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Dieses Dokument ist ein Auszug aus dem EUR-Lex-Portal.

Dokument 62019TJ0667

    Sentenza del Tribunale (Quarta Sezione ampliata) del 9 novembre 2022 (Estratti).
    Ferriere Nord SpA contro Commissione europea.
    Concorrenza – Intese – Mercato del tondo per cemento armato – Decisione che constata un’infrazione all’articolo 65 CA, dopo la scadenza del Trattato CECA, in base al regolamento (CE) n. 1/2003 – Fissazione dei prezzi – Limitazione e controllo della produzione e delle vendite – Decisione adottata in seguito all’annullamento di decisioni anteriori – Svolgimento di una nuova audizione in presenza delle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri – Diritti della difesa – Principio di buona amministrazione – Termine ragionevole – Obbligo di motivazione – Proporzionalità – Principio del ne bis in idem – Eccezione di illegittimità – Prova della partecipazione all’intesa – Circostanze aggravanti – Recidiva – Circostanze attenuanti – Parità di trattamento – Competenza estesa al merito.
    Causa T-667/19.

    Sammlung der Rechtsprechung – allgemein

    ECLI-Identifikator: ECLI:EU:T:2022:692

     SENTENZA DEL TRIBUNALE (Quarta Sezione ampliata)

    9 novembre 2022 ( *1 )

    «Concorrenza – Intese – Mercato del tondo per cemento armato – Decisione che constata un’infrazione all’articolo 65 CA, dopo la scadenza del Trattato CECA, in base al regolamento (CE) n. 1/2003 – Fissazione dei prezzi – Limitazione e controllo della produzione e delle vendite – Decisione adottata in seguito all’annullamento di decisioni anteriori – Svolgimento di una nuova audizione in presenza delle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri – Diritti della difesa – Principio di buona amministrazione – Termine ragionevole – Obbligo di motivazione – Proporzionalità – Principio del ne bis in idem – Eccezione di illegittimità – Prova della partecipazione all’intesa – Circostanze aggravanti – Recidiva – Circostanze attenuanti – Parità di trattamento – Competenza estesa al merito»

    Nella causa T‑667/19,

    Ferriere Nord SpA, con sede a Osoppo (Italia), rappresentata da W. Viscardini, G. Donà e B. Comparini, avvocati,

    ricorrente,

    contro

    Commissione europea, rappresentata da P. Rossi, G. Conte e C. Sjödin, in qualità di agenti, assistiti da M. Moretto, avvocato,

    convenuta,

    sostenuta da

    Consiglio dell’Unione europea, rappresentato da O. Segnana e E. Ambrosini, in qualità di agenti,

    interveniente,

    avente ad oggetto una domanda fondata sull’articolo 263 TFUE e diretta, in via principale, all’annullamento della decisione C(2019) 4969 final della Commissione, del 4 luglio 2019, relativa a una violazione dell’articolo 65 del Trattato CECA (caso AT.37956 – Tondo per cemento armato) e, in subordine, alla riduzione dell’importo dell’ammenda inflitta alla ricorrente,

    IL TRIBUNALE (Quarta Sezione ampliata),

    composto, in sede di deliberazione, da S. Gervasoni, presidente, L. Madise, P. Nihoul (relatore), R. Frendo e J. Martín y Pérez de Nanclares, giudici,

    cancelliere: J. Palacio González, amministratore principale

    vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 4 giugno 2021,

    ha pronunciato la seguente

    Sentenza ( 1 )

    I. Fatti

    1

    La ricorrente, Ferriere Nord SpA, è una società di diritto italiano operante nel settore del tondo per cemento armato dall’aprile 1992.

    A.   Prima decisione della Commissione (2002)

    2

    Dall’ottobre al dicembre 2000 la Commissione delle Comunità europee ha effettuato, conformemente all’articolo 47 CA, accertamenti presso imprese italiane produttrici di tondo per cemento armato, tra cui la ricorrente, e presso un’associazione di imprese, la Federazione Imprese Siderurgiche Italiane (in prosieguo: la «Federacciai»). Essa ha anche inviato loro richieste di informazioni ai sensi di tale disposizione.

    3

    Il 26 marzo 2002 la Commissione ha avviato un procedimento di applicazione dell’articolo 65 CA e formulato taluni addebiti ai sensi dell’articolo 36 CA (in prosieguo: la «comunicazione degli addebiti») notificati, in particolare, alla ricorrente. Quest’ultima ha risposto alla comunicazione degli addebiti il 31 maggio 2002.

    4

    Il 13 giugno 2002 si è svolta un’audizione delle parti nell’ambito del procedimento amministrativo.

    5

    Il 12 agosto 2002 la Commissione ha inviato agli stessi destinatari taluni addebiti supplementari (in prosieguo: la «comunicazione degli addebiti supplementari»), ai sensi dell’articolo 19, paragrafo 1, del regolamento n. 17 del Consiglio, del 6 febbraio 1962, primo regolamento d’applicazione degli articoli [81] e [82 CE] (GU 1962, 13, pag. 204). In tale comunicazione, la Commissione ha precisato la sua posizione in merito alla prosecuzione del procedimento dopo la scadenza del Trattato CECA, avvenuta il 23 luglio 2002. La ricorrente ha risposto alla comunicazione degli addebiti supplementari il 20 settembre 2002.

    6

    Il 30 settembre 2002 si è svolta una nuova audizione delle parti nel procedimento amministrativo, in presenza delle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri. Essa riguardava l’oggetto della comunicazione degli addebiti supplementari, ossia le conseguenze giuridiche della scadenza del Trattato CECA sulla prosecuzione del procedimento.

    7

    Al termine del procedimento amministrativo, la Commissione ha adottato la decisione C (2002) 5087 definitivo, del 17 dicembre 2002, relativa ad una procedura di applicazione dell’articolo 65 del trattato CECA (COMP/37.956 – Tondo per cemento armato) (in prosieguo: la «decisione del 2002»), indirizzata alla Federacciai e a otto imprese, tra cui la ricorrente. In detta decisione essa ha constatato che queste ultime, tra il dicembre 1989 e il luglio 2000, avevano attuato un’intesa unica, complessa e continuata nel mercato italiano del tondo per cemento armato in barre o in rotoli (in prosieguo: il «tondo per cemento armato») avente per oggetto o per effetto la fissazione dei prezzi e la limitazione o il controllo della produzione o delle vendite, in violazione dell’articolo 65, paragrafo 1, CA.

    8

    Per quanto riguarda la partecipazione della ricorrente all’infrazione, la Commissione ha rilevato che essa si era protratta dal 1o aprile 1993 al 4 luglio 2000. A detto titolo, quest’ultima le ha inflitto un’ammenda di importo pari a EUR 3,57 milioni. Tale importo includeva una riduzione del 20% dell’ammenda a favore della ricorrente, in applicazione del punto D, paragrafo 1, della comunicazione della Commissione sulla non imposizione o sulla riduzione delle ammende nei casi d’intesa tra imprese (GU 1996, C 207, pag. 4; in prosieguo: la «comunicazione sulla cooperazione»), che prevede la possibilità di far beneficiare di una riduzione dell’ammenda che avrebbero dovuto versare, le imprese che cooperano nel fornire alla Commissione, prima dell’invio di una comunicazione degli addebiti, informazioni, documenti o altri elementi probatori che contribuiscano a confermare la sussistenza dell’infrazione commessa.

    9

    Il 10 marzo 2003 la ricorrente ha proposto dinanzi al Tribunale un ricorso avverso la decisione del 2002. Il Tribunale ha annullato detta decisione nei confronti della ricorrente (sentenza del 25 ottobre 2007, Ferriere Nord/Commissione, T‑94/03, non pubblicata, EU:T:2007:320) e delle altre imprese destinatarie, con la motivazione che la base giuridica utilizzata, ossia l’articolo 65, paragrafi 4 e 5, CA, non era più in vigore al momento dell’adozione di tale decisione. Pertanto, la Commissione non era competente, in base alle menzionate disposizioni, a constatare e a sanzionare una violazione dell’articolo 65, paragrafo 1, CA dopo la scadenza del Trattato CECA. Il Tribunale non ha esaminato gli altri aspetti della decisione in parola.

    10

    La decisione del 2002 è divenuta definitiva nei confronti della Federacciai, che non ha proposto ricorso dinanzi al Tribunale.

    B.   Seconda decisione della Commissione (2009)

    11

    Con lettera del 30 giugno 2008, la Commissione ha informato la ricorrente e le altre imprese interessate della sua intenzione di adottare una nuova decisione, previa correzione della base giuridica utilizzata. Essa ha inoltre precisato che la decisione in parola sarebbe stata fondata sulle prove presentate nella comunicazione degli addebiti e nella comunicazione degli addebiti supplementari. La ricorrente, su invito della Commissione, ha presentato osservazioni scritte il 1o agosto 2008.

    12

    Con telefax del 24 luglio e del 25 settembre 2008, poi del 13 marzo, del 30 giugno e del 27 agosto 2009, la Commissione ha chiesto alla ricorrente informazioni relative all’azionariato e alla situazione patrimoniale dell’impresa. La ricorrente ha risposto a tali richieste di informazioni, rispettivamente, con e-mail del 1o agosto e del 1o ottobre 2008, poi del 18 marzo, del 1o luglio e dell’8 settembre 2009.

    13

    Il 30 settembre 2009 la Commissione ha adottato una nuova decisione C(2009) 7492 definitivo, relativa a una violazione dell’articolo 65 del trattato CECA (caso COMP/37.956 – Tondo per cemento armato, riadozione), indirizzata alle stesse imprese di cui alla decisione del 2002, ivi inclusa la ricorrente. Detta decisione è stata adottata sulla base delle norme procedurali del trattato CE e del regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio, del 16 dicembre 2002, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli [101] e [102 TFUE] (GU 2003, L 1, pag. 1). Essa si basava sugli elementi oggetto della comunicazione degli addebiti e della comunicazione degli addebiti supplementari e riproduceva, in sostanza, il contenuto e le conclusioni della decisione del 2002. In particolare, l’importo dell’ammenda inflitta alla ricorrente, pari a EUR 3,57 milioni, rimaneva invariato.

    14

    L’8 dicembre 2009, la Commissione ha adottato una decisione di modifica, che integrava, nel suo allegato, le tabelle indicanti le variazioni dei prezzi omesse dalla sua decisione del 30 settembre 2009 e rettificava i riferimenti numerati alle suddette tabelle in otto note a piè di pagina.

    15

    Il 19 febbraio 2010 la ricorrente ha proposto dinanzi al Tribunale un ricorso avverso la decisione della Commissione del 30 settembre 2009, come modificata (in prosieguo: la «decisione del 2009»). Il 9 dicembre 2014 il Tribunale ha ridotto l’importo dell’ammenda inflitta alla ricorrente a EUR 3,42144 milioni, per il motivo che quest’ultima non aveva partecipato, per tre anni, alla componente dell’intesa relativa alla limitazione o al controllo della produzione o delle vendite, e ha respinto il ricorso quanto al resto (sentenza del 9 dicembre 2014, Ferriere Nord/Commissione, T‑90/10, non pubblicata, EU:T:2014:1035). Il Tribunale ha annullato parzialmente la decisione del 2009 nei confronti di un altro dei suoi destinatari, ha ridotto l’importo dell’ammenda inflitta ad un altro dei suoi destinatari e ha respinto gli altri ricorsi proposti.

    16

    Il 20 febbraio 2015 la ricorrente ha proposto impugnazione avverso la sentenza del 9 dicembre 2014, Ferriere Nord/Commissione (T‑90/10, non pubblicata, EU:T:2014:1035). Con sentenza del 21 settembre 2017, Ferriere Nord/Commissione (C‑88/15 P, EU:C:2017:716), la Corte ha annullato detta sentenza del Tribunale nonché la decisione del 2009 nei confronti, in particolare, della ricorrente.

    17

    Nella sentenza del 21 settembre 2017, Ferriere Nord/Commissione (C‑88/15 P, EU:C:2017:716), la Corte ha dichiarato che, quando una decisione era stata adottata sulla base del regolamento n. 1/2003, il procedimento che si concludeva con tale decisione doveva essere conforme alle norme di procedura previste da suddetto regolamento nonché dal regolamento (CE) n. 773/2004 della Commissione, del 7 aprile 2004, relativo ai procedimenti svolti dalla Commissione a norma degli articoli [101] e [102 TFUE] (GU 2004, L 123, pag. 18), anche se detto procedimento era iniziato prima della loro entrata in vigore.

    18

    Orbene, la Corte ha constatato che, nel caso di specie, l’audizione del 13 giugno 2002, la sola riguardante il merito del procedimento, non poteva essere considerata conforme ai requisiti procedurali relativi all’adozione di una decisione in base al regolamento n. 1/2003, mancando la partecipazione delle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri.

    19

    La Corte ha concluso che il Tribunale aveva commesso un errore di diritto nel dichiarare che la Commissione non era tenuta, prima dell’adozione della decisione del 2009, ad organizzare una nuova audizione, per il motivo che le imprese avevano già avuto la possibilità di essere ascoltate durante le audizioni del 13 giugno e del 30 settembre 2002.

    20

    Nella sua sentenza del 21 settembre 2017, Ferriere Nord/Commissione (C‑88/15 P, EU:C:2017:716), la Corte ha ricordato l’importanza dello svolgimento, su richiesta delle parti interessate, di un’audizione alla quale siano invitate le autorità garanti della concorrenza degli Stati membri, costituendo la sua omissione una violazione delle forme sostanziali.

    21

    La Corte ha dichiarato che, poiché il diritto in parola, previsto espressamente dal regolamento n. 773/2004, non era stato rispettato, non era necessario che l’impresa il cui diritto era stato così violato dimostrasse che tale violazione era stata idonea ad influenzare, a suo svantaggio, lo svolgimento del procedimento e il contenuto della decisione controversa.

    22

    La Corte ha altresì annullato, per gli stessi motivi, altre sentenze del Tribunale pronunciate il 9 dicembre 2014 che statuivano sulla legittimità della decisione del 2009, nonché la decisione stessa, nei confronti di altre quattro imprese. La decisione del 2009 è invece divenuta definitiva per le imprese destinatarie che non hanno proposto impugnazione avverso le suddette sentenze.

    C.   Terza decisione della Commissione (2019)

    23

    Con lettera del 15 dicembre 2017, la Commissione ha informato la ricorrente della propria intenzione di riprendere il procedimento amministrativo e di organizzare, in tale contesto, una nuova audizione delle parti di detto procedimento in presenza delle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri.

    24

    Con lettera del 1o febbraio 2018, la ricorrente ha presentato osservazioni nelle quali ha contestato il potere della Commissione di riassumere il procedimento amministrativo e ha pertanto invitato quest’ultima a non procedere a tale riassunzione.

    25

    Il 23 aprile 2018 la Commissione ha tenuto una nuova audizione relativa al merito del procedimento, alla quale hanno partecipato, in presenza delle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri e del consigliere-auditore, la ricorrente nonché altre tre imprese destinatarie della decisione del 2009.

    26

    Con lettere del 19 novembre 2018 nonché del 17 gennaio e del 6 maggio 2019, la Commissione ha inviato alla ricorrente tre richieste di informazioni riguardanti il suo azionariato e la sua situazione patrimoniale. La ricorrente ha risposto a tali richieste di informazioni con lettere, rispettivamente, del 10 dicembre 2018 nonché del 31 gennaio e del 9 maggio 2019.

    27

    Il 21 giugno 2019 la ricorrente ha partecipato ad una riunione con i servizi della Commissione, nel corso della quale questi ultimi hanno dichiarato di aver deciso di proporre al collegio dei commissari l’adozione di una nuova decisione sanzionatoria, ma che, in considerazione del tempo oggettivamente lungo, essi avrebbero proposto l’applicazione di una circostanza attenuante straordinaria.

    28

    Il 4 luglio 2019 la Commissione ha adottato la decisione C(2019) 4969 final, relativa a una violazione dell’articolo 65 del Trattato CECA (AT.37956 – Tondo per cemento armato) (in prosieguo: la «decisione impugnata»), destinata alle cinque imprese nei confronti delle quali la decisione del 2009 era stata annullata, vale a dire, oltre alla ricorrente, l’Alfa Acciai SpA, la Feralpi Holding SpA (già Feralpi Siderurgica SpA e Federalpi Siderurgica SRL), la Partecipazioni Industriali SpA (già Riva Acciaio SpA e successivamente Riva Fire SpA; in prosieguo: la «Riva») nonché la Valsabbia Investimenti SpA e la Ferriera Valsabbia SpA.

    29

    Con la decisione impugnata, la Commissione ha constatato la stessa infrazione oggetto della decisione del 2009, al contempo riducendo del 50% le ammende inflitte alle imprese destinatarie a motivo della durata del procedimento. La ricorrente ha inoltre beneficiato di una riduzione ulteriore, nella misura del 6% dell’ammenda, per il fatto che essa non aveva partecipato alla componente dell’intesa relativa alla limitazione o al controllo della produzione o delle vendite per un determinato periodo. Con l’articolo 2 della decisione impugnata, la Commissione ha quindi inflitto alla ricorrente un’ammenda di importo pari a EUR 2,237 milioni.

    30

    In data 8 luglio 2019 è stata notificata alla ricorrente una copia incompleta della decisione impugnata, contenente solo le pagine dispari, circostanza da quest’ultima segnalata alla Commissione con lettera del 9 luglio 2019.

    31

    Il 18 luglio 2019 una versione completa della decisione impugnata è stata notificata alla ricorrente.

    II. Procedimento e conclusioni delle parti

    32

    Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 30 settembre 2019, la ricorrente ha proposto il presente ricorso.

    33

    Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 13 gennaio 2020, il Consiglio dell’Unione europea ha chiesto di intervenire a sostegno delle conclusioni della Commissione. Con decisione dell’11 febbraio 2020, il presidente della Quarta Sezione del Tribunale ha ammesso detto intervento. Il Consiglio ha depositato la memoria d’intervento e la ricorrente ha depositato le osservazioni relative a quest’ultima entro il termine impartito. La Commissione non ha presentato osservazioni relativamente a tale memoria d’intervento.

    34

    Su proposta della Quarta Sezione, il Tribunale ha deciso, in applicazione dell’articolo 28 del regolamento di procedura, di rimettere la causa dinanzi a un collegio giudicante ampliato.

    35

    Su proposta del giudice relatore, il Tribunale (Quarta Sezione ampliata) ha deciso di avviare la fase orale del procedimento e, nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento previste dall’articolo 89 del regolamento di procedura, ha posto alcuni quesiti scritti alle parti e ha chiesto loro di produrre taluni documenti. Le parti hanno risposto a tali quesiti e a tali richieste di produzione di documenti entro il termine impartito.

    36

    All’udienza del 4 giugno 2021, le parti hanno svolto le loro difese e risposto ai quesiti scritti e orali posti dal Tribunale. Nel corso dell’udienza, a seguito di un quesito del Tribunale, la ricorrente ha acconsentito a che i motivi sollevati nell’atto introduttivo del giudizio a sostegno del presente ricorso fossero rinumerati ai fini della redazione della sentenza, circostanza di cui si è preso atto nel verbale d’udienza.

    37

    La ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

    in via principale, annullare la decisione impugnata nella parte in cui la riguarda;

    in subordine, annullare parzialmente la decisione impugnata e ridurre l’importo dell’ammenda inflittale;

    condannare la Commissione e il Consiglio alle spese.

    38

    La Commissione chiede che il Tribunale voglia:

    respingere il ricorso;

    condannare la ricorrente alle spese.

    39

    Il Consiglio chiede che il Tribunale voglia:

    respingere il ricorso nella parte in cui si basa sull’eccezione di illegittimità dell’articolo 25 del regolamento n. 1/2003;

    condannare la ricorrente alle spese.

    III. In diritto

    40

    A sostegno del suo ricorso, la ricorrente deduce nove motivi, che possono essere suddivisi in due gruppi.

    41

    Nel primo gruppo, sei motivi sono sollevati in via principale e sono diretti ad ottenere l’annullamento della decisione impugnata:

    il primo verte sulla violazione dei diritti della difesa e delle norme procedurali in occasione dell’audizione del 23 aprile 2018;

    il secondo verte sull’illegittimo rifiuto della Commissione di verificare, prima di adottare la decisione impugnata, la compatibilità di tale decisione con il principio della durata ragionevole del procedimento;

    il terzo verte sulla violazione del principio della durata ragionevole del procedimento;

    il quarto verte su una violazione dell’obbligo di motivazione, su un eccesso di potere e sulla violazione del principio di proporzionalità;

    il quinto verte sulla violazione del principio del ne bis in idem;

    il sesto verte sull’illegittimità del regime di prescrizione previsto dall’articolo 25 del regolamento n. 1/2003.

    42

    Nel secondo gruppo, tre ultimi motivi sono sollevati in via subordinata e sono diretti ad ottenere un annullamento parziale della decisione impugnata e una corrispondente riduzione dell’importo dell’ammenda inflitta alla ricorrente:

    il settimo verte sulla violazione dell’onere della prova e del principio dell’in dubio pro reo per quanto riguarda i comportamenti addebitati alla ricorrente;

    l’ottavo verte sull’illegittimità della maggiorazione dell’importo dell’ammenda a titolo della recidiva;

    il nono verte sulla violazione del principio della parità di trattamento per quanto riguarda la presa in considerazione delle circostanze attenuanti e sul carattere tardivo dei motivi che giustificano la concessione di una riduzione dell’ammenda.

    A.   Sulle conclusioni dirette all’annullamento

    [omissis]

    2. Sul secondo motivo, vertente sul rifiuto illegittimo della Commissione di verificare, prima di adottare la decisione impugnata, la compatibilità di tale decisione con il principio del termine ragionevole del procedimento

    [omissis]

    a) Sulla prima censura, vertente su un errore di diritto

    199

    La ricorrente ritiene che la Commissione, rifiutandosi di valutare, prima di adottare la decisione impugnata, la compatibilità dell’adozione di tale decisione con il principio del termine ragionevole, abbia violato l’articolo 41 della Carta.

    200

    A tal riguardo, occorre rilevare che, come sottolineato dalla ricorrente, la Commissione è tenuta a rispettare il principio del termine ragionevole ripreso all’articolo 41 della Carta (v., in tal senso, sentenze del 15 ottobre 2002, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, C‑238/99 P, C‑244/99 P, C‑245/99 P, C‑247/99 P, da C‑250/99 P a C‑252/99 P e C‑254/99 P, EU:C:2002:582, punto 179, e del 5 giugno 2012, Imperial Chemical Industries/Commissione, T‑214/06, EU:T:2012:275, punto 285).

    201

    Pertanto, il decorso del termine deve essere preso in considerazione quando, avvalendosi del margine discrezionale conferitole dal diritto dell’Unione, la Commissione valuta se, nell’applicazione delle regole di concorrenza, occorra avviare azioni e adottare una decisione.

    202

    Dalla decisione impugnata risulta che, contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, la Commissione non ha violato l’obbligo di tener conto della scadenza del termine quando valuta se debbano essere avviate siffatte azioni e adottata una decisione sanzionatoria. La decisione impugnata mostra, infatti, che tale istituzione ha esaminato, prima di pronunciarsi, se, nel caso di specie, il procedimento potesse essere riaperto e se esso potesse sfociare nell’adozione di una siffatta decisione, imponendo un’ammenda.

    [omissis]

    213

    Pertanto, dalla decisione impugnata risulta che, contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, la Commissione ha verificato, prima di adottare tale decisione, se il principio del termine ragionevole fosse stato rispettato, analizzando la lunghezza del procedimento amministrativo, fasi amministrative e interruzioni dovute al sindacato giurisdizionale incluse, le cause che potevano spiegare la durata del procedimento e le conseguenze che potevano esserne tratte.

    214

    Tale conclusione è contestata dalla ricorrente, secondo la quale la Commissione, nella decisione impugnata, ha rifiutato di pronunciarsi sulla lunghezza irragionevole del procedimento con la motivazione che siffatta valutazione doveva essere riservata al giudice dell’Unione senza che essa potesse pronunciarsi al riguardo.

    215

    A tal riguardo, occorre rilevare che al giudice dell’Unione possono essere sottoposte questioni relative alla durata di procedimenti. Nel contenzioso in materia di responsabilità, esso deve condannare le istituzioni, gli organi o gli organismi dell’Unione laddove questi ultimi abbiano causato un danno violando il principio del termine ragionevole (sentenze del 26 novembre 2013, Kendrion/Commissione, C‑50/12 P, EU:C:2013:771, punto 94, e dell’11 luglio 2019, Italmobiliare e a./Commissione, T‑523/15, non pubblicata, EU:T:2019:499, punto 159). Nel contenzioso di annullamento, la durata di un procedimento può avere come conseguenza l’annullamento di una decisione impugnata se due condizioni sono soddisfatte in modo cumulativo, la prima delle quali è che siffatta durata appaia essere stata irragionevole e la seconda che il superamento del termine ragionevole abbia ostacolato i diritti della difesa (sentenze del 21 settembre 2006, Technische Unie/Commissione, C‑113/04 P, EU:C:2006:593, punti 4748; dell’8 maggio 2014, Bolloré/Commissione, C‑414/12 P, non pubblicata, EU:C:2014:301, punti 8485, e del 9 giugno 2016, PROAS/Commissione, C‑616/13 P, EU:C:2016:415, punti da 74 a 76).

    216

    Come segnalato dalla ricorrente, la competenza così attribuita al giudice dell’Unione non può dispensare la Commissione dalla valutazione che essa deve effettuare al momento di determinare il seguito da dare a una sentenza di annullamento in applicazione dell’articolo 266 TFUE.

    217

    Come è stato indicato, la Commissione deve prendere in considerazione, quando effettua una siffatta valutazione, il complesso degli elementi della causa, in particolare l’opportunità di adottare una nuova decisione, quella di infliggere una sanzione e quella, se del caso, di ridurre la sanzione prevista qualora risulti, segnatamente, che, senza costituire di per sé un inadempimento colpevole, la durata del procedimento, in quanto ha comportato fasi amministrative ma anche, eventualmente, interruzioni dovute al sindacato giurisdizionale, può aver influito sugli elementi di cui tenere conto per fissare l’importo dell’ammenda, e in particolare sul suo eventuale effetto deterrente quando essa viene irrogata molto tempo dopo i fatti che costituiscono l’infrazione.

    218

    Tale valutazione, vertente in particolare sulla durata complessiva del procedimento, fasi giurisdizionali incluse, è stata principalmente effettuata al punto 528 della decisione impugnata.

    219

    Ne consegue che, contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, la Commissione ha verificato, nella decisione impugnata, se la durata del procedimento potesse ostare alla ripresa del procedimento pur riconoscendo che una siffatta valutazione era posta sotto il controllo del giudice dell’Unione nel contenzioso in materia di legittimità e, se del caso, di responsabilità.

    [omissis]

    223

    La censura in esame va pertanto respinta.

    [omissis]

    3. Sul terzo motivo, vertente sulla violazione del principio del termine ragionevole del procedimento

    229

    La ricorrente deduce che la decisione impugnata deve essere annullata, giacché è stata adottata al termine di un procedimento che avrebbe oltrepassato il termine ragionevole. A suo avviso, la durata eccessiva del procedimento comporta la conseguenza che la Commissione non disponesse più del potere sanzionatorio e che detta decisione sia, pertanto, illegittima anche per eccesso di potere. In sostanza, la ricorrente deduce tre censure, riguardanti rispettivamente la durata delle fasi amministrative, la durata complessiva del procedimento e l’effetto della lunghezza del procedimento sui diritti della difesa, tutte contestate dalla Commissione.

    230

    Prima di esaminare tali censure, si deve ricordare che, secondo la Corte, la durata del procedimento può avere come conseguenza l’annullamento di una decisione impugnata se ricorrono cumulativamente due condizioni, la prima, che la durata del procedimento appaia irragionevole e, la seconda, che il superamento del termine ragionevole abbia impedito l’esercizio dei diritti della difesa (v. punto 215 supra).

    231

    Ne consegue che una decisione della Commissione non potrebbe essere annullata per il solo motivo del superamento del termine ragionevole qualora tale superamento non abbia pregiudicato i diritti della difesa della ricorrente. Pertanto, l’argomento della ricorrente secondo cui il mero superamento del termine ragionevole avrebbe dovuto indurre la Commissione a rinunciare ad adottare la decisione impugnata deve essere respinto a priori.

    [omissis]

    a) Sulla prima censura, relativa alla durata delle fasi amministrative

    233

    La ricorrente sostiene che, essendo scaglionata su oltre sei anni, la durata delle fasi amministrative si è rivelata contraria al principio del termine ragionevole. Essa critica, in particolare, la lentezza con cui la Commissione ha reagito agli annullamenti pronunciati in successione dal Tribunale e dalla Corte:

    tra la pronuncia della sentenza del 25 ottobre 2007, Ferriere Nord/Commissione (T‑94/03, non pubblicata, EU:T:2007:320), e l’adozione della decisione del 2009, vale a dire nel corso di oltre due anni, la Commissione si sarebbe limitata ad inviare la lettera del 30 giugno 2008 menzionata al punto 11 supra, annunciando la riapertura del procedimento, nonché talune richieste di informazioni e non vi sarebbe stata, durante tale periodo, né una nuova comunicazione degli addebiti né una nuova audizione, sebbene fosse facile per la Commissione correggere il vizio che aveva invalidato la decisione annullata, dato che detto vizio era stato chiaramente identificato dal Tribunale;

    analogamente, tra la sentenza del 21 settembre 2017, Ferriere Nord/Commissione (C‑88/15 P, EU:C:2017:716), e l’adozione della decisione impugnata, ossia per un anno e nove mesi, l’attività svolta dalla Commissione si sarebbe limitata all’invio della lettera del 15 dicembre 2017, che annunciava la riapertura del procedimento, a quello delle lettere che annunciavano e spiegavano l’audizione del 23 aprile 2018 nonché a talune limitate richieste di informazioni in merito alla situazione patrimoniale della ricorrente.

    234

    La ricorrente fa valere, inoltre, che le fasi amministrative del procedimento sono inficiate da numerosi errori gestionali nei quali è incorsa la Commissione, che avrebbero contribuito ad allungare ingiustificatamente i tempi del procedimento.

    235

    A tal riguardo, occorre ricordare che il diritto dell’Unione impone alle istituzioni di trattare entro un termine ragionevole i casi nell’ambito dei procedimenti amministrativi da esse condotti (v., in tal senso, sentenza del 5 giugno 2012, Imperial Chemical Industries/Commissione, T‑214/06, EU:T:2012:275, punto 284).

    236

    Infatti, l’obbligo di osservare un termine ragionevole nella conduzione dei procedimenti amministrativi costituisce un principio generale di diritto ripreso, in particolare, dall’articolo 41, paragrafo 1, della Carta (sentenze del 15 ottobre 2002, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, C‑238/99 P, C‑244/99 P, C‑245/99 P, C‑247/99 P, da C‑250/99 P a C‑252/99 P e C‑254/99 P, EU:C:2002:582, punto 167; dell’11 aprile 2006, Angeletti/Commissione, T‑394/03, EU:T:2006:111, punto 162, e del 7 giugno 2013, Italia/Commissione, T‑267/07, EU:T:2013:305, punto 61).

    237

    Nel caso di specie, dal fascicolo risulta che quattro fasi, durate complessivamente sei anni e un mese, si sono succedute dinanzi alla Commissione nel corso della trattazione del caso:

    una prima fase, durata un anno e cinque mesi, ha separato le prime misure di indagine dall’invio della comunicazione degli addebiti alla Federacciai e alle imprese interessate;

    le tre fasi successive sono quelle che hanno condotto, rispettivamente, all’adozione della decisione del 2002, di quella del 2009 e della decisione impugnata, ciascuna delle quali è durata, rispettivamente, nove mesi, due anni e un mese e un anno e nove mesi.

    238

    Secondo la giurisprudenza, il carattere ragionevole del termine deve essere valutato prendendo in considerazione le circostanze proprie di ciascun caso di specie e, segnatamente, la rilevanza della controversia per l’interessato, la complessità del caso nonché il comportamento della parte ricorrente e quello delle autorità competenti (v., in tal senso, sentenza del 15 ottobre 2002, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, C‑238/99 P, C‑244/99 P, C‑245/99 P, C‑247/99 P, da C‑250/99 P a C‑252/99 P e C‑254/99 P, EU:C:2002:582, punti 187188).

    239

    In primo luogo, per quanto riguarda la rilevanza della controversia per l’interessato, occorre ricordare che, in caso di controversia riguardante un’infrazione al diritto della concorrenza, il precetto fondamentale della certezza del diritto, sulla quale gli operatori economici devono poter contare, nonché l’obiettivo di garantire che la concorrenza non sia falsata sul mercato interno presentano un rilevante interesse non solo per la parte ricorrente e per i suoi concorrenti, bensì anche per i terzi, in ragione del vasto numero di persone coinvolte e degli interessi economici in gioco (v. sentenza del 1o febbraio 2017, Aalberts Industries/Unione europea, T‑725/14, EU:T:2017:47, punto 40 e giurisprudenza ivi citata).

    240

    Nel caso di specie, la Commissione ha constatato nella decisione impugnata che la ricorrente aveva violato l’articolo 65, paragrafo 1, CA, partecipando, dal 1o aprile 1993 al 4 luglio 2000, a un accordo continuato o a pratiche concertate riguardanti il tondo per cemento armato aventi per oggetto o per effetto la fissazione dei prezzi e la limitazione o il controllo della produzione o delle vendite nel mercato interno.

    241

    Sulla base di tale constatazione, la Commissione ha inflitto alla ricorrente un’ammenda di EUR 2,237 milioni.

    242

    Tenendo conto di tali elementi, è lecito ritenere che la rilevanza del caso fosse notevole per la ricorrente.

    243

    In secondo luogo, per quanto concerne la complessità del caso, si deve rilevare che gli errori in cui è incorsa la Commissione riguardano le conseguenze che occorreva trarre, per il procedimento, dalla scadenza del Trattato CECA.

    244

    Orbene, occorre ricordare che le questioni connesse alle norme applicabili ai fatti in discussione, sia per quanto riguarda il merito sia per quanto riguarda il procedimento, a causa della scadenza del Trattato CECA, presentavano, come indicato dalla Commissione, una certa complessità.

    245

    Inoltre, l’intesa ha coperto un periodo relativamente lungo (10 anni e 7 mesi), ha coinvolto un numero significativo di soggetti (8 imprese, comprendenti in totale 11 società, e un’associazione di categoria) e ha comportato un volume imponente di documenti forniti o ottenuti nel corso delle ispezioni (circa 20000 pagine).

    246

    Alla luce di tali elementi, il caso deve essere considerato complesso.

    247

    In terzo luogo, per quanto riguarda il comportamento delle parti, va constatato che la Commissione ha svolto un’attività continua a causa dei numerosi solleciti che le pervenivano dalle parti del procedimento amministrativo.

    248

    Così, la Commissione ha dovuto esaminare, nel contesto dell’adozione della decisione impugnata, numerose lettere, mentre al contempo doveva preparare l’audizione del 23 aprile 2018 e verificare una proposta di transazione presentata da alcune parti del procedimento amministrativo il 4 dicembre 2018.

    249

    La ricorrente sostiene che la Commissione è incorsa in due errori gestionali che avrebbero allungato in modo ingiustificato la durata del procedimento:

    un errore nella preparazione dei CD-ROM allegati alla comunicazione degli addebiti;

    l’errata notificazione della decisione del 2009 nonché della decisione impugnata.

    250

    Sebbene la ricorrente non specifichi il lasso di tempo supplementare occorso a causa dei due menzionati errori in cui sarebbe incorsa la Commissione, dai punti 13 e 14 supra emerge che il secondo errore ha in ogni caso comportato un prolungamento del procedimento di due mesi e una settimana soltanto.

    251

    Pertanto, la ricorrente non ha fornito elementi idonei a consentire di concludere che gli errori denunciati abbiano avuto un impatto rilevante sulla lunghezza del procedimento.

    252

    Da tali elementi considerati nel loro complesso risulta che la durata delle fasi amministrative del procedimento non appare irragionevole alla luce delle circostanze proprie del caso di specie e, in particolare, della sua complessità, in un contesto in cui nessun periodo di inerzia ingiustificata può essere addebitato alla Commissione nel corso delle tappe che hanno punteggiato le suddette fasi amministrative.

    253

    La censura in esame va pertanto respinta.

    b) Sulla seconda censura, relativa alla durata complessiva del procedimento

    254

    La ricorrente si duole della durata complessiva che è stata necessaria per il trattamento del fascicolo dai primi atti istruttori fino all’adozione della decisione impugnata. A suo avviso, il fatto che, al momento della suddetta adozione, tale durata fosse pari a quasi 19 anni e riguardasse condotte alcune delle quali si erano verificate oltre 30 anni prima rende siffatta durata contraria al principio del termine ragionevole.

    255

    A tal riguardo, occorre rilevare che l’obbligo di rispettare un termine ragionevole si applica a ciascuna fase che s’inscriva in un procedimento nonché al complesso da quest’ultimo formato (v., in tal senso, sentenza del 15 ottobre 2002, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, C‑238/99 P, C‑244/99 P, C‑245/99 P, C‑247/99 P, da C‑250/99 P a C‑252/99 P e C‑254/99 P, EU:C:2002:582, punti 230231, e conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa Solvay/Commissione, C‑109/10 P, EU:C:2011:256, paragrafo 239).

    256

    Nel caso di specie, si deve constatare che il periodo nel corso del quale si è svolto il complesso del procedimento amministrativo è stato eccezionalmente lungo, ciò che, del resto, ha indotto la Commissione a ridurre l’ammenda infine irrogata alla ricorrente (v. punto 212 supra).

    257

    Tuttavia, la lunghezza complessiva del procedimento amministrativo può essere spiegata, nella fattispecie, con la complessità del fascicolo, fermo restando che, per taluni aspetti, essa è dovuta ad elementi relativi al caso vero e proprio, mentre, per altri, è legata al contesto in cui è da inquadrare il fascicolo, vale a dire la scadenza del trattato CECA (v. punti da 243 a 246 supra).

    258

    È vero che la Commissione è incorsa in taluni errori nella valutazione delle conseguenze da trarre dalla scadenza del trattato CECA e che detti errori hanno dato luogo ad annullamenti pronunciati dal Tribunale e successivamente dalla Corte.

    259

    Tuttavia, tali errori nonché l’impatto che essi hanno potuto avere sulla durata del procedimento amministrativo devono essere valutati tenendo conto della complessità delle questioni sollevate.

    260

    Peraltro, la durata complessiva del procedimento amministrativo è in parte imputabile alle interruzioni dovute al sindacato giurisdizionale ed è quindi legata al numero di ricorsi proposti dinanzi al giudice dell’Unione sui diversi aspetti del caso.

    261

    A detto riguardo occorre notare che la possibilità che talune imprese, in una situazione come quella della ricorrente, vedano i propri casi esaminati più di una volta dalle autorità amministrative ed eventualmente dai giudici dell’Unione è insita nel sistema realizzato previsto dagli autori dei trattati per il controllo delle condotte e delle operazioni in materia di concorrenza.

    262

    Quindi, l’obbligo per le autorità amministrative di svolgere svariate formalità e adempimenti prima di poter adottare una decisione finale nell’ambito della concorrenza, e la possibilità che suddetti formalità o adempimenti possano dare origine ad un ricorso, non possono essere utilizzati da un’impresa, come argomenti al termine dell’iter procedimentale, per far valere che si sia superato il termine ragionevole (v., in tal senso, conclusioni dell’avvocato generale Wahl nelle cause Feralpi e a./Commissione, C‑85/15 P, C‑86/15 P e C‑87/15 P, C‑88/15 P e C‑89/15 P, EU:C:2016:940, paragrafo 70).

    263

    In tali circostanze, non si può considerare che, valutata nel suo complesso, la durata del procedimento amministrativo sia stata eccessiva, e che, pertanto, essa abbia potuto ostare all’adozione, da parte della Commissione, di una nuova decisione irrogativa di un’ammenda.

    264

    La censura in esame va pertanto respinta.

    c) Sulla terza censura, concernente l’effetto della durata del procedimento sui diritti della difesa

    265

    La ricorrente ritiene che la durata del procedimento amministrativo abbia leso i suoi diritti della difesa. A suo avviso, a causa di tale durata, l’audizione del 23 aprile 2018 non ha consentito alle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri di sentire tutti i soggetti le cui opinioni potessero influire sulla sua capacità di difendersi. Inoltre, se l’audizione avesse avuto luogo conformemente alla normativa applicabile prima dell’adozione della decisione del 2002 o anche della decisione del 2009, il Tribunale non avrebbe statuito sul merito dei comportamenti delle condotte contestate e, di conseguenza, i rappresentanti degli Stati membri sarebbero stati liberi da condizionamenti o pregiudizi.

    266

    A tal riguardo, occorre ricordare che, come indicato al punto 230 supra, affinché il giudice pronunci l’annullamento della decisione adottata dalla Commissione a motivo di una violazione del principio del termine ragionevole, devono essere soddisfatte due condizioni. Poiché la prima (durata irragionevole del procedimento) non è soddisfatta, non è necessario, in linea di principio, verificare, in risposta alla terza censura, se la lunghezza del procedimento amministrativo abbia ostacolato l’esercizio dei diritti della difesa. Occorre tuttavia procedere a tale esame, ad abundantiam, per fornire una piena risposta alle preoccupazioni formulate dalla ricorrente.

    267

    Da un lato, occorre constatare che, nel corso del procedimento considerato nel suo complesso, la ricorrente ha avuto, almeno sette volte, l’occasione di esprimere il suo punto di vista e di esporre i suoi argomenti (v. punti da 3 a 6, 11, 24 e 25 supra).

    268

    In particolare, la ricorrente ha potuto esprimere il suo punto di vista, durante la terza fase amministrativa, nelle sue osservazioni del 1o febbraio 2018 e durante l’audizione del 23 aprile 2018 (v. punti 24 e 25 supra).

    269

    D’altro lato, l’esame del primo motivo ha consentito di dimostrare che i diritti della difesa della ricorrente non erano stati pregiudicati né dal fatto che non tutti i soggetti che avevano partecipato alle precedenti audizioni erano presenti all’audizione del 23 aprile 2018, né dal fatto che i rappresentanti delle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri sapessero, al momento di esprimere il loro parere all’interno del comitato consultivo, che due decisioni, una delle quali era stata confermata dal Tribunale, erano state adottate precedentemente nei confronti delle imprese interessate, né, ancora, dal fatto che la Commissione si fosse già espressa due volte sui fatti in causa e che, su detto punto, la sua posizione era stata confermata dal Tribunale (v. punti da 59 a 162 supra).

    270

    Da tali elementi risulta che, anche supponendo che la durata del procedimento amministrativo possa essere considerata contraria al principio del termine ragionevole, le condizioni da soddisfare per ottenere un annullamento della decisione impugnata non sarebbero soddisfatte, dal momento che la ricorrente non ha potuto dimostrare alcuna lesione dei diritti della difesa derivanti da detta durata.

    271

    Ciò considerato, si deve ritenere che non sia soddisfatto alcuno dei requisiti necessari affinché il Tribunale possa pronunciare l’annullamento della decisione impugnata a titolo di violazione del principio del termine ragionevole.

    272

    La censura dev’essere quindi respinta e, con essa, il terzo motivo considerato nel suo complesso.

    4. Sul quarto motivo, vertente sulla violazione dell’obbligo di motivazione, su un eccesso di potere e sulla violazione del principio di proporzionalità

    [omissis]

    a) Sulla prima censura, relativa alla mancanza di spiegazioni sufficienti sulle ragioni che hanno indotto la Commissione ad adottare una nuova decisione irrogativa di un’ammenda

    274

    La ricorrente sostiene che la Commissione non avrebbe sufficientemente spiegato le ragioni che hanno potuto indurla a riprendere il procedimento, esercitando così in modo arbitrario il potere discrezionale di cui essa dispone in tale materia. Essa fa altresì valere, nel contesto di cui trattasi, che la Commissione ha ritenuto che l’adozione della decisione impugnata conservasse un importante effetto deterrente, senza spiegare perché la dissuasione avrebbe dovuto operare per quel momento e per l’avvenire e senza chiarire, nella decisione impugnata, le ragioni per le quali l’effetto deterrente fosse, come affermato dalla Commissione stessa, «particolarmente auspicabile in un mercato quale il tondo per cemento armato in Italia».

    275

    A tal riguardo, occorre rilevare che la Commissione è investita dall’articolo 105, paragrafo 1, TFUE del compito di vigilare sull’applicazione degli articoli 101 e 102 TFUE.

    276

    A tale titolo, la Commissione è chiamata a definire e ad attuare, secondo la giurisprudenza, la politica dell’Unione in materia di concorrenza (v., in tal senso, sentenza del 16 ottobre 2013, Vivendi/Commissione, T‑432/10, non pubblicata, EU:T:2013:538, punto 22 e giurisprudenza ivi citata).

    277

    In tale contesto, la Commissione dispone di un ampio potere discrezionale attestato dal regolamento n. 1/2003, secondo il quale, qualora constati l’esistenza di un’infrazione, essa «può», da un lato, obbligare le imprese interessate a porvi fine (articolo 7, paragrafo 1) e, dall’altro, infliggere ammende alle imprese che contravvengono (articolo 23, paragrafo 2).

    278

    In materia di concorrenza, alla Commissione è stato quindi affidato, indipendentemente dalla via seguita per portare il fascicolo a sua conoscenza, ovverosia, segnatamente, nell’ambito di una denuncia oppure di propria iniziativa, il potere di decidere se determinati comportamenti dovevano essere oggetto di un’istruttoria, di una decisione e di un’ammenda, in funzione delle priorità da essa definite nell’ambito della sua politica di concorrenza.

    279

    Tuttavia, l’esistenza di tale potere non esime la Commissione dal suo obbligo di motivazione (v., in tal senso, sentenza del 12 marzo 2020, LL-Carpenter/Commissione, T‑531/18, non pubblicata, EU:T:2020:91, punto 90 e giurisprudenza ivi citata).

    280

    In un contesto in cui, come nel caso di specie, da un lato, una decisione adottata dalla Commissione è stata annullata due volte e in cui, dall’altro, il tempo trascorso tra i primi atti istruttori e l’adozione della decisione è stato eccezionalmente lungo, spetta a detta istituzione, in base al principio di buona amministrazione, tener conto della durata del procedimento e delle conseguenze che una simile durata ha potuto avere sulla sua decisione di perseguire le imprese interessate, e tale valutazione deve allora risultare nella motivazione della decisione.

    281

    Orbene, è proprio quanto ha fatto la Commissione indicando dettagliatamente, da un lato, ai punti da 526 a 529 della decisione impugnata e, dall’altro, ai punti da 536 a 573 di tale decisione, le ragioni per le quali essa ha ritenuto che occorresse adottare una nuova decisione che accertasse l’esistenza dell’infrazione e infliggesse un’ammenda alle imprese interessate.

    282

    Così, la Commissione ha indicato, anzitutto, che la durata del procedimento non comportava, a suo avviso, alcuna violazione del principio del termine ragionevole (punti 528 e 555 della decisione impugnata) e che i diritti della difesa delle imprese non erano stati violati, dato che queste ultime, da un lato, avevano potuto presentare le loro osservazioni in merito alla riapertura del procedimento e, dall’altro, avevano parimenti esposto i loro argomenti nel corso dell’audizione del 23 aprile 2018. Sotto tale profilo, essa ha precisato che la ricorrente non aveva fornito alcun elemento concreto a supporto della sua affermazione secondo cui essa non sarebbe stata in grado di esercitare pienamente i suoi diritti della difesa (punti 556 e 557 della decisione impugnata).

    283

    La Commissione, tuttavia, ha ammesso di essere incorsa in taluni errori procedurali e ha riconosciuto che tali errori avevano potuto contribuire ad allungare la durata del procedimento.

    284

    È in tale momento che essa ha proceduto, nella decisione impugnata, a un bilanciamento dell’interesse generale all’effettiva applicazione delle norme in materia di concorrenza e dello scrupolo di mitigare le possibili conseguenze degli errori procedurali commessi (punto 559 della decisione impugnata).

    285

    A tale titolo, la Commissione ha rilevato che le imprese di cui trattasi avevano partecipato, per undici anni, a un’infrazione considerata come una restrizione fra le più serie in materia di concorrenza. Essa ha indicato che, in un simile contesto, il fatto di non riadottare una decisione che constata la partecipazione delle imprese a detta infrazione sarebbe contraria all’interesse generale di garantire ad un’effettiva applicazione del diritto della concorrenza dell’Unione e andrebbe al di là dell’interesse a mitigare le conseguenze di un’eventuale violazione dei diritti fondamentali subita dalle imprese destinatarie (punti 560 e 561 della decisione impugnata).

    286

    All’esito di tale bilanciamento, la Commissione è giunta alla conclusione che, dal momento che era stata commessa un’infrazione, è soltanto adottando la decisione impugnata che essa avrebbe potuto assicurarsi che gli autori dell’infrazione non restassero impuniti e fossero effettivamente dissuasi dall’adottare un comportamento simile in futuro (punti da 563 a 569 della decisione impugnata).

    287

    Al termine dell’analisi, la Commissione ha precisato che, al fine di mitigare le conseguenze negative che potrebbero essere state causate dalla lunghezza del procedimento, che si era resa necessaria per ovviare ai vizi procedurali intervenuti nel corso dell’indagine e non attribuibili alle imprese di cui trattasi, essa aveva deciso di ridurre del 50% l’importo delle ammende inflitte (punti da 570 a 573 della decisione impugnata).

    288

    Consta quindi che, nella decisione impugnata, la Commissione ha fornito una motivazione approfondita che fa apparire, in forma chiara e non equivoca, il ragionamento da essa seguito per giustificare l’adozione di una nuova decisione nonostante i due annullamenti in precedenza intervenuti.

    [omissis]

    296

    Sulla base di siffatti elementi si può concludere che la motivazione fornita dalla Commissione nella decisione impugnata fa apparire in forma chiara e non equivoca il ragionamento da essa seguito per giustificare l’adozione di una nuova decisione che infligge un’ammenda e che, di conseguenza, la censura in esame deve essere respinta.

    [omissis]

    e) Sulla quinta censura, relativa alla violazione del principio di proporzionalità

    316

    La ricorrente adduce che la Commissione ha violato il principio di proporzionalità, dato che perseguire e sanzionare i comportamenti di cui è causa non può dirsi proporzionato, tenuto conto del tempo trascorso e del presunto pregiudizio alla concorrenza ormai sbiadito (rectius, inesistente).

    317

    A tal riguardo, si deve ricordare che il principio di proporzionalità, che fa parte dei principi generali del diritto dell’Unione, richiede che gli atti delle istituzioni dell’Unione non eccedano i limiti di quanto è idoneo e necessario alla realizzazione dell’obiettivo perseguito, fermo restando che, qualora sia possibile una scelta fra più misure appropriate, si deve ricorrere a quella meno restrittiva e che gli inconvenienti causati non devono essere sproporzionati rispetto agli scopi perseguiti (v., in tal senso, sentenze del 13 novembre 1990, Fedesa e a., C‑331/88, EU:C:1990:391, punto 13, e del 14 luglio 2005, Paesi Bassi/Commissione, C‑180/00, EU:C:2005:451, punto 103).

    318

    Nel caso di specie, per pronunciarsi sulla violazione del principio di proporzionalità da parte della Commissione, occorre tener conto delle seguenti circostanze.

    319

    In primo luogo, quando un atto viene annullato, come nel caso della decisione del 2009, l’istituzione da cui esso promana può riprendere il procedimento amministrativo a partire dalla fase in cui si è verificata l’illegittimità (v. punti 53 e 54 supra).

    320

    In secondo luogo, la durata di un procedimento, di per sé, non inficia di illegittimità una constatazione di infrazione effettuata dalla Commissione o l’importo dell’ammenda inflitta. Una simile messa in discussione può intervenire solo se, da un lato, la durata del procedimento viola il principio del termine ragionevole e se, dall’altro, il superamento del termine ragionevole ostacola l’esercizio dei diritti della difesa (v. punto 230 supra). Orbene, nel caso di specie, dall’analisi del primo e del terzo motivo risulta che la ricorrente non può avvalersi di siffatte violazioni.

    321

    In terzo luogo, i seguenti motivi, invocati dalla Commissione per giustificare l’adozione della decisione impugnata malgrado il tempo trascorso, appaiono pertinenti e fondati:

    garantire un’applicazione effettiva del diritto della concorrenza ed evitare un’impunità delle imprese di cui trattasi;

    dissuadere le imprese coinvolte dal commettere una nuova infrazione al diritto della concorrenza;

    agevolare le azioni di risarcimento proposte dalle eventuali vittime dell’intesa.

    322

    In quarto luogo, la Commissione ha provveduto a mitigare le conseguenze della lunghezza del procedimento, per le imprese interessate, concedendo loro una riduzione del 50% dell’importo dell’ammenda.

    323

    La censura dev’essere quindi respinta e, con essa, il quarto motivo considerato nel suo complesso.

    5. Sul quinto motivo, vertente sulla violazione del principio del ne bis in idem

    324

    La ricorrente ritiene che il principio del ne bis in idem ostasse all’adozione della decisione impugnata.

    325

    La Commissione contesta l’argomentazione della ricorrente.

    326

    In via preliminare, occorre rilevare che la ricorrente ammette di non essere stata oggetto di un cumulo di sanzioni, ma soltanto di un cumulo di procedimenti, sostenendo che un siffatto cumulo è anch’esso vietato dal principio del ne bis in idem.

    327

    A tal riguardo, occorre sottolineare che il principio del ne bis in idem è espresso:

    da un lato, all’articolo 50 della Carta, ai sensi del quale «[n]essuno può essere perseguito o condannato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato nell’Unione a seguito di una sentenza penale definitiva conformemente alla legge»;

    dall’altro, all’articolo 4, paragrafo 1, del Protocollo n. 7 della CEDU.

    328

    Quale corollario del principio dell’autorità di cosa giudicata, il principio del ne bis in idem ha lo scopo di garantire la certezza del diritto e l’equità assicurando che, allorché è stata perseguita e, se del caso, condannata, la persona interessata abbia la certezza che non sarà nuovamente perseguita per la medesima infrazione (sentenza del 3 aprile 2019, Powszechny Zakład Ubezpieczeń na Życie, C‑617/17, EU:C:2019:283, punto 33).

    329

    In materia di concorrenza, in particolare, il principio ne bis in idem vieta, in linea di principio, che un’impresa venga condannata o perseguita un’altra volta per un comportamento anticoncorrenziale per il quale sia stata sanzionata o dichiarata non responsabile in forza di una precedente decisione non impugnabile (v., in tal senso, sentenza del 15 ottobre 2002, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, C‑238/99 P, C‑244/99 P, C‑245/99 P, C‑247/99 P, da C‑250/99 P a C‑252/99 P e C‑254/99 P, EU:C:2002:582, punto 59, e del 1o luglio 2009, ThyssenKrupp Stainless/Commissione, T‑24/07, EU:T:2009:236, punto 178).

    330

    L’applicazione del principio del ne bis in idem presuppone, segnatamente, che vi sia stata una pronuncia sui fatti materiali costituenti l’infrazione o che la legittimità del giudizio formulato intorno a quest’ultima sia stata verificata (sentenza del 15 ottobre 2002, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, C‑238/99 P, C‑244/99 P, C‑245/99 P, C‑247/99 P, da C‑250/99 P a C‑252/99 P e C‑254/99 P, EU:C:2002:582, punto 60).

    331

    Se tale requisito è soddisfatto, il principio del ne bis in idem vieta una nuova valutazione nel merito dei fatti materiali costituenti l’infrazione qualora siffatta nuova valutazione abbia come conseguenza:

    o l’irrogazione di una seconda sanzione, che si cumulerebbe con la prima, nel caso in cui venisse nuovamente ritenuta sussistere una responsabilità;

    o l’irrogazione di una prima sanzione, nell’ipotesi in cui la responsabilità, esclusa dalla prima pronuncia, sia reputata sussistere dalla seconda (sentenza del 15 ottobre 2002, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, C‑238/99 P, C‑244/99 P, C‑245/99 P, C‑247/99 P, da C‑250/99 P a C‑252/99 P e C‑254/99 P, EU:C:2002:582, punto 61).

    332

    Per contro, il principio del ne bis in idem non osta ad una riattivazione delle procedure sanzionatorie aventi ad oggetto lo stesso comportamento anticoncorrenziale nel caso in cui una prima decisione sia stata annullata per motivi di forma senza che sia intervenuta una pronuncia sul merito dei fatti contestati, poiché in tal caso la decisione di annullamento non ha valore di «assoluzione» nel senso attribuito a detto termine nelle materie riguardanti la repressione degli illeciti (sentenze del 15 ottobre 2002, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, C‑238/99 P, C‑244/99 P, C‑245/99 P, C‑247/99 P, da C‑250/99 P a C‑252/99 P e C‑254/99 P, EU:C:2002:582, punto 62, e del 1o luglio 2009, ThyssenKrupp Stainless/Commissione, T‑24/07, EU:T:2009:236, punto 190).

    333

    In un’ipotesi siffatta, le sanzioni irrogate dalla nuova decisione non si cumulano, infatti, con quelle inflitte dalla decisione annullata, bensì vi si sostituiscono (sentenza del 15 ottobre 2002, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, C‑238/99 P, C‑244/99 P, C‑245/99 P, C‑247/99 P, da C‑250/99 P a C‑252/99 P e C‑254/99 P, EU:C:2002:582, punto 62 e del 1o luglio 2009, ThyssenKrupp Stainless/Commissione, T‑24/07, EU:T:2009:236, punto 190).

    334

    Nel caso di specie, si deve constatare che, ad oggi, nessuna decisione ha statuito in via definitiva sul merito della causa per quanto riguarda la partecipazione della ricorrente alle infrazioni che le sono addebitate. La decisione del 2002 è stata annullata dal Tribunale a causa della base giuridica utilizzata dalla Commissione e la decisione del 2009 è stata annullata per violazione di forme sostanziali, senza che, in nessuno di questi due casi, sia stata adottata una posizione definitiva sui motivi di merito dedotti dalla ricorrente, relativi alla sua partecipazione ai fatti che le sono contestati. La sentenza del 9 dicembre 2014, Ferriere Nord/Commissione (T‑90/10, non pubblicata EU:T:2014:1035) è l’unica sentenza che si è pronunciata su tali motivi, ma è stata integralmente annullata dalla Corte. Pertanto, non si può affermare che, adottando la decisione impugnata, la Commissione abbia sanzionato o perseguito due volte la ricorrente per i medesimi fatti (v., in tal senso, sentenza del 15 ottobre 2002, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, da C‑238/99 P, C‑244/99 P, C‑245/99 P, C‑247/99 P, da C‑250/99 P a C‑252/99 P e C‑254/99 P, EU:C:2002:582, punto 63).

    335

    Quanto alla sanzione inflitta alla ricorrente nella decisione impugnata, essa si sostituisce a quella irrogata nella decisione del 2009, la quale, a sua volta, aveva sostituito la sanzione inflitta nella decisione del 2002. Le somme versate dalla ricorrente a titolo dell’ammenda inflitta nella decisione del 2002, e successivamente in quella del 2009, le sono state rimborsate a seguito degli annullamenti delle due decisioni suddette.

    336

    Ciò posto, non si può considerare che è stato violato il principio del ne bis in idem.

    [omissis]

    342

    Risulta da quanto precede che il principio del ne bis in idem non ostava all’adozione della decisione impugnata. Pertanto, il quinto motivo deve essere respinto.

    6. Sul sesto motivo, vertente sull’illegittimità del regime di prescrizione previsto dall’articolo 25 del regolamento n. 1/2003

    343

    La ricorrente chiede la disapplicazione del termine di prescrizione di cui all’articolo 25 del regolamento n. 1/2003 per il motivo che tale termine viola, a suo avviso, da un lato, il principio del termine ragionevole e, dall’altro, il principio di proporzionalità.

    344

    Il motivo è contestato quanto alla ricevibilità e al merito.

    345

    Per quanto riguarda la ricevibilità, la Commissione, sostenuta dal Consiglio, fa valere che l’eccezione di illegittimità non è sufficientemente suffragata ed è presentata in modo confuso.

    346

    A tal riguardo, occorre rilevare che, nelle sue memorie, la ricorrente ha illustrato le censure da essa fatte valere nei confronti dell’articolo 25 del regolamento n. 1/2003, indicando, da un lato, il loro fondamento giuridico, ossia una violazione del principio del termine ragionevole e del principio di proporzionalità e, dall’altro, l’argomentazione sviluppata a sostegno di detta posizione, secondo la quale, in sostanza, l’articolo 25 del regolamento n. 1/2003 è inficiato da illegittimità in quanto consente alla Commissione di adottare una decisione sanzionatoria ignorando detti principi.

    347

    Peraltro, dai loro scritti difensivi risulta che la Commissione e il Consiglio sono stati in grado di comprendere le contestazioni formulate dalla ricorrente.

    348

    Il motivo in esame è dunque ricevibile.

    349

    Per quanto riguardo il merito, la ricorrente avanza due argomenti.

    350

    In primo luogo, essa sostiene che il legislatore dell’Unione ha violato il principio del termine ragionevole non avendo incluso, nell’articolo 25 del regolamento n. 1/2003, l’idea che, dopo la scadenza del termine ragionevole, alla Commissione sarebbe preclusa, indipendentemente dal termine di cinque o dieci anni ed indipendentemente dalle sospensioni che possono intervenire in caso di procedimento giurisdizionale, la possibilità di adottare una decisione che constata un’infrazione e, in ogni caso, di infliggere un’ammenda.

    351

    A tal riguardo, si deve ricordare che, in materia di concorrenza, il termine di prescrizione è disciplinato dall’articolo 25 del regolamento n. 1/2003 nel modo seguente:

    detto termine ha una durata di cinque anni [paragrafo 1, lettera b), letto in combinato disposto con l’articolo 23, paragrafo 2, lettera a), del precitato regolamento];

    esso può essere interrotto da qualsiasi atto della Commissione destinato all’accertamento o alla repressione dell’infrazione (paragrafo 3); in tal caso, l’interruzione azzera retroattivamente il termine che ha già cominciato a decorrere e segna il dies a quo di un nuovo termine; in caso di interruzione, la prescrizione opera, al più tardi, allo spirare di un termine di dieci anni, se la Commissione non ha irrogato un’ammenda o una penalità di mora entro tale termine (paragrafo 5);

    il termine rimane sospeso durante i procedimenti di ricorso promossi dinanzi alla Corte contro la decisione della Commissione, e in tal caso esso è prorogato del periodo durante il quale si è verificata la sospensione (paragrafo 6).

    352

    Per quanto riguarda il principio del termine ragionevole, quest’ultimo non viene fissato o determinato in anticipo in modo astratto per tutte le procedure potenzialmente interessate, bensì deve essere valutato alla luce delle circostanze proprie di ciascun caso di specie, in particolare, la rilevanza della controversia, la complessità del caso in esame, il comportamento della ricorrente e quello delle autorità competenti (v., in tal senso, sentenza del 15 ottobre 2002, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, C‑238/99 P, C‑244/99 P, C‑245/99 P, C‑247/99 P, da C‑250/99 P a C‑252/99 P e C‑254/99 P, EU:C:2002:582, punti 187188).

    353

    La ricorrente lamenta che il legislatore dell’Unione non ha previsto, nell’articolo 25 del regolamento n. 1/2003, un termine massimo al di là del quale sia escluso ogni intervento della Commissione anche qualora il termine di prescrizione sia stato oggetto di sospensioni.

    354

    A tal riguardo, occorre rilevare che, nella sua formulazione, l’articolo 25 del regolamento n. 1/2003 risulta da un contemperamento operato dal legislatore dell’Unione, nell’esercizio delle competenze ad esso conferite, tra due obiettivi che possono richiedere misure che vanno in senso contrario, vale a dire, da un lato, la necessità di garantire la certezza del diritto evitando che possano essere indefinitamente messe in discussione situazioni consolidate con il decorso del tempo, nonché, dall’altro, l’esigenza di garantire il rispetto del diritto, definendo e sanzionando le infrazioni al diritto dell’Unione (v., in tal senso, sentenza del 6 ottobre 2005, Sumitomo Chemical e Sumika Fine Chemicals/Commissione, T‑22/02 e T‑23/02, EU:T:2005:349, punto 82).

    355

    Orbene, la ricorrente non ha dimostrato, nel caso di specie, che il legislatore dell’Unione, nel contemperamento da esso effettuato tra tali obiettivi distinti, abbia oltrepassato il margine che deve essergli riconosciuto in detto ambito. Infatti, il potere di procedere a verifiche e di infliggere sanzioni è circoscritto da limiti rigorosi. È ben vero che il termine di prescrizione è sospeso in caso di ricorso proposto dinanzi al giudice dell’Unione. Tuttavia, siffatta possibilità richiede, ai fini della sua attuazione, un atto cui incombe alle imprese stesse procedere. Al legislatore dell’Unione non può essere addebitata la circostanza che, in seguito alla proposizione di diversi ricorsi, ciascuno dei quali presentati dalle imprese interessate, la decisione che interviene al termine della procedura sia adottata dopo un certo termine.

    356

    Il contemperamento così realizzato dal legislatore dell’Unione appare a maggior ragione adeguato, posto che i singoli i quali si lamentano di un procedimento irragionevolmente lungo possono contestare tale durata perseguendo l’annullamento della decisione adottata in esito a tale procedimento, essendo un simile annullamento riservato alle situazioni in cui il superamento del termine ragionevole abbia ostacolato l’esercizio dei diritti della difesa, oppure, qualora il superamento del termine ragionevole non dia luogo a una violazione dei diritti della difesa, proponendo un ricorso per risarcimento danni dinanzi al giudice dell’Unione (v. punto 215 supra).

    357

    L’argomento deve pertanto essere respinto.

    358

    In secondo luogo, la ricorrente sostiene che l’articolo 25 del regolamento n. 1/2003 viola il principio di proporzionalità, poiché ammetterebbe che talune imprese siano lasciate nell’incertezza per un periodo eccessivo, consentendo alla Commissione di perseguirle alla scadenza di un termine, a seconda del caso, sospeso o interrotto.

    359

    A tal riguardo, si deve ricordare che, come indicato al punto 317 supra, il principio di proporzionalità richiede che gli atti delle istituzioni dell’Unione non superino i limiti di quanto è idoneo e necessario per il conseguimento dell’obiettivo perseguito, fermo restando che, qualora sia possibile una scelta fra più misure appropriate, si deve ricorrere a quella meno restrittiva e che gli inconvenienti causati non devono essere sproporzionati rispetto agli scopi perseguiti (v., in tal senso, sentenze del 13 novembre 1990, Fedesa e a., C‑331/88, EU:C:1990:391, punto 13, e del 14 luglio 2005, Paesi Bassi/Commissione, C‑180/00, EU:C:2005:451, punto 103).

    360

    Orbene, come indicato al punto 351 supra, il termine di prescrizione è di cinque anni.

    361

    Esso è interrotto da qualsiasi atto della Commissione destinato all’accertamento o alla repressione dell’infrazione, e in tal caso la prescrizione opera al più tardi entro dieci anni. Stabilendo un siffatto termine, all’azione della Commissione viene quindi posto un limite rigoroso.

    362

    Peraltro, come è stato altresì indicato al punto 351 supra, il termine di prescrizione è prorogato nella misura del periodo durante il quale la prescrizione è sospesa nei procedimenti di ricorso avverso la decisione della Commissione. Secondo la giurisprudenza, siffatta sospensione evita che la repressione delle infrazioni sia ostacolata dall’avvio di procedimenti sul cui svolgimento la Commissione non ha il controllo assoluto (v., in tal senso, sentenza del 15 ottobre 2002, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, C‑238/99 P, C‑244/99 P, C‑245/99 P, C‑247/99 P, da C‑250/99 P a C‑252/99 P e C‑254/99 P, EU:C:2002:582, punto 144).

    363

    In tal senso, l’articolo 25, paragrafo 6, del regolamento n. 1/2003 riguarda ipotesi in cui l’inerzia della Commissione non è la conseguenza di una mancanza di diligenza per sua parte (v., in tal senso, sentenza del 15 ottobre 2002, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, da C‑238/99 P, C‑244/99 P, C‑245/99 P, C‑247/99 P, da C‑250/99 P a C‑252/99 P e C‑254/99 P, EU:C:2002:582, punto 144).

    364

    Per determinare se l’articolo 25 del regolamento n. 1/2003 sia inficiato dall’illegittimità addebitata dalla ricorrente, occorre rilevare che la prescrizione, impedendo che siano rimesse in discussione all’infinito situazioni consolidate dal decorso del tempo, tende a rafforzare la certezza del diritto, ma può anche permettere che si consolidino situazioni che erano, per lo meno in origine, contrarie alla legge (sentenza del 6 ottobre 2005, Sumitomo Chemical e Sumika Fine Chemicals/Commissione, T‑22/02 e T‑23/02, EU:T:2005:349, punto 82).

    365

    Per completare l’analisi, occorre ricordare che i singoli i quali si lamentano di un procedimento irragionevolmente lungo possono contestare siffatta durata chiedendo l’annullamento della decisione adottata in esito a tale procedimento, essendo un simile annullamento riservato alle situazioni in cui il superamento del termine ragionevole abbia ostacolato l’esercizio dei diritti della difesa, oppure, qualora il superamento del termine ragionevole non dia luogo a una violazione dei diritti della difesa, proponendo un ricorso per risarcimento danni dinanzi al giudice dell’Unione.

    366

    In siffatto contesto, non si può considerare che, nel procedere alla valutazione degli obiettivi da raggiungere nell’ambito del regime di prescrizione, il legislatore dell’Unione ha istituito un sistema comportante misure che non si rivelano necessarie o magari utili, oppure misure che potrebbero essere sostituite da altre misure altrettanto efficaci per proteggere le imprese potenzialmente interessate, senza ostacolare, in una misura che non può essere accettata, l’efficacia dell’accertamento o della repressione.

    367

    Pertanto, occorre respingere il sesto motivo e, di conseguenza, il primo capo delle conclusioni, diretto all’annullamento della decisione impugnata.

    B.   Sulle conclusioni, presentate in via subordinata, relative alla riduzione dell’ammenda inflitta

    [omissis]

    2. Sull’ottavo motivo, vertente sull’illegittimità della maggiorazione dell’importo dell’ammenda a titolo della recidiva

    [omissis]

    a) Sulla prima censura, relativa alla violazione dei diritti della difesa nella presa in considerazione della recidiva

    535

    La ricorrente sostiene che è illegittima la maggiorazione del 50% dell’importo di base dell’ammenda, che la Commissione ha applicato a titolo della recidiva, poiché non è stata messa in condizione di presentare le proprie difese su tale punto durante il procedimento amministrativo, in violazione dei suoi diritti della difesa.

    536

    Più precisamente, la Commissione non avrebbe indicato la sua intenzione di applicare siffatta circostanza aggravante nella comunicazione degli addebiti, la quale conteneva soltanto:

    un’affermazione generica, valida per tutte le imprese, secondo cui la Commissione avrebbe tenuto conto di ogni circostanza aggravante;

    un richiamo alla precedente decisione sanzionatoria, ossia la decisione 89/515/CEE della Commissione, del 2 agosto 1989, relativa ad un procedimento a norma dell’articolo 85 del trattato CEE (IV/31.553 – Rete metallica elettrosaldata) (GU 1989, L 260, pag. 1), senza alcun collegamento con un’eventuale considerazione della recidiva, poiché essa compariva in una nota a piè pagina, al fine di definire i prodotti interessati da tale causa.

    537

    La ricorrente fa valere che in seguito non è stata fornita alcuna indicazione supplementare, mentre la Commissione ha avuto a disposizione varie occasioni per informare su tale punto le imprese interessate, fra cui essa, in particolare nella comunicazione degli addebiti supplementari, nella lettera del 15 dicembre 2017 che annunciava la ripresa del procedimento, nelle richieste di informazioni che sono seguite, in occasione dell’audizione del 23 aprile 2018 o ancora durante la riunione del 21 giugno 2019, menzionata al punto 27 supra, tenutasi con i servizi della Commissione.

    538

    A tal riguardo, occorre rilevare che, quando la Commissione intende imputare una violazione del diritto della concorrenza a una persona giuridica e prevede di applicare nei suoi confronti, in siffatto contesto, la recidiva quale circostanza aggravante, la comunicazione degli addebiti da essa indirizzata a tale persona deve contenere tutti gli elementi che consentano a quest’ultima di garantire la sua difesa, in particolare quelli idonei a giustificare che le condizioni della recidiva sono soddisfatte nel caso di specie (v., in tal senso, sentenza del 5 marzo 2015, Commissione e a./Versalis e a., C‑93/13 P e C‑123/13 P, EU:C:2015:150, punto 96).

    539

    In tal senso, la Commissione si è impegnata, al punto 84 della sua comunicazione sulle migliori pratiche relative ai procedimenti previsti dagli articoli 101 e 102 TFUE (GU 2011, C 308, pag. 6), a menzionare nella comunicazione degli addebiti, «in maniera sufficientemente precisa», i fatti che possono costituire circostanze aggravanti.

    540

    Orbene, la recidiva deve essere considerata, secondo una giurisprudenza costante, come una circostanza che può rivestire siffatto carattere aggravante (v., in tal senso, sentenza dell’11 marzo 1999, Thyssen Stahl/Commissione, T‑141/94, EU:T:1999:48, punto 618, e dell’11 marzo 1999, Unimétal/Commissione, T‑145/94, EU:T:1999:49, punto 585).

    541

    L’obbligo descritto ai punti da 538 a 540 supra discende dall’obbligo di rispettare i diritti della difesa, obbligo che costituisce un principio generale secondo cui, in qualsiasi procedimento con cui possono essere inflitte sanzioni, in particolare ammende o penalità di mora, le imprese e le associazioni di imprese interessate devono essere messe in grado, fin dal procedimento amministrativo, di far conoscere in modo efficace il loro punto di vista sulla realtà e sulla pertinenza dei fatti, addebiti e circostanze allegate nei loro confronti (v., in tal senso, sentenza del 20 marzo 2002, LR AF 1998/Commissione, T‑23/99, EU:T:2002:75, punto 189 e giurisprudenza ivi citata).

    542

    Quando verifica se il principio dei diritti della difesa sia stato rispettato, il giudice dell’Unione deve prendere in considerazione tutte le circostanze della causa al fine di garantire che l’intenzione della Commissione di accertare un’infrazione o una determinata circostanza fosse sufficientemente prevedibile, agli occhi dell’impresa interessata, perché si possa ritenere che quest’ultima fosse stata messa in grado di formulare le sue osservazioni sul punto considerato.

    543

    Nel caso di specie, la comunicazione degli addebiti, recante la data del 26 marzo 2002, indicava, nella nota a piè di pagina n. 2, che la ricorrente era stata precedentemente oggetto di una decisione che constatava che essa aveva commesso una grave infrazione alle regole di concorrenza e che le infliggeva a tale titolo una determinata sanzione.

    544

    Inoltre, la comunicazione degli addebiti segnalava che la Commissione intendeva infliggere un’ammenda alle imprese destinatarie, tra cui la ricorrente, tenendo conto di diversi elementi.

    545

    Così, la comunicazione degli addebiti indicava, al punto 314, che, per determinare l’importo delle ammende, la Commissione avrebbe considerato le circostanze del caso di specie e, in particolare, la gravità e la durata dell’infrazione, ricordando che un accordo o una pratica concordata come un cartello dei prezzi e di ripartizione dei mercati costituiva un’infrazione molto grave al diritto dell’Unione.

    546

    Al punto 314 della comunicazione degli addebiti, la Commissione annunciava parimenti la sua intenzione di far sì che l’importo dell’ammenda che sarebbe stata inflitta a ciascuna impresa rispecchiasse le circostanze aggravanti o attenuanti che potevano essere applicate nei suoi confronti, e di fissare l’importo a un livello tale da garantire un carattere sufficientemente dissuasivo.

    547

    Successivamente, la Commissione ha comunicato alla ricorrente, nella sua lettera del 15 dicembre 2017 con cui annunciava la ripresa del procedimento amministrativo, che, nella decisione che avrebbe adottato al termine del procedimento, essa si sarebbe basata sugli addebiti risultanti dalla comunicazione degli addebiti, che aveva dato luogo all’adozione delle decisioni del 2002 e del 2009.

    548

    Orbene, la recidiva era stata presa in considerazione, in tali decisioni, per il calcolo dell’importo dell’ammenda della ricorrente, a titolo di circostanze aggravanti.

    549

    Per quanto necessario, occorre aggiungere che, nella lettera del 15 dicembre 2017, la Commissione ha insistito sul fatto che, nel corso dell’audizione, le imprese interessate avrebbero potuto discutere dettagliatamente e senza limitazioni di tutti gli aspetti relativi al caso di specie, così aprendo la via alla possibilità per la ricorrente, in quanto impresa interessata, di indicare, se del caso, in cosa essa ritenesse che la recidiva non potesse esserle ascritta a titolo di circostanze aggravanti.

    550

    In siffatto contesto, occorre rilevare, al termine di un esame vertente sul complesso delle circostanze che hanno caratterizzato il fascicolo, che, nella presente causa, erano soddisfatte le condizioni, da un lato, affinché fosse sufficientemente prevedibile l’intenzione della Commissione di prendere in considerazione, a titolo di recidiva, la decisione sanzionatoria precedentemente inviata alla ricorrente e, dall’altro, affinché quest’ultima avesse la possibilità di presentare le sue osservazioni su tale punto.

    551

    La censura in esame va pertanto respinta.

    b) Sulla seconda censura, relativa al periodo intercorso tra le due infrazioni prese in considerazione

    552

    La ricorrente sostiene che il lasso di tempo utile per valutare la recidiva, ossia il tempo trascorso tra la constatazione della prima infrazione e il momento in cui l’impresa interessata ha iniziato il nuovo comportamento illecito, era, nel caso di specie, di nove anni, giacché la sua partecipazione all’intesa risaliva al 1998, e non al 1993, come affermato dalla Commissione nella decisione impugnata. Orbene, siffatto periodo sarebbe troppo lungo per applicare la recidiva.

    553

    A tal riguardo, occorre ricordare che, in una prospettiva di dissuasione, la recidiva costituisce una circostanza che giustifica, secondo la giurisprudenza, un notevole aumento dell’importo di base dell’ammenda, poiché infatti prova che la sanzione precedentemente imposta non è stata abbastanza dissuasiva (v. sentenza dell’8 luglio 2008, BPB/Commissione, T‑53/03, EU:T:2008:254, punto 398 e giurisprudenza ivi citata).

    554

    Per quanto riguarda il lasso di tempo trascorso tra le due infrazioni, né il regolamento n. 1/2003 né gli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2 del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5 [CA] (GU 1998, C 9, pag. 3; in prosieguo: gli «orientamenti del 1998») prevedono un termine massimo per prendere in considerazione la recidiva ed è stato dichiarato che l’assenza di un siffatto termine non viola, di per sé, il principio della certezza del diritto (sentenza del 17 giugno 2010, Lafarge/Commissione, C‑413/08 P, EU:C:2010:346, punti 6667).

    555

    Tuttavia, sebbene nessun termine di prescrizione osti alla constatazione di uno stato di recidiva, ciò non toglie che, per rispettare il principio di proporzionalità, la Commissione non può prendere in considerazione una o più decisioni precedenti che sanzionano un’impresa senza limiti di tempo (sentenza del 17 giugno 2010, Lafarge/Commissione, C‑413/08 P, EU:C:2010:346, punto 70).

    556

    Spetta quindi al giudice dell’Unione valutare se, alla luce dei fatti di cui è causa, la maggiorazione dell’importo dell’ammenda a titolo di recidiva sia giustificata, in particolare in quanto rivelatrice di una propensione dell’impresa interessata a discostarsi dalle regole di concorrenza, alla luce, segnatamente, del breve periodo di tempo trascorso tra l’infrazione di cui trattasi e la precedente violazione delle regole di concorrenza (v., in tal senso, sentenza del 17 giugno 2010, Lafarge/Commissione, C‑413/08 P, EU:C:2010:346, punto 70).

    557

    Nel caso di specie, tenuto conto del rigetto del settimo motivo, nel quale la ricorrente ha contestato le prove raccolte dalla Commissione per dimostrare che essa aveva partecipato all’infrazione a partire dal 1o aprile 1993, il termine tra le due infrazioni era di tre anni e otto mesi, e non di nove anni, come essa asserisce.

    558

    A tal riguardo, occorre rilevare che, secondo la giurisprudenza, un lasso di tempo di poco meno di dieci anni che separa due infrazioni può essere considerato relativamente breve e testimonia così la propensione di un’impresa a non trarre conseguenze appropriate da una constatazione nei suoi confronti di un’infrazione alle regole di concorrenza (sentenza dell’8 febbraio 2007, Groupe Danone/Commissione, C‑3/06 P, EU:C:2007:88, punto 40).

    559

    In tale contesto, la Commissione ha potuto giustamente ritenere che una maggiorazione dell’importo di base dell’ammenda a titolo di recidiva fosse giustificata nel caso di specie, tenuto conto della propensione della ricorrente a violare le regole di concorrenza, di cui dà atto lo scarso tempo trascorso tra le due infrazioni di cui trattasi, vale a dire tre anni e otto mesi.

    [omissis]

    564

    La censura in esame va pertanto respinta.

    c) Sulla terza censura, relativa al periodo trascorso tra le infrazioni prese in considerazione e l’adozione della decisione impugnata

    565

    In via preliminare, occorre rilevare che, nell’esame della precedente censura, il Tribunale è stato chiamato a valutare il termine intercorso tra le due infrazioni prese in considerazione dalla Commissione a titolo di recidiva.

    566

    Con la terza censura, la ricorrente invita il giudice dell’Unione a valutare, alla luce del principio di proporzionalità, un altro termine, ossia quello intercorso fra, da un lato, le infrazioni constatate per prendere in considerazione la recidiva e, dall’altro, l’adozione, da parte della Commissione, della decisione impugnata, nella quale essa ha maggiorato l’importo di base dell’ammenda a titolo di recidiva.

    567

    Secondo la ricorrente, poiché tale termine è eccessivamente lungo, la recidiva non sarebbe idonea a produrre un effetto dissuasivo e ad adempiere, quindi, la sua finalità, cosicché la Commissione violerebbe il principio di proporzionalità adottando, nella fattispecie di cui trattasi, la recidiva.

    568

    A sostegno della sua posizione, la ricorrente sottolinea le circostanze peculiari del caso di specie, in cui, a causa dell’annullamento delle decisioni del 2002 e del 2009, la Commissione, a titolo di recidiva, ha tenuto conto di comportamenti iniziati nel 1985, ossia 34 anni prima, e constatati nel 1989, ossia 30 anni prima, per la prima infrazione, al fine di sanzionare un comportamento cessato nel 2000, ossia 19 anni prima dell’adozione della decisione impugnata.

    569

    Al riguardo, si deve ricordare che, secondo il principio di proporzionalità, gli atti delle istituzioni non superano i limiti di quanto è idoneo e necessario alla realizzazione dell’obiettivo perseguito, fermo restando che, qualora sia possibile una scelta fra più misure appropriate, si deve ricorrere a quella meno restrittiva e che gli inconvenienti causati non devono essere sproporzionati rispetto agli scopi perseguiti (v., in tal senso, sentenze del 13 novembre 1990, Fedesa e a., C‑331/88, EU:C:1990:391, punto 13, e del 14 luglio 2005, Paesi Bassi/Commissione, C‑180/00, EU:C:2005:451, punto 103).

    570

    Per quanto riguarda la recidiva, la giurisprudenza esige che la Commissione, al fine di determinare l’importo dell’ammenda, assicuri il carattere dissuasivo della sua azione. Orbene, un mezzo per garantire tale effetto dissuasivo è quello di applicare la recidiva maggiorando l’importo dell’ammenda. La presa in considerazione della recidiva è diretta quindi a indurre le imprese che hanno dimostrato una propensione a violare le regole della concorrenza a mutare il loro comportamento (v., in tal senso, sentenza del 13 luglio 2011, Shell Petroleum e a./Commissione, T‑38/07, EU:T:2011:355, punto 98 e giurisprudenza ivi citata).

    571

    Secondo la giurisprudenza menzionata al punto 553 supra, la recidiva costituisce una circostanza che giustifica un notevole aumento dell’importo di base dell’ammenda, poiché prova che la sanzione precedentemente imposta non è stata abbastanza dissuasiva.

    572

    Come indicato al punto 555 supra, la Commissione non è vincolata da un eventuale termine di prescrizione per constatare la recidiva. Essa non può, tuttavia, prendere in considerazione una o più decisioni precedenti che sanzionano un’impresa senza limiti di tempo.

    573

    La constatazione e la valutazione delle caratteristiche specifiche di una recidiva rientrano nel margine di discrezionalità della Commissione e quest’ultima può, in ogni caso, nel fissare una percentuale di maggiorazione a titolo di recidiva, prendere in considerazione gli indizi diretti a confermare la propensione di un’impresa a discostarsi dalle regole di concorrenza (v., in tal senso, sentenza del 13 luglio 2011, Shell Petroleum e a./Commissione, T‑38/07, EU:T:2011:355, punto 98).

    574

    Pertanto, non si può addebitare alla Commissione di aver preso in considerazione, nel caso di specie, la recidiva alla luce del lasso di tempo intercorso tra la o le prime infrazioni constatate e quella sanzionata nella decisione impugnata. Infatti, è detto elemento che testimonia la propensione dell’impresa a discostarsi dalle regole di concorrenza e che giustifica, pertanto, la volontà di orientare il comportamento di tale impresa verso il rispetto delle regole di concorrenza (v., in tal senso, sentenze del 25 ottobre 2005, Groupe Danone/Commissione, T‑38/02, EU:T:2005:367, punto 354, e del 13 dicembre 2012, Versalis e Eni/Commissione, T‑103/08, non pubblicata, EU:T:2012:686, punto 266).

    575

    Orbene, come indicato al punto 557 supra, il termine utile era breve, poiché era di tre anni e otto mesi. Dato che la propensione della ricorrente a violare le regole del diritto della concorrenza era dimostrata, non si può validamente addebitare alla Commissione di aver dotato la decisione impugnata di un effetto dissuasivo, e ciò malgrado il fatto che l’indagine sia durata un certo tempo, a causa delle alee giudiziarie che essa ha conosciuto.

    576

    La ricorrente sostiene tuttavia che, essendo le infrazioni risalenti nel tempo, la decisione impugnata non poteva più avere alcun effetto dissuasivo quando è stata adottata. Essa sostiene inoltre di essersi astenuta da qualsiasi infrazione a partire dall’anno 2000.

    577

    A tal riguardo, occorre ricordare che, come indicato ai punti da 298 a 300 supra, sebbene non si possa escludere che la minaccia di sanzioni che ha gravato sulla ricorrente durante tutta l’indagine e l’irrogazione di una sanzione in due occasioni abbiano potuto avere un certo effetto dissuasivo, ciò non toglie che sia la sanzione, vale a dire il fatto di pagare l’ammenda inflitta dalla Commissione, come maggiorata a titolo di recidiva, a dissuadere effettivamente un’impresa dal rendersi nuovamente colpevole di una violazione delle regole di concorrenza.

    578

    In siffatte circostanze, la Commissione non ha violato il principio di proporzionalità quando ha garantito, prendendo in considerazione la recidiva, che l’ammenda inflitta alla ricorrente nella decisione impugnata fosse sufficientemente dissuasiva.

    579

    Per tutte le ragioni esposte, la censura dev’essere respinta.

    [omissis]

    4. Conclusione sulla domanda di riduzione dell’ammenda

    645

    Poiché la decisione impugnata non risulta inficiata da alcuna illegittimità o irregolarità (v. punti 530, 606 e 643 supra), la domanda di riduzione dell’importo dell’ammenda non può trovare accoglimento nella parte in cui è volta a chiedere al Tribunale di trarre le conseguenze, in relazione all’importo dell’ammenda, da dette illegittimità o irregolarità (v., in tal senso, sentenza del 17 dicembre 2015, Orange Polska/Commissione, T‑486/11, EU:T:2015:1002, punto 226).

    646

    Nondimeno, quando esercita la sua competenza estesa al merito ai sensi dell’articolo 261 TFUE e dell’articolo 31 del regolamento n. 1/2003, il giudice dell’Unione è autorizzato – al di là del mero controllo di legittimità, che consente soltanto di respingere il ricorso di annullamento oppure di annullare (in tutto o in parte) l’atto impugnato – a tenere conto di tutte le circostanze di fatto al fine di modificare, se del caso, l’importo della sanzione [v., in tal senso, sentenze del 3 settembre 2009, Prym e Prym Consumer/Commissione, C‑534/07 P, EU:C:2009:505, punto 86 e giurisprudenza ivi citata, e del 10 novembre 2021, Google e Alphabet/Commissione (Google Shopping), T‑612/17, con impugnazione pendente, EU:T:2021:763, punto 605].

    647

    Nell’esercizio della sua competenza estesa al merito, il giudice dell’Unione può sopprimere, ridurre o persino aumentare l’ammenda inflitta (v. sentenza del 19 dicembre 2013, Siemens e a./Commissione, C‑239/11 P, C‑489/11 P e C‑498/11 P, non pubblicata, EU:C:2013:866, punto 334 e giurisprudenza ivi citata).

    648

    In tali circostanze, il giudice dell’Unione può anche, ove occorra, effettuare valutazioni diverse da quelle effettuate dalla Commissione per la determinazione dell’importo dell’ammenda inflitta (v. sentenza del 21 gennaio 2016, Galp Energía España e a./Commissione, C‑603/13 P, EU:C:2016:38, punto 75).

    649

    Pertanto, occorre esaminare, alla luce di tutti gli elementi del fascicolo e, in particolare, di quelli dedotti dalla ricorrente, se incomba al Tribunale, nell’ambito della sua competenza estesa al merito, sostituire un importo dell’ammenda a quello fissato dalla Commissione, per il motivo che quest’ultimo non sarebbe appropriato (sentenza del 17 dicembre 2015, Orange Polska/Commissione, T‑486/11, EU:T:2015:1002, punto 227).

    650

    Orbene, contestando la proporzionalità della decisione impugnata, la ricorrente ha indicato che, a suo avviso, la Commissione avrebbe dovuto, in considerazione delle circostanze del caso di specie, archiviare il procedimento o, quantomeno, se avesse inteso adottare una decisione, non infliggerle alcuna ammenda.

    651

    A tal riguardo, occorre rilevare che, nella decisione impugnata, la Commissione, senza constatare né una violazione del termine ragionevole né una violazione dei diritti della difesa, ha concesso alla ricorrente una riduzione dell’importo dell’ammenda, che ha giustificato nei seguenti termini:

    «tenuto conto della (...) incertezza creata dalla transizione tra i due trattati, circostanza eccezionale al tempo non espressamente disciplinata dalla giurisprudenza, (...) la Commissione considera opportuno che le parti destinatarie della presente decisione beneficino di una riduzione dell’ammenda» (punto 570);

    tale riduzione è accordata «al fine di mitigare le conseguenze negative per le suddette parti che potrebbero essere state causate dalla lunga durata del procedimento che si è resa necessaria per ovviare a taluni vizi procedurali intervenuti nel corso dello stesso e che non sono attribuibili alle parti destinatarie della presente decisione» (punto 570);

    «la concessione spontanea da parte della Commissione di una riduzione dell’importo dell’ammenda (...) [deve] considerarsi sufficiente (...) a mitigare le possibili conseguenze negative subite dalle parti destinatarie a causa della lunga durata del procedimento» (punto 572);

    «[l]e parti destinatarie potranno (...) beneficiare di una riduzione adeguata delle ammende (...) al fine di mitigare le possibili conseguenze causate dagli errori procedurali commessi dalla Commissione» (punto 573);

    «(...) la Commissione ritiene (...) che gli errori procedurali commessi dalla stessa nell’ambito della transizione tra il trattato CECA e il trattato CE e la durata più lunga che può essere scaturita da questi errori può giustificare un appropriato ristoro per i destinatari della presente decisione» (punto 991);

    «alla luce della discrezionalità di cui la Commissione dispone in materia di fissazione delle ammende, si può (...) [concedere] ai destinatari della presente decisione una riduzione dell’ammenda che dovrebbe essere commisurata in modo tale da non penalizzare le imprese destinatarie per errori procedurali non commessi da loro ma, al contempo, non di una dimensione tale da intaccare il principio che i cartelli sono violazioni molto gravi al diritto della concorrenza» (punto 992);

    «[a]l fine di prendere nella dovuta considerazione questi fattori, la Commissione conclude che una riduzione dell’ammenda del 50% a titolo di circostanza attenuante straordinaria deve essere riconosciuta a tutti i destinatari della presente decisione» (punto 994).

    652

    Ne deriva che, per concedere la riduzione dell’importo dell’ammenda inflitta alla ricorrente, la Commissione si è basata, in sostanza, sui seguenti elementi:

    il caso è stato trattato nel periodo della scadenza del trattato CECA;

    detta situazione ha comportato difficoltà nell’identificare le norme applicabili;

    tali difficoltà hanno portato all’annullamento delle decisioni del 2002 e del 2009 da parte degli organi giurisdizionali dell’Unione;

    gli annullamenti in parola hanno comportato un prolungamento del procedimento, in una misura che ha potuto incidere negativamente sulla situazione delle imprese interessate;

    siffatte circostanze potevano essere prese in considerazione per determinare l’importo dell’ammenda.

    653

    Al riguardo, occorre rilevare che la Commissione utilizza, in più occasioni, nei punti della decisione impugnata citati al punto 651 supra, alcuni termini che inducono a ritenere che, accordando la riduzione dell’importo dell’ammenda in questione, essa intendeva «mitigare» o «riparare» le «conseguenze negative», vale a dire un danno che potesse essere stato causato da «errori» ad essa imputabili.

    654

    Sebbene termini siffatti siano generalmente associati a procedimenti di natura risarcitoria, dalla decisione impugnata non risulta che l’intenzione della Commissione nel concedere la riduzione dell’importo dell’ammenda in questione fosse quella di accordare un risarcimento per un danno causato da un comportamento illegittimo. In nessuna parte di tale decisione la Commissione ammette di aver tenuto un comportamento illegittimo, ad esempio oltrepassando la durata ragionevole del procedimento oppure violando i diritti della difesa della ricorrente. Al contrario, in diversi passaggi di suddetta decisione, essa rinvia alla giurisprudenza secondo la quale il rimedio, in caso di censure relative alla durata del procedimento, deve essere trovato nell’ambito di un ricorso per risarcimento danni (punti 568 e 578).

    655

    Si deve pertanto considerare, alla luce di tali diversi elementi, che la riduzione dell’importo dell’ammenda in questione concessa dalla Commissione non era diretta, nell’ottica di quest’ultima, a porre rimedio a un comportamento illegittimo, bensì semplicemente a tener conto delle circostanze del caso di specie nell’esercizio dell’ampio potere discrezionale riconosciutole per l’imposizione delle sanzioni, fra l’altro, dalla sentenza del 19 marzo 2009, Archer Daniels Midland/Commissione (C‑510/06 P, EU:C:2009:166, punto 82) (v. punto 651 supra)

    656

    Nell’esercizio della sua competenza estesa al merito, il Tribunale ritiene che, nel caso di specie, l’ammenda non possa essere annullata, a causa, segnatamente, della necessità di garantire la piena applicazione del diritto della concorrenza all’infrazione particolarmente grave e di durata significativamente lunga addebitata alla ricorrente.

    657

    Ciò premesso, si deve tener conto del fatto che l’ammenda non è stata inflitta alla ricorrente entro i pochi anni successivi all’esecuzione degli ultimi comportamenti anticoncorrenziali accertati dalla Commissione, bensì quasi 20 anni dopo.

    658

    A tal riguardo, nel caso di specie occorre prendere in considerazione, nella determinazione dell’importo dell’ammenda, tra tutte le circostanze pertinenti, il suo carattere deterrente.

    659

    Infatti, la considerazione del carattere dissuasivo mira a garantire che l’importo dell’ammenda inciterà, in modo sufficiente, l’impresa interessata e, in modo generale, tutti gli operatori economici, a rispettare le regole di concorrenza dell’Unione (v. sentenza del 17 giugno 2010, Lafarge/Commissione, C‑413/08 P, EU:C:2010:346, punto 102).

    660

    Nel caso di specie, l’obiettivo di dissuasione è già stato attuato nei confronti della ricorrente, quantomeno in parte, da un lato, con la sanzione inflittale nella decisione del 2002, poi in quella del 2009, nonché, dall’altro, con la prospettiva che la sanzione di cui trattasi possa essere mantenuta al termine del procedimento, qualora i ricorsi giurisdizionali proposti dalla ricorrente avverso tali decisioni fossero respinti oppure se, in caso di annullamento di dette decisioni, venisse adottata una nuova decisione che pronunciasse nuovamente una sanzione (v. punto 299 supra).

    661

    Ciò posto, occorre dichiarare, nell’ambito dell’esercizio della competenza estesa al merito, che, tenuto conto del lasso di tempo trascorso tra gli ultimi comportamenti anticoncorrenziali e l’adozione della decisione impugnata, la fissazione dell’importo dell’ammenda a un livello inferiore all’importo di base di EUR 2,957 milioni determinato dalla Commissione, nella suddetta decisione, in applicazione degli orientamenti, i quali possono guidare gli organi giurisdizionali dell’Unione quando esercitano la suddetta competenza (v., in tal senso, sentenza del 6 dicembre 2012, Commissione/Verhuizingen Coppens, C‑441/11 P, EU:C:2012:778, punto 80), si rivela sufficiente, nel caso di specie, per produrre l’effetto deterrente perseguito.

    662

    Alla luce di quanto precede, una riduzione del 50% dell’importo dell’ammenda stante il tempo trascorso fra gli ultimi comportamenti anticoncorrenziali e l’adozione della decisione impugnata è appropriata.

    663

    In conclusione, si deve:

    respingere il ricorso nella parte in cui è diretto a ottenere un annullamento totale o parziale della decisione impugnata;

    respingere la richiesta di riduzione dell’importo dell’ammenda formulata dalla ricorrente, considerando che la riduzione dell’importo dell’ammenda del 50% accordata dalla Commissione nella decisione impugnata era appropriata alla luce dell’attenuazione del necessario effetto deterrente della sanzione a causa del tempo trascorso tra la fine dell’infrazione e l’irrogazione dell’ammenda.

    [omissis]

     

    Per questi motivi,

    IL TRIBUNALE (Quarta Sezione ampliata)

    dichiara e statuisce:

     

    1)

    Il ricorso è respinto.

     

    2)

    La Ferriere Nord SpA è condannata a sopportare proprie spese nonché quelle sostenute dalla Commissione europea.

     

    3)

    Il Consiglio dell’Unione europea sopporterà le proprie spese.

     

    Gervasoni

    Madise

    Nihoul

    Frendo

    Martín y Pérez de Nanclares

    Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 9 novembre 2022.

    Firme


    ( *1 ) Lingua processuale: l’italiano.

    ( 1 ) Sono riprodotti soltanto i punti della presente sentenza la cui pubblicazione è ritenuta utile dal Tribunale

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