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Document 62021CC0159

Conclusioni dell’avvocato generale J. Richard de la Tour, presentate il 28 aprile 2022.
GM contro Országos Idegenrendészeti Főigazgatóság e a.
Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Fővárosi Törvényszék.
Rinvio pregiudiziale – Politica comune in materia di asilo e di immigrazione – Direttiva 2011/95/UE – Norme relative ai presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato o dello status conferito dalla protezione sussidiaria – Revoca dello status – Direttiva 2013/32/UE – Procedure comuni per il riconoscimento e la revoca della protezione internazionale – Compromissione della sicurezza nazionale – Presa di posizione di un’autorità specializzata – Accesso al fascicolo.
Causa C-159/21.

Court reports – general – 'Information on unpublished decisions' section

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2022:326

 CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

JEAN RICHARD DE LA TOUR

presentate il 28 aprile 2022 ( 1 )

Causa C‑159/21

GM

contro

Országos Idegenrendeszeti Főigazgatóság,

Alkotmányvédelmi Hivatal,

Terrorelhárítási Központ

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Fővárosi Törvényszék (Corte di Budapest-Capitale, Ungheria)]

«Rinvio pregiudiziale – Spazio di libertà, sicurezza e giustizia – Direttiva 2011/95/UE – Norme sulle condizioni per il riconoscimento dello status di rifugiato o di beneficiario della protezione sussidiaria – Direttiva 2013/32/UE – Procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca della protezione internazionale – Minaccia alla sicurezza nazionale – Presa di posizione di un’autorità specializzata – Accesso alle informazioni riservate – Contenuto essenziale di tali informazioni – Impossibilità di riferire informazioni nell’ambito del procedimento amministrativo o giurisdizionale»

I. Introduzione

1.

La presente domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione di una serie di disposizioni della direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta ( 2 ) e della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale ( 3 ), nonché degli articoli 41 e 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea ( 4 ).

2.

Tale domanda è stata presentata nel quadro dell’esame del ricorso proposto da GM, cittadino siriano, avverso la decisione dell’Országos Idegenrendészeti Főigazgatóság (direzione generale nazionale della polizia degli stranieri, Ungheria; in prosieguo: la «direzione generale» o l’«autorità accertante») con cui gli veniva revocato lo status di rifugiato e negato il riconoscimento dello status di protezione sussidiaria.

3.

Con le questioni pregiudiziali, il giudice del rinvio chiede alla Corte di pronunciarsi sulle modalità di applicazione delle procedure di revoca e di diniego del riconoscimento della protezione internazionale a un cittadino di un paese terzo considerato, sulla base di informazioni riservate, una minaccia per la sicurezza dello Stato membro in cui si trova. In particolare, detto giudice mette in dubbio la compatibilità con il diritto dell’Unione della normativa ungherese nella misura in cui, da una parte, per ragioni di protezione della sicurezza nazionale, limita l’accesso delle persone interessate o dei loro rappresentanti alle informazioni riservate sulla cui base sono adottate le decisioni di revoca o di diniego del riconoscimento della protezione internazionale e, dall’altra, conferisce ad autorità specializzate in materia di sicurezza nazionale un ruolo primario nella procedura di adozione di dette decisioni.

4.

Nelle presenti conclusioni illustrerò le ragioni che mi portano a ritenere che la procedura di cui trattasi non soddisfi numerose garanzie procedurali di cui un richiedente protezione internazionale dovrebbe beneficiare in forza delle direttive 2011/95 e 2013/32.

II. Contesto normativo

A.   Diritto dell’Unione

5.

Per quanto attiene alla direttiva 2011/95, le disposizioni pertinenti nell’ambito della presente domanda di pronuncia pregiudiziale sono le seguenti: l’articolo 4, paragrafo 3, l’articolo 14, paragrafo 4, lettera a), e l’articolo 17, paragrafo 1, lettere b) e d).

6.

Quanto alla direttiva 2013/32, le disposizioni pertinenti sono le seguenti: l’articolo 4, paragrafi 1 e 2, l’articolo 10, paragrafi 2 e 3, l’articolo 11, paragrafo 2, l’articolo 23, paragrafo 1, l’articolo 45, paragrafi 1 e 3, e l’articolo 46, paragrafo 1.

B.   Diritto ungherese

7.

L’articolo 8, paragrafi 4 e 5, della menedékjogról szóló 2007. évi LXXX. törvény (legge n. LXXX del 2007 sul diritto di asilo) ( 5 ), del 29 giugno 2007, nella versione modificata dalla 2018. évi CXXXIII. törvény az egyes migrációs tárgyú és kapcsolódó törvények módosításáról (legge n. CXXXIII del 2018 recante modifica di talune legge aventi ad oggetto la migrazione e di talune leggi complementari ( 6 )), in vigore dal 1o gennaio 2019, così dispone:

«4.   Non può essere riconosciuto come rifugiato lo straniero la cui permanenza sul territorio ungherese costituisca un pericolo per la sicurezza nazionale.

5.   Non può essere riconosciuto come rifugiato lo straniero al quale un organo giurisdizionale abbia inflitto, con sentenza definitiva,

a)

una pena detentiva di durata pari o superiore a cinque anni per aver commesso un reato doloso,

b)

una pena detentiva per la commissione di un reato con recidiva, recidiva reiterata o recidiva reiterata con violenza,

c)

una pena detentiva di durata pari o superiore a tre anni per aver commesso un reato contro la vita, l’integrità fisica o la salute, un reato di pericolo contro la salute, un reato contro la libertà personale, un reato a sfondo sessuale, un reato di turbamento della pace pubblica, un reato contro la pubblica sicurezza o un reato contro la pubblica amministrazione».

8.

L’articolo 15 della legge sul diritto d’asilo prevede quanto segue:

«Non si riconosce lo status di protezione sussidiaria allo straniero

(...)

ab)

nei cui confronti esista un motivo di esclusione ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 5;

b)

la cui permanenza sul territorio ungherese leda la sicurezza nazionale».

9.

L’articolo 57, paragrafi 1 e 3, della legge sul diritto d’asilo è così formulato:

«(1)   Nei procedimenti disciplinati dalla presente legge, l’autorità specializzata dello Stato emette un parere sulle questioni specifiche la cui valutazione rientra nella sua competenza nell’ambito di un procedimento amministrativo.

(...)

(3)   L’autorità competente in materia di asilo non può discostarsi dal parere dell’autorità specializzata dello Stato ove non sia competente a pronunciarsi sul suo contenuto».

10.

L’articolo 11 dell’a minősített adat védelméről szóló 2009. évi CLV. törvény (legge n. CLV del 2009 sulla protezione delle informazioni classificate) ( 7 ), del 29 dicembre 2009, così dispone:

«(1)   L’interessato ha il diritto di accedere ai suoi dati personali qualificati come informazioni classificate nazionali in virtù di un’autorizzazione all’accesso rilasciata dal classificatore e senza dover disporre di un nulla osta di sicurezza personale. Prima di accedere alle informazioni classificate nazionali, l’interessato deve rendere una dichiarazione scritta di riservatezza ed impegnarsi al rispetto delle norme in materia di protezione delle informazioni classificate nazionali.

(2)   Su richiesta dell’interessato, il classificatore decide, entro quindici giorni, l’eventuale concessione dell’autorizzazione alla consultazione. Il classificatore nega l’autorizzazione alla consultazione se la conoscenza delle informazioni pregiudica l’interesse pubblico alla base della classificazione. Il classificatore deve motivare il diniego dell’autorizzazione alla consultazione.

(3)   In caso di diniego dell’autorizzazione alla consultazione, l’interessato può impugnare tale decisione con ricorso amministrativo (...)».

11.

L’articolo 12, paragrafi 1 e 2, della legge sulla protezione delle informazioni classificate enuncia quanto segue:

«(1)   Il responsabile del trattamento delle informazioni classificate può negare all’interessato l’esercizio del suo diritto di accesso ai propri dati personali ove tale esercizio comprometta l’interesse pubblico alla base della classificazione.

(2)   Qualora i diritti dell’interessato siano fatti valere dinanzi a un giudice, l’articolo 11, paragrafo 3, si applica mutatis mutandis al giudice adito e all’accesso alle informazioni classificate».

12.

L’articolo 13 della legge sulla protezione delle informazioni classificate è formulato nei seguenti termini:

«1.   Le informazioni classificate possono essere utilizzate solo da chi possa dimostrare di svolgere una funzione statale o pubblica e che, fatte salve le eccezioni previste dalla legge, disponga di:

a)

un valido nulla osta di sicurezza personale, corrispondente al livello di classificazione delle informazioni che intende utilizzare;

b)

una dichiarazione di riservatezza, e

c)

un’autorizzazione all’uso.

(...)

5.   Salvo disposizione contraria di legge, spetta al giudice esercitare i poteri decisori necessari per definire le cause che gli sono state assegnate secondo l’ordine di ripartizione, senza necessità di effettuare controlli relativi alla sicurezza nazionale, al nulla osta di sicurezza, alla dichiarazione di riservatezza o all’autorizzazione all’uso».

III. Procedimento principale e questioni pregiudiziali

13.

GM, cittadino siriano, presentava domanda di asilo nel 2005 mentre stava scontando una pena detentiva inflitta con una sentenza definitiva pronunciata nel 2002 per un capo di imputazione vertente su quantitativi rilevanti di stupefacenti.

14.

Nel 2010, a seguito di una procedura di controllo confermata mediante decisione giudiziale, le autorità ungheresi revocavano lo status di «persona accolta» che gli avevano in precedenza riconosciuto. Nel 2011, GM presentava nuovamente una domanda diretta a ottenere lo status di rifugiato, a seguito della quale, con sentenza del 29 giugno 2012, il giudice del rinvio lo riconosceva quale rifugiato «sur place».

15.

Nel 2019, veniva avviato d’ufficio un procedimento amministrativo volto a revocargli lo status di rifugiato e che si concludeva con detta revoca. Compete al giudice del rinvio verificare le legittimità della decisione di revoca dello status di rifugiato a GM.

16.

Nel corso del procedimento amministrativo, la seconda parte resistente, l’Alkotmányvédelmi Hivatal (Ufficio per la tutela della Costituzione, Ungheria), e la terza parte resistente, il Terrorelhárítási Központ (Centro per la lotta contro il terrorismo, Ungheria), concludevano, nel parere da loro redatto nella veste di autorità specializzate dello Stato, che la permanenza del ricorrente in Ungheria comprometteva la sicurezza nazionale.

17.

Su tale base, la direzione generale ravvisava la sussistenza, nel caso di GM, di un motivo di esclusione del riconoscimento dello status di rifugiato o di beneficiario di protezione sussidiaria.

18.

Nell’ambito del procedimento di ricorso avverso la decisione di revoca dello status di rifugiato e di diniego del riconoscimento dello status di protezione sussidiaria, il rappresentante di GM ha sostenuto di non poter accedere nemmeno al contenuto essenziale dei dati riservati sulla cui base è stata riconosciuta la sussistenza di un pericolo per la sicurezza nazionale e che, quand’anche ne potesse prendere conoscenza, la normativa applicabile non lo autorizzerebbe a servirsene nel procedimento giudiziario. Egli sottolinea altresì, fondandosi sulla giurisprudenza della Corte, che l’autorità accertante è tenuta a compiere una valutazione individuale delle domande e non può fondare la propria decisione unicamente sulle conclusioni di un parere emanato da autorità specializzate in materia di sicurezza nazionale. Egli sostiene inoltre che la normativa ungherese avrebbe aggiunto alle cause di esclusione che comportano la revoca dello status una causa incompatibile con il diritto dell’Unione.

19.

Per quanto concerne, in primo luogo, il diritto di accedere alle informazioni alla base della decisione adottata dalla direzione generale, il giudice del rinvio osserva che dalla pertinente giurisprudenza della Kúria (Corte suprema, Ungheria) emerge che quest’ultima ritiene che i diritti procedurali degli interessati siano garantiti per il solo fatto che il giudice che riesamina una decisione amministrativa fondata su informazioni classificate può consultare il fascicolo delle autorità specializzate dello Stato contenente tali informazioni. Non è quindi necessario che l’interessato possa conoscere le informazioni di cui trattasi o, quantomeno, il loro contenuto essenziale, e che se ne possa servire.

20.

Il giudice del rinvio osserva che, nel quadro della presente causa, la decisione con cui la direzione generale ha negato la protezione internazionale si fonda unicamente sul fatto che le due autorità specializzate dello Stato che sono parte del procedimento principale hanno concluso, nel loro parere, che la permanenza di GM in Ungheria «compromette la sicurezza nazionale». La direzione generale non ha, dal canto suo, preso conoscenza dei motivi su cui si fonda il parere di dette autorità, ivi comprese le informazioni classificate.

21.

Inoltre, secondo quanto riferito da tale giudice, né GM, né il suo rappresentante legale hanno potuto formulare osservazioni sul parere non motivato delle autorità specializzate dello Stato, acquisito nel corso del procedimento amministrativo, né hanno potuto contestarne la fondatezza in detta fase del procedimento. In forza della normativa ungherese, GM ha la possibilità di presentare una domanda di accesso alle informazioni classificate che lo riguardano, ma, quand’anche venisse autorizzato a prendere conoscenza di dette informazioni, egli non potrebbe utilizzarle nell’ambito del procedimento amministrativo o del procedimento giudiziario.

22.

Il giudice del rinvio osserva altresì che la legge sulla protezione delle informazioni classificate non consente all’autorità specializzata dello Stato che si pronuncia sull’autorizzazione della consultazione di accogliere parzialmente la domanda di accesso comunicando il contenuto essenziale dei motivi sui quali si fonda il parere da essa emanato.

23.

Inoltre, il giudice chiamato a controllare la legittimità del parere delle autorità specializzate dello Stato e la decisione in materia di asilo fondata sui suddetti motivi può sì accedere alle informazioni riservate o classificate, ma non le può utilizzare in alcun contesto, né può rendere dichiarazioni o compiere accertamenti su di esse nel corso del procedimento o nella sentenza.

24.

Il giudice adito dovrebbe così riesaminare la legittimità della decisione controversa e pronunciarsi in ultima istanza sull’applicabilità della causa di esclusione fondata sulle informazioni riservate o classificate senza che il ricorrente o il suo rappresentante abbiano potuto, con riguardo ai motivi di detta decisione, esporre le proprie difese e gli argomenti e i fatti potenzialmente idonei a confutare l’applicabilità di una siffatta causa di esclusione nello specifico caso del ricorrente.

25.

A tal riguardo, il giudice del rinvio osserva che l’articolo 23, paragrafo 1, secondo comma, lettera b), della direttiva 2013/32 non è stato recepito nel diritto ungherese, il che comporta, a suo avviso, una deroga che va al di là dell’eccezione al diritto di accesso espressamente autorizzata da detta disposizione. Detto giudice dubita quindi che il diritto ungherese garantisca i diritti procedurali fondamentali, tra cui rientra il diritto di GM di avvalersi di un ricorso effettivo.

26.

Per quanto attiene, in secondo luogo, al rapporto tra il parere delle autorità specializzate dello Stato e la decisione dell’autorità accertante, il giudice del rinvio sottolinea che, in forza del diritto ungherese, le suddette autorità devono emanare un parere vincolante e non motivato sulla sussistenza di un «pericolo per la sicurezza nazionale», da cui detta autorità non può discostarsi. Nella propria decisione, l’autorità accertante potrà quindi unicamente richiamare il parere di cui trattasi e le regole applicabili. Ciò le impedirebbe di effettuare un esame approfondito della sussistenza e dell’applicabilità della causa di esclusione in ciascun singolo caso e di tener conto delle circostanze individuali o di ponderarne la necessità e la proporzionalità.

27.

A parere del giudice del rinvio, la normativa ungherese comporta, in definitiva, che non sia l’autorità accertante ad esaminare la protezione internazionale e a rendere una decisione nel merito, bensì due autorità specializzate dello Stato, in contrasto con il dettato della direttiva 2013/32; ciò potrebbe comportare una lesione delle garanzie procedurali derivanti dal diritto dell’Unione e contrasterebbe inoltre con quanto previsto dalla direttiva 2011/95.

28.

In terzo luogo, il giudice del rinvio osserva che, in forza della causa di esclusione prevista nell’articolo 15, lettera ab), della legge sul diritto d’asilo, l’autorità accertante ha dichiarato che GM non poteva essere riconosciuto come beneficiario della protezione sussidiaria. A tal fine, essa si è basata su una condanna penale pronunciata a carico di GM in data 6 giugno 2002 e divenuta definitiva diciotto anni fa, per un reato da essa qualificato come «grave».

29.

La pena detentiva irrogata con detta sentenza è stata scontata dal ricorrente nel 2004, sedici anni fa, e tale reato era già noto all’atto del riconoscimento dello status di rifugiato a GM. A tal riguardo, il giudice del rinvio osserva che né l’autorità accertante, né il giudice che si è pronunciato sul riconoscimento dello status di rifugiato hanno applicato una causa di esclusione riferita a detto reato.

30.

Alla luce di tutti questi elementi, la Fővárosi Törvényszék (Corte di Budapest‑Capitale, Ungheria) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)

Se gli articoli 11, paragrafo 2, 12, paragrafi 1, lettera d), e 2, 23, paragrafo 1, lettera b), e 45, paragrafi 1 e da 3 a 5, della [direttiva 2013/32] – alla luce dell’articolo 47 della [Carta] – debbano essere interpretati nel senso che impongono che, nel caso in cui sia applicabile la deroga di cui all’articolo 23, paragrafo 1, di tale direttiva, riguardante un motivo di sicurezza nazionale, l’autorità di uno Stato membro che ha adottato una decisione in materia di protezione internazionale di diniego o di revoca dello status per ragioni di sicurezza nazionale e l’autorità specializzata che ha dichiarato la natura riservata devono provvedere affinché sia comunque garantito al richiedente, rifugiato o straniero che beneficia della protezione sussidiaria, o al suo rappresentante legale, il diritto di accedere almeno al contenuto essenziale delle informazioni o dei dati riservati o classificati su cui si basa la decisione fondata su tali motivi e di fare uso di tali informazioni o dati nel procedimento relativo alla decisione, nel caso in cui l’autorità responsabile sostenga che tale comunicazione sarebbe contraria al motivo di sicurezza nazionale.

2)

In caso di risposta affermativa, che cosa si debba intendere esattamente per “il contenuto essenziale” dei motivi di riservatezza su cui si basa tale decisione, nell’applicazione dell’articolo 23, paragrafo 1, lettera b), della [direttiva 2013/32], alla luce degli articoli 41 e 47 della Carta.

3)

Se l’articolo 14, paragrafo 4, lettera a), e l’articolo 17, paragrafo 1, lettera d), della direttiva [2011/95], nonché l’articolo 45, paragrafi 1, lettera a), e da 3 a 4, della direttiva [2013/32] debbano essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale in forza della quale la revoca o esclusione dallo status di rifugiato o di straniero che beneficia della protezione sussidiaria avviene sulla base di una decisione non motivata, basata esclusivamente sul rinvio automatico al parere vincolante e imperativo dell’autorità specializzata, anch’esso non motivato, il quale stabilisce che esiste un pericolo per la sicurezza nazionale.

4)

Se i considerando 20 e 34 e gli articoli 4 e 10, paragrafi 2 e 3, lettera d), della [direttiva 2013/32] e gli articoli 14, paragrafo 4, lettera a), e 17, paragrafo 1, lettera d), della [direttiva 2011/95] debbano essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale in base alla quale la predetta autorità specializzata procede all’esame del motivo di esclusione e adotta una decisione nel merito in un procedimento che non è conforme alle disposizioni sostanziali e procedurali della [direttiva 2013/32] e della [direttiva 2011/95].

5)

Se l’articolo 17, paragrafo 1, lettera b), della [direttiva 2011/95] debba essere interpretato nel senso che osta a un’esclusione fondata su una circostanza o un reato di cui si era a conoscenza già prima dell’adozione della sentenza o della decisione definitiva sul riconoscimento dello status di rifugiato, ma che non costituiva un motivo di esclusione né in relazione al riconoscimento dello status di rifugiato né in relazione alla protezione sussidiaria».

31.

GM, i governi ceco, ungherese e dei Paesi Bassi, nonché la Commissione europea hanno presentato osservazioni scritte. Il governo dei Paesi Bassi ha preso posizione soltanto sulle prime due questioni.

IV. Analisi

32.

Le questioni pregiudiziali sottoposte dal giudice del rinvio nella presente causa invitano la Corte a valutare la compatibilità con varie disposizioni delle direttive 2011/95 e 2013/32 del procedimento sfociato nella revoca dello status di rifugiato e nel diniego del riconoscimento dello status di beneficiario di protezione sussidiaria a favore di un cittadino di un paese terzo in quanto quest’ultimo rappresenterebbe una minaccia per la sicurezza nazionale e avrebbe commesso un reato grave.

33.

Per quanto concerne i motivi invocati dall’autorità accertante, l’articolo 14, paragrafo 4, lettera a), della direttiva 2011/95 dispone quanto segue:

«Gli Stati membri hanno la facoltà di revocare, di cessare o di rifiutare di rinnovare lo status riconosciuto a un rifugiato da un organismo statale, amministrativo, giudiziario o quasi giudiziario quando:

a)

vi sono fondati motivi per ritenere che la persona in questione costituisca un pericolo per la sicurezza dello Stato membro in cui si trova».

34.

Inoltre, l’articolo 17, paragrafo 1, lettere b) e d), della direttiva di cui trattasi così dispone:

«Un cittadino di un paese terzo o un apolide è escluso dalla qualifica di persona avente titolo a beneficiare della protezione sussidiaria ove sussistano fondati motivi per ritenere che:

(...)

b)

abbia commesso un reato grave;

(...)

d)

rappresenti un pericolo per la comunità o la sicurezza dello Stato in cui si trova».

35.

L’esame delle questioni sollevate dal giudice del rinvio può, a mio avviso, essere suddiviso in tre parti.

36.

Anzitutto, la prima e la seconda questione inducono a interrogarsi sulla portata del diritto di accesso alle informazioni riservate o classificate che sono alla base della decisione adottata dall’autorità accertante di revocare o negare la protezione internazionale.

37.

La terza e la quarta questione conducono poi a esaminare la compatibilità con le direttive 2011/95 e 2013/32 di un procedimento in forza del quale l’autorità accertante è, da una parte, vincolata al parere emanato dalle autorità specializzate dello Stato, in cui si afferma che l’interessato costituisce una minaccia per la sicurezza nazionale, e, dall’altra, motiva la propria decisione soltanto sulla base di un rimando a tale minaccia.

38.

Infine, la quinta questione mira a stabilire se l’autorità accertante possa, nell’ottica di negare la protezione sussidiaria, fondarsi sulla commissione da parte del richiedente di un grave reato, benché detta causa di esclusione fosse nota a tale autorità quando ha riconosciuto, in precedenza, la protezione internazionale a detto richiedente.

A.   Sulla prima e sulla seconda questione pregiudiziale

39.

La prima questione mira a stabilire se la persona che è destinataria di una decisione di revoca o di diniego del riconoscimento di protezione internazionale, in quanto costituisce una minaccia per la sicurezza nazionale, abbia diritto di accedere quantomeno al contenuto essenziale delle informazioni riservate o classificate alla base di una decisione siffatta e se abbia altresì il diritto di utilizzare dette informazioni nell’ambito del procedimento amministrativo e, successivamente, se del caso, nell’ambito del procedimento giudiziario. La seconda questione invita invece la Corte a precisare cosa rientri nel contenuto essenziale delle informazioni cui l’interessato dovrebbe avere accesso in applicazione dell’articolo 23, paragrafo 1, secondo comma, lettera b), della direttiva 2013/32, alla luce degli articoli 41 e 47 della Carta.

40.

Per rispondere alla prima questione, occorre osservare che, in forza dell’articolo 23, paragrafo 1, primo comma, della direttiva 2013/32, «[g]li Stati membri provvedono affinché l’avvocato o altro consulente legale ammesso o autorizzato a norma del diritto nazionale, che assiste o rappresenta un richiedente a norma del diritto nazionale, abbia accesso alle informazioni contenute nella pratica del richiedente sulla cui base è o sarà presa una decisione». È così sancito il principio secondo cui il consulente legale dell’interessato ha accesso alle informazioni alla base dell’adozione della decisione sulla protezione internazionale.

41.

Tuttavia, un’eccezione a detto diritto di accesso è prevista nell’articolo 23, paragrafo 1, secondo comma, di detta direttiva, il quale così dispone:

«Gli Stati membri possono derogare a tale disposizione, qualora la divulgazione di informazioni o fonti comprometta la sicurezza nazionale, la sicurezza delle organizzazioni o delle persone che forniscono dette informazioni o la sicurezza delle persone cui le informazioni si riferiscono o qualora gli interessi investigativi relativi all’esame delle domande di protezione internazionale da parte delle autorità competenti degli Stati membri o le relazioni internazionali degli Stati membri siano compromesse. In questi casi gli Stati membri:

a)

aprono l’accesso a tali informazioni o fonti alle autorità di cui al capo V; e

b)

stabiliscono nel diritto nazionale procedure che garantiscano il rispetto dei diritti di difesa del richiedente».

42.

L’articolo 23, paragrafo 1, ultimo comma, della direttiva di cui trattasi precisa che, «[c]on riguardo alla lettera b), gli Stati membri possono, in particolare, dare accesso a dette informazioni o fonti all’avvocato o ad altro consulente legale che abbia subito un controllo di sicurezza, nella misura in cui le informazioni sono pertinenti per l’esame della domanda o per decidere della revoca della protezione internazionale».

43.

Da queste disposizioni deduco che la restrizione al diritto di accesso alle informazioni riguardanti l’interessato, prevista per esigenze di protezione della sicurezza nazionale, è subordinata a due condizioni cumulative, vale a dire, da una parte, che i giudici competenti a pronunciarsi sulla legittimità della decisione sulla protezione internazionale abbiano accesso alle informazioni o alle fonti riservate e, dall’altra, che il diritto nazionale preveda procedure che garantiscano i diritti di difesa dell’interessato.

44.

La prima condizione mi sembra, in linea di principio, soddisfatta, posto che dalla decisione di rinvio emerge che i giudici competenti hanno effettivamente pieno accesso alle informazioni riservate relative alla persona interessata. Ciò premesso, vanno sottolineate le restrizioni cui tali giudici sono soggetti quanto all’utilizzo di dette informazioni.

45.

Il problema sollevato dal giudice del rinvio nella sua prima e seconda questione si concentra piuttosto sulla valutazione della seconda condizione.

46.

Per quanto attiene a tale condizione, la formulazione in termini imperativi dell’articolo 23, paragrafo 1, secondo comma, lettera b), della direttiva 2013/32 indica che gli Stati membri sono tenuti a stabilire nel diritto nazionale procedure che garantiscano il rispetto dei diritti di difesa del richiedente protezione internazionale. A tal riguardo, l’accesso alle informazioni riservate riconosciuto al consulente legale dell’interessato che abbia subito un controllo di sicurezza, come previsto all’articolo 23, paragrafo 1, ultimo comma, della suddetta direttiva, è solo un esempio delle modalità procedurali che possono essere attuate dagli Stati membri.

47.

Dall’articolo 23, paragrafo 1, ultimo comma, della direttiva 2013/32 e dall’impiego della locuzione «in particolare» emerge quindi chiaramente che il legislatore dell’Unione ha deciso di non determinare in maniera completa le procedure che devono essere stabilite nell’ottica di garantire il rispetto dei diritti della difesa dell’interessato qualora una decisione in materia di protezione internazionale sia adottata sulla base di informazioni riservate, e ha scelto, al contrario, di lasciare agli Stati membri un certo margine di discrezionalità al riguardo.

48.

Posto che la direttiva 2013/32 non precisa in che modo gli Stati membri devono garantire il rispetto dei diritti della difesa dell’interessato quando il diritto di accesso alla sua pratica è limitato in applicazione dell’articolo 23, paragrafo 1, secondo comma, della direttiva di cui trattasi, le modalità concrete delle procedure a tal fine previste rientrano nell’ambito dell’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro, in forza del principio dell’autonomia procedurale degli Stati membri, a condizione tuttavia che esse non siano meno favorevoli rispetto a quelle relative a situazioni analoghe assoggettate al diritto interno (principio di equivalenza) e che non rendano in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione (principio di effettività) ( 8 ).

49.

Inoltre, dalla giurisprudenza della Corte si evince che il diritto a una buona amministrazione, sancito dall’articolo 41 della Carta, riflette un principio generale del diritto dell’Unione, applicabile agli Stati membri quando attuano tale diritto ( 9 ). La Corte può pertanto rispondere alle presenti questioni pregiudiziali alla luce di detto principio generale del diritto dell’Unione, secondo cui il diritto a una buona amministrazione comprende l’obbligo per l’amministrazione di motivare le proprie decisioni ( 10 ).

50.

Gli Stati membri, quando attuano il diritto dell’Unione, sono altresì tenuti ad assicurare il rispetto del diritto a un ricorso effettivo sancito dall’articolo 47, primo comma, della Carta, che costituisce una riaffermazione del principio della tutela giurisdizionale effettiva ( 11 ).

51.

Se dagli elementi di cui la Corte dispone non emerge una potenziale violazione del principio di equivalenza, si deve, a mio avviso, pervenire a una conclusione diversa quanto al principio di effettività e ai diritti a una buona amministrazione e a un ricorso giurisdizionale effettivo.

52.

A tal riguardo, occorre sottolineare che il principio di effettività comporta che gli Stati membri sono tenuti ad assicurare, in ciascun caso, una tutela effettiva dei diritti conferiti dal diritto dell’Unione e, in particolare, a garantire l’osservanza, per un verso, del principio secondo cui i destinatari di decisioni che incidono sensibilmente sui loro interessi devono essere messi in condizione di manifestare utilmente il loro punto di vista in merito agli elementi sui quali l’amministrazione intende fondare la sua decisione e, per altro verso, del diritto di ogni persona, sancito dall’articolo 47, secondo comma, della Carta, a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge ( 12 ).

53.

A questo proposito, si deve rammentare che il principio della parità delle armi, che costituisce parte integrante del principio della tutela giurisdizionale effettiva dei diritti spettanti ai singoli in forza del diritto dell’Unione, sancito dalla disposizione citata, in quanto è un corollario, come, segnatamente, il principio del contraddittorio, della nozione stessa di processo equo, implica che tutte le parti debbano avere una ragionevole possibilità di presentare la propria causa e produrre prove, in condizioni che non le penalizzino nettamente rispetto ai propri avversari ( 13 ).

54.

Dagli elementi che precedono consegue, a mio avviso, che, per poter esercitare in maniera effettiva i diritti della difesa che gli sono garantiti espressamente in forza dell’articolo 23, paragrafo 1, secondo comma, lettera b), della direttiva 2013/32, l’interessato deve disporre, quantomeno, del contenuto essenziale delle informazioni alla luce delle quali egli rappresenterebbe una minaccia per la sicurezza nazionale e che sono alla base della decisione di revoca o di diniego del riconoscimento della protezione internazionale. Tale approccio consente di conciliare i diritti a una buona amministrazione e a un ricorso effettivo con la necessità di assicurare la riservatezza delle informazioni e delle prove di una minaccia alla sicurezza nazionale.

55.

Orbene, a fronte delle indicazioni fornite alla Corte, ritengo che il diritto ungherese non garantisca in maniera sufficiente i diritti procedurali di cui deve beneficiare la persona destinataria di una decisione di revoca o di diniego del riconoscimento di protezione internazionale. Un sistema nel quale tali diritti procedurali sono considerati garantiti in ragione del solo fatto che il giudice chiamato a compiere un sindacato giurisdizionale su una decisione amministrativa fondata su informazioni riservate o classificate può consultare il fascicolo delle autorità specializzate dello Stato contenenti tali informazioni, senza che all’interessato o al suo consulente legale sia assicurato di poter prendere conoscenza delle informazioni di cui trattasi o quantomeno del loro contenuto essenziale e senza che questi ultimi le possano utilizzare nell’ambito del procedimento amministrativo e in seguito, se del caso, nel procedimento giurisdizionale, non mi sembra infatti conforme ai principi sopra illustrati.

56.

Benché l’interessato possa indubbiamente chiedere alle autorità specializzate dello Stato che gli siano comunicate le informazioni indicanti l’esistenza di una minaccia per la sicurezza nazionale, la normativa ungherese non garantisce in alcun modo che, in caso di rigetto di detta richiesta ( 14 ), l’interessato o il suo rappresentante possano prendere conoscenza, quantomeno, del contenuto essenziale a supporto dell’esistenza di una siffatta minaccia.

57.

Insegnamenti utili al fine di compiere un contemperamento tra, da una parte, i diritti a una buona amministrazione e a un ricorso effettivo e, dall’altra, la necessità di garantire la tutela della sicurezza nazionale possono trarsi, a mio avviso, dalla sentenza del 4 giugno 2013, ZZ ( 15 ). Da detta sentenza risulta infatti che, nell’ottica di garantire il rispetto del principio del contraddittorio, al fine di consentire all’interessato di contestare la motivazione sulla quale è fondata la decisione in causa e, quindi, di consentirgli di difendersi effettivamente, è necessario che, in ogni caso, gli sia comunicata la sostanza della motivazione sulla quale è fondata la decisione adottata nei suoi confronti ( 16 ).

58.

Nella suddetta sentenza, riferendosi a una misura limitativa della libertà di circolazione e di soggiorno di un cittadino dell’Unione per motivi di pubblica sicurezza, la Corte ha così dichiarato che «gli articoli 30, paragrafo 2, e 31 della [direttiva 2004/38/CE ( 17 )], letti alla luce dell’articolo 47 della Carta, devono essere interpretati nel senso che impongono che il giudice nazionale competente si assicuri che la mancata comunicazione all’interessato, da parte dell’autorità nazionale competente, della motivazione circostanziata e completa sulla quale è fondata una decisione adottata a norma dell’articolo 27 di detta direttiva, nonché degli elementi di prova pertinenti, sia limitata allo stretto necessario e che, in ogni caso, sia comunicata all’interessato la sostanza di detti motivi in una maniera che tenga debito conto della necessaria segretezza degli elementi di prova» ( 18 ).

59.

La necessità di conciliare considerazioni legittime relative alla sicurezza nazionale, da una parte, con la necessità di garantire sufficientemente all’interessato il rispetto dei suoi diritti procedurali, come il diritto di essere sentito e il principio del contraddittorio, dall’altra, non può, a mio avviso, variare a seconda dello status giuridico della persona cui è contestato di rappresentare una minaccia per la sicurezza nazionale ( 19 ). Suggerisco quindi alla Corte di dichiarare che, nel quadro di una decisione di revoca o di diniego del riconoscimento della protezione internazionale, deve essere compiuto un bilanciamento tra le succitate esigenze e che tale bilanciamento deve tradursi in concreto nella comunicazione al richiedente tale protezione del contenuto essenziale delle informazioni indicanti che egli rappresenta una minaccia per la sicurezza nazionale e che costituiscono pertanto il fondamento di detta decisione.

60.

Posto che la comunicazione di tale contenuto essenziale mira a consentire all’interessato di contestare i motivi alla base della decisione di revoca o di diniego del riconoscimento di protezione internazionale, detta persona deve poter conoscere anche i fatti e i comportamenti principali che le sono contestati.

61.

Si deve tuttavia osservare che, nella sentenza del 4 giugno 2013 ZZ ( 20 ), la Corte ha sottolineato la particolare natura degli elementi di prova che può essere necessario mantenere secretati. Infatti, secondo la Corte, «in taluni casi la divulgazione di tali elementi probatori può compromettere in modo diretto e particolare la sicurezza dello Stato perché può, per esempio, mettere in pericolo la vita, la salute o la libertà di persone o svelare i metodi di indagine specificamente utilizzati dalle autorità di sicurezza nazionali e in tal modo ostacolare seriamente, se non impedire, il futuro espletamento delle mansioni delle medesime autorità» ( 21 ).

62.

Per concludere, sottolineo che la normativa ungherese mi sembra, in ogni caso, incompatibile con l’obbligo di garantire i diritti della difesa dell’interessato come sancito dall’articolo 23, paragrafo 1, secondo comma, lettera b), della direttiva 2013/32, nella misura in cui, in applicazione di detta normativa, le informazioni di cui tale interessato potrebbe prendere conoscenza non possono essere utilizzate a sua difesa né nell’ambito del procedimento amministrativo, né nell’ambito del procedimento giurisdizionale.

63.

Alla luce di tali premesse, propongo alla Corte di rispondere alla prima e alla seconda questione dichiarando che l’articolo 14, paragrafo 4, lettera a), e l’articolo 17, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2011/95, nonché l’articolo 23, paragrafo 1, secondo comma, lettera b), della direttiva 2013/32, in combinato disposto con l’articolo 47 della Carta e letti alla luce del principio generale del diritto dell’Unione concernente il diritto a una buona amministrazione, devono essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa nazionale che, da una parte, non consente a una persona o al suo avvocato, qualora essa sia destinataria di una decisione di revoca o di diniego di riconoscimento della protezione internazionale fondata sul fatto che tale persona rappresenta una minaccia per la sicurezza nazionale, di prendere conoscenza quantomeno e in maniera sistematica del contenuto essenziale delle informazioni che costituiscono il fondamento di una siffatta decisione e, dall’altra, e in ogni caso, non consente a detta persona o al suo avvocato di utilizzare tali informazioni nell’ambito del procedimento amministrativo o in seguito, se del caso, del procedimento giurisdizionale.

64.

Il contenuto essenziale delle informazioni che devono essere comunicate a una persona destinataria di una decisione di revoca o di diniego di riconoscimento della protezione internazionale fondata sul fatto che essa rappresenta una minaccia per la sicurezza nazionale deve consentire a detta persona di venire a conoscenza dei fatti e dei comportamenti principali che le sono contestati, tenendo in debito conto la necessità di tutelare la segretezza degli elementi di prova.

B.   Sulla terza e sulla quarta questione pregiudiziale

65.

Con la terza e la quarta questione, il giudice del rinvio chiede, essenzialmente, se le direttive 2011/95 e 2013/32 debbano essere interpretate nel senso che ostano a una normativa nazionale in forza della quale l’autorità accertante è tenuta a respingere una domanda di protezione internazionale o a revocare la protezione in precedenza accordata quando le autorità incaricate di espletare funzioni specializzate in materia di sicurezza nazionale, non soggette alle regole stabilite dalle suddette direttive, abbiano constatato, mediante parere non motivato, che l’interessato rappresenta una minaccia per la sicurezza nazionale.

66.

Nel caso di specie, dall’esposizione dei fatti risulta che l’autorità accertante ha revocato con la sua decisione lo status di rifugiato di cui GM godeva e gli ha poi negato il beneficio della protezione sussidiaria sulla base di un parere non motivato emanato da autorità incaricate di espletare funzioni specializzate in materia di sicurezza nazionale.

67.

Posto che il governo ungherese ha affermato che il ruolo attribuito a tali autorità rientra unicamente nelle competenze degli Stati membri, in forza degli articoli 72 e 73 TFUE, occorre osservare che le disposizioni di cui trattasi non possono essere interpretate nel senso che consentono agli Stati membri di derogare all’applicazione delle disposizioni di diritto dell’Unione mediante un mero richiamo alle responsabilità loro incombenti per il mantenimento dell’ordine pubblico e la salvaguardia della sicurezza interna ( 22 ).

68.

Come riconosciuto dal governo ungherese stesso nelle sue osservazioni, le autorità specializzate chiamate a esaminare i rischi per la sicurezza nazionale non si pronunciano sulla necessità della protezione internazionale. Secondo detto governo, il compito di tali autorità consiste nello stabilire se la permanenza della persona in questione comporti un rischio per la sicurezza dello Stato interessato. La valutazione di detta circostanza dal punto di vista dei criteri applicati in materia di riconoscimento della protezione internazionale e il suo utilizzo come elemento di prova sarebbero, quanto ad essi, rimessi all’autorità competente per la concessione di una siffatta protezione.

69.

Tuttavia, nell’ambito del procedimento ungherese di riconoscimento o revoca della protezione internazionale, tale riconoscimento di una separazione tra le competenze dell’autorità accertante e quelle delle autorità specializzate dello Stato è soggetto a forti limiti. L’autorità accertante non può infatti discostarsi dal parere emanato dalle autorità specializzate in merito all’esistenza di una minaccia per la sicurezza nazionale e deve disporre, quale sua conseguenza automatica, la revoca o il diniego del riconoscimento della protezione internazionale. In tale contesto, la suddetta autorità non può prendere conoscenza delle informazioni su cui si fonda tale parere e non può pertanto motivare la propria decisione se non attraverso una mera menzione dell’esistenza di detta minaccia.

70.

A mio parere, un procedimento siffatto contrasta con due serie di regole sancite dalle direttive 2011/95 e 2013/32. Da una parte, l’autorità accertante deve poter disporre di una competenza piena e illimitata quanto alla valutazione della necessità di riconoscere o revocare la protezione internazionale. Dall’altra – e i due elementi sono legati –, detta autorità deve motivare la sua decisione in fatto e in diritto.

71.

Per quanto concerne il ruolo dell’autorità accertante, dall’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2013/32 risulta che gli Stati membri designano per tutti i procedimenti un’autorità che sarà competente per l’esame adeguato delle domande a norma di detta direttiva. Sugli Stati membri gravano altresì vari obblighi concernenti gli strumenti di cui detta autorità deve disporre. Benché, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, della suddetta direttiva, possa essere competente un’autorità diversa, si deve necessariamente constatare che le ipotesi citate in tale disposizione non presentano alcun legame con una decisione come quella oggetto del procedimento principale.

72.

Il ruolo svolto dall’autorità accertante per quanto attiene sia alla domanda di protezione internazionale sia alla revoca di una protezione precedentemente accordata è esplicitamente ricordato più volte, segnatamente, agli articoli 10 e 45 della direttiva 2013/32.

73.

L’articolo 10 di detta direttiva fissa così i criteri applicabili all’esame delle domande. Ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 2, della medesima direttiva, «[n]ell’esaminare una domanda di protezione internazionale, l’autorità accertante determina anzitutto se al richiedente sia attribuibile la qualifica di rifugiato e, in caso contrario, se l’interessato sia ammissibile alla protezione sussidiaria». Ai sensi del paragrafo 3 di detto articolo, «[g]li Stati membri provvedono affinché le decisioni dell’autorità accertante relative alle domande di protezione internazionale siano adottate previo congruo esame». A tal fine, gli Stati membri devono provvedere, segnatamente, affinché «le domande siano esaminate e le decisioni prese in modo individuale, obiettivo ed imparziale» [articolo 10, paragrafo 3, lettera a)] e affinché «pervengano da varie fonti informazioni precise e aggiornate» [articolo 10, paragrafo 3, lettera b)]. Questa previsione fa eco all’esigenza, citata all’articolo 4, paragrafo 3, della direttiva 2011/95, secondo cui ogni domanda di protezione internazionale deve essere oggetto di un «esame (...) su base individuale», tenendo conto in particolare della situazione specifica di ciascun richiedente.

74.

Inoltre, per quanto concerne le procedure di revoca della protezione internazionale, l’articolo 45, paragrafo 1, della direttiva 2013/32 prevede che gli Stati membri devono provvedere affinché, se l’autorità competente prende in considerazione di revocare la protezione internazionale di un cittadino di un paese terzo o di un apolide, l’interessato goda di garanzie procedurali, vale a dire «sia informato per iscritto che l’autorità competente procede al riesame della sua qualifica di beneficiario di protezione internazionale e dei motivi del riesame» [articolo 45, paragrafo 1, lettera a)] e «gli sia data la possibilità di esporre in un colloquio personale (...) i motivi per cui la sua protezione internazionale non dovrebbe essere revocata» [articolo 45, paragrafo 1, lettera b)].

75.

Al fine di garantire i diritti della difesa del richiedente protezione internazionale, le decisioni dell’autorità competente devono essere motivate. Tale obbligo è esplicitato, segnatamente, all’articolo 11, paragrafo 2, della direttiva 2013/32, ai sensi del quale «[g]li Stati membri dispongono (...) che la decisione con cui viene respinta una domanda riguardante lo status di rifugiato e/o lo status di protezione sussidiaria sia corredata di motivazioni de jure e de facto e che il richiedente sia informato per iscritto dei mezzi per impugnare tale decisione negativa». Il medesimo obbligo figura all’articolo 45, paragrafo 3, della suddetta direttiva, il quale dispone che «[g]li Stati membri provvedono affinché la decisione dell’autorità competente di revocare la protezione internazionale sia comunicata per iscritto» e che «[l]a decisione specifica i motivi de jure e de facto».

76.

La Corte ha già avuto occasione di sottolineare l’importanza del ruolo conferito dal diritto dell’Unione all’autorità accertante osservando come dalla direttiva 2013/32 emerga che l’esame della domanda di protezione internazionale da parte di un organo amministrativo o quasi giurisdizionale dotato di mezzi specifici e di personale specializzato in materia costituisca una fase essenziale delle procedure comuni istituite da tale direttiva ( 23 ).

77.

La Corte ha parimenti constatato che l’autorità accertante è competente a procedere a un esame adeguato delle domande, in esito al quale essa prenderà una decisione sulle stesse e che pertanto spetta solo a tale autorità procedere, sotto il controllo del giudice, all’esame dei fatti e delle circostanze previsto all’articolo 4 della direttiva 2011/95, valutazione questa che non può limitarsi a riprendere le conclusioni di una relazione peritale. Ne consegue che detta autorità non può fondare la propria decisione solo sulle conclusioni di una siffatta relazione e che essa non può, a fortiori, essere vincolata da tali conclusioni nel valutare ciascuna situazione individuale ( 24 ).

78.

Anche il contenuto di detta valutazione, in sede di analisi delle cause di esclusione, è stato precisato dalla giurisprudenza dalla Corte dalla quale risulta, segnatamente, che l’applicazione di una causa di esclusione presuppone che l’autorità accertante effettui, per ciascun caso individuale, una valutazione dei fatti precisi di cui essa ha conoscenza, al fine di determinare se sussistano fondati motivi per ritenere che la persona interessata rientri in detta causa di esclusione ( 25 ).

79.

Il carattere obbligatorio e automatico della presa in considerazione, da parte dell’autorità accertante, dei pareri non motivati emanati dalle autorità specializzate dello Stato è, a mio avviso, incompatibile con le garanzie procedurali sopra esposte. Infatti, tale autorità – non essendo, da una parte, a conoscenza delle informazioni che confermano l’esistenza di una minaccia per la sicurezza nazionale, nemmeno limitatamente al loro contenuto essenziale, e non potendo, dall’altra, discostarsi da tali pareri – è in realtà priva del potere di valutare in maniera individuale e completa la situazione dell’interessato nell’ottica di stabilire se esistano ragioni serie per ritenere che quest’ultimo rientri nell’ambito di applicazione di una causa di esclusione.

80.

Questo schema procedurale farà sì che l’autorità accertante adotti una decisione di revoca o di diniego del riconoscimento della protezione internazionale senza essere in grado di motivare la propria decisione in maniera sufficiente. Ne risulta una violazione del diritto a un ricorso effettivo di cui i richiedenti protezione internazionale devono beneficiare in forza dell’articolo 46, paragrafo 1, della direttiva 2013/32.

81.

Dalle considerazioni che precedono deduco che l’articolo 4, paragrafo 3, l’articolo 14, paragrafo 4, lettera a), e l’articolo 17, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2011/95, nonché l’articolo 4, paragrafi 1 e 2, l’articolo 10, paragrafi 2 e 3, l’articolo 11, paragrafo 2, l’articolo 45, paragrafi 1 e 3, e l’articolo 46, paragrafo 1, della direttiva 2013/32, in combinato disposto con l’articolo 47 della Carta e letti alla luce del principio generale del diritto dell’Unione relativo al diritto a una buona amministrazione, devono essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale in forza della quale l’autorità accertante è tenuta a respingere una domanda di protezione internazionale o a revocare una protezione in precedenza accordata quando le autorità incaricate di espletare funzioni specializzate in materia di sicurezza nazionale, non soggette alle regole stabilite dalle suddette direttive, abbiano constatato, mediante parere non motivato, che l’interessato rappresenta una minaccia per la sicurezza nazionale.

C.   Sulla quinta questione pregiudiziale

82.

Con la quinta questione, il giudice del rinvio chiede, essenzialmente, se l’articolo 17, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2011/95 debba essere interpretato nel senso che osta a che un richiedente sia escluso dal beneficio della protezione sussidiaria sulla base di una condanna penale che era già nota alle autorità chiamate in precedenza a pronunciarsi sul riconoscimento della protezione internazionale all’interessato.

83.

Ricordo che dalla domanda di pronuncia pregiudiziale risulta che, per negare a GM il beneficio della protezione sussidiaria, l’autorità competente si è fondata su una condanna penale pronunciata a suo carico il 6 giugno 2002 e divenuta definitiva diciotto anni fa, per un reato da essa qualificato come «grave». La pena irrogata è stata scontata nel 2004.

84.

L’articolo 17, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2011/95 prevede che un cittadino di un paese terzo è escluso dalla qualifica di persona avente titolo a beneficiare della protezione sussidiaria ove sussistano fondati motivi per ritenere che abbia commesso un reato grave.

85.

La Corte ha già osservato che l’ambito di applicazione della causa di esclusione di cui a detta disposizione è più ampio di quello della causa di esclusione dallo status di rifugiato di cui all’articolo 12, paragrafo 2, lettera b), della suddetta direttiva ( 26 ). Infatti, mentre la causa di esclusione dallo status di rifugiato prevista da quest’ultima disposizione riguarda un reato grave di diritto comune commesso al di fuori del paese di accoglienza prima che l’interessato sia ammesso come rifugiato, la causa di esclusione dalla protezione sussidiaria di cui all’articolo 17, paragrafo 1, lettera b), della medesima direttiva riguarda più in generale un reato grave e non è quindi limitata né geograficamente né nel tempo né quanto alla natura dei reati di cui trattasi ( 27 ).

86.

Tale disposizione stabilisce, certamente, una causa di esclusione che costituisce un’eccezione alla regola generale di cui all’articolo 18 della direttiva 2011/95 e richiede quindi un’interpretazione restrittiva ( 28 ). Ciò detto, né dalla formulazione della disposizione di cui trattasi, né dallo scopo di detta causa di esclusione dalla protezione sussidiaria ( 29 ) si possono desumere limitazioni quanto al periodo nel quale deve essere stato commesso il reato grave da essa considerato.

87.

In termini più generali, né dalla direttiva 2011/95 né dalla direttiva 2013/32 risulta che le autorità competenti siano vincolate, dopo la revoca dello status di rifugiato, da valutazioni che sarebbero state compiute in precedenza sull’applicabilità delle cause di esclusione nell’iniziale procedimento di esame della domanda di protezione internazionale.

88.

Nulla esclude pertanto, a mio avviso, che l’autorità accertante possa tener conto, nell’ambito della sua valutazione concernente una domanda di protezione sussidiaria, sulla base, se del caso, di nuove informazioni, della causa di esclusione prevista all’articolo 17, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2011/95, benché detta causa di esclusione fosse già nota alle autorità chiamate in precedenza a pronunciarsi sul riconoscimento della protezione internazionale all’interessato.

89.

Preciso inoltre che, come si evince dalla giurisprudenza della Corte, il criterio della pena irrogata riveste indubbiamente, al pari del criterio della pena prevista sulla base della legislazione penale dello Stato membro interessato ( 30 ), un’importanza particolare nel valutare la gravità del reato che giustifica l’esclusione dalla protezione sussidiaria ai sensi dell’articolo 17, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2011/95. Ciò premesso, ricordo che dalla medesima giurisprudenza risulta che l’autorità competente può invocare la causa di esclusione di cui alla suddetta disposizione, che verte sulla commissione, da parte del richiedente la protezione internazionale, di un «reato grave», solo dopo aver effettuato, per ciascun singolo caso, una valutazione dei fatti precisi di cui essa ha conoscenza, al fine di determinare se sussistano fondati motivi per ritenere che gli atti commessi dall’ interessato, che per il resto soddisfa i criteri per ottenere lo status richiesto, rientrino in tale causa di esclusione, mentre la valutazione della gravità dell’illecito in questione richiede un esame completo di tutte le circostanze del caso singolo di cui trattasi ( 31 ).

V. Conclusione

90.

Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, propongo di rispondere alle questioni pregiudiziali sollevate dalla Fővárosi Törvényszék (Corte di Budapest-Capitale, Ungheria) nei termini seguenti:

1)

L’articolo 14, paragrafo 4, lettera a), e l’articolo 17, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta, nonché l’articolo 23, paragrafo 1, secondo comma, lettera b), della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale, in combinato disposto con l’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e letti alla luce del principio generale del diritto dell’Unione concernente il diritto a una buona amministrazione, devono essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale che, da una parte, non consente a una persona o al suo avvocato, qualora essa sia destinataria di una decisione di revoca o di diniego di riconoscimento della protezione internazionale fondata sul fatto che detta persona rappresenta una minaccia per la sicurezza nazionale, di prendere conoscenza quantomeno e in maniera sistematica del contenuto essenziale delle informazioni che costituiscono il fondamento di una siffatta decisione e, dall’altra, e in ogni caso, non consente a detta persona o al suo avvocato di utilizzare tali informazioni nell’ambito del procedimento amministrativo o in seguito, se del caso, del procedimento giurisdizionale.

Il contenuto essenziale delle informazioni che devono essere comunicate a una persona destinataria di una decisione di revoca o di diniego di riconoscimento della protezione internazionale fondata sul fatto che essa rappresenta una minaccia per la sicurezza nazionale deve consentire a detta persona di venire a conoscenza dei fatti e dei comportamenti principali che le sono contestati, tenendo in debito conto la necessità di tutelare la segretezza degli elementi di prova.

2)

L’articolo 4, paragrafo 3, l’articolo 14, paragrafo 4, lettera a), e l’articolo 17, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2011/95, nonché l’articolo 4, paragrafi 1 e 2, l’articolo 10, paragrafi 2 e 3, l’articolo 11, paragrafo 2, l’articolo 45, paragrafi 1 e 3, e l’articolo 46, paragrafo 1, della direttiva 2013/32, in combinato disposto con l’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali e letti alla luce del principio generale del diritto dell’Unione relativo al diritto a una buona amministrazione, devono essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale in forza della quale l’autorità accertante è tenuta a respingere una domanda di protezione internazionale o a revocare una protezione in precedenza accordata quando le autorità incaricate di espletare funzioni specializzate in materia di sicurezza nazionale, non soggette alle regole stabilite dalle suddette direttive, abbiano constatato, mediante parere non motivato, che l’interessato rappresenta una minaccia per la sicurezza nazionale.

3)

L’articolo 17, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2011/95 deve essere interpretato nel senso che non osta a che l’autorità accertante possa tener conto, nell’ambito della sua valutazione concernente una domanda di protezione sussidiaria, della causa di esclusione prevista da tale disposizione, benché detta causa di esclusione fosse già nota alle autorità chiamate in precedenza a pronunciarsi sul riconoscimento della protezione internazionale all’interessato.


( 1 ) Lingua originale: il francese.

( 2 ) GU 2011, L 337, pag. 9.

( 3 ) GU 2013, L 180, pag. 60.

( 4 ) In prosieguo: la «Carta».

( 5 ) Magyar Közlöny 2007. évi 83. szám.; in prosieguo: la «legge sul diritto d’asilo».

( 6 ) Magyar Közlöny 2019. évi 133. szám.

( 7 ) Magyar Közlöny 2009. évi 194. szám.; in prosieguo: la «legge sulla protezione delle informazioni classificate».

( 8 ) V., per analogia, sentenze del 16 luglio 2020, Addis (C‑517/17, EU:C:2020:579, punto 57 e giurisprudenza citata); del 9 settembre 2020, Commissaire général aux réfugiés et aux apatrides (Rigetto di una domanda ulteriore – Termine di ricorso) (C‑651/19, EU:C:2020:681, punto 34 e giurisprudenza citata), e del 21 ottobre 2021, ZX (Rettifica dell’atto di imputazione) (C‑282/20, EU:C:2021:874, punto 35 e giurisprudenza citata).

( 9 ) V., segnatamente, sentenze del 24 novembre 2020, Minister van Buitenlandse Zaken (C‑225/19 e C‑226/19, EU:C:2020:951, punto 34 e giurisprudenza citata), e del 10febbraio 2022, Bezirkshauptmannschaft Hartberg-Fürstenfeld e Österreichische Gesundheitskasse (Termine di prescrizione) (C‑219/20, EU:C:2022:89, punto 37).

( 10 ) V., segnatamente, sentenza del 24 novembre 2020, Minister van Buitenlandse Zaken (C‑225/19 e C‑226/19, EU:C:2020:951, punto 34 e giurisprudenza citata).

( 11 ) V., in particolare, sentenze del 15 aprile 2021, État belge (Elementi successivi alla decisione di trasferimento) (C‑194/19, EU:C:2021:270, punto 43 e giurisprudenza citata), e del 10 febbraio 2022, Bezirkshauptmannschaft Hartberg-Fürstenfeld e Österreichische Gesundheitskasse (Termine di prescrizione) (C‑219/20, EU:C:2022:89, punto 42 e giurisprudenza citata).

( 12 ) V., segnatamente, sentenza del 10 febbraio 2022, Bezirkshauptmannschaft Hartberg-Fürstenfeld e Österreichische Gesundheitskasse (Termine di prescrizione) (C‑219/20, EU:C:2022:89, punto 45 e giurisprudenza citata).

( 13 ) V., segnatamente, sentenza del 10 febbraio 2022, Bezirkshauptmannschaft Hartberg-Fürstenfeld e Österreichische Gesundheitskasse (Termine di prescrizione) (C‑219/20, EU:C:2022:89, punto 46 e giurisprudenza citata).

( 14 ) Nelle sue osservazioni, GM comunica di aver chiesto senza successo alle autorità specializzate di accedere alle informazioni riservate che lo riguardano e che il ricorso proposto avverso la decisione di diniego dell’accesso a dette informazioni è stato respinto; nell’ambito del procedimento relativo a detta decisione non è stato però ancora proposto un ricorso in cassazione. Nuove richieste in tal senso sarebbero state respinte dalle autorità specializzate, mentre i ricorsi proposti avverso le relative decisioni sarebbero ancora pendenti.

( 15 ) C‑300/11, EU:C:2013:363.

( 16 ) V. sentenza del 4 giugno 2013, ZZ (C‑300/11, EU:C:2013:363, punto 65).

( 17 ) Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (GU 2004, L 158, pag. 77, e rettifiche in GU 2004, L 229, pag. 35 e GU 2005, L 197, pag. 34).

( 18 ) Sentenza del 4 giugno 2013, ZZ (C‑300/11, EU:C:2013:363, punto 69).

( 19 ) V., con riferimento alla portata della protezione che una comunità intende accordare ai suoi interessi fondamentali, sentenza del 24 giugno 2015, T. (C‑373/13, EU:C:2015:413, punto 77).

( 20 ) C‑300/11, EU:C:2013:363.

( 21 ) Sentenza del 4 giugno 2013, ZZ (C‑300/11, EU:C:2013:363, punto 66).

( 22 ) V., segnatamente, sentenza del 2 luglio 2020, Stadt Frankfurt am Main (C‑18/19, EU:C:2020:511, punto 29 e giurisprudenza citata).

( 23 ) V., segnatamente, sentenza del 16 luglio 2020, Addis, (C‑517/17, EU:C:2020:579, punto 61 e giurisprudenza citata).

( 24 ) V., in tal senso, sentenza del 25 gennaio 2018, F (C‑473/16, EU:C:2018:36, punti da 40 a 42).

( 25 ) V., in tal senso, sentenze del 31 gennaio 2017, Lounani (C‑573/14, EU:C:2017:71, punto 72), e del 13 settembre 2018, Ahmed (C‑369/17, EU:C:2018:713, punto 55).

( 26 ) V., segnatamente, sentenza del 2 aprile 2020, Commissione/Polonia, Ungheria e Repubblica ceca (Meccanismo di ricollocazione temporanea dei richiedenti protezione internazionale) (C‑715/17, C‑718/17, C‑719/17, EU:C:2020:257, punto 154 e giurisprudenza citata).

( 27 ) V. sentenze del 13 settembre 2018, Ahmed (C‑369/17, EU:C:2018:713, punto 47), e del 2 aprile 2020, Commissione/Polonia, Ungheria e Repubblica ceca (Meccanismo di ricollocazione temporanea dei richiedenti protezione internazionale) (C‑715/17, C‑718/17 e C‑719/17, EU:C:2020:257, punto 155 e giurisprudenza citata). V. altresì la relazione dell’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo (EASO) del gennaio 2016, intitolata «Esclusione: articoli 12 e 17 della direttiva qualifiche (2011/95/UE) – Un’analisi giuridica», la quale indica, al punto 3.2.2, relativo all’articolo 17, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2011/95, che «non esiste alcuna restrizione né temporale, né territoriale quanto alla commissione del reato o dei reati. Ciò significa che i reati di questo tipo possono comportare l’applicazione della clausola di esclusione a prescindere da quale sia il luogo e il momento in cui il reato è stato commesso» (pag. 49), disponibile al seguente indirizzo Internet: https://euaa.europa.eu/sites/default/files/Exclusion-Judicial-Analysis-FR.pdf.

( 28 ) V. sentenza del 13 settembre 2018, Ahmed (C‑369/17, EU:C:2018:713, punto 52).

( 29 ) V., segnatamente, sentenza del 13 settembre 2018, Ahmed (C‑369/17, EU:C:2018:713, punto 51).

( 30 ) V. sentenza del 13 settembre 2018, Ahmed (C‑369/17, EU:C:2018:713, punto 55).

( 31 ) V., segnatamente, sentenza del 2 aprile 2020, Commissione/Polonia, Ungheria e Repubblica ceca (Meccanismo di ricollocazione temporanea dei richiedenti protezione internazionale) (C‑715/17, C‑718/17 e C‑719/17, EU:C:2020:257, punto 154 e giurisprudenza citata).

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