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Document 62019CJ0269

Sentenza della Corte (Prima Sezione) del 25 novembre 2020.
Banca B. SA contro A.A.A.
Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Curtea de Apel Cluj.
Rinvio pregiudiziale – Tutela dei consumatori – Clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori – Direttiva 93/13/CEE – Conseguenze della dichiarazione del carattere abusivo di una clausola – Sostituzione della clausola abusiva – Modalità di calcolo del tasso d’interesse variabile – Ammissibilità – Rinvio delle parti alle trattative.
Causa C-269/19.

Court reports – general – 'Information on unpublished decisions' section

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2020:954

 SENTENZA DELLA CORTE (Prima Sezione)

25 novembre 2020 ( *1 )

[Testo rettificato con ordinanza del 20 gennaio 2021]

«Rinvio pregiudiziale – Tutela dei consumatori – Clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori – Direttiva 93/13/CEE – Conseguenze della dichiarazione del carattere abusivo di una clausola – Sostituzione della clausola abusiva – Modalità di calcolo del tasso d’interesse variabile – Ammissibilità – Rinvio delle parti alle trattative»

Nella causa C‑269/19,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dalla Curtea de Apel Cluj (Corte d’appello di Cluj, Romania), con decisione del 27 febbraio 2019, pervenuta in cancelleria il 29 marzo 2019, nel procedimento

Banca B. SA

contro

A.A.A.,

LA CORTE (Prima Sezione),

composta da J.-C. Bonichot, presidente di sezione, L. Bay Larsen, C. Toader, M. Safjan e N. Jääskinen (relatore), giudici,

avvocato generale: G. Pitruzzella

cancelliere: A. Calot Escobar

vista la fase scritta del procedimento e a seguito dell’invito alle parti nel procedimento principale e agli interessati menzionati dall’articolo 23 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea a rispondere per iscritto ai quesiti posti dalla Corte,

considerate le osservazioni presentate:

per la Banca B. SA, da R. Trăilescu, I.-C. Şerban, D. Cristea e E. Tudose, avocați;

per A.A.A., da C. Neamţ, avocată;

[Come rettificato con ordinanza del 20 gennaio 2021] per il governo rumeno, inizialmente da C.-R. Canţăr, E. Gane, O.-C. Ichim e L. Liţu, successivamente da E. Gane, O.-C. Ichim e L. Liţu, in qualità di agenti;

per il governo del Regno Unito, da Z. Lavery e S. Brandon, in qualità di agenti, assistiti da A. Howard, barrister;

[Come rettificato con ordinanza del 20 gennaio 2021] per la Commissione europea, da C. Gheorghiu e N. Ruiz García, in qualità di agenti,

vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1

La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (GU 1993, L 95, pag. 29).

2

Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la Banca B. SA, un istituto bancario, e A.A.A., in merito al presunto carattere abusivo e alla nullità assoluta di varie clausole contenute in un contratto di credito relativo alla concessione di un prestito personale concluso da A.A.A. presso tale istituto.

Contesto normativo

Diritto dell’Unione

3

Dal ventiquattresimo considerando della direttiva 93/13 risulta che le autorità giudiziarie e gli organi amministrativi degli Stati membri devono disporre dei mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione delle clausole abusive contenute nei contratti stipulati con i consumatori.

4

L’articolo 3, paragrafo 1, di tale direttiva dispone quanto segue:

«Una clausola contrattuale, che non è stata oggetto di negoziato individuale, si considera abusiva se, malgrado il requisito della buona fede, determina, a danno del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto».

5

Ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, di detta direttiva:

«Gli Stati membri prevedono che le clausole abusive contenute in un contratto stipulato fra un consumatore ed un professionista non vincolano il consumatore, alle condizioni stabilite dalle loro legislazioni nazionali, e che il contratto resti vincolante per le parti secondo i medesimi termini, sempre che esso possa sussistere senza le clausole abusive».

6

L’articolo 7, paragrafo 1, della stessa direttiva prevede quanto segue:

«Gli Stati membri, nell’interesse dei consumatori e dei concorrenti professionali, provvedono a fornire mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione di clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e dei consumatori».

Diritto rumeno

7

La Legea n. 193/2000 privind clauzele abuzive din contractele încheiate între profesioniști și consumatori (legge n. 193/2000 relativa alle clausole abusive nei contratti stipulati tra professionisti e consumatori; in prosieguo: la «legge n. 193/2000») traspone nella legislazione rumena la direttiva 93/13.

8

Conformemente alle disposizioni dell’articolo 6 della legge n. 193/2000, le clausole abusive inserite nel contratto e accertate personalmente o tramite gli organi autorizzati per legge non producono effetti nei confronti del consumatore, e il contratto continua a produrre effetti, con il consenso del consumatore, soltanto se ciò sia ancora possibile una volta eliminate dette clausole.

9

Ai sensi dell’articolo 7 di detta legge, nella misura in cui il contratto non può più produrre effetti dopo l’eliminazione delle clausole considerate abusive, il consumatore ha il diritto di richiedere la risoluzione del contratto e può, se del caso, chiedere il risarcimento del danno.

10

L’articolo 9 quater dell’Ordonanța Guvernului nr. 21/1992 privind protecția consumatorilor (decreto legislativo n. 21/1992, relativo alla tutela dei consumatori), introdotto dall’articolo II, punto 9, dell’Ordonanța de urgență a Guvernului nr. 174/2008 (decreto legislativo n. 174/2008) prevede che, nell’ambito dei contratti stipulati con i consumatori, i fornitori di servizi finanziari siano tenuti a rispettare le seguenti regole, così esposte nella lettera g):

«le seguenti regole si applicano ai contratti di credito a tasso variabile:

1.   la variazione del tasso di interesse deve essere indipendente dalla volontà del fornitore di servizi finanziari e deve collegarsi a fluttuazioni di indici di riferimento verificabili, specificati nel contratto, o alle modifiche legislative che impongono tale variazione;

2.   il tasso di interesse può variare in funzione del tasso di riferimento del fornitore di servizi finanziari, a condizione che quest’ultimo sia lo stesso per tutti i prodotti finanziari destinati alle persone fisiche proposti dall’operatore economico in questione e non sia aumentato oltre un certo livello stabilito contrattualmente».

Procedimento principale e questioni pregiudiziali

11

Il 5 giugno 2007 A.A.A. stipulava un contratto di credito relativo alla concessione di un prestito personale presso la Banca B. Tale contratto era garantito da un’ipoteca di primo grado, di importo pari a EUR 182222, di cui EUR 179000 corrispondevano al prestito personale cosiddetto «Maxicredit» a tasso fisso per un anno ed EUR 3222 corrispondevano alla commissione di concessione di tale prestito, per un periodo di 300 mesi.

12

Dalla decisione di rinvio emerge che le seguenti clausole contrattuali erano applicabili a detto contratto:

l’articolo 5 del contratto di prestito di cui trattasi prevedeva un tasso di interesse annuo del 7,4% per il primo anno del prestito, successivamente un tasso di interesse corrente corrispondente al tasso di riferimento variabile indicato nei locali dell’istituto bancario, maggiorato di 1,5 punti percentuali;

conformemente all’articolo 2.6 delle condizioni generali di concessione del prestito allegate a tale contratto, durante il periodo del prestito, il tasso di interesse corrente poteva variare in funzione dell’evoluzione del «servizio unico del debito del cliente» nei confronti di detto istituto;

in forza dell’articolo 2.10, lettera a), di tali condizioni generali, durante il periodo del prestito, l’istituto bancario poteva modificare gli interessi senza il consenso del mutuatario, in funzione del costo del finanziamento del prestito, e il nuovo tasso di interesse era applicabile al saldo del prestito a partire dalla data della sua modifica. La modifica del tasso di interesse variabile comportava un ricalcolo degli interessi dovuti;

ai sensi dell’articolo 2.10, lettera b), di dette condizioni generali, per i prestiti a tasso di interesse variabile determinato in funzione di un indice di riferimento, il LIBOR o l’Euribor, il tasso di interesse poteva essere modificato in base all’evoluzione di tale indice;

in forza dell’articolo 2.11 delle medesime condizioni generali, il nuovo tasso di interesse rivedibile ogni semestre era affisso nei locali dell’istituto bancario dalla data di applicazione della modifica e il tasso di interesse che ne risultava era applicato al saldo del prestito in essere alla data della modifica;

in caso di linee di credito, il mutuatario veniva a conoscenza della modifica del tasso di interesse annuo nonché del piano di rimborso aggiornato mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento o mediante estratto conto fornito gratuitamente al mutuatario presso gli sportelli dell’istituto bancario;

se, a seguito della modifica del tasso di interesse da parte di tale istituto, il mutuatario non rimborsava il saldo del prestito e i relativi interessi entro un termine di 10 giorni dalla data in cui ne era venuto a conoscenza, si riteneva che avesse accettato il nuovo tasso di interesse.

13

Il 9 giugno 2017 A.A.A. proponeva un ricorso contro la Banca B. dinanzi al Tribunalul Specializat Cluj (Tribunale specializzato di Cluj, Romania) affinché quest’ultimo dichiarasse il carattere abusivo e, pertanto, la nullità assoluta delle clausole del contratto di prestito in questione relative al tasso d’interesse variabile e annullasse, di conseguenza, il piano di rimborso stabilito in applicazione di tali clausole. Egli chiedeva altresì che detto giudice ingiungesse alla convenuta di modificare le suddette clausole e la condannasse a rimborsare l’importo pagato in eccesso risultante dalla dichiarazione del carattere abusivo di queste ultime. Dinanzi allo stesso giudice, A.A.A. sosteneva, in particolare, che le clausole di cui trattasi consentivano alla Banca B. di modificare arbitrariamente l’importo di detto tasso, pregiudicando così i suoi legittimi interessi di consumatore.

14

Con sentenza del 23 gennaio 2018, detto giudice accoglieva parzialmente il ricorso di A.A.A. Esso dichiarava, in particolare, la parziale nullità assoluta della clausola di cui all’articolo 5 del contratto di prestito in questione, per quanto concerne il meccanismo di determinazione del tasso d’interesse variabile, ai sensi della quale il tasso di interesse corrente corrisponde al tasso di riferimento variabile affisso nei locali dell’istituto bancario, nonché dell’articolo 2.6, dell’articolo 2.10, lettera a), e dell’articolo 2.11, articoli di cui al punto 12 della presente sentenza. La nullità assoluta della clausola contenuta nell’articolo 2.10, lettera b), di detto contratto era stata constatata sulla base del fatto che l’istituto bancario aveva solo la possibilità, e non l’obbligo, di rivedere il tasso d’interesse variabile in funzione degli indici di riferimento indicati nel contratto, vale a dire il LIBOR o l’Euribor.

15

Inoltre, era stato intimato alla Banca B. di precisare il contenuto della clausola relativa agli interessi del contratto di prestito di cui trattasi, definendo, in base alle indicazioni di detto giudice, gli elementi costitutivi e l’importo di tali interessi. Da un lato, il margine previsto all’articolo 5 del contratto doveva essere fissato a 1,5 punti percentuali, maggiorato dell’indice Euribor a 6 mesi. Dall’altro, la modalità di modifica del tasso di interesse doveva dipendere esclusivamente dagli indici di riferimento Euribor a 6 mesi con un margine fisso dell’istituto bancario, che poteva essere modificato soltanto con l’accordo scritto delle parti, cosicché la modifica del tasso di interesse dipendeva dalle variazioni dell’indice Euribor a 6 mesi.

16

Secondo il Tribunalul Specializat Cluj (Tribunale specializzato di Cluj), l’eliminazione della clausola che conferisce all’istituto bancario il diritto esclusivo di controllare il meccanismo di adeguamento del tasso di interesse variabile, senza precisare le conseguenze di tale constatazione, comporterebbe, in pratica, una modifica del contratto, in quanto il tasso di interesse sarebbe fissato al livello applicabile durante il primo anno del prestito. Una situazione del genere favorirebbe soprattutto il professionista e vanificherebbe qualsiasi trattativa al riguardo tra le parti contraenti. Inoltre, detto giudice rilevava che la fissazione di un tasso d’interesse fisso avrebbe costituito una modifica del contratto contraria all’accordo delle parti, che avevano concordato un tasso d’interesse variabile, nonché alle disposizioni dell’articolo 969 del codice civile, che sancisce il rispetto degli impegni contrattuali (pacta sunt servanda).

17

Inoltre, in assenza, al momento della conclusione del contratto di prestito in questione, di una disposizione nazionale che disciplinasse la determinazione del tasso di interesse nei contratti di prestito con garanzia ipotecaria, il Tribunalul Specializat Cluj (Tribunale specializzato di Cluj) applicava per analogia le disposizioni legislative di cui al punto 10 della presente sentenza, riguardanti le modalità di determinazione del tasso di interesse, che non erano applicabili ratione temporis nel presente procedimento.

18

Il 15 ottobre 2018 la Banca B. proponeva appello avverso detta sentenza dinanzi al giudice del rinvio, la Curtea de Apel Cluj (Corte d’appello di Cluj, Romania).

19

Dinanzi a tale giudice, la Banca B. fa valere sostanzialmente che il giudice di primo grado ha modificato il metodo di calcolo del tasso di interesse di cui trattasi per l’intera durata del prestito, ignorando la volontà delle parti al momento della conclusione del contratto di prestito in questione. Statuendo in tal modo, esso avrebbe ecceduto le proprie competenze giurisdizionali e avrebbe ignorato la recente giurisprudenza della Corte di giustizia. La Banca B. sostiene altresì che il giudice di primo grado ha erroneamente fondato la sua decisione su disposizioni che non erano in vigore al momento della stipula di tale contratto.

20

Il giudice del rinvio afferma che i giudici rumeni hanno interpretato e applicato in modo divergente l’articolo 6 della legge n. 193/2000, che traspone nel diritto rumeno l’articolo 6 della direttiva 93/13, per quanto concerne, in particolare, la determinazione delle conseguenze del fatto che sia accertato il carattere abusivo delle clausole che definiscono il meccanismo di fissazione del tasso d’interesse variabile con riferimento a criteri non trasparenti.

21

Dato che un contratto di prestito stipulato da un consumatore con un professionista non può giuridicamente sussistere qualora quest’ultimo perda il suo diritto di percepire interessi, una parte dei giudici ritiene che spetti alle parti contraenti negoziare in buona fede, in modo reale ed effettivo, la clausola relativa alle modalità di fissazione del tasso d’interesse, di modo che il contratto che esse hanno concluso possa continuare ad esistere. Altri giudici hanno disposto l’applicazione, al termine del periodo in cui era previsto un tasso d’interesse fisso, di un tasso d’interesse costituito dal margine fisso stipulato nel contratto di prestito, a decorrere dal secondo anno del prestito, maggiorato di un indice oggettivo, trasparente e verificabile, come l’Euribor. Esisterebbe anche un orientamento giurisprudenziale secondo cui, a partire dal secondo anno, gli interessi sono costituiti esclusivamente dal margine fisso stipulato nel contratto, che viene mantenuto. Infine, alcuni giudici ritengono che la clausola relativa al metodo di calcolo del tasso d’interesse applicabile per il primo anno debba continuare ad applicarsi.

22

Secondo il giudice del rinvio, la determinazione delle conseguenze da trarre dalla constatazione del carattere abusivo di una clausola che definisce il meccanismo di fissazione del tasso d’interesse variabile è essenziale per la soluzione della controversia pendente dinanzi ad esso. Da un lato, tale determinazione è necessaria per stabilire il tasso d’interesse applicabile nel rapporto giuridico delle parti contraenti per il futuro. Dall’altro, essa occorre affinché tale giudice possa pronunciarsi sul capo della domanda di A.A.A. diretto a che la Banca B. sia condannata a restituire quanto pagato in eccesso come interessi. Più specificamente, occorrerebbe determinare se l’importo versato in eccesso corrisponda alla differenza tra gli interessi effettivamente pagati da tale consumatore e quelli calcolati sulla base di un margine fissato a 1,5 punti percentuali maggiorato dell’indice Euribor a 6 mesi dopo il primo anno del prestito, alla differenza tra gli interessi effettivamente pagati da quest’ultimo e quelli calcolati sulla base della percentuale fissa stabilita per il primo anno del prestito, o alla differenza tra gli interessi effettivamente pagati e il tasso d’interesse fissato dal giudice alla luce degli elementi di fatto del contratto di prestito.

23

In tali circostanze, la Curtea de Apel Cluj (Corte d’appello di Cluj) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)

Se l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva [93/13] debba essere interpretato nel senso che, in seguito all’accertamento del carattere abusivo di una clausola che definisce il meccanismo per la determinazione del tasso di interesse variabile con la formula “margine fisso e interessi di riferimento applicati da una banca in base a criteri non trasparenti”, nell’ambito di un contratto di credito con tasso di interesse fisso limitatamente al primo anno e un tasso variabile per gli anni successivi, conformemente alla formula menzionata, consenta al giudice nazionale di adeguare il contratto stabilendo un metodo di calcolo dell’interesse variabile sulla base di parametri di riferimento trasparenti (LIBOR/Euribor) e del margine fisso della banca, alla luce degli elementi di fatto contenuti nel contratto di credito, al fine di garantire una migliore tutela del consumatore.

2)

In caso di risposta negativa a tale questione, se l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva [93/13] debba essere interpretato nel senso che, in seguito all’accertamento del carattere abusivo di una clausola come quella precedentemente menzionata, consente al giudice nazionale di applicare, in via giudiziale, un tasso di interesse fisso mediante riferimento al margine fisso stabilito per il secondo anno di esecuzione del contratto o al tasso di interesse fisso del primo anno.

3)

In caso di risposta negativa a tale questione, se l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva [93/13] e il principio di effettività debbano essere interpretati nel senso che, in seguito all’accertamento del carattere abusivo di una clausola come quella precedentemente menzionata, ostano a che il giudice nazionale rinvii le parti ad una trattativa al fine di determinare il nuovo tasso di interesse, senza stabilire parametri di riferimento.

4)

In caso di risposta negativa a tale questione, quali siano i possibili rimedi per garantire una tutela dei consumatori in linea con le disposizioni dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva [93/13]».

Sulle questioni pregiudiziali

24

In via preliminare, occorre ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, nell’ambito della procedura di cooperazione tra i giudici nazionali e la Corte istituita dall’articolo 267 TFUE, spetta a quest’ultima fornire al giudice nazionale una soluzione utile che gli consenta di dirimere la controversia che gli è sottoposta. In tale prospettiva spetta alla Corte, se necessario, riformulare le questioni che le sono sottoposte (sentenze del 7 agosto 2018, Smith, C‑122/17, EU:C:2018:631, punto 34, nonché del 3 marzo 2020, Gómez del Moral Guasch, C‑125/18, EU:C:2020:138, punto 27).

25

Va precisato, al riguardo, che, nel presente procedimento, la Corte non è interrogata sui criteri di valutazione del carattere abusivo delle clausole che disciplinano il meccanismo di fissazione del metodo di calcolo del tasso di interesse variabile del contratto di prestito di cui trattasi. Per contro, le questioni poste nel presente procedimento vertono unicamente sulle conseguenze della constatazione del carattere abusivo di siffatte clausole contrattuali.

26

Pertanto, al fine di fornire una risposta utile al giudice del rinvio, si deve considerare che, con tali questioni, che occorre esaminare congiuntamente, detto giudice chiede, in sostanza, se l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 debba essere interpretato nel senso che, in seguito alla dichiarazione del carattere abusivo delle clausole che definiscono il meccanismo di fissazione del tasso d’interesse variabile in un contratto di prestito come quello in questione nel procedimento principale e qualora tale contratto non possa sussistere dopo la soppressione delle clausole abusive di cui trattasi e non esista alcuna disposizione di diritto nazionale di natura suppletiva che possa sostituirsi a dette clausole, tale disposizione osta a che il giudice nazionale fissi un nuovo metodo di calcolo del tasso d’interesse o rinvii le parti ad una trattativa al fine di determinare un nuovo metodo di calcolo di questo tasso, senza definire il quadro di tali trattative.

27

Al fine di rispondere a detta questione, occorre ricordare, in via preliminare, i fondamenti della tutela dei consumatori nell’ambito delle clausole contrattuali abusive derivanti dalla direttiva 93/13, come interpretata dalla Corte.

28

Il sistema di tutela istituito dalla direttiva 93/13 si fonda sull’idea che il consumatore si trovi in una situazione di inferiorità rispetto al professionista per quanto riguarda sia il potere nelle trattative sia il grado di informazione, situazione che lo induce ad aderire alle condizioni predisposte dal professionista, senza poter influire sul contenuto delle stesse. Alla luce di una siffatta situazione di inferiorità, tale direttiva obbliga gli Stati membri a prevedere un meccanismo che garantisca che qualsiasi clausola contrattuale che non sia stata oggetto di trattativa individuale possa essere controllata al fine di valutarne l’eventuale carattere abusivo (sentenza del 3 ottobre 2019, Dziubak, C‑260/18, EU:C:2019:819, punto 37 e giurisprudenza ivi citata).

29

In tale contesto, spetta al giudice nazionale, in forza dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13, disapplicare le clausole abusive affinché esse non producano effetti vincolanti nei confronti del consumatore, tranne nel caso in cui il consumatore vi si opponga (v., in tal senso, sentenza del 3 marzo 2020, Gómez del Moral Guasch, C‑125/18, EU:C:2020:138, punto 58 e giurisprudenza ivi citata). Tuttavia, il contratto deve sussistere, in linea di principio, senz’altra modifica che non sia quella risultante dalla soppressione delle clausole abusive, purché, conformemente alle norme di diritto interno, una simile sopravvivenza del contratto sia giuridicamente possibile (v., in particolare, sentenza del 5 giugno 2019, GT, C‑38/17, EU:C:2019:461, punto 42 e giurisprudenza ivi citata).

30

Di conseguenza, qualora il giudice nazionale accerti la nullità di una clausola abusiva in un contratto stipulato tra un professionista e un consumatore, tale giudice non può integrare il contratto rivedendo il contenuto di tale clausola (v., in tal senso, sentenza del 3 marzo 2020, Gómez del Moral Guasch, C‑125/18, EU:C:2020:138, punto 59 e giurisprudenza ivi citata).

31

Infatti, la Corte ha considerato che, se il giudice nazionale potesse rivedere il contenuto delle clausole abusive contenute in tale contratto, una facoltà del genere potrebbe compromettere la realizzazione dell’obiettivo di lungo termine di cui all’articolo 7 della direttiva 93/13. Tale facoltà contribuirebbe ad eliminare l’effetto dissuasivo esercitato sui professionisti dalla pura e semplice non applicazione nei confronti del consumatore di dette clausole abusive, dal momento che essi continuerebbero ad essere tentati ad utilizzare le clausole stesse, sapendo che, quand’anche esse fossero invalidate, il contratto potrebbe nondimeno essere integrato, per quanto necessario, dal giudice nazionale, in modo tale, quindi, da garantire l’interesse di detti professionisti (sentenze del 14 giugno 2012, Banco Español de Crédito, C‑618/10, EU:C:2012:349, punto 69; del 30 aprile 2014, Kásler e Káslerné Rábai, C‑26/13, EU:C:2014:282, punto 79; del 26 marzo 2019, Abanca Corporación Bancaria e Bankia, C‑70/17 e C‑179/17, EU:C:2019:250, punto 54, nonché del 3 marzo 2020, Gómez del Moral Guasch, C‑125/18, EU:C:2020:138, punto 60).

32

Per contro, nell’ipotesi in cui un contratto stipulato tra un professionista e un consumatore non possa sussistere successivamente alla soppressione di una clausola abusiva, la Corte ha riconosciuto che l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 non osta a che il giudice nazionale, in applicazione di principi del diritto contrattuale, sopprima la clausola abusiva sostituendola con una disposizione di diritto nazionale di natura suppletiva in situazioni in cui dichiarare invalida la clausola abusiva obbligherebbe il giudice ad annullare il contratto nella sua interezza, esponendo in tal modo il consumatore a conseguenze particolarmente dannose, sicché quest’ultimo ne sarebbe penalizzato (v., in particolare, sentenze del 30 aprile 2014, Kásler e Káslerné Rábai, C‑26/13, EU:C:2014:282, punti 8083; del 26 marzo 2019, Abanca Corporación Bancaria e Bankia, C‑70/17 e C‑179/17, EU:C:2019:250, punto 56; del 3 ottobre 2019, Dziubak, C‑260/18, EU:C:2019:819, punto 48, nonché del 3 marzo 2020, Gómez del Moral Guasch, C‑125/18, EU:C:2020:138, punto 61).

33

Una tale sostituzione è pienamente giustificata alla luce della ratio della direttiva 93/13. Infatti, essa è conforme all’obiettivo dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13, considerato che tale disposizione tende a sostituire all’equilibrio formale, che il contratto determina tra i diritti e gli obblighi delle parti contraenti, un equilibrio reale, finalizzato a ristabilire l’uguaglianza tra queste ultime, e non ad annullare qualsiasi contratto contenente clausole abusive (v., in particolare, sentenze del 30 aprile 2014, Kásler e Káslerné Rábai, C‑26/13, EU:C:2014:282, punti 8182 e giurisprudenza ivi citata; del 26 marzo 2019, Abanca Corporación Bancaria e Bankia, C‑70/17 e C‑179/17, EU:C:2019:250, punto 57, nonché del 3 marzo 2020, Gómez del Moral Guasch, C‑125/18, EU:C:2020:138, punto 62).

34

Se, in una situazione come quella descritta al punto 32 della presente sentenza, il giudice nazionale non potesse sostituire una clausola abusiva con una disposizione di diritto nazionale di natura suppletiva e fosse tenuto ad annullare il contratto in toto, il consumatore potrebbe essere esposto a conseguenze particolarmente dannose, cosicché il carattere dissuasivo risultante dall’annullamento del contratto rischierebbe di essere compromesso. Infatti, per quanto concerne un contratto di mutuo, un tale annullamento avrebbe, in linea di principio, l’effetto di rendere immediatamente esigibile l’importo residuo dovuto a titolo del mutuo in proporzioni che potrebbero eccedere le capacità finanziarie del consumatore e, pertanto, tenderebbe a penalizzare quest’ultimo piuttosto che il mutuante, il quale non sarebbe, di conseguenza, dissuaso dall’inserire clausole di tal genere nei contratti da esso proposti (v., in particolare, sentenze del 30 aprile 2014, Kásler e Káslerné Rábai, C‑26/13, EU:C:2014:282, punti 8384; del 26 marzo 2019, Abanca Corporación Bancaria e Bankia, C‑70/17 e C‑179/17, EU:C:2019:250, punto 58, nonché del 3 marzo 2020, Gómez del Moral Guasch, C‑125/18, EU:C:2020:138, punto 63).

35

Peraltro, la Corte ha altresì dichiarato che l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 osta a che venga posto rimedio alle lacune di un contratto, risultanti dalla soppressione delle clausole abusive contenute in quest’ultimo, sulla sola base di disposizioni nazionali a carattere generale, che non sono state oggetto di una valutazione specifica del legislatore al fine di stabilire un equilibrio tra l’insieme dei diritti e degli obblighi delle parti contraenti e che, di conseguenza, non beneficiano della presunzione di assenza di carattere abusivo, che prevedano l’integrazione degli effetti espressi in un atto giuridico mediante, segnatamente, gli effetti risultanti dal principio di equità o dagli usi, disposizioni queste che non sono né di natura suppletiva né applicabili in caso di accordo tra le parti del contratto (sentenza del 3 ottobre 2019, Dziubak, C‑260/18, EU:C:2019:819, punti 6162).

36

Nel caso di specie, il giudice del rinvio interroga la Corte sui poteri che l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 conferisce al giudice nazionale, qualora il contratto non possa sussistere senza le clausole abusive ma il giudice nazionale non possa sostituire a queste ultime una disposizione di diritto nazionale di natura suppletiva.

37

Sebbene il tenore letterale dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 non indichi nulla al riguardo, si deve sottolineare che la finalità della direttiva 93/13 è di fornire un elevato livello di protezione ai consumatori. Il legislatore dell’Unione ha, tra l’altro, espressamente affermato, nell’articolo 7 della direttiva 93/13, letto alla luce del ventiquattresimo considerando di quest’ultima, che le autorità, in particolare giudiziarie, dovevano disporre dei mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’applicazione delle clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori.

38

In tale ottica, come risulta dalla giurisprudenza citata nei punti da 31 a 34 della presente sentenza, le conseguenze da trarre dalla dichiarazione del carattere abusivo di una clausola contenuta in un contratto stipulato tra un professionista e un consumatore devono consentire la realizzazione di due obiettivi. Da un lato, il giudice deve garantire che possa essere ripristinata l’uguaglianza tra le parti contraenti che l’applicazione di una clausola abusiva nei confronti del consumatore abbia messo a repentaglio. Dall’altro, occorre assicurarsi che il professionista sia dissuaso dall’inserire siffatte clausole nei contratti che propone ai consumatori.

39

Orbene, la direttiva 93/13 non mira a raccomandare soluzioni uniformi per quanto concerne le conseguenze da trarre dalla dichiarazione del carattere abusivo di una clausola contrattuale. Pertanto, dato che, ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13, le clausole abusive non possono vincolare i consumatori, tali obiettivi hanno potuto essere conseguiti, a seconda dei casi e del quadro giuridico nazionale, con la mera disapplicazione nei confronti del consumatore della clausola abusiva di cui si trattava o, qualora il contratto non avesse potuto sussistere senza tale clausola, sostituendo quest’ultima con disposizioni di diritto nazionale di natura suppletiva.

40

Tuttavia, tali conseguenze della dichiarazione del carattere abusivo di una clausola contrattuale non hanno carattere esaustivo.

41

Pertanto, qualora il giudice nazionale ritenga che il contratto di prestito in questione non possa, conformemente al diritto dei contratti, giuridicamente sussistere dopo la soppressione delle clausole abusive di cui trattasi e qualora non esista alcuna disposizione di diritto nazionale di natura suppletiva o alcuna disposizione applicabile in caso di accordo tra le parti contraenti che possa sostituirsi a dette clausole, si deve considerare che, nella misura in cui il consumatore non ha espresso il proprio intento di mantenere le clausole abusive e l’annullamento del contratto esporrebbe tale consumatore a conseguenze particolarmente dannose, il livello elevato di tutela del consumatore, che deve essere garantito conformemente alla direttiva 93/13, richiede che, al fine di ripristinare l’equilibrio reale tra i diritti e gli obblighi reciproci delle parti contraenti, il giudice nazionale adotti, tenendo conto dell’insieme del suo diritto interno, tutte le misure necessarie per tutelare il consumatore dalle conseguenze particolarmente dannose che l’annullamento del contratto di prestito in questione potrebbe provocare, in particolare a causa dell’esigibilità immediata del credito del professionista nei confronti di quest’ultimo.

42

Va precisato, al riguardo, che, in circostanze come quelle di cui trattasi nel procedimento principale, nulla osta, in particolare, a che il giudice nazionale rinvii le parti ad una trattativa allo scopo di fissare il metodo di calcolo del tasso d’interesse, purché esso determini il quadro di tali trattative e queste siano volte a stabilire tra i diritti e gli obblighi delle parti contraenti un equilibrio reale che tenga conto segnatamente dell’obiettivo di tutela del consumatore sotteso alla direttiva 93/13.

43

Infatti, come già ricordato dalla Corte, tale giudice è tenuto ad applicare, per quanto possibile, il suo diritto interno in modo da trarre tutte le conseguenze che, secondo il diritto nazionale, derivano dall’accertamento del carattere abusivo della clausola in questione allo scopo di raggiungere l’obiettivo stabilito dall’articolo 6, paragrafo 1, di tale direttiva, vale a dire che il consumatore non sia vincolato da una clausola abusiva (v., in tal senso, sentenza del 30 maggio 2013, Jőrös, C‑397/11, EU:C:2013:340, punti 5253). Lo stesso vale quando si tratta di determinare, a seguito della dichiarazione del carattere abusivo di una clausola, le conseguenze da trarre da tale accertamento, al fine di garantire, conformemente all’obiettivo di detta direttiva, un livello elevato di protezione del consumatore.

44

Tuttavia, va precisato che la competenza del giudice non può andare al di là di quanto è strettamente necessario per ripristinare l’equilibrio contrattuale tra le parti contraenti e quindi per tutelare il consumatore dalle conseguenze particolarmente dannose che l’annullamento del contratto di prestito di cui trattasi potrebbe provocare. Infatti, se al giudice fosse consentito di modificare o di moderare liberamente il contenuto delle clausole abusive, tale potere sarebbe idoneo a compromettere il raggiungimento di tutti gli obiettivi di cui al punto 38 della presente sentenza.

45

Alla luce delle considerazioni che precedono, si deve rispondere alle questioni poste dichiarando che l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 deve essere interpretato nel senso che, in seguito all’accertamento del carattere abusivo delle clausole che definiscono il meccanismo di fissazione del tasso d’interesse variabile in un contratto di prestito come quello di cui trattasi nel procedimento principale, e qualora tale contratto non possa sussistere dopo la soppressione delle clausole abusive in questione, l’annullamento di detto contratto avrebbe conseguenze particolarmente dannose per il consumatore, e non esista alcuna disposizione di diritto nazionale di natura suppletiva, il giudice nazionale deve adottare, tenendo conto del complesso del suo diritto interno, tutte le misure necessarie per tutelare il consumatore dalle conseguenze particolarmente dannose che l’annullamento di detto contratto potrebbe provocare. In circostanze come quelle di cui trattasi nel procedimento principale, nulla osta, in particolare, a che il giudice nazionale rinvii le parti ad una trattativa allo scopo di fissare il metodo di calcolo del tasso d’interesse, purché determini il quadro di tali trattative e queste siano volte a stabilire tra i diritti e gli obblighi delle parti contraenti un equilibrio reale che tenga conto segnatamente dell’obiettivo di tutela del consumatore sotteso alla direttiva 93/13.

Sulle spese

46

Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice del rinvio, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

 

Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara:

 

L’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, deve essere interpretato nel senso che, in seguito all’accertamento del carattere abusivo delle clausole che definiscono il meccanismo di fissazione del tasso d’interesse variabile in un contratto di prestito come quello in questione nel procedimento principale, e qualora tale contratto non possa sussistere dopo la soppressione delle clausole abusive in questione, l’annullamento di detto contratto avrebbe conseguenze particolarmente dannose per il consumatore, e non esista alcuna disposizione di diritto nazionale di natura suppletiva, il giudice nazionale deve adottare, tenendo conto del complesso del suo diritto interno, tutte le misure necessarie per tutelare il consumatore dalle conseguenze particolarmente dannose che l’annullamento di detto contratto potrebbe provocare. In circostanze come quelle di cui trattasi nel procedimento principale, nulla osta, in particolare, a che il giudice nazionale rinvii le parti ad una trattativa allo scopo di fissare il metodo di calcolo del tasso d’interesse, purché determini il quadro di tali trattative e queste siano volte a stabilire tra i diritti e gli obblighi delle parti contraenti un equilibrio reale che tenga conto segnatamente dell’obiettivo di tutela del consumatore sotteso alla direttiva 93/13.

 

Firme


( *1 ) Lingua processuale: il rumeno.

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