Choose the experimental features you want to try

This document is an excerpt from the EUR-Lex website

Document 62020CC0102

Conclusioni dell’avvocato generale J. Richard de la Tour, presentate il 24 giugno 2021.
StWL Städtische Werke Lauf a.d. Pegnitz GmbH contro eprimo GmbH.
Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Bundesgerichtshof.
Rinvio pregiudiziale – Direttiva 2002/58/CE – Trattamento dei dati personali e tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche – Articolo 2, secondo comma, lettera h) – Nozione di “posta elettronica” – Articolo 13, paragrafo 1 – Nozione di “uso della posta elettronica a fini di commercializzazione diretta” – Direttiva 2005/29/CE – Pratiche commerciali sleali – Allegato I, punto 26 – Nozione di “ripetute e sgradite sollecitazioni per posta elettronica” – Messaggi pubblicitari – Inbox advertising.
Causa C-102/20.

Court reports – general – 'Information on unpublished decisions' section ;

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2021:518

 CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

JEAN RICHARD DE LA TOUR

presentate il 24 giugno 2021 ( 1 )

Causa C‑102/20

StWL Städtische Werke Lauf a.d. Pegnitz GmbH

contro

eprimo GmbH

con l’intervento di

Interactive Media CCSP GmbH

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Bundesgerichtshof (Corte federale di giustizia, Germania)]

«Rinvio pregiudiziale – Direttiva 2002/58/CE – Trattamento dei dati personali e tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche – Messaggio pubblicitario visualizzato nella posta in arrivo dell’utente di un servizio di e‑mail – Articolo 2, secondo comma, lettera h) – Nozione di “posta elettronica” – Articolo 13, paragrafo 1 – Nozione di “uso della posta elettronica a fini di commercializzazione diretta” – Direttiva 2005/29/CE – Pratiche commerciali sleali – Allegato I, punto 26 – Nozione di “ripetute e sgradite sollecitazioni commerciali per posta elettronica”»

I. Introduzione

1.

La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 2, secondo comma, lettera h), e dell’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2002/58/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 luglio 2002, relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche (direttiva relativa alla vita privata e alle comunicazioni elettroniche) ( 2 ), come modificata dalla direttiva 2009/136/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2009 ( 3 ) (in prosieguo: la «direttiva 2002/58»), e dell’allegato I, punto 26, della direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori nel mercato interno e che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio («direttiva sulle pratiche commerciali sleali») ( 4 ).

2.

La presente domanda è stata proposta nell’ambito di una controversia che contrappone la StWL Städtische Werke Lauf a.d. Pegnitz GmbH (in prosieguo: la «StWL») alla eprimo GmbH, due società che forniscono elettricità ai clienti finali, in merito alla compatibilità con la normativa nazionale in materia di concorrenza sleale di un’attività pubblicitaria svolta dalla Interactive Media CCSP GmbH (in prosieguo: la «Interactive Media»), su richiesta della eprimo, consistente nell’inserimento di messaggi pubblicitari nella posta in arrivo degli utenti del servizio di e‑mail gratuito «T‑Online».

3.

La tecnica pubblicitaria oggetto del procedimento principale è di difficile qualificazione in quanto, da una parte, si distingue sotto il profilo tecnico dalla struttura della e‑mail mentre, dall’altra, ricalca perfettamente, dal punto di vista del destinatario, il messaggio e‑mail indesiderato (spam), obiettivo principale della tutela prevista, segnatamente, dall’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2002/58.

4.

Nelle presenti conclusioni proporrò alla Corte, in primo luogo, di dichiarare che l’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2002/58 deve essere interpretato nel senso che l’inserimento nella posta in arrivo dell’utente di un servizio di e‑mail di messaggi pubblicitari con modalità simili a quelle delle e‑mail e un’identica collocazione, integra un «uso (...) della posta elettronica a fini di commercializzazione diretta» ai sensi di detta disposizione, dal momento che la determinazione casuale dei destinatari dei suddetti messaggi è a tal fine irrilevante e senza che sia necessario stabilire se l’onere a carico di detto utente vada al di là della molestia. Spetta al giudice del rinvio verificare se detto utente abbia prestato un consenso quantomeno libero, specifico e informato, preliminarmente all’inserimento di tali messaggi pubblicitari nella posta in arrivo del suo account di posta elettronica.

5.

In secondo luogo, suggerirò alla Corte di stabilire che la nozione di «ripetute e sgradite sollecitazioni commerciali per (...) posta elettronica», ai sensi dell’allegato I, punto 26, della direttiva 2005/29, deve essere interpretata nel senso che può ricomprendere condotte come quelle oggetto del procedimento principale, consistenti nell’inserimento nella posta in arrivo dell’utente di un servizio di e‑mail di messaggi pubblicitari con modalità simili a quelle delle e‑mail e un’identica collocazione. Tuttavia, spetta al giudice del rinvio verificare, da una parte, se l’inserimento di detti messaggi pubblicitari abbia presentato una frequenza e una regolarità sufficiente da essere qualificato come sollecitazioni commerciali «ripetute» e, dall’altra, se l’inserimento di detti messaggi possa essere qualificato come sollecitazioni commerciali «sgradite», tenendo conto dell’esistenza o meno di un consenso da parte di detto utente preliminare a detto inserimento e di un’opposizione espressa da parte di esso a tale tipologia di pubblicità.

II. Contesto normativo

A.   Diritto dell’Unione

1. Direttiva 2002/58

6.

I considerando 4 e 40 della direttiva 2002/58 enunciano quanto segue:

«(4)

La direttiva 97/66/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 dicembre 1997, sul trattamento dei dati personali e sulla tutela della vita privata nel settore delle telecomunicazioni [ ( 5 )] ha tradotto i principi enunciati dalla direttiva 95/46/CE [del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 1995, relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati ( 6 )] in norme specifiche per il settore delle telecomunicazioni. La direttiva [97/66] deve essere adeguata agli sviluppi verificatisi nei mercati e nelle tecnologie dei servizi di comunicazione elettronica, in guisa da fornire un pari livello di tutela dei dati personali e della vita privata agli utenti dei servizi di comunicazione elettronica accessibili al pubblico, indipendentemente dalle tecnologie utilizzate. Tale direttiva dovrebbe pertanto essere abrogata e sostituita dalla presente direttiva.

(...)

(40)

Occorre prevedere misure per tutelare gli abbonati da interferenze nella loro vita privata mediante comunicazioni indesiderate a scopo di commercializzazione diretta, in particolare mediante dispositivi automatici di chiamata, telefax o posta elettronica, compresi i messaggi SMS. Tali forme di comunicazioni commerciali indesiderate possono da un lato essere relativamente facili ed economiche da inviare e dall’altro imporre un onere e/o un costo al destinatario. Inoltre, in taluni casi il loro volume può causare difficoltà per le reti di comunicazione elettronica e le apparecchiature terminali. Per tali forme di comunicazioni indesiderate a scopo di commercializzazione diretta è giustificato prevedere che le relative chiamate possano essere inviate ai destinatari solo previo consenso esplicito di questi ultimi. Il mercato unico prevede un approccio armonizzato per garantire norme semplici a livello [di Unione] per le aziende e gli utenti».

7.

L’articolo 2 della direttiva 2002/58, rubricato «Definizioni», così dispone:

«Salvo diversa disposizione, ai fini della presente direttiva si applicano le definizioni di cui alla direttiva [95/46] e alla direttiva 2002/21/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 marzo 2002, che istituisce un quadro normativo comune per le reti e i servizi di comunicazione elettronica (direttiva quadro) [ ( 7 )].

Si applicano inoltre le seguenti definizioni:

(...)

d)

“comunicazione”: ogni informazione scambiata o trasmessa tra un numero finito di soggetti tramite un servizio di comunicazione elettronica accessibile al pubblico. Sono escluse le informazioni trasmesse, come parte di un servizio di radiodiffusione, al pubblico tramite una rete di comunicazione elettronica salvo quando le informazioni possono essere collegate all’abbonato o utente che riceve le informazioni che può essere identificato;

(...)

f)

“consenso” dell’utente o dell’abbonato: corrisponde al consenso della persona interessata di cui alla direttiva [95/46 ( 8 )];

(...)

h)

“posta elettronica”: messaggi contenenti testi, voci, suoni o immagini trasmessi attraverso una rete pubblica di comunicazione, che possono essere archiviati in rete o nell’apparecchiatura terminale ricevente fino a che il ricevente non ne ha preso conoscenza;

(...)».

8.

L’articolo 13 della direttiva 2002/58, dal titolo «Comunicazioni indesiderate», prevede quanto segue:

«1.   L’uso di sistemi automatizzati di chiamata e di comunicazione senza intervento di un operatore (dispositivi automatici di chiamata), del telefax o della posta elettronica a fini di commercializzazione diretta è consentito soltanto nei confronti degli abbonati o degli utenti che abbiano espresso preliminarmente il loro consenso.

2.   Fatto salvo il paragrafo 1, allorché una persona fisica o giuridica ottiene dai suoi clienti le coordinate elettroniche per la posta elettronica nel contesto della vendita di un prodotto o servizio ai sensi della direttiva [95/46], la medesima persona fisica o giuridica può utilizzare tali coordinate elettroniche a scopi di commercializzazione diretta di propri analoghi prodotti o servizi, a condizione che ai clienti sia offerta in modo chiaro e distinto la possibilità di opporsi, gratuitamente e in maniera agevole, all’uso di tali coordinate elettroniche al momento della raccolta delle coordinate e in occasione di ogni messaggio, qualora il cliente non abbia rifiutato inizialmente tale uso.

3.   Gli Stati membri adottano le misure appropriate per garantire che le comunicazioni indesiderate allo scopo di commercializzazione diretta, in casi diversi da quelli di cui ai paragrafi 1 e 2, non siano permesse se manca il consenso degli abbonati o utenti interessati oppure se gli abbonati o utenti esprimono il desiderio di non ricevere questo tipo di chiamate; la scelta tra queste due possibilità è effettuata dalla normativa nazionale, tenendo conto del fatto che entrambe le possibilità devono essere gratuite per l’abbonato o l’utente.

4.   In ogni caso, è vietata la prassi di inviare messaggi di posta elettronica a scopi di commercializzazione diretta, camuffando o celando l’identità del mittente da parte del quale la comunicazione è effettuata, o in violazione dell’articolo 6 della direttiva 2000/31/CE [del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’8 giugno 2000, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno (direttiva sul commercio elettronico) ( 9 )], o senza fornire un indirizzo valido cui il destinatario possa inviare una richiesta di cessazione di tali comunicazioni o ancora esortando i destinatari a visitare siti web che violino il predetto articolo.

(...)».

2. Direttiva 2005/29

9.

Il considerando 17 della direttiva 2005/29 ha il seguente tenore:

«È auspicabile che le pratiche commerciali che sono in ogni caso sleali siano individuate per garantire una maggiore certezza del diritto. L’allegato I riporta pertanto l’elenco completo di tali pratiche. Si tratta delle uniche pratiche commerciali che si possono considerare sleali senza una valutazione caso per caso in deroga alle disposizioni degli articoli da 5 a 9. L’elenco può essere modificato solo mediante revisione della presente direttiva».

10.

L’articolo 5 della direttiva 2005/29 così recita:

«1.   Le pratiche commerciali sleali sono vietate.

2.   Una pratica commerciale è sleale se:

a)

è contraria alle norme di diligenza professionale,

e

b)

falsa o è idonea a falsare in misura rilevante il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio che raggiunge o al quale è diretta o del membro medio di un gruppo qualora la pratica commerciale sia diretta a un determinato gruppo di consumatori.

(...)

4.   In particolare, sono sleali le pratiche commerciali:

a)

ingannevoli di cui agli articoli 6 e 7,

o

b)

aggressive di cui agli articoli 8 e 9.

5.   L’allegato I riporta l’elenco di quelle pratiche commerciali che sono considerate in ogni caso sleali. Detto elenco si applica in tutti gli Stati membri e può essere modificato solo mediante revisione della presente direttiva».

11.

L’articolo 8 della direttiva 2005/29 prevede quanto segue:

«È considerata aggressiva una pratica commerciale che, nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, mediante molestie, coercizione, compreso il ricorso alla forza fisica, o indebito condizionamento, limiti o sia idonea a limitare considerevolmente la libertà di scelta o di comportamento del consumatore medio in relazione al prodotto e, pertanto, lo induca o sia idonea ad indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso».

12.

L’allegato I di detta direttiva stabilisce l’elenco delle «[p]ratiche commerciali considerate in ogni caso sleali». Al punto 26, tra le «[p]ratiche commerciali aggressive», figura il fatto di «[e]ffettuare ripetute e sgradite sollecitazioni commerciali per telefono, via fax, per posta elettronica o mediante altro mezzo di comunicazione a distanza, fuorché nelle circostanze e nella misura in cui siano giustificate dalla legge nazionale ai fini dell’esecuzione di un’obbligazione contrattuale, fatt[e] salv[e] (...) le direttive [95/46] e [2002/58]».

B.   Diritto tedesco

13.

L’articolo 3, paragrafi 1 e 2, del Gesetz gegen den unlauteren Wettbewerb (legge contro la concorrenza sleale) ( 10 ), del 3 luglio 2004, nella versione applicabile alla controversia principale, prevede quanto segue:

«(1)   Le pratiche commerciali sleali sono illecite.

(2)   Le pratiche commerciali dirette ai consumatori o che raggiungono i consumatori sono sleali quando non sono conformi alla diligenza cui gli imprenditori sono tenuti e sono idonee a influenzare in maniera rilevante il comportamento economico del consumatore».

14.

L’articolo 5a, paragrafo 6, dell’UWG così dispone:

«Commette (...) un atto di concorrenza sleale chi ometta di indicare la reale intenzione commerciale di una pratica quando ciò non emerge già dal contesto e quando la mancanza di indicazioni è idonea a indurre il consumatore ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso».

15.

L’articolo 7, paragrafi 1 e 2, dell’UWG è formulato come segue:

«(1)   Sono illecite le pratiche commerciali che comportano un onere inaccettabile a carico di un soggetto operante sul mercato. Ciò vale, in particolare, per l’attività pubblicitaria svolta anche quando è evidente che il soggetto operante sul mercato non la desidera.

(2)   La sussistenza di un onere inaccettabile deve sempre essere presunta:

1.

in caso di pubblicità che implica l’utilizzo di un mezzo di comunicazione commerciale adatto alla commercializzazione a distanza non menzionato nei punti 2 e 3 della disposizione di cui trattasi, che sollecita in maniera ripetuta il consumatore quando è evidente che quest’ultimo non lo desidera;

(...)

3.

in caso di pubblicità che implica l’uso di un dispositivo automatico di chiamata, di un telefax o di posta elettronica senza che il destinatario abbia prestato preliminarmente ed espressamente il proprio consenso, o

4.

in caso di pubblicità sotto forma di un messaggio

a)

inviato camuffando o celando l’identità del mittente da parte del quale la comunicazione è effettuata (...)

(...)».

16.

Ai sensi dell’articolo 8 dell’UWG:

«(1)   Ogni pratica commerciale illecita ai sensi dell’articolo 3 o dell’articolo 7 può dar luogo a un’ingiunzione di cessazione del fatto illecito e, nell’ipotesi di rischio di recidiva, a inibitoria. Il diritto di ottenere un provvedimento inibitorio sorge non appena sussista il rischio di violazione degli articoli 3 o 7.

(2)   Qualora le pratiche illecite siano compiute da un dipendente o da un incaricato d’affari in un’impresa, il divieto e l’ingiunzione di cessazione possono parimenti essere rivolte al proprietario dell’impresa.

(3)   Legittimati ad agire ai sensi del paragrafo 1 sono:

1. tutti i concorrenti;

(...)».

III. Procedimento principale e questioni pregiudiziali

17.

La StWL e la eprimo sono due fornitori di elettricità, tra loro in concorrenza. Su richiesta della eprimo, la Interactive Media, un’agenzia di pubblicità, diffondeva annunci pubblicitari nelle caselle di posta elettronica degli utenti di T‑Online, un servizio di e‑mail gratuito.

18.

I messaggi pubblicitari che annunciavano la «convenienza» della eprimo apparivano nella casella di posta privata di un utente di T‑Online e, più precisamente, nella posta in arrivo, vale a dire nell’area in cui viene visualizzato l’elenco delle e‑mail ricevute, figurando tra di esse. A differenza di dette e‑mail, la pubblicità, contrassegnata dal termine «annuncio», compariva su uno sfondo grigio e non indicava né data, né mittente, e non era suscettibile di archiviazione, risposta o inoltro utilizzando le funzioni previste dal fornitore del servizio di posta elettronica per gestire le e‑mail. Inoltre, essa non era computata nel numero di e‑mail non lette e non occupava spazio di memorizzazione nella posta in arrivo. Il 20 dicembre 2016 detto utente inviava alla eprimo una diffida con riferimento a una pubblicità del 12 dicembre 2016, manifestando così espressamente a detta società la sua volontà di non ricevere pubblicità siffatte. Tuttavia, pubblicità dello stesso tipo comparivano nella sua posta in arrivo il 13 e il 15 gennaio 2017.

19.

I messaggi pubblicitari oggetto del procedimento principale sono inseriti nella posta in arrivo degli utenti del servizio di e‑mail in maniera casuale. All’apertura della pagina Internet corrispondente a un account, viene inviata una richiesta (AdRequest) al server pubblicitario che invia quindi i pertinenti parametri al browser Internet dell’utente per consentire l’inserimento di un banner pubblicitario selezionato a caso nella posta in arrivo di detto account. Se l’utente clicca sull’annuncio pubblicitario inserito, tale richiesta è inoltrata al server pubblicitario che la registra e reindirizza il browser al sito dell’inserzionista.

20.

Adito dalla StWL, che reputava tale metodo pubblicitario contrario al diritto della concorrenza in quanto integrante una molestia inaccettabile e ingannevole, il Landgericht Nürnberg‑Fürth (Tribunale del Land, Norimberga‑Fürth, Germania) ingiungeva alla eprimo di astenersi, nel quadro dell’attività commerciale e a fini di concorrenza, da ogni attività pubblicitaria sull’account di posta elettronica T‑Online concernente la fornitura di energia elettrica ai consumatori finali.

21.

L’impugnazione proposta dalla eprimo dinanzi all’Oberlandesgericht Nürnberg (Tribunale superiore del Land, Norimberga, Germania) veniva accolta: detto giudice riteneva infatti che la contestata collocazione di annunci pubblicitari nella posta in arrivo dell’utente di un servizio di e‑mail non costituisse, alla luce del diritto della concorrenza, una pratica commerciale illecita.

22.

L’Oberlandesgericht Nürnberg (Tribunale superiore del Land, Norimberga) stabiliva, da una parte, che la pubblicità di cui trattasi non integrava una molestia inaccettabile implicante l’uso della posta elettronica, ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 2, punto 3, dell’UWG e ciò in quanto detta pubblicità non poteva essere considerata come posta elettronica ai sensi della suddetta disposizione. In ogni caso, tale pubblicità non comportava, per l’utente del servizio di e‑mail, oneri o costi eccedenti la «normale» molestia causata da qualsiasi attività pubblicitaria e non comportava pertanto una molestia inaccettabile ai sensi della disposizione generale di cui all’articolo 7, paragrafo 1, prima frase, dell’UWG, tenuto conto, segnatamente, del carattere gratuito del servizio di e‑mail.

23.

Dall’altra, detto giudice concludeva che la pubblicità di cui trattasi non era illecita in applicazione dell’articolo 7, paragrafo 2, punto 4, lettera a), dell’UWG, in quanto non si tratta di una pubblicità sotto forma di messaggi. Nemmeno l’articolo 7, paragrafo 2, punto 1, dell’UWG poteva trovare applicazione poiché esso presuppone una «sollecitazione commerciale», nel senso di una condotta che va a importunare il consumatore, circostanza questa che manca nel caso di specie. Infine, gli annunci pubblicitari di cui trattasi non potevano essere considerati sleali in quanto ingannevoli a norma dell’articolo 5a, paragrafo 6, dell’UWG poiché non occultavano il loro carattere pubblicitario.

24.

Adito con ricorso in cassazione («Revision») dalla StWL, il Bundesgerichtshof (Corte federale di giustizia, Germania) ritiene che la sussistenza o meno di un diritto ad ottenere la cessazione della pratica controversa dipende dall’interpretazione dell’articolo 2, secondo comma, lettere d) e h), e dell’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2002/58 e dell’allegato I, punto 26, della direttiva 2005/29, nonché delle nozioni di «posta elettronica», «uso» e «sollecitazione commerciale».

25.

Infatti, a parere del giudice del rinvio, la condotta contestata alla eprimo potrebbe essere illecita in applicazione dell’articolo 7, paragrafo 2, punto 3, dell’UWG, che recepisce l’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2002/58. Esso osserva che è ipotizzabile altresì che la pubblicità sia illecita a norma dell’articolo 7, paragrafo 2, punto 1, dell’UWG, che recepisce l’allegato I, punto 26, della direttiva 2005/29.

26.

In un primo momento, quanto alla parte concernente l’applicazione dell’articolo 7, paragrafo 2, punto 3, dell’UWG, che recepisce l’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2002/58, il giudice del rinvio chiede alla Corte chiarimenti in merito alle nozioni di «posta elettronica» e di «uso» della stessa a fini di commercializzazione diretta.

27.

Per stabilire se la pubblicità di cui trattasi ricada nella nozione di «posta elettronica», detto giudice osserva, anzitutto, che il messaggio trasmesso in tempo reale dal gestore del server pubblicitario alla posta in arrivo dell’account e‑mail a seguito del collegamento dell’utente al sito Internet mediante la connessione e visualizzato sulla suddetta pagina dove poteva essere letto da detto utente, costituisce una «comunicazione», ai sensi dell’articolo 2, secondo comma, lettera d), della direttiva 2002/58. Esso ritiene pertanto che occorra verificare se un messaggio pubblicitario come quello oggetto del procedimento principale possa essere qualificato come «posta elettronica» in conformità all’articolo 2, secondo comma, lettera h), della direttiva de qua.

28.

A tal riguardo, detto giudice si interroga sul criterio della trasmissione del messaggio citato nella disposizione di cui trattasi. Infatti, la pubblicità nella posta in arrivo non è trasmessa dall’utente di un servizio di e‑mail a un altro utente, ma è inserita, a seguito dell’apertura dell’account di posta elettronica, da server pubblicitari in determinati spazi della posta in arrivo all’uopo previsti di un utente selezionato a caso. Applicando i criteri di una e‑mail tradizionale, potrebbe quindi mancare la «trasmissione» del messaggio, cosicché la pubblicità che compare nella posta in arrivo non potrebbe essere qualificata come «posta elettronica». Tuttavia, il giudice del rinvio si chiede se l’obiettivo della tutela della vita privata, enunciato nel considerando 40 e perseguito con l’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2002/58 possa deporre a favore di un approccio funzionale e non tecnico alla definizione di «trasmissione». Detto obiettivo potrebbe giustificare un’interpretazione della nozione di «trasmissione» fondata non sulle forme tradizionali di comunicazione elettronica, vale a dire nel senso della spedizione da un determinato utente a un altro utente predeterminato, ma in maniera funzionale, nel senso di una diffusione.

29.

Il giudice del rinvio si interroga inoltre sulla definizione della nozione di «presa conoscenza» presente nell’articolo 2, secondo comma, lettera h), della direttiva 2002/58. Detto giudice spiega che dalla disposizione di cui trattasi, letta in combinato disposto con il considerando 27 della medesima direttiva ( 11 ), si potrebbe desumere che la presa conoscenza del messaggio presuppone una condotta consapevole del destinatario che, aprendo il suo account di posta elettronica, manifesta la propria volontà che dette e‑mail, archiviate sul server del servizio di e‑mail, siano visualizzate e gli siano trasmesse, mentre per quanto attiene alla pubblicità di cui trattasi, archiviata su un server pubblicitario controllato dalla società che la diffonde, è sufficiente che l’utente apra il servizio di e‑mail affinché il banner pubblicitario compaia in tempo reale senza che l’utente Internet si renda conto di questo processo e possa pronunciarsi a favore o contro tale inserimento con una decisione che esprime la sua volontà. In sintesi, la presa conoscenza di cui all’articolo 2, secondo comma, lettera h), della direttiva 2002/58 presupporrebbe un’operazione da parte dell’utente ai fini della trasmissione del messaggio, di norma, a partire dal server del fornitore di servizi. Tuttavia, a parere del giudice del rinvio, l’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2002/58 impone di tutelare l’utente da comunicazioni pubblicitarie indesiderate e, di conseguenza, di ritenere che l’apertura dell’account di posta elettronica su Internet sia sufficiente a integrare un atto finale di presa conoscenza.

30.

Inoltre, il giudice del rinvio osserva che, prima del suo inserimento nella posta in arrivo, attivato mediante la connessione, la pubblicità controversa era archiviata su un server pubblicitario e, quindi, in rete. A suo avviso, il considerando 27 della direttiva 2002/58 non consente di dedurre che con posta elettronica si intendano unicamente messaggi archiviati sul server del fornitore del servizio stesso.

31.

Il giudice del rinvio si chiede altresì se si possa parlare di «posta elettronica», ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2002/58, quando una comunicazione non sia trasmessa a un singolo destinatario specificamente identificato prima della trasmissione, ma venga visualizzata, come nella specie, in maniera casuale. Il giudice del rinvio osserva, a questo proposito, che la pubblicità controversa è stata diretta a caso agli utenti del servizio e‑mail gratuito, senza che fosse stata possibile una preliminare comunicazione in merito al consenso dell’utente. Detto questo, esso ritiene che dal requisito del consenso preliminare previsto dalla disposizione di cui trattasi non si possa dedurre che tutte le forme di commercializzazione diretta attraverso le reti di comunicazione sono ammesse quando il consenso degli utenti del servizio di e‑mail non può essere acquisito prima dell’inserimento di una pubblicità e ciò in ragione dei procedimenti tecnici impiegati dall’inserzionista.

32.

Il giudice del rinvio ritiene inoltre che occorra definire la nozione di «uso» della posta elettronica, ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2002/58, e si chiede se, per rientrare in detta nozione, l’«onere» ( 12 ) imposto all’utente debba andare al di là della molestia. A tal riguardo, esso osserva che, posto che la pubblicità controversa si presenta come un’e‑mail e ha quindi una visibilità maggiore di una pubblicità collocata all’esterno della posta in arrivo, la molestia è più marcata rispetto al caso di una pubblicità inserita a lato della posta elettronica e, date le circostanze, l’obiettivo della tutela della vita privata degli utenti potrebbe non essere soddisfatto.

33.

In un secondo momento, per quanto concerne la parte relativa all’applicazione dell’articolo 7, paragrafo 2, punto 1, dell’UWG, che recepisce l’allegato I, punto 26, della direttiva 2005/29, il giudice del rinvio ritiene necessaria una precisazione dei criteri della «sollecitazione commerciale», ai sensi della disposizione de qua. A parere di detto giudice, la sollecitazione commerciale è esclusa quando la comunicazione è diretta al pubblico in generale. Essa presuppone, al contrario, une pubblicità rivolta in maniera mirata a un cliente individuale. A questo proposito, detto giudice si chiede se, per avere una pubblicità individuale mirata che soddisfa i criteri della sollecitazione commerciale, sia necessario che un cliente sia contattato mediante uno strumento tradizionale della comunicazione individuale tra un emittente e un destinatario, come il telefono, il fax o la posta elettronica, o se sia sufficiente, come nel caso di specie, un collegamento con un siffatto utente stabilito mediante l’inserimento della pubblicità nella posta in arrivo del suo account di posta elettronica, vale a dire in un’area nella quale il cliente prevede di ricevere comunicazioni a lui personalmente indirizzate.

34.

A parere del giudice del rinvio, posto che la pubblicità inserita nella posta in arrivo comporta per l’utente una molestia più pesante di quella provocata dai banner pubblicitari tradizionali, che comparendo in aree di un sito Internet di norma a tal fine previste, non presentano il medesimo carattere individuale, assume rilievo con ogni probabilità anche l’obiettivo di tutela perseguito dall’allegato I, punto 26, della direttiva 2005/29.

35.

Il giudice del rinvio ritiene inoltre che siano soddisfatte le altre condizioni previste per la prassi vietata da detta disposizione. Esso osserva, a questo proposito, che l’utente del servizio di e‑mail è stato sollecitato complessivamente tre volte, vale a dire a più riprese e quindi in maniera ripetuta, dalla pubblicità inserita nella posta in arrivo del suo account e‑mail. Una siffatta pubblicità non sarebbe stata gradita, posto che detto utente aveva espressamente comunicato alla eprimo la sua volontà di non ricevere messaggi pubblicitari come quelli oggetto del procedimento principale.

36.

Ciò premesso, il Bundesgerichtshof (Corte federale di giustizia) ha deciso di sospendere la decisione e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)

Se nella nozione di “trasmissione” ai sensi dell’articolo 2, secondo comma, lettera h), della direttiva 2002/58, rientri l’ipotesi in cui un messaggio non venga inviato da un utente di un servizio di comunicazione elettronica ad un altro utente tramite un fornitore di servizi all’“indirizzo” elettronico del secondo utente, ma, a seguito dell’apertura della pagina Internet, protetta da password, di un account di posta elettronica, venga automaticamente mostrato da server pubblicitari in determinati spazi, previsti a tal fine, nella casella di posta elettronica in arrivo di un utente selezionato in modo aleatorio (pubblicità nella casella di posta in arrivo).

2)

Se la presa di conoscenza di un messaggio ai sensi dell’articolo 2, secondo comma, lettera h), della direttiva 2002/58/CE presupponga che il destinatario, dopo essere giunto a conoscenza della presenza di un messaggio, attivi, mediante richiesta volontaria, la trasmissione dei dati del messaggio mediante un programma tecnicamente predeterminato o se sia sufficiente che la comparsa di un messaggio nella casella di posta in arrivo di un account e‑mail sia attivata dal fatto che l’utente apra la pagina Internet, protetta da password, del proprio account di posta elettronica.

3)

Se un messaggio che non è inviato ad un singolo destinatario già concretamente determinato prima della trasmissione, ma che è collocato nella casella di posta in arrivo di un utente selezionato in modo aleatorio costituisca parimenti un messaggio di posta elettronica ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2002/58.

4)

Se sussista un’utilizzazione della posta elettronica a fini di commercializzazione diretta, ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2002/58, solo a fronte di un onere a carico dell’utente che vada al di là di una molestia.

5)

Se una pubblicità individuale rispondente ai requisiti di una “sollecitazione commerciale”, ai sensi del punto 26, prima frase, dell’allegato I della direttiva 2005/29 sussista solo nel caso in cui un cliente venga contattato mediante un mezzo solitamente impiegato ai fini della comunicazione individuale tra un mittente e un destinatario, oppure se sia sufficiente che – come nel caso della pubblicità in discussione nella presente controversia – un riferimento individuale venga in essere per il fatto che la pubblicità compare nella casella di posta in arrivo di un account di posta elettronica privato e, quindi, in un’area nella quale il cliente si attende di ricevere comunicazioni personalmente indirizzate al medesimo».

37.

La Interactive Media, la eprimo, il governo portoghese e la Commissione europea hanno depositato osservazioni scritte. La StWL, la Interactive Media, la eprimo e la Commissione hanno risposto entro il termine impartito ai quesiti con richiesta di risposta scritta posti dalla Corte.

IV. Analisi

38.

Con il presente rinvio pregiudiziale si chiede alla Corte di stabilire se, e se del caso a quali condizioni, possa essere ritenuta compatibile con le pertinenti disposizioni delle direttive 2002/58 e 2005/29 una prassi in forza della quale dei messaggi pubblicitari sono inseriti nella posta in arrivo dell’utente di un servizio di e‑mail fornitogli a titolo gratuito e finanziato attraverso gli annunci pubblicitari a pagamento degli inserzionisti.

39.

Come risulta dall’allegato I, punto 26, della direttiva 2005/29, il divieto di «[e]ffettuare ripetute e sgradite sollecitazioni commerciali per telefono, via fax, per posta elettronica o mediante altro mezzo di comunicazione a distanza, fuorché nelle circostanze e nella misura in cui siano giustificate dalla legge nazionale ai fini dell’esecuzione di un’obbligazione contrattuale», si applica fatte salve le disposizioni di cui alla direttiva 2002/58. In linea con quanto richiesto dal giudice del rinvio alla Corte, esaminerò quindi in successione le questioni vertenti sull’interpretazione, da una parte, della direttiva 2002/58 e, dall’altra, della direttiva 2005/29.

A.   Sull’interpretazione delle disposizioni pertinenti della direttiva 2002/58

40.

Con la prima e la seconda questione, il giudice del rinvio chiede alla Corte essenzialmente di stabilire se i criteri che consentono di definire una «posta elettronica», ai sensi dell’articolo 2, secondo comma, lettera h), della direttiva 2002/58, siano soddisfatti nel caso di un messaggio pubblicitario che compare nella posta in arrivo dell’account di un utente di un servizio di e‑mail. Più precisamente, esso chiede se un messaggio possa essere considerato come «trasmesso», ai sensi di detta disposizione, quando non è inviato da detto utente a un altro utente all’indirizzo di posta elettronica di quest’ultimo attraverso un fornitore di servizi, ma viene inserito automaticamente nella posta in arrivo di un utente selezionato a caso a seguito dell’accesso al sito Internet di un account protetto. Il giudice del rinvio chiede altresì se, affinché vi sia «presa conoscenza» di un messaggio ai sensi dell’articolo 2, secondo comma, lettera h), della direttiva 2002/58, sia necessario che il destinatario richieda volontariamente la trasmissione dei dati del messaggio di cui trattasi o se sia sufficiente che detto messaggio compaia nella posta in arrivo a seguito dell’apertura della pagina Internet dell’account protetto.

41.

Con la terza e la quarta questione, il giudice del rinvio chiede che sia fornita un’interpretazione della nozione di «uso (...) della posta elettronica a fini di commercializzazione diretta», ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2002/58. Più precisamente, con la terza questione, vuole sapere se si tratti di «posta elettronica», ai sensi della disposizione di cui trattasi quando un messaggio non è inviato a un destinatario individualmente identificato prima della trasmissione, ma è visualizzato nella posta in arrivo di un utente selezionato a caso. Il giudice del rinvio chiede inoltre se un «uso (...) della posta elettronica a fini di commercializzazione diretta», ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2002/58, sussista solo a fronte di un onere a carico dell’utente che vada al di là della molestia.

42.

In forza dell’articolo 2, secondo comma, lettera h), della direttiva 2002/58, per posta elettronica si intendono «messaggi contenenti testi, voci, suoni o immagini». Tale elemento della definizione non è oggetto di discussione nel quadro della presente causa ed è di certo soddisfatto da un messaggio pubblicitario come quello oggetto del procedimento principale.

43.

Ciò detto, affinché un messaggio possa essere qualificato come «posta elettronica», ai sensi della disposizione di cui trattasi, devono essere soddisfatti altri tre criteri. Anzitutto, il messaggio deve essere stato «trasmess[o] attraverso una rete pubblica di comunicazione». Poi, detto messaggio deve poter «essere archiviat[o] in rete o nell’apparecchiatura terminale ricevente». Infine, il destinatario deve poterne prendere conoscenza.

44.

Per quanto attiene alla questione di stabilire se un messaggio pubblicitario come quello oggetto del procedimento principale soddisfi questi tre criteri, in tutto o solo in parte, si contrappongono due tesi.

45.

Secondo la tesi che si oppone a una qualificazione come «posta elettronica», sostenuta dalla eprimo e dalla Interactive Media, un messaggio pubblicitario che compare in maniera casuale nella posta in arrivo di un account di posta elettronica non può essere considerato come trasmesso, archiviato e oggetto di una presa conoscenza come richiesto dall’articolo 2, secondo comma, lettera h), della direttiva 2002/58. Gli argomenti dedotti a fondamento di questa tesi si basano sull’idea secondo cui un siffatto messaggio non ha le caratteristiche proprie di una e‑mail tradizionale. In primo luogo, non sarebbe oggetto di una trasmissione da un utente a un altro, ma di un inserimento provvisorio e automatizzato nella posta in arrivo di utenti selezionati a caso. In secondo luogo, un messaggio pubblicitario come quello oggetto del procedimento principale non sarebbe archiviato in rete o nell’apparecchiatura terminale ricevente. In terzo luogo, non vi sarebbe una presa conoscenza di tale messaggio da parte del destinatario in quanto ciò presupporrebbe una condotta consapevole da parte di quest’ultimo diretta per l’appunto a prendere conoscenza di un messaggio specifico selezionandolo.

46.

La tesi favorevole a una qualificazione come «posta elettronica» di un messaggio pubblicitario come quello oggetto del procedimento principale, sostenuta dal giudice del rinvio e, in parte, dal governo portoghese, si fonda, dal canto suo, sulla necessità di accogliere un’interpretazione funzionale della nozione di «posta elettronica» al fine di soddisfare l’obiettivo di protezione della vita privata degli utenti dei servizi e‑mail. Una siffatta interpretazione comporta che ciascuno dei criteri di detta nozione debba essere valutato in maniera flessibile. Così, un messaggio pubblicitario diffuso e mostrato nella posta in arrivo dell’account dell’utente di un servizio di e‑mail dovrebbe essere considerato, a prescindere dalla tecnologia impiegata, come «trasmesso attraverso una rete pubblica di comunicazione» ai sensi dell’articolo 2, secondo comma, lettera h), della direttiva 2002/58. Il fatto che detto messaggio sia archiviato su un server pubblicitario e non nell’apparecchiatura terminale del destinatario sarebbe sufficiente in quanto si potrebbe ritenere che si tratti di un’archiviazione «in rete», ai sensi di detta disposizione. Inoltre, un siffatto messaggio che compare all’apertura della pagina Internet dell’account di posta elettronica dovrebbe essere considerato come oggetto di una presa conoscenza, come richiesto dalla disposizione de qua. Su quest’ultimo punto, l’argomento dedotto dal governo portoghese è più articolato in quanto tale governo ritiene che un messaggio pubblicitario inserito nella posta in arrivo di un siffatto account non può essere oggetto di presa conoscenza da parte del suo destinatario. Tuttavia, posto che il messaggio continua ad essere archiviato in rete, ciò sarebbe sufficiente a qualificarlo come «posta elettronica», ai sensi dell’articolo 2, secondo comma, lettera h), della direttiva 2002/58.

47.

Alla luce degli argomenti, spesso di carattere tecnico, invocati a fondamento di ciascuna di queste due tesi, sono sensibile all’argomento sviluppato dal giudice del rinvio a favore di un’interpretazione funzionale della nozione di «posta elettronica», che potrebbe indurre a ritenere che un messaggio pubblicitario come quello oggetto del procedimento principale soddisfi i criteri di cui all’articolo 2, secondo comma, lettera h), della direttiva 2002/58.

48.

In ogni caso, ritengo che detta nozione non debba essere interpretata in maniera isolata, ma tenendo conto della disposizione in cui è impiegata, vale a dire, nella specie, l’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2002/58. In tale misura, concordo con la StWL e con la Commissione nel ritenere che la nozione pertinente da interpretare nell’ambito della presente causa è quella di «uso (...) della posta elettronica a fini di commercializzazione diretta», ai sensi della disposizione di cui trattasi. Concentrerò pertanto la mia analisi sull’interpretazione di detta disposizione, tenendo conto della sua formulazione, del suo obiettivo e della necessità di garantirne l’effetto utile.

49.

Osservo, a questo proposito, che l’articolo 13 della direttiva 2002/58 reca il titolo «Comunicazioni indesiderate». Richiamando la nozione di «comunicazione» contenuta nell’articolo 2, secondo comma, lettera d), di detta direttiva, l’articolo 13 di quest’ultima mira a trovare applicazione a «ogni informazione scambiata o trasmessa tra un numero finito di soggetti tramite un servizio di comunicazione elettronica accessibile al pubblico».

50.

Una comunicazione che rientra nell’ambito di applicazione dell’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2002/58, è permessa a condizione che sia stato ottenuto preliminarmente il consenso da parte del suo destinatario. Dall’articolo 2, secondo comma, lettera f), della direttiva 2002/58, in combinato disposto con l’articolo 94, paragrafo 2, del regolamento 2016/679, emerge che il consenso deve soddisfare i requisiti risultanti dall’articolo 2, lettera h), della direttiva 95/46 o dell’articolo 4, punto 11, di detto regolamento, a seconda di quale tra queste due norme sia applicabile ratione temporis ai fatti oggetto del procedimento principale. Con riferimento a una domanda di cessazione di una pratica commerciale illecita, non è escluso che, ove il procedimento avviato dalla StWL miri a far cessare in futuro la condotta della eprimo, il regolamento 2016/679 possa trovare applicazione ratione temporis alla controversia principale benché i fatti all’origine di detta controversia siano anteriori al 25 maggio 2018, data in cui detto regolamento è divenuto applicabile, posto che la direttiva 95/46 è stata abrogata a decorrere da detta stessa data ( 13 ). Ne consegue che deve trattarsi, quantomeno, di una manifestazione di volontà libera, specifica e informata ( 14 ).

51.

L’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2002/58 precisa le tipologie di comunicazioni cui si applica il requisito di consenso preliminare da parte dei destinatari. Si tratta, da una parte, delle comunicazioni che hanno come finalità la commercializzazione diretta, vale a dire comunicazioni a finalità commerciale inviate direttamente e individualmente agli utenti dei servizi di comunicazioni elettroniche. Dall’altra, dette comunicazioni devono pervenire a questi ultimi attraverso «[l]’uso di sistemi automatizzati di chiamata e di comunicazione senza intervento di un operatore (dispositivi automatici di chiamata), del telefax o della posta elettronica».

52.

L’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2002/58 non si applica pertanto in maniera generalizzata alle finestre pubblicitarie che possono comparire nel consultare un sito Internet. La disposizione di cui trattasi riguarda unicamente le comunicazioni aventi ad oggetto la commercializzazione diretta concernenti direttamente e individualmente i destinatari di volta in volta considerati e che si servono di determinati vettori di comunicazione elettronica, come la posta elettronica ( 15 ).

53.

L’attuale formulazione dell’articolo 13 della direttiva 2002/58 è stata introdotta con la direttiva 2009/136, il cui considerando 67 indica che «[l]a protezione garantita agli abbonati contro le intrusioni nella loro vita privata con comunicazioni indesiderate a fini di commercializzazione diretta mediante la posta elettronica dovrebbe essere applicabile anche agli SMS, agli MMS e a altri tipi di applicazioni con caratteristiche analoghe» ( 16 ). Il legislatore dell’Unione ha così inteso accogliere una lettura estensiva dei mezzi di comunicazione elettronica con cui sono effettuate operazioni di commercializzazione diretta, andando oltre le sole e-mail. Questa lettura estensiva trova espressione anche nel considerando 40 della direttiva 2002/58, che sottolinea la necessità di «prevedere misure per tutelare gli abbonati da interferenze nella loro vita privata mediante comunicazioni indesiderate a scopo di commercializzazione diretta, in particolare mediante dispositivi automatici di chiamata, telefax o posta elettronica, compresi i messaggi SMS» ( 17 ), il che suggerisce non solo che la posta elettronica non si limita alle sole e‑mail, ma anche che l’elenco dei mezzi di comunicazione citati non ha carattere esaustivo. La volontà del legislatore dell’Unione di coprire un ampio spettro di comunicazioni effettuate a fini di commercializzazione diretta è altresì confermata dal considerando 4 della direttiva 2002/58, nel quale si afferma l’obiettivo di «fornire un pari livello di tutela dei dati personali e della vita privata agli utenti dei servizi di comunicazione elettronica accessibili al pubblico, indipendentemente dalle tecnologie utilizzate» ( 18 ). Questo obiettivo impone di accogliere una lettura dinamica e neutra dal punto di vista tecnologico delle nozioni presenti nella direttiva 2002/58.

54.

A prescindere dalla portata dei mezzi di comunicazione impiegati a fini di commercializzazione diretta che possono rientrare nell’ambito di applicazione dell’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2002/58, nella situazione oggetto del procedimento principale è, a mio parere, dirimente il fatto che i messaggi pubblicitari di cui trattasi raggiungono i loro destinatari proprio usando le posta elettronica. In linea con la Commissione, osservo che detti messaggi compaiono nella posta in arrivo dell’account dell’utente di un servizio di e‑mail, vale a dire in un’area di norma riservata alle e‑mail stricto sensu, che costituiscono e‑mail private. Il mittente di detti messaggi si serve pertanto della posta elettronica per raggiungere il consumatore; si tratta quindi certamente di comunicazioni a fini di commercializzazione diretta «mediante la posta elettronica», in conformità a quanto indicato nel considerando 67 della direttiva 2009/136, alla luce del quale occorre interpretare l’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2002/58. Pertanto, a mio avviso, l’inserimento di messaggi come quelli oggetto del procedimento principale nell’elenco di e‑mail private deve essere qualificato come uso della posta elettronica a fini di commercializzazione diretta, rientrante nel campo di applicazione dell’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2002/58.

55.

Vista la collocazione della pubblicità controversa nella posta in arrivo dell’account dell’utente di un servizio di e‑mail, le modalità per essa utilizzate consentono di raggiungere direttamente e individualmente detto utente nella sfera privata rappresentata da tale posta in arrivo, il cui accesso è protetto da una password, e ciò con un’efficacia che mi sembra comparabile a quella delle e‑mail indesiderate (spam). La scelta di collocare la pubblicità controversa nella posta in arrivo non nasce a caso e rappresenta una differenza importante, ai fini dell’applicazione dell’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2002/58, rispetto ai banner pubblicitari che compaiono a lato e separati dall’elenco delle e‑mail private. Infatti, comparendo allo stesso livello delle e‑mail private, la pubblicità controversa gode della stessa attenzione che l’utente dedica a queste ultime. Come osserva correttamente la Commissione, in un caso siffatto, gli operatori economici che contribuiscono alla diffusione di detta pubblicità sfruttano la posta in arrivo delle e‑mail private e l’interesse e la fiducia che gli utenti di un servizio di e‑mail hanno rispetto ad essa, conferendo ai loro messaggi pubblicitari un aspetto che, pur in presenza di talune minime differenze, si avvicina a quello delle e‑mail private. Inoltre, posto che i messaggi pubblicitari occupano stringhe della posta in arrivo normalmente riservate alle e‑mail private e hanno un aspetto del tutto simile a queste ultime, sussiste un rischio di confusione tra queste due categorie di messaggi potenzialmente idoneo a far sì che l’utente che clicca sulla stringa corrispondente al messaggio pubblicitario sia indirizzato, contro la sua volontà, a un sito Internet contenente la pubblicità di cui trattasi, invece di continuare a consultare le proprie e‑mail private.

56.

In linea con la Commissione, ritengo che la constatazione secondo cui, diversamente dalle e‑mail private, il messaggio pubblicitario compare su sfondo grigio, non occupa spazio di memorizzazione e non consente l’utilizzo delle funzionalità abituali delle e‑mail non impedisce di riconoscere l’esistenza di una lesione alla vita privata degli utenti di un tale servizio. Infatti, comparendo all’interno del medesimo elenco delle e‑mail private, i messaggi pubblicitari oggetto del procedimento principale richiedono, per essere cancellati, la medesima attenzione e uno stesso intervento delle e‑mail indesiderate (spam) e l’intensità della lesione mi sembra la stessa. Inoltre, il fatto che rispetto a detti messaggi non sia possibile utilizzare le medesime funzionalità delle e‑mail comporta un danno ulteriore rispetto alle e‑mail indesiderate (spam), posto che l’intervento specifico richiesto può comportare errori all’atto della loro cancellazione o l’attivazione non voluta della pubblicità.

57.

Nel complesso, a mio parere, l’intrusione nella vita privata si caratterizza qui per l’uso di un mezzo di comunicazione, nella specie la posta elettronica, che di norma è riservato alla trasmissione e al ricevimento di corrispondenza privata. Contrariamente ai banner pubblicitari che compaiono lateralmente e al di fuori dall’elenco delle e‑mail private, la presenza dei messaggi pubblicitari oggetto del procedimento principale all’interno della posta in arrivo delle e‑mail private, che l’utente reputa rientrino nella propria sfera privata, ostacola l’accesso a queste ultime con modalità e intensità del tutto simili a quelle delle e‑mail indesiderate (spam). Ne consegue, a mio avviso, che tali comunicazioni indesiderate a fini di commercializzazione diretta ledono anche l’obiettivo della tutela degli utenti dalla violazione della loro vita privata perseguito dall’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2002/58, letto alla luce del considerando 40 della medesima direttiva e del considerando 67 della direttiva 2009/136. Sussiste pertanto un’intrusione nella sfera privata compiuta utilizzando la posta in arrivo della posta elettronica e detta intrusione è, a mio parere, sufficiente a subordinare il ricorso alla tecnica di commercializzazione diretta oggetto del procedimento principale al requisito del consenso preliminare da parte dell’utente di un servizio di e‑mail.

58.

A mio avviso, ammettere che messaggi pubblicitari come quelli oggetto del procedimento principale possano comparire nella posta in arrivo dell’account dell’utente di un servizio di e‑mail senza che questi abbia preliminarmente prestato il proprio consenso a ricevere, in tale forma e con tali modalità, messaggi siffatti lederebbe l’effetto utile dell’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2002/58.

59.

L’obiettivo perseguito dal legislatore dell’Unione che consiste nel tutelare l’utente da una permanente saturazione delle sue caselle di posta in arrivo o delle sue linee telefoniche private mediante annunci commerciali indesiderati impone pertanto di garantire l’effetto utile di detta disposizione. Ciò impone che quest’ultima sia interpretata nel senso che essa riguarda messaggi pubblicitari che, in ragione della loro somiglianza con un’e‑mail privata e della loro collocazione all’interno dell’elenco delle e‑mail private, ledono la vita privata degli utenti dei servizi di e‑mail. È necessario accogliere una siffatta interpretazione per evitare che il requisito del consenso preliminare imposto dall’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2002/58 possa essere eluso benché un messaggio pubblicitario come quello oggetto del procedimento principale rappresenti innegabilmente, a mio avviso, un atto di commercializzazione diretta con mezzi elettronici che utilizza per la propria diffusione la posta in arrivo normalmente destinata alle sole e‑mail private, comportando così i medesimi effetti e il medesimo danno di una e‑mail pubblicitaria indesiderata (spam), la quale rappresenta uno degli obiettivi principali della disposizione in parola.

60.

Inoltre, come osservato in precedenza, in considerazione dell’obiettivo della neutralità tecnologica, perseguito anch’esso dal legislatore dell’Unione, occorre accogliere un’interpretazione estensiva dell’ambito di applicazione dell’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2002/58 per poter ricomprendere le nuove tecniche di commercializzazione diretta.

61.

In risposta alla terza questione posta dal giudice del rinvio, osservo che la circostanza che un messaggio pubblicitario come quello oggetto del procedimento principale sia visualizzato nella posta in arrivo di un utente selezionato a caso non impedisce affatto, a mio avviso, di ravvisare l’esistenza di un «uso (...) della posta elettronica a fini di commercializzazione diretta», ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2002/58. Infatti, in linea con il governo portoghese, ritengo che la scelta casuale o predefinita del destinatario non integri una condizione di applicazione di detta disposizione. In altre parole, poco rileva che la pubblicità controversa sia indirizzata a un destinatario predeterminato e identificato individualmente o che si tratti invece di una diffusione di massa e casuale a numerosi destinatari. Ciò che rileva è l’esistenza di una comunicazione a finalità commerciale che raggiunge direttamente e individualmente uno o più utenti dei servizi di e‑mail in quanto inserita nella posta in arrivo dell’account di posta elettronica di detti utenti.

62.

In risposta alla quarta questione sollevata dal giudice del rinvio, occorre altresì osservare che, per qualificare un’operazione pubblicitaria come quella oggetto del procedimento principale come «uso (...) della posta elettronica a fini di commercializzazione diretta», ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2002/58, non è necessario stabilire che l’onere a carico dell’utente vada al di là della molestia. Infatti, come emerge dal considerando 40 di detta direttiva, il requisito del consenso preliminare previsto in tale disposizione si spiega, segnatamente, in ragione del fatto che le comunicazioni indesiderate effettuate a fini di commercializzazione diretta possono «imporre un onere e/o un costo al destinatario». Ove tali comunicazioni rientrino nell’ambito di applicazione dell’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2002/58, occorre presumere che esse impongano un onere al destinatario senza che si debba stabilire se detto onere vada al di là della molestia.

63.

Dalle considerazioni che precedono risulta che un messaggio pubblicitario come quello oggetto del procedimento principale rientra, a mio avviso, nell’ambito di applicazione dell’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2002/58. Di conseguenza, un siffatto atto di commercializzazione diretta non è ammesso se il suo destinatario non vi ha preliminarmente acconsentito.

64.

Come indicato in precedenza, deve trattarsi, quantomeno, di un consenso libero, specifico e informato ( 19 ).

65.

A tal riguardo, spetta al giudice del rinvio verificare se, nel corso dell’iter di registrazione dell’indirizzo di e‑mail gratuito o in un altro momento, l’utente sia stato informato delle precise modalità di diffusione della pubblicità all’apertura della pagina Internet corrispondente all’account di tale e‑mail. In particolare, è necessario verificare che detto utente sia stato informato in modo chiaro e preciso del fatto che i banner pubblicitari sono inseriti non soltanto a lato e all’esterno dell’elenco di e‑mail private, ma anche all’interno di esso. Una siffatta informazione deve consentire a detto utente di individuare agevolmente le conseguenze di un eventuale consenso prestato e assicurare che questo sia espresso con piena cognizione di causa ( 20 ). Su tale base, occorre verificare che l’utente medesimo abbia prestato in maniera specifica il proprio consenso alla tipologia di pubblicità oggetto del procedimento principale, vale a dire che abbia acconsentito in maniera esplicita a ricevere messaggi pubblicitari nella posta in arrivo del suo account di posta elettronica ( 21 ).

66.

È vero che il modello economico di funzionamento di numerosi fornitori di servizi di e‑mail su Internet si basa spesso sulla pubblicità. In tale contesto, l’utente dei servizi accetta che il carattere gratuito del servizio sia in qualche modo compensato dall’inserimento di pubblicità. Tuttavia, tale circostanza non incide sul fatto che l’accettazione di una pubblicità siffatta, se inserita nella posta in arrivo dell’account di posta elettronica, deve, in forza dell’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2002/58, risultare dal consenso prestato dall’utente di un siffatto account.

67.

Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di rispondere al giudice del rinvio dichiarando che l’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2002/58 deve essere interpretato nel senso che l’inserimento nella posta in arrivo dell’utente di un servizio di e‑mail di messaggi pubblicitari con modalità simili a quelle delle e‑mail e un’identica collocazione costituisce un «uso (...) della posta elettronica a fini di commercializzazione diretta», ai sensi della suddetta disposizione, fermo restando che la determinazione casuale dei destinatari di detti messaggi non assume alcun rilievo e che non è necessario stabilire che l’onere a carico dell’utente va al di là della molestia. Spetta al giudice del rinvio verificare se detto utente abbia prestato un consenso quantomeno libero, specifico e informato, preliminarmente all’inserimento di tali messaggi pubblicitari nella posta in arrivo del suo account di posta elettronica.

B.   Sull’interpretazione dell’allegato I, punto 26, della direttiva 2005/29

68.

Con la quinta questione, il giudice del rinvio chiede, essenzialmente, se l’allegato I, punto 26, della direttiva 2005/29 debba essere interpretato nel senso che l’inserimento di messaggi pubblicitari nella posta in arrivo dell’utente di un servizio di e‑mail costituisce ripetute e sgradite sollecitazioni commerciali per posta elettronica.

69.

L’articolo 5 della direttiva 2005/29 stabilisce, al suo paragrafo 2, i criteri atti a determinare se una pratica commerciale abbia carattere sleale, e precisa, al suo paragrafo 4, che sono sleali, in particolare, le pratiche commerciali «ingannevoli» di cui agli articoli 6 e 7 di tale direttiva e le pratiche commerciali «aggressive» di cui agli articoli 8 e 9 della medesima direttiva. L’articolo 5, paragrafo 5, della direttiva 2005/29 indica, inoltre, che l’allegato I di quest’ultima «riporta l’elenco di quelle pratiche commerciali che sono considerate in ogni caso sleali». A tale riguardo, il considerando 17 della direttiva 2005/29 precisa che, al fine di garantire una maggiore certezza del diritto, solo le pratiche elencate nel suo allegato I sono considerate in ogni caso sleali, senza che debbano essere oggetto di una valutazione caso per caso ai sensi delle disposizioni degli articoli da 5 a 9 di tale direttiva ( 22 ). Poiché l’allegato I della direttiva 2005/29 costituisce un elenco completo ed esaustivo, la pratica commerciale in esame nel procedimento principale può essere qualificata come pratica commerciale aggressiva in ogni caso, ai sensi di tale direttiva, soltanto a condizione che essa corrisponda a una delle situazioni elencate ai punti da 24 a 31 dell’allegato in parola ( 23 ).

70.

Tra le «[p]ratiche commerciali aggressive» citate in detto allegato figura, al punto 26, il fatto di «[e]ffettuare ripetute e sgradite sollecitazioni commerciali per telefono, via fax, per posta elettronica o mediante altro mezzo di comunicazione a distanza, fuorché nelle circostanze e nella misura in cui siano giustificate dalla legge nazionale ai fini dell’esecuzione di un’obbligazione contrattuale».

71.

Come osservato in precedenza, un messaggio pubblicitario come quello oggetto del procedimento principale raggiunge direttamente e individualmente l’utente di un servizio di e‑mail, posto che compare nella posta in arrivo dell’account di detto utente inserito tra le sue e‑mail private. Dal punto di vista di detto utente, tale messaggio pubblicitario ha l’aspetto di una e‑mail a lui trasmessa individualmente. Come osserva la Commissione, il suddetto messaggio ha quindi un effetto simile a quello di una commercializzazione diretta individualizzata a prescindere dal fatto che l’inserzionista abbia o meno individuato quel destinatario specifico all’atto di predisporre tecnicamente il messaggio di cui trattasi e che detto messaggio sia o non sia trattato in maniera differente dalle e‑mail quanto allo spazio di memorizzazione e alle funzionalità.

72.

Ritengo pertanto che un messaggio pubblicitario come quello oggetto del procedimento principale, che presenta le caratteristiche di una misura di commercializzazione diretta ed è a tal fine diffuso, integri una «sollecitazione commerciale» degli utenti dei servizi di e‑mail, posto che è loro inviato direttamente e individualmente in uno spazio riservato alle loro e‑mail private.

73.

Per quanto attiene alle caratteristiche che le «sollecitazioni commerciali» devono presentare per rientrare nell’allegato I, punto 26, della direttiva 2005/29, vale a dire l’essere «ripetute e sgradite», ritengo che spetti al giudice del rinvio verificare se esse siano soddisfatte nell’ambito della controversia principale. Ai fini di tale verifica, preciso che l’inserimento di un messaggio pubblicitario come quello oggetto del procedimento principale dovrebbe, alla luce della definizione che l’articolo 8 della direttiva 2005/29 dà di una pratica commerciale aggressiva, essere sufficientemente frequente e regolare da poter essere qualificato come «ripetute sollecitazioni», condizione questa che non mi pare soddisfatta da un messaggio apparso solamente in tre casi. Per contro, a mio avviso, si tratterebbe di certo di sollecitazioni commerciali «sgradite» qualora si accerti che l’utente del servizio di e‑mail non ha preliminarmente prestato il suo consenso all’inserimento di messaggi pubblicitari nella posta in arrivo nel suo account di posta elettronica. Occorre altresì tener conto del fatto che, in data 20 dicembre 2016, detto utente ha inviato alla eprimo una diffida relativa a una pubblicità apparsa il 12 dicembre 2016 manifestando così espressamente a detta società la sua volontà di non ricevere tale tipologia di pubblicità.

74.

Alla luce di tutti gli elementi che precedono, occorre, a mio avviso, rispondere alla quinta questione dichiarando che la nozione di «ripetute e sgradite sollecitazioni commerciali per (...) posta elettronica», ai sensi dell’allegato I, punto 26, della direttiva 2005/29, deve essere interpretata nel senso che può ricomprendere condotte come quelle oggetto del procedimento principale, consistenti nell’inserire nella posta in arrivo dell’utente di un servizio di e‑mail messaggi pubblicitari con modalità simili a quelle delle e‑mail e con un’identica collocazione. Tuttavia, spetta al giudice del rinvio verificare, da una parte, se l’inserimento di detti messaggi pubblicitari abbia presentato una frequenza e una regolarità sufficienti per essere qualificato come «ripetute» sollecitazioni commerciali e, dall’altra, se l’inserimento dei suddetti messaggi possa essere qualificato come sollecitazioni commerciali «sgradite», tenendo conto dell’esistenza o meno di un consenso prestato dall’utente preliminarmente a tale inserimento e dell’opposizione espressa dal medesimo utente a tale tipologia di pubblicità.

V. Conclusione

75.

Alla luce delle suesposte considerazioni, suggerisco alla Corte di rispondere alle questioni pregiudiziali sollevate dal Bundesgerichtshof (Corte federale di giustizia, Germania) nei seguenti termini:

1)

L’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2002/58/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 luglio 2002, relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche (direttiva relativa alla vita privata e alle comunicazioni elettroniche), come modificata dalla direttiva 2009/136/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2009, deve essere interpretato nel senso che l’inserimento nella posta in arrivo dell’utente di un servizio di e‑mail di messaggi pubblicitari con modalità simili a quelle delle e‑mail e un’identica collocazione costituisce un «uso (...) della posta elettronica a fini di commercializzazione diretta», ai sensi della suddetta disposizione, fermo restando che la determinazione casuale dei destinatari di detti messaggi è irrilevante e che non è necessario stabilire se l’onere a carico dell’utente vada al di là della molestia. Spetta al giudice del rinvio verificare se detto utente abbia prestato un consenso quantomeno libero, specifico e informato, preliminarmente all’inserimento di tali messaggi pubblicitari nella posta in arrivo dell’account di posta elettronica.

2)

La nozione di «ripetute e sgradite sollecitazioni commerciali per (...) posta elettronica», ai sensi dell’allegato I, punto 26, della direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori nel mercato interno e che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio («direttiva sulle pratiche commerciali sleali»), deve essere interpretata nel senso che essa può ricomprendere condotte come quelle oggetto del procedimento principale, consistenti nell’inserire nella posta in arrivo dell’utente di un servizio di e‑mail messaggi pubblicitari con modalità simili a quelle delle e‑mail e un’identica collocazione. Tuttavia, spetta al giudice del rinvio verificare, da una parte, se l’inserimento di detti messaggi pubblicitari abbia presentato una frequenza e una regolarità sufficienti per essere qualificato come «ripetute» sollecitazioni commerciali e, dall’altra, se l’inserimento di detti messaggi possa essere qualificato come sollecitazioni commerciali «sgradite», tenendo conto dell’esistenza o meno di un consenso prestato dall’utente preliminarmente a tale inserimento e dell’opposizione espressa dal medesimo utente a tale tipologia di pubblicità.


( 1 ) Lingua originale: il francese.

( 2 ) GU 2002, L 201, pag. 37.

( 3 ) GU 2009, L 337, pag. 11.

( 4 ) GU 2005, L 149, pag. 22.

( 5 ) GU 1998, L 24, pag. 1.

( 6 ) GU 1995, L 281, pag. 31.

( 7 ) GU 2002, L 108, pag. 33.

( 8 ) Ai sensi dell’articolo 2, lettera h), della direttiva 95/46, con «consenso della persona interessata» si intende «qualsiasi manifestazione di volontà libera, specifica e informata con la quale la persona interessata accetta che i dati personali che la riguardano siano oggetto di un trattamento». Detta direttiva è stata abrogata, con effetto dal 25 maggio 2018, dal regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei dati) (GU 2016, L 119, pag. 1), il cui articolo 4, punto 11, definisce il «consenso» dell’interessato come «qualsiasi manifestazione di volontà libera, specifica, informata e inequivocabile dell’interessato, con la quale lo stesso manifesta il proprio assenso, mediante dichiarazione o azione positiva inequivocabile, che i dati personali che lo riguardano siano oggetto di trattamento». Ai sensi dell’articolo 94, paragrafo 2, del regolamento di cui trattasi, recante il titolo «Abrogazione della direttiva [95/46]», «[i] riferimenti alla direttiva abrogata si intendono fatti al presente regolamento».

( 9 ) GU 2000, L 178, pag. 1.

( 10 ) BGBl. 2004 I, pag. 1414; in prosieguo: l’«UWG».

( 11 ) Ai sensi di detto considerando, «[i]l momento esatto del completamento della trasmissione di una comunicazione, dopo il quale i dati relativi al traffico dovrebbero essere cancellati salvo ai fini di fatturazione, può dipendere dal tipo di servizio di comunicazione elettronica che è fornito. Per esempio (...) [p]er la posta elettronica la trasmissione è completata quando il destinatario prende conoscenza del messaggio, di solito dal server del suo fornitore di servizi».

( 12 ) V. considerando 40 della direttiva 2002/58.

( 13 ) V., a tal riguardo, sentenza del 1o ottobre 2019, Planet49 (C‑673/17, EU:C:2019:801, punti da 38 a 43), e le conclusioni dell’avvocato generale Szpunar nella causa Planet49 (C‑673/17, EU:C:2019:246, paragrafi da 44 a 49). V., altresì, sentenza dell’11 novembre 2020, Orange Romania (C‑61/19, EU:C:2020:901, punti da 28 a 32).

( 14 ) Come osservato dalla Corte nella sentenza dell’11 novembre 2020, Orange Romania (C‑61/19, EU:C:2020:901), «la formulazione dell’articolo 4, punto 11, [del regolamento 2016/679], che definisce il “consenso dell’interessato” ai fini [di detto regolamento], risulta ancora più rigorosa di quella dell’articolo 2, lettera h), della direttiva 95/46, in quanto richiede una manifestazione di volontà “libera, specifica, informata e inequivocabile” dell’interessato, consistente in una dichiarazione o in un’“azione positiva inequivocabile”, che sancisca il consenso dello stesso al trattamento di dati personali che lo riguardano. In tal modo risulta ormai espressamente previsto un consenso attivo» (punto 36 e giurisprudenza citata).

( 15 ) Come risulta dalla sentenza del 13 giugno 2019, Google (C‑193/18, EU:C:2019:498), a questo riguardo è indifferente che un servizio di posta elettronica su Internet non costituisca in quanto tale un «servizio di comunicazione elettronica» ai sensi dell’articolo 2, lettera c), della direttiva 2002/21, come modificata dalla direttiva 2009/140/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2009 (GU 2009, L 337, pag. 37), in quanto non consiste interamente o prevalentemente nella trasmissione di segnali su reti di comunicazione elettronica.

( 16 ) Il corsivo è mio.

( 17 ) Il corsivo è mio.

( 18 ) Il corsivo è mio.

( 19 ) V. paragrafo 50 delle presenti conclusioni.

( 20 ) V., in particolare, sentenza dell’11 novembre 2020, Orange Romania (C‑61/19, EU:C:2020:901, punto 40 e giurisprudenza citata).

( 21 ) Come osservato dalla Corte nella sua sentenza dell’11 novembre 2020, Orange Romania (C‑61/19, EU:C:2020:901), «l’articolo 2, lettera h), della direttiva 95/46 e l’articolo 4, punto 11, del regolamento 2016/679 richiedono una manifestazione di volontà “specifica”, nel senso che deve riferirsi precisamente al trattamento dei dati interessati e non può essere desunta da una manifestazione di volontà avente un oggetto distinto» (punto 38 e giurisprudenza citata).

( 22 ) V., in particolare, sentenza del 13 settembre 2018, Wind Tre e Vodafone Italia (C‑54/17 e C‑55/17, EU:C:2018:710, punto 40 e giurisprudenza citata).

( 23 ) V. sentenza del 12 giugno 2019, Orange Polska (C‑628/17, EU:C:2019:480, punto 25).

Top