioni nel corso di detto procedimento.

222

In secondo luogo, le ricorrenti contestano l’irricevibilità delle violazioni dei diritti della difesa dedotte dalla CCCME a nome dei suoi membri e delle altre nove ricorrenti. Esse asseriscono che il Tribunale ha applicato un criterio giuridico errato ritenendo che la CCCME non fosse autorizzata a esercitare i diritti procedurali dei suoi membri e delle altre nove ricorrenti nel corso del procedimento antidumping di cui trattasi. Inoltre, esso avrebbe erroneamente qualificato la CCCME come entità che rappresenta l’industria cinese della ghisa considerata nel suo complesso e non i produttori esportatori cinesi individualmente.

223

Alla luce di tali censure, occorre rilevare che i diritti procedurali sono diritti propri della persona alla quale sono conferiti. In tal senso, la Corte ha dichiarato che i diritti della difesa hanno carattere soggettivo, cosicché sono le stesse parti interessate a dover essere in grado di esercitarli effettivamente, indipendentemente dalla natura del procedimento al quale sono sottoposte (sentenza del 9 settembre 2021, Adler Real Estate e a., C‑546/18, EU:C:2021:711, punto 59), e che una società che non ha partecipato a un procedimento di inchiesta di dumping e che non è collegata ad alcun produttore esportatore del paese interessato dall’inchiesta non può rivendicare essa stessa il beneficio dei diritti della difesa nel corso di un procedimento al quale non ha partecipato (sentenza del 9 luglio 2020, Donex Shipping and Forwarding,C‑104/19, EU:C:2020:539, punto 68 e giurisprudenza citata).

224

Occorre constatare che, sebbene la giurisprudenza ricordata al punto precedente non verta sulla questione se un’associazione abbia la possibilità di esercitare i diritti procedurali di talune imprese, tra cui i suoi membri, nel corso di un procedimento amministrativo, essa non osta a tale possibilità. Tuttavia, tale possibilità non può condurre a eludere le condizioni che, in forza di detta giurisprudenza, le imprese di cui trattasi avrebbero dovuto rispettare se avessero voluto esercitare esse stesse i loro diritti procedurali.

225

Pertanto, il Tribunale non ha applicato un criterio giuridico errato nel dichiarare, ai punti 443 e 444 della sentenza impugnata, che la possibilità per un’associazione di esercitare i diritti procedurali di alcuni dei suoi membri nel corso del procedimento antidumping è subordinata alla condizione che essa abbia manifestato, durante l’inchiesta, l’intenzione di agire in qualità di rappresentante di alcuni dei suoi membri, il che presuppone che questi ultimi siano stati all’epoca identificati e che essa sia in grado di dimostrare di aver ricevuto, da parte loro, il mandato che le consente di esercitare tali diritti procedurali a loro nome.

226

Inoltre, per quanto riguarda la qualificazione, da parte del Tribunale, della CCCME come «ente che rappresenta l’industria cinese [della ghisa] considerata nel suo complesso», occorre rilevare che, come risulta dal punto 446 della sentenza impugnata, nelle sue osservazioni del 15 settembre 2017 sul regolamento provvisorio, la CCCME ha precisato la natura della sua partecipazione all’inchiesta antidumping indicando che l’«interesse della CCCME corrisponde all’interesse dell’industria cinese della ghisa nel suo complesso. Tale interesse può, e sarà spesso il caso, coincidere con gli interessi dei diversi produttori esportatori cinesi del prodotto in esame, ma è distinto e oltrepassa tali interessi individuali. (...) La partecipazione della CCCME alla presente inchiesta mira a tutelare l’interesse collettivo dei suoi membri e dell’industria cinese (esportatrice) della ghisa, in contrapposizione agli interessi individuali dei suoi membri. Tali interessi individuali saranno rivendicati dai singoli produttori (esportatori) cinesi stessi, alcuni dei quali partecipano individualmente al presente procedimento».

227

Pertanto, la CCCME ha chiaramente indicato, nel corso del procedimento, che essa interveniva in quest’ultimo in nome dell’interesse collettivo dell’industria cinese esportatrice della ghisa e non in nome degli interessi individuali dei suoi membri o di altre imprese, come richiesto affinché essa possa esercitare i diritti procedurali di questi ultimi.

228

I diversi argomenti dedotti dalle ricorrenti secondo i quali, in primo luogo, le affermazioni della CCCME sono state snaturate, in secondo luogo, la CCCME è un’associazione rappresentativa dei produttori esportatori cinesi e, in terzo luogo, la CCCME ha dimostrato che, nel corso del procedimento antidumping di cui trattasi, essa aveva assicurato la difesa congiunta dell’industria cinese della ghisa, circostanza che è stata riconosciuta dalla Commissione, non rimettono in discussione la valutazione esposta al punto precedente.

229

Infatti, anzitutto, la valutazione della Commissione, al punto 25 del regolamento controverso, secondo cui la CCCME rappresenta, tra l’altro, l’industria cinese delle fusioni non dimostra che il Tribunale abbia snaturato le indicazioni fornite dalla CCCME, nelle sue osservazioni del 15 settembre 2017 sul regolamento provvisorio, per quanto riguarda la sua partecipazione al procedimento antidumping di cui trattasi. Inoltre, gli altri argomenti dedotti dalle ricorrenti non consentono di dimostrare che la CCCME abbia partecipato al procedimento antidumping di cui trattasi per rappresentare gli interessi individuali delle imprese in questione. Infine, il mandato allegato alla comunicazione del 12 dicembre 2016 sulla diffusione del resoconto della riunione di allarme rapido relativa all’inchiesta antidumping dell’Unione riguardante le importazioni di lavori di ghisa, invocato dalle ricorrenti, non dimostra che la CCCME potesse esercitare i diritti procedurali di tali imprese, poiché non precisa che esso le consente di rappresentare imprese individualmente nel corso di tale procedimento e poiché si tratta soltanto di un progetto di mandato.

230

Alla luce di quanto precede, il Tribunale non ha né applicato un criterio giuridico errato né commesso un errore di qualificazione ritenendo che la CCCME non fosse legittimata a dedurre violazioni dei diritti procedurali dei suoi membri e delle altre nove ricorrenti.

231

Per tutte le ragioni che precedono, la prima parte del quinto motivo dev’essere respinta.

232

Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre respingere tale motivo e, pertanto, l’impugnazione nella sua interezza.

Sulle spese

233

Conformemente all’articolo 184, paragrafo 2, del regolamento di procedura della Corte, quando l’impugnazione è respinta la Corte statuisce sulle spese. A termini dell’articolo 138, paragrafo 1, di tale regolamento, applicabile al procedimento d’impugnazione in forza dell’articolo 184, paragrafo 1, di detto regolamento, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda.

234

Nel caso di specie, poiché la Commissione e le intervenienti ne hanno fatto domanda, le ricorrenti, rimaste soccombenti, devono essere condannate alle spese.

 

Per questi motivi, la Corte (Seconda Sezione) dichiara e statuisce:

 

1)

L’impugnazione è respinta.

 

2)

La China Chamber of Commerce for Import and Export of Machinery and Electronic Products, la Cangzhou Qinghong Foundry Co. Ltd, la Botou City Qinghong Foundry Co. Ltd, la Lingshou County Boyuan Foundry Co. Ltd, la Handan Qunshan Foundry Co. Ltd, la Heping Cast Co. Ltd, la Yi County, la Hong Guang Handan Cast Foundry Co. Ltd, la Shanxi Yuansheng Casting and Forging Industrial Co. Ltd, la Botou City Wangwu Town Tianlong Casting Factory e la Tangxian Hongyue Machinery Accessory Foundry Co. Ltd sono condannate a sopportare, oltre alle proprie spese, quelle sostenute dalla Commissione europea, dalla EJ Picardie, dalla Fondatel Lecomte, dalle Fonderies Dechaumont, dalla Fundiciones de Ódena SA, dalla Heinrich Meier Eisengießerei GmbH & Co. KG, dalla Saint Gobain Construction Products UK Ltd, dalla Saint Gobain PAM Canalisation e dalla Ulefos Oy.

 

Firme


( *1 ) Lingua processuale: l’inglese.

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